La verità negli abissi ISSN 2035-0724 VELENIInchiesta seconda parte

Mensile Anno 2, Numero 15 € 5 Direttore politico Massimo Fini Direttore responsabile Valerio Lo Monaco

Chiave di lettura: Anno 2 - numero 15 - Dicembre 2009 Anno 2 - numero IL CROCEFISSO NEGATO

Fini: IMMIGRAZIONE: LA MISERIA CI SOMMERGERA’

Informazione: COSA È IMPORTANTE. E COSA NO

Intervista: FRANCO RIZZI: L’ISLAM GIUDICA L’OCCIDENTE

Il film:

Poste It.Poste Spa. Sped. in abb. post. DL 353/03 (conv. in L n° 46 27/02/2004) art.1 comma1 aut.171/2008 Rm. BRAVEHEART: LIBERTÀ DI POPOLO Anno 2, numero 15, Dicembre 2009

Direttore Politico Massimo Fini

Direttore Responsabile Valerio Lo Monaco ([email protected])

Redazione: Ferdinando Menconi, Federico Zamboni ([email protected]) Immigrati e globalizzazione Art director: di Massimo Fini 2 Alessio Di Mauro Hanno collaborato a questo numero: Schifo sì, reati forse Andrea Marcon, Germana Leoni, Davide Stasi, Lorenzo Castelli, Fulvio Lo Monaco, di Federico Zamboni 5 Francesca Gatto, Francesca Roveda Segreteria: Almeno Padri Sara Santolini ([email protected]) di Andrea Marcon 9 340/1731602 Progetto Grafico: Inchiesta: Antal Nagy Mauro Tancredi La verità giù negli abissi La Voce del Ribelle è un mensile di Germana Leoni 12 della MaxAngelo S.r.l. Via Trionfale 8489 00135 Roma La tua “info”. Dove trovarla? P.Iva 06061431000 di Valerio Lo Monaco 19 Redazione: Via Trionfale 6415 00135 Roma La UE decide, tel. 06/97274699 fax 06/97274700 l’Italia se ne infischia email: [email protected] di Davide Stasi 26 Agenzie di Stampa: Adn Kronos Il Velino Moleskine 30 Testata registrata presso il Tribunale di Roma, n°316 del 18 Settembre 2008 L’intervista: Islam e Occidente Prezzo di una copia: 5 euro di Lorenzo Castelli 37 Abbonamento annuale (11 numeri): 50 euro comprese spese postali Il Crocefisso negato Modalità di pagamento: di Fulvio Lo Monaco 43 vedi modulo allegato alla rivista Stampa: Borderline: Marguerite Duras, Grafica Animobono sas. via dell’Imbrecciato, 71/a - 00149 Roma cuore di tenebra Pubblicità di settore: di Francesca Gatto 47 [email protected]

Email: [email protected] Musica: Alive. Ieri, oggi e sempre www. http://www.ilribelle.com di Francesca Roveda 52 Il film: Scots wha hae Tutti i materiali inviati alla redazione, senza precedente accordo, non vengono restituiti. di Ferdinando Menconi 56 Chiuso in redazione il 26/11/2009 Idratati a pagamento 64 Leggo al minimo. Il Tempo divora gli occhi e il resto. Ma “La Voce del Ribelle” merita di vivere.

Qualcuno... chissà...

Guido Ceronetti Immigrati e globalizzazione

di Massimo Fini

he le ondate migratorie delle popolazioni del cosiddetto Terzo Mondo verso il cosiddetto Occidente provochino problemi colossali sia nei Paesi verso cui si dirigono, sia in quelli da cui provengono (ma questo interessa meno, anzi nulla) è fuori discussione. Lasciando pur perdere l'Italia dove il dibattitoC ha raggiunto livelli altissimi con una terminologia ("stron- zo") che è perfettamente adeguata alla nostra società, anche negli altri Paesi occidentali ci si guarda bene dall'affrontare, alme- no concettualmente, le radici profonde del fenomeno migratorio. L'immigrazione è figlia della globalizzazione. Questo è evidente anche a un bambino anencefalo. Ciò che non viene mai chiarito a fondo è la natura della globalizzazione. Si tratta dell'espansione del modello di sviluppo occidentale che, partita dall'Inghilterra a metà del XVIII secolo, ha via via invaso l'intero pianeta fino a raggiungere, nell'ultimo mezzo secolo, anche i Paesi di quello che chiamiamo Terzo Mondo. È la nuova forma che ha assunto il colonialismo occidentale, non più militare, (salvo casi estremi di Paesi particolarmente riottosi e maleducati come l'Afghanistan) ma economico. Con conseguen- ze molto più devastanti di quelle che aveva provocato il coloniali-

2 - WWW.ILRIBELLE.COM MASSIMO FINI smo classico. Fra queste due forme di colonialismo c'è infatti una diffe- renza sostanziale, di qualità. Il colonialismo classico, senza per questo volerlo minimamente giustificare, si limitava a conquistare territori e a rapinare materie prime di cui spesso gli indigeni non sapevano che farsi, ma poiché le comunità dei colonizzatori e dei colonizzati rimanevano separate e divise poco cambiava per questi ultimi che continuavano a vivere secondo la propria storia, tradizioni, costumi, socialità, economia. Il colonialismo economico, invece, non conquista territori ma mercati - di cui, anche se poveri, ha estremo bisogno perché, per quanto il mondo industrializzato continui a produrre sempre nuove e meravigliose inutilità, i suoi sono sostanzialmente saturi- e per farlo deve omologare le popo- lazioni del Terzo Mondo alla nostra "way of life", ai nostri costumi, possi- bilmente anche alle nostre istituzioni, per piegarle ai nostri consumi. Gli abitanti del Terzo Mondo diventano degli sdradicati, eccentrici rispet- to alla propria stessa cultura che è finita nell'angolo e scontano una pesantissima perdita di identità. Alcune minoranze, specialmente nel mondo islamico, si oppongono, per così dire, alla talebana a questa violenza con tutte le loro forze. Altri si rassegnano a vivere nella miseria con i materiali di risulta del mondo industrializzato, oppure migrano verso il centro dell'Impero cercandovi una vita migliore. O semplicemente una vita. Perché il colonialismo di nuovo conio non scardina solo la loro identità ma anche le economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui quelle popolazioni avevano vissuto, e a volte prosperato, per seco- li e millenni. Privati di quel tessuto di solidarietà, familiare, comunitaria, clanica, che aveva tenuto in equilibrio il loro mondo e costituito la loro rete di prote- zione (così com'era stato per gli agricoltori europei prima della Rivoluzione industriale), costretti ad integrarsi nel mercato economico mondiale, quei popoli ora esportano qualcosa, ma le esportazioni non sono sufficienti a compensare il deficit alimentare che si è così venuto a creare. E quindi la fame. Un esempio classico è l'Africa nera. Ai primi del Novecento l'Africa era alimentarmente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98%), nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dal- l'integrazione economica - prima era considerata un mercato del tutto marginale e poco interessante - le cose sono precipitate. L'autosufficienza è scesa all'89% nel 1971, al 78% nel 1978. Per sapere quello che è successo dopo non sono necessarie statistiche: basta guar- dare le immagini che ci vengono dal Continente Nero. E tutti gli "aiuti" non solo non sono riusciti a tamponare il fenomeno della fame, in Africa e altrove, come è emerso dal recente vertice della Fao tenuto a Roma, ma lo hanno aggravato. Perché gli "aiuti" alle popolazio- ni del Terzo Mondo tendono ad integrarle maggiormente nel mercato economico mondiale. Ed è proprio questa integrazione, come dimostra la storia dell'ultimo mezzo secolo, che le fa ammalare ed esplodere. Alcuni Paesi ed intellet- tuali del Terzo Mondo lo avevano capito per tempo. Una ventina di anni MASSIMO FINI

3 WWW.ILRIBELLE.COM fa, all'epoca del G7 e delle sue periodi- che riunioni, i sette Paesi più poveri del mondo, con alla testa l'africano Benin, Non ce ne organizzarono un controsummit al grido di: £Per favore, non aiutateci più!. frega niente di...: Oggi per i Paesi del Terzo Mondo è ormai tardi per opporsi. Sono troppo deboli, politicamente e militarmente, sfiancati, dilaniati da guerre intestine che noi abbiamo provocato. Battisti La globalizzazione ha continuato a mar- *** ciare, inesorabile. E poco importa che attualmente sia la Cina, entrata a pieno titolo nel modello di sviluppo occidenta- Meredith le, a menare la danza e a comprare terre *** grandi come province, come regioni, in Africa o in altri Paesi terzomondisti. Il risul- tato non cambia. delitto di Garlasco Anzi peggiora. Se l'attuale modello di sviluppo non si *** arresta e continuerà a penetrare sempre più profondamente nelle realtà del Terzo D’Alema bocciato Mondo lo scenario che si delinea è il * seguente. Un pugno di Paesi (o di aree geografi- che) ricchissimi, ma con sperequazioni le polemiche su Fini enormi al loro interno (come gli Stati (quello sbagliato) Uniti) circondati da un mare di miseria e da masse sempre più imponenti di dispe- ** rati che premeranno alle loro frontiere. E verrà l'ora in cui non ci sarà legge, Pannella und Bonino guardiacoste, fregate, cannoniere che ***** potranno respingerli. Il mare di miseria ci sommergerà.

Massimo Fini MASSIMO FINI

4 LA VOCE DEL RIBELLE Schifo sì reati forse

di Federico Zamboni

i sono articoli che si possono scrivere solo in prima persona. Perché non sono articoli, in effet- ti. Non si concentrano su una singola vicenda e non hanno notizie da comunicare, se non per aggiungere qualche esempio qua e là. Il loro obiettivo – che di questi tempi è più che mai ambizioso, ora che qualsiasiC discorso è tanto più gradito quanto più è breve e con- creto, o in alternativa lungo quanto si vuole ma all’insegna delle chiacchiere che si limitano a intrattenere e non costringono nes- suno a fare i conti con se stesso – è centrare un problema di carattere generale, che si pone al di qua di ogni conseguenza successiva. Che costituisce, che dovrebbe costituire, una sorta di premessa a ogni giudizio e a ogni comportamento. Uno degli errori più comuni, infatti, è cominciare a ragionare solo da un certo punto in poi, dando per scontata tutta una serie di elementi. Si seguono gli sviluppi e ci si appassiona agli esiti, ma non ci si domanda mai se le regole del gioco siano limpide e condivisibili. E se, quindi, quella che si sta svolgendo sia oppure no una partita corretta, alla quale vale la pena di partecipare – anche soltanto nelle vesti di spettatori. Accade continuamente, nella società in cui viviamo. Specie in politica, ma anche in tanti altri ambiti della vita collettiva. C’era una volta la morale. Che a volte esagerava in rigidità, però fissava alcuni valori ben precisi. Oggi c’è sì e no il codice penale

5 - WWW.ILRIBELLE.COM Zamboni Abbiamo un tale bisogno di sentirci partecipi, sottraendoci alla fastidiosa impressione di non contare nulla e di vivere in un modo che è di per sé innaturale ed ingiusto, che ci lasciamo risucchiare in ogni maledetta diatriba che ci mettano sotto il naso. Siccome ci hanno insegnato che il cittadino consapevole è il cittadino bene informato, noi ci adeguiamo di buon grado. Se non addirittura con entusiasmo. L’hai visto Ballarò? L’hai visto Porta a porta? L’hai visto Anno zero? Ha ragione Di Pietro. No, ha ragione Ghedini. Macché (mavalà), ha ragione quell’altro. Passano le settimane, i mesi, gli anni, gli stramaledetti decenni che ormai sono diventati più di sei, dalla fine della Seconda guerra mondiale e dall’edificazione di questa bella “repubblica democra- tica fondata sul lavoro”, e la maggior parte di noi ha abboccato. Si è tenuta informata su tutto. Si è accalorata a questo e a quello. È stata così contenta di dire la sua, al bar in famiglia in ufficio, e magari una o due volte pure in diretta radiofonica o televisiva, che non si è accorta di quel piccolo dettaglio da cui, sfortunatamente, dipende tutto il resto: la libertà di parola non equivale affatto alla libertà di scelta. La gente discute e qualcun altro decide. La gente parla delle parole altrui, parla delle parole dei potenti, e i potenti utilizzano quelle parole come una cortina fumogena, dietro la quale fanno quello che vogliono. Il trucco c’è, ma non si vede. Oppure si vede benissimo, ma nessu- no ci fa caso. Come alla roulette: 36 numeri per tutti e uno riserva- to solo al banco. Esce il nero e vincono quelli che hanno puntato sul nero. Esce il rosso e vincono quelli che hanno puntato sul rosso. Esce lo zero e vince solo il casinò. Di tanto in tanto, ma quanto basta a fare la differenza. Game Over La pazienza è un pregio, l’inerzia è un difetto. La perseveranza è un pregio, la testardaggine è un difetto. Dialogare con qualcuno che non si conosce, e che si suppone in buona fede, è segno di aper- tura; ostinarsi a farlo dopo aver avuto innumerevoli prove della sua scorrettezza (e del suo cinismo) è segno di imbecillità. Se non li possiamo arrestare, questi truffatori di professione che ci assediano con le loro chiacchiere e cercano di abbindolarci con le loro pan- tomime, possiamo almeno isolarli. C’è Porta a porta? Clic: non lo guardiamo. C’è Matrix? Clic: non lo guardiamo. La stessa quantità di tempo che avremmo perso ad ascoltare le disquisizioni più o meno scombinate e inattendibili del tizio o del caio (nonché del sempronio che li presenta e, per il sem- plice fatto di presentarli, li legittima e li ossequia) lo usiamo per documentarci sull’argomento di cui si dibatte, ammesso che ne valga la pena e non si tratti dell’ennesima questione di nessun conto. O di lana caprina. Quello che dobbiamo fare, in altri termini, è prendere le distanze da questo inganno colossale che vuole farci credere che la chiave di Zamboni

6 LA VOCE DEL RIBELLE volta della democrazia stia nel seguire, e nel commentare, e nel rilanciare nelle nostre conversazioni private, le infinite performance dei politici e degli altri saltimbanchi del circo mediatico. Il punto non è sapere cosa dice il governo sul processo breve e cosa repli- ca l’opposizione. Il punto è sapere cosa dice il disegno di legge. E se proprio si vuole avere contezza del modo in cui i rispettivi avvo- caticchi lo difendono o lo attaccano, basta e avanza una rapida occhiata ai riassuntini a posteriori. Il resto è solo fumo. E il fumo intossica, quando non uccide. Primum bonificare La parola d’ordine è “incompatibilità”. Che non è affatto un pregiu- dizio, ma il punto di arrivo di una valutazione prolungata, e accura- ta, di ciò che alla fine si va a discriminare. Illudersi di poter convin- cere coloro i quali sono totalmente diversi da noi – diversi nella loro natura profonda e definitiva, non nei singoli pareri su determinate questioni, quand’anche importanti – non è solo un abbaglio. È una colpa verso se stessi e una responsabilità verso la comunità alla quale si appartiene. Cosa dovremmo mai dire, a quelli che anco- ra oggi, dopo il disastro finanziario dei subprime e dei derivati di Borsa, difendono l’indifendibile e hanno già ripreso a darsi da fare per riprendere le loro speculazioni finanziarie come se nulla fosse? E a quelli che si ergono in difesa dei valori cristiani al solo scopo di accaparrarsi il favore della Chiesa, senza però attenersi in nulla ai relativi precetti? E che cosa, mille miglia (altre mille miglia...) più in basso, al Fabrizio Corona che pretende di convincerci che non ci sia nulla di illegale nello scattare foto compromettenti e poi offrirle ai diretti interessati in cambio di un sacco di soldi (ricatto? Ma quando mai: giusto una normale, normalissima transazione com- merciale); oppure alla tipa che annuncia ai quattro venti la propria intenzione di sposare Angelo Izzo, lo stupratore e pluriomicida del Circeo, avendone colto quei pregi che purtroppo, tra un delitto e l’altro, sono rimasti un tantino, come dire, offuscati? Non c’è discussione. Non ci può essere. Non ci deve essere. E l’uni- co modo per ristabilire questa semplice verità, che a molti di noi è sfuggita per ragioni che in teoria sembravano ottime ma che alla prova dei fatti si sono rivelate pessime, è recuperare il senso del- l’abissale differenza che separa l’elucubrazione intellettuale dalla riflessione etica. Nella prima tutto è possibile, via via che l’esperien- za cede il posto alle parole e la vera ponderazione si disperde in astrazioni dialettiche; nella seconda lo scambio di idee avviene a partire da valori precisi e consapevoli, che corrispondono alla pro- pria essenza e che, in quanto tali, possono essere oggetto di con- fronto, ma non di dimostrazione. E allora? Questa “prima persona”? Siamo al punto. Nella società contemporanea sta avvenendo, e in larga misura è già avvenuta, una vera e propria rimozione dell’idea Zamboni

7 WWW.ILRIBELLE.COM di morale. Alla quale si sta sostituendo, in nome di una libertà indi- viduale tanto estremizzata in alcuni ambiti quanto conculcata in altri, la mera osservanza delle leggi. L’idea che si vuole far passare è che l’unica cosa che conti, ai fini della valutazione di una perso- na, e in particolare di una persona che rivesta una carica pubbli- ca, è che non commetta dei reati. O meglio: che non venga con- dannata in via definitiva per quegli stessi reati, dopo i canonici tre gradi di giudizio e sempre ammesso che si arrivi a sentenza, tra un’immunità parlamentare da restaurare e una prescrizione sopravvenuta per le lungaggini del processo. O addirittura, come negli ultimi tempi si è iniziato a sostenere apertamente, a condizio- ne che l’elettorato si mostri d’accordo con l’azione penale intrapre- sa dalla magistratura, secondo il bizzarro teorema per cui, essendo la sovranità popolare la fonte suprema dell’ordinamento statale, nulla può essere considerato illegittimo fintanto che i cittadini non se ne convincano e non traducano questa loro presa d’atto in espressione di voto. Il politico mente? Lo fa in maniera spudorata e insistita, o addirittu- ra compiaciuta? In una comunità sana la sua sorte dovrebbe esse- re segnata. Fuori dalle palle, illustrissimo onorevole. Quand’anche le menzogne non siano tali da condurre a un’incriminazione, si dà il caso che i mentitori non godano del nostro apprezzamento. E, men che meno, della nostra fiducia. Il politico è un somaro matricolato, o un arruffone di prim’ordine, o un buzzurro che ha scambiato il Parlamento con l’osteria? Benissimo. Il Codice penale non fa men- zione di nessuna di queste fattispecie, pur tuttavia si direbbe che ce ne sia quanto basta per concludere che non si tratta esatta- mente della persona più adatta a rappresentare la Nazione e a godere dei relativi privilegi. Potrei continuare in lungo e in largo. Ma mi piace pensare che non ce ne sia bisogno. Quello di cui c’è bisogno, invece, è che ci si guardi bene in faccia e, se non si è già contaminati in modo irre- versibile dai virus dell’indifferenza e dell’autoassoluzione generaliz- zata per sé e per gli altri, ci si dica reciprocamente a cosa si attri- buisce valore e a cosa no. E come si intende vivere e rapportarsi con gli altri. E se si crede nella lealtà, nell’altruismo, nel coraggio. E se, quando non ci si dimostri all’altezza delle proprie convinzioni, si ritiene doveroso avere almeno la sincerità di prenderne atto e la determinazione a impegnarsi per fare meglio, in futuro. Dirlo in maniera diretta. Dirlo come un’affermazione vincolante. Non come un auspicio generico. Io (io!) credo in questo e in quest’al- tro. E mi comporterò di conseguenza. Sono impegni che si possono prendere solo in prima persona. Perché sono impegni, appunto. Non blande preferenze che se si realizzano bene e se non si realiz- zano amen, ché la carne è debole e la morale è solo l’ingombran- te eredità di un passato oscuro. Così poco aggiornato. Così poco liberale. Federico Zamboni Zamboni

8 LA VOCE DEL RIBELLE AlmenoAlmeno padri

Perduto quasi ogni contatto con il mondo naturale, la “migliore società possibile” legifera su ogni aspetto della vita dell’uomo. Anche quella più intima. Dalle sordide aule dei tribunali sino a poter vedere i figli solo grazie a una sentenza.

di Andrea Marcon

figli sono affidati alla madre. Il padre potrà visitare i figli e tenerli con sé due week end al mese. Durante il periodo delle festività, i figli trascorreranno le feste con uno dei due geni- tori a rotazione, secondo turni prestabiliti”. “Vi invito a leggereI più volte le righe che precedono. Non perché penso che possano suonare come formule desuete o sconosciu- te: più o meno tutti - direttamente o indirettamente – sappiamo come funziona la realtà delle separazioni e dei divorzi e come in questi casi sia regolato giudiziariamente il destino dei figli nati dal matrimonio. Ma, proprio perché siamo assuefatti a certi orro- ri, è bene che impariamo ad osservarli con un’ottica diversa. Cambiare prospettiva è sempre un esercizio salutare per la nostra mente. Magari potremmo paragonare la nostra supina accettazione se non razionale condivisione di simili creazioni dell’uomo moderno con lo sguardo con il quale le osserverebbe – che so – un Apache del XIX secolo. Un “selvaggio”, sì. Uno di quelli che i pro- pri figli li educava con durezza, li abituava alle sofferenze, fisiche e morali, fin dalla più giovane età, e spesso li vedeva cadere in battaglia o per malattia. Chissà con quali occhi assisteva alla perdita del proprio figlio in simili situazioni: sicuramente gonfi di dolore, ma probabilmente anche con l’orgoglio e l’intima serenità di chi sapeva di averlo ANALISI

9 - WWW.ILRIBELLE.COM cresciuto e fatto vivere secondo natura. E la natura non è solo quella delle nostre cartoline, può anche essere spietata e crudele. Di certo molto diversi sarebbero stati gli occhi di quel guerriero Apache se gli avessero detto che, in caso di litigio irreparabile con la propria moglie, avrebbe dovuto vedere i propri figli a Natali alternati. Certo, gli Apaches il Natale non sapevano neppure cosa fosse, ma in compenso sapevano cosa significava essere genitori. Non conoscevano i codici, i tribunali, il potere delle leggi di penetrare fin nelle pieghe più intime dell’esistenza di un uomo. Ma non è degli Apaches che voglio parlare. E neppu-

“...La smania tipicamente moderna di legiferare su ogni aspetto della nostra vita è arrivata al punto di privarci della possi- bilità di essere genitori dei nostri figli...” re delle infinite concessioni che l’uomo moderno ha fatto per avere in cambio il benessere materiale o anche solo la sua chimera. Si potrebbero spendere fiumi di parole sulla perdita di ogni nostro ruolo sociale, sul nostro stato di servi di un meccanismo politico ed economico che non comprendia- mo e tantomeno controlliamo, sull’inebetimento di automi votati solo al lavoro e al consumo. Tutto questo è tristissimo e gravissimo, ma siamo riusciti ad andare anche più in là. Si dice spesso che oggi l’uomo riesce a trovare soddisfazio- ne e senso soltanto nella propria sfera personale: gli amici, gli affetti, la famiglia. Invece è incredibile come anche in quest’ultimi ambiti lo sradicamento della nostra natura si sia inesorabilmente compiuto. La smania tipicamente moderna di legiferare su ogni aspetto della nostra vita è arrivata al punto di privarci della possibilità di essere genitori dei nostri figli. Rileggiamole, quelle parole. E poi pensiamo alla carne e al sangue dei quali siamo fatti, a cosa significhi per noi ritrova- re a casa i nostri bambini e cosa invece salutarli la domeni- ca sera sapendo che li rivedremo, per sentenza, solo il week end successivo.Tocchiamoci, annusiamoci, vediamo di capi- re se esistiamo ancora. Non come marionette, come servi, come individui razionali che soppesano i vantaggi sociali della normativa divorzista. Vediamo se siamo ancora non dico guerrieri, neppure uomini, ma almeno padri.

Andrea Marcon

10 LA VOCE DEL RIBELLE AA NataleNatale regalaregala cultura!

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È partita la corsa a ridimensionare le rivelazioni dei pentiti a proposito del traffico di rifiuti tossici. Mossa numero uno: negare che il relitto trovato nelle acque di Cetraro sia quello dei veleni

di Germana Leoni

o scorso settembre, nel contesto dell'inchiesta della procura di Paola sulle 'navi a perdere', un piccolo robot sottomarino individuava un relitto adagiato a 480 metri di profondità sul fondale marino antistante il centro calabrese di Cetraro. Uno squarcio nello scafo evidenziava anche la presenza di alcuni fusti al suo interno: Lparticolare che permetteva di ipotizzare trattarsi di una delle decine di navi misteriosamente sparite nel Mediterraneo col loro carico di veleni. Nel caso specifico la Cunsky. Le coordinate del suo naufragio erano state fornite ai magistrati da Giuseppe Fonti, un pentito della 'ndrangheta che si era assunto la responsabilità di aver affondato tre navi nel 1992. Dopo anni e anni di indagini sembrava insomma che per la prima volta una nave fantasma avesse un corpo: o meglio un corpo di reato! Ma a fine ottobre iniziava il balletto delle smentite: non era la Cunsky. Era la Cagliari, per il procuratore antimafia Piero Grasso, prontamente smentito dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che ufficializzava trattarsi invece del Catania, piro- scafo affondato da un sommergibile tedesco nel 1917. Caso chiu- so! E la notizia scompariva dalle pagine dei giornali, quasi che a una dichiarazione ufficiale dovesse corrispondere un atto di fede. Ma il caso Cunsky,e ciò che rappresenta, non è affatto chiuso! Così come non è necessariamente stato discreditato Giuseppe Fonti. INCHIESTA

12 - WWW.ILRIBELLE.COM Le manifestazioni di protesta si fanno di tanto in tanto. Il racket dei rifiuti non si ferma mai.

13 - WWW.ILRIBELLE.COM E questo essenzialmente perché mancanza di corpo di reato non implica assenza di reato. E poi perché non tornano i conti. Pare non corrisponda- no le coordinate geografiche dell'affondamento delle due navi, le caratteristiche tecniche delle stesse e nemmeno le immagini. E pare che, alle coordinate fornite, gli abissi marini nascondano almeno tre relitti. E poi altri particolari che alla fine non contano comunque. E non contano perché il problema resta anche nel caso in cui il relitto sommerso sia quello del Catania. Così come restano le decine di navi misteriosamente affondate, per una sola delle quali, la Rigel, si è arrivati a sentenza: una senten- za del novembre 1992 che parla inequivocabil- mente di 'naufragio doloso' anche in assenza di corpo del reato1. Ma parla di naufragio finalizzato alla riscossione del premio assicurativo: un misfat- to minore, probabilmente di copertura e come tale mirato a depistare gli inquirenti in caso di inchiesta. Scoprire un primo reato infatti non incentiva a cercarne un altro. Non fosse così, avrebbe destato maggior sospetto la composizio- ne del carico della Rigel, così descritto in un pas- saggio della sentenza:“Il... omissis... spedisce sulla Rigel ben 61 containers dichiaratamente pieni di materiale ferroso del valore di 3 miliardi e mezzo, in realtà contenenti blocchi di cemento per un valore, da lui stesso dichiarato, non superiore ai dieci milioni.”E il cemento è materiale solitamente usato per schermare le radiazioni. È solo un ipotesi, naturalmente. Forse, il signor 'omissis' in questione, voleva solo spendere una fortuna per spedire cemento a Cipro, dove non ne esiste notoriamente... Per quel viaggio la Rigel era stata noleggiata alla Fjord Tankers Shipping2, già armatrice della fami- gerata Lynx, la 'nave dei veleni' che nel gennaio 1987 aveva scaricato in Venezuela rifiuti tossici di provenienza italiana. Stesso armatore dunque sia per l'inabissamento doloso di un mercantile che per il contemporaneo trasporto di sostanze peri- colose in paesi terzi. E infatti lo smaltimento di rifiu- ti tossici e radioattivi non avveniva solo tramite l'affondamento di 'navi a perdere', ma anche spe- dendo gli stessi all'estero via mare: non ipotesi investigative, ma fatti documentalmente provati. Gli inquirenti hanno messo tanto l'affondamento

14 LA VOCE DEL RIBELLE della Rigel quanto i viaggi delle navi dei veleni in stretta relazione all'attività della Oceanic Disposal Management (Odm), società che faceva capo a Giorgio Comerio, ingegnere italiano il cui proget- to prevedeva l'incapsulazione di scorie nucleari in contenitori a forma di siluri, da sparare nei fonda- li marini a una profondità di circa 4000 metri. L'ingegnere era sospettato dal nucleo operativo dei carabinieri di Reggio Calabria di essere il Deus ex machina di tutta l'attività di smaltimento illecito di materiale nucleare, sia a livello naziona- le che internazionale. Un po' troppo per un uomo solo... Comerio, dal canto suo, ha dichiarato di aver agito solo a livelli governativi e ha sostenuto che il suo progetto era finanziato dalla Cee. Recita al riguardo il rapporto del nucleo operativo dei cara- binieri:“Per l'attuazione del suo programma Comerio ha dovuto investire ingenti capitali, repe- riti in parte dal traffico d'armi e in parte da finan- ziamenti pubblici da parte di organi elettivi euro- pei e internazionali.” Nel suo memoriale3 Francesco Fonti ha racconta- to di aver incontrato personalmente Giorgio Comerio e ha rivelato, forse senza rendersene conto, altri particolari che riconducono alla sua rete. Ha dichiarato, ad esempio, che nel 1987 un boss della 'ndrangheta era stato contattato da un dirigente dell'Enea di Rotondella, che aveva necessità di disfarsi di 600 fusti di sostanze presu- mibilmente radioattive: materiale che, secondo il suo racconto, sarebbe stato trasportato in Somalia con la nave Lynx. Quanto al compenso pattuito per l'operazione:“Proveniva dal conto Whisky della Banca della Svizzera italiana di Lugano. Il faccendiere Marino Ganzerla mi diede appuntamento nella stessa Lugano e mi pagò in contanti per conto del dirigente dell'Enea...” Nel memoriale il nome di Marino Ganzerla sareb- be riaffiorato, sempre nel ruolo di ufficiale pagato- re, nel contesto di una successiva analoga opera- zione del 1993. All'epoca si trattava di smaltire, sempre per conto dell'Enea, mille bidoni di sostan- ze radioattive, poi trasportate in Somalia con due pescherecci della Shifco, la società che gestiva la flotta sulla quale stava indagando Ilaria Alpi all'epoca della sua morte. Curioso... nel 1993 Marino Ganzerla era azionista

15 WWW.ILRIBELLE.COM della Odm, per quanto personaggio poco noto che aveva oltretutto agito per contro terzi. In una sua spontanea depo- sizione resa alla Procura di Reggio Calabria il 14 luglio 1995 aveva dichiarato:“Dieci anni fa venni a conoscenza del pro- getto di affondamento di navi cariche di rifiuti.... Ricordo che si diceva che le coste dello Ionio erano preferite non solo per- ché gestite dalla 'ndrangheta, ma anche perché i marinai, una volta arrivati a terra con le scialuppe, affidavano detti mezzi di salvataggio a soggetti del luogo che provvedevano a occultarle....” Con dieci anni di anticipo Ganzerla avvalorava dunque la dichiarazioni di Francesco Fonti. Ci auguriamo comunque che il pentito abbia mentito o si sia sbagliato, perché in caso Dalle indagini di Greenpeace è emersa un’organizzazione internazionale ben collaudata: dotata di basi operative e con una struttura finanziaria che si articola tra la Svizzera e l’Inghilterra. contrario un azionista della Odm avrebbe pagato la 'ndran- gheta per conto dell'Enea, e quindi per conto dello Stato, per commettere atti delittuosi. E in discussione sarebbero even- tuali collusioni istituzionali con la criminalità organizzata. Interessante al riguardo è la dichiarazione rilasciata il 27 luglio 2004, in risposta a un'interpellanza parlamentare, da Carlo Giovanardi, all'epoca ministro per i Rapporti col Parlamento: “Numerosi elementi indicano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio...” Dalle indagini di Greenpeace è emerso che l'ingegnere agiva con la collaborazione di una rete di personaggi collo- cati all'interno di un’organizzazione internazionale ben col- laudata: un’organizzazione dotata di basi operative e di una struttura finanziaria articolata fra la Svizzera e l'Inghilterra. Ma vediamo allora in che mari pesca la rete Odm, seguen- do solo uno dei suoi molteplici filoni investigativi. Dalla documentazione sequestrata dagli inquirenti era emer- so il ruolo di Filippo Dollfus, azionista Odm e amministratore della Fitrade Ltd, società londinese costituita nel 1993. Il suo nome originario era Piergate Investments Ltd, e come tale era stata registrata l'anno precedente dall'avvocato inglese David Mills per conto di Cmm Secretaries ltd4. Oltre a Dollfus, nel consiglio di amministrazione di Fitrade sedevano Tanya Manyard, il braccio destro di David Mills, e Margaret

16 LA VOCE DEL RIBELLE Carrington, consigliera a sua volta della Technological Research and Developmnet Ltd (Trd) con l'avvocato lugane- se Marco Gambazzi, che ne era anche azionista, sia pure con una sola azione5. Incorporata nel 1981 da David Mills presso Cmm6, nel 1988 la Trd aveva spedito a diverse società italiane una lettera con la quale reclamizzava la propria disponibilità a smaltire rifiu- ti in Africa, descrivendo la capacità di deposito delle scorie nell'ordine di milioni di tonnellate7. Marco Gambazzi era stato il gestore del conto Whisky acce- so presso la Banca della Svizzera Italiana (Bsi) di Lugano, conto sul quale nel 1993 era transitata la maxi tangente Enimont. Vale la pena di ricordare che, secondo Francesco Fonti, il suo compenso proveniva proprio dal conto Whisky della Bsi, banca con la quale il finanziere luganese Tito Tettamanti aveva un filo diretto, oltre a detenerne il 10% di capitale8. Ed è la sua Fidinam la finanziaria che nel 1988 aveva spedito a ditte svizzere e tedesche lettere con le quali proponeva l'esportazione di rifiuti industriali in Africa9, lettere del tutto analoghe a quelle spedite dalla Trd: una combina- zione quantomeno curiosa.... Uomo di fiducia del barone Elie de Rotschild, fino al 1995 Gambazzi era stato presidente della Geam Sa, società di Lugano azionista della messinese Cantieri Navali Rodriquez, uno dei cui managers era Gaetano Mobilia, peraltro genero del fondatore Leopoldo Rodriquez. Mobilia era membro del consiglio di amministrazione della Sistemi Ambientali di La Spezia, la società che aveva gestito la discarica di Pitelli, dove si sospetta sia finita parte della diossina prodotta dal- l'incidente della Icmesa di Seveso. La società faceva capo a Orazio Duvia, quel 'Re Mida' dei traffico dei rifiuti che aveva trasformato il 'golfo dei poeti' in 'golfo dei veleni'. Azionista della Sistemi Ambientali era Romano Tronci, già direttore generale fino al luglio 1996 della De Bartolomeis, società di ingegneria impiantistica di Milano10. Ed ecco cosa emerge dalle dichiarazioni rese alla Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti il 22 luglio 1998 da Biagio Insacco, sostituto procuratore antimafia di Palermo: “Abbiamo verificato che una grossa società come la De Bartolomeis ha intrattenuto rapporti, costituendo società, con soggetti riconducibili a Cosa Nostra... In passato la De Bartolomeis ha avuto rapporti con la Termomeccanica...” E, secondo Greenpeace, la Termomeccanica aveva avuto rapporti con Celtica Ambiente, società centrale alla rete Odm. Altra società del Duvia era la Contenitori Trasporti, a sua volta azionista al 50% della Transfermar di Ferdinando Cannavale11, imprenditore iscritto, come peraltro Duvia, alla loggia massonica Mozart: un nome non nuovo agli inquiren-

17 WWW.ILRIBELLE.COM ti. Era già emerso dalle denunce di Nunzio Perrella, il primo camorrista pentito che all'inizio degli anni novanta aveva segnalato ai magistrati le connivenze istituzionali con il clan dei casalesi nella spartizione degli utili derivanti dallo smalti- mento illecito dei rifiuti. Uno scandalo all'epoca archiviato con l'assoluzione in appello degli imputati e quasi vent'anni dopo riesploso nella vicenda giudiziaria di Nicola Cosentino, il sottosegretario all'Economia oggi imputato di presunto concorso esterno in associazione mafiosa, e sempre con il clan dei Casalesi. Ora i magistrati dovranno riesaminare una storia già rico- struita nel 1993 dal nucleo operativo dei carabinieri di Napoli nel contesto di un'inchiesta denominata Adelphi. E tutto que- sto mentre un altro pentito, Giuseppe Fonti, denuncia le col- lusioni di apparati istituzionali con la calabrese 'ndrangheta sempre nel campo dello smaltimento illecito dei rifiuti. È forse questa la storia che deve restare insabbiata nei fondali mari- ni con le navi dei veleni, quale che sia il loro nome?

Germana Leoni

Note: 1 Dalla sentenza del Tribunale di La Spezia. 2 Proprietaria era la May Fair Shipping di Malta, che l'aveva noleggiata alla Fjord Tankers Shipping di Cipro, che a sua volta l'aveva sub-noleggiata. Ma nella sentenza la complici- tà della Fjord Tankers è accertata, anche a causa di un ver- samento effettuato sul suo conto presso la First National Bank of Chicago di Ginevra. 3 Il memoriale è stato pubblicato dal settimanale l'Espresso già nel 2005 4 La Rete – rapporto di Greenpeace – settembre 1997 5 Ibid 6 Ibid 7 Copia della lettera acquisita 8 Il Mondo – 'Banca delle mie brame' – di Massimo Novelli – 8 febbraio 1988 9 La Rete – Rapporto di Greenpeace – settembre 1997 10 Dal resoconto della Commissione Parlamentare sul ciclo dei rifiuti – seduta del 6 ottobre 1999 11 Relazione della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti approvata il 2 luglio 1998.

18 LA VOCE DEL RIBELLE LaLa tuatua “Info”“Info” Dove trovarla?

Il panorama è povero. Desolante. Media di massa non servono allo scopo. Quando non sono proprio dannosi. Eppure, per cercare ciò che serve, bisogna partire dal capire “cosa” serve sapere.

di Valerio Lo Monaco

el numero speciale agosto-settembre abbia- mo parlato di informazione e agenda set- ting, ovvero dello stato dei media del nostro paese e, in un certo senso, anche a livello mondiale. Sopra ogni altra cosa, l'argomento voleva sollevare la riflessione su un tema principe che è alla base diN tutto il concetto di informazione. Ovvero l'utilità di informarsi. Obiettivo centrato, a quanto pare dalla mole di lettere ed email che abbiamo ricevuto in redazione in seguito a quel fortunato numero della rivista. La domanda principale che volevamo sottendere da quei servizi - e che è stata colta e rilanciata dai lettori - è dunque questa: dove informarsi? E ancora: su cosa informarsi? Queste domande hanno il pregio di centrare il punto. Su cosa è che si dovrebbe cercare di essere informati e quali media sce- gliere per trovare l'informazione di cui si ha bisogno. Tutto parte, evidentemente, dal mettere a fuoco quali sono le cose veramente rilevanti da cercare di conoscere. E per capire quali sono le notizie e gli argomenti da cercare si deve mettere a fuoco la rilevanza di ciò che si cerca. Che è del resto quella altri- menti imposta, appunto, dall'agenda setting che ci propinano i media di massa. Bisogna insomma impostare un cosmo di valori, ordinato per importanza, per identificare i temi veramente rilevanti sui quali porre attenzione. E in seguito andare a cercare i mezzi di informa- zione che permettono una conoscenza di tali temi. In parole molto semplici: bisogna sfuggire all'agenda setting imposta dai media di massa e dalle lobbies politiche ed econo- CHIAVE DI LETTURA CHIAVE

19 - WWW.ILRIBELLE.COM miche che le controllano. E bisogna farsene una personale. Andando a cercare i propri media che la soddisfino. Compito arduo. Eppure indispensabile, se si vuole cercare di capire le cose, evitare di farsi rimbecillire e avvicinarsi per quanto è possibile alla compren- sione del mondo. Dunque torniamo a ragionare partendo dall'agen- da setting. Dalla propria agenda setting, stavolta. Il discorso (fortunatamente) è in realtà molto più semplice di quanto si creda. Tanto per iniziare, per capire cosa accade si devono andare a cercare informazioni attinenti ai temi che sono veramente rilevanti. Il che implica un primo taglio netto con tutto quello che sui nostri media tradizionali viene fatto passare per informazione mentre è in realtà, nella migliore delle ipotesi, intrattenimento. Sterile e inutile, quando non proprio dannoso visto che porta via in ogni caso attenzione e tempo. Quindi, se si è interessati a capire la nostra realtà si deve capire la necessità di guardare il tutto a livello globale. Ovvero mondiale. Ridicolo parlare di politica interna sino allo sfinimen- to quando per capire come vanno le cose nel mondo è invece indispensabile andare a capire la geopolitica e la politica estera. Inutile, o quasi, par- lare di economia interna nel momento in cui a dominare la scena economica sono fenomeni che constano di una rilevanza a livello globale, e non locale. Anche, anzi soprattutto, per un motivo molto importante: sapendo e capendo ciò che avviene a livello globale, è molto più semplice capire, e molto spesso anche anticipare, quanto avviene e quanto avverrà a livello locale, cioè nel nostro paese. Allora, il cosmo di valori al quale dobbiamo fare rife- rimento prevede l'ordinamento in base ad alcuni temi principali e ad altri che vi sono correlati. Economia in testa (sic) Capire la politica attuale significa capire cosa suc- cede nel mondo a livello economico e finanziario. La cosa è inaccettabile per chi è convinto che al principio delle cose debba esserci "IL" politico, e quindi semmai, in conseguenza, l'economico. Ma oggi, nel mondo a rovescio che abbiamo, sono i pro- cessi economici e finanziari a determinare quelli politici. Purtroppo. Dunque per capire che direzione prendono gli eventi c'è bisogno di capire quali sono

20 LA VOCE DEL RIBELLE gli ambiti nei quali alcuni grandi gruppi di interesse, e i governi che li rappresentano, agiscono. E perché lo fanno. Ci sono poche cose, in fin dei conti, che c'è bisogno di monitorare, comprendere e analizzare. Sono gli interessi, i luoghi in cui si svolgono e i meccanismi nei quali si svolgono. Il tutto, ribadiamo, a livello glo- bale. Al momento attuale, momento di perdita della sovranità democratica e di perdita della proprietà della moneta, ciò che guida gli interessi e la mag- gior parte dei fatti nel mondo sono i gruppi di pres- sione politica ed economica, a natura sovranazio- nale, che di fatto hanno in mano le leve per poter controllare e dirigere la storia di governi nazionali privati della loro vera funzione di governo degli stati. E ovviamente dei cittadini che di tali stati fanno parte. Può non piacere - anzi deve non piacere - ma è così. Vale dunque la pena seguire cosa accade a livello economico e soprattutto finanziario, come si com- portano gli organismi che possono battere moneta e quali sono gli interessi degli stati più influenti in questi due livelli. Quasi tutto quanto accade nel mondo di rilevante deriva direttamente o indiretta- mente da questo: dall'interesse economico e strate- gico di chi può manovrare i fili. Va da sé che l'informazione di massa - come abbia- mo visto collegata, quando non proprio posseduta, dagli stessi gruppi - si focalizzi nell'enfatizzare o misti- ficare alcuni accadimenti, mentre tenti di distorcere o di eclissarne altri. Ecco, in questo caso, bisogna innanzitutto andare a cercare chi parla di avveni- menti che i più tentano invece di tenere nascosti. In secondo luogo, e soprattutto, di andare a capire perché tali cose accadono. In quale ottica si inseri- scano e, cosa ancora più decisiva, quale sia la chia- ve di lettura di ciò che accade. Il media in grado di spiegare i fatti è, in questo senso, quello da preferi- re. Il grimaldello generale con il quale cercare di entra- re nelle notizie è quello che abbiamo più volte ripe- tuto: chiedersi a chi giova e perché. Molte cose che accadono a livello economico e geostrategico globale possono sembrare distanti da noi, eppure hanno, nel breve, e soprattutto nel medio e nel lungo periodo, effetti molto importanti e prossimi a noi.

21 WWW.ILRIBELLE.COM Aspetti che determinano effetti sociali. Esistenziali. Che sono molto più importanti di quanto possa sembrare a prima riflessione. Su questi aspetti vale la pena porre attenzione. I grandi cambiamenti li vedono tutti. E soprattutto li vedono tutti nel momento in cui sono già accaduti. È nelle piccole cose, nelle tendenze, che si riesce a cogliere quelli che stanno per diventare cambiamen- ti epocali. Dunque è lì che si deve andare a cercare per capire il mondo. Bisogna insomma fiutare ciò che accade, cercare di capire perché e quindi provare a vedere oltre il proprio naso. Da liberalizzazioni ventilate, dunque da concessio- ni a privati di ciò che prima era pubblico, non può che derivarne la perdita di possesso da parte di tutti noi a fronte di uno spostamento in mano a privati. Che vorran- no guadagnare sulla cosa. Pagheremo ciò che prima potevamo avere senza pagare. E chi non potrà permet- terselo resterà senza. Non c'è molto altro da capire, in merito. C'è da opporsi, nel caso, ma ancora prima si deve sapere e fare propria la cosa, altrimenti non si sarà mai suscitati a opporsi. Ed è esattamente ciò che la maggior parte delle persone non fa. Altro esempio: inutile entrare nei particolari di una guerra se non si capiscono i reali motivi per i quali la si sta combattendo. Ancora: inutile pendere dalle lab- bra di dichiarazioni ufficiali di politici ed "economisti" se non si capisce da dove deriva la realtà che si sta vivendo, per esempio la crisi economica attuale. A livello culturale e sociale, inoltre, vale la pena pre- stare attenzione ad alcuni fenomeni sintomatici della società nella quale viviamo. Difficilmente, se non in qualche raro caso, i media di massa si occupano di notizie del genere. Più spesso si dedicano a gossip e spettacolo, o a interminabili dispute sul nulla. Eppure, invece, è proprio nelle tendenze dei fatti sociali e cul- turali di ogni giorno che si annidano i prodromi di ciò che accadrà a breve. Questi fenomeni, e chi li coglie e li racconta, vanno invece considerati, perché offrono un termometro pratico della situazione e della socie- tà. È utile seguire cosa accade in economia cercando di trovare media che spieghino perché realmente sono accadute alcune cose. È utile seguire le politiche este- re degli stati più influenti cercando di leggere tra le righe delle loro dichiarazioni per capire il reale motivo di alcune scelte. È utile inoltre sapere cosa accade

22 LA VOCE DEL RIBELLE nei paesi e negli stati che per un verso o un altro cer- cano di resistere al sistema dominante. Ed è utile anche leggere i fatti più prossimi a noi, se si riesce a seguirli in modo da metterli nella prospettiva globale. Ora, a fronte di quanto ci sarebbe bisogno, fate un esperimento. Seguite un telegiornale serale per una settimana. Uno a caso delle reti nazionali. Basta pren- dere in considerazione i titoli di testa per rendersi conto che all'interno di uno show - che di questo si tratta - il quale dura circa mezz'ora, generalmente passa un reportage su qualche inutile incontro "mon- diale" (per esempio quello recente sulla fame nel mondo), un - di fatto - comunicato stampa di qualche esponente politico del nostro paese, oggi come oggi qualche aggiornamento sull'ultimo scoop della vita privata di qualche politico, un fatto di cronaca più o meno inutile, una notizia sportiva e forse una notizia relativa al mondo dello spettacolo. E dunque? Il vertice Fao è del tutto inutile: cercare di destinare aiuti senza capire, e rimuovere, la causa che tali aiuti rende necessari, è come parlare del sesso degli ange- li. Figuriamoci stare a sentire le barzellette di Berlusconi o le dichiarazioni di Gheddafi con il codaz- zo di amazzoni intorno. Ascoltare le dichiarazioni di governo, opposizione e maggioranza - rigorosamente nell'ordine - sulla svolta del volto nuovo della politica italiana, ovvero Rutelli, senza interessarsi della non democraticità del nostro sistema elettorale è, oltre che inutile, del tutto privo di senso. Così come irrilevante, per la propria comprensione, è vedere un servizio dove una telecamera insegue Noemi Letizia mentre entra a scuola e un giornalista, fuori campo, ci racconta l'evento. Sulla importanza della notizia relativa all'ami- chevole degli Azzurri a L'Aquila, e di quella relativa al prossimo film di Scamarcio è inutile insistere, mentre è interessante mettere a fuoco un aspetto ulteriore, ovvero le notizie di cronaca nera. Beninteso, che si possa provare compassione o sdegno per un anziano di Foggia che eroso dalla gelosia rag- giunge la ex convivente e la fa fuori, e qualche giorno dopo si toglie la vita, è forse lecito. Che si debbano dedi- care anche soli cinque minuti della propria vita (e il 15% del tempo di un telegiornale) a vedere una notiziona del genere è invece desolante. Ma siamo già ai titoli di coda con il lancio del prossi- mo programma della rete, naturalmente preceduto da

23 WWW.ILRIBELLE.COM quattro minuti di pubblicità per indurci a cambiare automobile, a soste- nere rate per comperare un nuovo televisore con il quale continuare a vedere il telegiornale appena visto, a scegliere cioccolata italiana e a sentirci sicuri con i nuovi assorbenti con le barriere protettive. Ora spegniamo il televisore e domandiamoci quanto sappiamo in più di quanto accade nel mondo, relativamente al nostro interesse perso- nale, di quanto sia accresciuta la nostra conoscenza e più in generale diamo un valore al tempo della nostra unica vita che abbiamo appe- na trascorso davanti al Tg. In merito a esempi, è inutile aggiungere altro. Anche nel caso ci riferissi- mo a quotidiani cartacei e non a telegiornali. Riepilogando. Potrebbe sembrare un paradosso, ma la prima cosa da fare è rimuovere il rumore. Dunque tutte le notizie e le fonti di informa- zione che producono rumore inutile. Che ci stordiscono e distolgono tempo, energia e lucidità da ciò che veramente conta. La seconda cosa da fare è porre attenzione ai cambiamenti sovranazionali. Che prima o poi, direttamente o indirettamente, avranno effetti nel nostro quotidiano. La terza cosa da fare è cercare di sapere cosa accade nei paesi, nelle organizzazioni, nei movimenti e nei gruppi che sono, per un verso o per un altro, ostili e resistenti al sistema dominante dell'interes- se. E quindi silenzio. E riflessione secondo le chiavi di lettura che abbiamo indicato. E dunque, con una nuova, diversa, più profonda e soprattutto cosciente consapevolezza, leggere tra le righe, decifrare, smascherare e rifiutare con sdegno e forza la maggior parte delle cose che ci ven- gono dette dai cialtroni che frequentano televisioni e giornali di regime. Dove informarsi, dunque? Non sui grandi media di massa, posseduti dai gruppi di potere econo- mico e politico. Ovviamente. A meno di non sapere leggere molto tra le righe, rigettare ciò che non serve e unire a questo la fruizione di altri media che: primo, raccontino cose che sui media tradizionali non pas- sano; secondo: cerchino di mettere i fatti in una prospettiva differente. È inutile fare una lista pedissequa di giornali, siti, radio e tv (ammesso che ce ne siano) che rispondono a queste caratteristiche. Media di questo tipo, al momento, a nostro avviso non esistono. Semmai esiste qualche isola, qualche oasi. Qualche editorialista o conduttore che qui o là riesce a fare un po' di vera informazione. Bisogna dunque cercare negli interstizi. E prendere un poco da molti. Oppure aspettare che qual- cuno abbia la forza, i mezzi, la volontà e il supporto di creare un mezzo con più estensioni (scritti, audio e video) in grado di riunire il tutto, o buona parte del necessario, allo scopo. In tal caso si potrebbe rispar- miare tempo, energie e lucidità, oltre che preservare la propria sanità mentale, eliminando tutto l'inutile e il dannoso, per informarsi su un mezzo al quale si può concedere fiducia. Ma si dovrebbe essere certi dei principi che lo animano e lo guidano. Oltre che farli propri.

Valerio Lo Monaco

24 LA VOCE DEL RIBELLE Post Scriptum Non è affatto un mistero che Massimo Fini e tutta la redazione de La Voce del Ribelle stiano pensando, da qualche mese, a una serie di atti- vità quotidiane, naturalmente secondo il nostro metro di giudizio, con le quali sopperire alla mancanza di una informazione veramente utile, con alcune trasmissioni e rubriche quotidiane impostate proprio secondo una nuova idea, più "nostra", di agenda setting. Gli interventi che ci piacerebbe poter fare, e che reputiamo decisamen- te utili a tutto quanto abbiamo scritto (anche nei mesi passati) sono soprattutto di tre tipi. Il primo è quello di un quotidiano on-line che cerchi di spiegare, con cadenza giornaliera, alcune cose che accadono, oltre a fornire notizie che altrove difficilmente sono reperibili. Il secondo è quello di una tramissione radiofonica quotidiana, un con- tenitore il quale includa, oltre a interventi in diretta di studiosi e giornali- sti che altrove (naturalmente...) non trovano spazio, anche un filo logico e una messa a punto delle notizie veramente importanti del giorno. Il terzo, probabilmente il più presuntuoso ma affatto irrealizzabile, è quel- lo di realizzare un videogiornale quotidiano, da fruire via internet, con dei servizi e dei commenti finalmente in grado di riuscire a offrire una alternativa valida, e utile, a quella dei grandi media di massa. Sia chiaro, non si tratta di pie illusioni. Ma di cose che realmente sarem- mo in grado di fare sin da ora. Avremmo possibilità sia di carattere umano che tecnico per poter iniziare in pochissimi giorni a fare una delle tre o anche tutte e tre le iniziative. A mancare, per ora, in tal senso, sono i fondi. Nulla a che vedere con i grandiosi fondi a disposizione dei grandi media "offerti" da pubblicità, canoni e contributi pubblici. Ci basterebbe un centesimo di quello che costa una rete regionale e un millesimo di quello che costa una rete nazionale. Siamo convinti che il pubblico interessato a questi tre suppor- ti editoriali esista. Il punto è che, sempre per mancanza di fondi, ci è anche difficile raggiungerlo, questo pubblico, per fargli conoscere la nostra realtà. Questo è il motivo per il quale abbiamo lanciato l'appello ai lettori inte- ressati alla cosa. Con 1500 abbonati a un servizio del genere, che si pos- sano auto-tassare con 10 euro al mese (che di questo si tratta: non di un mero abbonamento, ma di una autotassazione per contribuire alla realizzazione di qualcosa di utile) potremmo fare tutti e tre gli interventi. A vantaggio della propria informazione, comprensione e formazione. Per ora siamo lontani da tale cifra. Siamo a circa un terzo. Ma natural- mente, non perdiamo le speranze. Chiunque fosse interessato a saperne di più si metta in contatto con la redazione oppure invii una email a questo indirizzo: [email protected]. Terremo tutti aggiornati sullo stato avanzamento lavori.

25 WWW.ILRIBELLE.COM LaLa UEUE decide,decide, l’Italia se ne infischia

Paghiamo sanzioni per un motivo semplice: i nostri politici non sanno cosa stanno facendo. Oppure lo sanno benissimo, e fanno finta di nulla, a nostre spese, per mantenere i loro privilegi.

di Davide Stasi

rattando di Unione Europea, si sente talvolta parlare di “procedura d’infrazione”. Ma cos’è precisamente? La procedura d’infrazione è l’arma della Commissione Europea contro quegli stati che assu- mono decisioni o promulgano leggi in contrasto con la normativa comunitaria, o che omettono di adeguare la propria legislazioneT a quella emanata dell’Unione Europea. La Commissione giunge alla procedura d’infrazione dopo un lungo iter, pensato per lasciare sempre allo Stato messo “sotto accusa” il tempo per riallineare la propria legislazione. Se, dopo tutti i passag- gi previsti, lo Stato si ostina a non allinearsi, allora la Commissione può richiedere e ottenere dalla Corte Europea di Giustizia l’apertu- ra di una procedura d’infrazione. L’esito della procedura può sfocia- re in forti sanzioni pecuniarie ai danni dello Stato inadempiente, a cui può aggiungersi anche quel meccanismo che la stessa Commissione definisce di name and shame (“chiama per nome e incolpa”), con il quale sostanzialmente viene messo pubblicamen- te alla berlina lo Stato oggetto di procedure d’infrazione. Uno studio mai pubblicato1, elaborato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Facoltà di Scienze Politiche, Università di Genova, ha raccolto e messo a confronto tutti i dati relativi alle proce- dure d’infrazione subite dagli stati UE dal 1952 ad oggi. E quale sarà il paese con il maggior numero di infrazioni? Ma l’Italia, ça va sans dire. Dai primi anni ’50 all’anno scorso il nostro paese ha totalizzato ben 599 procedure d’infrazione, una media di dieci all’anno, posizionan- dosi al primo posto dopo, ben distanziati, Francia (381), Grecia (353) e Belgio (340). I paesi più virtuosi (esclusi quelli di nuovo ingresso, per ovvi motivi) sono la Danimarca, la Finlandia e la Svezia. ANALISI

26 - WWW.ILRIBELLE.COM Le rilevazioni sulle procedure d’infrazione si può dire che misu- rino l’euro-entusiasmo dei governanti, e in quanto tali è signifi- cativo constatare quanto siano in contrasto con i dati rilevati dall’Eurobarometro, l’indice che misura l’eurofilia dei governati verso le istituzioni europee. Secondo quest’ultimo, infatti, l’Italia è sempre ai primi posti e i paesi nordici nelle posizioni più criti- che. Nei paesi nordici, dunque, i cittadini vedono con fastidio l’ingerenza dell’Europa in tematiche di rilevanza nazionale, mentre i loro governanti sono coscienti dei benefici reali che l’integrazione europea può portare sul lungo periodo. In Italia va all’inverso: l’entusiasmo è tutto nei cittadini, e il fastidio nei governanti, consci che integrazione europea significa anzitutto meno potere. La dimostrazione è a portata di mano. Il 25 settembre scorso, il Presidente Giorgio Napolitano ha dichiarato: “Il Parlamento europeo non può essere cassa di risonanza di polemiche e conflitti che si svolgono nei singoli Paesi e nei Parlamenti nazio- nali. L’Assemblea di Strasburgo non può nemmeno diventare un’istanza d’appello rispetto a quanto deciso nei Parlamenti o negli esecutivi nazionali”. La prima parte è evidentemente un richiamo a lavare in casa i panni sporchi, e ci sarebbe molto da dire in merito, ma quello che interessa qui è il meccanismo sotteso alla seconda parte del suo monito,laddove chiede agli eurodeputati di non cercare gradi ulteriori di sovranità rispetto ai luoghi istituzionali nazionali della decisione, che il Presidente individua “nei parlamenti e negli esecutivi” di ogni Stato. Napolitano ha 84 anni, tre quarti dei quali vissuti in una corni- ce politica caratterizzata dallo scontro frontale tra blocchi ideologici, e dalla prevalenza dell’elemento nazionale su qual- siasi altro livello. Una cornice, insomma, che nulla ha a che fare con quella attuale. Oggi è palese per chiunque che il processo di integra- zione priva sempre più le cancellerie e i parlamenti nazionali di sovranità e attribuzioni, devoluti a istituzioni e soggetti sovra- nazionali. Nel corso del tempo, quasi tutte le politiche sono state devolute all’UE: l’agricoltura, l’energia, gli aspetti e 0cono- mici e monetari, quelli igienico-sanitari, i trasporti, l’ambiente, in parte il fisco, è tutto governato a livello europeo. Restano di competenza interna ancora l’ordine pubblico, in parte l’istru- zione,la difesa e la politica estera (queste ultime soggette però a forti spinte di moral suasion comunitaria). Stanti così le cose, cosa resta del sistema istituzionale naziona- le tradizionalmente inteso? Nulla, o quasi nulla. E questo è un fatto ormai assodato che tutti i paesi aderenti all’Unione Europea hanno finito per accettare, anche se talvolta con qualche resistenza, superata però dagli evidenti benefici del sistema europeo integrato. Alla fine è entrato nel concetto comune che le istituzioni nazionali servono essenzialmente a

27 WWW.ILRIBELLE.COM dare esecuzione a leggi elaborate e approvate altrove, in un consesso sovranazionale governato dalla trattativa e dalla ricer- ca di un equilibrio tra interessi territoriali spesso concorrenti. In questo senso, i diversi stati finiscono per essere semplicemente dei “super-municipi”. I vari presidenti, primi ministri, premier e pre- sidenti del consiglio altro non sono che dei super-sindaci, e i loro parlamenti dei super-consigli municipali, con margini di reale decisione autonoma molto prossimi allo zero. C’è però chi fa finta di nulla, e continua a governare e legiferare come se così non fosse. Anche in questo caso, ahimè, si tratta sempre dell’Italia, sopra gli altri paesi europei. Che sia governa- ta da destra o da sinistra, poco cambia: nel nostro paese i lea- der recitano e agiscono come se si trovassero a gestire uno Stato dotato di piena sovranità nazionale, ossia riconoscendo a se stessi cerimoniali, emolumenti, autorevolezza e autorità che non hanno più da tempo, non solo per la scarsa credibilità per- sonale, ma perché quella stessa sovranità è stata quasi total- mente spostata altrove, appunto alle istituzioni comunitarie. Chiaro che è faticoso lasciare il potere, e peggio ancora perde- re la dimestichezza con esso e la legittimità a usarlo. Dunque, meglio far finta di niente, come se le istituzioni europee non esi- stessero e non fossero ormai del tutto sovraordinate a quelle nazionali. Gli esiti concreti di questa finzione sono due: da un lato le classi dirigenti falsificano la realtà a proprio vantaggio, continuando a mantenere i privilegi e il potere di un tempo e lasciandosi rappresentare come i veri deus ex machina della vita del paese. Dall’altro, coerentemente con l’approccio appena descritto, si perseguono politiche puramente nazionali, ossia non integrate nel sistema europeo. E proprio sotto questo aspetto, con il confronto tra numero e gra- vità di procedure d’infrazione ricevute dall’Italia e quelle ricevu- te dagli altri paesi UE è possibile misurare quanto (troppo) le classi politiche dirigenti siano arpionate alle proprie liturgie, al potere concepito in modo tradizionale, da cui una corretta con- cezione e azione dell’integrazione europea le sradicherebbe in modo definitivo. Fingere che l’Europa e i suoi vincoli non esistano, forzare ad avere a riferimento le sole istituzioni nazionali, rappresentandole ai cit- tadini come unico degno punto di riferimento, serve alle classi dirigenti incancrenite del nostro paese essenzialmente per man- tenere privilegi e posizioni acquisiti per sé e per le proprie cliente- le. Il “lusso”di questa finzione ha un costo aggiuntivo oltre a quel- lo già alto dell’inamovibile casta italiana: quello delle sanzioni. Un esempio calzante con la realtà odierna: dal primo gennaio 2006, con effetto retroattivo, l’Italia deve pagare all’UE una multa di 350 mila euro al giorno (circa 130 milioni di euro all’anno) per l’occupazione abusiva da parte dell’emittente Rete4 di frequen-

28 LA VOCE DEL RIBELLE ze assegnate per bando a un’altra emittente televisiva (Europa 7). Secondo la Corte Europea di Giustizia, l’assegnazione delle frequenze in Italia non rispetta la libera prestazione dei servizi e non ha criteri di selezione obiettivi, e per questo è stata sanziona- ta. Quei 350 mila euro giornalieri presi dai contribuenti è il prezzo da pagare per consentire ai nostri leader di continuare a far finta che le norme e le istituzioni europee non contino nulla, e che sia la sovranità nazionale a prevalere. E in questo entra tanto in gioco anche la cultura giuridica italia- na e la sua rigidità (che spesso diviene ottusità). È ancora diffu- sissima negli atenei e nei circoli italiani la convinzione che la fonte primaria del diritto sia la Costituzione, considerata la “legge suprema”. Pochi sanno o ammettono che i “semplici” Regolamenti UE sono vincolanti per gli stati anche al di sopra della Costituzione, sono cioè fonti sovraordinate di diritto. Ma è anche un fatto di cultura politica e istituzionale. Come sug- gerisce il paper dell’Università di Genova, i dati sulle infrazioni comminate all’Italia andrebbero letti a confronto con i dati sulle presenze dei parlamentari europei italiani: essendo meno presen- ti degli altri, è difficile che gli interessi nazionali possano affermar- si e che si possano indirizzare le scelte e le decisioni dell’Unione Europea verso politiche più vicine agli interessi e alle esigenze del paese. Per come stanno le cose, quindi, il nostro destino è di subi- re leggi fatte da altri stati a favore dei propri interessi, per di più subendo le infrazioni e pagando le sanzioni. A riprova, vi è un ulteriore segnale: il livello delle candidature che l’Italia esprime per le periodiche elezioni del Parlamento di Strasburgo. All’ultima tornata, tra riciclati, trombati, pregiudicati, rifiuti tossici della prima repubblica, magnaccia, veline e mignot- te, tutto il peggio (con qualche rara eccezione) è stato candida- to a rappresentarci là dove si assumono, piaccia o no, tutte le vere decisioni che contano, quelle vincolanti. Vincolanti anche per una classe dirigente disposta a far pagare sanzioni salatissime ai cittadini pur di non adeguarsi e di non per- dere quella fetta di potere e di enormi privilegi da cui dipende in modo ormai patologico. E così l’Europa ci punisce, e guarda con compassione i nostri politici, piccoli sindaci di provincia rispetto alle istituzioni europee, che giocano a fare i “leader nazionali”, e raccontano se stessi, cappello di Napoleone in testa e mano sotto il bavero, come grandi statisti, magari “i migliori da 150 anni”. Davide Stasi Note: 1) paper sulle infrazioni italiane alla normativa comunitaria (1952-2008), nel gruppo di lavoro “L’Italia in Europa?”: diretta dal Prof. Massimo Bonanni, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Genova.

29 WWW.ILRIBELLE.COM OLESKINE Mdicembre 2009 Cosa aspettarsi?

Tre parole chiave. Più un altro aspetto Altro che crisi finita... da considerare. Inflazione. Forte pressione fiscale. Nella medesima pagina dell'edizione on-line de Cessazione dei pagamenti. La Repubblica del 3 novembre, campeggiano due notizie Fenomeni da non aspettarsi tutti e tre che è necessario mettere in relazione (naturalmente insieme. Ma uno dei tre, di sicuro, i affogate tra le notizie sui compensi ai trans, la vacanza governi più indebitati dovranno a tre stelle nell'Hotel Galactic e quella sul maltempo metterlo in pratica. E i cittadini al Sud). La prima si riferisce alla stima della dovranno subirlo. Unione Europea in merito allo stato della crisi e al Quando? Tra non molto. Nel 2010, per probabile andamento del Pil italiano per i prossimi anni. la precisione. La seconda a un presunto rilancio della Borsa Il discorso è semplice: è stata stampata e a un nuovo pericolo "bolla" per Wall Street. troppa moneta priva di valore, ovvero carta straccia, a fronte di indebitamento pubblico. Dal che se ne deduce che tale moneta deve - deve - essere drenata. Con aumento dell'inflazione e con aumento delle tasse. Oppure ci sarà default degli stati. A suffragio di ciò - infatti... - l'altro fenomeno che va "letto" è il seguente: l'oro arriva alle stelle. Quando è che si compra oro? Quando non ci si fida più della moneta corrente. Ovvero quando c'è il sospetto che la moneta corrente non valga più molto. Per esempio quando la si "stampa" senza ritegno e copertura... Quando le Banche Centrali stampano Andiamo con ordine. Rapidamente. Dunque, il moneta a rotta di collo, molto commissario agli Affari Economici e Monetari a Bruxelles, semplicemente, quel denaro perde ovvero Almunia, dichiara che la Ue sta "uscendo dalla valore. Come stanno facendo recessione", anzi, prosegue "è partita la ripresa".Le soprattutto con i dollari. Se a questo previsioni per l'Italia sono al rialzo, e in particolare, sempre aggiungiamo che il dollaro è (per ora) secondo previsioni, nel 2009 il nostro paese si attesterà su - la valuta di riserva internazionale, che il 4.7% ma già nel 2010 si prevede un +0,7% e addirittura nel petrolio, bene sul quale si basa 2011 un +1,4%. Ultima considerazione, sempre per mezzo praticamente tutto il mondo è (per ora) di Almunia, il fatto che a gravare sul nostro paese è il forte venduto in dollari, che il rallentamento indebitamento pubblico: se nel 2008 era del 105,8%, nel della economia americana spinge 2009 saliremo al 114.7% e addirittura al 117.8% nel 2011. (per ora) verso la deflazione, ecco Con un debito di questo tipo, conclude, "l'Italia non può spiegato perché - per ora - non è finanziare investimenti in formazione e in infrastrutture". scoppiata l'iperinflazione. Per ora, appunto. Ma gli altri stati stanno correndo ai ripari. E stanno comprando oro. Appunto. MOLESKINE

Resta, sopra a tutto, l'incognita (incognita?) il credito, il petrolio, adesso tutto si basa disoccupazione, che in Europa nel 2010 dovrebbe sulla ultima bolla possibile. essere del 10.7% e nel 2011 del 10.9%. Ovvero, sull'"Ultima Bolla" della quale parlammo Dall'altro lato, e siamo alla seconda notizia, mesi addietro proprio su La Voce del Ribelle: i banchieri di Wall Street hanno iniziato nuovamente quella del debito pubblico, del denaro a spartirsi maxi bonus (naturalmente con il denaro immesso in circolazione. pubblico, ovvero dei cittadini, elargito loro dai Attenzione: capire cosa sta succedendo, governi, N.d.R.). Per dirne una: Goldman Sachs se ci tappiamo le orecchie e ragioniamo a fine anno farà un piccolo regalo ai propri solo un minuto, è di una semplicità disarmante. circa 30 mila dipendenti, qualcosa meno, Cosa è che sta gonfiando i mercati oltre misura? in media, di 800 mila dollari a testa. L'enorme massa di liquidità pompata nelle banche. Ufficialmente i mercati - tutti: borse, petrolio, oro, Ovvero, carta stampata (come Totò e Peppino de materie prime, valute - stanno andando molto forte. Filippo nel celebre La Banda degli Onesti) e Allo stesso tempo, però, l'economia reale è in immessa nelle casse senza alcuna copertura correlata. In sostanza: fogli di carta igienica con sopra scritto 100 Dollari, o 100 Euro, stampati dalle Banche Centrali e immessi nelle casse di Banche e Finanziarie. In più c'è la (ovvia, visti i prodromi) discesa del valore del Dollaro (cosa può valere una moneta stampata senza alcun controvalore?). Fenomeno che si incrocia pericolosamente con la politica "tipografica" della Fed, la Banca Centrale americana. Oggi le banche si indebitano (in Dollari) a tasso zero per investire nei mercati internazionali, e grazie alla svalutazione contemporanea della moneta americana, godono di tassi negativi del 10-20 per cento (visto che poi dovranno restituire Dollari che varranno sempre meno). Ma c'è un grosso "ma". Prima o poi, la Fed dovrà stringere i cordoni di liquidità (e dunque alzare i tassi di interesse per "rientrare" della moneta in circolazione) e allo stesso tempo il Dollaro non potrà difficoltà: la disoccupazione cresce, le famiglie scendere all'infinito (a meno di una molto probabile tirano la cinghia, le imprese tagliano o chiudono. caduta totale, e dunque eliminazione complessiva I conti, come si vede, non tornano. del problema, ma questo è un altro discorso). A meno che - ed ecco il punto - non si incrociano A questo punto, le Banche dovranno liquidare altri due dati. Primo: le famose regole invocate per rapidamente i propri investimenti fatti. regolamentare i mercati del dopo crac non sono E sarà uno scoppio tanto forte che, arrivate (mentre i denari pubblici per salvare le in confronto, quello che abbiamo avuto banche invece sì). Secondo: la "finanza" creativa nel corso dell'ultimo anno sarà solo ricordato come ha di nuovo preso vigore. un petardo. Il motivo è evidente: a scoppiare Con una creatività ulteriore, seduta sulla nuova arà l'ultima e la più grande bolla possibile, bolla. Eccola: mentre prima la finanza creava e ovvero quella sulla moneta. scommetteva su bolle accessorie, come i subprime, Ora torniamo su qualche riga e rileggiamo quanto i derivati, la casa, ha dichiarato Almunia.... 31 - WWW.ILRIBELLE.COM Obama: Occidente vs Europa il bluff annunciato "Europa Occidente Americhe", raccolta di I media cosa dicono? saggi di Massimo Finzi, edita da Settimo Che tutto è normale.Anzi dovuto. Sigillo per la collana Anamerica, è un agile Anzi, a leggere bene, che tutto va bene. Ci riferiamo a due aspetti, strettamente testo che ricorda alcuni fatti fondamentali, collegati tra loro, sebbene a prima vista ma sistematicamente dimenticati o possa non apparire, accaduti nel mese occultati sui concetti di Europa e Occidente appena passato. Il primo riguarda il che oggi, invece, si vogliono far coincidere. "clamoroso", secondo i media, accordo sul clima raggiunto dall'incontro tra Finzi ci ricorda che non sempre è stato così, Obama e Hu Jintao. Il secondo la volontà che, anzi, il concetto di Occidente nasce nel di inviare altri 40 mila uomini in Nord America anglofono proprio in Afghanistan da parte dell'amministrazione opposizione a quello di Europa nell'ambito statunitense. L'attore è lo stesso, ovvero Obama e tutto l'alone di rivoluzione che dell'integralismo religioso puritano, che si porta dietro da quando è stato eletto. vedeva nelle nuove terre vergini una sorta di E il minimo comune denominatore risiede nuova Gerusalemme da opporre ai mali nel fatto che - come avevamo scritto della vecchio continente. Eppure adesso i e come i più attenti e riflessivi avevano colto da tempo - nella realtà delle cose, termini vengono considerati equivalenti e il non cambia nulla. Ma proprio nulla. Finzi, dotato di una capacità di sintesi rara Vediamo. Innanzitutto, il clamoroso fra i nostri saggisti, con pochi essenziali tratti incontro e accordo Usa-Cina sul clima non svela ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma è clamoroso per nulla. Il risultato è, invece, di una delusione assoluta. non si vuol vedere: cioè l'avvenuta L'accordo prevede, infatti, che in merito colonizzazione culturale, oltre che politica, a piani sulla riduzione dell'emissione del nostro continente e dei modi di pensare di sostanze nocive, non cambi nulla. tradizionali. Così non fosse, sarebbe difficile Ma che ci si aggiorni al prossimo anno. Clamoroso, non c'è che dire. inquadrare, come oggi avviene, il Giappone In merito all'Afghanistan, invece, stesso all'interno dei paesi Occidentali. la clamorosa (bis) svolta di Obama, Occidente è espressione del puritanesimo di clamoroso non ha nulla: si prosegue Statunitense profondamente sulla stessa strada e anzi si corre di più: migliaia di nuovi soldati antitradizionale che porta valori, o disvalori, andranno a infoltire l'esercito nuovi e contrapposti a quelli europei, che ha invaso quel paese. contrariamente a quanto sostiene la Il motivo, come sempre, è economico. propaganda del pensiero unico dominante. Cambiamenti sul clima non si possono fare perché altrimenti le imprese, Il testo, nelle sue agili esaurienti pagine, già barcollanti, non potrebbero reggere. riesce anche ad andare oltre e offre Cambiamenti militari neppure, per lo un'analisi di base dei tre diversi tipi di stesso motivo più un bonus. Il motivo colonialismo che hanno colpito i nativi è che se si blocca la macchina da guerra Usa le tante aziende che vi prosperano americani, i quali hanno dovuto cedere le lascerebbero a casa milioni loro terre alle orde di migranti. La visione di disoccupati (per non parlare non è certo positiva né verso quella del Pil correlato). Oltre al fatto che, anglosassone, che ha portato alla in Afghanistan, la partita per controllare quella zona strategica, per le risorse e per scomparsa dei nativi nel Nord America, né la droga, non può essere abbandonata. verso quella spagnola, che ha distrutto le

MOLESKINE Costi quel che costi. Con buona pace civiltà precolombiane, però evidenzia una di quanti hanno creduto e continuano fondamentale differenza: gli spagnoli, come a credere alla svolta del presidente più cool della storia d'America. i puritani, si sentivano in diritto di colonizzare, ma al contrario di questi, consideravano i sovrani degli stati del nuovo mondo come legittimi, e vennero messe in atto legislazioni a tutela dei nativi, per buona parte disattese, ma il principio, almeno, fu fissato. Molto interessante, e basterebbe questo a giustificare la lettura del testo, è l'analisi del troppo spesso dimenticato colonialismo francese, forse l'unico che avrebbe potuto essere sostenibile e non devastante per i nativi. Per il francese signore delle nuove terre non c'era differenza fra il suo suddito “indiano” o “francese”, erano per lui uguali e meritavano lo stesso rispetto. Sudditi certo, ma degli sconvolgimenti politici che avrebbero toccato la Francia alla fine del XVIII secolo ne avrebbero beneficiato in alla multinazionale svizzera Novartis. L’esatta ugual misura. Forse le tribù che aiutarono la cifra sborsata dallo Stato è avvolta nella Francia nella Guerra dei Sette Anni lo nebbia, tanto che neppure la Corte dei Conti avevano già capito. Fu invano, ma almeno si è riuscita a venirne a conoscenza.Tuttavia, opposero all'Occidente preferendogli la Corte ha dovuto dare via libera alla l'Europa. Loro. decisione del governo sull’onda dell’«eccezionalità» e dell’«urgenza» del problema. Le indiscrezioni circolate sulla Vaccino? No,grazie stampa parlano di 200 milioni di euro. La Corte però scrive che, dato che il contratto Primo dato. Fino ad oggi, venerdì 6 novembre, con la Novartis è stato stipulato prima ancora le morti legate al virus A/H1N1 sono state in che il vaccino esistesse e fosse autorizzato Italia ventisei. 26 su quattrocentomila dall’Ue, esso include «la possibilità di casi stimati, dice la fonte ufficiale ossia il mancato rispetto delle date di consegna Dipartimento alla Salute per bocca del prodotto senza l’applicazione di alcuna del viceministro Ferruccio Fazio. penalità» e sarebbe «carente del parere Lo scorso anno, dice sempre Fazio, di un organo tecnico in grado di attestare la normale febbre stagionale ha fatto la congruità dei prezzi». Un pandemia non più 4 mila morti su 8 milioni di malati. grave della normalissima influenza che ogni Secondo dato. Secondo un’indagine anno fa stare a casa qualche milione periodica del Monitor Biomedico del Censis di italiani, e che miete vittime fra chi è già fatta prima della psicosi scoppiata negli affetto da gravi patologie. Una campagna ultimi giorni, il 61,4% degli italiani non aveva di terrore che sta seminando il panico fra la paura dell’influenza A. Più del 37% di chi non gente, che fino ad ora, giustamente, nutriva ha paura dell’influenza A riteneva che, in una sana e scettica tranquillità. realtà, i rischi siano gonfiati dai media, mentre E un colosso dei farmaci che sta facendo oltre il 24% era convinto che le nostre tutele montagne di soldi nella più sfacciata sanitarie siano adeguate. irresponsabilità, complice un governo Terzo dato, questo purtroppo più nebuloso. pronto a regalarglieli.Altro che vaccinarsi: Il Dipartimento della Salute ha commissionato se me la becco, questa benedetta febbre 24 milioni di dosi di vaccino Focetria suina, sarò felice di rigirarmi nel letto (uno dei tre approvati dall’Unione Europea) come un maiale nel suo fango. Ecco la Biblioteca Ribelle

Niente di strano dal punto di vista logistico: sul nostro sito web è da ora possibile acquistare dei libri. I metodi di pagamento sono i soliti, via carta di credito o sistema paypal, in modo sicuro, naturalmente. Oppure inviandoci una email con i titoli scelti e dunque operare via conto corrente postale, bonifico supermercato del libro, ma con un o bollettino. Sin qui, come detto, nulla operatore che oltre a vendere fa cultura di strano rispetto a tanti altri sistemi in senso lato, molti, moltissimi dei libri di vendita on-line di libri. che proponiamo e che proporremo sono Non fosse che per due ulteriori motivi, difficilmente trovabili nei megastore uno più importante dell'altro. diffusi nel nostro paese. O altri lo sono, Il primo è che praticheremo uno sconto nel senso che si possono anche trovare del 10 per cento su ogni titolo e in questi supermarket della cultura addirittura del 15 per cento per gli (si fa per dire) ma molto spesso si devono abbonati all'edizione web del mensile. ordinare, richiedere... Oltre a ulteriori offerte speciali di volta Insomma, la Biblioteca Ribelle è invece in volta: ad esempio, ce ne è una, di tale in tutto e per tutto. lancio, per tutti e sei i volumi della I libri sono divisi per autore, per categoria fondamentale collana Anamerica di interesse e per parole chiave. (della quale, sul sito, pubblichiamo una Basta sceglierli, metterli "nel carrello" recensione dettagliata) a un prezzo e passare alla fase di pagamento. Poi vi veramente imbattibile. L'altra è il fatto verranno spediti comodamente a casa che acquistando libri sul nostro sito - così (senza spese di spedizione per ordini come acquistando abbonamenti - complessivi oltre i 70 euro, altrimenti aiuterete la nostra rivista a vivere. con soli 4 euro di spese per la spedizione). Il che è in primo luogo un atto morale Attualmente abbiamo inserito sul sito ed etico ancora prima già diversi titoli. Ma l'aggiornamento che prettamente economico. è continuo. Eppure la cosa più importante è un'altra. Ultima cosa: a breve illustreremo alcuni È il fatto che all'interno di Biblioteca "percorsi di studio", spiegando perché Ribelle non venderemo libri a caso. E non e come e quali titoli acquistare venderemo tutti i libri. Non sarà dunque (se già non li si possiede) per completare, una mera libreria on-line. Ma metteremo argomento per argomento, i titoli più in vendita solo ed esclusivamente i libri interessanti e che reputiamo che, per un verso o per un altro - e indispensabili da avere e consultare. spiegheremo ogni volta il perché, titolo Insomma, oltre che una libreria on-line, per titolo - reputiamo indispensabile contiamo di offrire anche una sorta di avere nella propria biblioteca personale servizio di suggerimento, già dalla scelta per una crescita culturale e una dei titoli che mettiamo in catalogo, formazione indispensabile a chi voglia per rendere la lettura ancora più utile capire il mondo e l'attualità. e gratificante. E, ribadiamo, per aiutare E attenzione, c'è un ulteriore particolare: la nostra iniziativa a vivere. siccome il servizio che iniziamo a offrire è in collaborazione con una libreria di L'indirizzo al quale andare, sul nostro sito, è quelle vere, dunque non con un www.ilribelle.com/biblioteca M OLESKINE

Avvertenze pubblicitarie

Il fumo nuoce alla salute, siamo tutti d'accordo è scritto anche sui pacchetti, nonostante nessuno lo ignori, giusto così. Meno pacifico è che un'alimentazione sbagliata, specie quella legata ai prodotti maggiormente pubblicizzati in televisione, può fare altrettanto male ed avere un costo sociale probabilmente superiore. Di questo, però, nessuna avvertenza sulle confezioni o nelle pubblicità. Nessuna in Italia. In Francia, invece, un “warning” è presente sullo schermo durante ogni pubblicità. Naturalmente non dirà che “il cibo uccide”, a certi assurdi ancora non siamo arrivati, ma si limiterà a far notare, per esempio, che “per la propria salute occor- re praticare un regolare esercizio fisico”, che, presente durante tutto lo spot, magari farà riflettere sul fatto che la “magica barretta ai cereali” probabilmente non basta a far diventare strafiche come la modella, specie se mangiate in eccesso. Così come la Marlboro non bastava a far diventare fichi come il Cow Boy della pubblicità, ora vietata come tutte le pubblicità del tabacco. Ora, vietare le pubblicità alimentari sarebbe eccessivo, anche se per tante merendine, specie se fanno leva sui sensi di colpa delle madri lavoratrici, verrebbe quasi voglia di chiederlo. Far, però, notare, durante ogni spot, che “per la salute” è meglio evitare “di mangiare fra i pasti” o “mangiare troppo grasso, zuccherato o salato”, sarebbe opportuno: magari la mamma messa in colpa perché il suo bimbo non è felice perché lei lavora, come reazione potrebbe avere non già di renderlo felice con una insensata merendina, ma di sentirsi madre migliore se non lo lascia ingozzare di robaccia. Certo una piccola striscia sotto uno spot ideato da creativi, geni della persuasione, è piccola cosa, ma è, comunque, qualcosa, che spinge almeno ad un attimo di riflessione. Un attimo che può forse, in qualche caso, salvare un bimbo dall'obesità e un adulto dal sostituire un po' di sano movimento con abbuffate di cibi sedicenti ipocalorici che, in eccesso, fanno ingrassare come ogni altro cibo che, magari, è più sano perché meno “innovativo”. In Italia questo momento di riflessione non viene indotto nella vittima del messaggio pubblicitario e, duole dirlo, la Francia si dimostra ancora una volta - su punti come questo - almeno un passo avanti a noi. Non resta quindi che consigliare il sito web francese che viene proposto al termine di ogni spot: www.mangerbouger.fr

IslamIslam e Occidente

Stavolta loro giudicano noi. Attraverso un libro del prof. Franco Rizzi, Segretario Generale di Unimed - Unione delle Università del Mediterraneo. A metà tra saggio e racconto. Per sfatare luoghi comuni.

di Lorenzo Castelli

l libro - “L’Islam giudica l’Occidente”, Argo editrice - non può essere definito né di narrativa né un saggio vero e proprio. Come lo definirebbe?

Ho scartato l'ipotesi di fare un libro secondo criteri accademici consolidatiI perché credo che sia praticamente impossibile, o quanto meno molto difficile, poter sintetizzare il rapporto tra Islam e Occidente. La letteratura in proposito è molto vasta e nello scri- vere questo libro ho evidentemente fatto ricorso a tale letteratura in maniera consistente. Mi occorreva un angolo di attacco per scrivere un libro che fosse fondato scientificamente e che fosse allo stesso tempo coinvolgente per il lettore. Ho fatto quindi ricorso ad uno schema letterario già collaudato che è quello del dialogo tra diversi protagonisti. In questo caso i personaggi sono dei mus- sulmani colti e chi conduce il dialogo è un europeo che ha avuto incarico di redigere un rapporto su Islam e Occidente a cinquan- t'anni dal famoso convegno, organizzato dalla Fondazione Cini e da prestigiosi intellettuali italiani come Carnelutti, Piovene, Saraceno, Bausani e altri, che decisero di invitare altrettanti intel- lettuali mussulmani sul tema: "Processo dell'Islam alla società occidentale". INTERVISTA

37 - WWW.ILRIBELLE.COM Nel sottotitolo del suo libro si può leggere: "con- versazioni su alcuni luoghi comuni". Mi può preci- sare meglio il significato di questo sottotitolo? È importante sottolineare che questo mio libro non mette a confronto i principi fondamentali dell'Occidente e dell'Islam, ma si sofferma soprattut- to su quello che l'Occidente dice dell'Islam. I media, le televisioni, le conversazioni comuni. Per me era un'occasione per esprimere il disagio che provavo nei confronti di tante generalizzazioni che vengono diffuse a proposito di quello che è l'Islam, col perico- lo quindi di immaginare che l'Islam, di cui si parla, sia quello a cui si assiste nei talk show televisivi o nella polemica dei giornali a proposito di alcuni aspetti a mio avviso secondari. Io credo che tale modo di affrontare la questione non dipenda soltanto da una sciatteria intellettuale. Quella certo esiste. Ma la cosa più grave è che in tal modo si vuole a tutti i costi costruire un nemico senza avere la capa- cità di capire anche le ragioni del suo discorso. Le voglio fare un'esempio: in questi giorni si sta discu- tendo in Italia della possibilità di introdurre nella nostra legislazione il cosiddetto processo breve. Non voglio soffermarmi sulle implicazioni di carattere tec- nico-giuridico di questa proposta ma solo sottoli- neare che gli esclusi dalla possibilità di usufruire di tale processo breve sono, tra gli altri e giustamente i mafiosi, ma anche gli immigrati clandestini che sono trattati a livello della pericolosità di coloro che commettono gravissimi reati. Tutti sappiamo che molti immigrati clandestini pro- vengono da paesi mussulmani. Se passasse questa proposta è evidente che nell'immaginario collettivo gli immigrati clandestini sarebbero considerati dei delinquenti pericolosi alla stregua dei mafiosi. Quindi sento la necessità di sottolineare che biso- gna fare grande attenzione a non veicolare danno- si pregiudizi nei confronti di una comunità come quella dei mussulmani con cui dobbiamo avere a che fare.

In realtà è una colpa dell'Occidente non riuscire a capire bene l'Islam o forse l'incomprensione deri- va dal modo in cui ci viene descritto dai media? Anzitutto va sottolineato il fatto che, ma questa è una banalità, non esiste un solo Islam e che quindi bisogna avere l'accortezza di identificare l'Islam a

38 LA VOCE DEL RIBELLE cui ci si riferisce. In secondo luogo va detto che l'Islam che è presentato al grande pubblico molto spesso appare una caricatura della grandezza di questa civiltà. Certo, sarebbe ingiusto dare la colpa solo ai comunicatori dell'occidente, molto spesso sono gli stessi mussulmani che accreditano un'im- magine distorta dell'Islam. Prendete il caso degli attentatori suicidi o di altre manifestazioni che sono contrarie e diverse dal nostro modo di pensare, ma nonostante tutto ciò il nostro sforzo di dialogo deve andare al di là degli stereotipi. Nel libro sottolineo più volte come molti mussulmani non sono d'accor- do su questo modo di intendere la loro religione da parte degli integralisti islamici. Anche su questo punto specifico bisogna recupera- re la memoria storica e rendersi conto che atteggia- menti come questi, che vanno severamente com- battuti, si sono presentati più volte nel corso dei secoli. Insomma bisogna acquistare un'atteggia- mento di normalità nei rapporti con i mussulmani avendo la capacità di analizzare ciò che è sbaglia- to e ciò che invece può diventare oggetto di un dia- logo.

Ma allora qual'è la portata oggi dello scontro di civiltà a cui fa riferimento il libro di Huntington? Possiamo effettivamente parlare di uno scontro di civiltà in atto? Anzitutto desidero chiarire un'aspetto terminologico. A mio parere non sono le civiltà che si scontrano ma gli uomini. La formula di Huntington, per quanto affa- scinante ad una prima lettura, è priva di un fonda- mento scientifico. Ma è una formula che ha avuto successo, a cui molti commentatori hanno fatto riferimento senza, probabilmente, aver nemmeno letto il libro. Sembra una buona scorciatoia poter inserire nella formula "scontro delle civiltà" i problemi che Occidente e Islam devono tutt'oggi risolvere. Inoltre sono convinto che è in atto nella nostra poli- tica culturale il tentativo di screditare in tutti i modi la portata di tale civiltà.

Che significa "nella nostra politica culturale"? Potrei fare molti esempi, Huntington è uno di questi, ma potrei parlare anche di Bernard Lewis o di altri, che formulando ipotesi scientifiche su tale argo- mento determinano, a livello dell'opinione pubblica,

39 WWW.ILRIBELLE.COM delle generalizzazioni molto pericolose sul ruolo che l'Islam ha avuto nella costruzione della nostra civiltà. Vorrei fare un esempio concreto e cioè voglio riferirmi al lavoro di uno sto- rico medioevista francese, Sylvain Gouguenheim, che ha scritto un libro, tradotto in italiano, dal titolo Aristotele contro Averroè nel quale mette in dubbio l'apporto degli arabi nel passaggio della cultura greca al nostro Medioevo e Rinascimento. Apparentemente questo libro, criticato da molti studiosi, sembrerebbe destinato a rimanere circoscritto nel dibattito universitario ma io mi chiedo quando questa tesi, considera- ta erronea da molti specialisti, diventasse opinione comune, quale sarebbe il risultato? Potremmo dire, come direbbe Mahmud Darwish, che ancora una volta l'Occidente spinge i mussulmani fuori dalla storia. C'è un libro molto bello di Sigrid Hunke, il cui titolo è Il sole di Allah in Occidente nel quale, a differenza di quello che dice Gouguenheim, mostra l'apporto alla matematica, alla medi- cina, all'astronomia, alla fisica del pensiero islamico. Questo dovrebbe farci riflettere sulla compenetrazione di queste due grandi civiltà: quella Occidentale e quella Islamica.

Torniamo ai problemi generali. Danilo Zolo, un suo collega, ha scritto un libro dove fa una proposta "mediterranea", diciamo così, per riuscire a coalizzare un'Europa che al momento è solo burocratica, ma di fatto non ha nulla di diverso rispetto ad una unione burocratica ed economica. Questa proposta che fa Zolo naturalmente consta della rivalutazione sotto un altro senso, che credo sia anche il suo, per quanto riguarda tutto il mondo islamico. Quindi lei concorda che un'Europa potrà essere fatta solo e unica- mente nel momento in cui riuscirà a riscoprire la parte mediterranea? Questo è indubbio. Per quanto mi riguarda l'Organizzazione che ho fondato 20 anni fa, l'UNIMED, l'Unione delle Università del Mediterraneo, cerca di contribuire a tale riscoperta met- tendo in atto pratiche di incontro tra giovani, ricercatori e accademici delle due rive del Mediterraneo per mostrare che l'esaltazione di queste radici comuni sono il fondamen- to anche della nostra civiltà Occidentale. Certo, molto spes- so la politica degli Stati tende a banalizzare questo concet- to in un discorso ideologico senza fondamento. L'Europa non può permettersi di delegare la politica mediterranea all'America e accontentarsi di vuoti proclami sull'integrazio- ne tra le due rive del Mediterraneo.

Ma lei si riferisce al processo di pace israelo - palestinese e alla politica di Obama?

40 LA VOCE DEL RIBELLE Nel mio libro affronto evidentemente questo problema che a mio avviso è "il problema dei problemi" nello scontro tra Occidente e Islam. E' difficile evidentemente articolare com- piutamente una risposta a questa sua domanda. Desidero però esprimere il mio punto di vista ricorrendo ad una intui- zione che si può leggere nel libro di Amos Oz Contro il fana- tismo quando, a proposito dello scontro tra Israele e Palestina, egli sottolinea in maniera laica che si tratta di un problema condominiale. Con questo voglio mettere da parte tutta un'altra serie di problemi che esistono e che non posso trattare qui e riaffermare che lo scontro non può essere inter- pretato come uno scontro tra religioni. Per quanto riguarda Obama forse è presto dare un giudizio definitivo. Se dovessi giudicare, così come fanno i mussulmani, le ricadute dell'in- tervento di Obama al Cairo non posso che essere d'accordo con loro nell'esprimere un senso di delusione. Molti problemi devono essere sicuramente risolti ma tra questi uno dei più urgenti è quello di fermare la colonizzazione dei Territori Palestinesi. Nel nostro piccolo, attraverso il portale MedArabNews, a cui collaborano molti giovani ricercatori, tra cui voglio citare Roberto Iannuzzi, Cladia De Martino ed Enzo Le Fevre, cerchiamo attraverso la lettura costante dei quotidiani del mondo arabo di aprire una finestra di com- prensione di ciò che pensa su tali problemi il mondo mussul- mano.

Tornando indietro, a proposito degli attentatori suicidi, in che modo condizionano la politica che l'Occidente deve avere nei confronti dell'Islam? Non si può certo negare che tale pratica faccia parte di un'ideologia ricorrente nell'Islam come strumento della Guerra Santa. Anche su questo problema credo che nessu- no possa negare che un'Islam integralista e fondamentalista interpreti in maniera così distorta il Corano. Se noi non ci ren- diamo conto che si tratta di un'interpretazione e di una pra- tica legata ad una concezione dell'islam politico rischiamo di compiere una generalizzazione inopportuna. Vorrei ricor- dare che nell'ideologia di questo Islam politico non c'è sola- mente il ricorso ai dettami religiosi per giustificare questo comportamento. Vi sono anche, e soprattutto, una serie di riferimenti che chiamano in causa il concetto di "guerra di liberazione" nei confronti di un'Occidente che ha invaso e dominato le terre dell'Islam. Ad esempio, nel libro di Robert Pape Morire per vincere vi è un riferimento esplicito, secondo una vecchia metodologia storica che si basa sulla misura- zione della quantità, alle Tigri del Tamil che per un certo periodo, pur non essendo mussulmani, hanno avuto il mono- polio degli attacchi suicidi.

41 WWW.ILRIBELLE.COM Quando lei parla dell'invasione delle Terre dell'Islam a cosa si riferisce? Mi riferisco certamente ad un modo malsano di concepire i rapporti internazionali. Gli storici avranno modo di ritornare con più pacatezza sulle ragioni che hanno determinato l'in- vasione dell'Afganistan o l'esportazione della democrazia negli "stati canaglia" e verificheranno con l'adeguatezza della documentazione se tutto ciò, come io credo, faccia parte di uno schema culturale occidentale che considera il mondo sulla base dei propri criteri e valori. Sono convinto che, e su questo mi soffermo nel mio libro, l'esperienza colo- niale non sia stata adeguatamente superata e che molti popoli vivono il rapporto con l'Occidente senza essere anco- ra riusciti a fare il lutto di tale esperienza.

Citando appunto al suo libro, mi ha colpito il fatto che lei sembra non arrivare ad alcuna conclusione. Le pagine scorrono velocemente, con una grande piacevolezza nella lettura, ma alla fine ci si può chiedere perché non vi è una conclusione? La risposta che le posso dare è anch'essa senza una conclu- sione come secondo me è la vita stessa. Posso aggiungere che la scelta è derivata anzitutto dalla necessità di mettere in evidenza l'esistenza di un processo che a mio parere non ci porterà lontano se non saremmo capaci di ascoltare di più gli altri prima ancora di giudicarli. In questo, secondo me, si può riassumere il dialogo che, per la portata e l'impor- tanza dei temi, non possiamo considerare concluso.

Lorenzo Castelli

42 LA VOCE DEL RIBELLE IlIl CrocefissoCrocefisso negato

Il punto non è tanto “croce sì o croce no”. È che debba essere l’Europa a decidere in materia. Difendiamo dunque il nostro diritto a scegliere se mantenere la croce o meno. Il diritto di essere liberi, critici, agnostici, atei se non eretici.

di Fulvio Lo Monaco

e la sentenza della Corte di Bruxelles - in merito al ricorso di una sola persona avverso il crocefisso ostentato nelle scuole italiane - meritasse un titolo come si usa nel giornalismo, quel titolo potrebbe essere “Il crocefisso negato”. Di questo infatti si trat- ta, anche se una più o meno capziosa interpretazione del pro- Snunciamento di quella Corte dovrebbe intendersi non nel senso di una materiale rimozione del crocefisso dalle scuole italiane, ma come un avviso di ordine giuridico intorno alle buone ragio- ni della ricorrente. In sostanza a Bruxelles si pensa che il crocefis- so non è opportuno in un’aula scolastica, perché può offendere chi, per varie ragioni possibili, non condivide il simbolo e, natural- mente, i suoi significati. Una prima considerazione su questa vicenda riguarda la liceità di un organismo europeo di influire su una scelta di uno Stato membro, mettendo in predicato la sua sovranità quantomeno in materia religiosa. E su questo si può affermare che bene ha fatto il governo italiano a muovere appello contro la sentenza in paro- la. Ovvie invece – e le si cita solo per dovere di cronaca – le rimo- stranze avanzate dalla Chiesa cattolica. Ma su questo argomento interessa maggiormente non l’animo di un cattolico praticante, il quale si vede logicamente offeso nel simulacro della propria fede. Piuttosto riveste importanza lo spiri- to agnostico, diffusamente disincantato, e su queste pagine più o meno ribelle di molte persone, sulle quali ha comunque influito la sentenza della Corte di Bruxelles. Di quello spirito, e della volontà di fare autocritica da cittadini italiani, senza aspettare le pressio- ni di una entità meteca, ci facciamo interpreti passando a una CHIAVE DI LETTURA CHIAVE

43 - WWW.ILRIBELLE.COM serie di note tra le quali la prima è questa. Il crocefisso non figura soltanto nelle scuole, ma nelle aule dei tribunali, negli ospedali e nelle clini- che private, in molti uffici pubblici e in altri edifici che appare inutile elencare. Figura inoltre all’ester- no, nelle icone lungo le strade, negli ex voto appesi alle antiche mura, nelle edicole approntate ai cro- cevia di montagna, nei cimiteri. Il crocefisso è insom- ma – nel bene e nel male, se vogliamo - un simbolo cattolico e per quello che ci riguarda italiano, come lo è la bandiera con i tre colori. È, finché dura, il rico- noscimento di una (certa) identità. A nessuno va pertanto riconosciuto il diritto di influire su queste scelte che, iniziando dalla sentenza sulle aule scola- stiche, potrebbe estendersi ad altre prese di posizio- ne negative sulla ostentazione totale del crocefisso “...non per niente il grande regista Almodovar si è espresso recentemente sul crocefisso – si può ben leggere la croce – affermando che si tratta di un simbolo pop...” al di fuori delle chiese. Il crocefisso è cosa nostra e la sua eventuale rimozione – trasformazione, transu- manza, elaborazione, superamento – non ci può essere imposta dall’esterno. La autodeterminazione dei popoli deve funzionare anche in fatto di religio- ne e di costume. Lungo questa strada va pertanto premesso un moti- vato sospetto. Chi si azzarda a negare il crocefisso potrebbe non aver soddisfatto l’appetito, al punto di negare in un tempo ulteriore anche la croce. Esiste infatti una profonda differenza tra il simbolo nudo e quello animato. Con l’aggravante che molto spesso, e da persone autorevoli - vengono confusi l’uno con l’altro. La croce cristiana è un segno antico, dapprima dissimulato con l’albero della nave, l’ara- tro o il fuso dell’ancora, per via delle persecuzioni, poi impostosi con Costantino e la leggenda dello stendardo sventolante nella battaglia contro Massenzio a Ponte Milvio, infine impostosi con Teodosio che innalzò il cristianesimo – sempre per motivi politici - a religione di Stato.

44 LA VOCE DEL RIBELLE Il crocefisso è invece una scelta relativamente più vicina a noi e segna il passaggio da simbolo a figu- razione, inchioda “ad patibulum” un profeta ebreo che sarebbe anche divino, contravvenendo brutal- mente a un dettato perentorio di Dio, contenuto nell’Antico Testamento: “Non ti farai di me alcuna immagine…” con quel che segue. Va inoltre osservato che l’immagine del Cristo appe- so alla croce, dal basso medioevo al Rinascimento, dal barocco a Salvator Dalì, appare allarmante e a volte minacciosa, come sarà poi inquietante la figu- ra del cuore di Gesù, voluta da un patologo mistico, che sembra obiettivamente prelevata da una tavola operatoria. Il crocefisso non appare pertanto una decisione indovinata, sia da un punto di vista dottrinario per- ché contraddittoria in ordine alla volontà di Dio, sia sotto un profilo estetico, che è anche sostanziale, perché si esalta troppo una sofferenza a danno della figura del Cristo nella gloria, raramente e senza altrettanta enfasi rappresentata. Diciamolo in termini più elementari. Il crocefisso fa paura. E si può ipotizzare che il ricorso alla Corte di Bruxelles forse non sarebbe stato avanzato, se al posto del crocefisso ci fosse stata la mera croce. Con la croce si resta in tema semantico, come avviene con la mezzaluna islamica e con la meno- rah o con la stella di Davide ebraiche. Come avvie- ne con la croce celtica iscritta nel cerchio o con la croce uncinata che al di là del nazismo figura tra gli Etruschi e in alcuni popoli orientali. La croce in senso lato, con le sue varie rappresentazioni, è sim- bolo arcano e segna a volte la fede, altre la speran- za, e ancora il sogno che può appartenere – perché no - al rivoluzionario e al ribelle. Francesco di Assisi che fu entrambe le cose – sia pure espresse con grande dolcezza - dopo che due Papi gli avevano manipolato la Regola e i frati gli erano sfuggiti di mano, strinse tra le dita la sua croce di legno, una croce a Tau, morendo di crepacuore. Lasciando dunque in pace il crocefisso del quale si sono estesi pochi appunti sommari, la croce pura e semplice deve intendersi come segno di apparte- nenza a una civiltà nostra, tutta italiana, che viene inconfutabilmente dalla Grecia, da Roma e dal Cristianesimo, come fece osservare Marcello Pera. L’ex ministro peccò soltanto nella misura geografica pensando alle radici dell’intera Europa. Perché

45 WWW.ILRIBELLE.COM dimenticò i Celti e i Drudi, i Vichinghi, Wotan e i Nibelunghi, il mito nordico con Elfi e Nani. Restiamo perciò in Italia e difen- diamo ciò che è nostro, fino al punto di volerlo eventualmen- te sostituire o aggiornare. Difendiamo la croce. Ma per far questo occorre restituire al simbolo un valore che il tempo ha eroso o perduto. Il subacqueo armato di bombole che si segna con la croce prima di scendere negli abissi, è in fondo giustificato perché si immerge in un mondo che è dei pesci e non è quindi il suo. Egli si avventura un poco come l’eroe omerico sceso nell’Ade. Ma il calciatore che si fa per tre volte una crocetta sulla parte alta del petto prima di correre sul campo, compie un gesto sperequato alla bisogna e dal sapore apotropaico, di allontanamento del male, che è gesto di superstizione. Egli degrada il segno, perché porta il simbolo al livello di uno scongiuro, barattando il grattarsi i coglioni con la croce. Non per niente il grande regista Almodovar si è espresso recente- mente sul crocefisso – si può ben leggere la croce - affer- mando che si tratta di un simbolo pop. La chenosi della croce, ovvero il suo abbassamento, è poi segnata dai tanti monili, spesso preziosi, portati al collo di donne e uomini per pura vanità, al di fuori di significati di appartenenza ad una cultura o ad una fede. In conclusione, la croce va difesa ma occorre anche meritar- la, sfrondandola da tante aggiunte e da tanti usi che ne svi- liscono il valore. Se poi la nostra religione è destinata a finire e con essa la croce, questo riguarda noi e non la Corte euro- pea. Oltretutto, l’accoglimento del ricorso e la sentenza fanno pensare non tanto alla lontana a quello strisciante globalismo che appare più pericoloso di quello economico di stampo americano. Ci si riferisce alla frangia dei no global che diventano glo- bal nella folle visione di un mondo confuso e caotico più che multirazziale – la terra è di tutti, il mare è di tutti, il cielo è di tutti… et cetera – che per i popoli e per le persone com- porta lo sradicamento della cultura, della tradizione, della storia. Vigiliamo sulla croce. La sentenza di Bruxelles può essere considerata un segno di guerra, un segno chiaro, seppure non potente come la croce sulle vesti dei templari. Una sen- tenza che è solo un monito. Per ora. Difendiamo infine la croce per conservare la nostra libertà. Perché senza la croce si perderebbe la materia del conten- dere in campo religioso. Non saremmo liberi di essere critici ed eventualmente eretici, di essere agnostici se non atei. Non saremmo liberi di essere, all’occorrenza, ribelli.

Fulvio Lo Monaco

46 LA VOCE DEL RIBELLE MargueriteMarguerite Duras,Duras, cuore di tenebra

Isolamento. Alcol. Assenza di apparizioni pubbliche. Ma grande partecipazione al dibattito culturale e politico. Feconda fino alla fine.

di Francesca Gatto

è una frase de “L’amante” (1984) che col- pisce il lettore come una sentenza definiti- va: “Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è”. Non è certo un caso che questa riflessione venga affidata dall’autrice francese alla protagonista del suo romanzo,C’ ovvero alla proiezione bambina di se stessa. È una bambi- na ancora inesperta delle cose del mondo ma già in lotta contro il mondo, e la sua è una considerazione programmatica e profetica di cui la Marguerite Duras anziana scrittrice non può che prendere atto. Tutta la parabola umana e intellettuale di questa donna è segnata dall’irrequietezza, dall’insofferenza nei confronti delle costrizioni che le sono state imposte, dall’alzata di testa contro il giogo della mora- le comune, ma al tempo stesso anche dallo scontro titanico e non sempre vincente con le convenzioni, da una parte, e i potenti sbal- zi d’umore della sua complessa personalità, dall’altra, e che più di una volta finirono per condizionarla al di là di quanto lei stessa avrebbe forse voluto. Nata nel 1914 da genitori emigrati a Saigon, in quella che al tempo era l’Indocina francese, Marguerite Donnadieu trascorse un’infan- zia difficile a causa della prematura scomparsa del padre e di una situazione economica disastrosa che mal si conciliava con le aspettative sociali di sua madre, insegnante bianca divisa tra lo strenuo sforzo di salvare le apparenze e la necessità di doversi umi- liare a chiedere prestiti agli indigeni. Sarà proprio quest’atteggia- mento ambivalente della madre a segnare il primo passaggio importante della vita della ragazzina: appena quindicenne, vestita scientemente come una piccola geisha per farsi notare da qual- che possidente francese, incontra a Saigon un miliardario cinese BORDERLINE

47 - WWW.ILRIBELLE.COM molto più grande di lei, con cui intreccia una relazione tanto ambigua quanto impossibile. Ambigua, perché nata dal bisogno e quindi mai veramente spensierata: l’amante cinese corteggia la piccola ed è munifico di doni e di denaro, che Marguerite accetta compiendo così la volontà della madre. La ragion di Stato si impone su qualsiasi sentimentalismo o libera scelta, al punto che la ragazza finisce per mentire a se stessa quando comincia a sentire qualcosa che si avvicina all’amore: è costretta a convincersi di non provare nulla, di essere quasi un soldato in missione che compie il suo dovere per un interesse più alto di quello suo personale, ovvero il benessere finanziario della famiglia. La relazione tra i due si basa poi su delle premesse impossibili, perché il divario economico e sociale è trop- po ampio per poter essere accettato tanto dalla fami- glia di lui – che non intende sposare il rampollo a una nullatenente – che da quella di lei, che almeno in pub- blico non può che ricusare l’unione con un indigeno. Finito il liceo, Marguerite verrà spedita da sola in Francia per frequentare l’università, allontanandosi per sempre dall’amante cinese e dall’influenza della madre. Tuttavia, l’esperienza indocinese segnerà inde- lebilmente la futura scrittrice: prima costretta a cresce- re in fretta e a relazionarsi con un adulto che la inizie- rà ai piaceri e alle sofferenze della passione, poi allon- tanata forzatamente nel momento in cui il rapporto stava sostituendo quello mai avuto con il padre e quel- lo anaffettivo e formale con la madre, la Duras elabo- rerà una propria personalissima morale di ribellione alle regole che la accompagnerà per tutta l’esistenza. Le sue prese di posizione saranno sempre assolute, decise, spesso impopolari per la veemenza con cui vengono espresse. A volte contraddittorie rispetto a quelle assunte in precedenza, ma sempre con l’impo- stazione etica di un personaggio che rifiuterà costan- temente di genuflettersi di fronte a una volontà o a una scelta imposta dall’esterno. Marguerite, che in Francia abbandona il cognome Donnadieu preferendogli Duras, dal nome della città di nascita del padre, serberà sempre un legame molto intenso con l’Oriente, che trasfigurerà in un luogo del- l’anima idealmente congiunto con gli altri fondamenta- li della sua vita: ecco la Durasie, un continente scaleno che si estende tra rue Saint Benoit a Parigi, la campa- gna dell’Ile de France, la Camargue e, appunto, il Delta del Mekong. Tante piccole patrie, lontane dai centri e dalle istituzioni ufficiali.Tante emozioni e ricordi localizza-

48 LA VOCE DEL RIBELLE ti, serbati con nostalgia, rancore, tenerezza o odio nel corso dei decenni, fino a costruire il fulcro di tutta la poe- tica dell’autrice. Nei secondi anni ’30, la Duras trova un incarico presso il Ministero delle Colonie, e in un articolo difende a spada tratta il diritto della Francia di mantenere possedimenti in giro per il mondo. Anche questo episodio deve essere letto nell’ottica del rapporto conflittuale con la sua gio- vinezza, come una smania di dominare e possedere un mondo di cui in fin dei conti è stata succube. Quando scrive il pezzo, Marguerite è ancora giovane, i traumi emotivi degli incontri improvvisi e delle improvvise sepa- razioni vissute, ancora troppo recenti perché la Duras non colga l’occasione di prendersi un’ideale rivalsa. Più tardi, con una sofferta maturità acquisita grazie all’età, si impegnerà con ben altra sensibilità sul fronte dell’occu- pazione francese in Algeria: nel 1961 sarà infatti uno dei firmatari del “Manifesto dei 121”, che condannava con durezza la politica del governo transalpino e rivendica- va il diritto all’insubordinazione per ottenere la libertà del popolo del Maghreb. Nel ‘39 sposa il poeta Robert Antelme. Mente e cuore sono prese dal turbinio di incontri e suggestioni vissute e condivise nell’appartamento della coppia a Saint- Germain-des-Prés, vero milieu d’artisti e intellettuali dove la donna incontra lo scrittore Dyonis Mascolo, che diven- ta subito suo amante. La relazione è nota anche al mari- to, che l’accetta, configurando un ménage à trois al cui centro si trova prevedibilmente Marguerite Duras, già forte e dominatrice. Il gruppo di Saint-Germain è fondamentale anche nello sviluppo della coscienza politica di Marguerite, che comincia ad aprire gli occhi sulla realtà che la circon- da, a fare i conti con la sua condizione di libertaria insof- ferente arruolata nell’amministrazione di un regime liber- ticida. Le cose cambiano, e molto, di lì a poco. Presa coscien- za dell’incipiente orrore totalitarista, passa segretamente alla Resistenza insieme al marito e all’amante, pur man- tenendo la copertura del suo incarico ufficiale. È questa una scelta difficile e rischiosa, tipica della Duras donna, e Marguerite vi si getta a capofitto come sempre farà nella sua vita. Sono mesi di stravolgimenti politici mon- diali e maree sentimentali personali. Il marito viene arre- stato e deportato in Germania dai nazifascisti, lei non arretra e si mostra determinatissima a portare avanti il suo lavoro di controspionaggio e la parallela ricerca d’informazioni su Antelme. Sono anche i giorni in cui la

49 WWW.ILRIBELLE.COM Duras scopre l’odio, certamente verso chi l’ha privata del mari- to,ma soprattutto verso chi rappresenta la negazione della sua stessa essenza irriducibile all’obbedienza, al pensiero unico, all’ortodossia. Seduce un agente francese della Gestapo che spera possa intercedere per la liberazione di Antelme; non esi- terà a denunciarlo e farlo fucilare una volta giunta la Liberazione. Sarà spietata e intransigente per tutta la sua vita nei confronti di ciò che le ricorderà il fascismo. Nel frattempo si iscrive al Partito Comunista Francese e stringe amicizia con François Mitterrand. Il sodalizio con quest’ultimo durerà per tutta la vita, perché la Duras riconoscerà nell’uomo gli stessi caratteri d’integrità e assolutezza che sono presenti in lei. Il legame con il partito sarà invece assai più burrascoso, e ne verrà definitivamente espulsa nel 1952. “Eretica e ninfoma- ne” reciterà il comunicato che la estromette. Nel 1945 Mitterrand trova Antelme a Dachau, ormai ridotto a relitto umano. La Duras lo curerà incrollabilmente fino alla sua inaspettata guarigione che avverrà molti mesi dopo. L’esperienza del distacco, della lontananza, del timore che ogni giorno potesse arrivare un dispaccio con il nome del marito tra i morti nei campi di concentramento, e poi quella del ritorno, della soffe- renza e della malattia di quest’ultimo saranno alla base di quel libro straordinario che è ‘Il dolore’ (1985). Qui, la scrittrice non cerca di commuovere i suoi lettori. È dura e spietata verso se stessa, e verso il suo stesso marito. Quasi gli rimprovera di non essere morto nel campo, perché il loro rapporto dopo l’Orrore non potrà mai più essere lo stesso: “A quel nome, Robert, piango. Piango ancora. Piangerò tutta la vita”.E a dimostrazione che il suo non è un artificio letterario, arriva la separazione da Antelme nel ‘47. Anche l’amore con Mascolo finisce nel ‘56.Marguerite pone sempre più al centro della sua vita la scrittura. La sua produzione, cominciata nel ‘43 con ‘Les Impudents’, sale a un ritmo vertiginoso dentro al quale sono molte le sue opere notevoli. Paradossalmente, più la scrittrice assume coscienza sociale del mondo e acquista la maturità che le deriva dall’età e dalle esperienze, più la sua scrittura tratta i temi della sua gioventù, del ricordo, della nostalgia che ormai detiene il posto predominante nelle sue memorie dall’Indocina. I suoi ricordi si depositano nelle pagine di ‘Una barriera contro il Pacifico’ (1950), ‘Il viceconsole’ (1966), nel cinema con i film ‘Hiroshima mon amour’ (1960) e ‘India song’ (1973), ma si estendono oltre. È certamente alla sua esperienza di colona che pensa quando partecipa, nei primi anni ‘60, alle manife- stazioni antimperialiste contro De Gaulle, per protestare contro la prolungata occupazione del suolo algerino. E pensa proba-

50 LA VOCE DEL RIBELLE bilmente alla sensazione dei piedi nudi sulla sabbia di Phu Quoc quando conia il motto ‘sous le pavè, la plage’ sulle bar- ricate del ‘68 parigino. Circondata da tanti ricordi, e ormai consacrata al successo internazionale come intellettuale, la Duras è però emotivamen- te sempre più sola. I suoi compagni di viaggio sono i fantasmi cinesi, indiani, vietnamiti ormai perduti nel tempo e nello spa- zio, che vivono solo nel suo cuore. Ecco quindi la scrittrice pre- cipitarsi in un altro dei suoi eccessi, terribili e consapevoli. Si tuffa nell’alcool, entusiasticamente e disperatamente. Smette di apparire in pubblico, pur continuando a partecipare al dibattito politico e culturale con i suoi libri e i suoi interventi su Liberation. Quest’isolamento mentale è fertile per la sua produ- zione d’artista. Nel 1984 esce il suo capolavoro, ‘L’amante’,che di colpo diventa uno dei libri più venduti e più tradotti. Ancora una volta è il passato a ergersi maestoso e totalizzante. Ma, in qualche modo, questo libro è anche un ponte con il futuro. In seguito al successo mondiale del libro, che riceve il Premio Goncourt, la Duras viene inondata da lettere di ammiratori che la cercano, la vogliono, le chiedono d’incontrarla. Lei, solitaria e dura come sempre, si rifiuta ostinatamente. Finché un giovane omosessuale,Yann Lemée, riesce a supera- re la sua scorza ed entrare nella sua intimità di scrittrice e di donna. I due intessono un rapporto particolare, estremo, come estrema è Marguerite. Lemée, soprannominato ‘Andrea’ dalla scrittrice, diventa l’ ‘Amante europeo’, giovane e povero, in un contrappasso ideale con la storia del libro. Ma è anche molto di più: bastone della vecchiaia, confidente, trascrittore delle memorie dell’artista, allievo servente, catturato dalla personali- tà di un’ormai anziana Marguerite che si avvia verso il crepu- scolo. Il loro non è, non potrebbe mai essere, un rapporto sere- no. Non c’è alcuna pace dei sensi che arriva con la vecchia- ia. “Il mondo ha smesso di vivere. Lei è un grande imbecille. Tutto è fallimento” lo apostrofa. Eppure ricalca su di lui il perso- naggio di ‘Yann Andrea Steiner’ (1992). Eppure gli affida il det- tato delle sue ultime memorie, ‘C’est tout’ (1995), dove emerge per l’ultima volta la figura di Marguerite Duras. Piena di odio verso i suoi nemici,veri e presunti,morti e viventi.Artefice di una vita densa di ricordi, malinconici e dolci come il suono di un dhan tranh di Saigon.

Francesca Gatto (ha collaborato Tommaso Emiliani)

51 WWW.ILRIBELLE.COM AliveAlive Ieri, oggi e sempre

Pearl Jam. . Le sue camicie di flanella a quadri, come i Lumberjack di quella costa sul Pacifico. Seattle e il Grunge, vera ultima rivoluzione del Rock che abbia saputo dire qualcosa. Contro questo sistema.

di Francesca Roveda

iot Act è il titolo del settimo album dei , album dalla forte connotazione politica culmi- nante nella canzone Bu$hleaguer che Eddie Vedder, leader del gruppo, era solito eseguire indossando una maschera di George W. Bush per poi appenderla all’asta del microfono durante l’esibizione. Dopo Runa performance della canzone durante uno show a Uniondale (New York), la band venne fischiata dalla folla che iniziò a intona- re "U.S.A!!!". Ma Vedder proseguì cantando "Know Your Rights" Clash, a difesa della propria libertà d’espressione. La storia di Eddie Vedder inizia negli anni Novanta, quando cerca di sbarca- re il lunario presso una pompa di benzina di San Diego mentre nei ritagli di tempo si esibisce in sgangherati locali dei dintorni con la modesta formazione dei Bad Radio. Ma un giorno arriva anche per lui la grande occasione: riceve un demo dall’amico , ex batterista dei RHCP, su cui sono incisi cinque brani musicati da , e Mike Mc Cready (i futuri Pearl Jam). Butta giù dei testi che poi divente- ranno Alive, Once e Footsteps e rispedisce il demo al mittente. Così nascono i Pearl Jam e il primo album, oggi considerato il capolavoro della band di Seattle, Ten. Con oltre sessanta milioni di dischi venduti e migliaia di concerti in tutto il mondo, Eddie Vedder oggi è milionario. Il suo successo MUSICA

52 - WWW.ILRIBELLE.COM come cantante era già scritto nella tonalità quasi unica della sua voce, un timbro baritonale in grado di prendere note altissime. Come molte altre rockstar di successo, Eddie Vedder, sul cui volto storico splendono due occhi tra l’azzurro del cielo e il blu scuro dell’oceano, potrebbe permettersi qualunque lusso: hotel esclusivi, champagne a fiumi e super top model che farebbero a gara per una notte di sesso con lui. Ma nonostante sia osannato da milioni di fans, Eddie si com- porta come un qualunque pater familias lavoratore, che nel tempo libero ama andare a pesca, praticare surf e bere qualche birra al bar con gli amici di sempre. Eddie è un working class hero dentro e fuori. Con le sue camice a quadri di flanella, tanto in voga ai tempi del grun- ge, t-shirt di sconosciuti gruppi punk, jeans e scarpe da mon- tanaro assomiglia ad un qualunque ragazzo della provincia americana. Questo mezzo sangue indiano, da parte di nonno, ha con- dotto battaglie politiche e appoggiato candidature impopo- lari, come nel 2000 per l’ambientalista Ralph Nader, candi- dato indipendente alle presidenziali e nel 2004 per il demo- cratico John Kerry. Per anni inoltre porta avanti una batta- glia, che perderà, contro il circuito Ticketmaster per riuscire a far abbassare il prezzo dei biglietti dei concerti, schierando- si in generale contro lo strapotere delle multinazionali. Eppure all’inizio del movimento grunge, da molti considerato l’ultima grande rivoluzione del rock, Eddie Vedder vive all’om- bra di Kurt Cobain, tormentato leader dei Nirvana, morto sui- “...Porch” inizia con la frase “what the fuck is the world running to?” ovvero, “dove cazzo sta correndo questo mondo?...” cida a 27 anni. Del resto i ragazzi degli anni Novanta, me compresa, sono cresciuti a pane e Nirvana: canzoni come Smells like teen spirit “...I'm worse at what I do best And for this gift I feel blessed Our little group has always been And always will until the end …” ovvero ”…sono il peggiore a fare ciò che faccio meglio, e per questo dono mi sento benedet- to, il nostro piccolo gruppo è sempre esistito ed esisterà fino alla fine…” , Come as you are o Heart shaped box - “…I've been locked inside your Heart-Shaped box for a week I was drawn into your magnet tar pit trap I wish I could eat your cancer when you turn back…” ovvero ”…sono stato rinchiu- so per settimane nella tua scatola a forma di cuore Fui tra-

53 WWW.ILRIBELLE.COM scinato nella tua trappola magnetica, pozzo di catra- me Vorrei poter ingoiare il tuo cancro quando sei disperata…” - sono state alcune delle nostre bandie- re generazionali. I Nirvana hanno rappresentato per i giovani degli anni Novanta quello che i Sex Pistols hanno rappresentato sul finire dei Settanta: il disincanto, la disillusione, il no ”…sono il peggiore a fare ciò che faccio meglio, e per questo dono mi sento benedetto, il nostro piccolo gruppo è sempre esistito ed esisterà fino alla fine…” future. Mano a mano che aumentava la popolarità dei Nirvana, la vita di Cobain, che nella condizione di rockstar di lusso si sentiva sempre più un ingranaggio della detestata corporate america, si spegneva. Infatti da Nevermind, secondo album del gruppo con più di 25 milioni di copie vendute, al suicidio di Kurt Cobain, passeranno solo tre anni. Eddie Vedder, le cui canzoni, soprattutto quelle dei primi album, esprimono al pari dei testi di Cobain disperazione (Jeremy è ispirata ad un fatto di cronaca che riguarda il suicidio di un sedicenne davanti all’in- credulità dei compagni e dell’insegnante), pessimi- smo e insofferenza al sistema del produci-consuma- crepa (Porch inizia con la frase “what the fuck is the world running to?” ovvero, “dove cazzo sta correndo questo mondo?”), resiste all’impulso di auto distruzio- ne. Qualche motivo personale per non sentirsi proprio un privilegiato in fondo lo aveva: quando i genitori divorziano viene a sapere che quello che credeva suo padre in realtà è il patrigno, per esempio. Ma è troppo tardi per conoscere il vero padre, nel frat- tempo deceduto di sclerosi multipla. A quel punto il già precario rapporto con il patrigno si incrina ulterior- mente al punto che Eddie decide di lasciare la scuo- la per raggiungere la madre a Chicago e cambiare legalmente il suo cognome in "Vedder": esperienza di vita che trasporrà nel primo singolo dei Pearl Jam, Alive. Ma Eddie Vedder, al contrario di Kurt Cobain dall’in- fanzia altrettanto difficile, è stato in grado di gestire la propria rabbia, vomitandola in maniera quasi terapeu- tica nei testi delle sue canzoni. Si potrebbe affermare

54 LA VOCE DEL RIBELLE che il suo sia stato un processo catartico: dal ragazzi- no che durante i suoi primi concerti si lanciava sulla folla con gli occhi iniettati di sangue, strafatto di qua- lunque sostanza stupefacente, all’uomo che va fiero delle proprie cicatrici di oggi e che sa ancora emozio- narsi e far emozionare. L’ultimo album, , è un concentrato di puro spirito rock e di testi ispirati dalle onde del mare in per- fetto stile Pearl Jam. Backspacer, tasto della vecchia macchina che Eddie usa tuttora per scrivere, è anche il nome della tartaruga che i Pearl Jam hanno sponso- rizzato nella Great Turtle Race, evento mediatico che segue la migrazione annuale delle tartarughe giganti dal Canada ai Carabi per depositare le uova. La gara ha lo scopo di raccogliere fondi per l’organizzazione Conservation International, un gruppo che si occupa della conservazione dei patrimoni naturali, come pre- cisano tutti e cinque i componenti della band in una delle rare interviste rilasciate. Al contrario di molti altri gruppi, infatti, i Pearl Jam sono rimasti compatti e sulla stessa lunghezza d’onda dagli esordi ad oggi e il segreto sta semplicemente nel rispetto che gli uni hanno per gli altri, anche quan- do scelgono di intraprendere parallelamente carriere soliste. Proprio per questo Eddie Vedder parla del suo gruppo come di un’autentica democrazia. Il bassista Jeff Ament ha dichiarato: “everything has changed, absolutely nothing changes” , “tutto è cam- biato e niente cambia” e di seguito ”…anche se oggi non siamo più underground e la nostra passione è diventata un lavoro, siamo la stessa band, con la stes- sa passione per la musica, che cerca di conciliare etica e commercio” (XL, settembre 2009) Caro è agli dei chi muore giovane, diceva Menandro. Ma è bello anche saper invecchiare con dignità e con senso del limite, come un vecchio capo indiano. Francesca Roveda

La totalità della discografia dei Pearl Jam - così come buona parte del grunge - è in onda regolarmente su RadioAlzoZero. La WebRadio de La Voce del Ribelle. www.ilribelle.com/radioalzozero

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Braveheart. Cuore impavido: di Wallace nel film e di Mel Gibson alla macchina da presa mentre prende posizioni non certo comuni. Ma il filo conduttore di tutto il film è nella ribellione che porta alla libertà.

di Ferdinando Menconi

pico e coinvolgente film sulla libertà di Scozia, Braveheart, come tutti i filmoni storici hollywoodiani, la storia la stravolge non poco, ma, dato che, come recita la voce narrante all’inizio del film, “la storia è scritta da coloro che impiccano gli eroi”, si può anche accettare che i vinti qualche volta la rielaborino, a proprio uso e consumo, Emagari anche per poter inserire una bella storia d’amore all’interno della narrazione. La bella storia d’amore - che non poté mai essere nella realtà - è quel- la fra il nostro Braveheart William Wallace e Isabelle di Francia,che, quando nel 1308 andò in sposa all’imbelle Edoardo II, era già stato squartato e sparso ai quattro angoli d’Inghilterra da tre anni. Anche se la principessina fosse stata in Inghilterra all’epoca dei fatti, dun- que, la vicenda sarebbe stata più da regia di Polanski, visto che Isabella avrebbe avuto al massimo 13 anni. Niente rapporto pedofilo, invece, fra la principessa francese e l’erede al trono d’Inghilterra: la sua omosessualità non è un’invenzione cine- matografica. Quanto alla delicata principessina è altra l’opera di fic- tion che più rende giustizia alla sanguinaria “Lupa di Francia” ed è ”La maledizione dei templari” (“Les rois maudits” in originale): minise- rie passata in Rai pochi anni fa. Anche la battaglia di Stirling è tutt’altro che una fedele ricostruzione storica. Questa fu combattuta su un ponte e non in campo aperto, CINEMA

56 - WWW.ILRIBELLE.COM Amore e dignità. Ribellione e libertà. Di popolo. Di gente che si unisce e lotta.

57 - WWW.ILRIBELLE.COM ma Braveheart è cinema e ci offre una saggio delle non comuni capacità di Mel Gibson a padroneggia- re le scene di massa. Il regista mostra di aver recepi- to la lezione dei grandi maestri, così la spettacolare carica della cavalleria pesante inglese è seconda solo a quel capolavoro di Sergej Bondarciuk che è la carica della cavalleria scozzese in Waterloo, cui è chiaramente ispirata. Bisogna ricordare, a onore di Gibson, che siamo di fronte all’ultimo colossal girato praticamente senza tecniche digitali, e che ha dovu- to padroneggiare ben circa 3000 soldati dell’esercito irlandese. Irlandese, già, perché gli esterni sono stati quasi interamente girati in Irlanda e gli “splendidi sce- nari delle Highlands” sono come in Scozia non li potrete mai vedere. Ribelle nel film non è solamente Wallace, ma anche Gibson. In particolare per come tratta l’omosessuali- tà di Edoardo II: senza alcun riguardo. Memorabile è la criticatissima scena in cui Edoardo I defenestra, ma non in senso figurato, il favorito del figlio, anche se in verità si limitò a un esilio per la pessima influenza che questi aveva nelle cose del Regno. Nella storia reale sarà la delicata “Lupa di Francia” ad andarci giù molto più pesante con un successivo favorito2. Questo trattare senza simpatie l’omosessualità è un fatto inaccettabile per il sentire contemporaneo, ma la descrizione è realistica: Edoardo il figlio, era un imbelle succubo dei sui favoriti, e non lo si può tra- sformare in un grande re solo perché omosessuale. Certo è vero anche il contrario, ma è da dubitare che Gibson avrebbe trattato da imbelle l’altro re inglese fortemente sospettato di sodomia: Ricordo Cuor di Leone. Quello fu un grande Re inglese, crudele, come dice il soprannome, ma grande. I canoni di Hollywood sono violati anche quando Wallace vendica la sua donna, sgozzata per aver resistito ad un tentativo di violenza da parte della sol- dataglia inglese. Di solito l’eroe uccide il cattivo quasi per caso, sempre costretto a farlo, mai con fredda lucidità e determinazione come, invece avviene nel film. Deve, però, essere chiaro a tutti che la vendetta dell’oppresso, per quanto sanguinaria, è un atto di giustizia. Atto di giustizia ribadito quando uno degli uomini di Wallace sfonda con il mazzafrusto, invocan- do il suo diritto di marito, il cranio del nobile che aveva profittato dello Jus Primae Noctis con sua moglie. Altro messaggio inaccettabile del film: gli inglesi tentano di prendere la Scozia con l’imbastar-

58 LA VOCE DEL RIBELLE dimento della razza, ristabilendo appunto lo Jus Primae Noctis. E il principio dell’integrità etnica come requisito fondante di una nazione, è un concetto da galera in questa società dove anche la destra “muli- no bianco” - che crede di fare futuro ma che, invece, servilmente, si limita unicamente a scordare il suo passato - inneggia al meticciato. Dal film stesso, tuttavia, emergeranno eccezioni, con- dizionate certo, ma ve ne sono e proprio nella figura del futuro Re scozzese Robert de Brus (anglicizzato in The Bruce), di chiara ascendenza normanna, proprio come Edoardo I Longshanks di Inghilterra. Le scene delle battaglie sono epiche, degne della miglior cinematografia del genere, ma l’azione di Wallace si svolge anche, prima della vittoria di Stirling e dopo la disfatta di Falkirk, in azioni di guerri- glia e di eliminazione mirata dei traditori della causa. Il tifo del pubblico è tutto per Braveheart, ed è facile lo sia, ma se invece delle montagne della Scozia fos- sero quelle afgane sarebbe stato più difficile... In effetti sono azioni che chiameremmo da terrorista in Italia, e così di fatto le tratta Longshanks. Negli USA cominciano ad usare il più appropriato insurgent: termine decisamente più appropriato, in entrambi i casi. Da noi, però, è un termine che stenta a prende- re piede: ci viene troppo difficile accettare che pos- sano esistere popoli che non chiamino liberatore, come noi facciamo dai tempi di Pipino il Breve, ogni straniero che li invade in armi. Ognuno poi decida da che parte stare, ma siano chiari i termini e le scel- te, e siano fatti fuori dai condizionamenti lessicali della propaganda. Il film è, come spesso accade ad Hollywood, un elo- gio della libertà, ma non, stavolta, della liberà indivi- duale. È alla libertà della nazione che inneggia Gibson, quella libertà in assenza senza la quale nep- pure l’altra è possibile. Una libertà che può essere ottenuta solo combattendo e nel sangue, non con chiacchiere e parole. Nessuna mediazione è possibi- le, tanto meno quella che i nobili scozzesi tentano prima di ogni battaglia. Questi schierano il popolo per soddisfare i loro interessi perché, come viene detto, hanno “tante terre in Scozia quante in Inghilterra”. Come può, quindi, la nazione mettersi nelle mani di quella classe dirigente? Cosi come può oggi una nazione mettersi nelle mani di una classe dirigente che ha delocalizzato tutto, che pretende di farsi chiamare imprenditoria italiana, quando ha

59 WWW.ILRIBELLE.COM tanti, se non maggiori, interessi all’estero che non in Italia? Wallace, poi, non è l’eroe solitario, prescelto dal destino che toglie le casta- gne dal fuoco per tutti, tipo Neo di Matrix, o che risveglia un popolo addor- mentato, tipo V per Vendetta, ma diviene capo quasi per caso. È il popolo che è già pronto per la sollevazione in armi a sceglierlo, per le sue capaci- tà. Non è lui a volerlo, anzi: è semplicemente colui che ha maggiori capaci- tà di catalizzare e gestire la rivolta. Ma è espressione del popolo. Non è lui che “ha un sogno” e vi trascina il popolo: il sogno lo “vivono insieme”. Non è un superuomo staccato dalla realtà: è uomo fra gli uomini, chiunque potrebbe essere Wallace, “basta” avere cuore e fegato. Siamo di fronte, è vero, a una nazione che non ha ancora coscienza di sé, ma sono maturi i tempi perché la acquisisca. La Scozia lo fa mentre da noi sono i tempi in cui Dante dà all’italiano dignità di lingua e lancia i primi segnali di un percorso lungo e non ancora, forse, compiuto: quando nasce- vano le nazioni noi si lottava per il Papa o per l’Imperatore e, per certi versi di uno dei due ancora non ci siamo sbarazzati. Anche per questo Gibson come eroe sceglie Wallace e non Robert The Bruce, che non appartiene al popolo di Scozia ma è di ascendenze norman- ne. È, però, un uomo che, come avvenne anche per molti Normanni in Irlanda, scelse la cultura Gaelica, volle essere Scozzese, appartenere a un popolo diverso da quello di origine. Qui è l’eccezione di cui sopra, ma per- ché questa si concretizzi si deve aderire in maniera completa alla nuova cul- tura, cosa che gli Scoto normanni fecero, e anche se il sistema gentilizio dei Clan, che sopravvisse nelle Highland, fu fortemente influenzato da quello feu- dale normanno, il tartan dei clan divenne simbolo pregnante anche per la nuova nobiltà. Robert The Bruce non esce bene dal film di Gibson, e immeritatamente. Sì, fu uno che si barcamenò al limite del doppiogioco in quegli anni di caos per reclamare il regno di cui era legittimo erede, ma non era il debole succuo- bo del padre che si vuol far credere, tutt’altro. Era uomo determinato e di grande coraggio, tessé la sua tela, agì con raziocinio. Non l’ideale per un film, ma per liberare la Scozia sì, e fu lui a farlo alla fine, non Wallace. Poi un cattolico come Gibson non avrebbe mai potuto fare un film su uno scomu- nicato che uccise un suo nemico ai piedi dell’altare. Per il messaggio di Gibson l’eroe della libertà doveva venire dal popolo, essere parte di esso ed essere d’esempio anche a un re. Un re, The Bruce, che nell’epica scena finale viene investito dal popolo, non dagli inglesi venu- ti a Bannockuburn per farlo alle loro condizioni.A farlo, simbolicamente, sarà la spada del defunto Wallace scagliata verso il campo di battaglia, così come il cuore di Bruce un giorno venne scagliato contro i mori che occupa- vano la Spagna3. Wallace è anche un moderno a suo modo: ha viaggiato, conosce le lingue, non è un barbaro delle Highlands, è un uomo di mondo. Non un cittadino del mondo, però, come ha modo di dire riferendosi alla sua Scozia: “I belong ro here”. Le radici sono fondamentali, irrinunciabili, per quanto si possa girovagare e incontrare altre culture deve esistere un posto che ci appartiene e a cui noi

60 LA VOCE DEL RIBELLE apparteniamo, cui può valere la pena sacrificare tutto. Qualcuno la chiama patria. Contrariamente a tanti film, Braveheart, che rientra nel novero dei film di propaganda, ha avuto un effetto politico diretto: non avrà determinato i risultati del riuscito referendum sulla Devolution, ma ha certamente inciso sulla trionfante percentua- le. In Italia è stata la Lega ad impossessarsi del film, talvolta accade ed è legittimo, come l’impossessamento del Signore degli anelli da parte degli hippies statunitensi e del neofascismo italiano anni 70. I leghisti, però, sono quelli che per un certo periodo per distinguersi usavano i berretti nordisti quando inve- ce, nella guerra civile americana, i secessionisti erano i sudisti: ma si sa, la dimestichezza della Lega con la cultura può essere valutata alla luce di certi risultati alla maturità, il che dà la misu- ra della fondatezza dell’operazione. In conclusione, il film sarà pure di propaganda e storicamente impreciso, però sono 175 minuti epici di amore e guerra e liber- tà. Un film che si può vedere e rivedere, emozionandosi ogni volta e che dà voglia di essere visto con la spada in pugno gri- dando libertà. Solo che quel grido e soprattutto quella spada andrebbero por- tati anche fuori dalla sala, non fosse che il grido è punito come schiamazzo e le armi, tratto distintivo dell’uomo libero dai tempi più remoti, sono cattive. Così come gli inglesi ne vietarono il porto agli scozzesi, la saggezza del potere le vieta a noi, e così come ai tempi di Wallace, per chi crede nella libertà, e non nel mito castrante della non violenza, non restano che sassi e sam- pietrini per difenderla. Ferdinando Menconi Note: 1 Così comincia la poesia di Robert Burns, poeta nazionale scozzese, dedicata al discorso tenuto da Robert The Bruce prima della vittoria di Bannockburn che chiude il film di Gibson. Il compleanno di Burns è la festa nazionale scozzese. 2 Ugo Despenser il Giovane, fu evirato, i testicoli bruciati davanti ai suoi occhi, poi squartato e decapitato. Edoardo II, invece, la “Lupa di Francia” lo fece morire prigioniero in circostanze misteriose. 3 Lo fece James Douglas alla battaglia di Teba a fianco di Alfonso XI durante la Riconquista. Avrebbe voluto portare il cuore di The Bruce ad essere sepolto in Terrasanta, ma durante il viaggio decise di appoggiare la guerra di liberazione spagnola e durante la battaglia scagliò il conte- nitore d’argento in cui era il cuore del Re verso il nemico e lo caricò tro- vando la morte, ma la battaglia fu vinta. Per una storia musicale delle ribellioni di Scozia rinviamo al podcast su RadioAlzoZero, nel sito de Il Ribelle.com: http://www.ilribelle.com/archivi-radioalzozero/le-radici-profonde-non-sto- nano-1a-stagio/ribelli-di-scozia.html

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parole avvelenate Ci occuperemo Idratati invece di...:

a pagamento i rifiuti tossici/3

conti fatti manca solo l'aria che respiriamo. gli arresti per il terremoto Poi avranno privatizzato tutto. Dopo le stra- in Abruzzo de, la rete, le fogne, la luce, internet e il gas, adesso è la volta dell'acqua. A Dopo la Costituzione, i Tribunali, gli scanni in il superacceleratore Parlamento, le televisioni, e la moneta che usiamo, dopo i voli di stato usati per esigenze personali, dopo la pulizia delle strade e quella dei treni, dopo la scuo- iperinflazione, tasse alte o la e la sanità, è venuta la volta di privatizzare gli spazi default: le possibilità del 2010 pubblici. Spazi aerei privati, spiagge con accesso interdetto, zone marine protette e parchi chiusi, hanno privatiz- il mondo puro del rugby zato anche il suolo pubblico con le strisce blu. Mancano insomma ancora poche altre cose. L'etere l'hanno sistemato col digitale terrestre e i gasdotti le possibilità della Transizione con la guerra in Afghanistan. E ora dunque viene la volta dell'acqua che beviamo. Per migliorare il servizio, s'intende. Per far arrivare acqua a tutti. Esattamente come le Autostrade che non vengono migliorate perché ai privati costa trop- po e non rende oppure internet che non viene diffu- so perché valla a trovare una azienda che investe per quattro abbonamenti in un comune sperduto. Insomma dopo i servizi terziari hanno privatizzato quelli secondari ma, visto che la cosa non basta ancora, privatizzano anche quelli primari. Come l'ac- qua. Cosa resta? L'aria, appunto. Ma se non l'hanno privatizzata ancora non è perché sono buoni, è perché non hanno trovato ancora un sistema per farlo. Quando lo troveranno privatizzeran- no anche quella. E ci chiederanno una tassa anche per ogni scoreg- gia.

Steppenwolf di Alessio Di Mauro