Rassegna del 24/10/2017

FABI 13/10/2017 Giornale di Carate 1 Passaggio di consegne al congresso Fabi ... 1 9.28.00 Brianza 24/10/2017 Giornale di Vicenza 12 Fabi: «Ex BpVi, Intesa trovi come risarcire» Luciani Roberto 2 6.44.00 24/10/2017 Repubblica Palermo 9 Banco pegni nel mirino degli austriaci - Banco dei pegni, interesse Filippone Tullio 3 6.50.00 austriaco SCENARIO BANCHE 24/10/2017 Avvenire 7 Mdp: «Boschi fuori dal Cdm» La sottosegretaria sfida Di Maio Spagnolo Vincenzo_R. 4 3.57.00 24/10/2017 Corriere del 2 Fondazione Banco di Napoli, Padoan ha inviato gli ispettori Russo Roberto 5 4.47.00 Mezzogiorno Campania Invesiimenti, cambio di rotta - Fondazione Banco di Napoli, c'è l'ispezione del ministero Investimenti, cambio dirotta 24/10/2017 Corriere del Veneto 20 Banco Bpm, intesa a Treviso ... 6 5.27.00 Venezia e Mestre 24/10/2017 Corriere della Sera 1 Il caso Bankitalia e l'autogol politico - Bankitalia e l'autogol politico Galli della Loggia Ernesto 7 4.08.00 24/10/2017 Corriere della Sera 1 Euro, il futuro tra regole e mercato - Euro, più mercato e visione Reichlin Lucrezia 8 4.32.00 comune Il futuro possibile 24/10/2017 Corriere della Sera 11 Bankitalia in Consiglio dei ministri Diventa un caso la presenza di Meli Maria_Teresa 9 4.11.00 Boschi 24/10/2017 Corriere della Sera 11 Visco vola a Francoforte e rivendica il ruolo anti crisi «nonostante i Baccaro Antonella 10 4.17.00 venti contrari» 24/10/2017 Corriere della Sera 33 Mustier: l'italia non è più a rischio sistemico Ferraino Giuliana 11 4.40.00 24/10/2017 Corriere della Sera 39 Sussurri & Grida - Carige, voto «bulgaro» sui bond. E la palla g.str. 12 4.53.00 passa ai soci 24/10/2017 Corriere dell'Alto Adige 7 Le banche locali sotto la lente Popolare, il Ctcu va da Consob M.An. 13 5.53.00 Carispa, pressing dei grillini 24/10/2017 Eco di Bergamo 11 A WeAre Starting la gara delle start up fintech ... 14 4.35.00 24/10/2017 Eco di Bergamo 13 Costo del credito Tassi ancora fermi ... 15 4.41.00 24/10/2017 Eco di Bergamo 26 Caso IwBank Chiesto il processo per 14 indagati ... 16 5.11.00 24/10/2017 Foglio 2 Lettera. L'indipendenza di Bankitalia, ok. Ma si può ignorare il De Mattia Angelo 17 5.53.00 messaggio della politica? 24/10/2017 Foglio 3 Intervista a Guido Roberto Vitale - Perché lo choc a Bankitalia può a.bram. 18 6.00.00 essere un'opportunità. Parla Vitale 24/10/2017 Foglio Inserto 2 Intervista a Matteo Renzi - No alla democrazia dei falsari. Cerasa Claudio 19 6.09.00 Chiacchierata con Renzi 24/10/2017 Giornale 10 Boschi sotto attacco da sinistra: «Conflitto di interessi su Signorini Antonio 20 1.42.00 Bankitalia» 24/10/2017 Giornale 19 Mustier: «Per le banche il peggio è passato Governo e Authority Conti Camilla 21 1.52.00 hanno lavorato bene» 24/10/2017 Giorno - Carlino - 20 si espande ad Abu Dhabi «Il sistema Italia non è più a Gozzi Alessia 22 4.37.00 Nazione rischio» 24/10/2017 La Verita' 9 Ignazio Visco il travet irrilevante al servizio di Mario Draghi e della Perna Giancarlo 23 5.36.00 Merkel - Il grigio travet che si genuflette alla Merkel 24/10/2017 Manifesto 4 Bankitalia, Mpd attacca: Boschi non partecipi al consiglio dei Franchi Massimo 24 3.36.00 ministri 24/10/2017 Mattino 15 Fondo Invitalia, Bei punta 21 milioni di euro più finanziamenti per ... 25 1.43.00 le startup innovative 24/10/2017 Mattino 15 Bcp, sì al piano per il rilancio ... 26 1.46.00 24/10/2017 Messaggero 9 Braccio di ferro su Visco I renziani: «Sarà guerra» Gentili Alberto 27 1.33.00 24/10/2017 Messaggero 9 Boschi sfida Di Maio «Bugie? Vieni in tv» Tensioni su Visco - Piras Stefania 28 1.53.00 Boschi in Cdm diventa un caso E lei sfida Di Maio: confronto tv 24/10/2017 Messaggero 21 Unicredit inaugura la filiale di Abu Dhabi Mustier: «In Italia stop L.Mar. 29 1.57.00 rischio sistemico» 24/10/2017 Mf 2 Il caso Visco paralizza Mps - Il caso Bankitalia paralizza Mps Gualtieri Luca 30 3.14.00 24/10/2017 Mf 2 Nell'Eurozona il 25% di banche in meno in otto anni Brizzo Ugo 31 3.15.00 24/10/2017 Mf 3 Ma far passare giovedì senza un nome può penalizzarci a De Mattia Angelo 32 3.18.00 Francoforte 24/10/2017 Mf 3 Sul Governatore si decide venerdì Satta Antonio 33 3.20.00 24/10/2017 Mf 3 Carige, ok degli obbligazionisti alla conversione dei bond Gerosa Francesca 34 3.22.00 subordinati 24/10/2017 Mf 15 Unicredit vola ad Abu Dhabi Corvi Ester 35 4.40.00 24/10/2017 Mf 20 Contrarian - Mps, i difficili equilibri del Tesoro e la nuova senesità ... 36 4.55.00 24/10/2017 Mf 20 Ristrutturare senza licenziare in banca? Si può Rotondi Francesco 37 4.57.00 24/10/2017 MF Sicilia 1 Si rischia una nuova stretta Lo Re Carlo 38 6.52.00 24/10/2017 Nuova Sardegna 16 Bper e Banco: c'è un'ipotesi di fusione - Bper e Cz 39 6.20.00 spunta l'ipotesi di fusione 24/10/2017 Repubblica 4 L'analisi - Salvataggi bancari e scandali sanità ecco i conti del Ruffolo Marco 40 5.18.00 Nord che non tornano 24/10/2017 Repubblica 9 Bankitalia, ultime trattative su Visco A Palazzo Chigi ci sarà anche De Marchis Goffredo 41 5.07.00 Boschi - Bankitalia, Boschi sotto attacco "Per la nomina esca dal Cdm" Ma lei: ci sarò. Sfida Di Maio in tv 24/10/2017 Repubblica 22 L'aplomb di Mustier sulle regole Bce per i crediti Greco Andrea 42 5.15.00 24/10/2017 Repubblica Genova 1 Carige vende Dal palazzo di Milano 110 milioni Minella Massimo 43 6.05.00 24/10/2017 Sole 24 Ore 6 Eurozona, è sceso del 25% il numero delle banche A.Me. 44 1.25.00 24/10/2017 Sole 24 Ore 7 Entro venerdì la scelta per Bankitalia - Bankitalia, la scelta entro Palmerini Lina - Patta 45 1.28.00 venerdì Emilia 24/10/2017 Sole 24 Ore 7 L'analisi - No a populismi e generalizzazioni nel giudizio su Codogno Lorenzo - Galli 46 1.29.00 Bankitalia Giampaolo 24/10/2017 Sole 24 Ore 7 L'analisi - Serve una riforma: mandato singolo, Banca centrale più Piga Gustavo 47 1.29.00 autonoma 24/10/2017 Sole 24 Ore 37 «Per UniCredit presidente italiano Npl, serve trasparenza sulle Barlaam Riccardo 48 1.57.00 regole» 24/10/2017 Sole 24 Ore 37 Ing e l'algoritmo per i prestiti alle Pmi Ferrando Marco 49 1.58.00 24/10/2017 Sole 24 Ore 37 Bond Carige, sì a conversione obbligatoria de Forcade Raoul 50 6.22.00 24/10/2017 Sole 24 Ore 39 Parterre - Le sofferenze del Monte e il doppio ruolo di Quaestio Ma.Fe. 51 2.40.00 24/10/2017 Sole 24 Ore 40 Cdp incassa un nuovo rating da Scope Ce.Do. 52 2.46.00 24/10/2017 Stampa 9 Banche, la Boschi sfida Di Maio in tv ... 53 3.26.00 24/10/2017 Stampa 9 Visco tiene il punto con i dipendenti "Lavorato controvento con Barbera Alessandro 54 3.27.00 successo" 24/10/2017 Stampa 9 Il punto - Matteo Renzi e le spese di Banca Etruria G.PAO. 55 3.31.00 24/10/2017 Stampa 23 Carige. Ok alla conversione dei bond subordinati ... 56 3.40.00 24/10/2017 Stampa 23 Mustier: "Le banche italiane sanno gestire i crediti a rischio" Spini Francesco 57 3.43.00 24/10/2017 Stampa 30 Ecco come il digitale sta reinventando il mondo delle banche Castagneri Lorenza 58 5.13.00 WEB 23/10/2017 ECONOMIASICILIA.CO 1 Congressi e cessione del servizio credito su pegno da parte di ... 59 0.08.00 M Unicredit. Intervista a Carmelo Raffa Giornale di Carate Brianza 13-ott-2017

Passaggio di consegne al congresso Fabi art Passaggio di consegne alla Federazione Autonoma Bancari Italiani Monza e Brianza. Giovedì, in Villa Biffi, si è svolto il sesto congresso della Fabi provinciale che ha rinnovato il Consiglio direttivo. Corrado Villa, responsabile dell'anno della sua costituzione nel 1995, ha passato il testimone al neo coordinatore Emanuele Mietta. La nuova segreteria è poi composta da Oscar Aragone, già membro del comitato direttivo centrale, Mauro Radaelli, Franco Bergonzoli ed Erminio Manzi.

FABI 1 Giornale di Vicenza 24-ott-2017

Fabi: «Ex BpVi, Intesa trovi come risarcire» art Roberto Luciani Risarcimenti, recupero crediti, posti di lavoro. Guarda avanti la Fabi, ma l'anno che verrà - obiettivo messo a fuoco nel 19 congresso provinciale dei bancari autonomi vicentini - porterà con sé quello che accadrà anche in questo scampolo di 2017. Ben vengano, infatti, le buone notizie come i 100 milioni stanziati dal gruppo Intesa - che dallo Stato ha comunque ricevuto 5 miliardi di euro - per i 30 mila piccoli azionisti che si sono ritrovati fra le dita il cerino delle azioni azzerate. Ma sul tappeto le questione rotolano come dadi e lanci e rilanci si susseguono. Lando Maria Sileoni, segretario generale del sindacato, si affida al croupier. «Lo scriva tranquillamente, l'amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina è una persona seria, sensibile, attenta ai territori. Va incalzato con intelligenza». Non siamo al "caro amico ti scrivo" dell'omologa, nel titolo, canzone di Lucio Dalla, «ma il momento è drammatico e se vogliono recuperare in tempi brevi il rapporto con la gente e consolidarsi sul territorio possono trovare formule innovative». Certo, le normative sono note e non si possono regalare azioni ma per Sileoni si possono trovare formule di compensazione a scadenza. Anche con l'aiuto della politica e cominciando magari a sedersi allo stesso tavolo con le associazioni di consumatori. «Intesa può trovare la formula per risarcire i clienti. Ha gli strumenti per una analisi veloce della situazione della clientela, di chi ha subito danni e chi sapeva quello che faceva. Bastano un paio di mesi. E non c'è solo il denaro per compensare». Insomma, basta volerlo. Perché alla fine, come sottolineato dal riconfermato segretario provinciale Giuliano Xausa «con la Popolare di Vicenza sono bruciati 150 anni di storia e i risparmi di troppi vicentini». Per non parlare del nodo dei crediti da recuperare, che potrebbe mettere in ginocchio ditte e forse anche segmenti importanti del nostro tessuto economico-produttivo. Questione che fa il paio con gli npl, i prestiti non performanti, e le regole che la presidentessa del consiglio di vigilanza della Bce-Banca centrale europea, Danielle Nouy vorrebbe applicare. E mentre applaude l'idea della lente di ingrandimento" lanciata dal presidente della Provincia Achille Variati dello sportello provinciale e bacchetta la Federveneta delle Bcc («in un momento come questo dove c'è una instabilità di fondo, dire che difende l'autonomia delle Bcc, autonomia che non hanno più ma che è in capo semmai al capogruppo, è una sciocchezza») Sileoni ricorda che anche sul fronte interno, quello dell'occupazione e del mantenimento dei posti di lavoro, l'autunno potrebbe essere rovente. Volere è potere, e pure rimettersi in moto e ricominciare. •

FABI 2 Repubblica Palermo 24-ott-2017

Banco pegni nel mirino degli austriaci - Banco dei pegni, interesse austriaco art TULLIO FILIPPONE Le mani degli austriaci sul banco dei pegni. Dal Cinquecento è capolinea e ricettacolo di ricordi di famiglie, commercianti, imprese in crisi che impegnano cimeli, oggetti preziosi, merci invendute in cambio di soldi freschi. Ma in un'economia come quella siciliana, il Monte di Pietà vale molto di più. Tanto che tra il palazzo Unicredit di via Pasquale Calvi e le altre filiali, nell'Isola sono impiegate 50 persone, un quarto dei circa 200 addetti, che il secondo gruppo bancario italiano utilizza nel territorio nazionale. E al punto che, il 13 agosto 1991, Cosa Nostra decise di portare via 18 miliardi di lire in collane, orecchini, bracciali e anelli dal banco dei pegni che allora apparteneva alla Sicilcassa. Un sistema che, oggi, nelle 35 filiali della Penisola genera impieghi per 200 milioni di euro e 33mila prestiti al mese e che nell'Isola, secondo gli addetti ai lavori, ammonta a decine di milioni. Sono queste cifre e una tradizione secolare, che probabilmente hanno convinto il gruppo austriaco Dorotheum, la più grande casa d'aste di lingua tedesca con sede a Vienna, prima per giro d'affari in Europa, 700 dipendenti di cui 200 fuori dall'Austria, a trattare con il gruppo guidato da Jean Pierre Moustier per la cessione del settore pegni. Tra cui appunto la sede palermitana di via Calvi, che dal 1982 ha sostituito il palazzo della "Pannaria" nell'odierna piazza del Monte di Pietà, le succursali di Catania e Messina e gli sportelli misti con alcune funzioni di banco dei pegni ad Agrigento, Caltanissetta, Caltagirone, Gela, Mazara del Vallo, Siracusa e Trapani. L'istituto di credito preferisce non commentare la notizia. Ma sono di diverso avviso i sindacati, preoccupati della mancanza di chiarezza da parte dell' azienda, della tutela dei posti di lavoro e dell'opera "di dismissione e ridimensionamento", con la cessione di attività come il pegno di "alta redditività". «Nel Natale di due anni fa sono venuti dei delegati della Dorotheum che hanno visitato tutte le sedi principali italiane — dice Giuseppe Angelini della Fabi per Unicredit Regione Sicilia — Lo scorso 12 settembre, in occasione di un incontro sindacale a Milano, l'azienda ha ammesso l'esistenza di una trattativa con gli austriaci». Secondo le sigle che riuniscono i sindacati di categoria gli austriaci sono interessati delle figure professionali impiegate nelle strutture, che, una volta stabilito il prezzo del bene, stipulano polizze trimestrali o semestrali concedendo in liquidità 1'80 per cento del prezzo stabilito. O organizzano aste, come quelle "di Natale" del palazzo di via Calvi, dove in caso di vendita a un prezzo superiore alla stima iniziale, il surplus resta nelle mani del titolare della polizza per altri cinque anni. «La sede di Palermo è la seconda in Italia dopo quella di Roma per il volume di impegni — aggiunge Angelini, che lavora come banditore d'asta — e vi lavorano una quarantina di persone tra le quali gli estimatori, specializzati nel quantificare il valore degli oggetti impegnati, i gemmologi che rilasciano i certificati gemmologici dei gioielli e che a Palermo sono gli unici attivi del centro Sud insieme a Napoli». Ma chi frequenta oggi il banco dei pegni in Sicilia? «Il pubblico è trasversale, non solo famiglie e imprenditori, ma anche gioiellieri e commercianti in cerca di liquidità, che vendono le merci rimaste in magazzino come gioielli o tappeti preziosi anche se prima si impegnavano anche pellicce e biancheria — dice Francesco Re della Fisac Cgil — in una società come quella siciliana il banco dei pegni è ancora un baluardo contro l'usura e il proliferare dei compro oro e per l'economia una gallina dalle uova d'oro».

FABI 3 Avvenire 24-ott-2017

Mdp: «Boschi fuori dal Cdm» La sottosegretaria sfida Di Maio art VINCENZO R. SPAGNOLO Non ci sono conferme ufficiali di un' accelerazione. Tuttavia, il dossier della nomina del governatore di BanKitalia è ormai rovente. Per il tam tam di maggioranza, potrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri questo venerdì. I contatti fra governo e Quirinale proseguono. Nel frattempo, anche se il segretario del Pd Matteo Renzi asserisce che rispetterà qualsiasi decisione del premier Paolo Gentiloni (compresa quella di confermare l'uscente Ignazio Visco), lo tsunami politico innescato dalla mozione di critica del Pd continua a sollevare ondate potenti. L'ultimo affondo è costituito dall'interrogazione parlamentare del deputato Arturo Scotto (Mdp-Articolo 1), che chiede al presidente del Consiglio e al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che la sottosegretaria Maria Dena Boschi non partecipi al Cdm in cui si prenderà la decisione. Scotto manifesta «gravissime perplessità», ritenendo che «su di lei gravi un pesante conflitto di interessi, che non può essere più ignorato». E cita «la normativa che regola le operazioni peri soggetti in conflitto di interesse», tirando in ballo suo padre, Pier Luigi Boschi, «le cui attività, in qualità di ex vice presidente di Banca Etruria, sono state a lungo oggetto della vigilanza bancaria e finanziaria operata da Palazzo Koch». Il grado di parentela fra i due, secondo il deputato di Mdp, rientra «nella fattispecie giuridica "stretti familiari", di cui alla Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 della Banca d'Italia» sui «conflitti di interesse nei confronti di soggetti collegati». Per Scotto, dunque, Boschi dovrebbe «stare lontana qualche chilometro dal Cdm che nominerà il governatore». E un'altra frecciata arriva da M5S, col vicepresidente della Camera Luigi Di Maio che ironizza «Renzi e Boschi sono gli aguzzini dei risparmiatori italiani, non i loro salvatori» e dimenticano «quando fecero, «in 20 minuti un decreto per salvare la banca della Boschi e mandare sul lastrico centinaia di migliaia di risparmiatori». In serata, la replica, con un post su Facebook: «Non avevo e non ho nessuna banca, mio padre è stato mandato a casa come tutti, noi abbiamo salvato i correntisti», ribatte Boschi. Poi passa al contrattacco: «Ora basta con le bugie: sono pronta a un dibattito televisivo con l'onorevole Di Maio sulla questione bancaria e, più in generale, sulle misure che noi abbiamo preso per salvare l'Italia dalla crisi, mentre il M5S rincorreva le scie chimiche e la lotta ai vaccini». Entriamo nel merito, insiste l'ex ministra, «e vediamo chi sta mentendo agli italiani». Insomma, la brace delle polemiche resta viva, mentre il governo ragiona sulla decisione da prendere. Il mandato di Visco (6 anni, rinnovabile una sola volta) scadrà martedì 31 e una vacatio potrebbe offuscare l'autorevolezza all'estero dell'istituto (già dopodomani c'è un direttivo della Bce presieduto a Francoforte da Mario Draghi). Se l'esecutivo dovesse decidere di non confermare Visco, il profilo che potrebbe consentire un cambiamento garantendo la continuità, potrebbe essere indivuato fra gli altri 4 componenti del Direttorio, l'organo collegiale che guida Banldtalia. Oltre al governatore, vi siedono il direttore generale Salvatore Rossi (67 anni, barese, «sostituisce»Visco in caso d'assenza o impedimento) e i tre vice: Fabio Panetta, 58enne romano; Luigi Federico Signorini, 62 anni, di Firenze; e Valeria Sannucci, 64 anni, romana. Salvo sorprese, comunque possibili, da questa ristretta rosa potrebbe venir fuori il nome dell'undicesimo governatore di Palazzo Koch. Ma a guidare la Banca d'Italia sono in 5, in modo collegiale Nei suoi 125 anni di vita (li festeggerà nel 2019), la Banca d'Italia ha avuto 10 governatori, ma ben 19 direttori generali: fino alla riforma del 1928, toccava infatti a quella figura dirigere l'istituto. Da allora e fino al 1993, per 5 volte su 6 (unica eccezione Luigi Einaudi, eletto nel gennaio 1945) il passaggio dalla poltrona di dg a quella di governatore è stato quasi automatico. Oggi la guida di Palazzo Koch è collegiale ed è affidata a un Direttorio con 5 membri (governatore, direttore generale e tre vice direttori). Le decisioni sono assunte a maggioranza dei presenti. L'unico privilegio attribuito alla prima carica (al quale peraltro Visco non ha mai fatto ricorso) è che, in caso di parità, prevalga il voto del governatore.

SCENARIO BANCHE 4 Corriere del Mezzogiorno Campania 24-ott-2017

Fondazione Banco di Napoli, Padoan ha inviato gli ispettori Invesiimenti, cambio art di rotta - Fondazione Banco di Napoli, c'è l'ispezione del ministero Investimenti, cambio dirotta

Economia Venerdì in Consiglio nuove indicazioni per la gestione Fondazione Banco di Napoli, Padoan ha inviato gli ispettori Investimenti, cambio di rotta Il ministero dell'Economia ha avviato l'ispezione sulla gestione della Fondazione Banco di Napoli in seguito agli esposti inviati nei mesi scorsi. Gli ispettori di Pier Carlo Padoan sono arrivati a Napoli a fine luglio, ma la notizia è trapelata solo ieri. Sulla scrivania del capo dell'ufficio Vigilanza, Alessandro Rivera, dovrà arrivare la relazione dei delegati, poi il ministero prenderà le eventuali decisioni. Intanto, per venerdì prossimo è fissata la riunione del Consiglio d'indirizzo della Fondazione con all'ordine del giorno i criteri per gli investimenti. a pagina 3 Fondaz: [one Banco NaDoli' c'è l'ispezione del ministero Investimenti, cambio di rotta Venerdì in Consiglio d'indirizzo nuove indicazioni per la gestione La vicenda • II ministero dell'Economia ha attivato l'ispezione nei confronti dei vertici della Fondazione Banco di Napoli dopo l'invio di numerosi esposti e la richiesta di chiarimenti da parte dell'Ufficio Vigilanza diretto da Rivera NAPOU Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha autorizzato l'ispezione sulla Fondazione Banco di Napoli dopo gli esposti di due consiglieri generali, le polemiche dei mesi scorsi e l'articolato documento di rilievi inviato a luglio da Alessandro Rivera, il capo dell'ufficio vigilanza. Così, mentre si attendono gli sviluppi dell'indagine avviata dalla Procura di Napoli, con l'ipotesi di abuso d'ufficio per gli investimenti decisi nel 2oi6 in banche private, ora viene fuori la decisione ministeriale. L'avvio dell'ispezione risale all'estate scorsa ma la notizia è trapelata solo ora. Nel mese di luglio sono arrivati nella sede della Fondazione due ispettori inviati dal Mef e hanno richiesto alcune informazioni ai responsabili della gestione della Fondazione, soffermandosi anche ad esaminare documenti. Gli ispettori, come prevede la procedura, hanno poi preparato una relazione per il capo della Vigilanza, il quale dovrà assumere le decisioni previste dalla legge. Va detto che sia il cda della Fondazione, sia il collegio sindacale, avevano già provveduto a rispondere con una pro *** pria memoria ai rilievi avanzati nel documento del ministero. Tra i punti sui quali erano state evidenziate criticità, l'investimento in Banca regionale di Sviluppo per oltre sei milioni di euro, e l'aumento della partecipazione in Banca del Sud. Decisioni che hanno provocato un durissimo scontro all'interno della Fondazione (con le critiche dei professori Abbamonte e Palmieri e gli esposti del professor Fimmanò). Nel documento del Mef veniva sottolineato che le decisioni sugli investimenti bancari dovevano essere sottoposte all'organo di indirizzo, cioé al Consiglio generale. Mentre un capitolo a parte riguarda la complessa vicenda di Francesco Fimmanò, il giurista indicato dalla Regione Campania ed estromesso con una votazione durante l'ultima seduta di Consiglio generale del 27 aprile scorso. Il Ministero dell'Economia aveva invitato la Fondazione a soprassedere al rimpiazzo, «in attesa di un definitivo pronunciamento di questa autorità sulla vicenda». Il posto di Fimmanò insomma dovrebbe restare congelato. Alla Fondazione e al Collegio sindacale era stato chiesto di riferire su tutti gli aspetti della complessa vicenda. Sempre l'estate scorsa, un gruppo di sei consiglieri contrari alla linea seguita dal presidente Marrama (Andrea Abbamonte, Rosella Paliotto, Orazio Abbamonte, Vincenzo Di Baldassarre, Rossella Paliotto, Francesco Caia, Antonio Baselice e Donato Pessolano) aveva a sua volta inviato al ministem dell'Economia un documento di replica nel quale, in buona sostanza, si condividevano i rilievi ministeriali e si prendevano le distanze dalle scelte del cda. Il consiglio d'indirizzo in quell'occasione si divise letteralmente a metà tra favorevoli e contrari alle scelte del board. Intanto nei giorni scorsi è stata presa anche un'altra importante decisione: nell'ordine del giorno della prossima seduta, fissata per venerdì, è stata inserita la «definizione delle linee generali della gestione del patrimonio e delle politiche degli investimenti». Era quello che da tempo chiedevano i consiglied del dissenso. Per i sei si tratta di una svolta perché c'è la possibilità di riscrivere le regole e magari sancire formalmente il divieto per il cda di deliberare decisioni rischiose. Ovviamente a patto di trovare una difficile intesa in consiglio. Roberto Russo Indagine II presidente della Fondazione Banco di Napoli Daniele Marrama ***

SCENARIO BANCHE 5 Corriere del Veneto Venezia e Mestre 24-ott-2017

Banco Bpm, intesa a Treviso art Treviso «Uno dei nostri mantra ricorrenti è o di continuare ad erogare credito a imprese e famiglie». Lo ha detto ieri l'amministratore delegato di Banco-Bpm, Giuseppe Castagna, in occasione della sottoscrizione di un accordo con Unindustria Treviso a supporto delle aziende locali. L'iniziativa stanzia risorse per 400 milioni e prevede particolari condizioni migliorative per il finanziamento degli investimenti destinati ad innovazione tecnologica. La presidente della associazione, Maria Cristina Piovesana, da parte sua, ha chiesto al sistema bancario «una sempre più adeguata capacita di analisi prospettica delle nostre imprese e dei loro progetti, che devono però controllare l'equilibrio finanziario e comunicare meglio i loro progetti e al modo di realizzarli». ***

SCENARIO BANCHE 6 Corriere della Sera 24-ott-2017

Il caso Bankitalia e l'autogol politico - Bankitalia e l'autogol politico art di Ernesto Galli della Loggia Sono due le questioni, entrambe di merito, che ha posto la mozione con la quale, su ordine di Matteo Renzi, il Partito democratico ha in pratica sfiduciato il governatore della Banca d'Italia. Una è da giorni ampiamente analizzata, dissezionata e commentata: e riguarda, per l'appunto, la decisione del segretario del Pd di mettere spregiudicatamente in gioco sul tavolo traballante delle sue fortune elettorali l'immagine di un'istituzione incaricata di funzioni importanti e delicate come la Banca d'Italia. Una mossa che si commenta da sola, e che peraltro sta ritornando come un boomerang addosso al suo improvvido ideatore, a ennesima riconferma di come la sconfitta sul referendum del 4 dicembre sembri davvero — come si dice proprio dalle sue parti — aver «mandato ai pazzi» l'ex premier, il quale da quel giorno non riesce più a riacquistare lucidità strategica né capacità di consenso. Ma dietro tale questione se ne delinea una seconda. E cioè la questione del modo di essere e di funzionare del meccanismo di decisione nell'ambito delle istituzioni politiche del nostro Paese. In altre parole la questione di cosa sia e come funzioni il potere italiano; di come prenda le sue decisioni. In che modo, ad esempio, vengono nominati i vertici dei maggiori enti ed apparati pubblici? L'Italia, si sa, non ha la fortuna di essere guidata da un esecutivo forte e stabile nel quadro di una efficace divisione dei poteri. a nostra Costituzione — complice poi un dna proporzionalistico che risale alle origini ciellenistiche della Repubblica, e grazie anche agli infelici regolamenti delle Camere — ha consegnato il Paese a un regime parlamentaristico- partitico, che essa ha cercato poi di controbilanciare con l'innesto di una figura di presidente della Repubblica dotato di poteri assai ampi, più o meno analoghi a quelli a suo tempo attribuiti al re dallo Statuto. Il risultato finale è che le decisioni importanti non possono mai essere prese da un unico potere, anche quando formalmente gli spetterebbero, bensì devono necessariamente passare attraverso un diverso e complesso meccanismo: quello della «concertazione». Che in pratica funziona così: per un periodo imprecisato ma raramente breve di tempo (decidere in Italia non è mai questione di ore, quasi sempre neppure di giorni: perlopiù si va avanti a «parlarne» per mesi) due, tre, o anche più poteri — come minimo segretario/segretari del o dei partiti di maggioranza, presidenza del Consiglio, uno o più ministri, presidenza della Repubblica — interloquiscono fra loro e attraverso un contorto gioco di indicazioni, di veti, di scambi, di compensazioni, di promesse a buon rendere, alla fine si mettono d'accordo sul testo di un provvedimento o su un nome. Anche la designazione di una persona capace e meritevole di ogni stima come Ignazio Visco è avvenuta inevitabilmente in questo modo. Inutile sottolineare le due più ovvie conseguenze negative di un metodo del genere. Innanzi tutto la sua fin troppo facile assimilabilità al «mercato delle vacche», con relativo discredito della politica a maggior vantaggio del qualunquismo di ogni genere e misura; e poi la qualità in genere mediocre di scelte che perlopiù avvengono inevitabilmente all'insegna del compromesso. In realtà la «concertazione» corrisponde al riconoscimento da ciò che è nelle cose: la frantumazione istituzionale del potere italiano. In Italia tutta l'attività di direzione politica (e non solo) è segmentata e dominata dalla «concertazione», spesso trasfigurata idealmente nella figura dell'«etichetta istituzionale». La quale vuol dire quasi sempre questo: non fare o non decidere alcunché senza essersi sincerati che siano d'accordo tutti coloro che a torto o a ragione potrebbero avere qualcosa a ridire. Cioè, in pratica, non decidere nulla che dia fastidio a qualcuno. Con la mozione di sfiducia verso Visco Matteo Renzi ha cercato in un certo senso di fermare il tempo: di ritornare alle proprie origini di outsider rimarcando la sua estraneità ai modi d'essere del potere italiano e la sua volontà di contrapporsi ad esso e alla sua «etichetta». Lo ha fatto quasi mimando il ruolo di rottura che ormai da tempo svolge il Movimento dei 5 Stelle; ma non comprendendo che per lui tale ruolo è ormai impossibile. Il tempo non passa invano, infatti. Non si può recitare la parte dell'outsider, non ci si può chiamare così platealmente fuori, quando da anni si è il capo del principale partito della maggioranza, quando per anni si è stati al governo frequentando il potere in tutti i suoi saloni, stanze e sottoscala. Frequentando il quale Renzi avrebbe dovuto apprendere anche, tra l'altro, che pur in un Paese sbrindellato e maleducato come è ormai il nostro vi sono tuttavia delle istituzioni, degli ambiti operativi, delle sfere pubbliche, non già sottratte per principio alla critica politica, sempre lecita, ma indisponibili a essere trascinati nella polemica estemporanea e nella strumentalizzazione, che sono cose ben diverse. Voler sanare la patologia del potere italiano, rappresentata tra l'altro dalla «concertazione» e dal suo permanente sottinteso consociativo, è in sé una cosa sacrosanta. E mi pare

SCENARIO BANCHE 7 ovvio che in particolare questo debba essere l'obiettivo di un esponente politico come Matteo Renzi che mira a una forte leadership personale sostenuta da un'adeguato progetto di riforma istituzionale. Ma sbaglia di grosso, e anzi segna solo un autogol, se egli pensa di poterlo fare usando la stizza, cedendo a un moto di rabbia o, peggio, di rivalsa elettoralistica. La verità è che dopo il 4 dicembre il segretario del Pd è ancora alla ricerca di una nuova linea politica in armonia con la sua ispirazione originaria così come di una nuova e più convincente cifra stilistica personale. Ma prendersela con la Banca d'Italia non lo aiuta di certo a trovare né l'una né l'altra. ***

SCENARIO BANCHE 8 Corriere della Sera 24-ott-2017

Euro, il futuro tra regole e mercato - Euro, più mercato e visione comune Il futuro art possibile

di Lucrezia Reichlin Dopo l'analisi delle scorse due puntate valutiamo oggi le proposte di riforma in campo. Partiamo dal punto di vista tedesco. La Germania vuole più rigore nelle regole e più mercato. Uno Stato che arrivi all'insolvenza, secondo la Germania, deve poter ristrutturare il suo debito. er questo, l'Unione Monetaria deve dotarsi di indicazioni chiare sulle condizioni in cui questo avvenga e di strumenti di monitoraggio appropriati. La logica di questa posizione è chiara. Come sostenuto nell'articolo di ieri, la possibilità di ristrutturare (e quindi penalizzare i creditori) è condizione necessaria per rendere credibile il principio del «no bailout» (nessuno Stato dell'Unione può salvarne un altro). La possibilità che un Paese vada in default e ristrutturi il suo debito costituisce un incentivo potente alla disciplina di bilancio poiché il rischio si riflette sui tassi di interesse sul debito e quindi sulle condizioni di rifinanziamento degli Stati. Una volta accettato questo principio, diventa chiaro che i titoli di Stato dei diversi Paesi della Unione hanno diversa rischiosità. Quindi, sostiene la Germania, è sbagliato considerarli tutti a rischio zero ai fini dei requisiti del capitale regolatorio nei bilanci delle banche, come lo sono oggi. In caso il Paese sia solvibile, ma abbia bisogno di liquidità temporanea, scatta invece l'intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) che la eroga a condizione che si mettano in atto politiche di rigore di bilancio che eliminino la fonte del rischio. La Germania, infine, non accetta di introdurre alcun sistema di condivisione del rischio, come per esempio l'Assicurazione europea dei depositi, senza che si agisca prima per eliminare le differenze di rischio tra Stati e banche dell'Unione. Veniamo ora al punto di vista francese. Quest'ultimo è da sempre diverso sia per ragioni culturali che per interesse economico. I francesi insistono su una maggiore flessibilità nell'applicazione delle regole quando un'economia è sotto stress. Regole sì quindi, ma anche discrezionalità per evitare pro-ciclicità delle politiche di bilancio. Inoltre la Francia ha più simpatia per strumenti anche fiscali per la condivisione del rischio. Ha parlato di un fondo di stabilizzazione europeo alimentato da risorse fiscali comuni e, in alcune istanze, di eurobonds. Si è pronunciata spesso a favore dell'irrobustimento della capacità finanziaria dell'Esm affinché esso diventi veicolo potente di erogazione di liquidità agli Stati ma anche direttamente alle banche in crisi. In genere la Francia tende ad accentuare il rischio di crisi di liquidità del presente sistema mentre la Germania ne sottolinea il pericolo di azzardo morale, ossia l'effetto disincentivante alla disciplina che deriva dalla prospettiva di un intervento pubblico. Le due posizioni sono molto diverse e ambedue presentano dei limiti. La prima, perché incentivi di mercato, in assenza di strumenti per la condivisione del rischio, creerebbero volatilità e molto probabilmente un'implosione della moneta unica. La seconda, perché richiede la messa in comune di risorse dei contribuenti che non sono né realistiche né legittime in assenza di istituzioni politiche federali che accompagnino il processo decisionale. Una soluzione di compromesso è quindi difficile, ma necessaria. Un tavolo franco-tedesco e un impegno dichiarato a trovarla c'è, ma finora non ha partorito nessuna proposta concreta se non l'espressione di un generico parere favorevole a un bilancio dell'Unione Europea, a un ministro delle Finanze comune e alla creazione di un Fondo Monetario Europeo. Sembrano passi molto ambiziosi, ma la mancanza di dettagli desta il sospetto che si tratti di una dichiarazione di intenti per dimostrare una volontà di cooperazione la quale però deve ancora trovare le sue gambe. La posta in gioco qui è la dimensione del bilancio comune. Non è realistico pensare che la Ue possa imporre una tassa europea tale da alimentare un fondo sufficientemente grande da agire ai fini della stabilizzazione ciclica. Non lo è perché, per chiedere ai cittadini di contribuire, bisognerebbe dargli l'opportunità di partecipare al processo decisionale, ma gli strumenti democratici rimangono oggi fondamentalmente nazionali. Con ogni probabilità, quindi, il fondo europeo, con pochi mezzi a disposizione, sarebbe piuttosto uno strumento finanziariamente limitato per progetti ad hoc soggetti a condizionalità sulle politiche di riforma. Costituirebbe quindi un ennesimo strumento intrusivo nelle politiche nazionali che avrebbe scarsa legittimità. Stesse considerazioni valgono per la proposta del presidente della Commissione europea Junker che anch'essa sostiene la causa della triplice: bilancio comune, comune ministro delle Finanze e fondo monetario europeo. Ma di cosa abbiamo veramente bisogno? Un nuovo compromesso francotedesco deve garantire stabilità, evitare episodi di pro-ciclicità della politica economica e riequilibrare le

SCENARIO BANCHE 9 responsabilità per evitare di chiedere troppo alla Banca Centrale Europea con relativo pericolo di forzare il suo mandato. Il compromesso che auspico può essere riassunto così più mercato, come vogliono i tedeschi, in cambio di un framework macroeconomico meno intrusivo e della introduzione di strumenti che aiutino a condividere il rischio in caso di crisi senza che questo implichi trasferimenti permanenti da un Paese all'altro. Più mercato significa innanzitutto accettare il principio della ristrutturazione del debito. Quest'ultima — tanto temuta dall'Italia — aiuterebbe in realtà a risolvere la tensione tra i Paesi dell'euro che hanno bisogno del consolidamento e/o di riforme, ma non vogliono essere obbligati a seguire politiche imposte dall'esterno e i Paesi creditori che temono che se non si seguono strettamente le regole, i prestiti dell'Europa possano indurre all'azzardo morale. Rafforzando la disciplina di mercato la procedura di ristrutturazione richiederebbe meno disciplina di Bruxelles. E se la disciplina di mercato fallisse, la risoluzione della crisi richiederebbe meno austerità (i creditori privati pagano in quel caso). Ne consegue che questa via è più equa per la popolazione e rafforza il consenso alle riforme necessarie. Più mercato significa anche accettare il principio che non tutti i titoli di Stato sono egualmente rischiosi, ma questo potrebbe essere accompagnato da un incentivo regolatorio affinché le banche diversifichino dal punto di vista geografico i titoli detenuti in bilancio. Ci sono varie proposte tecniche in discussione che vanno in questa direzione. Un sistema di questo tipo, però, deve essere accompagnato da ulteriori strumenti che, durante le crisi, permettano di preservare l'integrazione finanziaria e quindi facilitino la diversificazione del rischio. Ciò implica rafforzare la capacità di erogazione di liquidità per banche e Stati da parte dell'Esm, magari permettendogli di rifinanziarsi presso la Bce, introdurre la assicurazione comune per i depositi bancari, rinforzare il fondo di ricapitaliz7azione delle banche e costruire un mercato unico dei capitali. Tutte queste misure romperebbero la correlazione tra rischio bancario e rischio sovrano, una delle cause fondamentali del crunch del credito sperimentato nel Sud d'Europa negli anni della crisi e terrebbero a bada le crisi speculative contro il debito senza dover fare esclusivamente conto sulla Bce come garante unico dell'integrità dell'Unione. Queste misure non hanno l'appeal di altre che parlano più direttamente alla gente come la proposta di un'assicurazione europea alla disoccupazione, politiche per il sostegno alla povertà e investimenti, ma sono la condizione necessaria non solo per rendere l'euro robusto, ma anche per permettere politiche di stimolo anti-ciclico. in caso di stress. Molto altro è necessario per sostenere la crescita e garantire più giustizia sociale, ma non tutto si deve fare con l'Europa. Soprattutto non prima di dotarsi delle istituzioni democratiche comuni che lo rendano legittimo. Veniamo ora all'Italia. Chiedere più flessibilità delle regole senza accettare il principio dell'incentivo del mercato per stabilizzare bilanci di banche e Stati è velleitario. Il continuo negoziato con Bruxelles finisce per erodere la fiducia e far saltare il banco. Ragioniamo invece sul compromesso indicato sopra e cosa implichi per noi. Rischi certamente ce ne sono. Ogni sistema basato su incentivi di mercato significa pressione sui tassi per Paesi indebitati e pressione per quelle banche che, come le nostre, sono imbottite di buoni del tesoro nazionali. Ma nel compromesso più mercato e meno regole ci sono anche i vantaggi di riconquistare la sovranità sulle scelte di politica economica. Ma se volessimo seguire questa strada, dovremmo giocare di anticipo e contrattare una fase di transizione che ci consenta di pulire e consolidare i nostri bilanci. Per farlo, dobbiamo analizzare i problemi nel loro insieme, invece che andare a contrattare su ognuno singolarmente. Ma per questo ci vuole la forza di una visione condivisa per un progetto per l'Italia, in un percorso europeo sapendo che l'Europa ha per noi una importanza strategica assoluta. La Francia ha La Germania non accetta parlato di un fondo l'assicurazione europea dei depositi di stabilizzazione senza che si agisca prima per europeo e di euro- eliminare le differenze di rischio tra bond Stati e banche dell'Unione

SCENARIO BANCHE 10 Corriere della Sera 24-ott-2017

Bankitalia in Consiglio dei ministri Diventa un caso la presenza di Boschi art ROMA Maria Elena Boschi è pronta a un confronto televisivo con Luigi Di Maio sulla vicenda di Bankitalia. Il guanto di sfida è stato gettato, ora sta al candidato premier dei cinque stelle accettarlo o fare marcia indietro. La sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, infatti, si dice stufa di insinuazioni e critiche. Il conto alla rovescia che porterà al Consiglio dei ministri che deciderà su Bankitalia è già partito. I grillini insistono. E anche Mdp è andato all'attacco di Boschi. In una interrogazione a Gentiloni, a firma di Arturo Scotto, si chiede che la sottosegretaria non partecipi al Com di venerdì prossimo perché su di lei «grava un pesante conflitto di interessi che non può essere più ignorato» considerato anche che le attività del padre Luigi, in qualità di ex vicepresidente di Banca Etruria, «sono state a lungo oggetto della vigilanza bancaria e finanziaria operata da Palazzo Koch». «Attaccano lei per attaccare me», dice al collaboratori Matteo Renzi. Mai la lei in questione sa bene quale sia la posta in gioco. «Non capisco che polemica sia questa», dice Boschi. E poi aggiunge, scandendo bene sillaba per sillaba: «Io andrò». Già la sottosegretaria sarà presente alla riunione del Cdm per la nomina del governatore di Bankitalia. Non ha intenzione di nascondersi e men che meno di stare appreso al «chiacchiericcio». Paolo Gentiloni è dello stesso avviso: «Maria Elena è la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, è ovvio che ci deve stare». Dunque, questa partita è chiusa, con buona pace di Mdp. Boschi sarà al Consiglio dei ministri in cui si deciderà o meno la conferma di Ignazio Visco. E non contrasterà quella nomina: «Deciderà Gentiloni». Anche se al Nazareno sostengono che «non è Paolo Gentiloni a decidere quel passaggio, bensì Mario Draghi». Dicono che «è il numero uno della Bce a stabilire chi sarà il governatore di Bankitalia» e hanno deciso di accettare questo iter. Nonostante al Nazareno qualcuno dica: «Gentiloni e Mattarella avrebbero dovuto andare prima da Draghi per spiegargli che ci voleva un segnale di rinnovamento anche in Bankitalia e per dirgli di indicare un altro nome che non fosse Visco». Era la strada che Matteo Renzi aveva già indicato. Ma così non è stato. «E adesso — confida al suoi il segretario del Pd — abbiamo un governatore che è stato bocciato da metà del Parlamento e che dovrà essere audito dalla commissione d'inchiesta». Ma in queste beghe Boschi non vuole entrare e affida a un post su Facebook il suo pensiero: «Leggo in una dichiarazione di Di Maio in cui vengo definita aguzzina dei correntisti. Prosegue il vicepresidente della Camera: "Hanno fatto un decreto per salvare la banca della Boschi". Di Maio, come spesso gli accade, parla di cose che non conosce. Io non ho nessuna banca, ma mio padre è stato per otto mesi vicepresidente di Banca Etruria. E, come tutti i membri del cda è stato commissariato dal nostro governo, cioè mandato a casa proprio da noi. Ora basta con le bugie: sono pronta a un dibattito televisivo con l'onorevole Di Maio. Entriamo nel merito e vediamo chi sta mentendo agli italiane . Maria Teresa Meli GOVERNATORE Organo monocratico al vertice di organizzazioni o enti territoriali, è così definito chi guida la Banca centrale. I compiti del governatore della Banca d'Italia vanno da rappresentare l'istituto e presiederne l'assemblea a informare il governo sulla finanza estera o interna. L'incarico dura sei anni, è rinnovabile una sola volta ma non è prorogabile. La nomina è disposta con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del consiglio superiore della Banca d'Italia. ***

SCENARIO BANCHE 11 Corriere della Sera 24-ott-2017

Visco vola a Francoforte e rivendica il ruolo anti crisi «nonostante i venti contrari» art di Antonella Baccaro ROMA Il consiglio dei ministri che dovrà designare il prossimo Governatore di Banca d'Italia è fissato per venerdì prossimo. La decisione di non accelerare i tempi potrebbe essere letta come un messaggio distensivo che il governo vuole inviare dopo la bufera scatenata martedì scorso dalla mozione presentata dal Pd che ha chiesto all'esecutivo di indicare la «figura più idonea» a stabilire un «nuovo rapporto di fiducia» con i risparmiatori. Ieri la discussione sulla riconferma dell'attuale governatore, Ignazio Visco, ha subito una battuta d'arresto dopo che il segretario del Pd ha chiarito in televisione di non voler insistere sulla polemica e di considerare raggiunto il suo obiettivo: prendere le distanze da chi ha gestito la fase più turbolenta vissuta dalle banche italiane. Affermazioni che certo non tolgono le castagne dal fuoco a Gentiloni cui sta il compito di spiegare come una eventuale riconferma di Visco potrebbe porsi in linea con la mozione del Pd su cui lo stesso governo ha dato parere positivo, dopo aver apportato alcune modifiche. Peraltro l'attacco mosso ieri da Mdp al sottosegretario Maria Elena Boschi evidenzia come il confronto tra punti di vista diversi non è destinato a esaurirsi con la nomina del vertice di Bankitalia e si protrarrà per tutta la campagna elettorale. I giorni che mancano al consiglio dei ministri dunque saranno utili a tutte le istituzioni coinvolte, compresi i vertici di Bankitalia, per fare una profonda riflessione su ciò che sia più opportuno fare per sminare definitivamente il terreno. Al momento nessuna opzione può dirsi esclusa. Intanto íl governatore ieri ha salutato con una stretta di mano 7i dipendenti dell'Istituto che festeggiavano 3o anni di lavoro, a loro ha consegnato una riflessione: «Non è uno slogan dire che stiamo uscendo dalla più grave crisi economica della nostra storia in Italia. La Banca d'Italia non ha contribuito a questa crisi, ha operato con successo nonostante i venti contrari per contenerne gli effetti e risolvere le situazioni più difficili». Sempre ieri Visco ha terminato con il suo staff il lavoro di preparazione per il consiglio dei governatori della banche centrali che si tiene domani e giovedì a Francoforte. Una riunione assai importante nella quale dovrà essere presa una decisione circa la ormai certa riduzione del ritmo degli acquisti dei titoli di Stato da parte della Bce. Il confronto si annuncia molto teso. Giovedì è prevista la rituale conferenza stampa di Mario Draghi. Visco rientrerà da Francoforte in serata, in tempo per attendere la decisione che il consiglio dei ministri sottoporrà al presidente della Repubblica, Mattarella. Martedì 31 ottobre, quando sarà celebrata la Giornata del Risparmio, il nome del governatore sarà dunque già noto. Visco sta preparando íl suo intervento che leggerà da riconfermato o da capo dell'Istituto pro tempore.

SCENARIO BANCHE 12 Corriere della Sera 24-ott-2017

Mustier: l'italia non è più a rischio sistemico art DALLA NOSTRA INVIATA ABU DHABI «La crescita in Europa in una parola? Buona. In due parole: molto buona», afferma Jean Pierre Mustier, ceo di Unicredit ad Abu Dhabi, dove l'istituto inaugura una filiale di investment banking, che serve da hub per l'intera regione Medio Oriene e Africa (Mea), oltre che per i Paesi del Golfo, secondo mercato di esportazione per la Ue, con oltre mille aziende europee che operano nell'area, da Salini a Venchi, che in queste ore negozia lo sbarco in franchising della sua cioccolata «La ripresa è sincronizzata. Abbiamo tutte le condizioni per una crescita sostenuta, e anche il supporto politico», aggiunge Mustier. L'Italia questa volta fa parte del gruppo. «Gli imprenditori che incontriamoci dicono che gli ultimi due trimestri sono i migliori da 8 anni a questa parte. Lo vediamo perfmo nell'immobiliare. I segnali vanno tutti nella direzione giusta. E l'Italia ha tutto ciò che serve —creatività, imprese eccellenti e attrazione turistica — per essere un campione del 21 secolo». Anche perché «le banche non rappresentano più un rischio sistemico, ma sono pronte a finanziare le imprese». Dopo il salvataggio di Mps e delle due Venete, Mustier non vede «grossi rischi». «Restano alcuni problemi, ma a livello di singolo istituto. Le autorità italiane hanno fatto un lavoro eccellente per ristabilire la fiducia». Domanda inevitabile: e l'azione del governatore Visco? «Ottimo lavoro», risponde il Ceo di Unicredit. Ma non commenta quando gli si chiede se Visco dovrebbe essere riconfermato al vertice di Bankitalia, dopo la mozione del Ad. Nemmeno la prospettiva di una riduzione del Quantitative easing, il programma di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce, che giovedì potrebbe annunciare tempie modi, innervosisce Mustier. «La Bce finora ha fatto molto bene. Se cambierà la sua politica monetaria, lo farà per una buona ragione, perché la zona euro è migliorata. Ma sarà un cambio graduale. Perciò non sono preoccupato». È troppo presto anche per lagnarsi di un'ulteriore stretta sui crediti deteriorati (Npl) allo studio della Bce. «Bisogna guardare all'impatto complessivo delle misure regolatorie per capire quale sarà l'effetto, quindi non solo alla Bce, ma pure alla linee guida dell'Eba (l'Autorità bancaria europea, ndr) e alle regole di Basilea IV», valuta. «La Bce punta a uniformare il peso degli Npl, per poter arrivare a un'assicurazione comune dei depositi, che è il terzo pilastro dell'Unione bancaria. In Italia il rapporto tra Npl e prestiti totali è ancora un po' più alto rispetto alla media europea, ma non sono più un rischio sistemico, sebbene pesino sul costo del capitale». Ad Abu Dhabi con Mustier sono volati il direttore generale Gianni Papa e il presidente, Giuseppe Vita «Ora abbiamo bisogno di un presidente più giovane e italiano», dice Vita. Mustier corregge: «Siamo un team franco-italiano. Non scegliamo il presidente in base all'età o al sesso. Vogliamo essere un'importante banca commerciale paneuropea e abbiamo bisogno di una governane molto forte, con un board di grande qualità, per attirare investitori internazionali». Giuliana Fermino RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 13 Corriere della Sera 24-ott-2017

Sussurri & Grida - Carige, voto «bulgaro» sui bond. E la palla passa ai soci art (g.str.) Nuovo passo verso l'aumento di capitale di (nella foto il ceo Paolo Fiorentino). Le assemblee degli obbligazionisti subordinati hanno approvato la modifica dei regolamenti per la conversione di tutti i 510 milioni di euro titoli in bond senior (Lme), con voti favorevoli tra il 94,96% e il loop. L'operazione sarà portata a termine subordinatamente al buon esito dell'aumento di capitale da 56o milioni di euro (di cui fino a 6o milioni riservati ai portatori dei bond dell'Lme), atteso a novembre. E sull'aumento — il terzo in quattro anni di novità sia sul fronte azionario sia su quello del management — si stanno ora concentrando gli sguardi del mercato. Che osserva anche gli sviluppi della vendita dell'immobile milanese di corso Vittorio Emanuele, dove a quanto sembra sono tre i pretendenti in corsa (due stranieri e un italiano) con un incasso previsto sui no milioni e una consistente plusvalenza. Il mercato conoscerà, con l'aumento, le intenzioni degli azionisti, dal primo socio Malacalza Investimenti (al 17,58%) fino ai «piccoli»: il 76% del capitale è in mano a investitori con quote sotto il 2%, molti dei quali sono dipendenti della banca genovese e professionisti della città. Tutti i soci dovranno scegliere se esercitare o no il diritto di opzione, possibilità richiesta dai Malacalza e approvata dall'assemblea. Resta da vedere se anche qui, come nel caso dell'Lme, le percentuali saranno «bulgare» o si apriranno spazi a novità sul fronte azionario. RIPRODUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 14 Corriere dell'Alto Adige 24-ott-2017

Le banche locali sotto la lente Popolare, il Ctcu va da Consob Carispa, pressing art dei grillini

BOLZANO Mal comune mezzo gaudio. Sono giorni difficili per Volksbank e Carispa, entrambe le banche infatti si trovano nell'occhio del ciclone. La Banca popolare finisce nel mirino del Ctcu che ha inviato una segnalazione alla Consob e alla Procura di Bolzano denunciando una svalutazione anomala delle azioni. «Il Ctcu invita la Banca Popolare dell'Alto Adige ad un tavolo di conciliazione entro io giorni dalla ricezione della presente» si legge nella nota ufficiale diffusa ieri dai Consumatori che hanno fatto analizzare uno specialista, l'avvocato Massimo Cerniglia, i prodotti finanziari messi sul mercato dalla Popolare. «Sono emersi diversi profili di irregolarità, nel 2012 la banca assicurava che il valore delle azioni non sarebbe sceso. Invece la svalutazione c'è stata e ora le azioni sono invendibili» denuncia il Ctcu prendendo di mira i vertici di Volksbank che non vogliono replicare ma assicurano che tutto è stato fatto a norma di legge. Sulla graticola anche la Cassa di risparmio. Oggi infatti il collegio dei capigruppo discuterà della creazione di una commissione d'inchiesta sulla gestione degli ultimi anni. La richiesta arriva dal grillino Paul Köllensperger che ha coinvolto tutta l'opposizione. Gli unici a mettersi di traverso sono stati i verdi che, dopo aver tergiversato, hanno fatto firmare solamente il capogruppo Riccardo Dello Sbarba. Brigitte Foppa e Hans Heiss invece si sono defilati denunciando pressioni da parte del giornalista Christoph Franceschini, autore di diverse inchieste su Carispa. «La commissione va fatta. Non credo che l'ufficio di presidenza possa rifiutare una richiesta simile. La Fondazione Carispa è un bene pubblico» attacca Köllensperger che invita il Pd e la Volkspartei a non boicottare la commissione d'inchiesta. M. An. RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 15 Eco di Bergamo 24-ott-2017

A WeAre Starting la gara delle start up fintech art Il portale bergamaseo di equity crowdfunding WeAreStarting si è aggiudicato a Milano la prima tappa della gara delle start up fintech per progettare la banca del futuro promossa daI ngC hallenge, il contest dell'istituto finanziario ing ltalia. WeAreStarting come spiega un comunicato è stata giudicata l'idea imprenditoriale che combina in modo innovativo l'equity crowdfunding con la possibilità per le aziende di accrescere il propriocapitale. «Abbiamo scelto WeAreStarting - ha spiegato Marco Bragadin, ceo di Ing Italia - per la concretezza della proposta e perché in Italia il segmento del finanziamento alle imprese non è ancora sufficientemente servito» .«Il nostro - ha aggiunto Carlo Allevi, fondatore e operations manager di WeAreStarting - è un servizio avanzato sia per le imprese che possono raccogliere capitali" dal basso"sia per l'investitore che può accedere a grandi campagne finanziandone anche una piccola parte edentrando nel capitale sociale dell'impresa offerente». ***

SCENARIO BANCHE 16 Eco di Bergamo 24-ott-2017

Costo del credito Tassi ancora fermi art Stabili in settembre i tassi praticati dalle banche alle imprese nella nostra provincia, secondo rilevazioni di Confindustria Bergamo Ancora forte il divario tra i tassi passivi minimi per finanziamenti e prestiti, pari al 2% (applicati alla clientela migliore) e quelli massimi, del 13,65% (praticati alle imprese più a rischio), con un tasso medio del 5,50%. Sulla commissione disponibilità fondi (ex massimo scoperto), il tasso massimo trimestrale è dello 0,50% (2% annuo), il minimo è dello 0,01% sempre trimestrale (0,04% annuo). Per il salvo buon fine il tasso massimo è al 7,75% il minimo è allo 0,15%. ***

SCENARIO BANCHE 17 Eco di Bergamo 24-ott-2017

Caso IwBank Chiesto il processo per 14 indagati art «Mandate a processo» 13 ex manager di IwBank e la banca stessa La richiesta è del pm milanese Elio Ramondini, che ha coordinato le indagini sulla banca on line del Gruppo Ubi. Tredici le persone fisiche per le quali nei giorni scorsi è stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio: nella maggior parte dei casi non rivestono più alcun ruolo nei vertici dellabanca on line. La Procura del capoluogo lombardo ipotizza il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza Agli ex vertici di IwBankche invece si professano innocenti - si contesta di aver omesso di comunicare a Banca d'Italia una serie di irregolarità in tema di adeguata verifica e di registrazione nell'Archivio unico informatico, in merito anon meno di 100 mila posizioni relative alla propria clientela nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014. L'udienza preliminare nella quale ilgup potrà disporre il processo o optare per il proscioglimento, non si terrà prima della prossima primavera. Alcuni fra gli indagati sono personaggi conosciuti a Bergamo: si va dall'ex presidente della Banca Popolare di Bergamo Giorgio Frigeri all'ex membro del consiglio di gestione dell'intero Gruppo Ubi, Ettore Medda, passando per Pierangelo Rigamonti, ex figura manageriale di spicco di Ubi, e quattro commercialisti come Pecuvio Rondini, Giorgio Dall'Olio, Rodolfo Luzzana e Renato Tassetti (completano l'elenco Mario Cera, ex vicepresidente vicario del Consiglio di sorveglianza Ubi, Pietro Mazzola e Mario Noera, ex membri del Cda Iw , l'ex amministratore delegato e direttore generale Alessandro Prampolini, l'ex consigliere ed ex presidente Gian Cesare Toffetti e l'ex presidente del collegio sindacale Cosmo Nardella). La richiesta di rinvio a giudizio, che riguarda procedure e presidi antiriciclaggio risalenti al 2011, vede come destinatario anche la stessa IwBank Ubi Banca, interpellata sulla notizia della richiesta di rinvio a giudizio di una parte dell'ex management e di Iw Bank stessa, «non commenta - fanno sapere dall'istituto - in quanto non risulta destinataria, al momento, di alcun atto». ***

SCENARIO BANCHE 18 Foglio 24-ott-2017

Lettera. L'indipendenza di Bankitalia, ok. Ma si può ignorare il messaggio della art politica?

Al direttore - Le chiedo ancora ospitalità sulla vicenda della Banca d'Italia perché l'Elefantino, sul Foglio del 23 ottobre, ha toccato dei punti cruciali. Da"ex" di quellagrande istituzione, che resta la Banca, ho notato con piacere il riferimento agli spifferi e agli origliamenti della magistratura che portanmo, con un ruolo opaco di poteri economici, alle dimissioni di Antonio Fazio: una vicenda che merita ancora di essere valutata sotto il profilo della verità. storica, anche peri comportamenti intemi, e a seguito della quale si sferrò un colpo modificando con la legge 262 del 2005 non l'incarico a vita del governatore, che non vigeva, ma la norma che sanciva la durata in carica atempo indeterminato salvo revoca, trasformandola nel mandato di sei anni rinnovabile. Sempre in conseguenza di quel casosi sottrasse all'istituto la tutela della concorrenza bancaria; nel contempo si stabili che le decisioni riguardanti l'esercizio di funziarti pubbliche, principale delle quali è quella di Vigilanza, sono adottate collegialmente da tutti i membri del Direttorio, ciascuno con voto paritario. In fondo, dice l'Elefantino - di cui ricordo come con grande efficacia difese l'Istituzione nel 2005 senza allinearsi ai "giornaloni", che perdi più sarebbe stato atto contro la sua natura - non muore nessuno se a Bankitalia rimane Visco. Ben detto. Come si potrebbe, per esempio, non confermare Visco per la conduzione della Vigilanza enominare, invece, un membro del Direttorio che, senza affatto negare le alte qualità professionali e morali possedute, è solidarmente responsabile per tutte le decisioni della stessa Vigilanza? Oppure si dovrebbe pensare a una delle inconsistenti, se non negative, autocandidature esterne circolate in questi mesi, cosa che costituirebbe uno schiaffo alla professionalità e all'autonomia di quell'intellettuale collettivo che è la Banca? Se si vuole superare il dilemma conclusivo dell'Elefantino facendo prevalere il corno secondo il quale gli avversari di Renzi non hanno torto, allora l'unicasceltaè la conferma nellacarica di Ignazio Visco. Si ristabilirebbe la correttezza neirapportiinteristituzionali, si salvaguarderebbe l'autonomia di Bankitalia e si eviterebbe la creazione del "capro espiatorio" anche perché f nora non vi è nulla da espiare, mentre si intende scelleratamente dare molto in pasto al populismo. Angelo De Mattia Tutto corretto. Ma un presidente della Repubblica e un presidente del Consiglio, nel momento in cui devono decidere su quale nome scommettere per il rinnovo del governatore di Bankitalia. possono dawero prescindere dal fatto che quel governatore è stato sfiduciato da tre quarti, e più, delle forze presenti in Parlamento? Forse no. ***

SCENARIO BANCHE 19 Foglio 24-ott-2017

Intervista a Guido Roberto Vitale - Perché lo choc a Bankitalia può essere art un'opportunità. Parla Vitale

Roma. La nomina del governatore della Banca d'Italia si è trasformata in una lotta di potere che anticipa la campagna elettorale. Si è sollevato un dibattito mediatico divisivo sulla mozione che il Partito democratico di Matteo Renzi ha presentato una settimana fa alla Camera mettendo in discussione il rinnovo del mandato al governatore in carica Ignazio Visco, contrariamente alla volontà dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. ll Consiglio dei ministri si riunirà venerdì per decidere se confermare o meno Visco. Molti osservatori hanno giudicato l'intervento del Pd renziano un attacco all'indipendenza dell'Istituto e una violazione delle regole di condotta istituzionali. "Non mi stupisce un intervento della politica", dice Guido Roberto Vitale, banchiere d'affari e uomo forte di Milano, presidente della Vitale e Co.. "Certo Richelieu, Talleyrand, Metternich avrebbero fatto l'operazione in maniera un po' diversa - dice con ironia - ma stiamo attraversando un periodo di turbolenza globale che s'innesta sull'arretratezza politica e istituzionale del nostro paese, che adesso è un po' troppo ingessato per vivere appieno le dinamiche economico-finanziarie e politico-burocratiche che si presentano. Una Banca centrale è indipendente nel suo agire quotidiano ma deve farlo nell'interesse del paese, la politica conta. Nessuno si strappa i capelli perché da mesi in America si fa il toto- chairman' della Federal Reserve, eppure una volta nominato è indipendente. Penso comunque che la figura del banchiere centrale sacro e intoccabile sia finita, questo non vuol dire che il mandato non debba essere lungo abbastanza per potere esplicare appieno le funzioni o le idee, però nel quadro della politica generale del paese", dice Vitale, il quale non considera problematica una sostituzione di Visco, in scadenza il 1 novembre, con un esterno a Banca d'Italia. "I più grandi sono venuti da fuori, Einaudi, Menichella, Carli, Draghi". "Non è una tragedia quanto awenuto: da tempo negli ambienti economici e politici più attenti alle cose del mondo è in corso una riflessione sull'attualità della struttura di Banca d'Italia, non avendo più solo funzioni tipiche di Banca centrale ma di braccio della Bce: un Istituto ridimensionato non avrà certamente più il ruolo che ha avuto fino a qualche anno e forse deve essere riposizionato nel sistema istituzionale italiano. Banca d'Italia sta insomma attraversando una crisi di crescita, di rinnovamento: è come un ragazzo che passa dalla pubertà all'adolescenza", dice Vitale. "Va dato atto a Renzi di avere avuto il coraggio di sollevare un tema di attenzione a come viene svolta la funzione di vigilanza", dice Vitale, dichiaratamente vicino al centrosinistra e sostenitore di Renzi dalle primarie del 2013. Non c'è niente di scandaloso nel sollevare questo problema "dal momento che tutto il sistema bancario non è estraneo alla cronica sottocapitalizzazione delle imprese italiane e al loro cronico eccessivo indebitamento. Non si può avere un paese che viaggia verso il mercato libero e un sistema bancario, e mettiamoci anche politico, che invece continua sull'onda del passato a sognare uno stato dirigista nel quale tutto è vietato tranne quello che viene di volta in volta permesso", dice. Allora quale sarebbe il rinnovamento utile in questo frangente? "E' tutto da ripensare, da immaginare, da reinventare. Banca d'Italia non è da sopprimere, anzi. Manterrà e mantiene un ruolo importante su tutto il sistema bancario minore che non è cosi minore come sembra". Vigila infatti su 462 istituti minori, circa il 18 per cento del sistema. Le 15 banche maggiori sono sotto la vigilanza diretta della Bce. "Deve ripensare il suo modo di agire, in un certo senso dovrebbe essere più dirigista verso le banche con una vigilanza che, d'ora in avanti, dovrebbe avere una funzione molto più attiva che in passato facendo valere, in assenza di leggi, se necessarie, la sua moral suasion, tuttora fortissima". Il tutto "senza perdere competenze, ma magari estendendole", dice. "Se da un lato si ridurranno le banche tradizionali al contrario aumenteranno le banche ombra, le para-banche, la finanza tecnologica. Aspetti che andranno vigilati senza formalismi, ma con molto tecnicismo. Siamo passati dal pennino, alla stilografica, alla biro, all'iPad. Anche in banca ci vuole più iPad e meno pennino", conclude Vitale. (a.bram.) ***

SCENARIO BANCHE 20 Foglio Inserto 24-ott-2017

Intervista a Matteo Renzi - No alla democrazia dei falsari. Chiacchierata con art Renzi

"La bandiera dell'Europa? Non credo che in questo momento il Pd debba avere come urgenza quella di cambiare simbolo" "Qual è la vera differenza tra la sinistra modello Pd e le altre sinistre? Una su tutte: il Jobs Act. Il vero partito del lavoro siamo noi" "Il caso Consip sarà ricordato non come caso Consip ma come caso Cpl-Concordia. E chi ha orecchie per intendere, intenda" Firenze, festa del Foglio, festa dell'ottimismo, Salone dei cinquecento. Renzi arriva sul palco della festa del Foglio e prima di essere intervistato dal direttore, Claudio Cerasa, indica sul soffitto un punto tra gli affreschi. Vedete, li c'è la tartaruga con la vela, che è il simbolo più bello per un politico, tant'è che Cosimo de' Medici lo immaginava come l'emblema del festina lente: l'affrettarsi con calma, con prudenza. Poi c'è chi fa solo il "testina", chi fa solo il "lente", però vabbè. Insomma la tartaruga era l'animale più lento del mondo e la vela era il motore più potente dell'epoca. Firenze è un patrimonio di saggezza, dispensa messaggi importanti anche attraverso queste immagini che riempiono le mura del Salone dei Cinquecento. Qui c'è ad esempio anche la Battaglia di Anghiari: prima o poi ce la faremo a vincere la resistenza delle soprintendenze per andare a vedere se li sotto c'è davvero il Leonardo perduto. Però so che tanto tu vuoi andare dritto su Banca d'Italia: io sto provando a divagare, potrei stare ore a discutere di arte... Ci arriviamo. Ma prima: cosa pensa il segretario del Pd di chi dice che l'Italia va ancora come una tartaruga? Secondo me c'è da un lato una verità oggettiva: e cioè che l'Italia deve correre di più. La società globale impone, al nostro paese e all'Europa tutta, un cambio di passo. E dunque chi dice che cresciamo meno delle economie del sud-est asiatico, chi dice che potremmo fare di più, dice cose sacrosante. La competizione è globale ed è profondamente impegnativa. Dall'altro lato c'è però una cultura — che è quella del giornalismo, della politica e dell'accademia — che negli ultimi anni ha prodotto un messaggio distorto rispetto alla realtà del paese. Noi siamo cresciuti con le graduatorie in tv del martedì sera secondo cui l'Italia è al 116 posto come livello di democrazia nel mondo. Il martedì? Scelta casuale. A volte succedeva anche di giovedì. Ma la musica di sottofondo era assai simile. E la litania pure: "L'Italia è al 172 posto per libertà d'informazione"; "L'Italia è al 186 posto per giustizia e diritti". E poi magari scorri l'elenco dei 185 paesi che ci precedono e trovi delle dittature. Io ricordo di aver visto "Bankitalia? E' la prima volta che una mozione parlamentare, approvata col parere favorevole del governo, viene giudicata eversiva" "Il premier farà la sua scelta eavrà sempre il mio rispetto. Ma non ditemi che in Itaáa le banche sono state pezzo forte del sistema" "Io non tomo rottamatore, non si possono mandare indietro le lancette della storia, ma non tradirò mai gli ideali della mia giovinezza" "Credo fermamente nel popolo del Si, nel popolo del 40 per cento. E anche per questo , rispetto alle prossime elezioni, sono ottimista" una graduatoria in base alla quale come livello di democraticità noi eravamo dietro a El Salvador, in cui le elezioni si erano tenute per la prima volta nel 2015. Ora, la roboante democrazia salvadoregna non si offenderà se affermiamo che tutto ciò è forse leggermente esagerato. Così come un tantino esagerata è anche la notizia della morte dell'economia e della democrazia italiane. In definitiva, tornando alla domanda: sono vere tutte e due le cose. E cioè si, noi dobbiamo correre di più, e però c'è un racconto ricorrente secondo cui nel nostro paese va sempre tutto male. Noi non ci rendiamo conto delle positività, delle opportunità e della forza che l'Italia ha e dell'eco di bellezza che continua a far risuonare in tutto il mondo. È un errore clamoroso che fa del male ai nostri figli. Non pensi che la sinistra, negli ultimi vent'anni, sia stata un po' responsabile di questo sentimento autolesionista? Che, cioè, nel combattere un avversario politico, sia andata probabilmente un po' oltre, finendo col descrivere un paese per quello che non era? La sinistra ha senz'altro le sue responsabilità. Ma anche quell'altro, quello che ti ha dato bidone stamattina (Silvio Berlusconi, ndr), non è che abbia scherzato. Vorrei che fosse chiaro: questa visione unilaterale va respinta. Ad esempio, è vero che noi della sinistra abbiamo sbagliato nel considerare l'Europa il luogo nel quale andare a fare la guerra a Berlusconi. Ma questa idea di affidare all'Ue la battaglia interna è un errore drammatico sia quando lo commette la sinistra, sia quando a farlo sono altri. Io ho ancora nelle orecchie i cori dei Cinque stelle che urlavano "mafia, mafia, mafia" mentre tenevo il mio discorso d'esordio per il semestre europeo. I parlamentari italiani che siedono a Strasburgo rappresentano in primo luogo il nostro paese, e devono difenderlo, non possono mettersi a

SCENARIO BANCHE 21 strillare contro il loro presidente del Consiglio degli slogan ingiuriosi. D'altro canto, però, anche l'uomo che stamattina ti ha tirato il bidone — lo descrivo apposta cosi, almeno ti faccio arrabbiare... Se Berlusconi se fosse stato alla festa dell'ottimismo, cosa avrebbe detto? Questo non chiederlo a me. Io so che lui ha parlato di un milione di posti di lavoro, che però siamo stati noi a creare. Voleva rimuovere l'articolo 18, e l'abbiamo fatto noi. E così pure l'imu sulla prima casa. Io sono sempre terrorizzato quando Berlusconi apre bocca, perché lui le spara grosse, le promesse, e a noi tocca poi realizzarle. C'è Bonifazi che da giorni mi dice: "Ehi, quella del bollo sulla prima auto è carina". E io che gli rispondo: "Aspetta, Francesco, bisogna prima vedere quanto costa". Ma insomma funziona cosi: lui le dice, noi poi dobbiamo farle. Ma al di là delle battute, gli eccessi della positività dello storytelling berlusconiano hanno senz'altro influito nel distorcere il racconto della realtà italiana. Se ti trovi di fronte alla più grande crisi finanziaria, occupazionale ed economica degli ultimi decenni, tu non puoi dire che in Italia i ristoranti sono pieni e pensare di poter commentare cosi il crollo di Lehman Brothers. Detto questo, parliamo di futuro. Quello dell'Italia è legato all'ottimismo oppure no? Io ci credo. E ottimismo non è la generica speranza che le cose vadano meglio, ma è il desiderio di non lasciare il futuro agli avversari. In questo credo fortemente. A proposito di ottimismo e anche di Europa. II Foglio, qualche settimana fa, ha lanciato una piccola campagna che ha avuto un buon successo, e che intendeva combattere il protezionismo trasformando l'Europa in una bandiera vera e propria, ovvero nel luogo in cui si può trovare una nuova protezione. Il segretario del Pd la mette o no la bandiera dell'Europa nel simbolo del Pd? E' una provocazione intelligente. Ma non credo che in questo momento il Pd debba avere come urgenza da inserire all'ordine del giorno quella di cambiare simbolo. Io la prendo nel modo più positivo, la vostra proposta, e la prendo terribilmente sul serio. Fare del Pd il partito europeista, oggi, vuol dire cambiare le regole del gioco a Bruxelles affermando la nostra ferma adesione ai valori europei. Riflettiamo: abbiamo da un lato Salvini che chiede il referendum per uscire dall'euro — che peraltro non si può fare, ma evitiamo di dirglielo: anche perché ultimamente, per quanto mi riguarda, se se ne fa qualcuno in meno, di referendum, io sono più contento—dall'altro Di Maio e i Cinque stelle. Capisco il silenzio glaciale che è appena calato, ma ci sono: esiste davvero questo movimento di falsari, che cioè si caratterizza per la raccolta di firme false a Palermo, per i sondaggi falsi in Sicilia, per le coperture false del bilancio a Torino, per le false notizie diffuse ogni giorno—al punto che, con invidiabile coerenza, Beppe Grillo intitola il suo spettacolo Fake — e dunque non di cinque stelle, parliamo, ma di costanti, ripetute falsità. Ecco, in uno scenario simile, mi sembra chiaro che o lo facciamo noi del Pd, il partito europeista, o non lo fa nessun altro. Non lo fanno i populisti di destra e non lo fanno i populisti grillini. Ed è giusto ragionare su come procedere in questo senso: ma, secondo me, non credo che il Pd possa mettersi a discutere ora di come cambiare il simbolo. Poi ovviamente qualcuno presenterà immediatamente una mozione perproporre di cambiare la bandiera, non fosse altro che per il fatto che io ho detto il contrario. Però, obiettivamente, non mi sembra il caso: il Pd ha il suo simbolo, per ora non cambiamolo. Facciamo invece una battaglia europeista vera, e facciamola sui contenuti. Su cosa, esattamente? Il deficit al 2,9 per cento. Ma è una battaglia possibile? Molti osservatori la considerano una sfida fuori dal mondo. Impossibile. Forse persino senza senso. Se elabori contestualmente sia una misura sul debito, sia una misura sul deficit, non è fuori dal mondo. Se abbassi il debito con un'operazione one shot che noi chiamiamo Operazione Capricorn, e contemporaneamente dai un po' di respiro al bilancio, torni a Maastricht. A me spiace dirlo nel tempio dell'austerity, e cioè alla Festa del Foglio (giornale che su questo tema ha lanciato campagna sacrosante: talvolta del tutto condivisibili e talvolta semplicemente rispettabili), ma col fiscal compact non si va avanti. L'Europa muore se continua ad avere la visione tecnocratica che una certa cultura tedesca ci ha imposto in questi ultimi anni. E l'atteggiamento di una parte del mondo politico italiano, che si è genuflesso di fronte alla tecnocrazia tedesca confondendo il "ce lo chiede l'Europa" col "ce lo chiedono la Germania e gli altri paesi del nord", ha costituito un errore. Io so che quanto dico non viene accolto in modo troppo positivo da molti di voi, ma proprio per questo vengo a dirvelo con libertà intellettuale e rispetto profondo. Noi non possiamo andare avanti con il totem del pareggio di bilancio, perché in questa fase della storia è impossibile. Bisogna disporre di uno spazio di crescita maggiore, che io individuo nella flessibilità bis, vale a dire nell'operazione Maastricht: deficit al tre per cento, crescita al due per cento, inflazione al due per cento e misura per ridurre il debito. Se continuiamo con la filosofia del taglio-taglio-taglio, l'operazione riuscirà perfettamente ma nel frattempo il paziente sarà morto. A proposito di pazienti morti. Ce n'è uno che non se la passa molto bene in tutto il mondo•. la sinistra. E infatti è appena arrivato l'esito delle elezioni in Repubblica Ceca. Bel risultato della sinistra: abbiamo fatto il sette per cento. Che di questi

SCENARIO BANCHE 22 tempi non è male per la sinistra... E' in media con quanto fatto in Francia e in Olanda. Però da noi si fanno polemiche perché il Pd è al 26 anziché al 27 per cento. Ma perché in questo momento in tutto il mondo ci sono pochissimi paesi in cui governa una forza di sinistra o di centrosinistra? C'è il Portogallo,che è un caso strano, c'è laGreciadi Tsipras, c'è l'Italia e pochi altri in giro per l'Europa, e poi c'è il Canada. Altrove, dappertutto la crisi ha spazzato via la sinistra Perché? E che differenza c'è tra la sinistra che governa in questo momento l'Italia e le altre sinistre che si osservano nel resto d'Europa? Non so dare una risposta compiuta perché la situazione della sinistra a livello globale è veramente complicata. A mio parere se la sinistra non cambia è finita: e in alcuni paesi è invece proprio la sinistra ad essere diventata il baluardo del sistema. Si è messa a difendere ciò che c'era, è diventata conservatrice. E questo ha portato i populismi e un certo centrodestra a vincere in carrozza. E' accaduto in tante parti del mondo, e nell'unico luogo dove c'è stato un avvicendamento di schieramenti al governo da destra a sinistra, vale a dire in Portogallo, è accaduto comunque dopo un risultato elettorale negativo. Si è affidato l'esecutivo a una coalizione di sinistra, è vero, ma il primo partito uscito vincitore dalle urne era comunque quello dei popolari. Poi in Portogallo c'è un bravissimo premier, Antonio Costa, che è venuto peraltro in questa meravigliosa città come sindaco di Lisbona nel 2011, e che ebbi pertanto la fortuna di conoscere già allora. Penso che la sinistra debba cambiare, debba essere innovatrice e innovativa, debba avere curiosità per il futuro. E non possa avere paura: perché se è giochi la carta della paura è fisiologico che poi vinca la destra. Che vuol dire cambiare? Vuol dire avere il coraggio di dire che il futuro non è il nostro principale nemico. Esempio banale: se tu vai a dire che di fronte all'innovazione tecnologica tutti noi perderemo posti di lavoro e si stava meglio quando si stava peggio, ti poni in posizione conservatrice. Giochi, appunto, la carta della paura. Io non vi sto dicendo che ho la certezza che il futuro sarà meraviglioso. Ma so che se sei una forza progressista, l'innovazione tecnologica la consideri una possibilità per le giovani generazioni che vogliono mettersi in gioco. E dunque la racconti come una storia bela, quella della Silicon Valley, dove ragazzi figli di nessuno con una borsa di studio crescono e trovano la loro strada. E racconti come una storia bella anche quella di chi, mettendo in campo il suo talento, può avere le sue opportunità. E insomma non racconti che va tutto male, che tutto è un'incognita e che tutto è un problema. Quando la sinistra si mette a teorizzare il reddito di cittadinanza, i sussidi e l'assistenzialismo, quella sinistra è morta. Se c'è un paese in Europa dove la sinistra ha ancora una chance è l'Italia, perché in Italia c'è il Partito democratico. Se noi fossimo rimasti alla vecchia sinistra, come ci sono rimaste la Francia, l'Olanda, la Slovacchia e la Germania, noi oggi saremmo spazzati via dalla storia. Ecco perché bisogna avere il coraggio di dire che il futuro non è un tabù. E non vivere di ideologia, come invece una parte della sinistra continua a fare. Che differenza c'è tra la sinistra di cui Renzi è segretario e la sinistra che è uscita dal Pd? Non chiedo chi ha ragione e chi ha torto, anche perché immagino che per te la risposta sarebbe scontata... Ha ragione D'Alema, owiamente! Appunto. Ma qual è, invece, la prima differenza che ti viene in mente? Il Jobs Act. Perché il Jobs Act ha tolto l'articolo 18 ma ha reintrodotto la norma sulle dimissioni in bianco. Perché il Jobs Act ha tolto l'articolo 18 ma ha portato 978 mila posti di lavoro. Perché essere di sinistra non significa fare i convegni sul lavoro, ma significa creare lavoro: che è una bella differenza. Essere il partito del lavoro non significa riempirsi la bocca con frasi del tipo "noi seguiamo ciò che dice il sindacato", significa creare tutele nuove per una nuova generazione di lavoratori. Per me il Jobs Act è di sinistra. Cosi come gli 80 euro, che qualcuno ha definito una mancia elettorale. Ebbene, gli 80 euro sono la più grande forma di redistribuzione del reddito al ceto medio: tutti quelli che guadagnano meno di 1500 euro prendono più soldi rispetto a prima. Vuol dire togliere a chi ha di più e dare a chi ha di meno, ma non attraverso slogan elettorali. Poi è chiaro che c'è qualcuno che pensa che la sinistra debba essere quella dell" anche i ricchi piangano". 0 quella del fare più tasse. In Italia: dove di tasse ce ne sono già troppe, e perciò essere di sinistra significa semmai abbassarle, non metterne di nuove. Ma questa è una differenza che credo sia evidente e sotto gli occhi di tutti. Io vorrei discutere di questi temi con le donne e gli uomini che credono all'idea che il centrosinistra abbia ancora un futuro. 978 mila posti di lavoro (forse) meno uno, che è quello del governatore di Banca d'Italia. Capisco ora che di tutte le domande che mi hai fatto fin qui in realtà non te ne fregava assolutamente niente. Era un diversivo Non parliamo però di Ignazio Visco, ma parliamo di Bankitalia. La domanda è semplice: che senso ha Bankitalia? Serve ancora a qualcosa? Bankitalia ha una funzione rilevantissima, anche se owiamente diversa e minore rispetto a quella che aveva prima dell'inizio del percorso dell'unione bancaria e dell'istituzione della Banca centrale europea. E però il suo ruolo è di grande importanza, e va riconosciuto da tutti noi come un elemento fondamentale della tenuta istituzionale del paese.

SCENARIO BANCHE 23 Quindi io ritengo che Bankitalia sia una struttura molto importante. Aggiungo poi che chi, come me, nel leggere i discorsi che voi del Foglio pubblicate nel vostro inserto del sabato, ha ritagliato in particolare quello di Luigi Einaudi, governatore della Banca d'Italia nel 1945, riconosce a Via Nazionale anche una funzione importante di selezione della classe dirigente del paese. Io sono uno che viene da Rignano sull'Arno, per cui Banca d'Italia per me è un luogo di assoluto prestigio: il centro studi di Palazzo Koch è, nella mia visione, un laico vangelo. Troppo poco ottimista? Non è questo il punto. Il punto è invece che noi stiamo facendo una polemica che io definisco surreale. E non so neppure se qualcuno abbia avuto davvero la voglia di seguirla fino in fondo, dato che tutti i giornali dedicano cinque pagine a una mozione parlamentare. Sono usciti tantissimi retroscena, spesso di segno opposto. Ci spieghi tu, allora, cos'è accaduto? Io ti dico quello che ho capito io, di quanto è successo. E successo che si è fatta una mozione parlamentare, proposta dai Cinque stelle, che la presidenza della Camera ha giudicato ammissibile. Non so se abbia fatto bene o male, ma cosi ha deciso. E le regole basilari del diritto parlamentare prevedono che quando un partito fa una mozione, gli altri facciano delle contro-mozioni. Chi si stupisce vive su Marte. Gli altri partiti però potrebbero anche semplicemente votare contro. Si, ma di solito poi comunque si presenta una contro-mozione. Del resto, non è che una mozione sia un atto cosi rilevante: non credo di aver mai visto tanta attenzione per una mozione negli ultimi vent'anni. Veniamo al dunque, pero. Qualcuno, innanzitutto, ha posto un tema di metodo, affermando che non si possa parlare di Banca d'Italia in Parlamento. Al che verrebbe da chiedersi come mai allora Mario Draghi e Danièle Nouy ogni tre mesi vanno nella competente commissione di Bruxelles a riferire e ad essere interrogati dai commissari. Questo nessuno lo dice, ma è proprio cosi che funziona: Roberto Gualtieri, presidente della commissione per i Problemi economici e monetari, ogni tre mesi convoca i vertici della Banca centrale europea. Evidentemente secondo la filosofia della Bce è normale che il Parlamento, espressione della volontà democratica, dialoghi con le istituzioni bancarie. In Italia non si deve fare? Va bene, basta dirlo. Se invece si fa, e si rende ammissibile una mozione come quella di M5s, si deve rendere atto che i partiti hanno il diritto di esprimere le loro valutazioni. C'è chi dice: "non si può mettere in discussione l'autonomia e l'indipendenza della Banca". Giusto. Segnalo però che si è cambiata la legge nel 2005, e si è affermato il potere del governo di nominare il governatore attraverso una serie di passaggi. Questo per ciò che riguarda il metodo. Qualcuno ha definito la nostra scelta in un modo che ora non ricordo bene... Eversiva. Chi lo ha detto? L'ex direttore del Corriere della Sera: Ferruccio de Bortoli. Be', è la prima volta che una mozione parlamentare, approvata col parere favorevole del governo, viene giudicata eversiva. Io sono stupefatto dal livello qualitativo della discussione. La mozione parlamentare è un atto d'indirizzo che può piacere o meno, ma che non è cosi rilevante: tant'è che si dice che una mozione non si nega a nessuno. Tornando ai fatti, in ogni caso, il presidente del Consiglio mi ha chiesto di modificare alcune espressioni contenute nella mozione che il Pd aveva preparato. Confesso che io non la avevo neppure letta, quella mozione: ho chiesto comunque di procedere perché non ci fossero screzi tra il gruppo del Pd e il governo. E spero che cosi si possa concludere tutta la discussione sul metodo, ora che abbiamo fatto sfogare coloro che definiscono il nostro atteggiamento come eversivo e che non ricordano il tenore del dibattito che si svolse nel 2005 su Banca d'Italia, con gli stessi toni ma su giornali di segno totalmente opposto. Bene, archiviata questa discussione, vorrei fare io una domanda: fermo restando che la scelta del governatore spetta al presidente del Consiglio e che io sarò al suo fianco perché da segretario del partito mai mi permetterò di criticare il suo operato, vi sembra che sulle banche in Italia sia andato tutto bene? Vi sembra che i problemi bancari, in questo paese, li abbia creati il governo che ha fatto la riforma delle popolari e che ha salvato centinaia di migliaia di correntisti dalle regole del bail-in sciaguratamente volute dal governo precedente, ovvero quello di Mario Monti? Bankitalia dice che dal 2014 in poi le scelte sono state condivise con il governo. Le scelte politiche sono state condivise, non c'è ombra di dubbio. Quella delle banche popolari è una riforma sacrosanta che ha fatto il mio governo. Le scelte gestionali delle banche commissariato, i commissari, il management, la vigilanza, spettano invece in a Banca d'Italia, che decide in maniera autonoma e indipendente. Esprimere un giudizio di merito, allora, non è lesa maestà, è prendere atto che in Italia si può valutare l'operato di chiunque. Perché altrimenti si arriva al paradosso per cui qualcuno è intoccabile, inviolabile, e i politici sono sempre colpevoli. Difendo la dignità della politica rispetto a questa visione allucinante. Dopodiché in tutta libertà il presidente del Consiglio farà la sua scelta e avrà sempre il mio rispetto, la mia stima e la mia amicizia. Ma non venite a raccontarmi che in Italia, in questi anni, le banche sono state il pezzo forte del sistema. C'è però un dato che non può sfuggire: il segretario del Pd, che è l'azionista di maggioranza di questo governo,

SCENARIO BANCHE 24 dice una cosa, e i presidenti del Consiglio e della Repubblica, che quello stesso segretario ha fortemente contribuito a designare, invece forse ne faranno un'altra. Forse c'è un problema, no? E poi, entrando nel merito•. per quale motivo il governatore Visco non dovrebbe essere riconfermato? Innanzitutto: voi dawero credete che chi ha avuto un ruolo nel designare alcune persone a certi incarichi pretenda poi che quelle persone facciano ciò che vuole lui? Io soffro di una ricostruzione per la quale sarei stato quello che ha messo nei posti chiave soltanto i fedelissimi, i componenti del cosiddetto Giglio magico — ché poi, se del giglio fiorentino si parlasse con un po' più di rispetto, sarebbe cosa assai gradita. E invece noi abbiamo fatto delle scelte oneste, e poi le persone che vengono indicate per servire il paese fanno le loro valutazioni. Nessuno può immaginare che esista un filo di collegamento diretto, in questo senso. Così si finisce col mettere in dubbio persino l'autonomia del presidente della Repubblica, la cui funzione è sacra e intoccabile. E farlo sarebbe inaccettabile. Le valutazione che il capo dello stato fa meritano il riconoscimento di tutto il paese. E questo è il rispetto delle regole del gioco, questo è il senso delle istituzioni, questo l'atteggiamento serio di chi, servendo la patria, fa le sue battaglie, afferma i suoi valori, ma poi accetta le scelte dei soggetti che devono decidere. Ci hanno chiamati eversivi perché abbiamo presentato una mozione parlamentare, mentre noi siamo quelli che fanno le battaglie a viso aperto, in libertà, con grande coraggio e con grande dignità, e poi lasciano che chi deve decidere lo faccia. Io non ho mai preteso da nessuno né fedeltà, né lealtà, né riconoscenza. E devo dire che qualche persona, in questi anni, l'abbiamo pure nominata: dagli alti vertici di Bruxelles fino ai sindaci di tante città. Ebbene, non ce n'è una che possa dire di aver ricevuto una telefonata da me fatta per esercitare pressioni di alcun genere. Noi siamo persone serie. Il punto è che tutte le discussioni di queste ore vogliono deviare l'argomento, e cioè: ma a voi sembra che sulle banche sia andato tutto bene? Sono mesi che si fa credere che l'unico problema degli istituti di credito di questo paese sia stato ad Arezzo. Ma viviamo su Marte o vogliamo ricordarcelo che c'era qualcuno che proponeva che Banca Etruria fosse comprata dalla Popolare di Vicenza? E poi: vogliamo discutere o no del fatto che il sistema bancario non dipende, per quanto riguarda la vigilanza, dal consiglio dei ministri? Dopodiché, siccome noi sappiamo sorridere e siamo anche autoironici, io vi garantisco che in ventuno tappe fatte col Treno Pd non ho incontrato una sola persona che mi abbia chiesto qualcosa a riguardo della Banca d'Italia. Mi hanno parlato semmai delle difficoltà nel vedersi concedere un mutuo, ma non della mozione parlamentare. Ecco, io non ho paura a stare qui altre due ore a discutere di Banca d'Italia, se è questo ció che volete. Ma il paese reale è da un'altra parte. E prima ce ne rendiamo conto e meglio è: per l'Italia e per la dignità della politica. Come può essere un rottamatore un politico che ha governato il paese per tre anni? E soprattutto: può ancora esistere una rottamazione in questa fase politica? In un contesto in cui agiscono forze antisistema e decliniste forse bisognerebbe rispondere con messaggi e con toni completamente opposti. 0 no? La fase della rottamazione non può essere riprodotta, è vero. Ma non puoi pensare che io diventi il paladino di un sistema che non è quello per cui ho iniziato a fare politica. La sinistra, tornando a quanto già detto prima, non può essere quella che si scalda per la difesa del ruolo del governatore di Banca d'Italia e non dice una parola su risparmiatori e correntisti. La sinistra non può essere quel soggetto politico che fa passare un discorso falso degli ultimi anni. Perché noi sulle banche siamo intervenuti per salvare i risparmiatori e per evitare che le numerose magagne che abbiamo trovato affogassero l'intero sistema. II mio obiettivo non è quello di tornare a fare il rottamatore; e però, caro direttore, non accetterò mai di tradire un ideale semplicemente per tornare ad avere un ruolo o un incarico. Il massimo rapporto che ho avuto con le banche sono stati i due mutui che ho accesso presso la Cassa di risparmio di Firenze. Non abbiamo mai messo bocca in una nomina, se non in quella della fondazione della stessa cassa di risparmio di Firenze. Non c'è un solo uomo politico che possa dire di aver ricevuto pressioni da me per nominare un certo banchiere. E forse per qualcuno questo è un errore: ma sfido chiunque a confessare di aver ricevuto da me una telefonata in cui chiedevo un posto o un incarico. E siccome non credo di essere in una numerosa compagnia, da questo punto di vista, vi dico che sul tema delle banche c'è un gap tra ciò che è realmente accaduto e ciò che viene raccontato. Io sono sorpreso dalla reazione di tutti i principali commentatori di questo paese. Non c'è nessuno che stia valutando davvero se il sistema della vigilanza sia stato efficace o meno; se i commissari pagati profumatamente per andare a sistemare gli istituti di credito in crisi abbiano svolto il loro ruolo oppure no; se ci sia stato un eccesso di attenzione verso alcune realtà importanti. Tanti se di cui nessuno parla. E allora se, per tornare ad essere apprezzato dal sistema, io devo tradire me stesso, non ci sto. C'è una bellissima massima che invita a non dimenticare mai gli ideali della propria giovinezza. Ecco, lo dico a Palazzo Vecchio: io non torno rottamatore, non

SCENARIO BANCHE 25 si possono mandare indietro le lancette della storia, ma non tradirò mai gli ideali della mia giovinezza. E dunque questa visione politica della gestione delle banche va liquidata perché è inaccettabile. E adesso, per piacere, smettiamola con Banca d'Italia perché altrimenti la platea si addormenta. E Renzi dove immagina di essere tra quattro anni? Ho già fallito un primo pronostico dicendo che se avessi perso il referendum sarei andato a casa. Cosa che avrei voluto tanto fare. E perché Renzi lo ha fatto? Perché a un certo punto mi sono fatto convincere che una persona non può abbandonare la comunità che ha contribuito a creare semplicemente per un atto d'orgoglio personale. Ed è stata una scelta che mi è costata molto, dal punto di vista umano, e che chi non conosce la mia indole e la mia persona non può capire. Io avrei fatto di tutto anziché rimangiarmi quella promessa. Ma 26 mila email mi hanno reso consapevole che quell'esperienza non mi apparteneva al punto di poter decidere d'interromperla dalla sera alla mattina perché avevo perso il referendum. E se Renzi avesse mollato tutto, cosa avrebbe fatto? Di tutto. A un certo punto, dopo aver fatto per tre anni il presidente del Consiglio e per cinque anni il sindaco di Firenze, una persona può anche legittimamente pensare di dedicare un po' di tempo a sé stesso, agli studi, alla vita. Dopodiché non ho niente da rimproverarmi, ho scelto di rimettermi in gioco e due milioni di persone sono andati a votare alle primarie: persone vere, in carne e ossa, altroché 30 mila clic. Sono orgoglioso del popolo del Pd, che è la più grande comunità democratica d'Europa, presa in giro da tanta gente, ma fatta di donne e uomini. E' importante per Renzi pensare di poter essere un giorno ancora a Palazzo Chigi? Ci crede davvero? Per molti aspetti si, è ovvio: come si può negarlo? Perché ti rendi conto che da li riesci ad incidere in modo molto più forte che non stando altrove. Però non sono cosi desideroso di tornare a Palazzo Chigi da sacrificare le idee i valori per i quali ho iniziato a fare politica. Se per tornare a Palazzo Chigi devo dire che sulle banche in questi anni è andato tutto bene perché sennò il sistema si arrabbia, allora perdonatemi, ma non affermerò mai una cosa nella quale non credo. Quale sarà il tema chiave della campagna elettorale? Non so dirlo con sicurezza perché, innanzitutto, non so quali saranno le regole della legge elettorale. Ci sono ancora dei dubbi sulla definitiva approvazione del Rosatellum al Senato? Tra una settimana avrò maggiori certezze. Però finché non passa a Palazzo Madama... Renzi non starà sereno? Lasciamo stare quell'espressione. Ormai non posso dire "stai sereno" a nessuno, altrimenti rischio una querela. A Gentiloni Renzi ha già detto stai sereno, su Visco? Ma quando mai. Sono dieci mesi che scommettete sulla lite tra me e il premier e sono dieci mesi che io e il premier continuiamo a lavorare bene insieme. E non c'è stato un solo momento in cui, pur avendo noi idee diverse, queste divergenze sono state rese note. Mai. Gioco di squadra straordinario. Quanto al tema che permetterà di vincere le elezioni, invece, non lo so. Se la legge elettorale contribuirà a definire uno schieramento con quattro contendenti — centrosinistra, centrodestra, M5s e sinistra radicale — io penso che il ruolo del centrosinistra sarà quello di rappresentare l'alternativa al populismo. Però non può essere una definizione in negativo a farti vincere le elezioni. E dunque bisognerà scommettere su alcune proposte concrete, vere, in particolare sui figli, sugli anziani, sulla gestione della vita quotidiana. C'è fame di concretezza, in Italia: poso garantirvelo, dopo ventuno tappe fatte in treno che mi hanno permesso di incontrare le realtà più varie. E poi però c'è anche tanta fame di valori. D'altronde, quali sono gli argomenti che rendono grande l'Italia, quali sono le cose che ci fanno stare insieme? Da questo punto di vista credo che non abbiamo ancora trovato il giusto mix tra concretezza e valori: abbiamo qualche mese per farlo. E comunque vincerà le elezioni, a mio avviso, chi prenderà il 40 per cento. Ora, capite che per me questa cifra è un po' una maledizione: quaranta per cento alle Europee, ed è stato un trionfo; quaranta per cento al referendum, ed è stato un tonfo. Ma se prendiamo il 40 per cento col Rosatellum governiamo da soli. Perciò mi piacerebbe dire che non c'è due senza tre, ma so che è una partita complicata e difficile che richiede la capacità di mobilitarsi del popolo del centrosinistra. E poi, dall'altro lato, ci sarà anche qualcuno nel popolo del centrodestra che dovrà scegliere, che ha visto ció che noi in questi anni, a differenza dei governi di Silvio Berlusconi, abbiamo fatto, che si ritroverà a chiedersi se preferisce una coalizione a trazione leghista con quello statista di Matteo Salvini o un centrosinistra riformista. E quindi la mia sfida consiste nel voler portare via al centrodestra quell'uno o due per cento che, collegio per collegio, risulterà decisivo per vincere le elezioni. Credo fermamente nel popolo del Si, nel popolo del 40 per cento, nel fatto di riuscire a convincere da un lato gente che in passato ha votato il centrodestra, da un lato chi non vuole consegnare il paese a Grillo o alla Lega e quindi, nella logica del voto utile, non voterà la sinistra radicale. Insomma, direttore, io sono ottimista sulle prossime elezioni. Tiè. E poi, quando torneremo al governo, ci toccherà togliere il bollo sulla prima auto. E speriamo che Berlusconi non ne tiri fuori altre durante la campagna elettorale, sennò sarà un problema.

SCENARIO BANCHE 26 Non è che si fanno le larghe intese, dopo. Funziona che lui fa le proposte prima, e poi a noi ci tocca inseguirlo. Quindi possiamo dire che siete pronti ad accettare le proposte del centrodestra?! Direi con uno slogan: fatto! Un milione di posti di lavoro: fatto! Giù l'irap sul costo del lavoro: fatto! Che cosa fa paura a Renzi della democrazia del clic? Secondo me il clic ormai non riguarda più solo la democrazia, ma le relazioni personali. Io vedo quanto tempo i miei figli trascorrono su Instagram, mi capita di discuterne in famiglia. La società del clic è comunque quella in cui, da qui ai prossimi cinque anni, sarà fisiologico pagare tutto attraverso lo smartphone. Il clic insomma è ormai ovunque, e non torniamo indietro. Non dobbiamo, cioè, vederlo come un pericolo. Quello che però si che mi fa paura è la logica del fake. Un esempio: io vado in tutte queste città in treno, arrivo nelle stazioni e ci sono centinaia di persone ad accoglierci. E poi ce ne sono tre o quattro che, armati di telefonino, cominciano a urlare: e non contemplano che io mi avvicini per chiedergli conto delle loro lamentele, tant'è che quando io lo faccio loro vanno in crisi e non sanno più che dire. E però queste poche persone fanno un video, secondo quanto sono state istruite a fare, lo mettono sui social, un meccanismo di algoritmi vari attraverso fake, trolls e altro lo rilancia, e il titolo è immancabilmente: "Guarda cosa non ti fanno vedere i tg omologati". Ovvero un tale che urla e che, mettendosi intorno tre o quattro persone, costruisce l'immagine de "il popolo non vuole". Immaginiamo cosa possa essere questo meccanismo delle fake news in mano a paesi stranieri. E non è un argomento di mia invenzione: ma un tema che ha investito le elezioni degli Stati Uniti, della Germania, della Francia. In definitiva a me fa paura la mancanza di senso critico: ecco perché penso che si debba investire in educazione. Bisogna spiegare ai ragazzi che i 140 caratteri sono un bene, perché aiutano, ma non sono il Vangelo. E bisogna avere la forza, il coraggio e l'intelligenza di educare le persone a essere curiose, a chiedersi, come ci insegnano i nostri padri latini, il cur delle cose, a non accontentarsi della prima verità di comodo che viene data. Ma la democrazia del clic può portare a una deriva pericolosa per la democrazia rappresentativa? Tutto è un pericolo e però niente è un pericolo se la cittadinanza è decisamente consapevole. Tutto è un pericolo perché, nel momento in cui astrattamente spieghi che la democrazia del clic mette in discussione le regole del gioco, diventa evidente che ci sono rischi seri. Ma io non sono terrorizzato da questo, quanto piuttosto dal fatto che non si dia rilievo all'importanza della cultura e dell'educazione. La riforma più importante che io ho fatto non è il Jobs Act, non è l'imu, non è l'irap, non è l'abbassamento delle tasse, non è l'Expo, non è quella costituzionale che poi non è passata a causa del referendum: la riforma più importante è stata quella che ha stabilito, nella legge di bilancio, che per ogni euro speso in sicurezza si sarebbe dovuto spendere un euro in cultura. Il che vuol dire che, per essere un cittadino attivo, non hai bisogno soltanto di un carabiniere e di un soldato che ti proteggono in periferia o nei dintorni di una stazione, ma hai bisogno di poter godere di un investimento educativo serio. E' questo che ti permette di essere cittadino e non un mero numerino. E' questo che per me è fondamentale: e se c'è questo non sono preoccupato per la democrazie del clic. Se però,viceversa, noi continuiamo a dire che la cultura non sia altro che un appendice, una cosa insignificante, allora siamo finiti. Insomma, direttore, io non ho paura del fatto che ci sia un movimento basato su una società privata che lega gli eletti a vincoli di sanzione economica con una srl, che è di proprietà di un certo signor Grillo, del nipote e del commercialista di quel certo signor Grillo, che è chiaramente impostato su una gestione privatistica della democrazia. Io non ho paura di quel movimento li: io ho paura che non ci siano anticorpi sufficienti affinché i politici e i partiti tradizionali capiscano l'importanza degli investimenti in cultura. Quindi non dipende dai Cinque stelle, che in fondo fanno la loro parte nell'inventarsi la democrazia del clic, ma dipende da noi. In un paese civile, all'indomani delle primarie pentastellate di Genova, quando si è stabilito che bisognasse rifare la consultazione perché i risultati non erano quelli sperati dai vertici di M5s, ci sarebbero dovute essere decine di editoriali indignati contro la deriva autoritaria ed eversiva. E invece danno a noi degli eversivi per una mozione parlamentare. Ma io vivo questa fase con un gigantesco sorriso stampato in viso, perché mi sto divertendo da matti. Nonostante tutti ci attacchino, nonostante ciò che accade sul fronte giudiziario: sì, continuo a divertirmi perché credo che in questo paese ci siano intelligenze e qualità ben più forti delle storture della democrazia del clic e della furbizia di chi inventa falsità su falsità per cercare di cancellare la realtà. Io credo nell'Italia, sono disperatamente ottimista sul futuro del paese, credo che questo nostro meraviglioso insieme di talenti non possa essere disperso o lasciato nelle mani di chi sa soltanto lamentarsi e inventare falsità. Come parleranno del caso Consip i libri di storia tra dieci anni? Cosa ricorderanno? I libri di storia non si occuperanno di queste cose, fortunatamente per l'Italia. La ricostruzione della cronaca, invece, chiamerà questa vicenda non "caso Consip" ma "caso Cpl-Concordia". E chi ha orecchie per intendere, intenda. Per una città come Firenze,

SCENARIO BANCHE 27 l'Unesco è sicuramente importante perché questa città ha ottenuto importanti riconoscimenti. Ora, Trump ha scelto di far fare un passo di lato agli Stati Uniti, alla luce di come l'organizzazione della cultura dell'Onu ha trattato Israele in questi anni. Se volessimo verificare se davvero esiste un pregiudizio dell'Unesco contro Israele, la battaglia giusta non sarebbe quella di trasformare Israele in un patrimonio dell'umanità? Con l'allora ministro degli Esteri e attuale presidente del Consiglio, negli scorsi anni abbiamo deciso di cambiare linea rispetto a queste mozioni che ciclicamente vengono riproposte in sede Unesco contro Israele perché sono semplicemente assurde. E quindi abbiamo preso le distanze da certe scelte dell'Unione europea. Detto questo, non sono d'accordo con la scelta di Donald Trump, la considero un clamoroso errore: perché gli Stati Uniti hanno un senso e una potenza nel momento in cui stanno dentro le istituzioni internazionali, non quando se ne chiamano fuori. Non credo che Israele possa essere banalmente definito patrimonio dell'Unesco. Israele è Israele. Parlando alla Knesset ho dichiarato che Israele non ha il diritto di esistere, come dicono tutti, ma quel paese, quella straordinaria democrazia, ha il dovere di esistere. L'ho detto raccontando alcune storie di Firenze, l'ho detto citando alcune personalità del mondo politico israeliano che con questa città si sono in qualche modo confrontate, e l'ho detto esordendo con un riferimento al salmo 122, quello che recita: "Domandate pace per Gerusalemme". Il che significa non soltanto affrontare una crisi geopolitica, ma significa essere coerenti alla straordinaria e drammatica storia di questi secoli. Noi siamo molto debitori ai nostri fratelli maggiori ebrei dal punto di vista religioso, ma non di una semplice lettura religiosa possiamo accontentarci. Qui c'è una questione istituzionale: Israele è la democrazia principale, quasi l'unica, in quella zona. Israele svolge una funzione straordinaria. Israele è una smart nation, anzi una star-up nation, come Shimon Peres ebbe a definirla. Quando qualcuno propone alle università italiane di fare boicottaggio nei confronti degli atenei israeliani, sappia che sta segando le proprie gambe, si sta negando il futuro, perché noi abbiamo tutto da imparare da molte delle realtà che Israele esprime. Detto questo, , ma come si può davvero pensare di uscire dall'Unesco? un esco, per dirla alla fiorentina. ***

SCENARIO BANCHE 28 Giornale 24-ott-2017

Boschi sotto attacco da sinistra: «Conflitto di interessi su Bankitalia» art Antonio Signorini Roma Sarà, con tutta probabilità, il bis di quando fu approvato il decreto banche, alias il bail in di Banca Etruria. Allora, il novembre 2015, Maria Elena Boschi fece sapere di non avere partecipato al Consiglio dei ministri decisivo per la sorte dell'istituto di credito che aveva visto suo padre tra i massimi dirigenti. Era ministro alle Riforme del governo di Matteo Renzi. Ora, da sottosegretaria alla presidenza del Consiglio dell'esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, potrebbe non partecipare alla riunione del governo che deciderà il prossimo governatore di Bankitalia. La data è stata fissata. Venerdì prossimo il consiglio dei ministri dirà la sua sulla permanenza o meno di Ignazio Visco. Ieri è partito il prevedibile attacco a Boschi. Il deputato della sinistra (prima Sel oggi Mdp) Arturo Scotto ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo al premier Gentiloni di non fare partecipare Boschi al consiglio dei ministri perché su di lei «grava un pesante conflitto di interessi che non può essere più ignorato». Pesa chiaramente il ruolo del padre Luigi, ex vicepresidente della banca aretina. Le attività della banca, anche durante il suo mandato, «sono state a lungo oggetto della vigilanza bancaria e finanziaria operata da Palazzo Koch». Ma il nodo Boschi è emerso soprattutto per la mozione del Pd contro il governatore, scritta dalla stessa Boschi. Sicuramente all'insaputa del premier Gentiloni. Forse, senza che nemmeno Renzi sapesse fino in fondo delle implicazioni. Contro i due esponenti democratici ieri si è scagliato il Movimento 5 stelle. «A Roma c'è chi ha massacrato i risparmiatori e che adesso vuole fare il loro paladino e cioè Renzi. Lui e la Boschi sono gli aguzzini dei risparmiatori italiani, non i loro salvatori», ha detto il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Il segretario Pd e Boschi, ha aggiunto, «si devono ricordare che quando hanno governato non solo hanno favorito le banche, ma in 20 minuti hanno fatto un decreto per salvare la banca della Boschi e mandare sul lastrico centinaia-miglia di risparmiatori». Attacco pronunciato durante la campagna per le elezioni siciliane, al quale la stessa Boschi ha risposto ieri sera. «L'onorevole Di Maio, come spesso gli accade, parla di cose che non conosce o che più semplicemente non capisce». Il Cda del quale faceva parte il padre, è stato mandato «a casa proprio da noi» e con il decreto «abbiamo salvato migliaia di correntisti che altrimenti avrebbero perso tutti i loro risparmi». Su questi temi «sono pronta a un dibattito televisivo con l'onorevole Di Maio». Nessun ceno alla vicenda Visco. Lo stesso Renzi nei giorni scorsi è stato costretto a fare una marcia indietro assecondando i dubbi del premier e il No del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Visco, che fino a poco tempo fa sembrava intenzionato a non rimanere, sarà quasi certamente riconfermato. A Palazzo Chigi si lascia aperta la strada a qualche alternativa, come la nomina del vicedirettore Fabio Panetta. Comunque si darà il senso della continuità. Decisione difficile, dettata anche dalla necessità di non prestare il fianco alla speculazione finanziaria, molto sensibile a tutte le notizie italiane che riguardano le banche. Anche per questo Boschi potrebbe non esserci quando sarà presa. *** ***

SCENARIO BANCHE 29 Giornale 24-ott-2017

Mustier: «Per le banche il peggio è passato Governo e Authority hanno lavorato art bene»

Camilla Conti nostro inviato ad Abu Dhabi Mentre a Roma la battaglia politica sulla nomina del governatore di Bankitalia strepita sui guai bancari del passato irritando Francoforte, da Abu Dhabi l'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, cambia marcia e lancia un messaggio rassicurante al mercato guardando al futuro. «Il governo italiano e i regolatori hanno fatto un lavoro eccellente per il settore bancario, sono state trovate le soluzioni e oggi possiamo dire che è stato eliminato il rischio sistemico», ha detto ieri il banchiere francese nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, dove il gruppo ha inaugurato la nuova filiale Corporate e Investment Banking. Nessun riferimento specifico al «caso Visco» o alle polemiche nostrane, Mustier non intende partecipare a un dibattito sterile dal punto di vista del mercato. L'ad di Unicredit adesso ha l'obiettivo di far capire agli investitori che con i salvataggi di Mps e delle ex Popolari venete per il sistema bancario italiano il peggio è alle spalle. Quanto al nuovo giro di vite ai crediti deteriorati arrivato dalla Bce, l'invito di Mustier (che con il progetto Fino ha già liberato il bilancio dal peso di 17,7 miliardi di sofferenze) è a non cristallizzare l'attenzione sulle singole decisioni annunciate da Francoforte «perché non dobbiamo correre il rischio di guardare il singolo albero e perdere di vista la foresta». Meglio dunque ragionare «con una visione di medio termine» sul quadro d'insieme dei provvedimenti che «serviranno per uniformare il sistema bancario europeo». Le parole chiave degli incontri avuti in questi giorni a Abu Dhabi dai vertici del gruppo sono «visibilita» e «fiducia». Forti anche del rapporto consolidato con il fondo sovrano di Abu Dhabi, Mubadala (attraverso la controllata Aabar Luxembourg), che è rimasto in vetta tra gli azionisti con una quota di oltre il 5% dopo il successo dell'aumento di capitale da 13 miliardi. Proprio Abu Dhabi, dove il gruppo aveva già dal 2001 un ufficio di rappresentanza, è stata scelta come hub per i Paesi del Golfo e per la più estesa regione Medio Oriente e Africa. La nuova filiale inaugurata ieri da Mustier insieme al presidente Giuseppe Vita, offrirà assistenza ai clienti europei e supporterà la clientela locale, che include multinazionali, istituzioni finanziarie locali e fondi sovrani. Il business è ghiotto: la banca ha assistito transazioni nella regione per un controvalore di 6,5 miliardi di euro nel 2016. I Paesi del Golfo rappresentano il 6% circa dell'interscambio totale con la Ue e il quinto maggior mercato di esportazione per l'Europa. La regione sta anche rafforzando la propria posizione come hub commerciale dei principali Paesi emergenti di Asia e Africa: l'interscambio tra il Golfo Persico e Cina è stimato in oltre 110 miliardi di dollari Usa quest'anno. «Dalle infrastrutture al comparto oil and gas, c'è un'importate accelerazione degli investimenti delle aziende italiane», ha spiegato il direttore generale, Gianni Franco Papa, citando Salini Impregilo che sta costruendo un ponte e il gruppo della cioccolata Venchi che sta sviluppando la sua catena in franchising.

SCENARIO BANCHE 30 Giorno - Carlino - Nazione 24-ott-2017

Unicredit si espande ad Abu Dhabi «Il sistema Italia non è più a rischio» art di ALESSIA GOZZI ABU DHABI IL CUORE degli Emirati Arabi ha la forma di una T, Abu Dhabi, cassaforte degli sceicchi e patria dei maggiori fondi sovrani, con oltre mille miliardi di asset gestiti. Porta d'accesso al ricco mercato del Golfo e dell'area MEA (Medio Oriente e Africa), è un presidio strategico chiave per una banca come Unicredit che punta a essere «un gruppo paneuropeo». Parola dell'amministratore delegato Jean Pierre Mustier, che ieri ha tenuto a battesimo la nuova filiale Corporate e Investment Banking nella capitale degli Emirati insieme al presidente Giuseppe Vita e al general manager Gianni Franco Papa. La struttura rafforzerà la presenza nell'area di Unicredit, attiva ad Abu Dhabi già dal 2001, e amplierà l'offerta globale per oltre un milione di clienti corporate e del settore pubblico. La divisione Cib (CorporateeInvestment banking) continua a crescere, con oltre 2 miliardi di ricavi e una redditività (Roac) del 16,5% nel primo semestre 2017. UN MUSTIER particolarmente ottimista — cravatta rossa d'ordinanza e l'immanacabile Elkette, l'alce di pelouche portafortuna ormai diventata una mascotte, «è simbolo di crescita e suscita buoni sentimenti», scherza — che allontana gli spettri di nuove crisi bancarie alla faccia di qualche fondo estero che scommette contro l'Italia. «Nessuna preoccupazione» nemmeno per la stretta sugli Npl (crediti deteriorati) proposta dalla Bce: «Non guardiamo alla singola misura ma al quadro regolatorio nel suo insieme e, in ogni caso, noi siamo in una buona posizione». Grazie al maxi programma di cessione da 17,7 miliardi di Npl e all'aumento di capitale da 13. Il manager promuove l'operato delle istituzioni di vigilanza e del governo nella gestione delle crisi, da Mps alle venete, evitando però di entrare nella polemica sul governatore di Bankitalia Visco: «Non ci sono più rischi sistemici, è positivo per la fiducia degli investitori». L'incidenza delle sofferenze nette delle banche italiane, sottolinea, rispetto agli impieghi totali è sceso sotto il 4%, avvicinandosi alla media europea del 3%. L'OBIETTIVO qui ad Abu Dhabi, spiega Mustier, «è fare da hub per un doppio flusso di capitali: quelli europei che vogliono investire nel Golfo e quelli arabi che voglio investire in Europa». I paesi del Gulf cooperation Council valgono il 6% dell'interscambio con l'Europa, ne costituiscono il quinto maggior mercato d'esportazione e, dunque, sono una destinazione importante per i clienti Unicredit: oltre mille già attivi sul mercato e 6,5 miliardi di operazioni finalizzate nel 2016. Tra i clienti c'è Salini Impregilo, che dopo la grande Moschea sta costruendo altre opere infrastrutturali, ma anche Venchi che rafforza la catena di franchising. Il legame con Abu Dhabi, del resto, è nel dna di Unicredit, visto che il fondo Aabar è azionista con il 5%. Oltre ad essere la settima più grande riserva mondiale di petrolio e gas naturale e una free zone finanziaria, Abu Dhabi ha diversificato profondamente la sua economia puntando su infrastrutture, energie rinnovabili e cultura (l'11 novembre a inaugurare il Louvre arabo ci sarà il presidente francese Macron) ma anche turismo, commercio, servizi finanziari e manifatturiero, con un Pil 2018 previsto in aumento di oltre il 3% anche grazie ai prezzi del petrolio risaliti. SENZA dimenticare la ricca clientela locale, fatta di multinazionali e fondi sovrani, desiderosa di investire in Europa dove — sottolinea Mustier— «la crescita è ripartita». In Italia, poi, «ci sono molte piccole e medie imprese con grandi potenzialità» che Unicredit è pronta a supportare nella crescita sui mercati esteri. Quanto al Gruppo, niente acquisizioni all'orizzonte: «Ci concentriamo su una crescita organica e sulla governance». ***

SCENARIO BANCHE 31 La Verita' 24-ott-2017

Ignazio Visco il travet irrilevante al servizio di Mario Draghi e della Merkel - Il art grigio travet che si genuflette alla Merkel

Un pochino, va detto, Ignnzio Visco ha l'aria della vittima predestinata. La modestia dei suoi modi confina con l'irrilevanza. Il governatore della Banca d'Italia, che pure incamera 45o.000 euro lordi l'anno, ha le giacche lise anche nelle occasioni ufficiali. Il tipico travet con le maniche consunte dallo strofinio con lo scrittoio dove è capace di stare zo ore di fila chino sui numeri. Per tacere dell'orripilante zainetto di nylon blu con cui si presenta ai convegni. Nelle foto di gruppo, accanto ai colleghi banchieri in abito scuro e valigetta di pelle, sembra un autostoppista di passaggio, immortalato per sbaglio mentre esce dall'ostello della gioventù. Ignazio, insomma, manca di chic. Tuttavia, chiedendone la testa, Matteo Renzi ha commesso diversi errori e altrettante sottovalutazioni. L'esuberante fiorentino attribuisce a Visco la responsabilità dei crac bancari degli scorsi anni per scarsa vigilanza di Bankitalia. Bluffa. Sia nel caso di Banca Etruria - dove paNellefoto di gruppo con i colleghi banchieri, con quel suo zainetto blu sembra un autostoppista di passaggio immortalalo per sbaglio. Ma il Bullo vuole vendicami sticciò il babbo della sottosegretaria, Maria Elena Boschi - sia delle Venete, le crisi precedono la nomina di Visco a governatore (24 ottobre zo11). A non vigilare, semmai, è stato il predecessore Mario Draghi, odierno capo Bce. O addirittura Antonio Fazio, ultima guida della «grande» Bankitalia prima del ridimensionamento in favore della Banca centrale europea. UNA STORIA VECCHIA Gli interrogativi sulla solvibilità delle banche poi fallite pendevano già nella prima decade del Duemila. Alla testa di Bankitalia era allora Draghi mentre il factotum della Vigilanza era una sua creatura: Anna Maria Tarantola, futuro presidente della Rai (2012-2015). Già giravano a mucchi le chiacchiere ma si faceva orecchio da mercante. Tra noi giornalisti, per dirne una alla mia portata, si sapeva benissimo che Banca Etruria curava attentamente i rapporti can la stampa economica. Perno di queste frequentazioni era l'Agenzia di via degli Uffici del Vicario, accanto a Montecitorio. A molte belle firme venivano offerte le cosiddette consulenze. Tra banca e giornali si creava così un clima amichevole e veniva spontaneo, se mai dovesse emergere su Etruria una notizia sgradita, di edulcorarla o tacerne. Tutte queste cose, ribadisco, Visco le ha trovate. Renzi lo sa meglio di me e quindi non è vero che vuole esautorare il governatore uscente per punire un incapace. Non punta infatti a una moralizzazione ma a consumare una vendetta. È iroso verso Visco perché non lo ha coperto quando era premier, lasciando che scoppiasse il bubbone bancario durante il suo governo. Lo incolpa insomma del crollo, fin sotto i tacchi, della propria popolarità. Ma Ignazio non c'entra: in una situazione incancrenita, i nodi vengono fatalmente al pettine. MENTALITÀ IMPIEGATIZIA Renzi, al solito, è stato leggero. Visco è un bravo tecnico con una mentalità impiegatizia. Gli manca l'aureola dei grandi governatori di Bankitalia. Non è un padre della patria alla Luigi Einaudi. Non una riserva della Repubblica come fu Guido Carli. Non ha la grinta di Draghi cui basta un digrignare dei denti per mettere in riga i mercati internazionali. Ma proprio per questo incarna a pennello la Banca d'Italia che non batte più moneta e ha ceduto il go per cento dei poteri all'Ue. È il governatore piccolo borghese di una banca centrale bonsai nell'Italia periferica dei nostri giorni. Non ha velleità di primeggiare, è privo di sapienza politica e mette ogni sforzo a obbedire alle istanze superiori. Che sono due: Draghi a Francoforte e Angela Merkel a Berlino, i bulldog dell'economia europea. Non a caso, sono entrambi incinghialiti con Renzi per l'attacco a Visco. Draghi si fida del suo collega che 6 anni fa consigliò a Silvio Berlusconi, allora premier, di nominare governatore. Lo considera una perfetta cinghia di trasmissione dei suoi desiderata dalla Bce. Per Merkel, è invece il garante della soggezione italiana alle regole economiche dell'Ue: i vari zero virgola del deficit, ecc. La cancelliera, inoltre, vede come la peste cambiamenti nei nostri equilbri nel momento in cui sta trattando un'alleanza con i liberali tedeschi. Costoro, che sui conti sono più draconiani dei comuni tedeschi, già non si fidano per principio dell'Italia, figurarsi se ci sono fibrillazioni. Ecco perché i più alti papaveri nostrani - sempre ossequienti - hanno prontamente eretto un bozzolo protettivo attorno al governatore assalito dal Giamburrasca di Rignano sull'Arno. E adesso - grazie alle manovre del presidente Sergio Mattarella e al premier Paolo Gentiloni - sembra che tutto sia avviato verso la riconferma del nostro quasi sessantottenne. ELETTORE DEL PD Napoletano, ma a Roma dall'adolescenza, Ignazio ha frequentato nella capitale il Tasso, liceo prediletto di rampolli della sinistra borghese.

SCENARIO BANCHE 32 Il conte Gentiloni, per dire, ne fu allievo. Sinistrosetto e sempre stato anche Visco che nelle ultime tornate ha costantemente votato Pd. Ora, ovviamente, con quello che gli ha combinato il suo segretario, scruterà i nuovi lidi cui approdare. Alla facoltà di economia della Sapienza, Visco incontrò per la prima volta Draghi, di due anni più anziano, seguendo lo stesso corso di Federico Caffè, maestro allora del keynesismo (interventismo statale) nostrano. Presa la laurea, entrò subito in Bankitalia e di lì, professionalmente, non si è mai mosso. Col corpo invece si trasferì qualche anno negli States per prendere - come Draghi al Mit - un Ph.D in economia all'università di Pennsylvania. A titoli accademici se la batte perciò coi migliori efu, di h a poco, il più giovane direttore dell'ufficio studi di Bankitalia. CARRIERISTA IRRILEVANTE Dopo questi exploit, verrebbe da dire che si è addormentato. Infatti, anziché esplodere a livello nazionale come prometteva, prevalse in lui il grigio carrierismo nel pollaio di lusso della banca di via Nazionale. Raggiunse le alte sfere ma, 45 anni dopo, al di fuori di quelle mura era uno sconosciuto. Così, quando nel 2011 bisognò sostituire Draghi che traslocava a Francoforte, nessuno pensò a lui. I] premier Berlusca puntava su Lorenzo Bini Smaghi, non per simpatia ma perché quello altrimenti non avrebbe lasciato il board della Bce irritando i francesi che volevano il suo posto. Il ministro valtellinese dell'Economia, Giulio Tramonti, spingeva sul corregionale Vittorio Grilli, milanese e direttore generale del Tesoro. L'uscente Draghi, conoscendo le preferenze di Bankitalia per un interno, insisteva su Fabrizio Saccomanni, fin lì suo numero due. Ciascuno si intestardiva nelle preferenze e non si veniva a capo di nulla. DESIGNATO ALLA CIECA Primo a riscuotersi, fu l'astuto Draghi. Facendolo precedere da una frase sibillina: «Fra i tre litiganti, il quarto gode», pronunciò il nome di colui che non voleva nessuno: il nostro Vinco. Allarmatissimo, il Cav chiese: «Dracula? ». Intendeva Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze, noto vampiro delle tasse. «Neanche parente», fu la risposta tranquillizzante. Cosi, non sapendo neppure come fosse fatto, il premier designò Ignazio alla cieca. L'ultima parola spettava però al capo dello Stato. Giorgio Napolitano si fece portare una foto di Visco, tanto per capire di che si trattava. Trovò il viso bonario e ben rasato ma continuava a essere perplesso. Finché un consigliere gli sussurrò all'orecchio: «È napoletano come lei». All'istante, il decreto fu firmato. E l'oscuro Ignazio entró nelle nostre vite.

SCENARIO BANCHE 33 Manifesto 24-ott-2017

Bankitalia, Mpd attacca: Boschi non partecipi al consiglio dei ministri art «Maria Elena Boschi non partecipi al consiglio dei ministri che dovrà proporre il nome del governatore di Bankitalia». La richiesta è stata tramutata in interrogazione parlamentare da Arturo Scotto di Mdp perché sull'attuale sottosegretaria alla presidenza del consiglio «grava un pesante conflitto di interessi che non può essere più ignorato». Un conflitto di interesse reso palese dalle stesse norme di Banca d'Italia. dl padre dell'onorevole Boschi, Pier Luigi, le cui attività in qualità di ex vicepresidente di Banca Etruria sono state a lungo oggetto della vigilanza di Palazzo Koch- ricorda Scotto -rientra nella fattispecie giuridica 'stretti familiari» citato nella circolare 263 del 27 dicembre 2006 della Banca d'Italia, che stabilisce precise disposizioni nei confronti di soggetti collegati». L'interrogazione ha per destinatari sia Gentiloniche fadoan. Assai difficile, ma non impossibile che il governo risponda nel Question time della Camera previsto per domani. Più probabile invece che nel frattempo la stessa Boschi annunci che non parteciperà al con siglio dei ministri. La mossa servirebbe anche per rivendicare l'assenza nel consiglio dei stri dell'U novembre 2015, quello del decreto salva-banche che mise in liquidazione Banca Etruria e gli altri tre istituti Ma la Boschi era invece presente il 10 settembre del 2015 quando fu approvata la norma che impatta più direttamente su suo padre. Quel giorno il governo Renzi recepl la direttiva sul cosiddetto «bail in», ma con una piccola modifica. Li, a differenza della normativa europea, l'azione di responsabilità e di rivalsa verso i dirigenti della banca è diventata prerogativa dei commissari, salvando di fatto papà Boschi dalle azioni giuridiche dei risparmiatori che hanno perso tutto per il crack di Banca Etruria. Ieri intanto continuavano insistenti le voci su un possibile anticipo del consiglio dei ministri su Bankitalia, previsto per venerdì. Dopo la mozione Pd di una settimana fa, le pressioni del Quirinale per chiudere la partita nel minor tempo possibile evitando polemiche e delegittimazione di un'istituzione fondamentale sono sempre più forti. Mattarella, a cui spetterà comunque la parola finale e determinante per la nomina del governatore per quanto previsto dalla legge Siniscalco del 2005 - in pieno scandalo che portò alle dimissioni di Antonio Fazio per la Popolare di Lodi - continua a ritenere inevitabile la conferma di Ignazio Visco. Mentre le subordinate - la promozione del direttore generale Salvatore Rossi o del vicedirettore Fabio Panetta - sarebbero una vittoria di Pirro per Renzi e renziani: entrambi hanno votato e avallato tutte le decisioni della Vigilanza bancaria in questi anni.

SCENARIO BANCHE 34 Mattino 24-ott-2017

Fondo Invitalia, Bei punta 21 milioni di euro più finanziamenti per le startup art innovative

Il venture capital italiano riesce ad attirare l'interesse della Banca europea degli investimenti leri il vicepresidente della Banca, Dario Scannapieco e Salvo Mizzi, amministratore delegato di Invitalia Ventures, Sgr controllata da Invitalia (l'Agenzia del governo guidata da Domenico Arcuri), hanno sottoscritto un accordo per un investimento di 21,65 milioni di euro nel Fondo Italia Venture I, gestito da Invitalia Ventures Sgr. Con questa operazione, in cui la Bei entra per la prima volta nel venture capital italiano, si chiude così con successo la fase di raccolta del Fondo Italia, che arriva auna dotazione di circa 87 milioni di euro. La sottoscrizione della Bei segue, infatti, quelle già registrate da Mise-Invitalia, dal grup po americano Cisco, da Fondazione di Sardegna e dal gruppo Metec. Il Fondo Italia Venture I si posiziona dunque tra i principali operatori di venture capital in Italia e dispone di una massa critica di smart capital pubblico-privato da investire nella competitività al sistema Italia. Il bilancio in poco meno di due anni? Investimenti effettuati in 16 startup e piccole e medie imprese innovative, con un impegno di spesa di 11 milioni di euro e un valore totale degli investimenti di 33 milioni di euro. Tutto questo è potuto avvenire grazie al meccanismo dico-investimento con investitori privati, nazionali e intemazionali, basato su un mix di capitali pubblici e privati. In ogni modo, l'ingresso della Bei nel Fondo di Invitalia Ventures segna lavolontà dell'istituzione europea di dare una spinta allo sviluppo del venture capital in Italia, paese che rimane ancora in posizione marginale rispetto ai suoi partner europei I dati 2016 indicano, infatti, che in Franciasono stati investiti in startup 2,7 miliardi di euro; in Germania 2 miliardi di euro; in Spagna 600 milioni di euro; in Italia solo 180 milioni di euro. Inoltre, i primi dati 2017 (gennaio -settembre)segnalano per l'Italia un calo de1 30 percento rispetto all'anno precedente. Per il vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco, «il venture capital serve a far crescere le startup, anche perché il credito bancario è troppo rischioso per loro». Ma l'Italia è ancora in fondo alla classifica per questo tipo di investimenti. Ed è quindi necessario, per Scannapieco, «creare un vero e proprio ecosistema a sostegno delle startup anche attraverso la partecipazione della Bei a fondi pubblico-privato. Perciò secondo l'ad di Invitalia, Domenico Arcuri «d'investimento della Banca europea è un impegno forte per recuperare il gap dell'Italia nel venture capital, e anche una risposta certa per le imprese che hanno difficoltà a reperire i finanziamento. «Rafforzare attraverso il venture capital le nostre startup - evidenzia Arcuri - significa soprattutto creare le condizioni per nuova occupazione duratura e di qualità».

SCENARIO BANCHE 35 Mattino 24-ott-2017

Bcp, sì al piano per il rilancio art Via libera dal Consiglio d'amministrazione della Banca di Credito Popolare di Torre del Greco al Piano industriale 2018-2020, passaggio chiave per la svolta che dovrebbe garantire all'Istituto un importante riposizionamento e il ritorno all'utile. Messo apunto dal direttore generale Felice Delle Femine in tempi molto rapidi e con il completo avallo del cda guidato da Mauro Ascione, il piano è impegnativo (prevede infatti un taglio dei costi del 6,7 per cento) ma viene giudicato sostenibile dal management e comunque indispensabile a quell'azione di rilancio che è alla base del ricambio gestionale e manageriale operato la scorsa estate con la nomina di Delle Femine e l'elezione di Ascione. In sostanza la Banca rivendica e rafforza la sua storica mission nel credito territoriale, punto di riferimento solido e profondamente radicato per le famiglie e le piccole e medie imprese del tessuto economico regionale e con una rinnovata attenzione ai giovani. Ma al tempo stesso si pone l'obiettivo di accompagnare i nuovi processi di sviluppo con un sensibile miglioramento della qualità e della competitività della propria offerta. Di qui l'impegno per un maggior livello di copertura dei crediti deteriorati ed una gestione proattiva degli stessi. E anche una prospettiva nel thennio (più 6,2% la crescita aggregata degli impieghi), rivolta alle famiglie ed alle piccole e medie imprese che testimonia da sola l'importanza e l'onerosità dell'obiettivo fissato. Le strade previste dal Piano sono sostanzialmente tre. Anzitutto la generazione di valore. Si punta, poi, ad un deciso miglioramento della qualità del credito e ad una maggiore efficienza dei processi e dei modelli basati sulla razionalizzazione e semplificazione della struttura operativa. La Popolare annuncia altresì la rivisitazio - ne e quindi l'innovazione dei prodotti, un più efficiente ed efficace modello organizzativo e l'ottimizzazione dei tempi di risposta. Sarà inoltre rafforzato il ruolo della consulenzaverso gli investimenti della clientela. Mentre per quanto riguarda la rete commerciale, valore autentico dell'Istituto, si metterà in atto il potenziamento delle strutture di filiale e si proce derà ad una razionalizzazione delle stesse. L'biettivo finale sarà qà quindi un più sostenibile rapporto tra risorse in Direzione generale e risorse in rete che a fine Piano si attesterà rispettivamente al 30 per cento in Direzione Generale e al 70 per cento in Rete Commerciale.

SCENARIO BANCHE 36 Messaggero 24-ott-2017

Braccio di ferro su Visco I renziani: «Sarà guerra» art Il blitz era praticamente pronto. Tra questa sera e domani Paolo Gentiloni, con la benedizione di Sergio Mattarella, aveva in programma di convocare il governo. Un solo punto all'ordine del giorno: la conferma di Ignazio Visco alla guida della Banca d'Italia. Poi, però, Matteo Renzi si è fatto sentire. Il leader dem ha fatto sapere al premier che il Pd, in caso di riconferma del governatore uscente, è pronto ad andare alla guerra nella commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche. Da qui la frenata. Il ritorno al calendario già fissato: giovedì Gentiloni salirà al Quirinale, poi venerdì il governo deciderà. E il nome più accreditato per palazzo Koch diventa quello del direttore generale Salvatore Rossi. Oppure quello del vice dg Fabio Panetta, c'è chi dice non troppo gradito a Renzi. Visto il nuovo marasma, fonti accreditate parlano di «riflessioni in atto». Quella del premier, cui per legge compete la scelta. E quella del capo dello Stato, al quale spetta la ratifica della nomina. Qualcuno sostiene che anche Visco è sottoposto a un pressing per farlo «riflettere fino all'ultimo su ciò cui va incontro». LA GUERRA PROMESSA Il riferimento è, appunto, alla battaglia che la conferma del governatore - sfiduciato martedì scorso da una mozione del Pd - innescherebbe nella commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Pier Ferdinando Casini. A dispetto della promessa di Renzi («Gentiloni confermi pure Visco, io accetterò la decisione»), i suoi fedelissimi minacciano la guerra. «La conseguenza di un nuovo mandato a Visco», dice un altissimo esponente dem, «sarà che nei prossimi tre mesi passeremo al setaccio le carte di Bankitalia. E quei documenti riserveranno molte sorprese...». In estrema sintesi: «Si faranno del male, in Commissione sarà battaglia dura». Anche perché, come ricordano al Nazareno, «non c'è solo il Pd contro Visco, ma anche la stragrande maggioranza dei partiti. Cinquestelle inclusi. E visto che a pagare dazio sarà il governatore appena riconfermato, anche Bankitalia ne uscirà malconcia». Minacce e altolà fatti recapitare dal quartier generale dem a Gentiloni che, a sua volta, ha avvertito Mattarella. Da qui il supplemento di riflessione. La frenata. «A bloccare la riconferma del governatore uscente possono essere ormai solo le minacce di Renzi», diceva a metà pomeriggio un alto esponente istituzionale che ha in mano il dossier. Il premier e il capo dello Stato sono determinati a difendere «l'autonomia e l'indipendenza» di palazzo Koch dalle «interferenze» della politica. Aspetto che sta a cuore anche alle istituzioni finanziarie europee, a cominciare dalla Bce di Mario Draghi. E non vogliono creare un «precedente». Per questo al momento resistono al pressing di Renzi. Sul Colle e a palazzo Chigi si teme che se venisse scartata la riconferma di Visco - su cui prima di martedì scorso c'era un patto blindato tra le più alte cariche istituzionali - di fatto verrebbero lese le prerogative del governo, del presidente del Consiglio e del capo dello Stato. Aspetto che è stato sottolineato, nel giorno della mozione dem, con «sconcerto» e «stupore» sia dal Quirinale che da palazzo Chigi. Anche per questo Gentiloni, cui spetta la prima mossa, è abbottonatissimo. I suoi allargano le braccia: «Paolo parla poco di queste cose e se parla lo fa con l'altro presidente». Con Mattarella. E negando qualsiasi accelerazione, non escludono che alla fine la scelta possa cadere su un'«altra soluzione interna» a via Nazionale «in grado di garantirne l'autonomia»: il direttore generale Rossi, appunto, o il vice dg Panetta. «Se non sarà Visco non si andrà lontano da lui», confermano al Quirinale. IL FORTINO DI VIA NAZIONALE Da palazzo Koch filtra «sconcerto» e «allarme». Visco in una riunione a porte chiuse ha messo a verbale: «Noi non abbiamo contribuito alle crisi bancarie, abbiamo operato con successo per contenerne gli effetti e risolvere le situazioni più difficili». Una risposta indiretta a Renzi. Questa sera cominceranno ad arrivare a Roma i membri del Consiglio superiore chiamato a "vistare" (il parere non è vincolante) il nome scelto dal governo. E da via Nazionale, davanti alla possibilità che Visco non sia riconfermato, trapela «forte preoccupazione». Non perché non siano graditi i nomi di Rossi o Panetta, ma perché giovedì il governatore uscente dovrà partecipare a una importantissima riunione del board della Banca centrale europea. Quella incaricata di delineare il "way-out" dal quantitative easing, l'acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce di cui ha beneficiato soprattutto l'Italia, forbiciando lo spread e la spesa per finanziare il debito pubblico. Ebbene, la speranza di palazzo Koch era spedire a Francoforte il governatore a un passo dalla riconferma. Non una potenziale anatra zoppa.

SCENARIO BANCHE 37 Messaggero 24-ott-2017

Boschi sfida Di Maio «Bugie? Vieni in tv» Tensioni su Visco - Boschi in Cdm art diventa un caso E lei sfida Di Maio: confronto tv

Non volevano assistere a una situazione già vista: Maria Elena Boschi in Consiglio dei Ministri mentre si parla di banche. E poi, certo, è sfida aperta alla maggioranza. Questo il senso dell'interrogazione presentata da Mdp al premier. Arturo Scotto, ala ex Sel, chiede che la sottosegretaria non partecipi al Cdm del prossimo 27 ottobre, quello che nominerà il nuovo Governatore di Bankitalia. Nell'interrogazione si parla di «conflitto d'interessi», l'affondo è chiaro: «Il padre dell'onorevole Boschi, Pier Luigi Boschi le cui attività in qualità di ex Vice Presidente di Banca Etruria sono state a lungo oggetto della vigilanza bancaria e finanziaria operata da Palazzo Koch rientra nella fattispecie giuridica "stretti familiari"». Dal Pd fanno quadrato per proteggere Boschi. Matteo Renzi liquida l'interrogazione con poche parole, e con i suoi taglia corto: «Non credo che possa restare fuori come sottosegretario: non ha diritto di voto e non ha alcun conflitto di interesse». E così anche da Palazzo Chigi dove fanno sapere che Boschi parteciperà regolarmente al Consiglio «come è normale che sia». «Non si può accettare l'esclusione della Boschi - confidano - perché vorrebbe dire riconoscere un conflitto di interesse che invece non esiste». Attacchi arrivano anche da Luigi Di Maio, però, che l'ha tirata in ballo durante un comizio. Il vicepresidente della Camera ha sparato a zero: «Renzi e la Boschi sono gli aguzzini dei correntisti bancari italiani, non i salvatori. Quando fanno lo show mediatico su Visco e Banca d'Italia per fare vedere che vogliono tutelare i risparmiatori si devono ricordare che quando hanno governato non solo hanno favorito le banche, ma in 20 minuti hanno fatto un decreto per salvare la banca della Boschi e mandare sul lastrico migliaia di risparmiatori». La sottosegretaria non ci sta. E risponde in serata via Facebook: «L'onorevole Di Maio, come spesso gli accade, parla di cose che non conosce o che più semplicemente non capisce». LA RISPOSTA VIA SOCIAL Rompendo il suo proverbiale silenzio, contrattacca: «Io non ho nessuna banca, ma mio padre è stato per otto mesi vicepresidente di una banca popolare, Banca Etruria. Mio padre come tutti i membri del consiglio d'amministrazione è stato commissariato dal nostro governo, cioè mandato a casa proprio da noi. La banca non è stata salvata ma messa in risoluzione: esattamente il contrario di ciò che Di Maio afferma. Abbiamo però salvato migliaia di correntisti che altrimenti avrebbero perso tutti i loro risparmi per colpa di decisioni europee assunte non dal nostro governo». E ancora: «Ricapitolando: io non avevo e non ho nessuna banca, mio padre è stato mandato a casa come tutti, noi abbiamo salvato i correntisti». Infine, la sfida: «Ora basta con le bugie: sono pronta a un dibattito televisivo con l'onorevole Di Maio sulla questione bancaria e più in generale sulle misure che noi abbiamo preso per salvare l'Italia dalla crisi mentre M5S rincorreva le scie chimiche e la lotta ai vaccini. Entriamo nel merito e vediamo chi sta mentendo agli italiani». Sfida subito raccolta sul fronte tv da Bruno Vespa: «Porta a porta è pronto ad ospitare il confronto Boschi- Di Maio», annuncia all'Ansa. La sottosegretaria accetta. L'attesa ora è per Di Maio. «Stiamo valutando», fanno sapere i grillini.

SCENARIO BANCHE 38 Messaggero 24-ott-2017

Unicredit inaugura la filiale di Abu Dhabi Mustier: «In Italia stop rischio sistemico» art Ieri Unicredit ha inaugurato una filiale corporate e investment banking ad Abu Dhabi. La nuova filiale amplierà le attività svolte in passato dall'ufficio di rappresentanza presente dal 2001 e fungerà da hub per i Paesi Gulf Cooperation Council (Gcc) e per la più estesa regione Middle East and Africa (Mea), offrendo maggiore assistenza ai clienti europei di Unicredit e supportando nel contempo la clientela locale, che include multinazionali, istituzioni finanziarie e fondi sovrani. La nuova struttura, «svilupperà la già consolidata attività con le controparti Mea, che la banca ha assistito in transazioni nella regione per un controvalore di 6,5 miliardi nel 2016". I Paesi del Gcc rappresentano una destinazione importante per i clienti Unicredit, con oltre mille organizzazioni europee già attive sul mercato e operanti in settori cruciali per lo sviluppo dell'area. La filiale di Abu Dhabi sarà diretta da Yahia El Assadi, responsabile della regione Mea, che riporterà ai co-responsabili di UniCredit Corporate e Investment Banking, Olivier Khayat e Gianfranco Bisagni. Quanto alla situazione in Italia, dice il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier: «Valutiamo positivamente quanto fatto dai regolatori europei così come ciò che ha fatto il governo italiano per il sistema bancario. Dopo la soluzione per Mps e per le banche venete, possiamo dire che non esiste più un rischio sistemico nel settore banche in Italia.

SCENARIO BANCHE 39 Mf 24-ott-2017

Il caso Visco paralizza Mps - Il caso Bankitalia paralizza Mps art "Ci stanno facendo impazzire». Così ieri si confidava un alto dirigente di Mps dopo lo slittamento della quotazione imposto dalla Consob. Rumor di ieri sera davano per plausibile un via libera nella giornata di oggi, ma non ci sono conferme ufficiali. La commissione guidata da Giuseppe Vegas avrebbe infatti chiesto ulteriori informazioni alla banca per integrare il documento di offerta rivolto agli ex obbligazionisti. Obiettivo del Tesoro (oggi primo azionista al 53%) è proporre uno swap tra azioni e obbligazioni senior di nuova emissione a chi abbia comprato titoli subordinati allo sportello prima del 31 dicembre 2015. L'idea di fondo è far coincidere ritorno in quotazione e ristoro, visto che quest'ultimo potrebbe partire il giorno dopo lo sbarco in borsa. Perché tutto funzioni, però, serve una montagna di carta. Il documento di offerta infatti dovrà inglobare il documento di registrazione, una complessiva disamina dello stato di salute della banca senese. Il processo autorizzativo è insomma più articolato del solito, ma il rinvio potrebbe non essere solo un problema tecnico. A Siena come a Roma la prudenza degli uomini di Giuseppe Vegas viene legata anche alla crisi istituzionale che negli ultimi giorni ha investito Banca d'Italia. La mozione del Partito Democratico, o meglio della sua anima renziana, ha posto di nuovo al centro del confronto politico gli scandali bancari. In questo clima sovraeccitato è plausibile che la Commissione abbia scelto di muoversi con i piedi di piombo prima di autorizzare il ritorno in borsa di Mps. A Roma si ipotizza anche che per avviare l'operazione possa rendersi necessario un decreto attuativo, un provvedimento escluso finora dal governo. I due decreti di fine novembre nomavano infatti esclusivamente gli aumenti di capitale, mentre la legge salva risparmio di febbraio fornisce solo una cornice normativa generale. Ecco perché potrebbe essere utile un provvedimento ad hoc. Con questa mossa l'esecutivo si assumerebbe in prima persona la responsabilità del progetto di fronte all'opinione pubblica, sollevando quindi le authority da ogni responsabilità politica. Il ritorno in borsa sarà del resto un test molto importante per la banca. Il mercato sarà infatti chiamato a giudicare l'operazione di salvataggio messa in atto dal Tesoro sotto l'attenta osservazione di Bce e DgComp. Una prima cartina di tornasole sarà fl prezzo delle azioni. La media ponderata dei due aumenti di capitale varati ad agosto e del prezzo delle vecchie azioni dà il prezzo teorico di 7,7 euro. Molto lontano dalle stime espresse dagli analisti, che si aspettano un prezzo compreso tra 4 e 4,5 euro. L'idea di fondo è che il nuovo Monte dovrà necessariamente avere un rapporto price/tangible book value in linea con banche a vocazione retail come Banco Bpm e Ubi, che oggi quotano tra 0,4 e 0,5 volte il patrimonio. Se a questa valutazione si aggiungesse un leggero sconto, investire nel Monte potrebbe diventare un'opportunità interessante. Non a caso l'asta dei cds di settembre aveva fissato un recovery rate al 49,5%, che si traduceva in un valore delle azioni di 4,3 euro e in una capitalizzazione teorica di circa 4,9 miliardi. Nei primi giorni di contrattazione non si esclude peraltro una certa volatilità: sulla base della sua nuova capitalizzazione la banca guidata da Marco Morelli potrebbe essere inserita nel Ftse Mib e dunque finire rapidamente nel portafoglio di fondi long only. Gli acquisti iniziali, però, potrebbero terminare presto, quando le valutazioni del titolo toccheranno multipli palesemente fuori mercato. La conseguenza sarebbe una sequenza di rialzi e di ribassi al termine della quale le azioni della banca senese si assesteranno su un punto di equilibrio atteso attorno a 4 euro. Intanto procede il lavoro di deconsolidamento dei crediti deteriorati. Secondo quanto risulta, ieri i responsabili del fondo Atlante 2 e gli advisor avrebbero fatto il punto sullo stato di avanzamento dei lavori per meglio mettere a fuoco le prossime tappe. La scorsa settimana i servicer Cerved, doBank e Fonspa hanno raggiunto un accordo per la gestione degli stock in vista del deconsolidamento. Nel dettaglio, Cerved si prenderà in carico 13 miliardi nominali, mentre doBank gestirà circa 8 miliardi e Fonspa rivestirà il doppio ruolo di master e special servicer. Definito il loan data tape, ossia l'archivio strutturato del portafoglio, i servicer sono già al lavoro sul business plan, cioè sostanzialmente sul piano di recupero. La stesura del documento richiederà un paio di mesi, viste le dimensioni del portafoglio, che risulta uno dei più ampi mai arrivati sul mercato. E pur vero pert, che i professionisti di doBank conoscono già buona parte delle posizioni, dal momento che proprio l'anno scorso realizzò un primo esame approfondito del portafoglio crediti del Monte. Il business plan sarà poi inviato alle agenzie che dovranno dare un rating alle notes della cartolarizzazione. Nel frattempo sarà costituito lo special purpose vehicle in cui la banca senese trasferirà l'intero portafoglio. A quel punto saranno emesse tutte le note e Mps sottoscriverà temporaneamente le senior Al e A2 da

SCENARIO BANCHE 40 quasi 3,8 miliardi e le junior, mentre le mezzanine passeranno immediatamente al fondo Atlante 2 per 1,02 miliardi. Entro la prima meta del 2018, invece, è attesa l'attribuzione della Gacs sulla tranche senior. Il passaggio consentirà di collocare questi titoli sul mercato, mentre la junior passerà a sua volta al fondo gestito da Quaestio, completando il deconsolidamento dell'intero stock. L'ottenimento delle Gacs sarà insomma un passaggio decisivo per la riuscita dell'operazione nei tempi previsti, anche se c'è chi ritiene che l'iter possa concludersi anche nel primo trimestre del 2018.

SCENARIO BANCHE 41 Mf 24-ott-2017

Nell'Eurozona il 25% di banche in meno in otto anni art Prosegue il processo di consolidamento nel comparto bancario dell'Eurozona. II numero di istituti di credito è sceso del 25% tra il 2008 e il 2016. E quanto emerge da un report della Bce, dal quale si apprende che, su base non consolidata, il numero di banche a fine 2016 era pari a 5.073 rispetto alle 5.474 di dicembre 2015. Su base consolidata, invece. ovvero contando come un'unica entità gli istituti dello stesso gruppo bancario, l'ammontare era pari a 2.290 rispetto a quota 2.379 di fine 2015 e a quota 2.904 del 2008. Dal documento emerge inoltre che il totale "GIF4MAND ROMA degli asset delle banche dell'Eurozona si è attestato a 24,2 miliardi di euro a fine 2016, in aumento dello 0,5% su base annua ma in calo del 14% dal 2008. Lo scorso anno, inoltre, l'ammontare complessivo di prestiti è cresciuto in maniera moderata, dell'1%. Nel frattempo gli istituti hanno ridotto la quantità di titoli di Stato in portafoglio, in scia anche al Quantitative easing della Bce. Infine i ratio di capitale delle banche hanno continuato a salire, grazie soprattutto agli aumenti di capitale. Il Common Equity Tier 1 (Ceti) si è attestato al 15,4% a fine 2016, in miglioramento dal 14,4% del 2015. Comunque sia, la redditività degli istituti di credito è rimasta relativamente bassa per via di inefficienze strutturali che continuano a pesare sul comparto in diversi Paesi. In particolare lo stock di non performing loan resta persistentemente alto, secondo la Bce. Nei giorni scorsi Danièle Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza Bce, ha invitato il settore bancario ad andare avanti con il consolidamento, anche con operazioni transfrontahere, visto l'eccesso di capacità produttiva nel comparto e i bassi rendimenti degli istituti. Le attività totali del settore sono scese dal 340% del pil nel 2012 al 280% attuale, un dato che si confronta con l'88% del pil negli Usa, dove perb i mercati dei capitali sono più sviluppati. Nouy ha osservato inoltre che «molte banche nell'area dell'euro non rendono quanto il costo del capitale».

SCENARIO BANCHE 42 Mf 24-ott-2017

Ma far passare giovedì senza un nome può penalizzarci a Francoforte art La posizione di chi scrive sulla vicenda della nomina del Governatore - che pur i differenzia da quella autorevolmente esposta da Paolo Panerai - è nota. Le mie nuove argomentazioni - che qui espongo fruendo del pluralismo intellettuale che questo giornale meritoriamente riconosce - riguardano il Consiglio Direttivo della Bce che si riunisce giovedì prossimo. E una seduta importante, dedicata ai temi di politica monetaria e, in particolare, all'esame della situazione attuale del Qe e, soprattutto, delle prospettive. Finora è invalso l'orientamento di non modificare l'ammontare mensile dell'acquisto di titoli (60 miliardi) prima della fine del corrente anno. II 26 si rifletterà su questo argomento e su quello, più generale, che riguarda il complesso delle misure monetarie non convenzionali, tenendo conto delle previsioni economiche e, in specie, di quelle riguardanti l'inflazione. Potrebbe, la riunione, anzi dovrebbe anche occuparsi, come è auspicabile, delle recenti iniziative della Vigilanza bancaria unica, con particolare riferimento all'Addendum, alle misure sulla gestione dei prestiti deteriorati posto in consultazione pubblica, che ha suscitato finora numerose critiche. E ciò pur nel rispetto degli ambiti di autonomia del Meccanismo unico di Vigilanza. E immaginabile che a questa coli importante seduta debba partecipare un Governatore della Banca d'Italia ancora sub iudice e non, invece, un Governatore non solo pienamente in carica ma anche destinatario del mandato per altri sei anni? Trasparenza e correttezza istituzionali, nonché buon senso, imporrebbero di decidere rapidamente sul vertice di Palazzo Koch, prima di giovedì. Il dibattito finora si è incentrato sulla persona di Ignazio Visco. E stato comodo personificare una linea tenuta collegialmente dal Direttorio di Via Nazionale per eccitare demagogicamente critiche e invettive. Questo gioco al massacro non deve continuare, spetta al Governo e, prima ancora, al Presidente del Consiglio evitare ulteriori indugi. Si dirà che il merito è complesso e che Gentiloni si trova tra Scilla e Cariddi? E possibile, ma con una navigazione accorta e rispettosa delle regole può evitare l'uno e l'altro gorgo. Avrà sempre presente che il Capo dello Stato sulla materia ha un'alta attribuzione di merito, trattandosi di una decisione che si potrebbe definire semipresidenziale. I paletti della delibera del governo, che dovrà acquisire il parere, particolarmente importante, del Consiglio superiore della Banca, sono chiari: le eventuali responsabilità della Vigilanza vanno verificate nella Commissione di inchiesta. Qui avremo, probabilmente, molte sorprese e non certo favorevoli agli improvvisati Catoni e giudici del popolo. La scelta di un soggetto esterno all'istituto per la carica di Governatore, sia per l'improbabilità assoluta dei nomi che sono stati candidati nei mesi scorsi, sia e soprattutto per il sapore che essa avrebbe, di sfiducia nelle risorse intellettuali interne, e, indirettamente, di lesione dell'autonomia dello stesso istituto, va decisamente esclusa e così pare che sia anche come convincimento del governo. Quanto all'interno, ci si deve chiedere come sarebbe possibile non conferire a Visco il nuovo incarico e fare ricorso a una successione interna dal momento che tutte le decisioni di Vigilanza sono adottate collegialmente dai cinque membri del Direttorio che dispongono, singolarmente, di parità di voto. Si dovrebbe sacrificare Visco, allora, per una ragione populistica, subito smentita dalla nomina del successore, non prevedendo la contraddizione che coli si realizzerebbe? Torna a merito di Visco non avere mai affrontato questo argomento perché, come si deve da un rigoroso Commis d'Etat, egli ha assunto in prima persona, a viso aperto, la difesa dell'Istituzione. Ma spetta a chi deve decidere, peri, non dimenticare mai questo aspetto cruciale del governo della Vigilanza. Omettere una tale considerazione sarebbe un gravissimo errore. Come lo sarebbe concentrare tutta l'attenzione sui poteri di Vigilanza di Bankitalia e trascurare ciò che sta avvenendo di particolarmente negativo con l'operare della Vigilanza europea unica. Questa vicenda, comunque, non può concludersi se non confermando Visco nell'incarico e separando nettamente questa scelta, che non pub basarsi su giudizi sommari, dall'accertamento di quel che è accaduto con il dissesto di alcune banche che sarà verificato dalla Commissione sopra richiamata.

SCENARIO BANCHE 43 Mf 24-ott-2017

Sul Governatore si decide venerdì art Il nome del Governatore della Banca d'Italia uscirà con tutta probabilità dal Consiglio dei ministri di venerdì prossimo e tutto fa pensare che sarà ancora quello di Ignazio Visco. II premier Paolo Gentiloni, cui spetta il compito di proporre l'indicazione, sembra orientato alla riconferma e del resto nel Consiglio dei ministri sono in tanti di quest'idea, a cominciare dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan e da quello dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. nonostante il fuoco di fila aperto da giorni dal segretario Pd, Matteo Renzi. Non si tratterà, però, di una decisione semplice, perché altri ministri, come il titolare delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, sono più in linea con la linea dura nei confronti dell'attuale Governatore sposata dal partito democratico e rappresentata dalla ormai famosa mozione parlamentare. Proprio la necessità di evitare uno scontro in Cdm, facendo decantare un po' la situazione, ha consigliato Gentiloni a non imprimere quell'accelerazione che non sarebbe dispiaciuta invece al Quirinale. Non è un segreto che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. vorrebbe una riconferma di Visco, ancor più dopo l'affondo parlamentare ispirato da Renzi, considerato dal Colle come un attacco all'autonomia di Palazzo Koch. Ma per il Presidente della Repubblica c'è però anche un'altra ragione che consiglierebbe procedure molto rapide: permettere a Visco di presentarsi alla riunione del Consiglio direttivo della Bce, fissato per giovedì 26, con la legittimazione piena di una riconferma almeno annunciata. Difficile, però, che si possa imprimere un'ulteriore accelerazione alla procedura di nomina. Anche perché, pure se oggi appare molto improbabile, non è nemmeno escluso che dalla riunione di governo di venerdì si possa uscire non con un nome secco, ma con l'indicazione di una rosa da sottoporre al parere del Consiglio Superiore della Banca d'Italia, che detto per inciso, nella tarda serata di ieri non era ancora stato allertato. Nel frattempo sui temi bancari le polemiche politiche restano al calor bianco. Ieri Mdp ha chiesto che Maria Elena Boschi non partecipi al Cdm per evitare conflitti d'interesse, visto che il cda di Banca Etruria, di cui faceva parte suo padre, è stato sciolto su richiesta di Banlátalia. E sullo stesso tema ha battuto anche il grillino Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, che ha definito Boschi e Renzi «aguzzini dei risparmiatori», aggiungendo che «oggi fanno show su Visco e Banca d'Italia, ma in 20 minuti hanno fatto un decreto per salvare la banca di Boschi"» La sottosegretaria, ha immediatamente replicato : «Io non avevo e non ho nessuna banca, mio padre è stato mandato a casa come tutti, noi abbiamo salvato i correntisti»; e ha sfidato Di Maio ad un dibattito tv.

SCENARIO BANCHE 44 Mf 24-ott-2017

Carige, ok degli obbligazionisti alla conversione dei bond subordinati art Via libera degli obbligazionisti alla conversione dei bond subordinati Banca Carige. Le assemblee dei bondholder dell'istituto ligure hanno approvato la conversione obbligatoria di 510 milioni di euro di bond subordinati in titoli senior. La conversione è stata approvata da tutte e quattro le assemblee dei portatori di bond subordinati con percentuali superiori al 99% di voti favorevoli. La conversione è subordinata all'esito positivo dell'aumento di capitale da 560 milioni previsto per il mese di novembre dopo aver ottenuto le relative autorizzazioni da parte della Consob. Intanto sono state sospese le negoziazioni del bond Carige lower Tier2 dicembre 2020, cedola 7,321%. Il bond era tra i titoli subordinati inseriti nell'offerta di scambio nell'ambito dell'operazione di liability management della banca. Dopo il successo dell'operazione Lme, il mercato apprezza l'imminente cessione dell'immobile di Milano di Carige. In gole position ci sarebbe Antirion, società specializzata in fondi immobiliari, che potrebbe spuntarla sugli altri pretendenti con un'offerta complessiva intorno a 110 milioni di euro. Se il prezzo fosse confermato, Banca Carige otterrebbe una plusvalenza di circa 50 milioni di euro. in linea alle aspettative dell'ad, Paolo Fiorentino. Così a Piazza Affari il titolo Banca Carige ha chiuso la seduta di ieri in rialzo dello 0,5% a quota 0,224 euro. L'aumento di capitale fino a 560 milioni, uno dei tasselli principali dell'ampia manovra di rafforzamento patrimoniale voluta dalla Bce, secondo le ultime indiscrezioni, partirà il 21 novembre per concludersi il 7 dicembre. Naturalmente c'è grande attesa per il prezzo delle nuove azioni che potrebbero esprimere uno sconto sul Terp, il prezzo teorico dei titoli ex stacco dei diritti, tra il 30 e il 40%. Per gli esperti di Banca Aleros il pricing dell'aumento di capitale sarà cruciale e il potenziale sconto potrebbe essere di circa il 25%, considerando le attuali condizioni di mercato. «Ad ogni modo, il pricing dell'aumento di capitale resta difficile e il nostro rating rimane sospeso sull'azione», hanno avvertito gli esperti di Banca Aleros la scorsa settimana.

SCENARIO BANCHE 45 Mf 24-ott-2017

Unicredit vola ad Abu Dhabi art Unicredit sceglie Abu Dhabi. L'istituto guidato Jean Pierre Mustier ha inaugurato ieri una filiale di corporate e investment banking nella capitale degli Emirati Arabi Uniti. L'obiettivo della struttura è supportare i clienti del gruppo nella loro espansione internazionale e catturare i flussi di investimento da e per l'Europa. L'apertura segue quella della filiale spagnola di Madrid, avvenuta lo scorso anno. La nuova filiale amplierà le attivita svolte in passato dall'ufficio di rappresentanza presente dal 2001 e fungerà da hub per i Paesi del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) e per la più estesa regione che comprende Medio Oriente e Africa, offrendo maggiore assistenza ai clienti europei di Unicredit e supportando nel contempo la clientela locale, che comprende multinazionali, istituzioni finanziarie locali e fondi sovrani. Nello scorso anno la banca ha assistito in transazioni nella regione per un controvalore di 6,5 miliardi di euro. I Paesi del Golfo rappresentano il 6% circa dell'interscambio totale con l'Unione europea e il quinto maggior mercato di esportazione. La regione sta anche rafforzando la propria posizione come hub commerciale dei principali Paesi emergenti di Asia e Africa: l'interscambio tra i Paesi del Golfo e la Cina è stimato quest'anno in oltre 110 miliardi di dollari Usa. II Golfo è anche sede di importanti società di investimento emanazione dei fondi sovrani e rappresenta una fonte significativa del flusso globale di investimenti diretti all'estero. Commentando l'apertura, Jean Pierre Mustier, ad di UniCredit, ha dichiarato: «I Paesi del Gulf Cooperation Council (Gcc) rappresentano una destinazione importante per i clienti di Unicredit, con oltre mille organizzazioni europee già attive sul mercato e operanti in settori cruciali per lo sviluppo dell'area, quali commercio, attività manifatturiere, costruzioni, utility e gas e petrolio. Queste caratteristiche di mercato, assieme alla conoscenza della regione frutto della nostra presenza di lunga data ad Abu Dhabi, ci consentiranno di capitalizzare le opportunità per i nostri clienti. La nostra vision (One Bank, One Unicredit), di un gruppo bancario pan-europeo semplice e di successo, con un segmento corporate e investment banking perfettamente integrato e una rete unica in Europa occidentale, centrale e orientale, ha anche molto da offrire a istituzioni multinazionali e finanziarie della regione». Con sede nella free zone finanziaria denominata Abu Dhabi Global Market, la filiale si concentrerà inizialmente su operazioni di transaction banking e financing. Nel segmento transaction banking, Unicredit fornirà crediti documentari (lettere di credito per import ed export), garanzie, servizi di gestione liquidità e una avanzata piattaforma di ebanking. La filiale di Abu Dhabi sarà diretta da Yahia El Assadi, responsabile dell'area Medio Oriente e Africa, che riporterà direttamente ai co-responsabili di Unicredit corporate e investment banking, Olivier Khayat e Gianfranco Bisagni.

SCENARIO BANCHE 46 Mf 24-ott-2017

Contrarian - Mps, i difficili equilibri del Tesoro e la nuova senesità art Il ritorno in Borsa del Monte dei Paschi con un capitale di oltre 15 miliardi induce a formulare previsioni sulle quotazioni del titolo per raffrontarle con quella del 22 dicembre dello scorso anno, ultimo giorno di permanenza a Piazza Affari, quando si registrò un ulteriore calo con una valutazione dell'azione a 15 euro. Dal punto di vista più generale ci si chiede quanti degli obbligazionisti subordinati, una volta formati i prezzi sul mercato, utilizzeranno la facoltà di convertire le azioni possedute, frutto di un precedente scambio, in obbligazioni senior e se saranno sufficienti le disponibilità del Tesoro. L'assetto proprietario ora vede principalmente lo Stato con il 52% circa, le Generali con oltre il 4%, nonché il possesso di azioni proprie da parte dello stesso Monte per circa il 3%. L'interessenza del Tesoro potrebbe salire a circa il 70% dopo la suddetta conversione. II ritorno sul mercato borsistico è un evento importante. Avviene con la presenza pubblica di maggioranza assoluta come conseguenza finale delle gravi vicende vissute e della scelta della ricapitalizzazione pubblica precauzionale. Ai problemi noti che hanno portato il Monte sull'orlo del dissesto si è poi aggiunta, nello scorso anno, una improvvida gestione dell'avvio dell'aumento di capitale da parte del governo che si affidò mani e piedi a Jp Morgan confidando illusoriamente in una magia risolutrice dei problemi fino ad arrivare all'invito alle dimissioni dell'ad Fabrizio Viola, uno tra i migliori banchieri a livello europeo. Il rinvio della ricapitalizzazione a dopo il referendum costituzionale, sperando in un successo dello stesso totalmente poi smentito dal risultato, diede il colpo di grazia Si aggiunsero di seguito le oscillazioni e le contraddizioni della Vigilanza unica sul quantum della ricapitalizzazione e con una comunicazione che ebbe effetti quasi destabilizzanti. Tutto ora alle spalle? Sarebbe troppo facile volerlo. In effetti, l'amara esperienza compiuta fornisce molti insegnamenti. Intanto, il Monte, forte anche delle sue tradizioni, deve configurarsi come una banca pubblica, sì, ma non statizzata. Il Tesoro dovrà impegnarsi molto per rafforzare la ripresa dell' istituto, cominciando con il rinnovo della governance. Nessun cordone ombelicale burocratico con Via XX Settembre, ma capacità, da parte del Tesoro, di svolgere un ruolo di orientamento senza ingerenze, affidandosi alla competenza, all'esperienza e al rigore dei manager che dovrà scegliere e alla valorizzazione del personale. In quest'opera, naturalmente, importanti saranno i rapporti che saranno instaurati con gli altri partecipanti di rilievo. Quanto più l'opera di rilancio avrà successo, tanto più sollecitamente il Tesoro potrà avviare l'uscita dal capitale, considerato che la sua è una interessenza da ritenere limitata nel tempo. I segnali sulle strategie, sull'organizzazione interna, sull'efficienza da dare al mercato saranno fondamentali e concorreranno a dissipare gli eventuali dubbi sul carattere statal-burocratico della partecipazione pubblica. La piena restituzione della banca al mercato, in una con la predetta valorizzazione delle risorse interne, dovrà essere l'obiettivo principale da perseguire. L'aspettativa è che si apra una nuova fase nella vita del Monte con un'accezione nuova della senesità, che, cioè, sia stata capace di fare risorgere un istituto ormai quasi oltre il crepuscolo e che d'ora in avanti, forte dell'esperienza vissuta, imprima la spinta orgogliosa per traguardi più ambiziosi, ma con i protagonisti che mantengano saldi i piedi in terra.

SCENARIO BANCHE 47 Mf 24-ott-2017

Ristrutturare senza licenziare in banca? Si può art E'ormai da molto tempo che assistiamo a un intenso dibattito circa il ruolo del sindacato nella gestione di questo momento storico che vede il continuo ridimensionamento delle organizzazioni aziendali e costanti esodi di lavoratori. Più in generale, si discute delle relazioni industriali e della necessità di un cambiamento radicale in termini di rappresentanza, di azione, di logica, di approccio e di politica sindacale; se vogliamo, la deriva del dibattito l'abbiamo avuta con il j'accuse di Luigi Di Maio al sindacato: «O cambia o lo cambiamo noi!». II vero tema è che non esiste il sindacato da una parte e il resto dell'Italia dall'altra, il sindacato - con esso intendo la rappresentanza delle due parti sociali - si è seduto su posizioni che sono state favorite dall'intero sistema politico, economico e culturale del Paese, un sistema che per mille ragioni ha sempre monetizzato i problemi scaricando responsabilità e spese, sull'insieme dei cittadini e delle generazioni future. Un sistema totalmente deresponsabilizzato e deresponsabilizzante, ma contro il quale era impossibile andare. Lo Stato ha dovuto mettere mano pesantemente al sistema degli ammortizzatori sociali, all'indennità di disoccupazione, insomma a tutto ciò che un tempo assicurava la sopravvivenza di reddito per anni, ma senza lavoro. senza formarsi. senza studiare e senza applicarsi. Anzi, con la possibilità di fare lavori ai limiti della legalità con i quali integrare le provvidenze statali. Ciò ha comportato uno slancio delle parti sociali a ricoprire quel ruolo che effettivamente devono avere e svolgere, ovvero un confronto sano, serrato e costruttivo che deve trovare soluzioni, risolvere problemi che possono essere affrontati solo con il consenso e la condivisione sociale e non certo con una norma legislativa. Anche le banche, com'è noto, si trovano ad affrontare i problemi inerenti gli esuberi pensando di mantenere il livello occupazionale, ma organizzandolo diversamente: si comincia con la rinuncia all'outsourcing; riduzione dei costi generali, utilizzo delle ferie, riduzione o azzeramento degli straordinari, implementazione massiccia del lavoro part-time, e così via. Laddove i problemi fossero ancora più importanti, assistiamo al consolidarsi sia in ambito industriale che creditizio, al tentativo, a volte riuscito, di creare percorsi di riduzione dell'orario di lavoro generale o addirittura a formule programmate di sospensione dell'attività con contemporanea riduzione della retribuzione volta a evitare i licenziamenti. Questo è e sarà un passaggio epocale che segna l'inizio di un nuovo modello di relazioni industriali che vede gli attori perseguire i medesimi obiettivi: da una parte l'impresa otterrà un controllo di gestione e costi, dall'altra i lavoratori mantengono il posto di lavoro, bene decisamente più grande sotto ogni profilo e aspetto, laddove lo si paragonasse a una buona uscita o qualunque forma di parcheggio più o meno garantito. In questo modo, il sindacato dà prova che il cambiamento è in atto e che è sempre stato pronto a cambiare quando tutti gli altri lo sarebbero stati. La partita è aperta, ci sono tensioni da più parti e il rischio che alcuni attori del mercato del lavoro possano vedere vacillare il ruolo interpretato sino ad oggi è molto alto e sono pronti a dare forti e importanti colpi di coda. Ecco perché deve salire in cattedra anche un'altra parte: i lavoratori! I lavoratori devono prendere coscienza del cambiamento e agire per la tutela del loro lavoro e delle loro capacità redittuale. Il dato positivo è che se anche le banche ristrutturano senza licenziare, in un settore dove tecnologia e innovazione impattano in modo importante sull'organizzazione delle risorse umane, siamo sulla strada giusta.

SCENARIO BANCHE 48 MF Sicilia 24-ott-2017

Si rischia una nuova stretta art Superata in qualche modo la stagione del credit crunch, un rigidissimo credit control, soprattutto sui fidi e gli sconfini consentiti, è quel che attende imprenditori e clienti privati nei rapporti con le banche. E il messaggio, chiaro e forte, emerso a Catania nel corso dell'incontro «Gli effetti dell'Ifis 9 sul rapporto banca e impresa e sul ruolo del commercialista. Aspetti critici e opportunità», tenutosi alla Facoltà di Economia. II confronto, organizzato dall'Andaf (Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari), con il patrocinio della Banca di credito peloritano, della Banca popolare «Sant'Angelo» e delle società di consulenza CentoCinquanta e Kpmg, ha voluto fare il punto della situazione su uno strumento, l'Ifis 9 appunto, non nuovo, ma la cui rigida versione definitiva entrerà in vigore il prossimo 1 gennaio. Un nuovo standard di classificazione e misura di rischio e merito creditizio si applicherà a partire dal primo gennaio 2018, ma ne è pure consentita un'applicazione anticipata. Ragionando sui rischi e le opportunità per le aziende che il «nuovo» sistema comporta, Mauro Juvara, presidente di CentoCinquanta, azienda catanese di consulenza globale alle imprese, ha evidenziato come «fin qui le banche abbiano avuto, nella valutazione del credito, un'ottica hic et nunc, tenendo in considerazione, sostanzialmente, due macrocategorie, crediti in bonis e crediti deteriorati. Da gennaio, invece, cambierà profondamente lacomposizione quali-quantitativa della base dati su cui di dovranno compiere le scelte decisionali: da dati prevalentemente contabili, storici e di rendicontazione annua (bilancio d'esercizio e consolidato) si passerà a una reportistica previsionale, anche infra-annuale e riscontrabile a consuntivo, come piano aziendale e sistemi di monitoraggio continuativo». Carlo Palazzo, responsabile della funzione amministrativo-contabile della Banca di credito peloritano di Messina, ha dal canto suo ripreso una immagine utilizzata dal presidente di CentoCinquanta, proseguendo nell'analisi: «ritengo che l'espressione più compiuta per definire ciò che incombe nei confronti del sistema banca-impresa sia quella di "tempesta perfetta" utilizzata da Mauro Juvara nel suo intervento. Questo perché le novità previste dal nuovo principio contabile If s 9 rischiano di fondersi con le nuove disposizioni di vigilanza armonizzata (tanto definitive quanto in modalità consultazione), generando un nuovo potenziale rischio credit crunch a danno del sistema produttivo italiano, caratterizzato da piccole, piccolissime e micro imprese. E necessario, al fine di disinnescare tale eventualità, che le imprese (soprattutto quelle meridionali) si rendano finalmente conto che da un lato devono definitivamente abbandonare la loro tradizionale vocazione bancocentrica, evolvendo verso soluzioni alternative ai debiti contratti nei confronti degli istituti di credito (emissioni obbligazionarie, ricorso al mercato dei capitali, private equity, crowdfunding e altro), e dall'altro devono strutturarsi in maniera più adeguata (sia sotto l'aspetto delle risorse umane che delle procedure a supporto) per quanto concerne il comparto cui vengono affidate le strategie di pianificazione finanziaria». Ma Palazzo è andato oltre, toccando anche un tasto certo dolente per i piccoli istituti di credito: «A loro volta, le banche, soprattutto quelle del territorio, dovranno diventare più selettive nella concessione del credito, evitando fenomeni di mala gestio che, negli ultimi anni, le hanno spesso poste in condizioni di grande difficoltà, con conseguente rischio di applicazione, nei loro confronti, della tanto vituperata disciplina del bail-in. Solo coi potranno mantenere le loro prerogative di redditività e di solidità patrimoniale e rispondere a una sempre più pressante tendenza alle fusioni e acquisizioni, tendenza destinata, nel medio periodo, a far scomparire del tutto i piccoli istituti di credito». Infine, per Giorgio Sangiorgi, presidente dell'Ordine dei commercialisti di Catania, «quando nel 2018 entrerà in vigore il nuovo principio contabile sarà introdotto un nuovo modello di impairment basato sul concetto di perdite determinate in relazione all'intera vita residua del contratto. L'applicazione del nuovo principio genererà per le imprese e i commercialisti un importante cambiamento nei metodi e nei processi di comunicazione finanziaria, passando da un approccio contabile e storico a uno finanziario prospettico. Anche le banche dovranno adeguare prontamente i loro modelli di rating interno alle nuove regole di classificazione dei crediti».

SCENARIO BANCHE 49 Nuova Sardegna 24-ott-2017

Bper e Banco: c'è un'ipotesi di fusione - Bper e Banco di Sardegna spunta art l'ipotesi di fusione

Il Banco di Sardegna potrebbe presto essere assorbito dalla Bper, che ne detiene il 51 per cento delle azioni. Ne è sicuro Mauro Pili, parlamentare del Gruppo misto e leader di Unidos, che parla apertamente di "grandi manovre per chiudere il Banco di Sardegna" e di "un piano per cancellare del tutto la banca sarda che si sta concretizzando a grandi passi". I vertici della banca preferiscono non replicare e si limitano a un garbato "non rilasceremo commenti, almeno per il momento". D'altra parte, il mondo della finanza non ha atteso alcuna liberatoria per entrare a gamba tesa nei progetti futuri del Banco di Sardegna. Secondo gli analisti di Equitala, l'intenzione di cedere i prestiti non preformanti, ovvero i crediti delle banche come mutui, finanziamenti o prestiti che i debitori non riescono a ripagare, ipotizzata dal Banco di Sardegna sarebbe in realtà l'anticamera dalla fusione con la banca controllante, ovvero Bper. Un'ipotesi maturata nonostante il Banco di Sardegna abbia affidato a una società esterna un incarico esplorativo in vista di un'eventuale cessione di quelli che vengono anche chiamati "crediti in sofferenza". Secondo Mauro Pili, l'intenzione di cedere i prestiti non performanti sarebbe un'operazione da inserire "nell'ambito del processo di de-risking (eliminazione dei rischi) annunciato da Bper che prevederebbe un accantonamento da 1 miliardo di euro entro la fine dell'anno. La cessione di questi crediti si inquadra in un piano di fusione". Ad aggiungere incertezza alle prospettive della banca sarda c'è un altro aspetto sottolineato dagli esperti di che hanno attribuito al Banco di Sardegna il 23 per cento dei crediti in sofferenza dell'intero gruppo Bper. L'ipotesi di una fusione viene letta dal punto di vista politico dallo stesso Mauro Pili: «Una svendita finale dopo che i soldi dei sardi, ben tre miliardi versati negli sportelli del Banco di Sardegna, erano finiti nelle casseforti della Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Soldi sottratti all'economia della Sardegna. Un golpe economico finanziario giocato sottotraccia che mette in posizione ancor più subalterna l'intero sistema creditizio sardo già abbondantemente svuotato di potere e governance. Siamo di dinanzi ad un vero e proprio denarodotto. Un fatto di inaudita gravità».

SCENARIO BANCHE 50 Repubblica 24-ott-2017

L'analisi - Salvataggi bancari e scandali sanità ecco i conti del Nord che non art tornano

Forte del successo referendario, Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, chiede ora che i nove decimi delle tasse pagate dai veneti restino sul territorio, e reclama lo statuto speciale. Questo significherebbe l'azzeramento dell'avanzo fiscale, cioè del contributo che quella regione dà al resto d'Italia come differenza tra quanto paga di imposte e quanto riceve in servizi pubblici. Oggi il Veneto ha entrate tributarie per 71,8 miliardi e spese per 56,3, quindi mette a disposizione delle altre regioni 15,5 miliardi. Questo contributo sparirebbe. Meno drastica la posizione della Lombardia, che per adesso non chiede di poter usare a suo piacimento il 90% delle proprie tasse. Se lo facesse, il suo contributo fiscale al resto d'Italia, il più alto in assoluto, oggi valutato dalla Cgia di Mestre in poco più di 50 miliardi, si ridurrebbe drasticamente. Vicenda antica e travagliata, quella delle richieste autonomiste, particolarmente forti lì dove la Lega ha il suo zoccolo duro: Veneto e Lombardia. Una delle prime pratiche che Silvio Berlusconi si trovò sul tavolo nel maggio del 2008, appena insediato a Palazzo Chigi, fu proprio la richiesta da parte delle due Regioni di una maggiore autonomia: il potere di legiferare in via esclusiva su un lungo elenco di materie, 14 per il Veneto, 12 per la Lombardia. Malgrado che al governo ci fosse, come massimo garante dell'autonomismo del Nord, Umberto Bossi, al quale venne dato il ministero delle Riforme per il federalismo, quel negoziato non partì mai. Silvio Berlusconi, che oggi invita tutte le regioni a indire referendum di impronta autonomista, dimenticò le due pratiche in qualche cassetto della Presidenza. E per lungo tempo non se ne seppe più nulla. Qualunque governo, in realtà, sa bene quale sia il grado di rischio insito in un negoziato che ha come obiettivo quello di spostare l'equilibrio dei poteri tra lo Stato e due tra le regioni più forti d'Italia, dove si concentra il 25% degli abitanti e il 35% del Pil. Rischio tanto maggiore in quanto nel frattempo, proprio dopo il referendum di domenica scorsa, la richiesta di Lombardia e Veneto non si limita più a una dozzina di materie e poco più, ma riguarda tutti eventi i temi sui quali Stato e Regioni legiferano oggi in condominio, più tre argomenti su cui lo Stato ha l'esclusiva. Si spazia dalla tutela e sicurezza del lavoro all'istruzione, dalle professioni alla salute, dalla protezione civile ai beni culturali, dal trasporto alle infrastrutture. Il pericolo è che in tutti questi campi, la politica nazionale perda di significato in due tra le regioni italiane di maggior peso. Questa è dunque la prima richiesta ufficiale che Veneto e Lombardia rivolgeranno ora al governo: legiferare in via esclusiva su quelle 23 materie, in base all'articolo 116 della Costituzione. Probabilmente si aprirà un negoziato, e se si dovesse raggiungere un'intesa con lo Stato, questa sarebbe sottoposta al voto del Parlamento, a maggioranza assoluta dei suoi componenti. In realtà, anche la Regione Emilia Romagna ha fatto una analoga richiesta, senza passare attraverso il referendum. Ma il discorso non si ferma qui. Chiedere l'attribuzione di 23 nuove competenze porta con sé anche la richiesta delle relative risorse, le quali nel caso del Veneto ammonterebbero a una ventina di miliardi, secondo le stime della Cgia. Arriverebbero in parte annullando l'avanzo fiscale e in parte con nuovi fondi. Per questo, la Regione governata da Zaia, vuole ora che il 90% delle tasse pagate dai suoi abitanti (Irpef, Ires e Iva) resti sul territorio. Esattamente come accade in Trentino Alto Adige, che però può farlo perché ha da sempre uno statuto speciale. Ecco allora delinearsi la strategia di Zaia, che potrebbe essere seguita a ruota dal presidente lombardo Maroni. Una strategia che punta all'autonomia fiscale in due tappe. Nella prima si cercherà di strappare allo Stato un trattamento speciale non di diritto (ci vorrebbe per questo una legge costituzionale ) ma di fatto. Il Veneto continuerebbe ad essere una Regione a statuto ordinario ma con quasi tutte le entrate trattenute in loco. In un secondo momento, si tenterà di far passare una legge costituzionale che attribuisca al Veneto e alla Lombardia lo statuto speciale: una iniziativa in questo senso è già stata presa ieri dalla giunta veneta con una proposta di legge costituzionale da inviare al Parlamento. Questo è il nuovo disegno autonomista. Un disegno perseguito in nome della migliore capacità delle due regioni (rispetto alle altre) di gestire i conti pubblici, di fornire servizi efficienti ai propri abitanti, di creare ogni anno un fortissimo avanzo fiscale. E tuttavia si dimentica che il grosso di quell'avanzo che dal Nord si trasferisce al Sud va a finanziare gli acquisti di beni e servizi prodotti dalle imprese "padane" (come spiega uno studio dell'economista Paolo Savona), e che quindi quelle imprese, come dice la Banca d'Italia, hanno assoluto bisogno della domanda che viene dal Mezzogiorno. Si dimenticano i passati

SCENARIO BANCHE 51 scandali della sanità lombarda o i cinque miliardi che lo Stato si è accollato per il cattivo credito ereditato da Popolare Vicenza e Veneto Banca. E soprattutto si dimentica che uno Stato unitario esiste fintanto che regge il principio di solidarietà al suo interno, perché un conto è trasferire qualche competenza, un altro è la totale autonomia fiscale delle regioni, che andrebbe a scardinare i fondamenti stessi dell'unità nazionale.

SCENARIO BANCHE 52 Repubblica 24-ott-2017

Bankitalia, ultime trattative su Visco A Palazzo Chigi ci sarà anche Boschi - art Bankitalia, Boschi sotto attacco "Per la nomina esca dal Cdm" Ma lei: ci sarò. Sfida Di Maio in tv

Maria Elena Boschi parteciperà «al 100 per cento» al consiglio dei ministri dal quale uscirà il nome per la Banca d'Italia. Nessuno le chiederà di assentarsi e lei non ha intenzione di farlo. II conflitto d'interessi non c'è. E il governo, in questo momento, deve evitare l'apertura di altri casi. Luigi Di Maio ha accusato la sottosegretaria alla presidenza, insieme con Renzi, di essere «l'aguzzina dei correntisti, altro che difesa dei risparmiatori». Al leader dei 5 Stelle laBoschi ha risposto sfidandolo a un confronto in tv: «Non ho una banca, mio padre è stato 8 mesi vicepresidente di Banca Etruria ed è stato commissariato dal nostro governo. Dunque, noi i correntisti li abbiamo salvati». Ma il punto sul conflitto d'interessi lo solleva Arturo Scotto, uno dei leader di Mdp, presentando un'interrogazione parlamentare: può la figlia di Pier Luigi Boschi, sanzionato da Consob e Banca d'Italia per Banca Etruria, decidere le sorti di uno dei sanzionatori?, è la domanda di Scotto. «Boschi stia lontana qualche chilometro dal cdm che nominerà il governatore. Gli ascari del renzismo si scoprono paladini dei risparmiatori dopo essere andati a braccetto con Marchionne e Farinetti», attacca Scotto. Il tentativo è anche quello di seminare un po' di panico nel governo. Di approfittare della mozione che ha diviso il premier e la sua stretta collaboratrice: uno non ne sapeva nulla, l'altra sapeva tutto. Ma a Palazzo Chigi respingono subito quella che definiscono una "furbata": «Se partecipa faranno polemica, se non partecipa diranno che è un'ammissione di colpa». Infatti, Boschi parteciperà sicuramente alla riunione dell'esecutivo. Il problema non si pone. Peraltro, la sottosegretaria non ha potere di voto in consiglio che comunque non si esprimerà sulla scelta di Gentiloni. Il week end però non ha portato la decisione sperata da Matteo Renzi, ovvero il passo indietro del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Già dalla mattina i renziani si scambiavano messaggi di questo tenore: «Ha maturato la convinzione di non dimettersi». Scelta abbastanza scontata. In serata il numero uno di Via Nazionale, tra le righe, confermava la difesa del suo operato e dell'istituto, dimostrando così la volontà di non mollare. Sul futuro di Palazzo Koch, tutto passa in queste ore dai contatti riservati delle istituzioni. Ma Visco coglie l'occasione di una cerimonia tutta interna alla Banca per rivendicarne il ruolo e la funzione. Un modo per rispondere alle critiche di Renzi e alla mozione di sfiducia del Pd. «Non è uno slogan dire che stiamo uscendo dalla più grave crisi economica della nostra storia», è la premessa. Quindi, «non ci si deve trattenere dal dire che la Banca d'Italia non solo non ha contribuito a questa crisi, ma ha operato con successo nonostante i venti contrari per contenerne gli effetti e risolvere le situazioni più difficili». Insomma, tutto ha funzionato bene o quasi. Le parole del governatore sono pronunciate in un appuntamento "privato", di fronte ai 71 dipendenti della Banca che quest'anno hanno compiuto 30 anni di servizio. Ma intorno al lui c'è il direttorio praticamente al completo, i capi dei servizi, i capi dipartimento, i consiglieri superiori. Del resto, non è un mistero che la struttura sia schierata dalla parte del suo capo e in difesa dell'autonomia dell'istituto. Questa cerimonia è un rito di Via Nazionale che si ripete ogni anno ed è sempre rimasta chiusa in quelle stanze. Stavolta però si era pensato di mettere il video dell'intervento del governatore sul sito di Bankitalia. Per replicare in maniera altrettanto pubblica agli attacchi. Alla fine, non se n'è fatto nulla e la festa è rimasta "privata". Come sempre. A questo punto gli attori della vicenda rimangono due: Paolo Gentiloni e Sergio Mattarella. Tutte le posizioni dei partiti sono chiare, l'orientamento della Banca pure. Serve lasciare appesa la nomina fino a venerdì, giorno del consiglio dei ministri? Il Quirinale vorrebbe accorciare i tempi. Anche per una questione di cavilli. Il mandato, secondo alcune interpretazioni, scade giovedi e non il 31. Fa fede il via libera della precedente nomina da parte della Corte dei Conti e non la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il consiglio dei ministri in quel caso andrebbe convocato entro domani. Ma per sminare il campo il premier forse ha bisogno di più tempo.

SCENARIO BANCHE 53 Repubblica 24-ott-2017

L'aplomb di Mustier sulle regole Bce per i crediti art L'immobilismo dell'ad di Unicredit Jean Pierre Mustier sulle nuove regole della Bce dice piu cose di ciò che sembri. «È naturale che per creare l'Unione bancaria europea la vigilanza debba far convergere regole e prassi. Ma parlare della bozza Bce sugli Npl è come vedere l'albero e non la foresta: va capito l'effetto combinato con le linee guida Eba e le vicine regole di Basilea»; comunque Unicredit «è in posizione molto favorevole per gestire il flusso regolatorio». Certo l' aver ceduto 18 miliardi di crediti marci, a pena di una ricapitalizzazione da 13 miliardi, ha portato la banca dal pericolo all'indifferenza. E mentre da Abu Dhabi, dove inaugurava una filiale, Mustier faceva il "banchiere globale di mercato", il rivale Carlo Messina di - che il cattivo credito prova a gestirlo in house - da Washington ha affibbiato a Bce e Fini aggettivi tipo "grossolano" e "sbagliato" . I ponti tra "banca paneuropea" e "banca per il paese" si allargano.

SCENARIO BANCHE 54 Repubblica Genova 24-ott-2017

Carige vende Dal palazzo di Milano 110 milioni art SARA'un consiglio di amministrazione, questa mattina, a benedire la cessione del più prestigioso degli immobili messo sul mercato da Banca Carige. Nei giorni scorsi era già partita la convocazione per il 31 ottobre, per fissare la data dell'assemblea chiamata ad approvare l'aumento di capitale da 560 milioni di euro. Ma ora, secondo quanto risulta a Rep ubblica, arriva un nuovo appuntamento per i consiglieri della banca dei liguri, fissato appunto per oggi. Un solo punto all'ordine del giorno: cessione di immobili. E tutto riconduce al palazzo di pregio di corso Vittorio Emanuele, a Milano. Il prezzo strappato dalla banca e dai suoi advisor dovrebbe essere superiore ai 100 milioni. Se si considera che a valore di libro il palazzo quota una cifra di 50, si capisce subito come la banca stia per realizzare una considerevole pluslvalenza, quanto mai utile a rafforzare il patrimonio. Nell'operazione dovrebbe essere inserita anche la cessione degli uffici londinesi, il tutto per una cifra di circa 110 milioni di euro. Per l'acquirente, il nome più accreditato è quello della sgr italiana Antirion. Nel frattempo, la banca ha ufficializzato il via libera alla conversione dei bond incassato sabato scorso. Erano quattro le assemblee degli obbligazionisti subordinati di Banca Carige coinvolte nell'operazione di conversione dei loro titoli in bond senior (Lme) e tutte hanno approvato la modifica dei regolamenti che consente di procedere alla conversione obbligatoria di tutti i 510 milioni di euro di obbligazioni. Le deliberi sono state approvate con voti favorevoli compresi trail 95%e il 100%. Per la conversione si dovrà attendere il risultato dell'aumento di capitale, previsto per novembre. Se positivo, si procederà con la conversione.

SCENARIO BANCHE 55 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Eurozona, è sceso del 25% il numero delle banche art Continua il processo di concentrazione del sistema finanziario nell'area euro, dove il numero di banche si è ridotto del 25% dal 2008, l'anno in cui è scoppiata la crisi finanziaria globale, alla fme dell'anno scorso, secondo un rapporto pubblicato ieri dalla Banca centrale europea. Le banche dell'eurozona hanno rafforzato il capitale, rivela lo stesso documento, che fa riferimento a dati di fine 2016, ma continuano a soffrire di bassa redditività, che anzi è calatalo scorso anno, e dell'eredità della crisi, fra cui i crediti deteriorati (Npl), che restano alti in diversi Paesi fra cui l'Italia Su base consolidata, nell'eurozona c'erano 2.904 banche nel 2008, 2.379 nel 2015 e 2.290 a fme 2016. Complessivamente, il numero degli istituti è sceso da5.474 a 5.073 nel corso dell'anno passato. Il calo del numero delle banche è stato più marcato in Paesi come Olanda, Grecia, Cipro e Spagna (gli ultimi tre sistemi bancari sono stati fra i più colpiti dalla crisi), ma anche in Finlandia,Francia, Italia e Irlanda ha superato il 20 percento. In Italia, il numero degli istituti di credito è sceso da 729 nel 2008 a 527 nel 2016. Il numero più alto resta quello delle banche tedesche, che sono scese da 1.866 a 1.600. Sia in Germania, sia in Italia, i due Paesi dove la frammentazione del sistemabancario è maggiore, il processo di concentrazione, inteso come quote di mercato dei primi cinque istituti, è aumentato. La riduzione del numero delle filiali è stata più forte in Spagna, dove la crisi ha portato a molte fusioni, ma anche nelle stesse Germania eItalia, oltre che in Francia e in Olanda Nel solo 2016, sono state chiuse nell'intera eurozona 6.939 filiali bancarie. I settori bancari più grandi restano quelli di Francia e Germania, il cui attivo complessivo è di circa 7mila miliardi di euro, seguiti da Spagna (3.600 miliardi) e Italia (2.700 miliardi). Le dimensioni del settore bancario dell'eurozona erano di 24.200 miliardi di euro alla fme dello scorso anno, un aumento dello 0,5% sul 2015, ma un calo del 14% sul 2008. Complessivamente, tenendo conto di altri intermediari, come assicurazioni, fondi pensione, fondi del mercato monetario, il settore finanziario dell'eurozona è passato da 55mila miliardi di euro ne12oo8 a 76.200 miliardi a fine 2016. Lo scorso anno, il credito è aumentato dell'1%, ma ha accusato un leggero declino in Germania, Spagna e Italia, osserva la Bce. Il sistema bancario dell'eurozona ha rafforzato il capitale (il valore mediano del Ceti è passato da 14,4% nel 2015 a 15,4% nel 2016), ma continua a essere a afflitto da una bassa redditività Secondo lo studio della Bce, anzi, questa è calata ne1 2016. Il problema delle banche europee resta in molti casi l'efficienza secondo l'indicatore più utilizzato per misurarla, il cost-income ratio, cioè il rapporto fra costi operativi e margine di intermediazione, è superiore al 70% in Germania e in Italia e anzi è aumentato in quasi tutti i Paesi europei La Bce nota la persistenza dei alti livelli di Npl in diversi Paesi dell'area euro, che «sottolinea la necessità di continuare gli sforzi per affrontare questo problema al fine di liberare capitale e facilitare la crescita del credito». La copertura degli Npl con accantonamenti è cresciuta quasi ovunque: in Italia è salita al 50%, più o meno il valore mediano per l'eurozona. Recentemente, la proposta della vigilanza della Bce, attraverso un addendum alle linee guida pubblicate nel marzo scorso, per l'aumento degli accantonamenti sui nuovi crediti deteriorati a partire dal 2018 ha creato vivaci polemiche, soprattutto in Italia La proposta è oggetto di consultazione fra tutte le parti interessate e dovrebbe essere fmalizzata all'inizio di dicembre.

SCENARIO BANCHE 56 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Entro venerdì la scelta per Bankitalia - Bankitalia, la scelta entro venerdì art La dead line per la scelta su Bankitalia resta quella del Consiglio dei ministri di venerdì 27. Il premier Paolo Gentiloni lavora al dossier nel più assoluto riserbo e in accordo con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il quale è in costante contatto. La partita, insomma, è ancora aperta e riguarda le conseguenze politiche che implica la successione in Banca d'Italia. E chiaro infatti che con questa scelta il premier deve sciogliere una serie di complicati nodi politici i suoi rapporti con il Pd di Renzi ma anche con la maggioranza e con tutte le forze parlamentari che in modo ampio, alla Camera,sisonoespressecontrola riconferma del governatore. Dunque, il tempo serve a ponderare bene ogni passo, concordando percorso e nome del Governatore con il Colle. Dal Quirinaleieri non c'era alcuna spinta ad accelerare, piuttosto si era fermi su un punto: che la scelta dovrà ribadire con forza autonomia e indipendenza dell'Istituto. Le opzioni sul tavolo del premier restano sostanzialmente due: la conferma di Visco per altri sei anni o la nomina di un successore interno a Bankitalia (se dovesse prender corpo questa seconda ipotesi il nome più probabile resta quello di Salvatore Rossi, attuale direttore generale di Via Nazionale, o di Fabio Panetta). In favore della conferma di Visco ci sono evidenti ragioni di stabilità del sistema e di autonomia dalla politica anche per il "precedente" che si potrebbe creare. D'altra parte, è il ragionamento che si fa in ambienti parlamentari e anche a Palazzo Chigi, non si può ignorare del tutto il dato politico della giornata di martedì scorso alla Camera perché non c'è solo la posizione critica sulla gestione Visco del Pd e del suo leader Matteo Renzi, ma anche fl giudizio negativodelM Se della Lega e la non difesa (astensione sulle mozioni) da parte di Forza Italia e Mdp. E in questa chiave, per tenere l'eventuale conferma di Ignazio Visco,o la nomina del suo successore, il più possibile al riparo dalle fibrillazioni politiche che si prende tempo. Da oggi a giovedì a Palazzo Madama si voterà la nuova legge elettorale denominata Rosatellum e ci sono una serie di voti di fiducia che preoccupano. Una prudenza in più che però non argina la guerra politica a sinistra, dove il caso-Visco ha fatto da amplificatore. Ieri i bersaniani di Mdp hanno depositato un'interrogazione a Gentiloni e al ministro dell'EconomiaPier Carlo Padoan per chiedere che la sottosegretaria alla Presidenza Maria Elena Boschi non partecipi al Com che nominerà il nuovo governatore di Bankitalia.Nel mirino il conflitto di interessi diBoschi, dal momento che il padre Pier Luigi «in qualità di ex vicepresidente di Banca Etruria» è stato «a lungo oggetto della vigilanza bancaria e finanziaria operata da Palazzo Koch». In ogni caso, si fa sapere in risposta da Palazzo Chigi, non ci sono ragioni per cui Boschi non debba partecipare al Com di venerdì prossimo: la sottosegretaria sarà presente. Da parte sua il governatore Visco non ha cambiato la sua agenda. Domani partirà per Francoforte dove parteciperà all'attesa riunione del Consiglio direttivo della Bce di giovedì, 26 ottobre, che darà il via al percorso di graduale normalizzazione della politica monetaria con la riduzione del Qe. Ieri ha invece partecipato in Bankitalia a una cerimonia per il riconoscimento dei trent'anni di attività in via Nazionale di 71 dipendenti alla presenza dell'alta dirigenza della Banca «Non è uno slogan dire che stiamo uscendo dalla più grave crisi economica della nostra storia in Italia- ha detto Visco durante la cerimonia-. La Banca d'Italia non solo non ha contrbuito a questa crisi. Ma ha operato con successo, nonostante i venti contrari, per contenerne gli effetti e risolvere le situazioni più difficili».

SCENARIO BANCHE 57 Sole 24 Ore 24-ott-2017

L'analisi - No a populismi e generalizzazioni nel giudizio su Bankitalia art In tutti i Paesi, la scelta dei vertici della Banca Centrale spetta al potere politico. Può non piacerci, ma è così ovunque. Si può, quindi, anzi si deve chiedere alla politica di trattare la questione con particolare attenzione, evitando inutili bagarre e tentazioni lottizza triti. Ma non si capisce come si possa sostenere che la politica non debba occuparsi della questione. Negli anni settanta, James Tobin, un grande economista premio Nobel per l'analisi monetaria, diceva di guardare con sospetto al concetto di indipendenza della Banca Centrale, perché - diceva icastico: "Io credo nella democrazia". Oggi l'indipendenza delle banche centrali è un concetto largamente condiviso nel mondo perché si sono potuti toccare con mano i guasti prodotti dalla subordinazione alla politica. Ma questa condivisione non può spingersi fino a sostenere che la politica, che è comunque chiamata a fare le nomine, non possa dare giudizi sull'operato del banchiere centrale. Detto questo, nella mozione sulla Banca d'Italia approvata martedi scorso alla Camera e nella discussione che ne è seguita ci sono aspetti che ci paiono assolutamente non condivisibili. Al di là dei pur rilevanti aspetti di metodo su cui tanto si è discusso in questi giorni, c'è un punto di sostanza che riguarda l'argomentazione di merito che è stata usata. Non basta dire, come si è detto, che qualcosa è andato storto in questi anni e dunque la responsabilità è della vigilanza. Questo schema di ragionamento legittima la tipica pulsione populista contro tutto ciò che abbia a che fare con il cosiddetto establishment. Con la stessa logica, si potrebbe dire che tante cose sono andate storte in questi anni, nelle banche e altrove, e dunque la responsabilità è di chi ha governato. Se si portaladiscussione su questo livello, come si può poi argomentare che le ragioni per cui tante cose sono andate male sono complesse e attengono a fattori in larga parte esogeni o preesistenti? Se non si tiene conto di questi fattori di complessità, presso la pubblica opinione prevarranno sempre le false ragioni dei populisti. Nell'appello dei 46 economisti pubblicato su questo giornale, si reputa «quantomeno infondata, sul piano fattuale e di teoria economica, l'opinione di chi cerca di attribuire ogni responsabilità alla Banca d'Italia per la malagestione e il fallimento di alcuni istituti di credito». In questi anni di recessione le banche italiane sono andate in crisi, ma meno che altrove malgrado la caduta dell'attività produttiva sia stata in Italia più pesante e prolungata I soldi pubblici spesi in Italia per salvare le banche (non i banchieri!) sono un'inezia rispetto a quanto è stato speso in altri paesi. Secondo i dati Eurostat, a tutto il 2016 il costo dei salvataggi bancari è stato del 22% del Pil in Irlanda, del 11,3 in Portogallo, del 9,7% in Austria, del 7,2% in Germania, del 4,6% in Spagna, del 4,2% nel Regno Unito, de1 4,5% nella media dell'Unione Europa In Italia, il costo a quella data era dello 0,2% del PiL Sebbene questo dato sia destinato ad aumentare nel corso del 2017 per via delle misure assunte per il MontePaschieperlebanche venete, il costo rimarrà comunque contenuto nel confronto internazionale. E non c'è dubbio che la causa principale delle crisi bancarie sia la recessione economica, cui si sono aggiunti alcuni casi circoscritti di cattivagestione. La seconda causa delle crisi bancarie è la forte interferenza politica nelle banche, consentita da una governance disfunzionale, un retaggio antico di un sistema bancario che era quasi interamente in mano pubblica. E su questo è difficile negare che la Bancad'Italia abbia bene operato tenendosi lontana dalla politica e promuovendo una radicale riforma delle banche popolari che con il sistema del voto capitarlo erano diventate uno dei luoghi privilegiati di potentati economici affmialla politica. Nel dibattito mediatico che è seguito alla mozione parlamentare sul governatore si sono sentite frasi del tipo: "fra i banchieri e i risparmiatori, si debbono scegliere i risparmiatori". Questo è un torto grave che viene fatto alla Banca d'Italia, che è un'istituzione pubblica fatta di servitori dello Stato; non è una banca e non è privata, come sostengono i populisti, è il controllore delle banche. E Ignazio Visco impersona al meglio la figura del servitore dello Stato, come è generalmente riconosciuto. Ciò non significa che la Banca d'Italia non possa aver fatto degli errori. Ma sicuramente ha agito in modo equilibrato, cercando di perseguire sempre l'interesse generale. Peraltro, è difficile dubitare che il Presidente della Riserva Federale Ben Bernanke non abbia fatto degli errori, ad esempio lasciando fallire Lehman Brothers nell'ottobre del aoo8. Ciononostante, pochi mesi dopo il suo insediamento, nell'agosto del 2009, il Presidente Obama, dando un giudizio d'assieme del suo operato, lo confermò nella carica. Può essere un precedente su cui riflettere.

SCENARIO BANCHE 58 Sole 24 Ore 24-ott-2017

L'analisi - Serve una riforma: mandato singolo, Banca centrale più autonoma art E' complesso pronunciarsi da tecnico in una materia, come quella del rinnovo del Governatore della Banca d'Italia, divenuta ormai quasi squisitamente politica Eppure qualcosa possiamo dirlo. Primo. Da fonti autorevoli come il Quirinale si chiede giustamente la salvaguardia dell'autonomia e dell'indipendenza della Banca Ora questa indipendenza deve essere ben delimitata in particolare non significa né irresponsabilità da un lato, né onni potenza. La Banca d'Italia ed il suo Governatore non sono onnipotenti nel senso che la legge del caos prevede che non sia il Consiglio superiore della Banca d'Italia a nominare il Governatore ma il Presidente della Repubblica con un suo decreto, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Dunque certamente non si può qualificare come "eversiva" la mozione approvata della Camera dei Deputati che impegna il Governo «ad individuare nell'ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fïducianell'Istituto». Secondo. L'indipendenza della Banca deve piuttosto intendersi come libertà di muoversi operativamente per raggiungere l'obiettivo previsto dalle norme: per esempio un'efficace vigilanza bancaria E qui è piuttosto paradossale che nel suo comunicato la Banca d'Italia si sia espressa affermando che «nella sua azione l'Istituto ha sempre agito in L'ANALISI/2 Serve una nfomia: mandato singolo, Banca centrale più autonoma contatto con il governo». Questa affermazione andrebbe qualificata per rimuovere le perplessità che essa genera nel lettore. Terzo. Èvero anche cheunGovernatore, a fronte di questa indipendenza operativa, non può dirsi nemmeno irresponsabile. Se è di fatto impossibile per la politica licenziare un Governatore non efficace durante il suo mandato, un suo non rinnovo - là dove di rinnovo si può parlare (per esempio non nel caso della Bce) - non questione astratta ma può ben essere messa sul tavolo. Un processo di conferma e quindi di possibile revocanonèd'altrondenemmeno un'anomalia tutta italiana né una minaccia assoluta all'indipendenzadell'istituzione:inquesto momento Trump sta decidendo se a febbraio revocare l'incarico al Governatore della Fed, Janet Yellen, e tutto questo non mina assolutamente la credibilità e l'indipendenza della banca centrale più potente al mondo. Certo si corre un rischio che ha del paradossale: che il potere chela legge dà alla politica di non rinnovare per un secondo mandato un Governatore che non si dimostrato all'altezza del suo compito possa essere usato per non rinnovare per un secondo mandato un Governatore che non si è piegato a eventuali voleri impropri della politica stessa Il coltello come sempre può essere usato per uno scopo giusto, tagliare il pane, ma anche come arma impropria Nel caso di specie, se avessimo informazioni certe sulle colpe della vigilanza bancaria da parte della Banca d'Italia in quest'ultimo sessennio la cosa sarebbe semplice. Certamente vi sono stati nell'azione della vigilanza di questi anni momenti che hanno generato perplessità rispetto all'efficacia dell'azione. Due esempi? Fino al zo13 si è minimizzata la situazione di dissesto dei bilanci delle banche italiane. I problemi sono emersi solo dopo l'intervento dell'Eba e della Bce con l'introduzione degli stress test. Questo ha ritardato il processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano, avendo effetti negativi sulla crescita economica del paese. Si è poi permesso alle banche di collocare presso il pubblico i titoli subordinati che sarebbero stato oggetto del bail-in. Si trattava di titoli ad alto rischio non adatti al pubblico retail I regulatom avrebbero potuto prevenirne il collocamento? Eppure, anche tenuto conto di tutto quanto sopra, non è così facile attribuire una responsabilità alla Banca quando si aggiungono a ciò gli interessi di parte politica, non sempre trasparenti (o perlomeno non sempre percepiti come tali) e quel potenziale agire "in contatto" tra Governo e Banca d'Italia, menzionato sopra Forse quanto ci insegna tutto ciò è che un mandato unico (come per la Bce) di 6 anni, senza l'opzione del rinnovo sarebbe lo stratagemma per risolvere questo problema in avvenire, rafforzando anche l'indipendenza operativa del Governatore. Ciò permetterebbe alla Banca d'Italia di mantenere una sua credibilità rispetto alla politica, acui essa riporterebbe periodicamente come per la Bce, e a cui essa si sottometterebbe, come è giusto che sia, solo nel momentotopicodellanominadel suo vertice apicale nella figura di un Governatore con mandato unico non rinnovabile.

SCENARIO BANCHE 59 Sole 24 Ore 24-ott-2017

«Per UniCredit presidente italiano Npl, serve trasparenza sulle regole» art Nelle stanze di vetro del grattacielo UniCredit, da quando a fine giugno 2016 ha preso il timone della nave Jean- Pierre Mustier,la lingua ufficiale è l'inglese e non più l'italiano. L'idea di una grande banca commerciale europea che piace tanto agli investitori, da consolidare, da rilanciare, traslata dasubito nel day-to-day aziendale. In poco più di un anno di cura del maratoneta Mustier, UniCredit ha concluso con successo l'aumento di capitale da 13 miliardi di euro - «una strategia di self help», di auto aiuto, come la chiama lui - interamente coperto dal mercato,senza un euro pubblico. Si è tolta dai cassetti 17,7 miliardi di sofferenze, con la cessione totale degli Npl a Pimco e Fortress. E prosegue la strada del piano strategico 2017-2019. Così, a margine dell'inaugurazione della filiale UniCredit ad Abu Dhabi, hub per servire i clienti corporate nell'area del Golfo Persico, Mustier si trincera dietro un deciso «no comment» a chi gli chiede di commentare lo scivolone del Pd, il partito di maggioranza, sulla mozione parlamentare «di sfiducia» al governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. «Ma il Governo - dice il Ceo di UniCredit in questi mesi ha lavorato bene. Con i salvataggi di Mps e delle Venete ha messo in sicurezza il sistema bancario italiano, tanto che l'index del comparto da inizio anno sovra per forma del 10% rispetto alla media europea. Nel mio tour tra gli investitori internazionali di qualche mese fa, prima dell'aumento di capitale, tutti mi ripetevano che andava trovata una soluzione per il Monte dei Paschi e per le banche Venete». Missione compiuta, dunque. «Gli Npl ora non sono più un problema sistemico per le banche italiane, ma solo un problema». Condei ratioviciniallamediaeuropea. «L'Italia ha bisogno di avere banche forti, per supportare l'economia e l'esecutivo ha fatto unbuon lavoro», secondo Mustier. Che conferma anche le sensazioni positive sulla ripresa economica. «Dai tanti incontri con gli imprenditori negli ultimi tempi emergono buone sensazioni sulla ripresa, i segnali migliori da otto anni a questa parte. Molta fiducia nella crescita in Europa e che l'Italia possa avere un ruolo maggiore». Molto del merito va alla Bce e al suo Quantitative easing. «Siamo tutti moltograti per quello che hafatto». Le incognite politiche,per le elezioni italiane e gli altri problemi europei non preoccupano. «Nel medio termine le prospettive sono positive». Per quanto riguarda le proposte della Bce di un'ulteriore regolamentazione degli Npl, Mustier ritiene che «una valutazione debba basarsi su una visione complessiva di quanto si muove nel contesto regolamentare. Non dobbiamo correre il rischio di guardare il singolo albero e perdere di vista la foresta». Dal quadro macroeconomico alla banca, player europeo. Il 9 novembre UniCredit presenterà i conti del terzo trimestre. Dopo un semestre molto buono peri risultati del trading, l'aumento delle commissioni e il taglio dei costi. Con 1,8 miliardi di utili (+40,2% sul 2016) e ricavi a 9,7 miliardi. Tanto che si torna a parlare di possibili dividendi e di cedola al 20% degli utili. Ma bisognerà ancora attendere qualche giorno. Un altro appuntamento importante per UniCredit sarà l'assemblea straordinaria degli azionisti de1 4 dicembre in cui verrà votato il nuovo statuto della banca Nuovo statuto, già al vaglio in Bce, per la trasformazione di UniCredit in una vera e propria pubblic company internazionale, «con una struttura di governance più aperta al mercato. Un board che scenderà da 17 a 15 componenti, con un terzo di quote rosa e soprattutto più voce agli indipendenti, agli investitori internazionali che avranno la maggioranza». Gli attuali vertici di UniCredit saranno chiamati a individuare i nomi dei componenti del nuovo board che uscirà dallo statuto. A partire dal presidente, Giuseppe Vita, presente ad Abu Dhabi, che ha confermato che non si candiderà per unterzomandato.«Il mio successore sarà giovane e italiano. Più giovane di me di sicuro», ha detto. Sarà una personalità che conosce bene l'Italia, confermano in UniCredit. «Ciò che è più importante -spiega Mustier- non sono tanto i nomi. Quelli arriveranno. Ma che il nuovo cda sia il migliore possibile per gli standard europei e che piaccia ai nostri investitori internazionali. A difesa della valorizzazione della società». Le acquisizioni di altre banche, come le voci delle scorse settimane su un interesse per Commerzbank, per ora non sembrano all'orizzonte del grattacielo di piazza Gae Aulenti. «Piuttosto acquisizioni di portafogli di asset mirati». Insomma delle prede più piccole, ben ponderate. Ciò che interessa di più al manager francese «è finire il lavoro». Consolidare quanto fatto finora «Quando corri una maratona e sei all'undicesimo chilometro, non pensi alla prossima maratona, ma a terminare quella che stai facendo».

SCENARIO BANCHE 60 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Ing e l'algoritmo per i prestiti alle Pmi art Potenzialmente, il beneficio per l'imprenditore è nei tempi di erogazione: dieci minuti, un quarto d'ora al massimo e il credito viene accordato. Ma dal punto di vista dell'industria bancaria c'è anche un altro fatto rilevante nella nuova proposta di instant lending lanciata oggi in Italia e in Francia dal gruppo Ing: nel processo di screening del cliente e di trasferimento del denaro non c'è alcun intervento umano. Dunque si tratta a tutti gli effetti di robotlending. se l'algoritmo dice sì, il rubinetto si apre. I dettagli della nuova offerta saranno ufficializzati nella giornata di oggi. Ma nei fatti si tratta di un'estensione dello storico prestito Arancio alle piccole e medie imprese, con un ammontare massimo di 100 mila euro. Siamo sul sottile crinale che (ancora per poco) separa le banche retail dal Fintech, e non a caso in Ing l'instant lending per le imprese è stato sviluppato insieme a un leader di settore come Kabbage: nel corso degli anni gli americani hanno sviluppato un sistema che consente di valutare automaticamente l'affidabilità di un cliente, Ing l'ha integrato con alcune specifiche italiane e ha così ottenuto un algoritmo in grado di decidere se un prestito merita di essere concesso, per quale ammontare e a quale prezzo. Chiave di volta, spiega il ceo di Ing Italia, Marco Bragadin, «è l'accesso alle informazioni relative ai propri conti correnti bancari»: in una sorta di anticipazione di quanto previsto dalla direttiva Psd2 a partire dal 2018, è quanto Ing chiede ai propri clienti, vecchi o nuovi, per poter valutare la concessione di un prestito. La risposta arriva entro dieci minuti, e se è affermativa il denaro viene accreditato entro pochi giorni; giusto il tempo per un controllo ulteriore ex post effettuato dal personale di Ing, peraltro destinato a essere ulteriormente ridotto non appena si chiuderà la fase di lancio del nuovo prodotto. Come anticipato da II Sole 24 Ore giusto un anno fa, il progetto è in cantiere da tempo. «E dopo l'esperienza maturata in Spagna - prosegue Bragadin - possiamo offrire anche in Italia uno strumento che ci consente di contribuire allo sviluppo di un segmento, quello delle Pmi, che è una colonna portante del tessuto economico italiano». Obiettivo del gruppo è quello di incrementare ulteriormente un bacino che oggi conta 1,230 milioni di clienti (+11% da inizio anno i conti correnti) e un monte attivi che attualmente si avvicina ai 16 miliardi. **

SCENARIO BANCHE 61 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Bond Carige, sì a conversione obbligatoria art Le assemblee degli obbligazionisti subordinati di Banca Carige coinvolte nell'operazione di conversione dei loro titoli in bond senior (liability management exercise) hanno approvato sabato la modifica dei rispettivi regolamenti che consente di procedere alla conversione obbligatoria di tutti i 510 milioni di euro di obbligazioni. Lo ha comunicato ieri Banca Carige in una nota, da cui emerge che le quattro assemblee hanno approvato le delibere senza modifiche e con percentuali molto alte. Quella sulle obbligazioni perpetue Tier 1 da 160 milioni è stata approvata con i1 94,96 dei voti espressi (era rappresentato il 99,28% dell'importo capitale); la delibera sulle Tier 2 da 160 milioni ha avuto il via libera con il 100% dei voti espressi (rappresentato il 99,28% dell'importo capitale); la delibera sulle Tier 2 da 50 milioni è stata approvata con il bo% dei voti espressi (rappresentato il 100% dell'importo capitale); infine la delibera Tier 2 da 200 milioni ha ottenuto l'ok con il 99,82% dei voti espressi (rappresentato 1'84,515 dell'importo capitale). Le obbligazioni saranno convertite subordinatamente al buon esito dell'aumento di capitale da 560 milioni di euro, il cui lancio è atteso in novembre. E proprio per favorire un iter positivo all'operazione di ricapitalizzazione dell'istituto di credito genovese, i vertici di Carige, con l'ad paolo Fiorentino in testa, hanno iniziato un'operazione di pre-marketing che li ha visti muoversi, la scorsa settimana, su Londra, mentre questa settimana voleranno a New York. L'aumento di capitale, come noto, sarà per 500 milioni in azioni mentre 60 milioni saranno riservati proprio ai portatori di titoli subordinati che hanno aderito all'operazione di Lme. Il piano di rafforzamento della banca si completa poi con la vendita di asset immobiliari (l'edificio dal quale la banca si aspetta i maggiori ricavi è l'immobile di corso Vittorio Emanuele, a Milano) e la cessione di 14 miliardi di Npl (non performingloans) insieme alla piattaforma per la loro gestione. I1 31 ottobre, intanto, è prevista una riunione del cda per approvare il bilanciodei primi nove mesi del 2017, che facilmente segnerà un trend in linea con quello del primo semestre, che mostrava un rosso di quasi 155 milioni. Ieri il titolo Carige ha chiuso, a piazza Affari, a 0,224 euro, segnando un +045%.

SCENARIO BANCHE 62 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Parterre - Le sofferenze del Monte e il doppio ruolo di Quaestio art Ora che la macchina si sta mettendo in moto, s'avverte qualche mugugno tra gli addetti ai lavori sul doppio ruolo giocato da Quaestio nella maxi cartolarizzazione di Mps. La società prima ha comprato, in tandem con Cerved, la piattaforma della banca per 52 milioni (la metà di quanto offerto dalla sola Cerved a novembre 20l6), poi attraverso Atlante 2 ha assegnatola metà dei 26 miliardi di Npl da smaltire. Con benefici per la sola Quaestio, rumoreggia qualcuno, che senza assumere il rischio dei recuperi(in capo ai quotisti del fondo)si prenderà l ametà delle commissioni. Conflitto d'interessi? Semplice questione di parti correlate, per Quaestio. Che a chi mugugna suole ricordare tre cose: la piattaforma ha riconosciuto condizioni più vantaggiose del mercato, ha assicurato puntuale comunicazione di eventuali disfunzioni da parte della stessa e blindato con pareri legali l'assetto, peraltro avallato unanimemente dal comitato investitori di Atlante 2 e pure dai consiglieri indipendenti di Quaestio. E il prezzo della piattaforma? Lo sconto sarebbe da associare ai flussi futuri di Npl (inferiori alle attese) in ingresso e al personale assunto, più nutrito di quanto previsto nell'autunno scorso da Cerved

SCENARIO BANCHE 63 Sole 24 Ore 24-ott-2017

Cdp incassa un nuovo rating da Scope art Cassa depositi e prestiti incassa un'altra pagella dopo quelle già emesse dai tre big (SeP, Moody's e Fitch). La spa di Via Goito ha infatti incaricato l'agenzia europea Scope di formulare un rating pubblico per la Cassa. Il risultato, che sarà diffuso oggi dal gruppo guidato da Fabio Gallia, è un rating di lungo termine paria "A-" per la Cassa e il debito senior non garantito con un outlook stabile, un giudizio più favorevole rispetto a quelli già raccolti da SeP (BBB-, stabile), Moody's (Baa2, negativo) e Fitch (BBB,stabile). La scelta di Cdp risponde alla volontà dei vertici di privilegiare un esame capace di cogliere le peculiarità dell'istituto e la decisione di ingaggiare Scope Rating discende dall'expertise dell'agenzia su questo versante dal momento c he ha già emesso un rating pubblico, il primo di una national promotional institution europea, per la tedesca ICFW. Per arrivare al verdetto (male, Scope ha passato in rassegna le caratteristiche di Cdp analizzando di fatto la trasformazione storica che la Cassa ha vissuto e il recente allargamento delle sue attività. Nel documento firmato da Marco Troiano, executive director Financial Institutions, e da Chiara Romano, senior analyst, l'agenzia di rating mette in particolare l'accento sulla mission della spa di Via Goito e sulla struttura "paziente" dei suoi azionisti (Mef e fondazioni bancarie) in virtù delle quali Cdp è in grado di assumere un approccio di lungo termine per i suoi investimenti e ha così riempito un vuoto lasciato dagli altri attori del mercato, la cui strategia è in molti casi più incentrata sulla redditività a breve termine. Il risparmio postale, secondo l'analisi svolta da Scope, viene infatti identificato come una fonte stabile e poco costosa di finanziamento che fornisce a Cdp un vantaggio competitivo chiave nei suoi mercati. D'altra p arte, osservano ancorano gli analisti dell'agenzia di rating, la struttura di governance del gruppo permette di mitigare eventuali interferenze politiche, senza contare che Cdp può investire solo in progetti ritenuti sostenibili dal punto di vista economico e finanziario. Scope si sofferma quindi sui fondamentali della Cassa che sono solidi malgrado l'impatto negativo dei bassi tassi di interesse. E cita un dato su tutti: nonostante l'erosione degli interessi netti registrata negli ultimi anni, chiarisce l'agenzia, Cdp ha registrato un Roe (l'indice che misura il rendimento sul capitale proprio) dell'8,5% nel 2016, un livello superiore non solo a quello della maggior parte delle banche italiane ma anche di molti istituti europei.Il portafoglio di partecipazioni di alta qualità, infine, garantisce un flusso stabile di dividendi e rappresenta quindi una fonte di reddito rilevante nell'attuale scenario di tassi d'interesse.

SCENARIO BANCHE 64 Stampa 24-ott-2017

Banche, la Boschi sfida Di Maio in tv art Il candidato premier del Movimento 5 Stelle torna ad attaccare la Boschi e lei lo sfida a un dibattito televisivo. Renzi e Boschi, secondo Di Maio, sono «gli aguzzini dei correntisti italiani: fanno lo show contro Visco per far vedere che tutelano i risparmiatori, ma li hanno massacrati». La sottosegretaria replica: «Di Maio parla di cose che non conosce o non capisce. lo non avevo e non ho nessuna banca, mio padre è stato mandato a casa come tutti, noi abbiamo salvato i correntisti. Ora basta bugie: sono pronta a un dibattito televisivo con l'onorevole Di Maio sulla questione bancaria». Bruno Vespa non si lascia sfuggire l'occasione e mette a disposizione il suo studio.

SCENARIO BANCHE 65 Stampa 24-ott-2017

Visco tiene il punto con i dipendenti "Lavorato controvento con successo" art Il momento della verità sarà quasi certamente venerdl: l'ultima finestra utile per la nomina del nuovo governatore della Banca d'Italia in vista della scadenza del mandato di Ignazio Visco, il 31 ottobre. Nel frattempo Visco da domani sarà a Francoforte per un appuntamento piuttosto delicato: il consiglio dei governatori della banca centrale europea che giovedì decide il destino del cosiddetto «quantitative easing», il piano di acquisti da 60 miliardi di euro al mese che per quasi tre anni ha tenuto lo spread Btp-Bund sotto i 200 punti base. Visco è stato un alleato chiave di Draghi, fra i più attivi nel rintuzzare le richieste dei Paesi nordici per accelerare la retromarcia. Visco si comporta come se la conferma fosse cosa fatta. Ieri ha partecipato alla cerimonia interna che periodicamente viene organizzata per i dipendenti che hanno raggiunto i trent'anni di anzianità. A pranzo questa volta nel grande salone dei partecipanti erano in 71, ciascuno con la propria famiglia. Alcuni dei presenti raccontano di un breve discorso che suona come una difesa fiera del suo operato e dell'intera struttura: «Non è uno slogan dire che stiamo uscendo dalla più grave crisi della storia italiana. La Banca d'Italia non ha contribuito», anzi «ha operato con successo nonostante i venti contrari per contenerne gli effetti e risolvere le situazioni più difficili». Piaccia o no, il giudizio di Palazzo Chigi e Quirinale non è stato finora troppo diverso. Per Mattarella e Gentiloni la conferma di Visco è diventato un problema solo dopo il voto parlamentare della scorsa settimana alla Camera, dove quasi tutti i gruppi hanno votato mozioni in cui si chiedeva aria nuova a via Nazionale. E quel che accadrà venerdl? La risposta a questa domanda ancora non c'è. Secondo i frequentatori del Colle sarebbe sbagliato sostenere che il presidente sia pronto a fare le barricate per confermare il governatore uscente. Né - raccontano i ben informati - si deve immaginare il presidente in preda a un desiderio di rivalsa nei confronti di Renzi per la mozione che tanto lo ha fatto irritare. Alla guerra dei dispetti Mattarella non intende partecipare. Ciò significa che la partita resta aperta fino all'ultimo minuto. Molto dipenderà da Visco stesso: se dovesse scegliere il passo indietro Quirinale e Palazzo Chigi ne prenderebbero atto, e sceglierebbero quello che sembra essere il candidato naturale alla successione, il numero due Salvatore Rossi. Ma l'umore di Visco non sembra essere quello di chi è pronto alla resa. Anzi, se possibile l'attacco di Renzi l'ha convinto a tenere il punto. La rosa delle alternative è ridotta ad un nome: il direttore generale Salvatore Rossi, anche se alcuni danno per possibile in extremis un outsider, il numero tre Fabio Panetta. La prima mossa spetta a Gentiloni, il quale - cosl recita la procedura - deve consegnare al più anziano dei consiglieri della Banca d'Italia (Ignazio Musu) la lettera in cui formalizza il candidato. Una volta avuto quel parere (non vincolante), si dovrà riunire il consiglio dei ministri. Ieri Mdp ha chiesto a Maria Elena Boschi di non parteciparvi per via del presunto conflitto di interessi nella vicenda del padre Pierluigi, già vicepresidente di Banca Etruria e multato da via Nazionale. Ma la Boschi non è intenzionata ad accontentare gli ex colleghi di partito, convinta che non ci sia alcun conflitto da gestire. L'ultima parola sul nome spetterà al Colle, ma è evidente che a quel punto non sarà una sorpresa. I contatti fra Quirinale e Palazzo Chigi in queste ore sono costanti.

SCENARIO BANCHE 66 Stampa 24-ott-2017

Il punto - Matteo Renzi e le spese di Banca Etruria art "Noi Banca Etruria l'abbiamo commissariata, ma Bankitalia ha nominato i commissari. Sa quanto hanno preso i commissari nominati da Bankitalia? 670 mila euro per 8 mesi», dice Matteo Renzi intervistato da Lucia Annunziata durante la trasmissione In Mezz'ora. Vero. Quella somma è servita per pagare i compensi dei due commissari, dei tre membri del comitato di sorveglianza e le loro spese, più 25 mila euro di consulenze. Quello che non ha detto il segretario del Pd è che i compensi del cda sono stati pari, nell'ultimo esercizio prima del commissariamento, a 2,4 milioni di euro. Più altri 3,2 milioni totali di consulenze. Soldi andati a banche d'affari e avvocati per la ricerca del partner, ma non solo.

SCENARIO BANCHE 67 Stampa 24-ott-2017

Carige. Ok alla conversione dei bond subordinati art Le assemblee degli obbligazionisti subordinati di Banca Carige coinvolte nell'operazione di conversione dei loro titoli in bond senior (Lme) hanno approvato la modifica dei rispettivi regolamenti che consente di procedere alla conversione obbligatoria di tutti i 510 milioni di euro di obbligazioni. A renderlo noto è la Banca Carige in una nota, da cui emerge che le quattro assemblee dell'istituto genovese hanno approvate le delibere con voti favorevoli compresi tra il 95% e il 100% del capitale intervenuto. Le obbligazioni saranno convertite solo a seguito del buon esito dell'aumento di capitale da 560 milioni di euro, il cui lancio è atteso in novembre.

SCENARIO BANCHE 68 Stampa 24-ott-2017

Mustier: "Le banche italiane sanno gestire i crediti a rischio" art Arrivato nel Golfo Persico per inaugurare la nuova filiale di Abu Dhabi, l'ad di Unicredit, Jean Paul Mustier, punta a tranquillizzare emiri e sceicchi sulla situazione italiana. «La ripresa c'è ed è solida, l'Italia ha un grande potenziale per crescere ed essere un campione del XXI secolo», ripete. Non entra - visti il suo costume e la latitudine - nella polemica sulla successione in Bankitalia, non parla del governatore Ignazio Visco, ma assicura che «tutte le istituzioni a cominciare dal governo hanno fatto un lavoro eccellente per mettere in sicurezza il sistema bancario, da cui hanno levato i rischi sistemici». Anche sui crediti deteriorati, o Npl che dir si voglia, non si mostra preoccupato. «Sono un problema, ma dopo la soluzione dei casi Mps e delle due banche venete non sono più una preoccupazione sistemica». II loro ammontare «è importante ma gestibile», attorno al 4% (quanto agli Npl netti) sui crediti totali e va avvicinato alla media europea. Ma le banche italiane «sono in grado di sostenere l'economia» e sono appetibili per gli investitori. E allora perché la Bee è tanto attiva sul tema? «Perché è importante rendere quanto più omogeneo il sistema europeo per completare l'unione bancaria». La nuova bozza elaborata a Francoforte per accelerare la copertura dei crediti dubbi non spaventa Mustier, ma preferisce rimandare i commenti a «quando avremo più chiaro il quadro completo delle nuove regole che comprenderanno le linee guida dell'Eba e potenzialmente Basilea IV. Occorre maggiore visibilità». Rimanda al «Capital markets day» di dicembre per i commenti. Dice solo che il gruppo ha «uno dei più forti livelli di capitale tra le banche in Europa: saremo in un'ottima posizione per affrontare le nuove regole». Ma Mustier è qui per presentare la nuova espansione nel Golfo Persico. Ad Abu Dhabi Unicredit avrà una filiale che opererà da «hub» per i Paesi del Gulf Cooperation Council, è da G gestirà le operazioni in Medio Oriente e in Africa. Nuove opportunità per le imprese italiane, spiega Mustier, ma anche un ponte per favorire il passaggio dei capitali degli sceicchi verso il Vecchio Continente e l'Italia «II nostro secondo maggiore azionista (con il 5,038%, ndr) è Aabar, che fa parte del gruppo Mubadala (uno dei due fondi sovrani del Paese), ed è un'altra ragione per essere qui e per lavorare con loro», di cui «siamo l'unica banca d'affari per le operazioni in Europa». L'area del Golfo, spiega il numero uno affiancato dal presidente Giuseppe Vita e dal dg Gianni Franco Papa, «rappresenta oggi ii quinto maggior partner cornmerciale per l'Europa, con il 6% dell'interscambio totale». Negli ultimi mesi l'interesse delle società europee non è mancato, «con un flusso di business in aumento verso la regione - spiega Papa -: nel 2016 a livello di gruppo abbiamo fatto transazioni per 6,5 miliardi di euro». Con il petrolio tornato a crescere «stanno tornando progetti infrastrutturali molto importanti nella regione. Salini Impregilo, per esempio, sta costruendo un ponte, altre imprese italiane sono coinvolte in altri progetti». Non solo grandi taglie, il Golfo è meta anche della media impresa: «La società del cioccolato Venchi sta sviluppando la propria rete di franchising nella regione, per esempio», racconta Mustier. Che in Italia, il 4 dicembre, si prepara a varare - in assemblea straordinaria - il nuovo statuto: nuove regole prima di rinnovare, in primavera, il cda. II presidente Vita, tra il serio e il faceto, confida in un successore «giovane e italiano». Mustier dice che «nessuna decisione è stata presa, ciò che conta è che Unicredit avrà finalmente un sistema di governo ottimale, in grado di attrarre sempre più investitori internazionali».

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Ecco come il digitale sta reinventando il mondo delle banche art Pagare il conto attraverso lo smartphone, trovare opportunità di investimento via app o ricevere denaro in prestito da un privato utilizzando una piattaforma online. La rivoluzione fintech, dove la tecnologia è impegnata a rendere più accessibili e veloci i servizi finanziari, è arrivata anche in Italia. A rappresentarla sono app e startup sempre più numerose che hanno già migliaia di utenti, privati e aziende, e non è un caso se Smau Milano 2017 dedica uno spazio speciale alle realtà più promettenti del settore a livello italiano e internazionale. Un nome su tutti: Satispay, la startup di tre ragazzi cuneesi che permette di effettuare pagamenti dal cellulare collegandosi direttamente al proprio conto corrente e con bassi costi di transazione per gli esercenti. E tra le giovani imprese del nostro Paese più fortunate di sempre, che ha appena ricevuto un finanziamento di 18 milioni di euro versati, tra l'altro, anche da Banca Etica e Banca Sella, a conferma che anche il mondo bancario tradizionale sta guardando con sempre più attenzione al fenomeno. Investimenti in crescita I numeri ne descrivono bene la portata. Gli investimenti in tecnologia connessa alla finanza sono passati da 1,8 miliardi di dollari nel 2010 a 19 miliardi nel 2015, come descrive il rapporto «Digital disruption - How Fintech is Forcing Banking to a Tipping Point» di Citigroup di marzo 2016. Gli stanziamenti in startup del settore hanno registrato una crescita del 201% a livello globale nel 2014, con l'Europa e, in particolare, Regno Unito e Irlanda, a fare da capofila. N26, invece, è tedesca: partendo da Berlino in quattro anni è diventata la banca per smartphone leader in Europa che, da maggio, è arrivata anche in Italia. Il sistema permette di aprire un conto corrente in otto minuti e di inviare denaro via email o sms. Nata nel 2013, l'azienda ha ricevuto più di 55 milioni di euro di finanziamenti dai più importanti fondi di investimento al mondo. A Smau si potranno incontrare i rappresentanti di N26 nell'area dedicata alle startup del fintech allestita dalla Regione Lombardia. «Crediamo che il fintech favorisca la digitalizzazione del sisterna economico», spiega Danilo Maiocchi, il direttore generale Sviluppo economico della regione. «Di conseguenza questo è, per noi, un ambito di particolare interesse, tanto che lo abbiamo già promosso con eventi come il "Fintech Award" e la "Fintech Competition"». Nuove dinamiche Tra le altre startup lombarde ospiti di questo spazio c'è Moneyfarm, con sede a Milano, Cagliari e Londra, che offre consulenze per scegliere l'investimento migliore per raggiungere i propri obiettivi personali. E ancora, ecco due nomi che si dedicano ai prestiti tra privati. Prestiamoci aiuta a gestire l'incontro tra domanda e offerta, gestendo il flusso di denaro tra le parti e valutando in modo innovativo il merito di credito dei richiedente. Gli obiettivi sono nobili: incrementare l'offerta di credito verso le famiglie e gestire il rischio di credito e di liquidità con un sistema digitalizzato. Solo nei primi nove mesi del 2017 ha erogato 3 milioni di euro. Motusquo, invece, ha sviluppato un algoritmo che, in base al profilo dell'investitore, individua le migliori opportunità di prestito a un privato mettendo in luce, anche la pericolosità dell'operazione. Ma c'è anche chi permette prestiti tra privati e aziende. È, per esempio, il cuore del business di BorsaDelCredito.it, a cui possono accedere PMI e micro-imprese che sono state valutate solide e meritevoli. Oggi sono già 15mila per circa duemila prestatori e oltre 15 milioni di euro finanziati. Lo stesso fa Credimi, nata nel 2015 da un'idea di Ignazio Rocco e un gruppo di 25 talenti che hanno studiato una tecnologia per rendere liquido il capitale richiesto in 48 ore, senza muoversi dall'ufficio. Satispay, un'app N26, da Berlino Se il mutuo per pagare tutto all'Italia è un fatto privato Inventata dai cuneesi Alberto Dalmasso, Dario Brignone e Samuele Pinta, è un sistema di pagamento indipendente da banche e circuiti di carte, che permette di pagare nei negozi convenzionati fisici e online e scambiare denaro con gli amici abbattendo le commissioni. Tutto in pochi istanti, tramite la app collegata al proprio conto bancario. È la prima banca per smartphone d'Europa. Ha un'app innovativa nella grafica e nell'esperienza d'uso, con cui aprire un conto corrente in pochi minuti. Gratuite le operazioni nella zona euro come la Mastercard utilizzabile in tutto il mondo. Partita da Berlino, N26 è da poco disponibile anche in Italia; entro fine anno sarà compatibile con Apple Pay. Piattaforma autorizzata dalla Banca d'Italia, Prestiamoci agevola l'incontro tra domanda e offerta di prestiti tra privati. Le sue particolarità sono due: il metodo innovativo per valutare il merito di credito dei debitori e i processi di erogazione e di conferimento di denaro, completamente digitalizzati. Così i processi sono più semplici e trasparenti.

SCENARIO BANCHE 70 ECONOMIASICILIA.COM 23-ott-2017

Congressi e cessione del servizio credito su pegno da parte di Unicredit. art Intervista a Carmelo Raffa

Congressi e cessione del servizio credito su pegno da parte di Unicredit. Intervista a Carmelo Raffa Postato da Economia Sicilia il 23/10/17 In questi giorni si stanno celebrando i congressi territoriali della Fabi e nello steso periodo è arrivata la notizia della cessione del credito su pegno da parte di Unicredit che mette un punto interrogativo sul futuro di diverse decine di dipendenti. Due argomenti che ci portano a sentire l’opinione del coordinatore di Fabi Sicilia Carmelo Raffa. Come stanno andando i congressi dell’organizzazione in Sicilia e nel resto d’Italia. “In Sicilia sono stato presente a Ragusa, Messina e Catania e si sono svolti in un clima di serenità e di entusiasmo. I problemi certo non mancano e sono stati dibattuti e il Segretario Generale Lando Maria Sileoni è entrato nel merito dando risposte chiare e precise ai congressisti. Sono stati eletti gli Organismi con la riconferma dei coordinatori Giovanni Di Gennaro a Ragusa e Cetty Di Benedetto a Catania mentre a Messina il giovane Massimo Pellegrino succede a Pippo Lo Nostro che però rimane in prima linea ed in Segreteria. Gli altri congressi siciliani sono calendarizzati per la fine di novembre e i primi di dicembre”. Come sta andando nelle altre regioni? “Nelle altre Regioni si registra analoga situazione di profonda serenità ed impegno delle nuove strutture a proseguire l’attività sindacale al servizio dei colleghi rappresentati mettendo al primo posto la tutela della categoria”. E nel Veneto, regione particolarmente toccata dalle crisi bancarie? !”Sabato scorso sono stato presente a Vicenza, città traumatizzata dal default della Banca Popolare di Vicenza, e il Sindaco della Città questa volta non ha portato solo i saluti ma è entrato nel merito dei gravi traumi provocati dalla vicenda dai risparmiatori e dai dipendenti. Il Congresso della FABI di Vicenza si è concluso con la riconferma del Galantuomo Giuliano Xausa che come avevo affermato nel mio intervento di saluto “nei momenti più difficili della vicenda Banche Venete ha dimostrato con i fatti di mettere al primo posto i dipendenti bancari in difficoltà”. E cosa può dirci sulla ventilata cessione del credito su pegno? “Sulla misteriosa vicenda e per dire un chiaro no, oltre ai Sindacati, è sceso in campo il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando e subito dopo il candidato Governatore Nello Musumeci. Altre Personalità politiche hanno preso analoga posizione ma non credo che Unicredit vada avanti a rullo compressore per realizzarla perché per fare ciò verrebbe meno ai patti stipulati col Sindacato. In questo momento le banche hanno necessità di recuperare credibilità e violando un patto, anche sindacale, darebbe un forte segnale negativo alla Società”. Vi sono ancora dei margini per fare rientrare l’operazione? “Se Mustier ha questo grillo per la testa ci ripensi e non cerchi scorciatoie dichiarando che si tratterebbe di un’operazione commerciale che nei fatti però si tradurrebbe concretamente in una operazione vietata dai patti sottoscritti stipulati il 4 febbraio 2017 riguardanti le ricadute previste dal piano di trasformazione del Gruppo Unicredit che comprendono anche un passaggio che voglio citare testualmente:.” Andrea Naselli

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