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ROBERTO E LA GIANNA NEL RICORDO DEI BIBLIOTECARI di Giuseppe Bartorilla FOCUS: I MANGA

GLI ANIME SONO UN PRODOTTO PER BAMBINI? di Loris Gualdi CONTAMINAZIONI CULTURALI E IMMAGINI ANIMATE di Lucia Lustig L'UNIVERSO DEL MANGA E I SUOI GENERI di Paolo Valentino SCAFFALE SAGGI

RECENSIONI

BUON COMPLEANNO, GIBBA! di Renato Venturelli RACCONTI SULLA VITA AL CONTRARIO di Patrizia Deabate ADOLESCENTI E SOCIAL NETWORK di Ludovica Brunamonti BUONI PRESAGI... di Stefania Fabri #LG50 di Ludovica Brunamonti Indice dei nomi citati Indice dei fumetti citati Indice dei libri citati Indice delle riviste citate Indice dei film citati

Direttore responsabile Francesco Langella [email protected] Direttore onorario Marino Cassini Direzione redazione e Abbonamenti Biblioteca Internazionale per ragazzi “E. De Amicis” Porto Antico - Magazzini del Cotone 16128 Genova Tel. 010 252.237 - Fax 010 252.568 Revisione editoriale Lucrezia Giarratana

Grafica e digitalizzazione Quintadicopertina Editore e conc. Pubblicità Quintadicopertina Via Ca De Mussi 33, 16138 (GE) www.quintadicopertina.it Distribuzione nazionale per Librerie CDA Consorzio Distributori Associati (BO) – tel 051 969312 Autorizzazione Tribunale di Genova n. 4 del 4/03/1965 – IT-ISSN-1974-6652 Da un’idea di Pino Boero Finito di stampare nel mese di novembre 2015 Immagine di copertina tratta dal film d’animazione Inside Out ROBERTO E LA GIANNA NEL RICORDO DEI BIBLIOTECARI di Giuseppe Bartorilla

Sfioro la foto con le dita. Quasi una carezza. Quasi per non dimenticare quella giornata. Quasi per non dimenticarli.

Era il 31 maggio 2012. Una festa a sorpresa per i quarant’anni della Libreria dei Ragazzi. Una festa a sorpresa alla Valvassori Peroni, grande biblioteca tra Città Studi e Lambrate. Loro non sapevano nulla e c’erano, perché invitati a un’inesistente conferenza sulla letteratura per l’infanzia. E noi nascosti nel piccolo bar dentro il centro culturale ad attendere che la Cristina, la nostra ‘bibliospia’, ci avvisasse del loro arrivo. Poi, dopo la soffiata, a seguire il nostro buffo ingresso alla spicciolata, come usciti dalla famosa tasca di Eta Beta, la ola, gli applausi, il vociare e il loro sguardo, prima stupito, poi perplesso e infine emozionato. Era il nostro personale ringraziamento per aver creduto in noi, per averci reso protagonisti delle loro azioni e della loro libreria e quindi forse un po’ della loro vita. Noi, i bibliotecari. Sì, quelli che nell’immaginario culturale stanno spesso ai margini; chissà forse per proprie colpe o perché in questo paese i libri non sempre hanno goduto di buoni uffici, figuriamoci poi se spacciati da dipendenti pubblici. Ma nella milanesissima Libreria dei Ragazzi ci siamo sempre sentiti grandi e importanti, un po’ come Cenerentola che, abbandonati scopa e secchio, dentro al castello catalizza, stupita, lo sguardo dei presenti con il vestito sbrilluccicante e le scarpe di cristallo. Sì, ci facevano sentire importanti. Anzi per loro eravamo fondamentali in quella strana filiera che è il mondo dell’editoria under 14, al pari degli insegnanti, degli scrittori, degli illustratori e degli editori. Avevano perfino inventato i Mercoledì dei bibliotecari e tutti i mesi allestivano lo spazio a disposizione dei bibliotecari con le novità editoriali, con Lorena e Fausto pronti a esaudire i nostri desideri letterari e a risolvere problemi rispondere a possibili quesiti. Era il 31 maggio. Quasi un anno dopo Roberto ci ha lasciati. Abbiamo fatto in tempo a ringraziarlo; forse tardivamente, ma lo abbiamo fatto. E di questi giorni, invece, la notizia che ci ha abbandonato anche Gianna. Anzi la Gianna, con l’articolo davanti al nome a rivendicare con orgoglio la sua e nostra milanesità. Guardo la foto che è leggermente seppiata, un quasi colore che prova rendere antico, e quindi autorevole il bianco e nero, e spinge lo sguardo verso i due protagonisti al centro: Roberto seduto e Gianna con un mazzo di fiori in mano, attorniati da tanti bibliotecarie, bibliotecari, scrittrici, editori. Roberto e la Gianna. Erano meravigliosi insieme e parevano assolutamente complementari. Roberto era l’interfaccia della coppia, come si direbbe adesso. La Gianna stava nell’ombra, ma solo apparentemente. Infatti se entravi in libreria e passavi dietro al bancone per salutarli, per arrivare al gigante buono dovevi passare prima da lei: sguardo ironico, libro in mano, quasi un’autorizzazione ufficiale a conferire con il compagno. Roberto era il gigante, in tutti i sensi: chiacchierando con lui talvolta mi capitava di sentirmi piccolo e insignificante, di fronte al grande e appassionato affabulatore, libraio, partigiano, scrittore, che ogni tanto si divertiva a citare l’amico Gianni sulla necessità di trovare qualche regola grammaticale per stimolare fantasia e bellezza. Ma Gianna, grandi conoscenze e competenze al pari del suo grande amore, col sorriso e le battute ti riportava in superficie, a riprendere aria, a ricondurre la tua autostima ad un livello accettabile. Il giorno dell’addio a Roberto la guardavo commosso: era lei che con un accenno di sorriso dolce e con un velo di lieve ironia (un dono meraviglioso che pochi si potevano permettere di portare con tale grazia) a celare la tristezza dell’addio al suo uomo, confortava i presenti, tristi e un po’ smarriti, e non viceversa come avrebbe dovuto essere. Da allora era stata costretta ad un nuovo inizio, doloroso ma necessario. La si incontrava spesso in libreria, pronta a scambiare opinioni su libri e letture, e (ri)scoprivamo, tra chiacchiere e battute, il suo immenso bagaglio culturale e letterario, il suo incredibile acume critico e soprattutto la sua saggezza; tutte cose che avevamo intuito da tempo, ma che erano rimaste forse un po’ nascoste nell’ombra del gigante. Riguardo alla foto seppiata, mi sento aggrappare dalla commozione ripensando ai suoi “Ciao mostro” seguiti da sorrisi lievi e caldi abbracci. Abbracci rimasti sospesi dentro quell’immensa stanza nella periferia orientale di Milano, dove tante persone si sono ritrovate per darle un ultimo saluto, o forse solo per provare a credere che non fosse morta per davvero. Invece la Gianna ci ha lasciato. Per davvero. Metto via la foto, ma tra le mani me ne scorrono altre: la prima sede della libreria dei ragazzi in via Grossi, e poi quella scattata insieme in via Unione, e poi di nuovo insieme in via Tadino; quelle del matrimonio nel Friuli del dopo terremoto, mentre passano allegri tra due file di giovani e quelle delle inaugurazioni delle tante biblioteche, degli incontri in fiera a Bologna dei convegni e delle manifestazioni letterarie. Quella dell’ultimo Natale con Roberto, dove tra buon vino e buoni amici sorridevano felici. O ancora quella con la Gianna che offre il suo sguardo lungimirante al nuovo corso digitale della sua Libreria. E poi l’ultima che mi capita in mano: io e lei nella nuova sede del Castoro, pochi giorni indietro; sguardo dritto verso l’obiettivo e sorriso che buca il cuore. Guardandole ho la sensazione - lo so Gianna che non sopporti tiritere patetiche e retoriche - di sentirmi un po’ più solo, e così come me, credo tanti amici e colleghi. In fondo per molti anni siete stati tante cose belle, ma soprattutto un volano, che rendendo produttivo l’incrocio con tutti gli attori protagonisti del mondo dell’editoria e dell’infanzia, consentiva la messa in circolo di un marea di buone energie. Ecco, ora più che mai forse sento l’entropica sensazione del disperdersi disordinato di tutte quelle energie. Ma questa forse è un’altra storia e avremo modo di raccontarla un’altra volta. Ora chiudo, ma solo per poco, l’album che conterrà le tante fotografie della vostra, e anche un po’ nostra vita, e sì, in fondo penso che forse ha ragione la Patrizia, bibliotecaria, amica mia e soprattutto vostra: tanto lo sappiamo che non ve ne siete andati via veramente; in realtà state di nuovo insieme, tranquilli, da qualche parte a leggere un bel libro. Per ragazzi, ovviamente!

DOMENICO VOLPI COMPIE 90 ANNI Nato a Roma nel 1925, ha diretto, dal 1948 al 1966, il settimanale per ragazzi “Il Vittorioso”, periodico che riuniva le migliori firme del giornalismo giovanile creando così la scuola italiana del fumetto. Ha ricoperto varie cariche nel campo dell’educazione: responsabile nazionale del Movimento Ragazzi dell’Azione Cattolica; fondatore e direttore dell‘UISPER (Unione Italiana Stampa Periodica Educativa per Ragazzi), in sede internazionale Vice Presidente del B.I.C.E. e Presidente della Commissione Internazionale Stampa e Letteratura Giovanile. Il Ministero dell’Educazione Nazionale di Francia l’ha insignito della Medaglia d’Onore per la Gioventù. Ha fondato il Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, di cui è Presidente Onorario. Dal 1978 al 2004 è stato Redattore Capo del mensile per bambini “La Giostra”. Ha contribuito con radio scene e originali televisivi ed è stato consulente per il GT-Ragazzi. Ha collaborato regolarmente a L’Osservatore Romano e a vari giornali e riviste, tra cui “LG Argomenti”, con numerosi articoli e saggi sui problemi della lettura e della letteratura giovanile nonché sui rapporti fra educazione e mass-media. Ha diretto e dirige collane di letteratura giovanile per vari editori, tra le quali “Il Fantastorie” della S.E.I.. e le “Fiabe della buonanotte” della SIP. Come scrittore versatile è autore di oltre cento opere, che gli hanno valso per quattro volte il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio e nel 1990 il Premio della Cultura intitolato a “Don Giovanni Morosini”.

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ROBERTO E LA GIANNA NEL RICORDO DEI BIBLIOTECARI , di Giuseppe Bartorilla GLI ANIME SONO UN PRODOTTO PER BAMBINI? di Loris Gualdi

Quando nei primi anni del nuovo millennio la mia formazione universitaria si incrociò con il mestiere del cartoonista, attraverso la coloritura con nuove tecnologie, l’intercalazione e l’animazione, mi resi subito conto di come in Italia, a differenza di molti altri paesi, primo su tutti la Francia, il cartone animato fosse considerato culturalmente un semplice prodotto ad esclusivo usufrutto dell’infanzia. Infatti, nel nostro paese, ad ogni livello comunicativo e massmediale, l’animazione è stata troppo spesso pensata come un prodotto marginale, secondo cui il target, mal considerato e poco rispettato, rappresenta una piccola porzione del mercato, definibile come passiva e poco rappresentativa. L’errato stereotipo ha, da sempre, avvelenato l’arte dell’animazione, salvata, fortunatamente da circuiti specialistici che, da ormai molti anni, hanno trovato nel Festival di Annency, Cartoon on the Bay e I Castelli Animati, un sentiero salvifico verso una percezione diversificata di un’arte che, a prescindere da tecniche, coloriture e tematiche, appare riduttiva se legata esclusivamente al mondo della fanciullezza. Basti pensare alle infinite categorie (Kodomo, Shōnen, Shōjo, Seinen, Josei…) e sotto cattegorie (Aniparo, Ren’ai, Meitantei, Gekiga, Ecchi…) che caratterizzano l’animazione nipponica. Sembra poi sin troppo facile fare riferimento ad Akira di Katsuhiro Ōtomo, alla La ballata del mare salato di Richard Danto, oppure al Castello Errante di Hayao Miyazaki e Valzer con Bashir di Ari Folmanper comprendere come il cinema d’animazione non è sempre e comunque classificabile per un target univoco. Su questo si trova in accordo anche Luca Raffaelli, uno dei massimi conoscitori dell’animazione internazionale quando, in una recente intervista, mi ha confermato come:

“Molti prodotti d’animazione, pur classificati per famiglie, non sono considerabili come tali. Un esempio recente è Inside out, non certo un film dedicato direttamente a bambini, in grado (comunque) di arrivare al film, ma solo attraverso differenti livelli di lettura che si mostrano come un benaugurante segnale di crescita artistica. Segnale di crescita che, invece, sembra essersi parzialmente ridimensionato per le serie televisive nipponiche, troppo spesso definite da una narrazione standardizzata. Difatti, una minore varietà e un appiattimento relativo a temi e stili, sta finendo per rinchiudere in se stessa una produzione sempre più di nicchia, lontana dall’invasione popular delle prime ondate”.

Quindi, siamo di fronte ad un nuovo modo di vivere le serie tv, mutate non solo dal punto di vista artistico, ma anche e soprattutto poste, come ci conferma Raffaelli, “al servizio del merchandising, spesso fagocitante, che necessita di un ricambio più rapido di personaggi da ‘sfruttare’ a fini commerciali. Dunque, una realtà meno statica rispetto al passato, in grado di rendere vecchio ciò che è già stato trasmesso”.

Gli anime e i Cosplay

Senza dubbio, però, negli ultimi anni, la conoscenza dell’animazione ha subito un netto miglioramento, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista percettivo, ma la strada è ancora molto lunga e le convenzioni oscurantiste sono ancora vive e presenti. A subire l’ingiuria di questo distorto intendimento sono stati, ed in parte sono ancora, i cosiddetti manga eiga, oggi più conosciuti con il nome di anime, neologismo terminologico con il quale si indicano genericamente i prodotti dell’animazione giapponese. Gli anime, arrivati a noi nella seconda metà degli anni ’70, rappresentano oggi uno straordinario giro d’affari, attorno al quale l’interesse, talvolta esasperato, volge l’attenzione non solo alle dinamiche estetico culturali, ma anche alle sempre più complesse trame che molti prodotti celano dietro ad un’apparente semplicità espositiva. L’interesse verso il mondo giapponese è vivo, palese e ben chiaro ancora oggi, proprio come dimostra l’indagine sociologica raccontata da Francesco Calderone per la Società Editrice La Torre. Infatti, dal suo libro Universo Manga emergono interessanti dati legati alle dinamiche consumistiche di Manga e Anime, mostrando gli aspetti predominanti di una vera e propria subcultura. Proprio tra i meandri espressivi di questo mondo derivativo, oggi più che mai, possiamo identificare l’interesse artistico-espressivo per l’arte cartoonistico-fumettistica nel processo di impersonificazione dei fan, sempre più pronti ed abili ad indossare il ruolo del Cosplay, diffuso gioco interpretativo che indica la pratica di indossare in maniera cripto- carnevalesca le vesti del personaggio prediletto. Una curiosa esibizione estetica che vive (talvolta mediante un atteggiamento ossessivo e monotematico) nella cultura Otaku, termine che viene usato per indicare gli interessi, a tratti maniacali, che circondano videogiochi, anime e manga. Questa magica triade, infatti, proprio come in un incantato triangolo, rappresenta il solido terreno in cui si muovono ed evolvono i personaggi che, come afferma Alessandro Falciatore di Anime Click, “appaiono sempre più standardizzati sui gusti degli Otaku giapponesi, oggi indirizzati verso la trasposizione di visual novel e light novel, oltre all'animazione di fenomeni come le idol o le vocaloid, che in Europa sono praticamente sconosciuti”. A queste dinamiche vanno poi ad aggiungersi le cosiddette fan fiction, opere scritte dai fan con l’intento di approfondire, spiegare o ampliare le dinamiche di una serie, esattamente come accade tra le piacevoli pagine di Goldrake 30, antologia di racconti robotici.

Le origini

Ma, per capire le dinamiche culturali, espressive e artistiche degli anime è necessario aprire una piccola parentesi storiografica per ritrovare il fertile terreno di crescita del cinema d’animazione giapponese. La tecnica degli Anime, sembra dovere molto all’Emakimono, opera illustrativa (stampato su rotoli di carta o seta) raccontata da cantastorie. Considerato assieme al teatro delle ombre e alle lanterne magiche, l’antesignano di manga e anime, l’Emaki veniva letto, proprio come accade oggi per i fumetti orientali, da destra verso sinistra. Questo va a confermare proprio come gli anime siano da sempre legati al mondo dei manga, in una imprescindibile congiunzione in grado di ridefinire e rivisitare impronte estetiche solo apparentemente dissimili. Già nei primi anni del ‘900 pionieri dell’animazione come Shimokawa Hekoten, Kouchi Jun’Ichi e Kitayama Seitaro iniziavano a muovere i primi passi di un mondo artistico che, nella sua naturale evoluzione, ha subito una sorta di compressione sociale, dovuta a delicate situazioni socio politiche, che ne hanno limitato e deformato i confini. Solo dopo il 1945 l’esaltazione dei valori guerreschi, che spesso ritroviamo ancora nelle serie tv, vengono mitigati in favore di narrazioni diversificate, pronte a gestire un ritardo tecnico abissale nei confronti delle produzioni milionarie della Disney. Proprio questo gap settoriale sembra persistere ancora oggi, anche se spesso l’aspetto artistico sembra volersi differenziare talvolta per scelta stilistica, altre volte per una mera questione economica. Ma, probabilmente, siamo di fronte ad una tipizzazione bene definita, rivalutata ed intesa come stilismo ben radicato.

Le serie tv. Dal manga agli anime: tecniche ed influssi culturali

Il 1961 sembra essere un essenziale spartiacque, in quanto Tezuka Osamu, dopo lo straordinario Saiyuki, realizzato per la Toei Doga, decide di sperimentare la sua arte mangaka dedicandosi a pieno ritmo all’animazione, dando vita alla Mushi Production, inseguendo così la duplice idea di sperimentare dando alla luce un prodotto finalizzato alla proiezione televisiva. Nasce in questo modo il primo episodio di Atom, da noi conosciuto con il nome di Astroboy, riportato in vita proprio di recente David Bowers. La serie tv, ispirata, come quasi sempre accade, al manga omonimo del 1952, rappresenta probabilmente il primo esperimento d’utilizzo delle cosiddette conservazioni e recuperi dei movimenti animati, riproposti con stratagemmi estetici in più sequenze, in modo da risparmiare su i numeri effettivi di disegni. Infatti, sin dagli esordi, le serie tv nipponiche nascondono (ma neppure tanto) una serie di piccoli segreti che mostrano, dimostrano ed esplicano non solo il costo ridotto delle produzioni, ma anche e soprattutto la velocità di realizzazione dei singoli episodi. Il segreto di pulcinella si basa proprio sulla frequenza di fotogrammi al secondo; se il mondo Disney ci ha da sempre abituato ad un passo 2, vale a dire 12 disegni per ogni secondo di animazione, l’arte cartoonistica giapponese utilizza un numero molto più esiguo di disegni al secondo. Spesso 6 fotogrammi, talvolta 4 sino ad arrivare a singoli frame fissi e ripetuti per più secondi, resi dinamici con falsi movimenti creati mediante zoomate, inquadrature dal taglio innovativo ed inusuali carrellate. Per ovviare alla mancanza di fluidità, gli autori giapponesi hanno poi introdotto l’uso spesso eccessivo di dissolvenze, rotazioni o cambi di luce, in cui la teoria di Norman McLaren viene ribalta, giungendo a muovere il disegno anziché disegnarlo. D’altra parte però, come mi disse Luca Raffaelli in un’intervista del 2001, “non dobbiamo paragonare, ma valutare come l’animazione giapponese sia un linguaggio differente da quello che ci ha abituato l’animazione americana”. Il paragone forzato si ritrova anche nel rapporto manga-anime che, per ovvietà palesi, appaiono legati da un imprescindibile trait d’union… ma, a mio avviso, non possono e non devono essere posti forzatamente in parallelo. Molti sono i punti in comune, certo, ma rappresentano comunque due metodologie differenti di comunicazione, in cui divergono e convergono sistemi stilistici senza per forza doversi integrare perfettamente. Di certo, le impostazioni del fumetto giapponese appaiono senza troppi dubbi adatti alla trasposizione, anche perché, come afferma Eleonora Benecchi nel suo imprescindibile libro Anime. Cartoni con l’anima: “Un manga ha spesso l’aspetto di un vero e proprio storyboard”. Dunque, se da un lato l’uso dei fermi immagine e le linee cinetiche dei manga ritornano nell’animazione come elementi di pseudo dinamicità, così come tornano personaggi, dinamiche e argomentazioni, la vera discrepanza tra il mondo dei manga e quello delle serie tv è sempre stata (almeno in Italia) la barbarica censura e l’incomprensibile destrutturazione della serie trasmessa. Le motivazioni derivano in parte dal problema descritto poche righe sopra: il cartone è un prodotto per bambini. Una perpetuazione della superficialità e dell’incompetenza di chi decide non sapendo. Censurare un’opera, qualunque essa sia, significa deprivarla dei suoi aspetti narrativi e nel caso italiano anche deformare in maniera incomprensibile titoli, personaggi, dinamiche relazioni e cliffhanger, violentati e deturpati nel tentativo di occidentalizzare il prodotto e adeguarlo irrispettosamente a palinsesti televisivi sensibili a mutamenti e spostamenti irriguardosi. Proprio questo atteggiamento è oggi fortunatamente calmierato da nuovi approcci razionali, in grado di comprendere come la serialità nipponica abbia un target ben definito (bambini, preadolescenti, adolescenti, adulti) posto attorno a stili diversificati, che vanno dai divertenti super deformed sino agli hentai, passando per il beat’em up. Sicuramente, come ci conferma Alessandro Falcialtore, con il nuovo approccio mostrato da Mtv durante il cosiddetto “Second impact” e con la nascita di nuovi canali tematici, la televisione italiana e il web sono riusciti a ristabilire in parte l’integralità delle opere, fornendo una collocazione più adeguata a prodotti indirizzati ad un pubblico tutt’altro che infantile.

Un successo senza tempo

Senza dubbio chi ha vissuto con gli occhi dell’infanzia l’iniziatica ondata di Anime, vive le prime serie tv approdate in Italia con un occhio di ingenuo riguardo, complice la nostalgia ed il ricordo di un nuovo modo di vedere la televisione. Allora l’appuntamento seriale regalava agli spettatori un ritualismo condizionante, in cui la scansione narrativa, i personaggi ricorrenti e le dinamiche ridondanti, fungevano e fungono ancora oggi come accogliente territorio conosciuto, in cui gli spettatori sentono di potersi muovere osservando la crescita dei personaggi portanti. Vedere l’evolversi emozionale, fisico e psicologico dei personaggi è infatti da sempre una delle caratteristiche più interessanti di manga e anime, che arrivano a mostrare così una netta linea di demarcazione con un certo tipo di arte narrativa tipicamente occidentale. Le diluite rappresentazioni narrative, finiscono inevitabilmente per sancire sia una sorta di patto comunicativo con gli astanti sia una naturale affezione ai personaggi. Proprio queste potrebbero essere le basi emotive di un (in)atteso successo dovuto (di certo) anche all’economicità delle serie stesse, tradizionalmente acquistabili dalle reti televisive a bassissimo costo.

Approfondimenti

Nel caso si volesse approfondire l’argomento segnalo il sito www.animeclick.it, vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati, oltre che alcuni testi essenziali che ognuno, a modo proprio, racconta l’interminabile viaggio nel cinema d’animazione nipponico: Anime, Cartoni con l’anima, E. Benecchi, Hybris. Anime. Guida al cinema d’animazione Giapponese, AaVV, Kappalab. Storia dell’animazione Giapponese, G. Tavassi, Tunuè. Universo manga, F. Calderone, La Torre. Le anime disegnate, L. Raffaelli, Castelvecchi. Goldrake 30, G. Di Fratta, La Torre. Anime e Manga, F. Calderone, Caravaggio. Anime, A. Fontana, Il foglio.

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La generazione nata negli anni ‘70/’80 è caratterizzata da un minimo comune denominatore imprescindibile e ben definito: l’egemonia giapponese nelle proposte animate televisive. Negli anni ’80 la televisione italiana decide di aprire le porte agli anime, i cartoni animati giapponesi: un esercito di maghette (capitanato da Bia, la sfida della magia, apparso sui nostri schermi nel 1981), robottoni (tra i tanti, Jeeg robot d’acciaio, Gundam, Mazinga Z e Goldrake) ed orfanelle dalle tormentate vite sentimentali (superfluo citare Georgie e Candy) invade i pomeriggi dei bambini e ragazzi italiani, creando una memoria condivisa fatta di ricordi indelebili, legati ad un nuovo stile narrativo che a breve conquisterà l’industria dei cartoni animati anche fuori dai paesi del Sol Levante. Questa “contaminazione” del mondo dell’intrattenimento occidentale con prodotti orientali influirà decisamente sui suoi fruitori, non solo per quanto riguarda i soggetti, le scelte grafiche, il modo di approcciarsi all’animazione e al fumetto: avrà un notevole impatto soprattutto sull’immaginario collettivo di quei bambini che, si tratti di Dolce Candy o Sailor Moon, Doraemon o Lupin, attendono ogni giorno di entrare nel mondo delle loro serie preferite. Un mondo, quello raccontato nei cartoni animati nipponici, che non appartiene alla cultura occidentale; una finestra su luoghi, tradizioni, religioni, usi, costumi lontani dalla nostra quotidianità, rappresentativi di una società per molti aspetti totalmente diversa dalla nostra. Una realtà che viene rappresentata esattamente per quello che è nelle serie animate ambientate nello stesso Giappone, e che richiama comunque a valori, comportamenti o fantasie tipici della società e cultura giapponese (forte senso del dovere e del rispetto, rapporto con la natura come entità spirituale, spirito di sacrificio e sopportazione) anche per le opere che hanno luogo in occidente. Entrando in contatto quasi quotidianamente con le vicende e i personaggi degli anime, gradualmente, si incomincia a ritenere un gesto conosciuto e familiare quello di togliersi le scarpe prima di entrare in casa, perché aumenta la confidenza con i protagonisti dei cartoni e con le loro abitudini; si familiarizza involontariamente con alcune gestualità e oggetti di culto o di uso quotidiano, le tavolette di legno dove vengono scritti i desideri nei templi shintoisti, il battito di mani per segnalare la presenza alla divinità, alcuni cibi come il ramen o gli onigiri (triangolini di riso ripieni avvolti nell’alga nori), la melodia della campana della scuola, le divise alla marinara degli studenti e le feste estive dove si partecipa indossando lo yukata (il kimono estivo). Inevitabile credere di conoscere questo paese dopo un’immersione così continuativa nella sua cultura. Così come le serie TV e i film americani hanno influenzato lo stile di vita di una buona parte della popolazione mondiale, così i manga e gli anime giapponesi si sono aperti una porta nell’immaginario collettivo, entrando con discrezione, senza fare troppo rumore, così come è tipico del popolo del Sol Levante, ma prendendo piede in modo decisivo e stabile, chiedendo in prestito, reinventando, restituendo e creando. Hanno ideato serie animate e generi poi diventati di culto (basti pensare al genere majokko, ovvero “maghette”, capitanato da Bia, la sfida della magia, Magica Emi, L’Incantevole Creamy e culminato nella sua variazione di maggiore successo, quella delle guerriere vestite alla marinara in Sailor Moon), ma hanno anche riconosciuto la grande qualità della produzione letteraria occidentale per l’infanzia, prevalentemente della seconda metà dell’800, prendendone spunto per una serie di cartoni animati tratti dai più conosciuti romanzi classici per ragazzi nel progetto denominato World Masterpiece Theater (Sekai meisaku gekijo). Quest’ultimo, sebbene possa aver fatto storcere il naso ad alcuni puristi della letteratura, ha avuto il grande merito di creare prodotti di intrattenimento di alta qualità grafica e narrativa (come Heidi o Anna dai capelli rossi, solo per citarne alcuni, animati e dirette da Hayao Miyazaki e Isao Takahata, futuri fondatori dello Studio Ghibli), che hanno permesso alle storie raccontate nei grandi romanzi per l’infanzia di riprendere vita sotto una nuova forma, mantenendo, per la maggior parte dei casi, una trasposizione molto fedele alle fonti d'ispirazione, sia nel soggetto che nei dialoghi. In questo modo si è reso possibile riavvicinare i giovanissimi alle storie dei grandi classici, riprendere contatto con le nuove generazioni tramite serie animate dalle caratteristiche molto riconoscibili e dallo stile diverso rispetto agli altri anime in circolazione in quel periodo, con ambientazioni molto curate, fondali ricchi di dettagli, occhi dei personaggi più piccoli rispetto agli standard nipponici e proporzioni maggiormente realistiche, oltre ad un’attenzione particolare per la caratterizzazione psicologica dei protagonisti. Queste serie non subiranno grandi tagli e censure una volta importate nel nostro paese, forse proprio perché basate su romanzi già destinati ad un pubblico di giovanissimi, quindi ritenute appropriate alla fascia di destinatari prevista dalle reti televisive nostrane. Per altre serie televisive, invece, si è verificato spesso uno stravolgimento, dovuto alla concezione, diffusa in molti paesi, che un prodotto animato sia sempre destinato all’infanzia, e di conseguenza debba attenersi a specifici canoni di linguaggio e contenuto. In Giappone, tuttavia, gli anime si rivolgono a diverse fasce di età e vengono trasmessi ad orari e su reti differenti a seconda dei destinatari. Gradualmente, anche in Italia, la concezione di cartone animato è andata mutando e anche le scelte di censura, soprattutto quelle legate a cambiamenti che portano a snaturare la storia stessa, si sono gradualmente limitate, anche grazie ad associazioni di fruitori e appassionati come l’ADAM Italia (Associazione Difesa Anime e Manga). Ma perché l’animazione giapponese è così forte e potente da radicarsi in realtà così diverse e talvolta “restie” alla contaminazione da parte di prodotti culturalmente molto legati al paese di provenienza? La risposta, a mio avviso, è da ricercare nella potenza comunicativa dell’immagine stessa: il popolo giapponese ne ha sempre intuito il potenziale, forse anche per via dell’utilizzo dei kanji nella scrittura (oltre ai sillabari hiragana e katakana), caratteri che, nel loro aspetto originale, richiamano al concetto o all’oggetto stesso che determina il loro significato. Nella cultura nipponica l’incisività del disegno viene sfruttata al massimo nei settori più disparati: riviste, pubblicità, avvisi sui mezzi di trasporto, istruzioni sulle modalità di preghiera nei templi, tutto utilizza la forza della rappresentazione grafica e dell’immagine, talvolta “infantile” e rassicurante, semplice e significativa nel suo messaggio, oppure tipicamente kawaii (in giapponese carino, grazioso). Il risultato è efficace, la comunicazione funziona, il fruitore è attratto, il contenuto arriva rapidamente al destinatario. Questa esperienza nel raccontare storie avvalendosi delle immagini e il tipico stacanovismo giapponese (i fumettisti nipponici sono noti in tutto il mondo per i ritmi lavorativi estenuanti, che permettono loro di produrre un altissimo numero di tavole, dalle 60 alle 100 al mese) hanno favorito una rapida diffusione delle storie a fumetti e delle serie animate provenienti dal Sol Levante, prodotti che offrono vasta gamma di generi per tutti i gusti e le età, che non temono di affrontare tematiche più serie, delicate e “scomode” senza disdegnare quelle più “leggere”, dimostrando di essere in grado di addentrarsi nelle caratteristiche psicologiche dei personaggi, ma anche di utilizzare protagonisti e dinamiche stereotipate e consolidate come puro strumento di intrattenimento. Tutta questa ricchezza di offerta comunicativa e narrativa, accompagnata da musichette orecchiabili, sigle “tormentoni”, riti e accessori magici, personaggi dall’aspetto grazioso o combattenti dagli abiti sgargianti, correlati talvolta ad un attraente e ricco merchandising, ha inevitabilmente contribuito al consolidamento del colosso dell’industria di animazione giapponese in Italia, con un numero di accaniti seguaci in continuo aumento. Basti pensare ai cambiamenti riguardanti la più grande fiera a tema nostrana del settore, Lucca comics and games: l’esposizione, da sempre dedicata ai fumetti, ha visto incrementare esponenzialmente negli ultimi anni il fenomeno dei cosplayers (persone travestite come i protagonisti dei loro fumetti o cartoni animati preferiti), molti dei quali legati a personaggi delle serie nipponiche. La visione di eserciti di figure colorate, provenienti dagli schermi televisivi o dalla carta stampata, che prendono vita anche in Italia nelle convention di settore, conferma ancora una volta la grossa influenza di questo tipo di cultura sul nostro immaginario e sul mondo dell’intrattenimento in generale. Anche i corsi di fumetto riguardanti nello specifico allo stile manga si stanno diffondendo nel nostro paese, confermando l’interesse diffuso per le tecniche di disegno che caratterizzano gli autori del Sol Levante: l’Accademia Europea di Manga e la Lucca Manga School propongono corsi brevi o percorsi professionali in questa direzione (non è però chiaro se gli autori nostrani di fumetti manga trovino posto sul mercato italiano). Inoltre la casa editrice Euromanga Edizioni (nomen omen), attiva da alcuni anni in Italia, si dedica alla manualistica specializzata, pubblicando una collana di libri dedicati alla tecnica manga e riproponendo alcuni dei testi di studio utilizzati nelle principali scuole di fumetto giapponesi. Per soddisfare la crescente curiosità verso il Giappone e le sue produzioni animate, anche un famoso fumettista italiano, Igort, ha recentemente pubblicato Quaderni giapponesi, una sorta di graphic novel/documentario che racconta l’esperienza dell’artista come collaboratore per la grande casa editrice giapponese Kodansha. Il libro, un vero e proprio quaderno di viaggio e di appunti, rappresenta una finestra sulla vita dell’artista in Giappone nei primi anni ’90, guidando il lettore alla scoperta di un mondo e una cultura affascinanti e differenti. Un particolare molto interessante è il motivo della pubblicazione della graphic novel: numerosissime persone, anche tramite i social network, hanno manifestato all’autore il loro interesse per questa sua esperienza, chiedendo a gran voce che venissero raccolti i suoi ricordi, che si parlasse ancora e in dettaglio del misterioso e talvolta inafferrabile “Impero dei segni”. Pare che anche un colosso dell’animazione mondiale come Walt Disney (e di conseguenza Pixar, che dal 2006 è stata acquistata dalla casa madre del topo più famoso al Mondo), sia stato influenzato dall’animazione giapponese, in particolar modo dal character design di alcuni personaggi e dal ruolo indipendente e forte delle eroine nei film del maestro Miyazaki. Da alcuni anni, infatti, la Disney ha attualizzato il ruolo femminile delle protagoniste, mutandolo, da quello remissivo di principesse che finiscono per subire gli eventi della storia, in un ruolo attivo di eroine indipendenti, coraggiose ed autonome, in grado di salvarsi da sole (basti pensare alla rossa Merida in Ribelle – The brave o alle due sorelle Elsa e Anna in Frozen). Questo particolarità, che di recente è entrata a far parte delle dinamiche narrative disneyane, caratterizza l’opera di Miyazaki da sempre, a partire dai suoi primi lungometraggi, come Nausicaa della valle del vento, Laputa - Castello nel cielo e Principessa Mononoke, fino alle produzioni più recenti, come La città incantata e Arrietty. Le protagoniste delle storie del fondatore dello Studio Ghibli non rimangono in balìa degli eventi, ma reagiscono in modo reattivo, mostrando una personalità libera e coraggiosa, senza tuttavia rinunciare alle loro fragilità. Nel film Ribelle – The brave, anche la strega che fornisce la pozione alla protagonista ricorda, per personalità ed aspetto, alcune delle anziani maghe “animate” dal maestro Miyazaki: lo stesso Mark Andrews, regista del lungometraggio Disney, ha ammesso di aver inserito una scena che richiamasse una sequenza di Porco rosso dello Studio Ghibli come una sorta di citazione, un tributo. Altri “cammèi” di questo tipo consolidano l’ormai noto rapporto di stima e amicizia tra John Lasseter della Pixar e il succitato Hayao Miyazaki, per cui troviamo un pupazzo di Totoro tra alcuni giocattoli nel film Toy Story 3. Tornando indietro nel tempo, scopriamo che la stessa Disney ha ammesso in passato di essersi ispirata, per la storia e i personaggi de Il Re Leone, ad un grande classico giapponese: la serie animata Kimba, il leone bianco, di Osamu Tezuka. Se nemmeno i grandi colossi dell’animazione statiunitense sono rimasti indenni al fascino delle serie e dei lungometraggi giapponesi, forse i nostri occhi e la nostra immaginazione possono continuare a cibarsi a pieno diritto dei cartoni animati provenienti dal Sol Levante che, seppur talvolta discussi, stravolti e rinnegati, ci hanno accompagnato alla scoperta di un utilizzo più vasto dell’immagine animata, permettendoci di esplorare contenuti, linguaggi, universi distanti. Ci hanno fatto assaggiare sapori nuovi: io dico di continuare a gustarli.

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Entrando in una libreria – meglio ancora se in una grande libreria virtuale – si noterà che i libri sono suddivisi per tipologia (saggi, manuali, romanzi, e così via), e che i romanzi a loro volta si caratterizzano per un determinato genere letterario: il thriller, il giallo, la biografia, il rosa.

Quest’ultimo, tra i tanti esistenti, è l’unico che – più o meno esplicitamente – è dedicato a un pubblico, quello delle lettrici, definito dal proprio genere sessuale. Nel variegato universo del manga tutto questo, invece, è prassi. Il sistema delle riviste che in prima battuta pubblicano gli episodi delle singole opere, episodi che poi saranno raggruppati in volumi (in giapponese, tankobon), comprende periodici rivolti a ragazzi, ragazze, uomini e donne. Certo, poi esistono anche generi più propriamente letterari (opere a tematica sportiva, polizieschi, fantasy, steampunk...), ma la prima sistematizzazione si basa sul genere sessuale e sull’età dei lettori per cui tutte le opere vengono pensate. Il manga, quindi, ha sempre un target ben preciso e, come vedremo, ogni genere ha anche uno stile di disegno facilmente riconoscibile, stile che poi il singolo mangaka, l’autore di manga, fa proprio e rende personale – non così diversamente da dei pittori che seguano una determinata corrente. Oltre ai kodomo, fumetti pensati per un pubblico infantile, per cui la distinzione fra maschio e femmina non è ancora rilevante – e tra i cui titoli ci basti ricordare Hamtaro e il celebre Doraemon – sono quattro i generi in cui si suddivide la produzione di manga: gli shonen, per ragazzi adolescenti, gli shojo, per ragazze adolescenti, i seinen, per uomini adulti, e i josei, per donne adulte. Questa precisa, perfino scientifica, targetizzazione comincia, come si diceva, dalle riviste, in Giappone molto diffuse ancora oggi. E due sono quelle che in Giappone si contendono il primato nell'ambito dello shonen manga: “Shonen Jump”, della casa editrice Shueisha, sulle cui pagine furono pubblicati classici come Ken il guerriero di Tetsuo Hara e Buronson e la lunghissima e molto popolare serie Dragonball di , ma anche i più recenti One di Eiichiro Oda e Slam Dunk di Takehiko Inoue; e “Shonen Magazine”, della rivale Kodansha, nata alla fine degli anni Cinquanta, che ospitò manga cult quali L'Uomo Tigre di Ikki Kajiwara e Naoki Tusji e Devilman di Go Nagai. A queste si affiancano la “Shonen Sunday” della Shogakukan, sulla quale sono state ospitate le opere di grandi autori come e , autrice tra gli altri di Ranma ½, e “Shonen Ace”, più attenta ai fumetti tratti dagli anime (le serie animate), come il fantasy Record of Lodoss War o il capolavoro fantascientifico introspettivo Neon Genesis Evangelion. Lo shonen non è quindi un genere letterario, dal momento che, come abbiamo visto, si va dal postapocalittico al fantasy, fino alla fantascienza. Vero è però che in tutte le opere ascrivibili all'universo shonen ci sono alcuni tratti in comune, come la quasi assenza di vicende amorose o la proposta di un sistema di valori piuttosto netto, bene-male, che guida il protagonista nelle sue avventure. Impossibile confondere lo shonen dallo shojo manga. Quest'ultimo ha infatti uno stile di disegno ben preciso: i personaggi hanno in genere occhi grandi, luccicanti, corpi longilinei, dita affusolate, le ragazze hanno seni piccoli e vengono spesso ritratte con capelli e abiti mossi dal vento, mentre le tavole abbondano di decorazioni floreali. Tanto per citare qualche titolo noto anche al pubblico italiano: Lady Oscar (in originale Versailles No Bara, ovvero La rosa di Versailles) di Ryoko Ikede, Candy Candy e Georgie di Yumiko Igarashi e Sailor Moon di Naoko Takeuchi. Come se non bastasse, le riviste di shojo manga propongono spesso gadget prettamente femminili, i cosiddetti furoki, legati alle serie pubblicate del momento. Tra le riviste più importanti e diffuse citiamo “Ciao”, della Shogakukan, che ha pubblicato manga quali La rivoluzione di Utena di Chiho Saito o Wedding Peach di Nao Yazawa; “Ribon” di Shueisha, sulle cui pagine si sono letti gli episodi, per esempio, di Marmalade Boy di Wataru Yoshizumi (il cui anime è conosciuto in Italia, in una versione abbondantemente censurata, col titolo Piccoli problemi di cuore); e “Nakayoshi” di Kodansha, rivista che diede alla luce i già citati Sailor Moon e Candy Candy ma anche Magic Knight Rayearth del raffinato collettivo CLAMP e Attacker You! di Jun Makimura e Shizou Koizumi, che altri non è che il celebre Mila e Shiro: due cuori nella pallavolo. Interessante notare come, sempre all'interno dell'ambito degli shojo manga, vi sia un sottogenere, lo shonen ai, che propone storie a tematica omosessuale maschile, dedicate però a un pubblico femminile, e tra le cui opere più celebri ha Il poema del vento e degli alberi di , datato 1979 e considerato il capostipite del genere. Questa targetizzazione così precisa non si perde con l'aumentare dell'età dei lettori. Semplicemente le opere si fanno un po' più complesse. Ecco allora che nei seinen manga – tra cui citiamo 20th Century Boys di Naoki Urasawa e Skyhigh Tsutomi Takahashi – le storie diventano più articolate, i temi trattati più delicati e i richiami sessuali maggiormente espliciti; e così negli josei manga le storie d'amore si fanno realistiche, meno sognanti e idealizzate. Tra i titoli più famosi e interessanti – e conosciuti anche in Italia – si citano e Paradise Kiss, entrambi di . In un Occidente in cui la distinzione fra “cose per maschietti” e “cose per femminucce” si sta, non senza polemiche, superando, l'estrema targetizzazione della produzione di manga potrà apparire come qualcosa di desueto, perfino retrogrado. Ma è innegabile che si tratti di un utile strumento per orientarsi in una produzione vastissima e di grandi tirature – si pensi che alcune riviste superano il milione di tiratura –, e soprattutto risponde ai bisogni di un pubblico che chiede prodotti affini ai propri gusti, facilmente distinguibili. Quella dei manga, infatti, è una grande industria dell'intrattenimento, e similmente a tutte le industrie ha le sue regole. Poi, come in ogni buona industria, talvolta – tra le tante proposte – emergono piccoli o grandi capolavori. E per i capolavori, si sa, non esistono generi.

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Walter Fochesato, Il gioco della guerra. L’infanzia nelle cartoline del primo conflitto mondiale, Novara, Interlinea, 2015, pp.151, Collana “Saggi e testi” n. 65. Esperienze tragiche e sconvolgenti come una guerra possono essere ben raccontate da numerose prospettive, poiché innumerevoli sono gli aspetti dell’esistenza e della quotidianità interessati dall’evento. Ogni angolo d’osservazione arricchisce il racconto complessivo, ma a volte accade anche che la scelta di un fenomeno molto particolare consenta di ripercorrere in piccolo lo sviluppo dei grandi fatti storici, con tutti i loro paradossi, fornendo addirittura una nuova dimensione entro la quale osservarne le dinamiche. Un esempio felice è il frutto del lavoro di raccolta e analisi compiuto da Fochesato in questo volume, necessariamente ricchissimo d’illustrazioni che di per sé offrono un viaggio estetico fra le più diverse sfumature e sensibilità: dalla caricatura al dipinto di genere, dai tratti esasperati quasi espressionisti alle rappresentazioni allegoriche, dalla dolcezza delle forme per ammiccante propaganda o per nostalgia della normalità al gioco fumettistico che si inserisce in una tradizione consolidata e praticata fin nelle pubblicazioni di trincea. Il fenomeno è rilevante: con oltre centomila esemplari differenti (quattro miliardi di pezzi comprese le lettere) circolati in Italia negli anni della Grande guerra e decine di autori, alcuni con una produzione di un migliaio di soggetti, le cartoline costituirono un tessuto di relazioni e comunicazioni che ebbe un ruolo non secondario nel tenere unito il Paese in un momento di massima sofferenza e lacerazione. Ma qui il cuore della questione sono i bambini, oggetto della propaganda sempre più ricercato ma anche soggetto in grado di condizionare – per quanto involontariamente – i canoni dell’illustrazione bellica. Così accadono fatti curiosi: per esempio, le rappresentazioni del conflitto e degli accordi tra i vincitori come bambini attorno a un tavolo sul quale spartirsi fette di torta oppure l’atroce realtà dei gas asfissianti trasfigurata nelle necessità fisiologiche di un piccolo diretto a una toilette da campo infantilizzano, ossia rendono la guerra a misura di bambino, ma in tal modo a volte ne fanno forse emergere l’aspetto ridicolo e assurdo. I bambini, comunque, giocano a fare i grandi (questo il tema che ispira un capitolo) e proprio questo istinto li porta ad accogliere anche la guerra nelle loro avventure, sempre in un rigoroso rispetto dei ruoli, almeno in questo mondo di carta: le bambine diventano impareggiabili crocerossine, delle quali ci si può anche innamorare, in uno sconfinamento nell’ambito erotico che non va oltre nel mondo infantile eppure richiama testi e disegni ben più licenziosi per i soldati ‘adulti’ (i più giovani dei quali, del resto, non avevano molti più anni dei piccoli cui le cartoline erano destinate). L’emancipazione femminile portata dalla necessità di coprire i posti civili lasciati sguarniti dai soldati allora al fronte si intreccia dunque e si scontra, ma solo agli occhi di un osservatore calmo e distaccato, con la rappresentazione di una femminilità tutta eleganza, o quantomeno assistenza e dolcezza. Ma le cartoline arrivano d’altro canto a umanizzare gli oggetti, primo fra tutti il salvadanaio, da simbolo del risparmio e della sobrietà ad arma fondamentale del fronte interno per contribuire alle ingenti spese di guerra (attraverso ben sei prestiti nazionali, l’ultimo per la ricostruzione) e aiutare gli orfani o i mutilati, dovendo anche i piccoli imparare il valore dell’economia. Un ampio passaggio del libro è dedicato alla disfatta di Caporetto e alla condizione negletta degli italiani in terra occupata, circa un milione di profughi solo in parte messisi in salvo: l’alternarsi dell’entusiasmo per le vittorie e dello smarrimento dopo simili sconfitte sono puntualmente rispecchiati dal tenore delle illustrazioni, fino all’apologia dell’odio per il nemico cui si incita a chiare lettere nei messaggi o negli stessi timbri sulle cartoline. Sono questi solo alcuni dei numerosi spunti di riflessione trasmessi dalla ricerca puntigliosa e appassionata dell’autore, che in una prosa semplice, aneddotica e ispirata dalla volontà di presentare ogni contributo come parte di un insieme, offre al lettore, esperto o profano, un’esperienza del tutto nuova per conoscere la vita ai tempi della Grande guerra. (D. Finco)

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Fabio Grimaldi, Piccolo Albero accarezza le nuvole, Genova, Edicolors, 2015, pp.26, € 10.00. Grimaldi ha scritto con parole e foto un piccolo albo graficamente ben curato - e presentato e consigliato in una nota da Guido Quarzo - dal forte sapore poetico. Il maestoso Albero Grande e l’adolescente Piccolo Albero vivono vicinissimi - uno sotto l’altro - su una collina tra i Sibillini e l’Adriatico a poca distanza dalla casa dell’autore, che li ha magnificamente fotografati per due anni in diversi momenti: l’alba, le pecore e gli uccelli che parlano con l’amico: Bée bée (Sì sì) Cip cip (Ciao ciao), il vento, la pioggia, il temporale, il tramonto, la notte… Tutto qui? Sì, e non è poco, se la lettura (anche ad alta voce dell’adulto) e lo sguardo del piccolo saranno accompagnati con sensibilità all’osservazione della composizione immagine/parola, dei cambiamenti dei colori insieme a sensazioni e sentimenti, dei dettagli. Vengono in mente due film: Smoke (1995), diretto da Waine Wang e sceneggiato da Paul Auster, in cui un tabaccaio-filosofo dal suo negozietto a Brooklyn fotografa ogni mattino alle 8 l’umanità, “cercando l’esemplare dentro l’insignificante” (Mereghetti), e il recentissimo Boyhood, in cui Linklater riprende i mutamenti della vita di un ragazzo dall’infanzia all’ingresso all’università lungo dodici anni. (F. Rotondo)

Roope Lipasti, Un Nemico per amico, trad. I. Sorrentino, Milano, Feltrinelli Kids, 2015, pp.279, €13.00. Età: +12. Olaf, temibile e crudele norreno, da molto tempo rappresenta un incubo per chi vive sulle sponde dei mari del nord. Un terrore intenso, provato da chi, come Pekko e Manavilia, è sopravvissuto all’attacco dei vichinghi a Linnavuori. Proprio l’isola nordica sarà teatro dell’inatteso incontro tra i due protagonisti ed Egill, figlio dello spietato Olaf. Un’avvincente avventura di stampo norreno, in cui le vite degli isolani si intrecciano a credenze antiche ed orizzonti individuali, descritti, tra magia e realtà, dagli occhi dei giovani protagonisti, nell’intento (riuscito) di raccontare il pregiudizio nei confronti del diverso, qui calmierato da una piacevole storia di amicizia, posta in contrapposizione con le brutture della guerra. (L. Gualdi) Kate DiCamillo, Flora e Ulisse, trad. L. Bortoluzzi, ill. K. G. Kampbell, Milano, Il Castoro, pp.240, €13.50. Età: 9+. Flora è una ragazzina solitaria ed Introversa. Vive il mondo attraverso i fumetti, eccentrico veicolo di comparazione nei confronti delle dinamiche sociali. Un giorno, però, la piccola protagonista inizia a guardare il mondo mediante nuovi punti di osservazione, alimentati da un’inattesa e surreale amicizia con Ulisse, uno scoiattolo che, salvato proprio da Flora, si risveglia con superpoteri. La narrazione, scandita dalla delicatezza delle illustrazioni in scala di grigi, si appoggia sul riuscito e originale intento di divertire e coinvolgere mediante personaggi sopra le righe, abili nel trainare il lettore verso la disincantata necessità di aprirsi (senza la paura della diversità) alle sensazioni uniche e per certi versi magiche, che solo l’amicizia riesce a donare. (L. Gualdi)

Monika Filipina, Un passero per capello, trad. S. Saurin, Monselice, PD, Camelozampa, 2015, pp.26, €14.00, Collana “Le Piume”. Età: +4. Sofia è una bimba solitaria che ama trascorrere il proprio tempo suonando il pianoforte. Un giorno però la sua solitudine viene destabilizzata da centinaia di piccoli litigiosi uccellini che, ritrovandosi a vivere tra i folti e rossi capelli di Sofia, finiscono per disturbare la vita della piccola bimba a tal punto da impedirle di ascoltare persino i propri pensieri, almeno fino al giorno in cui… Camelozampa, ancora una volta, arriva raccontarci con poesia e delicatezza la tematica dell'amicizia, qui vissuta attraverso una soffice compiutezza grafica, definita dall’uso di pastelli, matite ed impronte cromatiche, in grado di impreziosire uno stile illustrativo piacevolmente curioso, racchiuso nelle sue forme tondeggianti. (L. Gualdi) David Almod, Klaus e i ragazzacci, trad. L. Russo, ill. M. Coppo, Roma, Sinnos, 2015, pp.80, €9.00, Collana “Leggimi”. Età: +6. Inghilterra, anni ’70. David fa parte di una piccola gang di adolescenti, ragazzacci capeggiati da Joe, leader negativo del gruppo, a cui nessuno ha il coraggio di ribellarsi, almeno sino al giorno in cui arriva Klaus, tedesco fuggito dalla Berlino chiusa dal muro orientale. Una breve narrazione ricca di emozioni che girano attorno alla concettualità della libertà, vissuta attraverso gli occhi dei protagonisti. Ponendo un’attenzione particolare sul tema dell’amicizia e sulle relazioni di gruppo, il libro illustrato con la semplicità dalle scale di grigio di Marianna Coppo, è raccontato mediante il font “Leggimi” ideato, con le sue spaziature e il suo spessore uniforme, per chi ha problematiche di lettura. (L. Gualdi)

Mon Daporta, Buffa Bestia, trad. E. Rolla, ill. O. Villan, Firenze, Kalandraka, 2015, pp.136, €10.00, Collana “Libri per sognare”. Età: +3. Divertente, originale e coinvolgente. Un libro semplice e al contempo straordinariamente insolito, ideale per stabilire con i piccoli lettori un’immediata intesa ludica. Gli autori, ispirandosi all’arte della composizione cartoonistica del dècoupage, definiscono la divertente costruzione del suo personaggio portante, pronto a mutare (ed evolversi) in un loop narrativo, in cui il rapporto con il libro, inteso come oggetto, cambierà a seconda del punto di osservazione. Una piccola storia che racconta con fantasia i tratti grafici delicati ed essenziali, cardine espressivo di un nuovo modo di vivere la lettura. (L. Gualdi) Pino Pace, Di che colore sono le zebre?, ill. S. Pappalardo, Torino, Notes Edizioni, 2015, pp.32, €12.50. Età: 4+. Le zebre sono bianche a strisce nere o nere a strisce bianche? È una domanda che prima o poi tutti i bambini si fanno. Ma questa volta il problema sembra essere molto più serio. Lontano lontano, nella savana africana, tra animali di tutte le taglie e colori, sono nate due piccole zebre, una tutta bianca e una tutta nera: Bob e Oba. Non hanno né strisce, né striscioline, né striscette. Niente. Sono una bianca e una nera. Una cosa del genere nella savana non si era mai vista e potrebbe essere qualcosa di gravissimo. Meglio accertarsene. I due cuccioli decidono coraggiosamente di scoprire se è proprio vero che le zebre sono tutte a strisce e iniziano il loro viaggio esplorativo nella Savana. Tra molte domande e incontri che danno risposte sagge, scopriranno che la realtà è sempre più complessa dell'apparenza e che c'è bisogno di uno sguardo ampio e d'insieme. Bob e Oba torneranno alla fine a farsi coccolare da mamma e papà senza più paura del giudizio degli altri animali. (L. Piombino).

Cristina Bellemo, Maria Moya, L'omino del blu, Reggio Emilia, ZOOlibri, 2015, €15.00. Età: +4. Nella grande e grigia metropoli di Torone, molto ma molto più grande e indaffarata della vicina Torino, un giorno arriva un strano omino, venditore di pezzi di cielo blu e non solo. Il cielo a Torone non lo vede più nessuno da anni, presi come sono tutti gli abitanti a tenere il naso in giù: c'è chi guarda il cellulare, chi il notebook, chi telefona camminando, chi lavora sul tablet. Nessuno si guarda o guarda in alto, dove peraltro vedrebbe soltanto grattacieli. Lo strano omino quel giorno si ferma in Piazza Affari e dispone sul marciapiede i suoi meravigliosi pezzi di cielo colorati. Ci sono colori per tutti i gusti e le occasioni: blu, azzurro, rosso tramonto, stelle e luna, albe, pomeriggi. I suoi pezzi di cielo vanno a ruba. Tutti ne vogliono uno, è la moda del momento. Dovrà accadere un fatto in sé banale, perchè gli abitanti, guarda caso tutti uccelli che non sanno più di saper volare, si accorgano che basta alzare gli occhi per ridare il giusto senso e colore alle cose. Davvero molto belle le illustrazioni di Maria Moya. (L. Piombino). Silvia Borando, Lorenzo Clerici, Apri la gabbia!, Reggio Emilia, Minibombo, 2015, pp.24, € 11.90. Bellissimo albo illustrato pensato per i più piccolini: sei chiavi color pastello aprono sei porte/finestrelle colorate. Dentro ogni gabbia un animale che aspetta di essere liberato. Una sorpresa scoprire ogni volta di chi si tratta, solo qualche indizio fa presagire qualcosa. Una ruota, una carota, una mela, un laghetto... Ma che succede? Ora le chiavi sono state adoperate tutte e sei, tutti gli animali sono stati liberati. Sono usciti e hanno educatamente ringraziato, come mai allora c'è ancora una scatola da aprire? Chi ci sarà dentro? E siamo proprio sicuri che sia da aprire? La sorpresa all'interno della scatola ci sorprende. Ringrazia e strisciando esce ridacchiando sotto i baffi. Ma che paura! Quasi un silent book da sfogliare e risfogliare nell'attesa del piccolo spavento finale che diverte, unisce e fa giocare insieme chi racconta e chi ascolta. Nessun moralismo ma molta ironia, un albo intelligente e fuori dagli schemi. (L. Piombino).

Paola Franceschini, Che sorpresa Paul Klee!, Bazzano (Bo), Artebambini, pp.64, € 13.60. Età: 6+. Erri, protagonista-pittore, comodamente seduto sul divano, sta aspettando l'ispirazione per un nuovo quadro, quando riceve una cartolina-invito che non può rifiutare (e non soltanto perchè profuma di cioccolato). I suoi tre migliori amici lo chiamano in Svizzera. Hanno scoperto i quadri di un grande artista e vogliono raccontargli tutto. È il grande Paul Klee! Erri ha già la valigia in mano e parte subito. Wassily, Felix e Lily lo accolgono in una casa bellissima e un po' misteriosa: Erri si ritrova circondato da paesaggi fantastici, in bilico tra forme, colori e note musicali. I tre organizzano una proiezione di disegni tutta per lui: disegni affascinanti, poetici, delicati e profondi. Erri ne rimane totalmente rapito e avverte dentro di sé una trasformazione. Sarà pronto ora per il suo nuovo quadro? L'evoluzione artistica di Paul Klee è raccontata attraverso i suoi quadri, i suoi disegni e le sue passioni. Un bellissimo albo illustrato che affascina e sorprende per la piacevolezza delle immagini e per la magia che riesce a creare. (L. Piombino). David Cirici, Muschio, trad. F. Ferrucci, ill. F. Appel, Milano, Il Castoro, 2015, pp.111, € 13,50. Età: +8 anni. Muschio è un cane nero e riccio, un piccolo cane dal cuore generoso e fedele. Protagonista di questo racconto, ci porta nel suo mondo attraverso la scia di tutti gli odori che continuamente fiuta. Nella sua breve vita Muschio ha già visto molte cose e vissuto e perso molto: due amatissimi padroncini, una guerra che esplode di colpo e divide e fa incontrare, cani randagi come nuovi grandissimi amici, campi di concentramento da cui scappare, prigionieri affamati ma in realtà buoni amici. Muschio racconta tutto attraverso gli odori che lo circondano, che segue senza riposo. Cerca i suoi piccoli padroncini, svaniti all'improvviso e senza cui non sa stare, Janinka e Mirek. Dopo avventure difficili, pericolose, emozionanti e spericolate, riuscirà a ritornare con loro? A ritrovare il calore di una casa e di una famiglia o forse molto di più? La sorpresa finale è raccontata in crescendo e l'ultimo verso ci svela quello di inizio, indizio da non sottovalutare. Storia di amicizia e di incontri intrecciati tra loro. L'autore, David Cirici, catalano e autore di libri per ragazzi, con Muschio ha vinto il XXI Premio Edobè de literatura infantil y juvenil. (L. Piombino)

Jean Leroy, Quando sarò grande, trad. F. Rocca, ill. M. Maudet, Milano, Babalibri, 2015, pp.26, € 11.00. Età: +2 anni. Se i tre porcellini e cappuccetto rosso si incontrassero ai giardinetti un pomeriggio per giocare insieme, magari con sabbia, secchiello e palette, forse accadrebbe quello che questo coloratissimo libro cartonato racconta. Tutti e quattro infatti cominciano ad immaginare cosa farebbero al lupo una volta diventati grandi (un po' di sassolini nelle scarpe è inevitabile che ci siano, dopo tutto quello che il lupo ha fatto loro passare). “Quando sarò grande farò il pompiere così...” - inizia cappuccetto rosso. “Quando sarò grande farò il mago così...”- dice un porcellino.“Quando sarò grande faro il contadino così...”. Ma il lupo dov'è? E se stesse ascoltando quello che hanno in serbo per lui? Una piccola sorpresa dietro l'altra, ma quella più divertente i quattro amici non la conoscono ancora. Il detto il lupo perde il pelo ma non il vizio farebbero meglio a non scordarlo, anche il lupo infatti diventerà grande a sua volta e si ricorderà di questo pomeriggio passato da solo senza poter giocare con i suoi amici. (L. Piombino).

Lorenzo Clerici, Tutino e il vento, Reggio Emilia, Minibombo, 2015, pp.32, € 9.90. Età: +2 anni. Chi è il piccolo Tutino? In realtà sappiamo tre cose soltanto di lui: che ama giocare all'aria aperta, che indossa buffe tute da animaletto, che è leggero come una piuma. E aggiungiamo che una giornata ventosa puo' essere molto ma molto divertente, soprattutto se si indossa un costume da farfalla. Può essere un'esperienza ideale per volare un po', osservare le foglie che piroettano o sentire il fruscio dell'erba. Tutino non vede l'ora di uscire di casa, è pronto, lo si immagina scalpitare. Insegue una foglia, ha tante domande per lei: da dove vieni? Perchè cadi? Tutino è un piccolo esploratore, piccolo e curioso e vuole conoscere il mondo che lo circonda, quello che sta sotto e quello che sta sopra di lui. Graziosissimo albo illustrato, adatto per stimolare la fantasia e creatività dei più piccolini, giocando ad essere insieme a Tutino in questa nuova avventura. (L. Piombino).

Oscar Wilde, Il principe felice e altri racconti, trad. R. Duranti, ill. G. O'Callaghan, Roma, La Nuova Frontiera junior, 2015, pp.120, € 16.00, Collana “Classici illustrati”. Età: 7+. Oscar Wilde è stato probabilmente tra i migliori storyteller del suo tempo. Aveva una fantasia veloce e una comunicativa magnetica, capace di incantare chiunque lo ascoltasse. Ai suoi due bambini ha dedicato questi cinque racconti. In questa nuova edizione de Il principe felice e altri racconti la bellezza sta nel formato, grande abbastanza da abbracciare il piccolo lettore, nelle illustrazioni, evocative e delicate e ovviamente nelle storie, tradotte da Riccardo Duranti rispettando il testo originale ma attingendo dai classici della letteratura per l'infanzia. I cinque racconti deliziano e lasciano immaginare i personaggi descritti con ironia e delicatezza. C'è dolcezza nelle parole usate e una grande empatia con il mondo dei più piccoli, dei più deboli. Non c'è invece alcuna noiosa morale, in questo Oscar Wilde rimane lo scrittore che conosciamo, intelligente, ironico e attento descrittore dei costumi dei suoi contemporanei: “Vuoi dire che la storia ha una morale? Certo- rispose il fringuello. Bè allora, parola mia - disse l'arvicola in tono molto arrabbiato- credo che avresti dovuto avvertirmi prima di raccontare la storia. Se lo avessi fatto, di sicuro non ti sarei stato nemmeno a sentire...”. Arguto e sottile come pochi altri. (L. Piombino). Jeanette Winter, Malala, una ragazza coraggiosa del Pakistan, Iqbal, un ragazzo coraggioso del Pakistan, trad. M. Barigazzi, ill. J. Winter, Milano, Nord-Sud Edizioni, 2015, pp,32, € 12.90. Novembre è il mese dedicato ai diritti dell'infanzia, in modo particolare nelle giornate del 20 e del 21. L'albo scritto e illustrato da Janette Winter ci racconta due storie di diritti negati, la vita di due bambini del Pakistan, Malala e Iqbal, ai quali l'ottusità feroce degli adulti ha impedito la spensieratezza dell'infanzia. Albo doppio, comunque lo si rivolti, perchè due sono le storie raccontate, due le vite che qui solo si incontrano nell'immagine/sogno di due aquiloni. Malala vuole continuare a studiare, ma questo suo desiderio infastidisce i talebani che la minacciano. Lei insiste, protesta insieme alle sue compagne, vuole studiare, leggere, imparare. Non ha paura. I talebani cercano di punire questo suo gesto. Malala riuscirà a salvarsi cambiando però paese e vita. Tutto il mondo ora conosce il suo coraggio. Iqbal ha meno fortuna. Non vuole più lavorare al telaio, incatenato per ore come uno schiavo. Si ribella, parla, denuncia, riesce a far sentire la sua voce di bambino all'occidente. Ma il mondo è più grande di lui e gli interessi degli adulti gli toglieranno diritti e voce per sempre. Nelle immagini e con le parole, Janette Winter racconta due vite e tocca il cuore. (L. Piombino). Delphine Chedru, Orient Express!, Modena, Franco Panini Editore, 2014, pp.53, € 14.50. Chi non ha desiderato almeno una volta entrare nella pagine di un romanzo e provare ad aiutare il protagonista in difficoltà? Con Orient Express!, edito da Cosimo Panini Editore, i giovani lettori potranno farlo, accompagnando il cavaliere Coraggio e la principessa Attacco (già protagonisti di Il Cavaliere Coraggio e La principessa Attacco) in questa nuova avventura: nel paese del Sol Levante, al di là delle montagne, nel lontano est, il sole è scomparso da molte settimane e tutto è immerso nell'oscurità. Seguendo la simpatica volpe giunta a chiedere aiuto a Coraggio e Attacco, il lettore attraverserà insieme ai due protagonisti le grandi pagine colorate di questo libro game e potrà calarsi, grazie alle bellissime illustrazioni, nelle magiche atmosfere dell'Oriente. Fra terribili Samurai, sfilate di ventagli e combattimenti di sumo, riusciranno i due eroi a scoprire dove si nasconde il sole? (C. Nobile)

Monika Filipina Trzpil, Roarrr! Ruggiti pericolosi, Roma, Sinnos, 2014, pp.32, € 10.00. Rupert è un giovane leone che ama ruggire. E ruggisce sempre. A scuola, sotto la doccia o mentre gioca a tennis. Ma ogni suo ruggito causa un fuggi fuggi generale: perché tutti i suoi amici scappano? Come spesso accade nulla è come sembra… nessuno ha paura di lui, ma del suo terribile alito! Grazie all'aiuto degli abitanti della foresta Rupert riuscirà a risolvere il suo problema e scoprirà che, come tutti i bambini, anche i leoni qualche volta hanno bisogno del dentista e devono usare spazzolino e dentifricio. Le pagine di questo libro istruttivo e divertente, edito da Sinnon edizioni e scritto e illustrato da Monika Filipina, sono ruvide e piacevoli al tatto e la font maiuscola, che fa sembrare il libro scritto a mano, è pensata proprio per accompagnare i giovanissimi nelle loro prime letture. (C. Nobile) Munsch Robert, Martchenko Michael, La principessa e il drago, Torino, EDT, 2014, pp.28, € 12.00. Nella collana Sottosopra della casa editrice EDT è arrivata una principessa un po' speciale, Elizabeth. Come ogni principessa che si rispetti, Elizabeth vive in un castello, indossa abiti sontuosi e sta per sposare Roland, un bellissimo principe. Fino a qui tutto sembra normale. Ma quando un terribile drago distrugge il castello e rapisce il principe, Elizabeth deve rimboccarsi le maniche e mettersi in marcia alla ricerca del suo promesso sposo, tutta spettinata e indossando solo un sacchetto di carta. Grazie alla sua furbizia Elizabeth riuscirà a ritrovare Rolando che si rivelerà, però, solo un ragazzino superficiale… Robert Munsch ci propone un ribaltamento degli schemi della fiaba tradizionale e traccia un nuovo modello di principessa moderna e coraggiosa, capace di scrivere un lieto fine originale e intelligente, proprio come lei. (C. Nobile)

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Per anni è stato celebrato dalle storie del cinema come autore del primo film d'animazione neorealista, poi è diventato regista “cult” per via di qualche incursione nel cartoon più piccante.

E adesso è corteggiato come grande vecchio dell'animazione italiana, il pioniere che l'ha praticata fin dai primi anni '40 e che ne è oggi una prodigiosa memoria storica. È Francesco Maurizio Guido, in arte Gibba, nato ad Alassio nel dicembre 1924, disegnatore da sempre. Lo pseudonimo risale addirittura ai tempi della scuola, quando sperava che potesse proteggerlo dai professori di cui faceva feroci caricature (“invece qualcuno fece la spia: e gli insegnanti mi chiamavano alla lavagna dicendo venga qui il Pupazzettista!”). Poi, finito il liceo, a diciott'anni prese il valigino e in pieno tempo di guerra andò a Roma, deciso a campare col cinema disegnato: che però, già allora, era anche il più maltrattato dall'industria del cinema italiano. Assunto dalla Macco Film, vede sfumare il suo primo posto di lavoro a causa di un incendio che distrugge tutto. Va allora ad affiancare il grande Antonio Rubino, ma anche lì l'avventura termina presto. Diventa amico di Zavattini e nel 1945 lavora pure a un cartone animato (Hello, Jeep!) scritto da Federico Fellini, ma finiscono subito i soldi. Prova anche in Lombardia con Anton Gino Domeneghini, che sta facendo La rosa di Bagdad, ma lì si sente in prigione e scappa. A quel punto, torna a casa e insieme agli amici Giannetto Beniscelli e Mario Fazio, futuro presidente di Italia Nostra, realizza in autoproduzione L'ultimo sciuscià, che anziché giocare con “topolini e funghetti” racconta la dura vita quotidiana di un ragazzino solo e affamato col suo cagnolino, per le strade dell'Italia del dopoguerra. È il film che verrà etichettato come “primo (e unico) cartoon neorealista”, anche se recentemente sono stati ricordati i contatti col molto più tradizionale La piccola fiammiferaia , 1937, ispirato ad Andersen e candidato all'Oscar. L'ultimo sciuscià è un fallimento commerciale per i suoi autori, perché viene “sfilato” dalle loro mani per pochi soldi dagli astuti distributori dell'epoca, ma permette a Gibba di entrare definitivamente nel cinema e nell'editoria: e da quel momento (1948) non si ferma più. Lavora anche per il teatro di rivista, come in Attanasio cavallo vanesio. Realizza inserti e titoli di testa per film anni '50 e '60, collabora a pubblicazioni per ragazzi, documentari e Caroselli (“Metti un Tigre nel motore”), al Travaso e al Corrierino, disegna pure per gli americani Braccio di ferro e Krazy Kat, fino alla sigla tv di Linda e il brigadiere. Progetta anche una parodia di James Bond a disegni animati, finché negli anni '70 viene coinvolto nella realizzazione di un pornocartoon italiano (Il nano e la strega), scoprendo così una dimensione più piccante che lo porterà a fare l'inserto osé di Scandalosa Gilda (1985) di Gabriele Lavia, subito celebrato dai giornali. È certo curioso che arrivino dal terreno dell'erotismo i maggiori apprezzamenti pubblici per questo autore dallo spirito leggero e ironico, sempre disincantato ma anche con un suo inafferrabile candore: e infatti molti osservano come quel film nel film riesca ad essere al tempo stesso esplicito ma anche delicato, fantasioso, privo di volgarità. Tornato poi nella sua Alassio, Gibba scriverà uno scherzoso libro autobiografico, Diario - un uomo di grande insuccesso, in cui ripercorre la sua carriera, raccontandoci il mondo del cinema d'animazione italiano dall'interno, con le sue figure di produttori furbastri, i progetti continuamente avviati e affossati, imbrogli e raggiri da sottobosco cinematografaro, film comprati in Romania e poi firmati da italiani per incassare in modo truffaldino i premi statali. Adesso Gibba ha appena compiuto 91 anni, mantiene ancora intatto il suo spirito fanciullesco, ha pure scritto un romanzo (Sina - Je me n'en fiche!) su una donna che attraversa tutto il '900 con animo a dir poco avventuroso. E nel frattempo ha attirato l'attenzione di studiosi e storici del cinema d'animazione italiano, figura al tempo stesso centrale ed eccentrica, perché ha trascorso tutta la sua carriera a Roma ma sempre restando un po' defilato: sono usciti su di lui un libro curato da Luigi Boledi (Grandi corti animati: Gibba, Manuli, Cavezzuti, Il Castoro, Milano 2005), uno di Marco Frassinelli e Carlo Griseri (Gibba e “Lele”, Proxima, Imperia, 2013), un numero speciale della rivista Cabiria (ed.Le Mani, Recco, 2014) con articoli di Cristina Formenti e Mauro Giori. E così Gibba è passato dal neorealismo all'erotismo fino alle riscoperte critiche, senza però mai perdere la sua allegra autoironia: così come, nel lavoro, è passato attraverso tutte le fasi dell'artigianato di disegnatore e animatore senza mai scalfire la sua personalissima identità.

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Le riflessioni sulla Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino {1} (1911) del poeta crepuscolare torinese Giulio Gianelli (1879-1914) che questa Rivista aveva ospitato in due saggi rispettivamente di Pino Boero {2} e di Alberto Borghini {3} , risultano utili anche per l'interpretazione di The Curious Case of Benjamin Button (1922) di Francis Scott Fitzgerald (1896-1940), racconto di cui celebre è stata la trasposizione cinematografica del 2008 con Brad Pitt per la regia di David Fincher. È storicamente plausibile che lo scrittore americano si sia ispirato al racconto del poeta torinese, spento ancor giovane dalla tisi, a Roma, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, che godette in vita e in morte di una fama pressoché di santità{4} . Gianelli aveva dato vita ad un personaggio emblematico, che fin dall'esordio aveva riscosso un notevole successo tra i giovanissimi, e la cui storia è stata regolarmente ristampata nell'arco del Novecento dalla S.E.I. In questa sede saranno analizzati i significati religiosi e pedagogici del racconto italiano, dimostrando che Pipino sta a Benjamin Button come il “poeta santo” italiano sta al “prete mancato” {5} . Francis Scott Fitzgerald, che fu esaltatore ma anche cattolico censore dell'Età del Jazz, i Ruggenti Anni Venti. In Benjamin Button sono gli stessi simboli presenti in Pipino, ma resi prosaici, “degradati” come se Fitzgerald fosse stato in accordo con Gianelli nel punto in cui aveva scritto che in America i bimbi non credono più alle fate{6} (tanto care a Gatsby{7} , lo sfortunato personaggio fitzgeraldiano interpretato da Leonardo Di Caprio nel film del 2013). Nel 1914 sulla rivista Myricae era apparso Il poeta S. Francesco, articolo commemorativo in cui la vita di Gianelli era identificata con un francescanesimo puro{8} . Una delle “chiavi” sia di Pipino che di Benjamin Button sta nell'amore per la natura: e proprio in virtù di esso il poeta di Torino era stato accostato all'Autore del Cantico delle Creature. Si rileva un suggestivo autobiografismo: Pipino è, come fu il poeta, buono e retto; “Pipino” era il soprannome di Gianelli stesso, per la pipa sempre tra le labbra{9} . Gli altri suoi appellativi, tutti in “ino”, erano dovuti alla corporatura minuta, quasi da bimbo{10} ; e Pipino è molto piccolo, un nano. Inoltre i contemporanei rilevarono che col passare del tempo Gianelli pareva ringiovanire anziché invecchiare{11} , e il poeta stesso ebbe a scrivere ad un amico che, a poco più di trent'anni, si sentiva già vecchio, finito, anche se la sorte gli aveva riservato un aspetto adolescenziale{12} . Oltre all'idea di base, i due racconti paiono molto diversi: corposo quello italiano, favola composta di molteplici avventure. Decisamente più breve l'altro, in cui Benjamin è calato nella realtà, radicato in un ambiente familiare normale. Ma entrambi iniziano con la nascita dei protagonisti e si chiudono con la loro morte in culla. Nel punto cruciale, i due testi paiono quasi “sfiorarsi”. Pipino, dopo essere nato, esce dalla casa passando dalla finestra (le sottolineature sono nostre):

- Com'è bello! Com'è bello il cielo!- [...] La finestra si spalancò e una musica varia, mille suoni piccoli e grandi e, nello stesso tempo, la visione delle piante invasero il nano [...] Mille fiori del giardino, con piccole voci, balbettavano: — Cendi, Pipino, non avel paula. Cendi, cappa via, fuggi il pericolo. Le stelle in gran parte a un soffio di vento erano scomparse, chi sa dove. La luna cresceva sempre più{13} .

La sera in cui Benjamin si apre alla vita è quella in cui per la prima volta si reca ad un ricevimento, insieme al padre, invitato dagli Shevlin nella loro casa di campagna: “Era una sera stupenda. La luna piena irrorava la strada di un'opaca tinta platinata e i fiori tardivi esalavano, nell'aria immobile, aromi che erano come risatine sommesse, quasi impercettibili” {14} . Nel primo caso i fiori parlano. In Fitzgerald, invece, i fiori emanano profumi che paiono risatine. La luna è una presenza comune. Non mancano, in entrambe le scene, riferimenti alla “società”. In Pipino si tratta degli “abiti di società” delle rondini, composti da: “sparato bianco, giacca nera e coda di rondine perfetta” {15} che il nano vede all'uscita in giardino; nel racconto americano sono i due Button ad essere impeccabili nei loro frac (abiti a coda) per la prima uscita in “società” del figlio{16} . I fiori parlanti hanno un significato religioso. Pipino nasce da un bozzetto di creta che si anima grazie al calore di una pipa, in analogia con la creazione biblica, secondo cui Dio creò l'uomo dalla terra infondendogli il suo soffio vitale.

La madre-pipa spiega a Pipino che lui ha il privilegio di conoscere quanti anni vivrà, e che la sua bontà gli consentirà di seguire sempre la retta via: sono gli altri uomini, invece, che vivono realmente al contrario perché si comportano male. Come ha scritto Alberto Borghini: “Pipino vien quasi a rappresentare un “frammento incoerente” […] - in rapporto con la brutale ed ingiusta società di oggigiorno – di quella che potrebbe essere la dimensione mitica e utopico-immaginaria delle “origini” solitamente definita come età dell'oro” {17} . Il ruolo del giardino meraviglioso è quello del Paradiso Terrestre. Ciò che vi è di fantastico nel passo gianelliano sembra essere ripreso da Fitzgerald in chiave realistica. I fiori non sono più parlanti ma si limitano a emettere suoni (umani) quasi impercettibili. Il personaggio americano si sente sperduto e incompreso, non ha accanto nessuno a spiegargli chi è e perché si trova lì: ha perso il proprio Eden. Nel viaggio verso il ricevimento, nella campagna fuori Baltimora, l'estatica descrizione della natura è troncata da basse considerazioni paterne riguardanti il denaro: Fitzgerald puntualizza che Roger Button non era un uomo molto spirituale. Al ritorno dalla festa, Benjamin è innamorato di una ragazza che ha conosciuto quella sera, e guarda il paesaggio ammaliato, mentre il padre nuovamente fa cadere il tono della narrazione, e fraintende pure la parola “amore” pronunciata dal figlio{18} . Benjamin, come Pipino, ha una vita a rovescio perché sa apprezzare la bellezza della natura e l'amore, mentre invece tutti gli altri pensano solo al denaro. Fitzgerald specifica che “era per sua natura di animo gentile” {19} . Quindi, pure Benjamin è un “frammento incoerente” come Alberto Borghini ha definito Pipino. Ma quest'ultimo resta fedele ai suoi principii, senza mai accettare le lusinghe materialistiche. I fiori lo esortano a scendere dalla finestra della casa in cui è nato, abitata da un uomo: l'“uomo” costituisce un pericolo, e Pipino è invitato a “scendere”. L'eroe americano invece non è più in grado di udire le esortazioni dei fiori, che, significativamente, sono definiti “tardivi”. Benjamin non “scende” dalla carrozza in cui i discorsi affaristici dell'“uomo” contaminano la visione del creato. Se fosse povero e viaggiasse a piedi sarebbe a contatto con la natura e forse sarebbe in grado di scambiarci poemi, come fece Gianelli nei suoi famosi vagabondaggi del 1900, in cui dormì nei boschi, si cibò di foglie e salì fino al Santuario di Oropa{20} . La ricchezza ha anche dotato Benjamin di un perfetto abito di società, mentre invece nel racconto di Pipino i completi eleganti erano quelli naturali, forniti da Dio, delle rondini. Il personaggio americano si lascia sedurre dalla logica capitalistica, e nella parte centrale della sua esistenza miete successi negli affari e nello sport. Non ha consapevolezza della propria elezione di spirito. Giudica il proprio percorso a ritroso come un qualcosa di “grottesco”. Non viene accettato dalla sua famiglia: all'inizio, il padre lo costringe a giocare per farlo sembrare il bambino che non può essere, poi la moglie lo lascia quando lui si iscrive all'università. Finisce vittima dell'indifferenza del proprio figlio, ingrato businessman molto attento agli affari e alle apparenze sociali. Impregnato di simboli religiosi è l'epilogo del racconto gianelliano. Nell'ultima scena i due bimbi Ugo e Mario Morosi, che Gianelli aveva salvato dal terremoto di Messina del 1909 e portato con sé a Roma, assistono al miracolo della morte{21} di Pipino, in cui le fate vengono a prenderlo volando su una nuvola che ha all'interno un giardino d'oro: un'altra allusione al Paradiso Terrestre. Le riflessioni finali dei due orfani dedicatari del libro riguardano la vita esemplare di Pipino, che rimarrà scolpita nella loro memoria e in quella dei loro figli{22} . Invece, alla morte di Benjamin, nessuno ricorda ciò che ha fatto, nessuno attribuisce un significato alla sua vita. I familiari lo ignorano completamente. Se il racconto italiano termina nella luce del giardino d'oro, quello di Benjamin finisce con le tenebre dell'incoscienza che calano sugli occhi del piccolo{23} . Da notare infine che, ad entrambi i personaggi, fin da subito, piace fumare. Infatti l'elemento più paradossale del racconto fitzgeraldiano è che Button, pur essendo nato in modo normale, partorito da una donna, non è un bebè vecchio, come nel film, ma è già un adulto di settant'anni, come Pipino (che ne ha sessantacinque). Fitzgerald ha inoltre inserito un cenno al nostro Paese, legato alla giovinezza: nel 1910, Benjamin inizia a frequentare l'università e quando torna a casa laureato, nel 1914, apprende che da tempo la moglie si era trasferita in Italia. Nel 1910 in Italia era stato pubblicato il racconto di Pipino, a puntate, sulla rivista cattolica Adolescenza; nel 1914 a Roma era morto Giulio Gianelli. Significative le ripetizioni delle consonanti nei nomi di chi ha vissuto a rovescio: Pipino (personaggio autobiografico), Giulio Gianelli, Benjamin Button. Quest'ultimo in italiano è “Beniamino”: un altro nome in “ino”, come “Pipino”, come gli altri appellativi del poeta torinese: Gianellino{24} , figliolino{25} , fanciullino{26} .“Beniamino” inoltre sarebbe il nome perfetto per il personaggio gianelliano: in italiano significa “prediletto”. È di origine biblica: così si chiamava il figlio più piccolo di Giacobbe, da questi preferito. Deriva dall'ebraico “figlio della destra” ovvero “fortunato”.E non c'è dubbio che Pipino possa essere definito “beniamino di Dio”, come Gianelli stesso. Uno status che invece Benjamin Button non riconoscerà più in sé, ma che, per converso, porterà nel nome, se considerato etimologicamente. La Bibbia è dichiarata fonte di ispirazione per i propri racconti da Fitzgerald nella lettera a Max Perkins in cui esponeva l'idea di Benjamin Button, in una pagina in cui sono citati la Chiesa di Roma e i personaggi biblici Ruth e Salomone.{27} . Da non dimenticare, inoltre, che in prima battuta l'intenzione di Roger Button era stata quella di chiamare il figlio Matusalemme: un altro nome biblico. Nella lingua inglese il termine “benjamin” ha perso il significato di “prediletto”, tuttavia si trova nel dizionario anglosassone nel benjamin-three: l'albero del benzoino, da cui si ricava un'essenza curativa. E anche questo ricorda la francescana fratellanza di Gianelli-Pipino con la natura, quella stessa natura che affascinerà anche Button. Benjamin quindi è un “beniamino di Dio” in pectore, un “angelo decaduto” in una terra affaristica in cui la sua condizione di vita a ritroso (legata alla bontà) non viene riconosciuta come segno di predilezione divina neppure da lui stesso. È una sorta “Pipino” traviato dalla ricchezza americana. Il quadro dei significati è così coerente da far ritenere che Francis Scott Fitzgerald conoscesse la Storia di Pipino, e che il “prete mancato” sia stato toccato dalla vicenda del “poeta santo” Giulio Gianelli, ben nota in Vaticano all'epoca in cui vi giunse, in missione diplomatica, Padre Sigourney Fay: il mentore di Fitzgerald.

1. GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, Torino, Libreria Editrice del “Momento”, 1911.[indietro] 2. PINO BOERO, La vecchiaia bambina di Giulio Gianelli, in LG Argomenti, 4, XXI; 1985, p. 13.[indietro] 3. ALBERTO BORGHINI, Da Giulio Gianelli a Gianni Rodari: il puer – senex, in LG Argomenti, 1-2, XVI, 1990, p. 27.[indietro] 4. Cfr. PATRIZIA DEABATE, Chi ispirò il Benjamin Button? in Storia in rete, n. 114, Anno X, Aprile 2015, pp. 86-91.[indietro] 5. Cfr. ARTHUR MIZENER, Fitzgerald, Roma, Leonardo, 1989, p. 34.[indietro] 6. Cfr. GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino, cit., p. 16.[indietro] 7. Cfr. PIETRO CITATI, La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald, Milano, Mondadori, 2006, p. 49.[indietro] 8. Cfr. GIUSEPPE FARINELLI, Aspetti dell'itinerario poetico e umano di Giulio Gianelli, in Tutte le poesie di Giulio Gianelli , Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1973, pp. 28-29.[indietro] 9. Cfr. GIULIO GIANELLI, Poesie, a cura di Onorato Castellino, Torino, Società Editrice Internazionale, 1934, p. 191.[indietro] 10. Cfr. ROBERTO ROSSI PRECERUTTI, Giulio Gianelli. Mentre l'esilio dura, in «Poesia», Anno XXVIII, settembre 2015, n. 307, pp. 63-70. [indietro] 11. Cfr. ONORATO CASTELLINO, presentazione in GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, Società Editrice Internazionale, 1935, p. VII (consultato nella riedizione del 1993).[indietro] 12. Cfr.GIUSEPPE FARINELLI, Nota biografica, in Tutte le poesie di Giulio Gianelli, cit., p. 175.[indietro] 13. GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, cit., (ed. 1911), p. 6.[indietro] 14. FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Il caso singolare di Benjamin Button, in Racconti dell'Età del Jazz, Milano, Mondadori, 2013, p. 215 (ed. orig: New York, Scribner's, 1922). Nelle successive note: BB.[indietro] 15. GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino, cit., p. 13.[indietro] 16. Cfr. BB., p. 215.[indietro] 17. ALBERTO BORGHINI, op. cit., p. 27.[indietro] 18. Cfr. BB., p. 218.[indietro] 19. Ivi, p. 211.[indietro] 20. Di queste esperienze Gianelli aveva dato conto in un articolo apparso sulla rivista Il Campo, cfr. ANGIOLO BIANCOTTI, Ai tempi di “Addio giovinezza”. Cronache e profili della belle époque, Milano, Gastaldi, 1954, pp. 95-96.[indietro] 21. Cfr. PINO BOERO, op. cit., p. 13.[indietro] 22. GIULIO GIANELLI, Storia di Pipino, cit., pp. 106-107.[indietro] 23. Cfr. BB., p. 231[indietro] 24. Cfr. ANGIOLO BIANCOTTI, op. cit., p. 108.[indietro] 25. Così era chiamato dalla signorina Lemaire, direttrice della Biblioteca Femminile di Piazza Nicosia a Roma, cfr. GIULIO GIANELLI, Poesie, a cura di Onorato Castellino, Torino, Società Editrice Internazionale, 1934, p. 196.[indietro] 26. “Poeta fanciullino” fu appellato da LUIGI AMBROSINI, Giulio Gianelli, in La Stampa, 29 giugno 1914, p. 8.[indietro] 27. Cfr. Dear Scott/Dear Marx. The Fitzgerald-Perkins Correspondence, edited by John Kuehl and Jackson Bryer, London, Cassel, 1973, p. 46 e cfr. ANDREW CROSLAND, Sources for Fitzgerald's The Curious Case of Benjamin Button, in «Fitzgerald/Hemingway Annual», Detroit, Gale Research Company, 1979, p. 136.[indietro]

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Il 6 novembre 2015 a Palazzo Ducale di Genova ha avuto luogo la seconda edizione del convegno “Tecnologie e ambienti di apprendimento: documentazione e prospettive” (http://www.edidablog.it/convegno/). Sono trascorsi dieci anni dalla prima edizione e da quando i docenti hanno iniziato a utilizzare il portale Edidablog (http://www.edidablog.it), piattaforma del MIUR per la creazione (gratuita) di blog in ambiente protetto a scopo didattico. Durante questo ultimo appuntamento è stato possibile fare il punto della situazione e incontrare i docenti che durante gli anni hanno utilizzato blog e podcast sperimentando nuovi modelli.

Gli insegnanti hanno potuto confrontarsi con esperti e professionisti provenienti da tutta Italia prendendo parte ai diversi tavoli di discussione. Tra i molti Stefania Manca dell'Istituto per le Tecnologie Didattiche – CNR che ha moderato la tavola “Digital literacy e media education negli ambienti del Web 2.0: quali competenze?” parlando dell'utilizzo dei social network nell'ambito delle pratiche scolastiche. “Come valutare il potenziale di questi strumenti per la soluzione di problemi vicini alla vita reale?”, “Come decodificare e valutare l’affidabilità delle informazioni condivise e la credibilità delle fonti?”, “Come tutelare la propria privacy, tenendo conto della dinamicità di questo concetto?”, “Come lavorare in modo collaborativo attraverso gli strumenti di social networking?” sono alcune delle domande cui si è risposto durante l'incontro. Gli insegnanti che hanno preso parte alla discussione, seppur favorevoli all'utilizzo delle nuove tecnologie in classe, hanno manifestato alcuni dubbi riguardo al rapporto degli studenti con Internet e i social media. La questione più spinosa riguarda la responsabilità dei docenti: fino dove la scuola si può spingere nel punire atti messi in pratica al di fuori delle mura scolastiche e cosa si può fare per prevenirli? Vita online e offline sempre più spesso si intrecciano fuori dalla rete e i docenti sembrano preoccupati di un eventuale cattivo utilizzo che i ragazzi fanno delle piattaforme di connessione. Stefania Manca ha consigliato un testo utile per comprendere il rapporto tra giovani e tecnologie: “It's complicated. La vita degli adolescenti sul web” di Danah Boyd. Uno sguardo fuori dal coro, che lascia spazio alla voce dei reali protagonisti, i ragazzi, andando oltre i pregiudizi che adulti e media sono soliti mettere in campo quando si parla di adolescenti e vita in rete. L'autrice ha viaggiato per gli Stati Uniti tra il 2005 e il 2012 intervistando studenti e immergendosi nel loro mondo per dare un senso al reale utilizzo delle tecnologie da parte dei giovani e capire da dove nascano le paure degli adulti. I timori suscitati dalla rete non sono una novità, ma piuttosto “chi ritrae Internet come uno spazio pericoloso per gli adolescenti sembra essere motivato da diverse ansie, la principale delle quali è la paura, non certo recente, che gli adolescenti abbiano accesso agli spazi pubblici”.{1} La mancanza di controllo da parte degli adulti sulla vita dei ragazzi è una questione saliente, poiché i giovani nei social network trovano uno spazio libero, un'occasione per affermare la propria identità e ritagliarsi un personale spazio sociale. È vero che l'affermazione dell'identità non avviene sempre nel migliore dei modi, ma quando gli adolescenti cercano attenzioni in rete spesso è sintomo di qualcosa di nascosto che gli adulti dovrebbero cogliere e sfruttare per accompagnare i ragazzi nella crescita.“Internet non è solo un luogo in cui avvengono interazioni malsane, ma anche un luogo dove condividere la propria sofferenza. Anche se non tutti gli adolescenti in difficoltà gridano aiuto online, molti lo fanno e, quando lo fanno, dovrebbe esserci qualcuno che riconosca questi segnali e agisca in modo costruttivo”.{2} Perché genitori e insegnanti non riescono a cogliere le potenzialità che le nuove tecnologie offrono nel rapporto con figli e studenti? Sembrerebbe essere un fatto “culturale”, una paura di ciò che è formalmente nuovo, ma che in realtà così nuovo non lo è. Da sempre gli adolescenti cercano spazi per socializzare:

“Facebook, Twitter, la messaggistica istantanea e altri social media rappresentano per gli adolescenti di oggi quello che il drive-in negli anni Cinquanta e o il centro commerciale negli anni Ottanta rappresentavano per gli adolescenti di allora. Gli adolescenti vi si riversano sapendo che possono socializzare con con gli amici e conoscere meglio i propri compagni di classe e quelli che conosco poco. […] Aumentare la regolamentazione significa che non ci sono molti spazi pubblici in cui gli adolescenti si possano incontrare”{3} Il successo dei social network e del digitale è legato a un cambiamento di paradigma sociale: i giovani hanno sempre meno occasioni d'incontro, sommersi dagli impegni scolastici e sportivi stabiliti dalla famiglia e vedono nella vita sui social una valvola di sfogo alle frustrazioni quotidiane. In un simile panorama anche il concetto di privacy assume una connotazione ambivalente: mentre genitori e insegnanti criticano aspramente l'utilizzo delle informazioni personali che i ragazzi fanno su Internet, non colgono che proprio nella rete questi cercano la riservatezza, lontani da orecchie e occhi indiscreti sempre pronti a giudicare. Secondo Stefania Manca una via possibile è educare in classe gli studenti a un corretto uso dei social network attraverso “palestre virtuali, nell'aspetto simili a Facebook, ma limitate agli ambienti scolastici in modo che i ragazzi possano sperimentare le regole dei social in ambienti protetti”. Ce ne sono diverse che rispondo a precisi canoni didattico-pedagogici, prestando attenzione anche alle necessità degli studenti più svantaggiati come ipovedenti o dislessici: Fidenia (https://www.fidenia.com) social learning che unisce le tecnologie digitali alle attività scolastiche attraverso strumenti di e-learning e comunicazione “social”. Edmodo (https://www.edmodo.com) network di social learning che permette la collaborazione tra insegnanti e studenti in qualsiasi momento e dovunque. Socloo (https://www.socloo.org/Login.aspx) un social network didattico dove scuole, classi, insegnanti, studenti e genitori si connettono, condividono e collaborano. Secondo Danah Boyd “aiutare gli adolescenti a vivere una vita pubblica sicura dovrebbe essere una preoccupazione comune significativa, ma è fondamentale riconoscere che non è la tecnologia a creare questi problemi, anche se li rende più visibili e ai media piace usare la tecnologia come pretesto per raccontare storie oscene sui giovani” {4} . Nessuno nega quanto sia complicato il compito dell'educatore, ma è necessario che vi sia l'interesse a capire i motivi che mettono in moto determinate dinamiche. È troppo semplice additare Internet come il colpevole dei mali:

“Il mondo visto dai media è un mondo in cui gli adolescenti non sono in grado di mantenere un rapporto sano con i social media e che raffigura l'uso appassionato della tecnologia come una malattia che la società deve affrontare. Per gli adulti è più facile dare la colpa di fatti spiacevoli alla tecnologia piuttosto che considerare altri fattori personali, culturali e sociali che possono influire”{5}

È sempre più frequente vedere come istituzioni, personaggi pubblici e adulti facciano un uso sconsiderato dei social media e poi siano le stesse persone ad adottare un atteggiamento “moralista” nei confronti dei giovani invece che dare l'esempio di come condurre una vita pubblica “sana” su Internet. Siamo sicuri che il vero problema sia il malsano utilizzo dei social da parte delle nuove generazioni, o piuttosto sarebbe opportuno riflettere sull'uso che la collettività ne sta facendo?

1. Danah Boyd It's complicated. La vita degli adolescenti sul web, Pref. Fabio Chiusi, Roma, Lit Edizioni, 2014, p. 153.[indietro] 2. Ibidem p. 157.[indietro] 3. Ibidem pp. 49-50.[indietro] 4. Ibidem p. 53.[indietro] 5. Ibidem pp. 109-110.[indietro]

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Nel 1990 Neil Gaiman, brillante autore britannico di libri per ragazzi e non solo, pubblicò un’intrigante favola dark insieme a un altro genio della letteratura fantasy, Terry Pratchett, purtroppo scomparso recentemente{1} Il libro fu edito da Mondadori con il titolo Buona apocalisse a tutti {2} , ma quello originale era Buoni presagi. Sia Pratchett che Gaiman hanno sempre usato un umorismo mordace per castigare i difetti della nostra società e mostrare ai ragazzi come l’ironia possa essere molto istruttiva. Stupisce comunque che Gaiman, noto appunto per essere sarcastico abbia realizzato una lectio magistralis sull’importanza delle biblioteche, della lettura e dell’immaginazione, in particolare per giovani e bambini. Sembra utile riprendere questo suo intervento, alla luce di un rinnovato impegno sul terreno della promozione della lettura dimostrato anche da noi dal Centro per il Libro e dall’Associazione Forum del Libro nel convegno “Lettura: promossa!” realizzato al Goethe Institut di Roma{3} . L’intervento di Gaiman è un buon presagio davvero perché esordiva così “Voglio dirvi perché leggere narrativa, e leggere per il proprio piacere, è una delle cose più importanti che una persona può fare. E voglio fare un appello cosicché le persone capiscano cosa sono le biblioteche e i bibliotecari, e perché entrambe queste cose vanno difese”. Un tanto accorato richiamo da parte di uno scrittore inglese così disinvolto ha lasciato stupiti molti interlocutori, tanto che il Guardian {4} gli ha riservato molto spazio. E poi vedremo perché noi dovremmo preoccuparci più di Gaiman... L’approccio di Gaiman al problema è interessante e tutt’altro che scontato. Infatti lo scrittore inglese tende a trattare l’argomento in maniera per nulla pedagogica, e afferma:

“La narrativa è la droga che fa da porta d’ingresso alla lettura. Non penso che esista una cosa come “un cattivo libro per bambini”: è una fesseria, è snobismo, ed è una stupidaggine. Non scoraggiate i bambini dal leggere solo perché pensate che stanno leggendo la cosa sbagliata. Quella narrativa che a voi non piace sarà la strada per arrivare ad altri libri che potreste preferire. E non tutti hanno il vostro stesso gusto”{5} .

E per esempio se a noi Il diario di una schiappa (presente nelle classifiche) sembra stupidamente ripetitivo e scioccamente spiritoso non dobbiamo fare gli schizzinosi perché Gaiman in maniera del tutto sorprendente definisce il piacere della lettura una “droga”. E non bisogna dimenticare a questo proposito che anche Tolkien ha parlato del piacere della lettura come “evasione del prigioniero”. Un’ altra cosa sorprendente detta da Gaiman è questa: “I libri sono il modo in cui comunichiamo con i morti, il modo da cui impariamo lezioni da coloro che ci hanno preceduto”. E qui sembra evocare, addirittura, le teorie degli indiani americani per i quali è necessaria la cerimonia di trattenimento del fantasma... Infine conclude:

“Abbiamo l’obbligo di dire ai nostri politici cosa vogliamo, e di votare contro i politici – di qualunque parte siano – che non capiscono il valore della lettura nella creazione di cittadini consapevoli, e che non vogliono agire per preservare la conoscenza e incoraggiare l’alfabetizzazione. Non è una questione politica, è una questione di umanità.”{6}

E ora avendo presente queste raccomandazioni tutt’altro che scontate veniamo a noi. Nel recente volume “Esperienze internazionali di promozione della lettura” {7} realizzato dal Forum per il Libro, nel confrontarci con altri paesi europei vediamo che l’Italia ha numerosi difettucci tutt’altro che facili da superare, di cui alcuni atavici, quali l’inadeguata distribuzione sul territorio di biblioteche efficienti ed al passo con i tempi. Manca, per esempio, un investimento in nuovi spazi, tipo quelli delle ruches francesi, di cui nel volume citato si dice: “Il programma nazionale delle biblioteche multimediali di prossimità, le ruches, varato nel primo trimestre del 2003, cerca di ovviare a questi limiti e riguarda lo sviluppo di una nuova generazione di mediateche in zone rurali e in aree urbane periferiche” {8} Oggi, con le sue 400 realizzazioni, il programma occupa un ruolo di primo piano nelle politiche di promozione culturale del paese. E ancora si fa notare che

“Il progetto sviluppato dalla Direction du livre et de la lecture mira a promuovere la costruzione di mediateche con una superficie di circa 500 mq, in territori con gravi mancanze di strutture culturali. Il documento ufficiale che sancisce la nascita delle ruches sostiene che queste nuove strutture, nate dalla volontà delle varie comunità e progettate attraverso la collaborazione di architetti e bibliotecari, saranno un asse fondamentale della politica culturale a livello comunale e dipartimentale. È da notare, infatti, che molte delle ruches finora costruite sono integrate in edifici multiservizio all’interno dei quali oltre alla biblioteca, trovano posto la scuola di musica, o l’ufficio del turismo, o un altro servizio di interesse locale”{9} .

Mancano da noi anche progetti realizzati che si ispirino concretamente a quelle innovative strutture inglesi rivolte proprio ai giovani che si chiamano “Ideastore”, dei quali se n’è (solo) parlato e discusso molto anche da noi. Sta di fatto che ora in Inghilterra

“A distanza di dieci anni dalle prime realizzazioni, è in corso di attuazione la nuova strategia{10} degli Idea Store per il decennio 2009-2019, che cerca di realizzare concretamente le aree di attività suggerite dal programma Framework for the Future, riconfigurando la propria rete di strutture, che a Londra si andrà a comporre di anchor stores (i cinque Idea Store più grandi) e di satellite local sites (2 o 3 punti di servizio di minori dimensioni), ispirati ai convenience stores della grande distribuzione. Il programma ha previsto l’ampliamento dell’offerta dei servizi formativi, bibliotecari, informativi e di consulenza, molto focalizzati in particolare sui temi della salute e dell’occupazione. Contemporaneamente gli Idea Store ospitano o collaborano anche con altre agenzie del territorio che possano fornire un canale di accesso a servizi utili ai cittadini”{11} . E qui bisogna anche ricordare che da noi sono in crisi (e rischiano la chiusura) persino le biblioteche provinciali che in alcuni luoghi sono le uniche strutture per la lettura presenti.

Nel rapporto del Forum per il libro emergono altri due dati preoccupanti, che vanno oltre all’invidia ormai scontata per gli investimenti nel campo delle strutture e delle iniziative per la promozione della lettura consueti in paesi come la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, segnalati puntualmente nella corposa sezione dedicata alle oltre cento esperienze censite. Il primo riguarda il fatto che l’Italia, in testa alle altre nazioni per il tempo dedicato a Internet su dispositivi mobili e per i social media, sia non solo il paese in cui i consumi culturali tradizionali sono molto modesti, ma anche quello in cui gli italiani spendono un tempo esiguo per leggere testi o fare ricerche sui libri o comunque su argomenti culturali.{12} . Insomma non c’è da stare allegri. Ma un aspetto confortante è rappresentato dal fatto che sembra diffondersi anche nel nostro paese la convinzione che un programma di promozione della lettura debba avere un respiro nazionale{13} , che debba raccogliere in una rete coordinata e collaborativa tutte le forze pubbliche e private interessate ad essa, e che, soprattutto, non possa prescindere da un intervento nelle scuole di ogni ordine e grado. E che ci sia una buona mobilitazione su questo tema lo dimostrano le numerose iniziative in programma per il prossimo anno. Non a caso, tornando all’appuntamento romano, grande successo ha ottenuto, nell’incontro svoltosi nel pomeriggio al Macro con gli insegnanti, la presentazione del programma di primavera 2016 “Roma che legge”, che fa seguito al successo di “Torino che legge”{14} , che ha come obiettivo quello di aggregare tutti i soggetti, a partire dalle scuole e dalle biblioteche, che intendano cooperare alla realizzazione di un grande progetto cittadino di educazione e di promozione della lettura.

1. Il 12 marzo 2015.[indietro] 2. Edito nel 1990 e da Mondadori nel 2007.[indietro] 3. Convegno realizzato il 27 novembre 2015 (http://www.forumdellibro.org/news.php?id_news=230).[indietro] 4. The Guardian, 15 ottobre 2013.[indietro] 5. In The Guardian cit.[indietro] 6. In The Guardian cit.[indietro] 7. Cfr. www.forumdellibro.org, dove la pubblicazione è scaricabile gratuitamente. Testi di Maurizio Caminito, Elisabetta Laino, Bruno Mari, Gino Roncaglia, Carla Ida Salviati, Giovanni Solimine.[indietro] 8. In op. cit. p. 58[indietro] 9. In op. cit. p.58.[indietro] 10. In op. cit. p.66. Il nuovo documento Idea Store Strategy 2009 è consultabile in rete qui: http://www.ideastore.co.uk/public/documents/PDF/IdeaStoreStrategyAppx1CAB290709.pdf.[indietro] 11. In op. cit. p. 66.[indietro] 12. In op. cit. p.22.[indietro] 13. È di questi giorni la pubblicazione del primo Piano Nazionale per la promozione della Lettura (Cfr.: http://www.progettoinvitro.it/articolo.xhtml?id=976&categoria=250)[indietro] 14. Cfr. il sito www.torinochelegge.it [indietro]

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Creare a Genova un'occasione di confronto sulla letteratura per l'infanzia e il digitale è la scommessa che la redazione di “LG Argomenti” si è posta per la realizzazione della prima edizione di “#LG50. Cinquant'anni di Letteratura giovanile”. Scommessa riuscita, visto il pubblico di insegnanti, bibliotecari, librai, editori e famiglie che venerdì 25 e sabato 26 settembre ha affollato i locali della Biblioteca Internazionale per Ragazzi Edmondo De Amicis. Un compleanno importante per la rivista “LG Argomenti”, con mezzo secolo di attività alle spalle da quel lontano 1965 quando nacque con il nome de “Il Minuzzolo”. Da allora è stata fatta molta strada, si sono susseguiti momenti favorevoli, ma anche tempi cupi fino ad arrivare ad oggi, con il rilancio della rivista e la pubblicazione della versione digitale a cura del nuovo editore, Quintadicopertina. Protagoniste di queste due giornate di festa le nuove tecnologie e il loro utilizzo a scuola e in biblioteca. Venerdì il dibattito è ruotato attorno alle riviste per l'infanzia e alla “scuola 2.0”. Dopo i saluti istituzionali da parte di Pino Boero Assessore alla Scuola, allo Sport e alle Politiche Giovanili del Comune di Genova, la giornalista ed esperta di nuove tecnologie Barbara Sgarzi ha moderato un primo incontro sulle tecniche di resistenza alla crisi a cui hanno partecipato Francesco Langella Direttore della Biblioteca De Amicis e di “LG Argomenti”, Elisa Salamini cofondatrice del magazine online Mamamò, Anselmo Roveda coordinatore redazionale del mensile Andersen e Maria Cecilia Averame di Quintadicopertina. Per Langella fondamentali sono “Il contatto con i bambini, gli incontri con le classi, come la lettura ad alta voce, pratica utile. Da sottolineare il caso di “LG Argomenti”, nata prima della biblioteca e su cui la stessa De Amicis ha posto le sue basi, evidenziando la necessità di creare una forte comunità sul territorio”. Anche Elisa Salamini parla del contatto con la comunità. Per lei, il principale obiettivo è: “Promuovere l'utilizzo consapevole del digitale da parte di genitori ed educatori. Suggerire buoni contenuti e valide prassi mediante guide per le famiglie perché l'educazione al digitale parte proprio dalle figure degli intermediari”. Fondamentale il ruolo dei genitori nel dare un senso all'utilizzo delle nuove tecnologie, insieme a quello degli specialisti chiamati a cooperare in questa missione. Anselmo Roveda evidenzia “l'importanza di creare una rete di editori che si scambiano diritti e condividono la stessa visione rispetto alla letteratura per l'infanzia attraverso idee narrative dotate di un contenitore adeguato e indirizzate a progetti culturali di qualità”. Recentemente il “New York Times” {1} ha riportato i dati raccolti dall'Association of American Publishers in riferimento alle vendite di oltre 1200 editori americani, dai quali emerge come il mercato digitale abbia subito un calo del 10%. Tenendo in considerazione l'incomparabilità tra il contesto degli Stati Uniti e quello italiano, l'attuale incertezza del mercato digitale non sempre rappresenta un dato negativo. È l'opinione di Maria Cecilia Averame che non appare allarmata e preferisce parlare di “cambiamento piuttosto che di crisi. È il momento dell'innovazione e della sperimentazione; ci si muove in un settore che non ha ancora dato ciò che realmente ci si aspetta. Sarebbe necessaria una riflessione sulla sostenibilità del digitale e delle nuove tecnologie, sono disponibili gli strumenti per creare una biblioteca digitale e accessibile? Come parlare di digitale in biblioteca, se ancora in molte non è disponibile il prestito di ebook, app e contenuti multimediali?” La giornata è proseguita con un incontro su esperienze di didattica che ruotano attorno alla scuola “2.0”. Raffaele Mastrolonardo, moderatore dell'incontro, ha riportato l'ultimo rapporto dell'OCSE{2} , l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, su tecnologia, scuola ed educazione in ambito europeo. Secondo i dati i Paesi dove c'è maggiore innovazione tecnologica non sarebbero quelli dove gli studenti ottengono migliori risultati e acquisiscono maggiori competenze. La disgiunzione tra utilizzo delle tecnologie e didattica è dovuta probabilmente al fatto che è ancora necessario trovare metodi efficaci per integrare in modo costruttivo digitale e insegnamento. Ci sono delle eccezioni, anche in Italia, come raccontano le tre docenti che hanno preso parte alla discussione. Daniela Pietrapiana e Chiara Cipolli, docenti della Scuola Don Milani di Genova, riferiscono dell'esperienza con ePubEditor, piattaforma che permette di redigere, anche in gruppo, ebook interattivi e multimediali. Perché una scuola dovrebbe puntare sull'autoproduzione di testi? “Un gruppo di 10 docenti ha impiegato 276 ore di lavoro per la progettazione e la creazione di un ebook. Un tempo molto lungo, che si scontra con le competenze tecnologiche da acquisire, la validità dei contenuti e le capacità comunicative. Sicuramente è valsa la pena di creare un prodotto che ha portato i docenti a conseguire nuove competenze tecnologiche, modificabile in qualunque momento, composto da materiali e contenuti personalizzati, che crea l'opportunità di costruire un percorso insieme agli studenti”. Nicoletta Farmeschi, insegnante di scuola primaria, ha illustrato il lavoro con Didasfera, ambiente didattico digitale dove è possibile trovare testi per le scuole e contenuti multimediali di alta qualità. La docente racconta: “Dopo aver ricevuto dei finanziamenti per una classe 2.0 serviva una piattaforma semplice e accessibile a tutti, anche a chi ha problemi di apprendimento come la dislessia o è non vedente. Didasfera concede ampio margine di movimento oltre che sfruttare la logica dei social grazie alla quale i compagni possono ritrovarsi sulla piattaforma così come in classe e formare gruppi. Questo tuttavia non ha escluso l'utilizzo di carta, penne e pennarelli che restano fondamentali”. Quando si parla di digitale a supporto della didattica un tema cruciale è quello della validazione dei contenuti. Didasfera garantisce revisioni esperte e controlli scientifici da parte di professionisti, mentre ePubEditor, può consentire un lavoro di équipe della scuola. Utilizzare strumenti come quelli sopracitati garantisce la regolarità dei contenuti e un corretto utilizzo delle risorse digitali da parte degli insegnanti con l'obiettivo di migliorare la propria didattica. Sabato la festa è proseguita con le attività rivolte ai giovani, con due laboratori organizzati da Quintadicopertina e Scuola di Robotica. Mentre i più piccoli erano impegnati nella scrittura di una storia interattiva e nella costruzione di un piccolo robot utilizzando materiali di recupero, i genitori hanno avuto l'occasione di parlare con editori, bibliotecari, programmatori di nuove tecnologie e del loro utilizzo da parte dei ragazzi. L'evento per i 50 anni di “LG Argomenti” si è concluso sabato pomeriggio con il primo Digital Readers Camp di Genova, nato dall'idea della Biblioteca dei Ragazzi di Rozzano, dove è giunto alla sesta edizione. Professionisti da tutta Italia hanno preso parte all'incontro raccontando le esperienze e i progetti nazionali. Ha chiuso la giornata Maria Cecilia Averame annunciando alcuni progetti in cantiere per il futuro di “LG Argomenti”: “Se oggi la rivista ancora sussiste è grazie alla forza e alla passione della redazione composta da molti giovani che credono in questo progetto. Per il futuro è previsto l'ampliamento della parte digitale, anche nei temi trattati, e una maggiore internazionalizzazione. Riserveremo inoltre un'area con materiale e letture dedicate espressamente agli abbonati e ai sostenitori, per ampliare il pubblico dei lettori di “LG”, proporre un rapporto più diretto e assicurare la sostenibilità di un'attività che da cinquant'anni fa parte della storia e della cultura di Genova”.

1. http://www.nytimes.com/2015/09/23/business/media/the-plot-twist-e-book-sales-slip-and-print-is-far-from-dead.html?_r=0 [indietro] 2. http://www.oecd.org/education/new-approach-needed-to-deliver-on-technologys-potential-in-schools.htm [indietro]

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Akira Toriyama, vedi in L'UNIVERSO DEL MANGA E I SUOI GENERI, vedi (1). Alberto Borghini, vedi in RACCONTI SULLA VITA AL CONTRARIO, vedi (1), vedi (2), vedi (3), vedi (4). Alessandro Falcialtore, vedi in GLI ANIME SONO UN PRODOTTO PER BAMBINI?, vedi (1). Alessandro Falciatore, vedi in GLI ANIME SONO UN PRODOTTO PER BAMBINI?, vedi (1). Andersen, vedi in BUON COMPLEANNO, GIBBA!, vedi (1). #LG50, vedi (1). Anna, vedi in CONTAMINAZIONI CULTURALI E IMMAGINI ANIMATE, vedi (1). Anselmo Roveda, vedi in #LG50, vedi (1). Anton Gino Domeneghini, vedi in BUON COMPLEANNO, GIBBA!, vedi (1). Antonio Rubino, vedi in BUON COMPLEANNO, GIBBA!, vedi (1). Ari Folman, vedi in GLI ANIME SONO UN PRODOTTO PER BAMBINI?, vedi (1). Barbara Sgarzi, vedi in #LG50, vedi (1). Benjamin Button, vedi in RACCONTI SULLA VITA AL CONTRARIO, vedi (1), vedi (2), vedi (3). Brad Pitt, vedi in RACCONTI SULLA VITA AL CONTRARIO, vedi (1). Bruno Mari, vedi in BUONI PRESAGI..., vedi (1). 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