Valerio Castello 1624 – 1659
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VALERIO CASTELLO 1624 – 1659. Genio Moderno Museo Teatro del Falcone ‐ Museo di Palazzo Reale dal 15 febbraio al 15 giugno 2008 La mostra e il suo percorso espositivo La mostra dedicata a Valerio Castello si articola negli spazi del teatro del Falcone, secondo un percorso cronologico e tematico. A fronte di un’esperienza artistica che si risolse in meno di venti anni di attività, si è scelto di esporre le opere secondo un criterio che arricchisse la successione cronologica ‐ costellata da alcuni punti fermi, quali la Vocazione di san Giacomo dell’omonimo oratorio della Marina (1647), la pala con San Sebastiano fra i santi Lorenzo e Rocco della chiesa di San Siro a Santa Margherita Ligure (1648) e la grande pala con santi della parrocchiale di Recco (1655) ‐ di alcune sezioni a carattere iconografico, come quelle dedicate alle Sacre Famiglie, alle Pietà, ai bozzetti, fino al tema, più volte replicato, delle celebri Stragi degli innocenti. Teatro del Falcone ‐ Galleria Prima di Valerio: dal padre Bernardo Castello ai pittori della realtà Un dipinto di Bernardo Castello, una pala d’altare realizzata per la chiesa della Maddalena lo stesso anno della nascita del figlio Valerio, apre la mostra, come esempio significativo di un’eredità artistica trasmessa solo per via genetica e non per contenuti e linguaggio. Bernardo Castello fu un artista colto, in contatto con l’entourage letterario genovese. Declinò gli insegnamenti di Andrea Semino, presso il quale si era formato, secondo le suggestioni della pittura toscana e romana. Non estraneo alla lezione di Luca Cambiaso, diede vita a composizioni equilibrate, costruite su un disegno sicuro e con morbidi passaggi cromatici, adeguati al clima controriformistico. La prima sezione presenta una serie di dipinti di artisti (Domenico Fiasella, Luciano Borzone, Giovanni Battista Carlone, Orazio e Giovanni Andrea de Ferrari, Gioacchino Assereto), nati tutti tra la fine del Cinquecento e i primi anni del secolo successivo, che, durante gli anni Quaranta ‐ periodo nel quale Valerio concluse la sua formazione e iniziò a svolgere la professione di pittore ‐ stabilizzarono le loro consolidate carriere nei termini di un naturalismo assai caro alla committenza, frutto della combinazione di un caravaggismo narrativo e degli stimoli dall’osservazione della realtà filtrata anche attraverso le numerose opere fiamminghe disponibili in città. Il giovane Valerio Castello tra Perin del Vaga e Parmigianino In apertura sono proposte le opere giovanili del pittore, ancora appartenenti alla maniera cinquecentesca, come evidenziano gli schemi compositivi, il plastico atteggiamento dei personaggi e la vivacità della tavolozza, dove prevalgono gradazioni cromatiche fredde e luminose dai colori pastello. In queste prime tele è possibile rintracciare una testimonianza degli entusiasmi di Valerio per l’arte di Perin del Vaga e del Parmigianino, sebbene le soluzioni compositive, irrispettose della verosimiglianza prospettica e figurativa, preannuncino uno spirito creativo libero e decisamente innovativo. Sono ancora lontane le immediatezze bozzettistiche alle quali il pittore si avvicinerà nel giro di un paio d’anni, quando comincerà a considerare la produzione di Procaccini e Van Dyck. Valerio nell’oratorio di San Giacomo della Marina Intorno al 1647 la cultura di Castello si fa più complessa, quando, come mostrano i dipinti presenti nella sezione dedicata al ciclo per l’oratorio genovese di San Giacomo della Marina, comincia a sperimentare, dopo un’apertura verso le grandi partiture dei veneti e di Rubens, le proprie possibilità espressive in orchestrazioni spaziali spinte all’artifizio estremo. Le opere furono commissionate dalla Confraternita di San Giacomo della Marina e inserite, insieme ad altre tele realizzate da importanti pittori quali Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, Giovanni Battista Carlone e Domenico Piola, lungo le pareti e nel presbiterio dell’oratorio. La quadreria racconta, attraverso la lettura dei dipinti, i momenti più importanti della vita di San Giacomo. Valerio e Giulio Cesare Procaccini L’importante osservazione dei modi del lombardo Giulio Cesare Procaccini è testimoniata dalle tele che Valerio realizzò verso la fine degli anni Quaranta: il San Sebastiano fra i santi Lorenzo e Rocco della chiesa di San Siro a Santa Margherita Ligure (1648) e il Martirio di san Lorenzo di Palazzo Bianco. Al maestro lombardo il genovese guardò soprattutto nel formulare una nuova impostazione del rapporto fra l’immagine e lo spazio in cui questa si muove, oltre che nel permeare di una dialettica ormai pienamente barocca gesti e posture delle figure. In queste tele Valerio crea una dimensione scandita dal reciproco posizionarsi di figure serpentinate che tradiscono la diretta discendenza dalla lezione procaccinesca, seppure interpretata attraverso il cromatismo veneto e fiammingo a cui il pittore aveva incondizionatamente aderito. Le Pietà Sono state poste a confronto tele con un soggetto simile al fine di mostrare la capacità di Valerio Castello di acquisire la lezione di grandi artisti quali Van Dyck o Procaccini e di farle proprie, fino ad ottenere un linguaggio personale capace di soluzioni stilistiche innovative. Ecco allora che l’influenza procaccinesca nella Pietà proveniente dalla Pinacoteca civica di Savona, rintracciabile nell’esasperato allungamento delle membra del Cristo morto, lascia il posto, nella tela conservata al Musée des Beaux‐Arts di Nancy, ad un realismo tragico nel capo della Vergine rivolto verso il dramma terreno, fino ad arrivare nel dipinto Morte di Lucrezia ad una moltiplicazione dinamica delle diagonali elemento rintracciabile in Rubens e maggiormente sviluppato dall’artista nelle composizioni vorticose della maturità, quali Il ratto delle Sabine e La strage degli innocenti. Opere religiose della maturità Questa sezione della mostra propone un confronto, imprescindibile per comprendere la produzione artistica della maturità di Valerio Castello, con le opere dei grandi maestri a cui lui guardò per tutta la vita: Van Dyck, Grechetto e Procaccini. Appare qui evidente come le meditazioni giovanili sul maestro lombardo si siano arricchite, in virtù delle suggestioni vandyckiane, di nuove e più intense cromie. Le Sacre Famiglie Anche le Sacre Famiglie, qui riunite al di là dei momenti cronologici in cui furono realizzate, narrano, nell’intreccio sempre più complicato delle gestualità, contenuti d’affetto attraverso un dinamismo proveniente dall’osservazione di analoghi temi vandyckiani. Teatro del Falcone ‐ Platea Commissioni pubbliche Il documento, che questa mostra rende noto per la prima volta, con cui il 17 dicembre del 1655 i Padri del Comune commissionarono a Valerio Castello il quadro con La Vergine con il Bambino tra i santi Giovanni Battista e Giorgio da esporsi nella camera della Magistratura, costituisce la prova evidente di quanto a quella data il pittore, poco più che trentenne, fosse stimato dai massimi esponenti della vita politica cittadina. I numerosi e importanti dipinti esposti in questa sezione testimoniano infatti quanto l’aristocrazia locale amasse l’arte di Castello e quanto frequentemente a lui si rivolgesse per opere di maggiore estensione destinate a cappelle e chiese prestigiose, come la pala di Recco e la pala con il Miracolo di santa Zita. In questa sala sono poi esposte due effigi, rari esempi di ritrattistica, genere pittorico a cui Valerio Castello si dedicò poco, forse proprio per la necessità di adesione al vero che essa impone e che poco affascinava uno spirito come il suo, così propenso ad indagare spazi fittizi e concertazioni prospettiche ricche di figure e movimento. Bozzetti e quadri da stanza Riunire, come in un’ideale quadreria, i dipinti di piccole dimensioni di Castello, offre la misura di quello che fu il successo riscosso da questo pittore presso i collezionisti fin dal Seicento: bozzetti, modelletti, opere di piccolo formato creano un magico e raffinato cabinet che richiama quello che avrebbe potuto essere allestito nella dimora di Bartolomeo Pinceti, che un inventario del 1694 rivela impreziosito di ben 14 opere di Valerio. I grandi temi sacri e profani Valerio ebbe il merito di aggiornare, con un nuovo modo di costruire forme e infondere a esse dinamismo e incanto, i grandi temi iconografici, come le Adorazioni dei pastori e i Ritrovamenti di Mosé, concepiti come coloratissime danze di panneggi e colori. Capolavori di questa sezione i due grandiosi dipinti con il Trionfo di David e le Danaidi, manifesto della poetica del pittore che affascinò i contemporanei, rompendo con la tradizione naturalistica e precorrendo la stagione Rococò. La cerchia di Valerio Castello Una sezione della mostra è dedicata ai pittori che costituirono l’operosa cerchia di Valerio e che, nel corso della seconda metà del Seicento, portarono a maturazione il suo innovativo linguaggio: Bartolomeo Biscaino, Giovanni Paolo Cervetto, Stefano Magnasco e Giovanni Battista Merano. Ratti e stragi Nell’ultima parte della sua attività (1650 circa ‐ 1659), Valerio assestò il proprio linguaggio su un registro di grande spettacolarità, dando vita a veri e propri fasti cromatici e compositivi con la serie delle Stragi degli innocenti e dei Ratti delle Sabine, ma anche con le coloratissime e vertiginose aperture spaziali, mai viste prima, allestite sulle volte dei palazzi nobiliari di strada Balbi e delle chiese monastiche femminili (Santa Marta e Santa Maria in Passione). La grafica La mostra include una selezione di disegni realizzati da Castello provenienti