La vita di Gesù in India HOLGER KERSTEN ha studiato Attraverso la Conoscenza della Verità Perché il Cristianesimo ha scelto di HOLGER KERSTEN ignorare i legami con le religioni teologia e pedagogia all’Università di Tutti i mali vengono spazzati via. Friburgo, in Germania. È uno scrittore dell’Oriente e di respingere ripetutamente specializzato in storia delle religioni ed Il vero Illuminato resta imperturbabile, i numerosi indizi che indicano che Gesù è autore, insieme con Elmar R. Gruber, Dissolvendo le nubi dell’illusione passò gran parte della Sua vita in India? di un discusso best-seller, The Questo libro coinvolgente presenta Conspiracy, non ancora pubblicato in Come il sole che brilla in un cielo sereno... prove inoppugnabili che Gesù ha vissuto Italia. veramente in India, dove è morto in tarda età. La vita di Gesù in India è il risultato di molti anni di indagini e ricerche e porta il lettore in tutti i luoghi storicamente collegati con Gesù in Israele, nel Medio Oriente, in Afghanistan e in India. Dopo avere rivelato antichi legami fra gli Israeliti e l’Oriente, le evidenze trovate dal teologo Holger Kersten portano alle seguenti sorprendenti conclusioni: In giovane età Gesù ha seguito l’antica Via

della Seta fi no all’India, dove ha studiato HOLGER KERSTEN HOLGER il Buddhismo, ne ha adottato le dottrine ed è divenuto un Maestro spirituale. Gesù è sopravvissuto alla crocifi ssione. Dopo la “resurrezione” Gesù è ritornato in India, dove è morto in età avanzata. Gesù è stato sepolto a Srinagar, la capitale del Kashmir, dove ha continuato ad essere riverito come un uomo santo. La tomba di Gesù esiste tuttora in Kashmir.

Verdechiaro 20.00 euro Edizioni

Cope_Jesus 1 4-11-2009, 22:25 HOLGER KERSTEN La vita di Gesù in India

La Sua vita sconosciuta prima e dopo la crocifissione © 1981-2001 Holger Kersten

© 2009 Verdechiaro Edizioni srl Via Montecchio 23-2 42031 Baiso (RE) www.verdechiaro.com

ISBN 978-88-88285-97-9

Titolo originale “Jesus lived in India” Traduzione del testo Albino Fedeli Traduzione della prefazione all’edizione italiana e della postfazione Paola Giovetti Immagine di copertina Maurizio Cavallo Jhlos Stampato da GESP srl

Nessuna parte di questa pubblicazione, inclusa l’immagine di copertina, può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, ad eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni. Prefazione all’edizione italiana

Quando nel 1981 uscì per la prima volta Gesù visse in India, l’idea di un soggiorno di Gesù in India era talmente nuova e stra- na che fu accolta con grande stupore, con sorpresa, con rifiuto e anche con sarcasmo e scherno. A quel tempo un’idea del genere era addirittura impensabile per le culture occidentali cristiane. Nonostante questo rifiuto l’interesse per il Gesù storico crebbe però in modo relativamente rapido e questo libro fu tradotto in 27 lingue, con una vendita complessiva di 4 milioni di esemplari. Nel frattempo sono usciti più di 30 altri libri sul tema, oltre 10 docu- mentari (anche della BBC, del National Geographic e di Discovery Channel), una mezza dozzina di filmati e persino Hollywood si è interessata all’argomento. L’opinione pubblica è nel frattempo tanto cambiata che persino noti teologi cristiani ammettono nel corso di discussioni televisive: “Un soggiorno di Gesù in India è certamente pensabile!”. Naturalmente, dopo la pubblicazione del libro io non ho smesso di indagare, al contrario ho intensificato la ricerca del Gesù storico, ho dedicato a questa ricerca tutte le mie forze e sono arrivato a conoscenze sempre nuove, inattese e sorprendenti. Mi sono occupato intensamente della Sindone di Torino, dell’influsso del Buddhismo sull’insegnamento di Gesù e in tempi molto recenti del confronto eccitante e molto promettente con la divinità più importante tra il primo e il quarto secolo, il dio del sole Mitra. Due risultati particolarmente importanti della mia lunga ricerca su Gesù sono così fondamentali che il lettore dovrebbe sempre averli presenti mentre legge il libro:

5 La vita di Gesù in India

1. non esiste alcuna prova scientifica della reale esistenza di una figura storica di nome “Gesù”, e le testimonianze di fede del Nuovo Testamento descrivono (se si lasciano da parte le leggende non storiche della nascita e della presentazione al Tempio a dodici anni) soltanto una visita relativamente breve in Giudea, poco più di un anno. 2. dobbiamo capire che il presunto nome “Gesù” risale alla radice Yshua (JHWH), che ha origine dalla parola sanscrita Ishva, un abbreviazione del titolo Ishvara, che significa semplicemente “il Signore”. Soltanto se traduciamo questo titolo nelle lingue e nei dialetti dei popoli che nel corso della sua vita questo instancabile monaco-viandante ha visitato (dall’Asia Minore all’India, passando per l’Europa Occidentale, l’Etiopia e Roma), troviamo improvvisa- mente centinaia di nuove tracce che questo grande e venerato saggio ha lasciato in tutto il mondo allora conosciuto.

Holger Kersten Anno Domini 2009

6 PREFAZIONE

Fu nel 1973, e solo per una fortunata coincidenza, che venni in contatto per la prima volta con la teoria che Gesù aveva vissuto in India e alla fine era morto là. Scettico sull’argomento, ma non prevenuto, decisi di provare a ripercorrere l’intero corso della vita di Gesù. Incontrai subito il primo ostacolo: nessuna fonte contem- poranea era in grado di presentare un attento esame eseguito da studiosi che fosse sufficiente a descrivere in dettaglio la vita del Gesù storico. Chi era quell’uomo? Da dove veniva? Dove andava? Perchè sembrava così strano e misterioso ai suoi contemporanei? Cosa cercava veramente? Seguendo le mie ricerche, arrivai finalmente in India, dove venni in contatto con parecchie persone che avevano dedicato molto tempo e considerevoli sforzi alle indagini su tutto quanto riguarda l’argomento di Gesù in India. Da costoro ho ricevuto una grande quantità di informazioni sorprendenti, insieme con molti incoraggiamenti ed aiuti concreti. Dopo che questo libro venne pubblicato per la prima volta in Germania, nel 1983, ho ricevuto centinaia di lettere da lettori entusiasti che non solo mi hanno espresso la loro meraviglia e il loro piacere, ma mi hanno anche inviato un gran numero di validi commenti ed importanti suggerimenti. Sono inoltre particolarmente grato ai critici più attenti che si sono presi l’impegno di esaminare le mie affermazioni e così mi hanno messo in grado di correggere alcune disattenzioni presenti nella prima stesura. In tal modo, nel corso di dieci anni, il lavoro è stato migliorato ed è ora in grado di riportare con esattezza anche i più piccoli dettagli ed i minimi

7 La vita di Gesù in India riferimenti che riguardano le origini indiane degli insegnamenti di Gesù. Durante questi dieci anni, il libro è stato anche tradotto in almeno quindici lingue diverse (fra cui croato, polacco, coreano e cinese – ce ne sono state dieci edizioni soltanto in Brasile). La storia di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e della sua vita in India ha ottenuto meritatamente un’attenzione mondiale. Alcune delle mie asserzioni possono sembrare audaci, qualcuna perfino improbabile, ma ho cercato di fornire prove valide per tutte le affermazioni che ho presentato e di supportarle con riferimenti a fonti genuinamente degne di fede. Resta comunque uno spazio notevole per le future ricerche nelle varie singole discipline. Non è mai stata mia intenzione quella di modificare la visione di chiunque sul Cristianesimo, e ancora meno di lasciare qualche lettore triste- mente depresso e circondato dai frammenti di una fede infranta. È semplicemente un fatto della più grande importanza oggi ritrovare nuovamente una via verso le origini – verso la verità universale e centrale del messaggio di Cristo, che è stato distorto fino a renderlo quasi irriconoscibile dalle ambizioni profane di istituzioni più o meno secolari che si sono arrogate ogni autorità religiosa fin dai primi secoli della cosiddetta Era Cristiana. Perciò questo libro non è la proclamazione di una nuova fede: è soltanto un tentativo di aprire la strada a un futuro nuovo, con una solida base nelle vere autorità spirituali e religiose del passato.

Non pensare che io stia raccontando storie: Alzati e prova il contrario! Tutta la storia delle chiese È una mescolanza di errori e coercizioni Johann Wolfgang von Goethe

Holger Kersten Freiburg im Breisgau marzo 2001

8 INTRODUZIONE

L ’ascesa della scienza e della tecnologia nel corso degli ultimi tre secoli è stata accompagnata da una rapida secolarizzazione del nostro mondo (occidentale) e da una conseguente contemporanea recessione della fede religiosa. La glorificazione del razionalismo materialista e il tentativo di togliere ogni mistero da qualunque aspetto dell’esistenza umana ha inesorabilmente portato a un suc- cessivo notevole impoverimento della vita spirituale, religiosa ed emozionale, e infine anche a una perdita di fede nell’umanità. Fra le cause certamente non meno significative della spaccatura fra la religione e la scienza – o fra la fede e la conoscenza – è stato il comportamento delle Chiese ufficialmente costituite. Per paura di perdere la loro importanza nelle sfere secolari, esse hanno esercitato l’autorità dove non ne avevano assolutamente alcuna: nel campo della conoscenza empirica. Questo ha semplicemente fatto aumentare il bisogno di una maggiore differenziazione fra i poteri. Il risultato è stato una spaccatura fra il pensiero scientifico e la fede religiosa che si è presentato ad ogni persona pensante come un dilemma apparentemente irrisolvibile. I sentimenti spirituali si sono ristretti sempre più man mano che crescevano di numero le file di coloro che pubblicamente mettevano in dubbio la veridicità del messaggio di Cristo, e via via che la dottrina cristiana diventava sempre più materia di dibattito. Anche gli insegnamenti fondamentali fissati nella tradizione ecclesiastica – come la natura di Dio, di Cristo, e della rivelazione divina – sono divenuti soltanto materia di vivaci discussioni fra teologi e similmente fra laici.

9 La vita di Gesù in India

Quando gli insegnamenti più centrali e fondamentali di una Chiesa Cristiana non sono più accettati come verità assoluta, neppure dalla gerarchia e dagli esponenti di quella Chiesa stessa, la fine di quella Chiesa è innegabilmente vicina. Il messaggio dei banchi vuoti delle chiese è molto chiaro. Secondo un’indagine statistica eseguita in Germania nel 1992, solo un cittadino su quattro aderiva agli insegnamenti delle vecchie Chiese su Gesù, mentre non meno del 77 per cento di coloro cui era stato chiesto se ritenevano possibile essere Cristiani senza appartenere ad alcuna Chiesa risposero affer- mativamente. E in nessun settore della popolazione (come suddivisa nell’indagine) si registrò una maggioranza di quelli che pensavano che Gesù era stato mandato da Dio. Con la loro decisa insistenza che la dottrina tradizionale, fissata dogmaticamente, dovesse ave- re applicazione generale, le Chiese stesse avevano ulteriormente affrettato il rifiuto dell’ortodossia cristiana. Inoltre quello che oggi viene chiamato Cristianesimo è in ogni caso non tanto la Parola di Cristo ma qualcosa d’altro: è il Paolinesimo – perchè la dottrina che oggi noi conosciamo si basa in tutti i suoi punti principali non sul messaggio di Gesù, ma sull’insegnamento di Paolo, che è completamente diverso. Il moderno Cristianesimo si diffuse soltanto quando il Paolinesimo fu dichiarato religione di stato. Manfred Mezger cita il teologo protestante svizzero Emil Brun- ner su questo argomento:

Emil Brunner ha affermato che la Chiesa è un fraintendimento. Par- tendo da una chiamata, è stata costruita una dottrina; da una libera comunione, una corporazione legalizzata; da una libera associazione, una macchina gerarchizzata. Si può dire che è diventata, in tutti i suoi elementi e nella sua disposizione complessiva, l’esatto opposto di quello che si intendeva inizialmente.

Una persona appare in un tempo di oscurità, portando un mes- saggio pieno di speranza, un messaggio di amore e benevolenza – e cosa ne fa la gente di tutto questo? Lo fanno diventare docu- mentazione, discussioni, causa di contese e di commerci! Gesù si

10 Introduzione sarebbe augurato veramente una qualunque di quelle cose che più tardi apparirono in Suo nome? Sarà ben difficile. Durante la Sua vita in Palestina mostrò con grande evidenza il Suo disaccordo con la Chiesa ufficiale (ebraica), prendendo le distanze dalle autorità, dalle scritture e dalle leggi della Chiesa, dalla sua insistenza nel preservare sottigliezze verbali con interpretazioni conflittuali, dalla sua contorta gerarchia, dall’idolatria e dal culto che vi erano associati. Gesù cercò di creare un legame immediato fra Dio e l’umanità, non di istituire canali burocratici attraverso i quali occorresse pas- sare. Ma la voce di Gesù non è più arrivata fino a noi in modo così naturale e diretto. L’accesso ai Suoi insegnamenti si ottiene soltanto attraverso la mediazione di una gerarchia privilegiata.. Gesù è stato rimaneggiato, monopolizzato, codificato. Man mano che una fede vera e viva è scomparsa, è stata sostituita da credenze ristrette e rigidamente dogmatiche; l’amore per il prossimo e la tolleranza che Gesù aveva insegnato sono stati sostituiti da un fanatismo che si autogiustifica. Le contese su cosa possa esattamente definirsi come la “vera” fede hanno lasciato un’ampia scia d’infelicità, di litigi e di sangue lungo la storia delle Chiese Cristiane. Le controversie sono sorte fin dai giorni degli apostoli, sono durate fino ai nostri tempi e continuano tuttora a costituire l’ostacolo più problematico alla riconciliazione fra le varie suddivisioni cristiane. Il teologo protestante Heinz Zahrnt ha scritto:

Ho sofferto un trauma profondo nella mia carriera di teologo. Mi sono sentito estromesso, umiliato, insultato e additato alla vergogna – non dagli atei, da coloro che negano Dio, o da coloro che dubitano o deridono, che, sebbene senza Dio, sono spesso molto umani – ma dai dogmatici: da coloro che vivono degli insegnamenti presi alla lettera, pensando che questo dia loro la giusta visione di Dio. Sono stato ferito al cuore, nella sola cosa che mi teneva in vita malgrado il dispiacere: la mia fede in Dio...

Anche quando il sentimento religioso è parte del processo di crescita nella società moderna, è molto spesso relegato nella cate- goria dell’irrazionale e può così essere considerato come indimo-

11 La vita di Gesù in India strabile, cioè non reale. Solo il pensiero logico e l’azione sembrano determinare la realtà. Il trascendente diminuisce gradualmente di importanza perchè non viene mai sperimentato personalmente. E la ragione principale di questo fatto è un fondamentale frainten- dimento della natura di Dio. La Divinità non è lontana da noi a qualche distanza misticamente infinita, ma è dentro a ciascuno di noi. Dovrebbe ispirare il nostro comportamento nella vita in armonia con l’Infinito – per riconoscere la nostra breve esistenza sulla Terra come una parte dell’eterno Tutto. Per secoli, il pensiero occidentale ha erroneamente visto l’indi- viduo come un essere separato da Dio. Nell’“illuminato” ventesimo secolo, il moderno pensiero occidentale sembra più insicuro che mai sulle possibili risposte alle più antiche domande umane su Dio e il significato della vita. In tutto il mondo sono sorti nuovi centri spirituali, nel tentativo di dare qualche risposta a queste domande; domande alle quali i precetti rigidamente espressi delle Chiese ufficiali non possono rispondere. È in ascesa una specie di religione ecumenica mondiale del futuro. Si sta muovendo verso l’autorealizzazione, la ricerca dell’Illuminazione, una visione mistica e completa del contesto cosmico di ciascuna esistenza individuale, e tutto questo per mezzo della contemplazione, della conoscenza di sè e della meditazione. La spinta più forte per promuovere questa interiorizzazione della religione è sempre venuta, e continua a venire, dall’Oriente, in primo luogo dall’India. L’uomo occidentale deve ora riorientarsi nel senso più letterale della parola – voltarsi verso l’alba che sorge ad oriente. L’Oriente è l’origine e la fonte della nostra esperienza dell’interiorità. Noi non dobbiamo attenderci che la fede in Dio venga infine sradicata, senza temere un decadimento spirituale e morale. Invero possiamo sperare in una germinazione del seme dello Spirito, un fiorire della vita interiore. Nessuna graduale ma completa elimi- nazione della fede religiosa ci attende. Al contrario, è alla nostra portata un fiorire della coscienza spirituale, e questo non soltanto per pochi eletti, ma per tutti, in un ecumenismo onnipervadente di

12 Introduzione tutte le religioni del mondo. Inoltre, la meta non è nel mondo tran- seunte di apparenze superficiali, ma rappresenta un grande risveglio spirituale, un volgersi verso valori trascendenti, verso la vera via per “liberarsi dal male”.

Attraverso la Conoscenza (della Verità) Tutti i mali vengono spazzati via. Il vero Illuminato resta imperturbabile, Dissolvendo le nubi dell’illusione Come il sole che brilla in un cielo sereno. Buddha

13 Capitolo uno L A VITA SCONOSCIUTA DI GESù

La scoperta di Nicolai Notovitch Verso la fine del 1887, lo storico e studioso itinerante Nicolai Notovitch raggiunse lo stato Himalayano del Kashmir, nell’India settentrionale, durante uno dei suoi molti viaggi in Oriente. Pro- gettò di proseguire il suo viaggio con una spedizione, partendo da Srinagar, capitale del Kashmir, fino alla regione del Ladakh, sull’Himalaya. Aveva con sè risorse sufficienti per dotarsi di un adeguato equipaggiamento e per assoldare un interprete e dieci portatori che accompagnassero lui e il suo aiutante. Dopo un viaggio piuttosto avventuroso e dopo aver superato molte prove e difficoltà, la carovana raggiunse finalmente il passo Zoji-la, sul confine naturale fra la “Valle Felice” del Kashmir e l’arido pae- saggio “lunare” del Ladakh. Lo Zoji-la, transitabile solo alcuni mesi all’anno, era a quel tempo l’unica via di accesso dal Kashmir a quella terra strana e remota1 Notovitch scrisse sul suo diario: “Che grande contrasto sentii, lasciando la dolce e aperta campagna del Kashmir e la sua gente di bell’aspetto per inoltrarmi nelle nude e severe montagne del Ladakh, fra i suoi abitanti robusti e privi di barba!”. Tuttavia i forti abitanti del Ladakh si dimostrarono presto molto amichevoli ed “estremamente aperti”. Notovitch arrivò infine ad un monastero Buddhista dove, come europeo, gli fu riservata un’accoglienza molto più cordiale di quella che si sarebbe potuto aspettare qualunque asiatico mussulmano. Egli

14 1. La vita sconosciuta di Gesù chiese ad un lama il motivo di questa accoglienza così favorevole; ne seguì la seguente conversazione: “I mussulmani hanno poco in comune con la nostra religione. Invero, non molto tempo fa condussero una campagna che ebbe fin troppo successo per convertire forzatamente all’Islam un certo numero di noi Buddhisti. Ci ha causato enormi difficoltà ricon- vertire questi Mussulmani ex-Buddhisti di nuovo alla via del vero Dio. Ora, gli Europei sono completamente diversi. Non solo essi professano i principi essenziali del monoteismo, ma hanno quasi altrettanto titolo ad essere considerati seguaci del Buddha quanto gli stessi lama del Tibet. L’unica differenza fra i Cristiani e noi è che, dopo avere adottato le grandi dottrine del Buddha, i Cristiani se ne sono separati completamente creando per sè stessi un diverso Dalai Lama. Solo il nostro Dalai Lama ha il dono divino di vedere la maestà del Buddha e il potere di agire come intermediario fra la Terra e il Cielo”. “Chi è il Dalai Lama cristiano di cui stai parlando?” chiese Notovitch. “Abbiamo un Figlio di Dio, al quale indirizziamo le nostre ferventi preghiere e al quale, in tempo di bisogno, chiediamo di intercedere per noi con il nostro Dio unico e indivisibile...” “Non è di lui che sto parlando, Sahib! Anche noi rispettiamo Colui che riconoscete come Figlio dell’unico Dio, soltanto che noi vediamo in lui, piuttosto che il Figlio, un Essere perfetto fra tutti gli eletti. Lo spirito di Buddha si è davvero incarnato nella sacra persona di Issa che, senza aiuto nè di fuoco nè di spada, ha diffu- so la conoscenza nel mondo della nostra grande e vera religione. Parlo invece del vostro Dalai Lama terreno, colui al quale avete dato il titolo di “Padre della Chiesa”. Questo è un grande errore; possano essere perdonate le moltitudini che sono state sviate a causa di questo fatto”. E così dicendo il lama si affrettò a far girare la sua ruota delle preghiere. Avendo capito che il lama alludeva al Papa, Notovitch fece ulteriori domande. “Tu mi hai detto che un figlio di Buddha, Issa, ha diffuso la vostra religione su tutta la Terra. Chi è allora?”

15 La vita di Gesù in India

A questa domanda il lama spalancò gli occhi e guardò il suo visitatore con meraviglia. Dopo aver pronunciato alcune parole che l’interprete non riuscì a comprendere, egli spiegò: “Issa è un grande profeta, uno dei primi dopo i ventidue Bud- dha. Egli è più grande di qualunque Dalai Lama, poichè costituisce parte dell’essenza spirituale di nostro Signore. È lui che vi ha illuminato, che ha riportato verso la religione le anime erranti e che ha insegnato ad ogni essere umano a distinguere fra il bene e il male. Il suo nome e le sue azioni sono riportate nei nostri libri sacri”. A questo punto Notovitch fu molto colpito dalle parole del lama, perchè il profeta Issa, il suo insegnamento, il suo martirio e il riferimento a un Dalai Lama cristiano ricordavano sempre più la figura di Gesù Cristo. Egli ordinò al suo interprete di non perdere una sola parola del discorso del lama. “Dove sono queste scritture che si possono ancora trovare? E da chi furono scritte in origine?” chiese infine al monaco. “Le scritture principali, scritte durante i secoli in India e in Nepal secondo le varie fonti storiche, si trovano a Lhasa e sono diverse migliaia. Ce ne sono copie in alcune delle principali fon- dazioni monastiche, eseguite dai lama durante i loro soggiorni a Lhasa in tempi diversi e successivamente portate ai monasteri di provenienza in ricordo del pellegrinaggio alla casa del loro grande maestro, il nostro Dalai Lama”. “Ma tu stesso, non hai qualche copia che parla del profeta Issa?” “Io non ne ho. Il nostro non è un monastero importante, e dalla sua fondazione la successione dei nostri lama ha avuto in custodia soltanto qualche centinaio di manoscritti. I grandi monasteri ne hanno migliaia. Ma questi sono oggetti sacri e non si possono vedere ovunque”. Notovitch decise di tentare di osservare questi scritti successi- vamente nel corso dei suoi viaggi.

16 1. La vita sconosciuta di Gesù

Più tardi egli arrivò a Leh, la capitale del Ladakh, da cui prose- guì per Hemis (che in Tibetano si chiama Byang-cchub-bsam-gling o “Isola di contemplazione per il perfetto”), “uno dei più notevoli monasteri della regione”. Là egli fu testimone di uno dei festival religiosi tradizionali che si tengono diverse volte all’anno, e come principale ospite d’onore del lama ebbe l’opportunità di apprendere molto sui costumi e sulla vita quotidiana dei monaci lamaisti. Riuscì infine a portare la conversazione sul suo interesse principale ed apprese con grande piacere che nel monastero c’erano davvero scritture che trattavano del misterioso profeta Issa, la cui vita sembrava avere tali sorpren- denti somiglianze con la storia di Gesù il Nazareno. Ma allora l’ospite fu costretto a rinviare il seguito delle sue ricerche, semplicemente perchè per trovare quei libri fra le molte migliaia che c’erano occorreva un tempo considerevole. Ritornato a Leh, Notovitch mandò al capo del monastero di Hemis alcuni doni di pregio nella speranza di poter tornare là assai presto e così forse dare finalmente un’occhiata ai preziosi mano- scritti. Il caso volle che, poco tempo dopo, mentre stava cavalcando presso Hemis, cadde da cavallo così malamente che si ruppe una gamba e fu costretto ad affidarsi alle cure dei monaci. Mentre era costretto a letto gli furono finalmente portati, dietro sua accorata richiesta, due grossi pacchi di fogli legati insieme e ingialliti dal tempo. Lo stesso reverendo abate ebbe cura di leggere a voce alta lo straordinario documento, che era scritto principalmente in versi singoli che non si susseguivano uno all’altro. Notovitch prese nota accuratamente delle traduzioni dell’interprete nel suo diario di viaggio. Più tardi, qualche tempo dopo la fine della sua spedizione, sistemò i versi in ordine cronologico e riuscì a mettere insieme i vari testi separati in modo da avere una narrazione continua2. Il suo contenuto può essere così riassunto brevemente (usando come base la traduzione francese). Una sezione introduttiva precede una breve descrizione del- l’antica storia del popolo di Israele e della vita di Mosè. Segue una descrizione di come lo Spirito eterno decide di prendere

17 La vita di Gesù in India forma umana “in modo da poter dimostrare con l’esempio come si possa raggiungere la purezza morale e, liberando l’anima dalla mortalità, raggiungere il grado di perfezione richiesto per entrare nel regno dei Cieli, che è immutabile e fonte di felicità eterna”. E così è nato un divino bambino nella lontana terra di Israele, al quale è stato dato il nome di Issa3. In un tempo imprecisato durante il suo quattordicesimo anno di vita, il ragazzo arriva nella regione del Sind (il fiume Indo) in compagnia di alcuni mercanti, “e si stabilì fra gli Ariani, in una terra benedetta da Dio, con l’intenzione di perfezionare le sue conoscenze ed apprendere le dottrine del grande Buddha”. Il giovane Issa viaggia attraverso la terra dei cinque fiumi (il Punjab)4, resta per un breve tempo con i “Giaina erranti”5 e poi prosegue fino a Jagganath, “dove i bianchi sacerdoti di Brahma lo accolsero con onore”. A Jagganath Issa/Gesù impara a leggere e comprendere i Veda. Ma poichè dà insegnamenti ai Sudra delle caste più basse, provoca l’irritazione dei Brahmini, che si vedono minacciati nel loro potere e nei loro privilegi. Dopo aver trascorso sei anni a Jagganath, Rajagriha, Benares ed altre città sante, è costretto a fuggire dai Brahmini sempre più irritati perchè continuava a insegnare che non è per volere di Dio che il valore degli esseri umani doveva essere giu- dicato dalla loro casta. C’è una somiglianza straordinaria fra le descrizioni dei testi trovati da Notovitch e quelle dei Vangeli, c’è una correlazione che può fare maggiormente luce sulla vera personalità di Gesù, specialmente su quello che ha detto. L’Issa di Notovitch si oppone agli abusi del sistema delle caste, che priva le caste più basse dei diritti umani più basilari, con queste parole: “Dio nostro Padre non fa differenze fra alcuno dei suoi figli, li ama tutti in eguale misura”. E più avanti nei suoi viaggi si oppone a un’aderenza rigida e inumana alla lettera della legge, dichiarando che “La legge è stata fatta per l’Uomo, per mostrargli la via”. Egli consola i deboli: “Il Giudice eterno, lo Spirito eterno, che forma l’unica e indivisibile Anima del Mondo... sarà severo verso coloro che arrogano a sè stessi i Suoi diritti”. Quando i sacerdoti sfidano

18 1. La vita sconosciuta di Gesù

Issa a compiere miracoli, per provare l’onnipotenza del suo Dio, egli ribatte: “I miracoli del nostro Dio sono stati compiuti fin dal primo giorno della creazione dell’Universo; essi avvengono ogni giorno e in ogni istante. Coloro che non riescono a percepirli sono privi di uno dei più bei doni della vita”. Sfidando l’autorità dei sacerdoti, rende la sua posizione molto chiara: “Fintanto che la gente non aveva sacerdoti, tutti erano governati dalla legge di natura e conservavano l’innocenza delle loro anime, che erano alla presenza di Dio, e per comunicare con il Padre non avevano bisogno della mediazione di un idolo o di un animale, nè del fuoco, come viene praticato qui. Voi dite che si deve adorare il sole, così come gli spiriti del bene e gli spiriti del male. Bene, io vi dico che la vostra dottrina è completamente falsa, perchè il sole non ha potere di per sè stesso, ma solo attraverso la volontà del Creatore invisibile che gli ha dato origine e che lo ha voluto come stella per illuminare il giorno e per dare calore al lavoro e alla semina dell’Uomo”.

Il testo di Notovitch continua col descrivere come Issa prosegue il suo viaggio fra le montagne Himalayane, fino al Nepal, dove rimane sei anni e si dedica allo studio delle scritture Buddhiste. Le dottrine che insegna ampiamente sono semplici e chiare, e sono mirate particolarmente a risollevare gli oppressi e i deboli, ai quali apre gli occhi nei riguardi della falsità dei sacerdoti. Infine egli si sposta verso Ovest, attraversando vari stati come predicatore itinerante, sempre preceduto da una crescente reputazione. Egli prende posizione anche verso i sacerdoti della Persia, che una notte lo scacciano nella speranza che cada subito preda degli animali feroci. Ma la Provvidenza consente al santo Issa di raggiungere sano e salvo la Palestina, dove i saggi gli chiedono: “Chi sei tu, e da quale terra vieni? Non abbiamo mai sentito parlare di te e non conosciamo neppure il tuo nome”. “Io sono un Israelita” risponde Issa “e nel giorno della mia nascita ho visto le mura di Gerusalemme e ho udito il pianto dei miei fratelli in schiavitù e i lamenti delle mie sorelle condannate

19 La vita di Gesù in India a vivere fra i pagani. E la mia anima fu molto addolorata di ap- prendere che i miei fratelli avevano dimenticato il vero Dio. Da bambino ho lasciato la casa dei miei genitori per vivere presso altri popoli. Ma dopo avere udito delle grandi pene che soffrivano i miei fratelli, sono ritornato nella terra dei miei genitori per riportare i miei fratelli alla fede degli antenati, una fede che ci raccomanda di essere pazienti sulla Terra per poter raggiungere una felicità più grande nell’Aldilà”. È notevole constatare come quest’ultimo testo si accorda in tutti i suoi punti principali con le descrizioni contenute nei Vangeli. I due manoscritti da cui il lama del monastero di Hemis aveva tratto i brani letti a Notovitch, scegliendo tutti i passaggi che par- lavano di Gesù, erano raccolte di vari scritti tibetani. Gli originali erano stati scritti in Pali, un’antica lingua indiana6, durante i primi due secoli dopo Cristo, e tenuti presso Lhasa, in un monastero che era direttamente collegato al Potala, il Palazzo del Dalai Lama.

Tornato in Europa, Notovitch tentò di mettersi in contatto con parecchi dignitari di alto rango della Chiesa per raccontare loro della sua sorprendente scoperta. Il Metropolita di Kiev gli rac- comandò nei termini più decisi di non rendere pubblico ciò che aveva scoperto, rifiutandosi di fornire alcuna spiegazione A Parigi, il Cardinale Rotelli gli spiegò che la pubblicazione dei testi avrebbe soltanto fornito argomenti a coloro che odiavano, disprezzavano o non comprendevano gli insegnamenti del Vangelo, e sarebbe stata prematura a quel tempo. In Vaticano, uno stretto collaboratore del Papa la mise in questo modo: “Che beneficio ne avremo se lo pubblichiamo? Nessuno gli darà un grande significato, e vi farete un mucchio di nemici. Ma voi siete ancora molto giovane. Se è una questione di denaro, vi posso far avere una somma per i vostri scritti, per compensarvi del lavoro svolto e per il vostro impegno di tempo...”. Notovitch rifiutò l’offerta. Soltanto il critico, storico delle religioni e celebre orientalista Ernest Renan mostrò un vivo interesse per quelle note. Tuttavia fu subito chiaro a Notovitch che Renan era interessato esclusivamente

20 1. La vita sconosciuta di Gesù a usare il materiale per i suoi scopi personali, come membro del- l’Académie Francaise; così la cosa non ebbe seguito. Per lungo tempo egli tentò di far pubblicare il manoscritto, ma non riuscì a smuovere alcunché. Il potere e l’influenza delle Chiese Cristiane sono così grandi che qualunque dubbio sull’autenticità degli insegnamenti canonici è semplicemente non ammesso. I critici e i dubbiosi sono condannati come eretici senza Dio, messi all’ostracismo e ridotti al silenzio. A quel tempo lo stesso Notovitch non era in posizione tale da poter raccogliere abbastanza supporto scientifico per assicurare alla sua documentazione una seria considerazione da parte degli studiosi.

Chi era Notovitch? Nicolai Alexandrovic Notovitch7 nacque il 25 agosto 1858 a Kerch, in Crimea, come secondo figlio di un rabbino. Si sa poco della sua infanzia, ma più tardi, da giovinetto, ebbe evidentemente un’istruzione scolastica sufficiente per andare all’Università di San Pietroburgo, dove la sua materia principale era la storia. Ma prima, a seguito dell’introduzione in Russia del servizio militare obbligatorio nell’anno 1874, Nicolai Notovitch prestò il servizio militare all’età di circa diciassette anni e poi combattè nella cam- pagna di Serbia contro i Turchi nel 1876. Subito dopo prese parte alla guerra russo-turca (1877-78). Sembra che Notovitch sia stato militare anche durante il suo periodo da studente, perchè in un breve articolo sul Daily News del 23 giugno 1894 si legge che era stato un “ufficiale con i Cosacchi”. Durante gli anni 1880 scrisse e rappresentò una commedia, Mariage idéal, che ebbe un qualche piccolo successo di pubbli- co. Più avanti ne scrisse un’altra, intitolata Gallia, per la quale compose anche la musica. Gli studi storici di Notovitch avevano chiaramente generato in lui un vivace entusiasmo per le idee pan-slave. Mentre suo fratello Osip, che aveva conseguito un dottorato come giurista a San Pie- troburgo, si rivolgeva a studi filosofici e letterari, Nicolai era più

21 La vita di Gesù in India

Nicolai Notovitch interessato all’influenza della politica russa sugli eventi mondiali. Tuttavia entrambi i fratelli, dopo gli studi, lavorarono come gior- nalisti. Osip Notovitch si assicurò un posto come redattore della parte artistica in un quotidiano di San Pietroburgo. Successivamente (nel 1883), anche Nicolai ebbe occasione di lavorare per questo giornale come corrispondente per l’Oriente. I fratelli Notovitch furono fra coloro che si sentirono condizionati dalla politica for- temente antisemita dello zar Alessandro III, e ciò spinse Osip ad aderire alla Chiesa Ortodossa russa quando era ancora in giovane età. Nicolai deve avere fatto lo stesso passo, poichè egli ammise pubblicamente la sua adesione alla religione Russo-Ortodossa sul giornale francese La Paix. Nell’anno 1887 apparve la prima pubblicazione di Notovitch, una traduzione in francese dell’opera di un generale russo, che

22 1. La vita sconosciuta di Gesù documentava il suo appoggio all’idea di un’alleanza franco-russa8. Anche il suo secondo lavoro, pubblicato in francese nel 1890, trattava della Question de l’Alliance Franco-Russe. Negli anni 1883-1887, come corrispondente del giornale Novaya Vremiya, Notovitch intraprese diversi viaggi attraverso i Balcani, il Caucaso, l’Asia Centrale e la Persia. Questo lo portò ad incontrare Aloisio Rotelli (1833-91), ambasciatore del Papa a Istanbul dal gennaio 1883 al maggio 1887 e che più avanti propose Notovitch come cardinale a Parigi. Nel 1887 Notovitch intraprese il suo importante viaggio in India. Il periodo della sua permanenza in Kashmir e Ladakh si può fissare circa fra il 14 ottobre e il 26 novembre. Dopo di allora le sue attività si svolsero soprattutto nella sfera letteraria. Visse per un tempo considerevole a Parigi, dove dal 1889 in poi pubblicò diversi articoli di stampa – per esempio su Le Figaro, Le Journal e La Science Francaise. Poichè Notovitch si aspettava con certezza che la storia Buddhista della vita di Gesù sarebbe stata bloccata dalla censura nella sua terra natale, a causa della natura restrittiva della politica ufficiale colà vigente sulle questioni religiose, consegnò il suo manoscritto a un editore di Parigi. Tuttavia, i primi estratti in russo del suo libro, tradotti dal tedesco, comparvero nel 1895 sul giornale Vera i Razum (n. 22, pagg. 575-614), dopo aver superato favorevolmente la censura. Poco tempo dopo la comparsa della sua opera La Vie Inconnue de Jésus Christ, verso la fine del 1895, Notovitch fu arrestato mentre si trovava in visita a San Pietroburgo, e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo. Accusato di attività letteraria “pericolosa per lo Stato e la società”, fu esiliato senza processo in Siberia dal capo di un dipartimento ministeriale. Il suo esilio terminò nel 1897, ma anche mentre era in Siberia Notovitch scrisse diversi articoli sulla sua “straordinaria avventura” che furono pubblicati in forma anonima sul giornale La Science Francaise9. E nel suo romanzo Une Francaise en Sibérie il suo tema principale fu ancora una volta sulle memorie di un russo rivoluzionario.

23 La vita di Gesù in India

Al ritorno da un lungo viaggio in Egitto verso la metà del 1898, Notovitch fondò una casa editrice a Parigi per pubblicare il periodico quindicinale La Russie, che trattava soprattutto di questioni politiche ed economiche. Su quel giornale continuò a pubblicare i suoi saggi e rapporti. Il 2 giugno 1899 Notovitch fu accolto nella famosa Société d’Histoire Diplomatique, i cui membri erano diplomatici d’alto rango e storici di fama, e comprendevano componenti della famiglia Rotschild. Dal 1903 al 1906 risulta che Notovitch abbia soggior- nato in un appartamento di Londra, almeno in modo intermittente. Poi probabilmente ritornò in Russia. A partire dal 1906 risulta un contratto, con ampio mandato, fra lui e lo Scià di Persia per la descrizione dettagliata di strade ed oleodotti in Iran10. Nel 1910 comparve un’altra edizione russa della storia buddhista della vita di Gesù, La vita del Santo Issa. Fino all’anno 1916, Nicolai Alexan- drovitch Notovitch figura in un catalogo russo di giornalismo come editore e pubblicista di vari periodici a San Pietroburgo11. Dopo di allora, non si trova più in nessuna fonte neppure una traccia di Notovitch. Forse ha mantenuto un basso profilo, per ripararsi dai numerosi attacchi messi in opera contro di lui dai suoi oppositori. Si può anche pensare che, come attivista e agitatore, sia stato una volta per tutte tolto dalla circolazione.

Le critiche e i critici A seguito della comparsa delle prime edizioni del libro di No- tovitch nel 1894, venne pubblicato un articolo sul giornale inglese The Nineteenth Century nell’ottobre dello stesso anno ad opera di un noto esperto tedesco sull’India, Max Müller: in esso egli cerca di presentare la scoperta di Notovitch come una frode. Nel suo articolo il Professor Müller di Oxford – che non era mai stato in India di persona – pubblicò una lettera in data 29 giugno 1894, in cui un ufficiale coloniale inglese, contattato da Muller, conferma che la presenza di un certo Notovitch in Ladakh “non era documentata”. I motivi di Müller si possono comprendere meglio da una lettera

24 1. La vita sconosciuta di Gesù che scrisse ad un amico nel 1856: “L’India è molto più matura per il Cristianesimo di quanto non fossero Roma o la Grecia ai tempi di San Paolo”12. Aggiunge che non gli sarebbe piaciuto andare in India di persona come missionario perchè questo lo avrebbe reso dipendente dalle autorità, e così prosegue:

Mi piacerebbe viverci dieci anni in grande tranquillità ed impararne la lingua, provare a farmi degli amici, e poi vedere se posso in qualche modo prender parte a qualche azione che possa aiutare a sradicare l’antico male della casta sacerdotale indiana e creare uno spazio per una semplice educazione cristiana.

Questo mostra con sufficiente chiarezza che cosa Müller aveva veramente in mente e allo stesso tempo mette in evidenza i motivi degli oppositori che attaccavano ripetutamente Notovitch. Poco tempo dopo la pubblicazione di questo articolo, nel maggio- giugno 1895, J. Archibald Douglas, insegnante del Collegio gover- nativo di Agra, intraprese un viaggio in Ladakh, da dove tentò di presentare Notovitch come autore di una frode. Il suo rapporto uscì nell’aprile 1896 nella Orientalischen Bibliografie13 sotto il vistoso titolo di “Documentazione che prova l’inganno di Notovitch!”. Inizialmente Douglas non aveva trovato alcuna traccia di No- tovitch in Ladakh, ma fu presto costretto a riconoscere di aver chiesto e ottenuto l’approvazione del “dottore”, Karl Marx. Infine egli afferma di avere fatto visita al monastero di Hemis. Nel suo ultimo rapporto, Douglas affermò che l’abate di Hemis non aveva mai incontrato Notovitch. Il numero di aprile 1896 di The Nineteenth Century (alle pagine 667-78) contiene un’affermazione di Douglas in cui si dice che il lama, vedendo il testo di Notovitch, spontane- amente esclamò “Sun, sun, sun, manna mi dug!”, che Douglas e il suo interprete hanno tradotto con “Menzogne, menzogne, niente altro che menzogne”. Il fatto notevole è che le parole indicate non hanno per niente senso in tibetano, nè in qualunque dialetto tibetano, nè, per quell’argomento, in nessun’altra lingua asiatica. In qualunque modo Douglas abbia dedotto le sue affermazioni, fu in ogni modo spinto a pubblicarle su documenti ufficiali con

25 La vita di Gesù in India la sua firma. In un commento all’articolo di Douglas, il Professor Max Müller aggiunge in modo vergognoso le scuse ai monaci di Hemis se mai prima fosse stata presa in considerazione l’even- tualità che Notovitch potesse essere stato fuorviato dai monaci. Egli parla di “Annientamento del Signor Notovitch” da parte di Archibald Douglas. Così abbiamo due testimonianze: quella del giornalista russo Notovitch e quella del professore inglese Douglas. Il fatto che Douglas abbia affermato di non aver mai visto le scritture scoperte da Notovitch non prova certamente che quelle scritture non siano mai esistite. In effetti, ci sono stati altri testimoni, sia prima che dopo No- tovitch, che hanno visto con i propri occhi le contestate scritture di Hemis. Quarant’anni prima della visita di Notovitch alla lamaseria di Hemis, una certa signora Harvey descrisse i testi tibetani in cui è citato Gesù nel suo libro The Adventures of a Lady in Tartary, Thibet, China and Kashmir, che fu pubblicato nel 1853. Dopo Notovitch ci sono stati parecchi testimoni oculari che videro gli importanti documenti prima che, alla fine, scomparisse- ro. Uno di essi fu il monaco indiano , il cui vero nome era Kaliprasad Chandra (nato nel 1866), che studiò al Seminario Orientale di Calcutta e che più tardi visitò l’Inghilter- ra, dove incontrò Max Müller. Nel 1922 Abhedananda si recò in pellegrinaggio nel Tibet e dalle note del diario che fece durante il viaggio scrisse successivamente un libro intitolato Kashmir and Tibet. Lungo la via per il Tibet egli visitò il monastero di Hemis dove, poichè aveva sentito parlare della scoperta di Notovitch, chiese ai monaci del monastero se la storia del russo era vera. “Essi mi dissero che il rapporto era completamente veritiero” (pag. 230). L’abate condusse poi il visitatore attraverso i locali del monastero fino a quando arrivò presso uno scaffale, da cui estrasse un manoscritto e glielo mostrò. Si diceva che quel manoscritto era una copia dell’originale che si trovava nel monastero di Marbour, presso Lhasa: così gli spiegò il lama. Dietro richiesta di Abhe-

26 1. La vita sconosciuta di Gesù dananda, l’abate lo aiutò a fare una traduzione del testo. Fino a quel momento Abhedananda era stato scettico sulle pubblicazioni di Notovitch, ma quando vide il manoscritto di persona, non ebbe più dubbi che quella controversa scoperta fosse autentica. Non molto tempo dopo Abhedananda, nel 1925, l’archeologo e pittore russo Nicolas Roerich, che passò una gran parte della sua vita in India, fece ulteriori riferimenti sulla stampa a scritture tibetane in cui è riportato che Gesù era ritornato dall’Himalaya alla Palestina all’età di ventinove anni14. Nel proseguimento delle sue indagini, Roerich rivolse molte domande sui documenti alla gente del Ladakh, e apprese “in varie forme la leggenda di Issa. Gli abitanti locali non sapevano niente di alcun libro pubblicato (cioè di Notovitch), ma conoscevano la leggenda e parlavano di Issa con devota riverenza”15. Successivamente, Lady Henrietta Merrick confermò l’esistenza delle scritture nel suo libro In the World’s Attick, pubblicato nel 1931. Ella scrive: “A Leh si trova la leggenda di Cristo, che è chiamato Issa, e si dice che il monastero di Hemis custodisca preziosi documenti, vecchi di millecinquecento anni, che parlano dei giorni in cui passò da Leh, dove venne ricevuto con gioia e si fermò a pregare”16. Nel 1939 una signora svizzera che si chiamava Madame Elisabeth Caspari visitò il monastero di Hemis durante un pellegrinaggio al Monte Kailash. Apparteneva ad un piccolo gruppo della compagnia della signora Clarence Gasque, presidente di una organizzazione chiamata Associazione Mondiale della Fede. Il bibliotecario del mo- nastero le mostrò i vecchi manoscritti e disse “Questi libri parlano della permanenza qui del vostro Gesù”. E Madame Caspari tenne per breve tempo nelle sue mani uno dei tre libri che le venivano mostrati. Nessuna delle signore presenti aveva mai sentito parlare delle scoperte di Nicolai Notovitch, e così non prestarono troppa attenzione ai manoscritti. I testi sono stati evidentemente portati via dal monastero qual- che tempo dopo.

27 La vita di Gesù in India

Il viaggio di Notovitch in Ladakh Immediatamente dopo la pubblicazione del libro di Notovitch, si levarono voci di critica attraverso tutta l’Europa, nate da persone che pensavano fosse loro dovere mettere al silenzio Notovitch, chiedendosi perfino se il suo viaggio in Ladakh avesse mai avuto luogo. Ma quel viaggio è ben comprovato non solo dal racconto dello stesso Notovitch, ma da un certo numero di autorità indi- pendenti: ci sono altre fonti che rendono perfettamente possibile ricostruire il suo viaggio e ottenere un resoconto obiettivo degli avvenimenti. Nell’autunno del 1887, Notovitch partì per l’India come corri- spondente del giornale russo Novaya Vremiya, e visitò il Kashmir e il Ladakh nel periodo dal 14 ottobre alla fine di novembre. Nel giornale di Notovitch La Russie datato 1 marzo 1900 c’è una breve descrizione del suo itinerario: “Visitai il Beluchistan, l’Afghanistan e il Nord dell’India, come pure le province che si trovano fra l’Indo e il confine dell’Afghanistan”17. I dati geografici e cronologici sono confermati dal Frankfurter Zeitung, che contiene la precisazione che Notovitch aveva soggiornato nella città di Simla, situata ad un’altezza di 2180 metri al bordo delle montagne Himalayane e che poi era partito da lì verso le regioni al nord-ovest dell’India, recandosi per prima cosa a Quetta (oggi in Pakistan, presso il confine con l’Afghanistan). Nel viaggio di ritorno dall’Afghanistan all’India, Notovitch seguì il corso dell’Indo verso monte fino a Rawalpindi. Da qui si volse verso sud-est e viaggiò fino ad Amritsar, nel Punjab, dove visitò il Tempio d’Oro, il santuario principale dei Sikh. Partito da Amritsar, andò a visitare la tomba del Maharajah Ranjit Singh (1780-1839) a Lahore e da qui il 14 ottobre 1887 prese il treno per ritornare a Rawalpindi. Là egli raccolse il bagaglio con l’aiuto del suo servitore che parlava francese (che aveva chiamato dalla colonia francese di Pondicherry nell’India meridionale), e partì per il Kashmir, ai piedi delle montagne Himalayane, in un carro trainato da buoi. La sera del 19 ottobre raggiunsero Srinagar, la capitale del Kashmir.

28 1. La vita sconosciuta di Gesù

Notovitch così descrisse le sue prime impressioni: “Appena si arriva in città, si vede un’intera fila di battelli e case galleggian- ti in cui vivono insieme intere famiglie”. Si fermò al ben noto Nedou’s Hotel, aperto tutto l’anno (che esiste ancora oggi, e dal quale l’esploratore svedese Sven Hedin partì per la sua spedizione transhimalayana nei primi anni del 1900). Durante la sua sosta nella città, Notovitch fece conoscenza con un francese di nome Peychaud, che era il curatore dei vigneti del Maharajah Pratap Singh. Peychaud prestò a Notovitch un cane che aveva accompa- gnato una spedizione sulle montagne del Pamir due mesi e mezzo prima. Una settimana più tardi, il 27 ottobre, Notovitch partì da Srinagar per continuare il suo viaggio verso il Ladakh, e proprio due giorni dopo incontrò Sir Francis Younghousband (1863-1942, più tardi nominato Alto Commissario del Kashmir) a Mateyan, dove gli era capitato di fare una sosta durante il suo avventuroso viaggio via terra da Pechino a Rawalpindi. Durante il tratto successivo del suo viaggio per il Ladakh, No- tovitch raccolse parecchie pietre mani su cui era incisa la formula sacra dei tibetani Om mani padme hum, che più tardi lasciò per testamento al museo del Palazzo del Trocadero a Parigi18. Anco- ra oggi c’è un manufatto proveniente dal Kashmir al Musée de l’Homme registrato con il suo nome. Come riconoscenza per la donazione della sua raccolta, più tardi venne nominato membro della Légion d’Honneur francese19. Notovitch passò la notte del 3-4 novembre nel monastero di Hemis, dove si svegliò con un forte mal di denti. Egli inviò un messaggio al governatore locale, che rispose consigliandolo di farsi visitare dal Dott. Marx del Ladane Charitable Dispensary. Karl Rudolph Marx (Marx-Weiz), un missionario appartenente ai Moravian Brothers20, aveva studiato medicina ad Edimburgo e dal dicembre 1866 era il direttore dell’ospedale di Leh. I diari del Dott. Marx confermano che egli aveva davvero curato Notovitch. Notovitch, che aveva progettato di ritornare in Kashmir, cadde da cavallo in modo così grave che si ruppe la gamba destra al di sotto del ginocchio. L’incidente gli capitò presso il monastero di

29 La vita di Gesù in India

“Piatek” (presumibilmente Spitok Gompa, dPe-thub in tibetano). L’articolo sul Frankfurter Zeitung più sopra ricordato conferma questa circostanza. Allora Notovitch si fece trasportare indietro al monastero di Hemis, dove gli furono letti i preziosi testi. La maggior parte delle informazioni che riguardano la vita e l’opera di Nicolai Notovitch provengono dal lavoro di ricerca del Dr. Norbert Klatt, pubblicato su Orientierungen n. 13/1986 dalla Evangelische Zentralstelle fur Weltanschauungensfragen.

Due pagine del diario del Dott. Marx, su cui è scritto che Notovitch fu curato da lui per un mal di denti

30 1. La vita sconosciuta di Gesù

La “fine di una leggenda”? D opo che nel 1982 fu pubblicato per la prima volta in tedesco Gesù visse in India, nel giro di appena tre anni apparve sul mercato librario una contro-pubblicazione. Era da aspettarsi che le Chiese ufficiali non avrebbero lasciato passare sotto silenzio un fatto del genere. È infatti evidente che se simili tesi fossero confermate, le Chiese cristiane sarebbero costrette a cambiar modo di pensare in molti campi, dovrebbero modificare le loro dottrine o addirittura potrebbero sciogliersi. Dio ce ne guardi! Del resto, come c’era da aspettarsi, in alcune pubblicazioni specializzate i custodi ufficiali delle sacre dottrine avevano già preso brevemente posizione, espri- mendo giudizi distruttivi. I difensori dell’unica verità che rende beati, i seguaci della Santa Inquisizione, erano però così occupati nella loro lotta contro le sette che per occuparsi di questa nuova irritante pubblicazione dovettero mettere in campo uno specialista in indologia. Dopo un lavoro di tre anni, Günter Grönbold, una persona che lavora nei servizi statali della Baviera, fu in grado di annunciare la Fine di una leggenda in 130 pagine cartonate e scritte con caratteri grandi perché anche gli anziani potessero leggerle senza problemi. Grönbold si ribella con tutti i mezzi a sua disposizione contro i perfidi negatori che non hanno in mente altro che la distruzione dell’abituale concezione cattolica del mondo, da lui assimilata già col latte materno e che soltanto per questo deve per forza essere sacra e vera. Naturalmente egli sa bene che i maligni rappresentanti della letteratura che propone la presenza di Gesù in India sono “fanatici pervasi da odio contro la santa Chiesa”, persone che non farebbero un passo indietro neppure se confrontati con la divina autorità del Papa. Allo stesso modo fin dall’inizio della sua trattazione Grönbold sa che gli sforzi dei sostenitori di Gesù in India sono ridicoli (pag. 9) e che si tratta solo di miti e leggende (pag. 10), perché ogni cristiano sa esattamente come si è veramente svolta la vita del Gesù storico. Questo tipo di letteratura “è molto adatto al nostro tempo malato, alle tendenze autodistruttive dell’Occidente. L’isteria di massa e la tendenza a farsi instupidire diventano sempre

31 La vita di Gesù in India più grandi”. Questa letteratura “è tesa a seppellire l’autorità della Chiesa”. Dietro a tutto questo stanno naturalmente gli interessi di certe sette (pag. 10). A questo punto vorrei aggiungere che l’instupidimento è mol- to più avanzato di quanto Grönbold possa immaginare. Grönbold vede in questa letteratura “nulla di nuovo, nulla di originale, bensì un mostro di Loch Ness religioso” (pag. 18), di cui lui aveva già sentito parlare quando andava a scuola. Questa idea lo aveva affascinato, però “non aveva mai trovato la minima prova a sostegno della stessa”. Ebbene, il giovane Grönbold non dove- va essere molto abile perché anche al tempo in cui lui andava a scuola esistevano non pochi scritti sul tema di Gesù in India. In ogni caso, se ci fossero stati, Grönbold sarebbe stato “il primo a cogliere questi indizi”. Evidentemente però Grönbold si è lasciato sfuggire il momento giusto. Dapprima Grönbold si scaglia contro il russo Notovitch, che alla fine del XIX secolo avrebbe trovato in un convento dell’Himalaya degli scritti che attesterebbero che già durante gli anni giovanili Gesù sarebbe stato in India. A pag. 15 Grönbold afferma che non esistono prove per questo perché gli scritti citati non sono mai più stati trovati. Il suo testimone principale è l’indologo Max Müller, che non era mai stato in India, ma che attraverso altri viaggiatori aveva scoperto che un certo Notovitch non era mai stato “registrato negli atti” del convento citato. Lo stesso Müller scrive fra le altre cose nel 1876 in una lettera a un amico: “Vivrei volentieri là dieci anni, imparandone la lingua, per vedere se potessi partecipare an- ch’io alla missione di distruggere l’antica infame religione indiana e aprire le porte per la dottrina cristiana”. Questo “uomo competente” (pag. 23) mostra qui in tutta chia- rezza di che pasta sia fatto. Di altre persone che avevano visto anche loro i sopra citati scritti prima che gli agenti del Vaticano li facessero sparire per sempre, come per esempio l’americana Henriette Merrick, Grönbold si limita a dire “che la fantasia ha giocato loro brutti scherzi” (pag. 22). Grönbold si trova eviden- temente in una guerra santa, che pensa di condurre secondo la

32 1. La vita sconosciuta di Gesù legge dell’occhio per occhio, dente per dente; infatti a pag. 33 annuncia trionfalmente: “In ogni caso per i difensori di Gesù in India il primo round è perduto”. Le numerose corrispondenze dei testi neotestamentari individuate presso antichi scritti indiani (112 del libro di A. Edmunds) vengono liquidate da Grönbold con una frase: “Tali cosiddette dipendenze sono oggi considerate molto più criticamente e non sono affatto (!) da considerare sicure”. (pag. 42) In questo modo Grönbold liquida tutta la tematica! E pensare che persino il suo compagno di battaglie e collega Norbert Klatt già nel 1982 aveva dovuto accettare nella sua dissertazione parecchie di queste dipendenze. Ciò avveniva in un periodo in cui il signor Klatt non si guadagnava ancora da vi- vere presso la Chiesa. I numerosi libri in cui queste dipendenze dei testi sono dettagliatamente indicate vengono definiti da Grönbold “invettive penose, inconsistenti e piene di odio, che sarebbe tempo e fatica sprecati indagare più a fondo. Ma proprio questa tendenza piena di odio, quantomeno ostile alla Chiesa, la ritroviamo nel libro di Kersten”. (pag. 42) Personalmente non provo affatto odio, ma piuttosto delusione; e a questo proposito si potrebbe osservare che niente meno che il grande umanista, medico e teologo Albert Schweizer disse: “...e proprio l’odio aveva promosso la conoscenza scientifica (dell’indagine sulla vita di Gesù)”. Quando, come avviene spesso, manca di argomenti, Grönbold cerca di convincere i suoi lettori con banali polemiche. Definisce infatti la letteratura su Gesù in India “curiosi libracci”, “stupidaggini orrende”, “razionalismo grossolano”, “la più assurda e grottesca deformazione che si possa immaginare”, “un’assurda distorsione della verità”, per arrivare alla fine alla geniale scoperta: “Il tutto è veramente troppo stupido perché valga la pena di approfondirlo”. Dopo un’accurata analisi del lavoro di Grönbold, il professore di Amburgo R. Voigtländer mi ha scritto in una lettera: “Questo libro è stato scritto con la schiuma alla bocca!” Merito di Grönbold è aver scoperto alcune “false” trascrizioni di nomi o luoghi, che riporta sempre col tono del maestro zelante. Lui sa che davanti a una consonante ci vuole una H, che altrove

33 La vita di Gesù in India l’H deve stare dietro, e che “il nome Yuz Asaf deve essere scritto con una parola sola e che soltanto così acquista importanza!” Se io per esempio vedo un possibile collegamento tra il (cor- retto) Amit Abha e Amit Abba, per Grönbold questa variante dal suono identico è soltanto “una grossolana mutilazione del nome” (pag. 107). A pagina 49 Grönbold scrive: “Kersten sa che la cor- retta derivazione della parola Yuzasaf significa Bodhisattva, poi però scrive: ma se si identifica questo Bodhisattva con Gesù...! Qui francamente sparisce ogni logica e ogni sano buon senso. Qui qualcuno ha la soluzione giusta e non è capace di tirare le giuste conclusioni!” Questo esempio mostra chiaramente che persino in una persona relativamente colta può instaurarsi un blocco totale che non consente di fare neppure un piccolo passo avanti rispetto all’abituale modo di pensare. Grönbold semplicemente non è in grado di immaginare che il Gesù che lui conosce potrebbe essere stato venerato nel Kashmir buddhista come un Boddhisattva. Un altro esempio è rappresentato dalle impronte stilizzate dei piedi nel sepolcro di Gesù, il cosiddetto reliquario di Rozalba. Le cicatrici della crocifissione lì chiaramente visibili forniscono in effetti un forte indizio per l’identificazione della persona ivi sepolta con il Gesù storico. Secondo Grönbold le stigmate dovrebbero essere rotonde o angolari (!). “Soltanto una fantasia ostinata e limitata può vederci i segni dei chiodi...”. Pare proprio che il signor Grönbold non abbia mai visto in vita sua le cicatrici di una ferita suturata. In realtà non era mia intenzione occuparmi della polemica piena di odio di Grönbold, perché richiede troppo tempo e fatica, ma il libretto di Grönbold viene continuamente citato dai critici della storia di Gesù in India, con l’osservazione che con le sue furiose tirate questo “importante indologo” avrebbe confutato già da tempo tutta la storia. E queste cose le dicono proprio quei critici che si ammantano della veste scientifica. Chi li legge, pensa che in effetti il rapporto di Gesù con l’India sia stato “confutato scientificamen- te” già nel 1985 e affronta di conseguenza tutta la tematica con scherno e presunzione. Ma le cose non sono così semplici.

34 1. La vita sconosciuta di Gesù

Un misterioso ordine L ’ordine mistico degli Yogi Nath (chiamato anche Gorakhath o Navnath), che si trova in molte parti dell’India, ha preservato un antico sutra indù conosciuto come il Natha Namavali, che parla del grande santo Isha Nath, che si dice essere venuto in India all’età di quattordici anni. Dopo che fu ritornato alla sua terra natale ed ebbe iniziato a diffondere là i suoi insegnamenti, cadde vittima di una cospirazione e fu crocifisso. Per mezzo dei poteri dello yoga che aveva ottenuto in India, fu in grado di sopravvivere all’ese- cuzione, e infine – con l’aiuto dei poteri soprannaturali del suo maestro indiano Chetan Nath, un guru Nath – egli tornò ancora una volta in India, dove si dice che abbia fondato un monastero (Ashram) fra le colline poste ai piedi delle montagne dell’Himalaya. Gli Yogi Nath Shivaiti (centrati sul culto di Shiva), facilmente riconoscibili per i loro grandi orecchini, rappresentano uno dei più antichi ordini indù di monaci, le cui origini si perdono nelle nebbie della storia, in un tempo precedente la nascita di Gesù e l’inizio della nostra era: forse risalgono alle origini del Buddhismo Maha- yana. A differenza di molti altri ordini e sette indù, gli Yogi Nath non riconoscono il sistema delle caste e il primato dei Brahmini. Considerano tutte le persone come fratelli e sorelle e accettano fra le loro file chiunque lo chieda, senza alcun pregiudizio per le sue origini e la sua condizione. È difficile non notare i paralleli con l’atteggiamento di Gesù verso i sacerdoti del tempio di Gerusa- lemme e verso i non-Ebrei, i Samaritani e i peccatori. Come afferma anche la moderna ricerca sulla vita di Gesù, è veramente impossibile provare che Gesù non è mai stato in India. Non c’è nessuna fonte storica attendibile, nè c’è alcuna indicazione nei Vangeli, che ci dia qualche informazione che non siano dettagli assolutamente insufficienti su gran parte della sua vita (all’incirca fra i dodici e i trenta anni di età). È quasi come se la vita di Gesù fosse realmente iniziata nel suo trentesimo anno di età, quando fu battezzato da Giovanni. Solo nel Vangelo di Luca si trova una frase brevissima: “E Gesù cresceva in saggezza e in statura, col favore di Dio e degli uomini”. (Luca, 2,52).

35 Capitolo due CHI ERA GESù?

Le fonti secolari L a personalità umana di Gesù di Nazareth è l’argomento che da solo ha avuto il più grande impatto sulla mente e l’attenzione dei popoli del mondo, ed ha anche rappresentato il punto focale di innumerevoli libri e di appassionati dibattiti. Tuttavia la personalità di Gesù è rimasta ostinatamente poco chiara ad ogni indagine degli studiosi. Per millecinquecento anni le uniche descrizioni sono state quelle che mostravano Gesù il Salvatore secondo le linee della teologia ecclesiastica ufficiale, e che sono state scritte con lo spe- cifico scopo di alimentare la fede dei Cristiani contemporanei, o di convertire altra gente al Cristianesimo. Fu durante il Rinascimento in Europa che emersero i primi pensatori critici, e fu nell’epoca dell’Illuminismo, nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, che per la prima volta furono pubblicati studi che si chiedevano se Gesù di Nazareth fosse mai veramente esistito. A partire dal diciannovesimo secolo, cominciarono ad essere applicati metodi scientifici di ricerca storica ai libri del Nuovo Testamento ed è per avere istituito questa ricerca sistematica sulla vita di Gesù che la teologia protestante tedesca può avere pieno merito, essendo stata protagonista dei progressi più significativi nella ricerca storica e critica. Il più noto di questi ricercatori della verità, il dottore e teologo Albert Schweitzer, considerò la sua indagine sulla vita di Cristo come lo sviluppo primario e più importante nella propria perso- nale comprensione religiosa. Oggi è difficile per noi comprendere

36 2. Chi era Gesù? pienamente quali barriere mentali restrittive si devono superare per arrivare ad una visione storica della vita di Gesù. Secondo Schweitzer, fu veramente un’insoddisfazione, e anche una sorta di avversione, che affrettarono l’approccio più scientifico. “Scoprire il più possibile la verità sulla vita di Gesù equivale a riportare la Chiesa direttamente alle sue verità di base, una domanda di conoscenza che comporta una lotta più dolorosa e difficoltosa di qualunque altra precedente”. Anche se sono state finora scritte oltre centomila monografie sull’argomento “Gesù”, tuttavia i risultati di queste ricerche sul Gesù storico possono soltanto essere descritte come disarmanti. Chi era Gesù Cristo? Quando è nato? Che immagine ha avuto? Quando è stato crocifisso? Quando, come e dove è morto? I libri che furono scritti nei primi due secoli della nostra éra contengono troppo poche indicazioni per darci una qualche informazione reale sulla persona Gesù Cristo. Le fonti antiche successive sono, quasi esclusivamente, tendenziose professioni di fede che danno per certa una fede in Gesù come il Messia e il Figlio di Dio. È praticamente impossibile trovare qualunque testimonianza veramente obiettiva anche nella letteratura laica. Il risultato è che la scienza moderna è tuttora incapace di dirci l’anno esatto della nascita di Gesù. Gli anni possibili variano dal settimo al quarto anno prima del cambio fra “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Cristo nacque certamente durante il regno di Erode, che morì quattro anni prima della nostra “éra cristiana” (cioè nel 4 a.C.!). L’infanzia e l’adolescenza di Gesù sono quasi completa- mente ignorate nei Vangeli ufficiali, sebbene i primi anni di vita siano essenziali nella formazione del carattere di una persona. Anche nei nebulosi resoconti del breve periodo in cui svolse la sua attività pubblica troviamo soltanto scarne informazioni sulla sua vita. Gli storici contemporanei sembrano non aver mai sentito parlare di Gesù o, se l’hanno sentito, non lo hanno considerato degno di menzione. Come possono dei veri storici non aver fatto alcun riferimento ai tanti sorprendenti miracoli e straordinari eventi descritti nei Vangeli?

37 La vita di Gesù in India

T acito (circa 55-120 d.C.) nei suoi Annali1 cita la “superstiziosa setta” dei Cristiani, il cui nome deriva da un certo Cristo, che si dice sia stato giustiziato al tempo dell’imperatore Tiberio, sotto il governatore Ponzio. Questa breve nota fu scritta dal grande sto- rico romano attorno all’anno 108 d.C. – circa ottanta anni dopo la Crocifissione – e si basava su racconti che circolavano a quel tempo. Anche Plinio il Giovane2 (circa 61-114 d.C.) e Svetonio3 (circa 65-135 d.C.) citano la setta dei Cristiani, ma non dicono una sola parola sulla persona Gesù Cristo. Lo storico Svetonio era tesoriere dell’imperatore romano Adriano, perciò aveva accesso ai documenti di stato negli archivi imperiali. Traendoli da questi documenti, egli prese nota di tutti gli eventi storicamente significativi che avevano avuto luogo durante il periodo di sovranità degli imperatori precedenti. Questi comprendono un avvenimento che accadde al tempo dell’imperatore Claudio, che regnò dal 41 al 54 d.C. Claudio aveva espulso gli Ebrei da Roma perchè erano sotto l’influenza di un certo “Chrestos” e avevano provocato forme di turbolenza civile. Questo dimostra che c’erano già seguaci della religione cristiana a Roma attorno all’anno 50 d.C. Lo storico ebreo Joseph ben Matthias (circa 37-100 d.C.) che divenne cittadino romano con il nome di Flavius Josephus (Giu- seppe Flavio) pubblicò, attorno all’anno 93, un’opera imponente intitolata Antichità Giudaiche. Essa rappresenta una specie di storia del mondo dal tempo della Creazione fino all’inizio del regno dell’imperatore Nerone, ed aveva principalmente lo scopo di mettere al corrente i lettori non-ebrei della storia degli Ebrei. Egli forni- sce un resoconto molto dettagliato della politica e della società al tempo di Gesù, con riferimenti anche a Giovanni Battista, Erode e Ponzio Pilato, ma c’è soltanto una breve menzione del nome Gesù Cristo ed è in riferimento alla lapidazione di un uomo chiamato Giacomo (Jacob) “che era un fratello di Gesù, che essi chiamavano Cristo”. Solo nel terzo secolo si trova un’opera scritta dalle mani di un cristiano, un apocrifo intitolato Testimonium Flavianum, in cui l’ebreo Josephus si converte evidentemente al cristianesimo e afferma di credere ai miracoli e alla resurrezione di Cristo4. Ma

38 2. Chi era Gesù? gli scrittori della Chiesa Giustino Martire, Tertulliano e Cipriano non sono evidentemente a conoscenza di questa conversione al cristianesimo, e Origene5 (circa 185-254 d.C.) ripete più di una volta che Josephus non credeva in Cristo. Lo scrittore Justus di Tiberiade, pure ebreo, era un contempo- raneo di Josephus e viveva a Tiberiade, presso Cafarnao, dove si era detto più volte che Gesù avesse soggiornato. Egli scrisse una storia assai estesa che cominciava con Mosè e proseguiva fino ai suoi tempi, ma non fa menzione neppure una volta di Gesù. Il grande studioso ebreo Filone di Alessandria era un contemporaneo di Gesù; circa cinquanta dei suoi scritti sono arrivati fino a noi. Egli è qualcosa come uno specialista di scritture bibliche e di sette ebraiche, ma non dice una sola parola di Gesù6. È soltanto dall’incallito anticristiano Celso che si può trovare qualche cenno di alcuni fatti storici, sebbene egli non abbia certamente adulazione verso colui che chiama l’“idealizzato” Gesù. I bellicosi scritti di Celso contengono alcune informazioni che saranno esaminate con maggiore dettaglio più avanti nel corso di questo libro. La sola fonte reale di ricerca storica sembra perciò essere la raccolta di scritti che viene chiamata il Nuovo Testamento.

I Vangeli L a parola greca per “vangelo” è eu-angelion, che significa semplicemente “buone novelle”. Esisteva come parola composta molto tempo prima che il Cristianesimo la applicasse al messaggio di Gesù. Ad esempio, uno dei titoli dati all’Imperatore Augusto era Salvatore del Mondo, e il suo compleanno veniva di conseguenza riportato come “il giorno dell’eu-angelion”. Il Nuovo Testamento contiene quattro Vangeli che portano i nomi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Rappresentano una selezione da un numero di Vangeli molto maggiore che erano in uso fra le varie comunità e sette del primo Cristianesimo, prima che venisse formalmente costituito il Nuovo Testamento. I testi che sono stati più tardi estromessi vengono chiamati apocrifi (dal

39 La vita di Gesù in India greco apo-kryphos “nascosti” e perciò “più oscuri”). Molti di questi furono distrutti, ma alcuni di quelli che si sono salvati non mettono molto in chiaro la persona di Gesù di Nazareth. Il puro e semplice numero e la diversità dei vari gruppi religiosi minacciava di spezzare le prime comunità cristiane in innumerevoli fazioni e di provocare conflitti distruttivi all’interno della Cristianità. L’autore romano Ammiano Marcellino commentò: “Neppure gli animali feroci assetati di sangue si scagliano gli uni contro gli altri nel modo con cui molti Cristiani si scagliano contro i loro fratelli di fede”7. Anche una delle prime autorità della Chiesa, Clemente di Alessandria, comprese che questi dissensi fra le varie dottrine di fede erano il più grande ostacolo alla diffusione della fede stessa8. E Celso, l’aperto critico del Cristianesimo del secondo secolo, scrisse che l’unico elemento che i vari gruppi avevano in comune era l’aggettivo “cristiano”9. Di fronte a una simile pletora di scritti fondamentalmente diversi sulla vita, le azioni e i discorsi di Cristo, i capi della Chiesa nascente videro un solo mezzo per tirarsi fuori da una situazione caotica che stava inesorabilmente portando verso la completa distruzione delle comunità in conflitto: una unificazione, uno stringere i ranghi, rendendo formalmente autentici un gruppo di Vangeli scelti cui ci si sarebbe dovuti attenere. Papia di Hierapoli, che è considerato uno dei Padri Apostolici, tentò di compiere un’operazione del genere attorno all’anno 110 d.C., ma non ci riuscì a causa della resistenza delle singole comunità. Fu soltanto alla fine del secondo secolo che Ireneo – che perfino allora doveva fare i conti con la minaccia di “sante” sanzioni – si diede da fare una volta per tutte per stabilizzare i quattro Vangeli nella forma che è ancora oggi considerata valida. Il criterio per la loro accettazione fu che essi potevano tutti essere fatti risalire direttamente a un discepolo di Gesù, anche se naturalmente in modo non troppo lineare. Resta impossibile stabilire esattamente quando e come questi Vangeli sono venuti in essere perchè non c’è nessun testo originale di alcuno di essi ancora esistente – inoltre, non c’è alcun indizio di dove un originale possa mai essere stato situato. Similmente è impossibile datarli, anche in modo approssimato.

40 2. Chi era Gesù?

L e date più probabili, secondo le ricerche più recenti, sono, per Marco, poco prima del 70 d.C., per Matteo poco dopo il 70 d.C., per Luca in qualche anno fra il 75 e l’80 d.C. (qualche esperto preferisce una data più vicina al 100 d.C.), e sembra che il Van- gelo di Giovanni non sia stato scritto prima dei primi decenni del secondo secolo. Così, se Gesù è stato crocifisso attorno all’anno 30, i primi resoconti scritti sulla sua esistenza hanno evidentemente preso forma soltanto dopo che erano passate due o tre generazioni (lasciando da parte per il momento le epistole di Paolo, che me- ritano un discorso più approfondito). I primi tre Vangeli – Matteo, Marco e Luca – sono molto simili fra loro. In effetti, sembra che Matteo e Luca abbiano de- rivato molto del contenuto del testo da Marco. Il Vangelo secondo Marco deve perciò essere esistito prima dei Vangeli di Matteo e Luca. Il testo canonico di Marco contiene la descrizione di alcuni eventi che non sono compresi nè in Matteo nè in Luca; tuttavia vi sono in sostituzione racconti che non hanno paralleli in Marco o vi sono esposti in modo molto diverso. Questo fatto fa pensare che i due Vangeli citati abbiano usato come fonte una specie di “proto-Marco”, dal quale è stato formato il testo canonico solo successivamente. Molto è stato scritto dai teologi in favore del- l’esistenza di questo ipotetico proto-testo, ma il teologo Gunther Bornkamm crede che “il tentativo di ricostruire il proto-Vangelo di Marco rimane un’impresa inutile”10. Nel testo di Marco c’è un evidente desiderio di tenere lo stato messianico di Gesù il più segreto possibile. Gesù non vuole alcuna proclamazione che egli è il Messia, e infatti proibisce esplicitamente ai suoi discepoli di dichiarare una cosa simile. (Marco 8-30). Nel Vangelo di Matteo, Gesù è rappresentato come il com- pimento della religione di Mosè, come il Messia annunciato dai profeti. È stato accettato da lungo tempo da parte dei teologi che il Vangelo si dedica a raffigurare Gesù come la Parola fatta Carne. Inoltre, chi ha scritto il Vangelo di Matteo non era evidentemente uno storico e non ha mai avuto l’intenzione di scrivere nè un resoconto cronologico nè una biografia di Gesù.

41 La vita di Gesù in India

Chi ha scritto il Vangelo di Luca ha compreso un certo numero di eventi storici distinti nel suo racconto della vita di Gesù. E malgrado questo, non ne emerge la storia continua di una vita. C’è ancora la mancanza di ogni fondamento genuinamente cronologico e storico – semplicemente non deve esserci stato sufficiente mate- riale biografico disponibile perchè neanche queste prime comunità cristiane erano più in possesso di tali dati. Perfino in questo stadio iniziale, la figura storica di Gesù era già stata molto allontanata verso una specie di sfondo in favore della sua immagine religiosa. Il testo di Luca contiene poco del Giudaismo e, scritto in uno stile ellenistico, è mirato soprattutto ai Greci e ai Romani. Qui Gesù non è più un Messia nazionale ma il Salvatore del mondo. In un punto il Vangelo di Luca contraddice anche direttamente i Vangeli di Marco e Matteo: la loro versione delle ultime parole di Gesù manda gli apostoli a diffondersi nel mondo e pregare per tutte le nazioni, mentre nel ventiquattresimo capitolo di Luca si afferma esattamente l’opposto: ad essi viene detto di “aspettare... nella città di Gerusalemme, finchè scenderà su di loro il potere dall’alto”. (Luca 24-49). Negli Atti degli Apostoli (attribuiti all’autore del Vangelo di Luca), la presenza dei discepoli a Gerusalemme viene riferita a più di una volta, e con un’enfasi particolare. Lo scrittore si impegna vivamente a dimostrare che Gerusalemme è stato il punto centrale di origine del Cristianesimo, anche se è un fatto storicamente di- mostrato che allora già esistevano altrove comunità cristiane. Luca insiste a fermare il discorso sul miracolo della Pentecoste allo scopo di dimostrare che l’esistenza di sette cristiane al di fuori della Pa- lestina può essere considerata come un’irradiazione da quel centro. Per un miracolo “divino” i discepoli ricevono improvvisamente il dono di parlare in “lingue straniere”, fornendo così una soluzione semplice al potenziale problema delle barriere linguistiche. Il Vangelo attribuito a Giovanni è senza dubbio l’ultimo di tutti i racconti canonici della vita di Gesù. Gli scritti cristiani che menzionano per la prima volta l’esistenza di questo Vangelo risalgono alla metà del secondo secolo. Alcune righe di un papiro

42 2. Chi era Gesù? scritto in greco, scoperto dallo storico inglese Grenfell indicano che quel Vangelo non può essere più antico della prima parte del secondo secolo. Si tratta più che altro di un lavoro filosofico costruito sulla base dei primi tre Vangeli e complementare ad essi. Ireneo afferma che l’autore è lo stesso Giovanni favorito di Gesù, ma questa idea è stata definitivamente scartata perchè quel semplice pescatore di Galilea non potrebbe essere stato istruito in modo così vasto e veloce in teologia e filosofia, o avere una simile conoscenza del greco, come ha evidentemente dimostrato l’autore di questo Vangelo. Nel Vangelo di Giovanni ci sono autentici dettagli della vita di Gesù, ma sono completamente incorporati in una matrice di filosofia religiosa centrata su Gesù. Oltre a questo, c’è un lasso di tempo di almeno ottanta anni fra la Crocifissione e l’epoca in cui il Vangelo è stato scritto, così che, anche se il contenuto del libro corrisponde strettamente alle idee di Gesù, quel libro rappresenta soltanto un mezzo molto debole per fare ricerche sulla sua vita. In un notevole numero di scritti teologici protestanti è stata recentemente data una grande importanza alla cosiddetta Rac- colta dei discorsi di Gesù (nota anche come Q o Logia). Rudolf Bultmann sostiene che i Discorsi furono scritti dalle primissime comunità della Palestina; essi appartengono alle più antiche tradi- zioni di queste comunità. Ma Bultmann aggiunge: “Non c’è alcuna certezza che le parole di questa più antica fase di tradizione orale siano state veramente pronunciate da Gesù. Forse anche questa fase ha il suo sottofondo storico più complesso”. E continua: “La tradizione raccoglie i discorsi del Signore, li rimaneggia e fa delle aggiunte. Inoltre, vengono raccolti anche altri tipi di discorsi, così che alcune delle parole comprese nella Raccolta dei discorsi sono stati messi in bocca a Gesù da altri”. Oggi gli storici sono in grado di presentare la storia praticamente completa della vita di Ponzio Pilato e di Erode – personaggi il cui principale interesse è soltanto il loro collegamento con Gesù. Similmente sono disponibili biografie ugualmente complete di altri contemporanei, e di figure prominenti di periodi anche più anti-

43 La vita di Gesù in India chi. Ma solo poche scarne righe che contengono modesti dettagli descrittivi sono tutto quello che abbiamo sulla vita di Gesù fino al suo tredicesimo anno di età, e persino queste sono troppo poco per poter costituire una qualche documentazione. Uno studioso di Tubinga del Nuovo Testamento, Ernst Käsemann, così riassume i risultati ottenuti a quella data delle ricerche sulla vita di Gesù:

È disarmante scoprire quanto poco (di quello che il Nuovo Testa- mento dice di Gesù) può essere considerato come autentico... Tutto quello che può essere attribuito con un buon grado di certezza al vero Gesù storico sono alcune parole del Sermone della Montagna, alcune parabole, il confronto coi Farisei, e alcune altre frasi sparse qua e là11.

Gli esperti biblici non sono d’accordo su quali “citazioni” possono certamente essere attribuite a Gesù. Nel suo libro Le parole sconosciute di Gesù (Unbekannte Jesus-Worte12; lo stori- co delle religioni Joachim Jeremias restringe la scelta soltanto a ventuno frasi certamente uscite dalla bocca di Gesù. E il teologo critico Bultmann afferma che “la personalità di Gesù, una chiara definizione di lui e della sua vita, sono svanite al di là di ogni possibilità di recupero”13.

Il testimone Paolo I primi documenti che riguardano Gesù sono gli scritti di Paolo. Paolo proveniva da una famiglia di stretta osservanza ebraica, ed aveva acquisito la cittadinanza romana attraverso suo padre, che aveva pagato una somma notevole per averla. Questo gli permise di cambiare il suo nome originale ebraico, Saul, in Paolo (Paulus). Appartenendo alla classe patrizia, fu allevato nella stretta tradizio- ne farisaica. Ricevette un’istruzione estesa e completa, raggiunse un’eccellente conoscenza della lingua greca ed ottenne una vasta cultura nella poesia e nella filosofia greche. All’età di circa diciotto o venti anni (dopo la Crocifissione di Gesù), andò a Gerusalemme e si dedicò ad intensi studi teologici come allievo di Gamaliele I.

44 2. Chi era Gesù?

D ivenne poi un fanatico zelota, intransigente, di mentalità ristretta, di stretta osservanza alla legge, ed uno dei più ferventi oppositori delle prime sette cristiane, che vedeva come un ostacolo al suo avanzamento professionale. Paolo arrivò persino a chiedere al sommo sacerdote un permesso speciale per perseguitare i segua- ci di Cristo oltre i confini della città di Gerusalemme, sperando che il grande zelo che intendeva dimostrare nell’eseguire questo compito avrebbe bene impressionato anche la gerarchia religiosa. Poi, presso Damasco, fu improvvisamente sopraffatto dalla potente aura di Gesù e dai suoi insegnamenti, colpito anche dall’idea della realizzazione dell’insperato potenziale fornito dalla sua posizione. Egli diventò ossessionato dall’idea che avrebbe potuto ricoprire il ruolo di guida spirituale di un gigantesco movimento futuro. Come nel caso di Gesù e degli apostoli, non c’è neppure un singolo testo storico sullo stesso Paolo. Tutto quello che sappia- mo su di lui proviene quasi esclusivamente dalle lettere (epistole) attribuite a lui e dagli Atti degli Apostoli, e questi tendono ad avere una posizione decisamente tendenziosa, sono in parte o in toto delle contraffazioni, o sono stati messi insieme da pochi autentici frammenti di testo. Si pensa che le lettere a Timoteo e Tito e la lettera agli Ebrei siano completamente false. L’autenticità delle lettere agli Efesini e ai Colossesi, e della seconda lettera ai Tessalonicesi, è fortemente contestata. Ciò che viene oggi chiamato Cristianesimo è in gran parte l’inse- gnamento dei precetti artificialmente creati da Paolo, e si dovrebbe più correttamente chiamare Paolinesimo. Lo storico delle religioni Wilhelm Nestle fa il punto con queste parole: “Cristianesimo è la religione fondata da Paolo, in cui è stato sostituito il Vangelo di Cristo con un Vangelo che parla di Cristo”14. In questo senso, il Paolinesimo corrisponde all’errata interpre- tazione e alla falsificazione dei veri insegnamenti di Cristo in un modo iniziato e organizzato da Paolo. È stato accettato da lungo tempo dalla ricerca teologica che il Cristianesimo della Chiesa organizzata, con la sua dottrina centrale della salvezza tramite la morte sacrificale vicaria di Gesù, si basa su un’interpretazione er-

45 La vita di Gesù in India rata. “Tutti gli aspetti migliori del Cristianesimo possono essere fatti risalire a Gesù, tutti i meno-belli a Paolo” disse il teologo Overbeck15. Riportando fermamente la speranza di salvezza alla morte espiatoria del primogenito di Dio, Paolo ha in realtà fatto un passo indietro verso la primitiva religione semitica dei tempi preistorici, quando ogni padre era costretto a dare il suo primo- genito in un sanguinario sacrificio. Paolo ha anche preparato la strada alle successive dottrine ecclesiastiche del peccato originale e della Trinità divina. Anco- ra all’inizio del diciottesimo secolo, lo statista e filosofo inglese Lord Bolingbroke (1678-1751) poteva distinguere due fedi religiose completamente distinte nel Nuovo Testamento: quella di Gesù e quella di Paolo16. Così anche Kant, Lessing, Fichte e Schelling esprimono una decisa differenziazione fra l’insegnamento di Gesù e quello che gli “apostoli” ne hanno ricavato. Molti teologi mo- derni di grande reputazione hanno poi supportato e difeso queste osservazioni. Paolo, l’intransigente zelota, decisamente diverso dagli aposto- li originari, il “massimo rappresentante dell’intolleranza” (come viene descritto dal teologo A. Deissmann)17 ha scavato il profondo abisso fra i “veri credenti” e i “non-credenti”. Paolo ha posto ben poca enfasi sulle vere parole e sugli insegnamenti di Gesù, ma si è preoccupato soprattutto dei suoi personali insegnamenti. Egli ha messo Gesù su un piedistallo e ha costruito una figura di Cristo che Gesù non ha mai voluto essere. Oggi è possibile una profonda nuova visione del Cristianesimo respingendo tutto quello che è ovviamente falso e tornando ai veri, inalterati insegnamenti di Gesù e alla reale essenza delle fedi religiose. Il fatto di potere ancora tornare a una tale nuova comprensione ci può forse rendere più facile perdonare a Paolo le sue distorsioni, perchè è possibile che senza Paolo e i fanatici zeloti suoi compagni, non ci sarebbe stata tramandata alcuna conoscenza di Gesù. Il teologo Grimm ha così sintetizzato il problema: “Per quanto profondamente questi insegnamenti si siano radicati nel pensiero cri- stiano, non hanno ancora niente a che fare con il vero Gesù”18.

46 2. Chi era Gesù?

Conclusioni L e fonti conosciute non possono evidentemente fornire alcuna informazione dettagliata o fondamentale sul personaggio storico che è stato Gesù. Le fonti come quella della documentazione scoperta da Nicolai Notovitch in Ladakh può quindi riempire un vuoto estremamente importante in quello che si sa sulla vita di Cristo, per cui non esiste altrimenti alcuna fonte storica. Malgrado questo, una simile sorprendente scoperta – che illumina di colpo alcuni dei punti più oscuri della religione “cristiana” – sembrerebbe non avere assolutamente alcun rilievo, a meno che venga vista nel contesto degli ultimi risultati forniti dalla più obiettiva ed estesa ricerca storica, libera da qualunque dogmatismo istituzionale. La ricerca e la libertà scientifiche sono richieste entrambe per far venire gradualmente alla luce la verità sulla figura umana di Gesù. Forse soltanto oggi è possibile apprendere chi era Gesù e cosa voleva veramente, studiando la tradizione che ha ispirato, i risultati dei suoi insegnamenti, la sua elevata condotta morale e la sua profonda natura etica e spirituale. Ciò che Albert Schweitzer disse nel 1913 è oggi più valido che mai: “Il cristianesimo moderno deve essere sempre pronto a confrontarsi con la possibilità che la figura storica di Gesù possa venire svelata in ogni momento”19. E Rudolf Bultmann disse: “Non resterei sorpreso neppure se si trovassero le ossa di Gesù!”20

I miei viaggi fra le montagne dell’Himalaya Nel 1973 su uno dei maggiori settimanali tedeschi21 apparve un breve articolo in cui si evidenziava che un professore indiano affermava con la massima serietà di aver trovato in India la tomba di Gesù Cristo. L’articolo era anche corredato di fotografie che mostravano la tomba citata. Il professore dichiarava senza mezzi termini che Gesù non soltanto aveva passato la sua gioventù in India, ma era sopravvissuto alla Crocifissione per mezzo di una tecnica ed era poi ritornato in India. Era poi vissuto là come maestro

47 La vita di Gesù in India itinerante fino alla sua morte avvenuta in tarda età: il suo corpo era sepolto nella capitale del Kashmir, Srinagar. Questa era un’affermazione veramente sorprendente – e il gior- nale che aveva osato pubblicarla fu immediatamente sommerso da migliaia di lettere piene di invettive e violente proteste. Alcune lettere però contenevano interessanti richieste da parte di perso- ne di mentalità più aperta che avevano sempre sospettato che la vecchia versione della nascita da una vergine, della resurrezione e dell’ascensione di Gesù. somigliasse a una pia favoletta. Sembra piuttosto sorprendente che nessuno degli scettici abbia mai sollevato la questione di dove in realtà potesse essere stato sepolto Gesù – perchè, sebbene i vari miracoli che si pensa Gesù abbia compiuto possano essere spiegati in un modo o nell’altro, è piuttosto impossibile che il corpo di Gesù si sia semplicemente sollevato in aria, per essere “trasportato in cielo”, come afferma il Vangelo di Luca (24-51). Inoltre, non c’è spazio per argomenti fisici nel dominio spirituale. Dopo anni di studi durante i quali i miei professori di università non riuscirono a pervenire ad alcunchè che non fosse insoddisfacente, per non dire inconcludente, per rispondere alle mie domande sulla figura storica di Gesù, decisi che, appena finito il mio corso come insegnante di religione, sarei partito per l’India per portare avanti una mia ricerca personale. Perciò all’inizio del 1979 partii in aereo per l’India, via Egitto, ed atterrai a Bombay. Di là proseguii in treno ed autobus fino ai piedi dell’Himalaya, a Dharamsala, dove risiedeva il Dalai Lama dopo la sua fuga dal Tibet, nel 1959. Era mia intenzione chiedergli rispettosamente una lettera di presentazione all’abate del monastero di Hemis, una lettera che potesse anche garantirmi il permesso di consultare i manoscritti di cui Notovitch aveva parlato quasi cento anni prima. Dopo avere atteso quattro giorni per essere ricevuto, ricevetti finalmente il prezioso documento, completo della firma di Sua Santità il quattordicesimo Dalai Lama. Continuai il mio viaggio per strada fino al Kashmir, dove appresi che una rappresentazione del famoso mistero descritto da Notovitch si sarebbe tenuta pochi giorni dopo. Il festival, conosciuto presso i

48 2. Chi era Gesù?

T ibetani come Cham o Setchu, onora il santo e profeta Buddhista Padmasambhava ed ha luogo dal nono all’undicesimo giorno del quinto mese del calendario tibetano. Oggi è possibile raggiungere Leh, la capitale del Ladakh, in modo relativamente comodo con un viaggio di due giorni in autobus attraverso le montagne situate ad ovest della Grande Himalaya. Quando finalmente arrivai ad Hemis, il festival era ormai in pieno svolgimento. C’era una folla enorme in cui era evidente la presenza di un gran numero di turisti occidentali, sebbene la regione fosse stata aperta agli stranieri soltanto cinque anni prima. Non avevo alcuna voglia di rendere noti i miei propositi e la mia presenza mentre c’era in giro quella confusione, così me ne tornai a Leh,

Il Monastero di Hemis è situato ad una altitudine di quasi 4000 metri sulle montagne himalayane, a circa 34 chilometri dalla capitale del Ladakh, Leh

49 La vita di Gesù in India dove lasciai passare tre settimane prima di ritornare ancora una volta a Hemis. Hemis è il monastero più grande, più ricco e più importante del Ladakh. Il suo nome deriva dalla parola dardica22 hem o hen (in sanscrito hima, neve), che ci fa pensare che qui esistesse un insediamento precedente all’attuale cultura tibetana. La pazienza e la perseveranza sono virtù importanti che gli stranieri devono dimostrare di possedere, così ricevetti all’inizio una scarsa attenzione. Mi radunai con i monaci nella cucina, che somigliava piuttosto a un laboratorio di alchimia medioevale, dove bevvi il thè col burro salato e aspettai. Avvicinandosi la sera, un monaco, con gesti silenziosi, mi mostrò una stanzetta in cui avrei dormito. Durante i giorni seguenti, fui lasciato soprattutto libero di farmi i fatti miei, e passai il tempo girovagando attraverso i bui passaggi del monastero, facendo lunghe passeggiate nelle zone circostanti, e raggiungendo i miei amici in cucina solo quando sentivo gli stimoli della fame. La mattina del quarto giorno del mio soggiorno al monastero, un giovane monaco venne alla mia cella e mi indicò di seguirlo. Fui condotto attraverso scuri cor-

I libri nella biblioteca del monastero consistono pagine sciolte tenute insieme da strisce di seta colorata e protette da due di copertine di legno

50 2. Chi era Gesù? ridoi e fatto salire per ripidi gradini di legno nelle parti alte del monastero che non avevo ancora visitato fino ad allora. Alla fine giungemmo al tetto del grande edificio del tempio. Sopra una grande terrazza, sotto il riparo di una tettoia sporgente sulla via di accesso al locale più alto di tutto il complesso, un’assemblea di monaci stava seduta attorno a un grande tavolo. Un monaco di mezza età che esprimeva grande dignità, seduto al lato opposto in fondo al tavolo, si rivolse a me in un inglese quasi impeccabile. Era Nawang-Tsering, il segretario ed interprete dell’abbazia, che spiegò che Sua Santità, Dugsey Rinpoche, aveva saputo del mio interesse e desiderava parlare con me. Mentre ero in attesa dell’udienza, appresi da Nawang-Tsering che il precedente abate di Hemis, che era anche il capo della sétta del Buddhismo tibetano Duk pa Kagyu pa, era assente fin dall’invasione del Tibet da parte delle truppe della Cina comunista. L’abate, che a quel tempo era impegnato in studi superiori nel suo nativo Tibet, aveva rifiutato di lasciare la sua terra senza i suoi genitori, non volendo abbandonarli a un destino incerto, e perciò non gli era stato consentito di partire. Dopo un certo periodo, il governo comunista proibì ogni forma di corrispondenza con lui e l’ultima notizia di lui era che il Grande Lama era prigioniero in un campo di lavoro. Dopo quindici anni durante i quali non si erano più avute sue notizie, l’abate fu dichiarato morto e si iniziò a cercare un sostituto sotto forma di una giovane reincarnazione. Sei anni dopo il tempo presunto della morte, i lama posero lo sguardo su un bambino di due anni che viveva presso la cittadina di montagna di Dalhou- sie (Darjeeling) nel nord-est dell’India, e che venne consacrato ritualmente come Drug pa Rinpoche nel 1975, all’età di dodici anni. Il maestro e consigliere del ragazzo fu l’anziano Dungsey Rinpoche: gli anni fra il suo ritrovamento e la sua consacrazione furono impiegati in intensi studi ed istruzione. Fra i monaci non potei fare a meno di notare un uomo alto di circa trent’anni di età, che era chiaramente non di origine tibetana dato che aveva sul viso le fattezze di un occidentale. Il giovane

51 La vita di Gesù in India era un australiano, che viveva al monastero di Hemis già da pa- recchi anni e parlava correntemente il tibetano. Dimostrò un certo interesse per le mie ricerche. Quando finalmente fui convocato per l’udienza, l’australiano mi accompagnò per farmi da interprete presso il Santo, che parlava solo tibetano. Entrammo in un locale dal soffitto basso decorato magnificamente, in cui un venerabile vecchio era seduto su un piccolo trono nella posa di un Buddha. In fronte a lui c’era una teiera d’argento lavorato sopra un piccolo banchetto. Dopo un inchino verso di lui con le mani incrociate, potei sedermi davanti a lui sul tappeto. Il mio sguardo incontrò un paio di occhi attenti e acuti che irradiavano bontà e saggezza, posti in un volto sorridente adornato da pieghe scolpite e da una sottile barba bianca. Gli mostrai la mia lettera di presentazione e tentai di fargli comprendere quanto fossero importanti quei testi per tutta la Cristianità. Con un sorriso di comprensione, il saggio lama mi consigliò di trovare la Verità per me stesso, prima di tentare di convertire il mondo intero. L’australiano tradusse solo una parte di quello che il lama mi diceva. Finalmente, l’anziano lama mi informò che le scritture in questione erano già state cercate, ma non si era riusciti a trovare niente. Questa notizia mi colpì come un fulmine a ciel sereno, e con un po’ di tristezza e dispiacere mi apprestai a congedarmi. Le parole del lama potevano significare che il monastero avrebbe tenuto il suo prezioso segreto ancora per molti anni. Ma più tardi riuscii a scoprire che esisteva un vecchio diario risalente al diciannovesimo secolo situato presso la Missione della Chiesa di Moravia a Leh: in esso il missionario e studioso di tibetano Dr. Karl Marx aveva citato il soggiorno di Notovitch presso il monastero di Hemis. Al mio rientro a Leh mi misi immediatamente a cercare la Missione di Moravia, fondata dall’ordine tedesco dei fratelli laici fin dal 1885. Tuttavia, zelanti missionari cristiani erano venuti in Tibet molto tempo prima di allora. Alcuni monaci cappuccini avevano visitato ripetutamente Lhasa fin dal quattordicesimo secolo, nella speranza

52 2. Chi era Gesù? di convertire i Tibetani al Cristianesimo – un tentativo che non fu coronato da successo. Quando i missionari cristiani avevano detto ai Tibetani che Cristo si era sacrificato sulla Croce per la redenzione dell’umanità ed era poi risorto alla vita, i Tibetani ave- vano accettato l’intera storia come qualcosa che già sapevano ed avevano esclamato con entusiasmo: “Era lui!”. I fedeli buddhisti erano completamente convinti che Cristo fosse un’incarnazione di Padmasambhava. I missionari erano giunti alla conclusione che avrebbero fatto meglio a smettere di tentare di convertire la popo- lazione, non perchè incontrassero troppa resistenza ma, al contrario, perchè i loro insegnamenti erano interpretati come una conferma degli insegnamenti che erano già stati impartiti da Sakyamuni, Padmasambhava e altri santi buddhisti23. Oggi ci sono meno di duecento cristiani in tutta la popolazione del Ladakh. Padre Razu, il direttore della missione cristiana, tibetano di nascita, mi ricevette cordialmente e, mentre prendevamo un thè con pasticceria fresca, mi raccontò la storia della Missione. Ma non poteva mostrarmi il prezioso diario che era la vera ragione della mia visita, perchè era misteriosamente scomparso tre o quattro anni prima. In quel tempo aveva soggiornato a Leh una delegazione di Zurigo della Chiesa di Moravia, ed aveva trascorso un certo pe- riodo nell’edificio anche il nipote del celebre Dr. Francke, collega del Dr. Marx. Il cordiale sacerdote non aveva alcuna spiegazione per la scomparsa del libro, ma si ricordava che un certo Professor Hassnain di Srinagar aveva preso alcune fotografie delle pagine più notevoli molti anni prima. Hassnain era il professore che aveva dato al giornalista di Stern le informazioni per l’articolo che venne pubblicato nel 1973. Dopo aver fatto ulteriori sforzi per cercare il diario scomparso nella biblioteca municipale e nella biblioteca di Chaglamsar, il vicino villaggio dei rifugiati tibetani, decisi di porre fine al mio soggior- no nel “paesaggio lunare” del Ladakh e di ritornare nell’idilliaca “Valle Felice” del Kashmir. Presso il villaggio di Mulbek c’è una scultura in bassorilievo di Maitreya, il Salvatore dei Buddhisti, la cui venuta era stata promessa da Sakyamuni, cesellata in una parete

53 La vita di Gesù in India

Il Buddha Maitreya (Colui che deve venire) a Mulbeck, dove il Kashmir mussulmano confina con il Ladakh buddista di roccia verticale, alta in totale dodici metri. Il nome Maitreya è collegato all’aramaico meshia – il Messiah che gli Ebrei continuano ad aspettare come loro Salvatore. Il Kashmir è talvolta chiamato la Svizzera dell’India a causa delle sue valli fertili con i grandi, calmi laghi e i limpidi fiumi, circondate da montagne verdi e boscose, poste ai piedi del “tetto del mondo”. Questo paradiso ha attirato gente da regioni anche molto lontane fin dai tempi antichi, specialmente durante l’Età dell’Oro del Kashmir, quando nelle verdi vallate arrivavano pelle- grini da tutto il mondo per studiare gli insegnamenti di Gautama il Buddha, apprendendoli dai celebri saggi del Kashmir. Il Kashmir era considerato il centro del Buddhismo Mahayana, la sede di una scuola dei più nobili valori spirituali e culturali. La conversione della regione all’Islam ha lasciato soltanto dei frammenti dei mo- nasteri, dei templi e degli insegnamenti degli asceti, un tempo diffusi ovunque. La provincia di Jammu e del Kashmir nell’India settentrionale.

54 2. Chi era Gesù?

La provincia di Jammu e del Kashmir nell’India settentrionale.

Malgrado questa localizzazione idilliaca, Srinagar è una città rumorosa e turbolenta, brulicante di attività commerciali. La città è distesa attraverso parecchi laghi, sulla riva sinistra del grande Lago Dal: in tal modo è intercollegata da un gran numero di vie d’acqua che hanno dato a Srinagar l’atmosfera di una Venezia d’Oriente. Una parte notevole degli abitanti vive nelle case galleg- gianti che si trovano in gran numero sui canali della città vecchia o ormeggiate sulle rive dei laghi e presso i “giardini galleggianti”. Le case galleggianti variano molto in forma e struttura, dai semplici dongas ai lussuosi palazzi galleggianti con artistici bassorilievi, che sono dotati di ogni comfort e di ogni comodità – naturalmente in funzione delle disponibilità dei proprietari. A breve distanza dalla città, sulle rive di un piccolo lago, tro- vai vitto e alloggio su un vecchio ma pittoresco battello, che mi sarebbe servito da casa per tutta la stagione. Da questo battello ci si poteva far trasportare in ogni punto della città su piccole barche-taxi coperte, chiamate shikara. Una vasta flotta di barche

55 La vita di Gesù in India guidate dai commercianti trasportava e consegnava tutto quanto serve per le necessità della vita. Perfino un piccolo ufficio postale galleggiante faceva i suoi giri giornalieri. È superfluo dire che era assai piacevole soggiornare in un posto così incantevole, e molti europei e americani erano portati a trascorrere anche periodi più lunghi in queste case galleggianti, magari mentre studiavano il sanscrito, oppure semplicemente per godersi l’incantesimo del luogo – almeno fino allo scoppiare delle sommosse del 1989. Dalla mia barca potevo raggiungere a piedi la moderna Uni- versità del Kashmir in dieci minuti: dovevo passarvi gran parte del tempo, perchè era lì che insegnava il Professor Hassnain. Era l’uomo con cui volevo entrare in contatto a Srinagar e di cui avevo tanto sentito parlare. Il professor Hassnain è uno studioso di fama internazionale, autore di parecchi libri, visiting professor in Giappone e negli Stati Uniti, Direttore del Centro di Ricerche del Kashmir per gli studi Buddhisti e membro della Conferenza Internazionale per la Ricerca Antropologica di Chicago. Inoltre, fino al suo ritiro nel 1985, era direttore esecutivo di tutti i musei, le collezioni e gli archivi del Kashmir e per questo lavorava nel suo ufficio presso il Ministero della Cultura. Quando gli ebbi spiegato le mie speranze e i miei programmi, cominciò con grande entusiasmo a parlarmi delle sue personali ricerche, rimandando al giorno successivo tutti gli altri suoi ap- puntamenti. Dopo diverse ore di vivace conversazione, chiuse il suo ufficio e mi invitò a casa sua. Malgrado la sua importante posizione, il Professor Hassnain resta un uomo alla mano, ami- chevole e cordiale. Durante il seguito dei nostri incontri, appresi via via quello che aveva fatto negli ultimi venticinque anni per scoprire tutto il possibile sulla permanenza di Gesù in India. Ma tutti gli indizi che aveva trovato – fatti, implicazioni, associazioni, collegamenti evidenti – potevano essere interpretati come niente di più che contributi a una ipotesi dubbia, se non assurda, a meno di vederli alla luce delle più recenti ricerche sulla vita di Gesù. Le scoperte

56 2. Chi era Gesù? del professore devono prima essere collocate su una solida base scientifica; inoltre devono essere svelate le vere origini e la sostanza degli insegnamenti di Gesù. Solo allora si possono affrontare le tre questioni più importanti: - È possibile che Gesù abbia veramente viaggiato in India nella sua giovinezza? - È possibile che sia sopravvissuto alla Crocifissione (anzichè essere subito dopo salito al “cielo”)? - È possibile che sia veramente tornato in India e morto in tarda età a Srinagar? Senza questa ricerca preliminare, chiunque sia stato allevato nella tradizione cristiana può essere scusato se respinge la storia della vita di Gesù in India con un sorrisetto ironico. È veramente difficile sbatter via una corrente di quasi duemila anni di convenzioni profondamente radicate. Nello stesso tempo, il fatto che una storia sia stata raccontata per duemila anni non significa che sia vera.

L’autore con il Prof. Hassnain nel suo giardino di Srinagar, capitale del Kashmir

57 Capitolo tre MOSÈ E I FIGLI DI DIO

Le origini degli Ebrei L a ricerca moderna è dell’opinione che Abramo, il patriarca degli Ebrei, sia stato effettivamente una persona storica e sia nato nel diciottesimo secolo avanti Cristo. Secondo l’Antico Testamento Yahweh gli ordinò: “Allontanati dalla tua terra, e dai tuoi parenti, e dalla casa di tuo padre, fino a una terra che io ti mostrerò” (Genesi 12-1). Ma dov’era la dimora originaria degli antenati di Abramo? In Genesi 29 si narra come Giacobbe, nipote di Abramo, avesse viaggiato verso l’insediamento del suo zio materno Labano nella terra dei “figli dell’oriente”. In modo ancora più preciso, nel li- bro di Giosuè si dice che i patriarchi del popolo di Israele sono originariamente venuti dall’Oriente:

Così dice il Signore Dio di Israele: “Al di là del fiume abitarono anticamente i vostri padri: Terakh padre di Abramo e di Nakhor, che servivano altri dèi. Allora io presi il vostro padre Abramo al di là del fiume e gli feci percorrere tutto il paese di Canaan: moltiplicai la sua stirpe e gli diedi Isacco”. (Giosuè 24:2-3)

D iversi passaggi nella Genesi indicano che la prima residenza di Abramo era nella regione di Haran. Secondo la Genesi 12:4, fu mentre Abramo viveva ad Haran che gli venne ordinato da Dio di partire dalla sua terra natale. Più tardi, Abramo rimandò ad Haran il suo servitore più anziano “nella mia terra, e dai miei

58 3. Mosè e i figli di Dio parenti”, per trovare una moglie per suo figlio Isacco (Genesi 24: 4). È generalmente accettato che Haran sia stato un posto nel bassopiano mesopotamico oggi chiamato Harran o Eski-Charran (nell’attuale Turchia). Esiste comunque una cittadina nell’India settentrionale chiamata Haran, pochi chilometri a nord di Srinagar (la capitale del Kashmir), in cui sono stati portati alla luce i resti di antiche mura datate dagli archeologi ad un tempo molto precedente all’era cristiana (Figure 7 e 8). Sebbene non sia più possibile ricostruire in dettaglio gli spostamenti delle tribù ebraiche nomadi, ci sono numerosi indizi che suggeriscono che attorno al 1730 a.C. cominciarono a prendere la via dell’Egitto sotto la guida di Giacobbe. Il sacerdote e storico egiziano Manetho riferisce che “genti di cultura rurale comparvero inaspettatamente dall’oriente, entrarono baldanzosamente nella nostra terra e ne presero possesso con la forza senza incontrare alcuna seria resistenza”. Incisioni murarie nelle camere di sepoltura egiziane dipingono chiaramente questi

Gli scavi di Haran, 12 km a nord di Srinagar

59 La vita di Gesù in India conquistatori con colore della pelle chiara e capelli neri. Il discorso pronunciato da Stefano per la sua difesa personale, come è riportato negli Atti degli Apostoli, fornisce un breve re- soconto di come Abramo, il patriarca degli Ebrei, fu costretto a recarsi nella terra che il Dio di Gloria volle indicargli. Egli partì dalla “terra dei Caldei, e dimorò a Charran” (Atti 7:4), dopo aver viaggiato attraverso la Mesopotamia. Non è improbabile che le famiglie nomadi guidate da Abramo abbiano dato lo stesso nome della loro terra di origine al luogo nella Mesopotamia nord-occi- dentale dove si erano temporaneamente stabiliti. Da Haran il gruppo avanzò infine verso Canaan, dove Abramo diede origine al figlio Isacco, che a sua volta fu il padre di Gia- cobbe ed Esaù. Giacobbe ebbe dodici figli, che sarebbero divenuti i patriarchi delle tribù di Israele. Giuseppe, il penultimo dei dodici figli di Giacobbe, fu venduto dai suoi fratelli gelosi come schiavo in Egitto, dove in quel tempo erano al potere gli Hyksos. In Egitto, Giuseppe raggiunse una posizione di grande potere, nella gerarchia secondo soltanto al Faraone. Poco dopo, mentre Canaan era afflitta da una carestia, gli undici fratelli di Giuseppe sentirono dire che “c’era frumento in Egitto” e partirono per quella terra. Giuseppe aprì le porte ai suoi fratelli e si fece raggiungere in Egitto da suo padre Giacobbe e dall’intero clan: essi si stabilirono dapprima nella provincia di Goshen: un insediamento semitico risalente a quel- l’epoca e situato nella parte nord-orientale del delta del Nilo risulta pienamente accertato. Ben presto gli Ebrei si sparsero ovunque, guadagnando influenza, ricchezza e potere. Il termine “Ebreo” fu così originariamente applicato non a un gruppo nazionale o etnico ma alle persone senza fissa dimora e con pochi diritti, il cui destino era di servire gli Egiziani come lavoro a buon mercato e più tardi anche come lavoro forzato a poco prezzo, come risulta evidente da fonti che risalgono dal quattordicesimo al tredicesimo secolo a.C. Il dettagliato resoconto riportato nell’Esodo 1:11 – in cui gli antenati degli Israeliti vengono forzatamente impiegati per la co- struzione delle città di Phitom e Raamses – suggerisce fortemente

60 3. Mosè e i figli di Dio che il Faraone responsabile di questa oppressione sia stato Ramsete II (1290-1224 a.C.). Fu a quel tempo, o pochissimo tempo dopo, che alcune delle tribù semitiche lasciarono l’Egitto sotto la guida di Mosè, in cerca della terra dei loro padri, la terra di latte e miele che era stata promessa da Yahweh. Chi era Mosè?

Affreschi in una tomba egizia. Sopra: un funzionario egiziano riceve dei nomadi semitici. La gente semitica si distingue dagli Egizi per il colore più chiaro della pelle e per il profilo diverso. Giuseppe arrivò in Egitto con un gruppo come questo.

61 La vita di Gesù in India

Il nome dell’uomo che diede all’antica India le leggi sociali e religiose era Manu. Il legislatore degli Egiziani era chiamato Manes. Il Cretese che codificò le leggi degli antichi Greci – leggi che aveva appreso in Egitto – era chiamato Minosse. Il capo delle tribù ebraiche e promulgatore dei Dieci Coman- damenti era chiamato Mosè. Manu, Manes, Minosse e Mosè, che hanno dato notevoli contri- buti all’umanità di tutto il mondo, appartengono allo stesso schema archetipico. Tutti quattro sono sorti dalla culla di importanti civiltà del mondo antico. Tutti quattro hanno lasciato leggi e istituito una società sacerdotale teocratica. In sanscrito, manu significa un uomo eccellente, un legisla- tore. Quando una civiltà comincia a svilupparsi, ci sono sempre alcune persone chiamate alla grandezza; sono riverite dal popolo e straordinariamente efficienti in tutto quello che fanno. Invece della pura forza delle armi, che serviva come legge più efficace ai popoli primitivi, il potere di questi capi culturali e spirituali viene fatto derivare da un Essere Supremo, o Dio. Questi uomini sono soffusi da un’aura di mistero, e le loro origini umane vengono trasfigurate. Vengono considerati come profeti o messaggeri di Dio, perchè essi soltanto possono gettare luce su perchè e come accaddero le cose nel passato preistorico. Nelle loro abili mani, ogni fenomeno fisico è trasformato per divenire la manifestazione di un potere celeste, che essi possono invocare o togliere a volontà. Ad esempio, i taumaturghi (“maghi”), sia in Israele che in India, certamente sapevano come mettere un serpente in stato di trance catatonica in modo da mostrarlo rigido come uno stecco o un bastone, prima di rimetterlo nella sua condizione originaria – un fatto eseguito ancora oggi dai fachiri indiani. Tuttavia c’è sempre una certa ambivalenza nel ruolo di questi capi spirituali. Aderire alla lettera alle parole di Manu interpretate dai Brahmini (la casta più influente, i sacerdoti) per costituire la struttura sociale dei Veda ha portato alla fine all’incapsulamento della società in un rigido sistema di caste racchiuso in un sistema

62 3. Mosè e i figli di Dio soffocante di leggi e tabù. Mosè ha avuto un simile ruolo dispotico verso il popolo di Israele, i “figli di Dio”. L’etimologia del nome Mosè non è chiara. In egiziano, mos significa semplicemente “bambino”, o letteralmente “nato”, come in Thut-moses, “Thoth è nato”. Secondo la derivazione biblica, basata su elementi ebraici, il nome deriva da mo “acqua” e use “salvo”, con riferimento alla leggenda del piccolo Mosè trovato in un cestino di giunco galleggiante (Esodo 2:10). Non è possibile formare un quadro consistente della persona storica di Mosè, perchè la tradizione ha lasciato un buon numero di domande senza risposta. La ricerca storica sul Vecchio Testamento ha chiaramente dimostrato che Mosè non era l’autore dei “cinque libri di Mosè” che gli erano stati attribuiti. In effetti, il Pentateuco, nella forma in cui l’abbiamo oggi, è stato compilato basandosi su secoli di tradizione orale e scritta. La mancanza di uniformità nel vocabolario complessivo, le contraddizioni e le ripetizioni, oltre alle differenze nelle dottrine teologiche di base, costituiscono tutte prove evidenti che si sono impiegate fonti diverse. Ma anche se molto è stato reso oscuro dall’avvenuto trascorrere dei millenni, si è potuto stabilire almeno che Mosè è stato una figura storica reale. Possiamo ritenere che sia cresciuto nella corte reale, che sia stato educato dai sacerdoti, e che abbia poi raggiunto un così elevato livello di istruzione da divenire influente come amministratore in tutti i dipartimenti dello stato. Mosè fece uso di una particolare mescolanza di pura dottrina e curiose pratiche magiche – un miscuglio variegato di incantesimi vedici e di elementi del rituale religioso egiziano. La sua intenzione era soprattutto proclamare l’esistenza di un Unico Dio, il Dio di Israele, oltre al quale non si dovevano adorare altri dèi. Ed egli fu costretto a ricorrere a “miracoli” per dare importanza al volere di Dio – visto come coincidente con il suo proprio volere. L’atteggiamento uffi- ciale della Chiesa è stato quello di respingere la mitologia greca e romana come radice religiosa del credo cristiano e di accogliere invece in toto le affermazioni attribuite a Mosè, per quanto possa essere difficile accettare che il Dio vendicativo descritto come un

63 La vita di Gesù in India fuoco divoratore sia lo stesso Dio del Nuovo Testamento. Chiunque si opponesse a Mosè nella sua ricerca del potere veniva distrutto. Il fuoco era il metodo usato per queste eliminazioni, e venne usato frequentemente anche per dimostrare potere – perchè Mosè sembra aver ribadito spesso il suo punto di vista in un modo piuttosto incendiario. Aveva evidentemente una notevole varietà di trucchi magici a sua disposizione. A seguito delle sue prestazioni dinanzi ai saggi e ai maghi dell’Egitto (Esodo 7:8-13), Mosè fu considerato un grande mago anche presso gli antichi Greci. Nei primi tempi dell’éra cristiana, furono tramandate scritture apocrife di contenuto magico come completamento al Pentateuco, associan- dole all’autorità di Mosè. Edizioni del “Sesto” e del “Settimo Libro di Mosè”, che sono venute alla luce abbastanza recentemente, si sono richiamate alla tradizione egiziana, offrendoci una miscela di formule, sortilegi, incantesimi e testi contenenti dottrine esoteriche di varie provenienze. Nel suo libro Il Mosè biblico1, pubblicato nel 1928, Jens Juer- gens ci ha mostrato che i sacerdoti egizi erano in grado di produrre polvere da sparo e di usarla in effetti spettacolari o scoppi primitivi fin da seimila anni orsono. Ricerche eseguite dall’archeologo inglese Professor Flinders Petrie2 hanno dimostrato anche che Mosè aveva autorità non soltanto sui templi egiziani, ma anche sulle miniere reali della regione del Sinai – compresa perciò la miniera di zolfo di Gnefru, in cui si era scavato fin dal quinto millennio a.C. Così Mosè venne a sapere della produzione di polvere da sparo durante il suo addestramento sacerdotale: la composizione di detta polvere (zolfo, salnitro e carbone di legna) era tecnicamente abbastanza semplice. Quando i suoi “sudditi” si rifiutavano di dare ascolto alle sue parole (e dopo che egli li aveva pregati a lungo, “dalla mattina alla sera”, Esodo 18:14), egli poteva evocare un “fuoco divoratore” che avrebbe avuto certamente l’effetto desiderato3. Come rappresentante del suo Dio incendiario, Mosè poteva dare ordini per qualunque cosa volesse, e se qualcuno si mostra- va riluttante a corrispondere alle sue richieste talvolta pesanti, una dimostrazione opportunamente spettacolare del suo potere era suffi-

64 3. Mosè e i figli di Dio ciente a ristabilire la pace – come accadde sul Monte Sinai (Esodo 19:1-25). Quando Korah e il suo clan si ribellarono a Mosè, 250 uomini furono “consumati dal fuoco” (Numeri 16:1-35), e poco dopo almeno un altro migliaio perirono tra le fiamme quando an- ch’essi si ribellarono a Mosè. In un’altra occasione, due dei figli di Aronne stavano mettendo nel proprio braciere “un fuoco irrego- lare, che non era stato loro prescritto”, e furono bruciati a morte (Levitico 10:1-7). Sembra che anche lo stesso Mosè abbia subito gravi bruciature durante un’esplosione, in modo che fu costretto a portare una fasciatura alla testa (Esodo 34:29-35). Mosè è ancora molto considerato come il grande legislatore, ma i Dieci Comandamenti rappresentano in effetti niente di più che un sommario codificato di leggi che erano in vigore presso i popoli del Vicino Oriente e dell’India da molto tempo prima dell’epoca di Mosè. Le stesse prescrizioni si possono trovare an- che nelle famose leggi promulgate dal re Amorita Hammurabi di Babilonia (1728-1686 a.C.) cinquecento anni prima. Tutte queste leggi erano probabilmente basate sui testi indiani del RigVeda, antichi di millenni. Mosè non è stato neppure all’origine del monoteismo. La nozione di un solo Dio invisibile e onnipotente, il Creatore dell’Universo, un Padre di amore e bontà, di compassione, sensibilità e fiducia, era già da lungo tempo presente nei Veda e nella tradizione che diventò poi la nordica Edda. Anche Zarathustra, il fondatore dello Zoroastrismo, proclamò apertamente che il suo Dio era il Solo e l’Unico. Nel papiro di Prisse (che risale a circa mille anni prima di Mosè) Dio dice di sè stesso: “Io sono l’Uno invisibile che ha creato i cieli e tutte le cose. Io sono il Dio Supremo, reso mani- festo da me stesso, e senza uguali. Io sono il passato e conosco il futuro. Di ciascuna creatura e di ciascun essere che esiste io sono la legge”. A questo unico Dio senza uguali ci si è riferiti in Egitto come “il Senza-nome”, “l’Unico il cui nome non può essere pronunciato” molto tempo prima di Mosè: Nuk pu Nuk “Io sono chi sono”. (Si

65 La vita di Gesù in India confronti questo con quanto riportato in Esodo 3:14, dove Dio dichiara: “Sono Colui che sono”). Non ci può essere più alcun dubbio che Mosè sia esistito vera- mente. I suoi “miracoli” sono tuttavia basati per la maggior parte su tradizioni molto più vecchie – per esempio, sulla leggenda del- l’antico dio Bacco (originariamente arabo), che fu salvato dall’acqua come Mosè, che attraversò il Mar Rosso a piedi, che scrisse leggi su tavole di pietra, che ebbe eserciti condotti da colonne di fuoco e con la fronte da cui partivano raggi di luce. Il poema epico indiano chiamato Ramayana parla dell’eroe Rama, che condusse il suo popolo in un viaggio attraverso il cuore dell’Asia per raggiungere infine l’India più di cinquemila anni fa. Anche Rama era un grande legislatore e un eroe dai poteri straordinari. Faceva nascere sorgenti nei deserti attraverso i quali conduceva il suo popolo (cf. Esodo 17:6), fornì loro una specie di manna da mangiare (cf: Esodo 16:3-35) e fece terminare una virulenta pestilenza con la bevanda sacra soma, l’“acqua di vita” dell’India. Infine egli conquistò la “terra promessa”, SriL anka, dopo aver invocato sul suo re una grandine di fuoco. Per raggiungere lo Sri Lanka, egli attraversò il mare attraverso un ponte di terra scoperto dalla bassa marea in una località conosciuta ancora oggi come il Ponte di Rama. Come Mosè, anche Rama è raffigurato con raggi di luce che escono dalla testa (le fiamme dell’illuminato, Figura 13). Anche Zarathustra, come Mosè, possedeva un fuoco sacro che poteva usare in vari modi. Secondo gli scrittori greci Eudosso, Aristotele ed Ermodoro di Siracusa, Zoroastro (cioè Zarathustra) visse circa cinquemila anni prima di Mosè, e come lui era di sangue reale, fu portato via a sua madre e fu lasciato esposto all’aperto. Nel suo tredicesimo anno di età diventò il profeta di una nuova religione. Preannunciato da rombi di tuono, Dio gli apparve in una veste di luce, seduto su un trono di fuoco sulle sacre montagne Albordj, circondate dalle fiamme. Là, Dio gli consegnò la sua sacra legge. Infine, Zoroastro girovagò con i suoi seguaci fino a una remota “terra promessa”, e pervenne sulle rive di un mare dove,

66 Mosè che irradia raggi di luce (piuttosto simili a corna), in modo simile a Bacco, secondo la tradizione. Scultura di Michelangelo. La vita di Gesù in India con l’aiuto di Dio, le acque si divisero, così che il Suo popolo eletto potè attraversare il mare a piedi. Forse l’episodio più conosciuto della storia ebraica comincia con l’emigrazione delle tribù d’Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè, alla ricerca di un’altra terra in cui stabilirsi come nuova nazione indipendente. La terra di Goshen, in cui gli Israeliti erano vissuti in precedenza, non è stata ancora localizzata con certezza, ma deve essersi trovata in qualche posto nella zona orientale del delta del Nilo. Alcuni passi della Bibbia fanno menzione di un cambiamento di Faraoni in quel periodo, che dovrebbe coincidere con l’espulsione degli Hyksos all’inizio della diciottesima dinastia sotto Amasis I. La via diretta dal Mar Rosso (Mare dei Reeds – piante acquatiche rosse) alla Palestina era in direzione nord-est, ma i Filistei bloccavano quella strada. Perchè Mosè non abbia preso la via di Beersheba – il posto dove Giacobbe aveva fondato un santuario, e ricco di altre tradizioni patriarcali – rimane un completo mistero. Fatto sta che li condusse tutti verso Sud. Nel terzo mese dell’Esodo, erano arrivati al massiccio del Sinai. Fu probabilmente sulla montagna ora conosciuta come Gebel Musa (“montagna di Mosè”) che ebbe luogo la più notevole dimostra- zione di fuoco del Dio Yahweh. Secondo la tradizione biblica, gli Israeliti rimasero là per otto mesi prima di intraprendere di nuovo il viaggio verso la Terra Promessa. Tuttavia il loro primo tentativo fallì e il popolo d’Israele dovette vagabondare in quelle zone selvagge per altri quaranta anni, o almeno così dice la Bibbia (quaranta era un numero mistico che significa semplicemente “un grande numero”). Quando stava raggiungendo la valle del fiume Giordano, Mosè sentì che non gli restava molto da vivere (Deuteronomio 31:2). Rendendosi conto che non gli sarebbe stato concesso di vedere il suo popolo alla fine del lungo viaggio, egli ripetè nuovamente quelle leggi che dovevano essere considerate come sacre nella Terra Promessa, diede le sue istruzioni finali, distribuì agli uomini i vari incarichi che avrebbero svolto una volta attraversato il fiume Gior- dano, tenne un discorso di saluto e infine salì sul Monte Nebo per

68 3. Mosè e i figli di Dio vedere “la terra di latte e miele” prima di morire. Lassù incontrò la morte (Deuteronomio 34:5) – ma il luogo della sua sepoltura rimase un mistero, perchè “...fino ad oggi nessuno ha conosciuto la sua tomba”. Ma è veramente sorprendente che la tomba di Mosè non sia mai stata trovata, perchè la Bibbia dà una descrizione molto dettagliata del posto, completa con i nomi dei luoghi:

E Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, sulla vetta del Pisga che è di fronte a Gerico...di fronte a Bet-Peor. (Deuteronomio 34:1,6) Sembra ugualmente improbabile che il popolo di Israele non abbia realizzato una sepoltura degna del suo grande salvatore e leader: alcune vestigia frammentarie dovrebbero essere ancora visibili da qualche parte. In verità alcuni resti esistono – ma non in Palestina. Sono nell’India settentrionale.

La tomba di Mosè in Kashmir L a Bibbia nomina cinque riferimenti precisi in relazione alla sepoltura di Mosè (Deuteronomio 34:1-7): i Piani di Moab, il Monte Nebo (nei monti Abarim), il picco del (Monte) Pisgah, Beth-peor ed Heshbon. La Terra Promessa oltre il Giordano era stata espressamente riservata per i figli di Israele e non per tutti gli Ebrei (Numeri 27:12). Se è possibile trovare i luoghi menzionati nei testi, dovrebbe risultare chiara anche la vera localizzazione della Terra Promessa. Il significato letterale di Beth-peor è “posto che si espande o si apre”, come potrebbe riferirsi ad una valle che si apre in una pianura. Il fiume Jhelum nel nord del Kashmir è chiamato Behat in lingua Farsi (persiano) e la cittadina di Bandipur nel punto dove la valle dello Jhelum si apre nel vasto piano del Lago Wular si usava chiamare Behat-poor. Sembra allora che Beth-peor sia diventato dapprima Beath-poor e più tardi Bandipur nel distretto di Sopore, settanta kilometri a nord di Srinagar, la capitale del Kashmir. Circa venti kilometri a nord-est di Bandipur si trova il piccolo

69 La vita di Gesù in India villaggio di Hasba o Hasbal. Questa è la biblica Heshbon (Deutero- nomio 4:46), che è menzionata in relazione con Beth-peor e Pisgah. Sulle pendici del Pisgah (ora Pishnag), a nord di Bandipur, proprio un kilometro e mezzo a nord-est del villaggio di Aham-Sharif, da una sorgente naturale sgorga acqua con proprietà curative. La valle e i piani di Mowu corrispondono ai Piani di Moab, pascolo alpino ideale circa cinque chilometri a nord-ovest del Monte Nebo. Il Monte Nebo è una montagna isolata nella catena Abarim, ed è sempre menzionato in relazione con Beth-peor5. Il Monte Nebo. chiamato anche Baal Nebu o Niltoop, offre una splendida vista di Bandipur e di tutto l’altopiano del Kashmir.

E il Signore gli disse: Questa è la terra che ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo “Ai tuoi discendenti io la concederò”. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non ci entrerai. Così Mosè servitore del Signore morì qui, nella terra di Moab, secondo il volere del Signore. E lo seppellì in una valle nella terra di Moab, di fronte a Beth- peor: ma fino ad oggi nessuno ha conosciuto la sua tomba. (Deuteronomio 34:4-6)

I cinque punti di riferimento nominati si possono quindi loca- lizzare tutti in modo ben preciso. È possibile andare in macchina fino al villaggio di Aham-Sharif – a circa dodici chilometri da Bandipur. Da qui, andare a piedi è l’unico modo per raggiungere il piccolo villaggio di Buth ai piedi del Monte Nebo, salendo verso ovest per circa un’ora lungo un sentiero appena tracciato. La forma della montagna e la sua vege- tazione lussureggiante ricordano fortemente il paesaggio collinare europeo. Il sentiero attraversa parecchi campi prima di raggiungere finalmente la piccola frazione di Buth, direttamente sotto il Monte Nebo. Il wali rishi è il guardiano ufficiale della tomba. Egli ac- compagna i visitatori in un’area sopra il villaggio che sembra un giardino non recintato, in cui si trova un piccolo tempietto simile a una capanna. Questo modesto riparo serve come tomba di una santa islamica, Sang Bibi, una monaca di clausura, e di due sue

70 3. Mosè e i figli di Dio seguaci. Da un lato, all’ombra di una piccola costruzione in legno, si trova una colonna in pietra, che non attira l’attenzione, si alza circa un metro dal suolo ed è quasi completamente ricoperta di erba: questa è la pietra tombale di Mosè. Il wali rishi spiega che i vari rishi hanno custodito rispetto- samente la tomba per più di 2700 anni. Tutto si accorda con la tradizione: la tomba è presso i Piani di Moab, vicino al il picco del Pisga, sul Monte Nebo, la si raggiunge da Beth-peor, e da quel luogo si gode una splendida vista di una fresca e fiorita “terra di latte e miele”, sempre verde, un vero paradiso. Lì vicino, come in

71 La vita di Gesù in India altre parti del Kashmir, ci sono molti luoghi con nomi biblici, oltre a uno o due posti chiamati Muqam-i-Musa, “il posto di Mosè”. A nord di Pisgah c’è il piccolo villaggio di Heshbon (Deuteronomio 4:44-49), che oggi è chiamato Hasbal. E a Bijbihara, a sud di Sri- nagar, c’è un posto sulla riva del fiume chiamato ancora oggi “il bagno di Mosè”, dove c’è una pietra magica chiamata Ka-Ka-Bal o Sang-i-Musa (“Pietra di Mosè”). Secondo la leggenda, la pietra – pesante circa settanta kilogrammi – si pensa che si alzi da sola e rimanga sospesa a circa un metro da terra se undici persone la toccano con un dito mentre cantano la formula magica “Ka-ka, ka-ka”. Il numero undici rappresenta le tribù di Israele. Un altro posto che prende il nome da Mosè si trova presso Auth Wattu (“Otto sentieri”) nel distretto di Handwara. Le rocce alla confluenza dei fiumi Jhelum e Sind (questo non è l’Indo), presso Shadipur a nord di Srinagar, sono chiamate Kohna-i-Musa, “Pietra angolare di Mosè”. Si pensa che lì Mosè si sia sdraiato

“Il bagno di Mosè” a Bijbihara (46 chilometri a sud di Srinagar) e un leone di pietra che si dice risalire a circa 5000 anni fa.

72 La piana che si estende fuori dalla città di Bandipur (già Behatpoor e Beth-peor), con il paludoso Lago Wular.

“La pietra di Mosé” o Ka-Ka-Bal, con la quale si dice che Mosè avesse dimostrato i suoi poteri magici. La vita di Gesù in India sulle rocce. Si dice anche che si sia riposato ad Ayat-i-Maula (o Aitmul, “Segno di Dio”), tre chilometri a nord di Bandipur. Dalla Conquista all’Esilio

Mappa schematica dell’area attorno alla “Tomba di Mosè”: il Monte Nebo, la cima del Monte Pisgah, le montagne di Abarim (Ablu/Abul), Beth-peor (Bandipur), Heshbon (Hazbal), e i Piani di Moab.

74 3. Mosè e i figli di Dio

D opo la morte di Mosè, le dodici tribù di Israele assunsero gradualmente il controllo di Canaan sotto la guida di Giosuè, dividendosi il territorio tirandolo a sorte: questo avveniva nel tredicesimo secolo avanti Cristo. Tutto il processo di prendere possesso della terra e sistemarla per lo scopo prefissato occupò circa 150 anni. Nel cantico di Deborah (Giudici 5:8), viene stima- ta una popolazione di circa 40.000 persone, governate da regole e capi severi – i “Giudici” – in accordo con le leggi di Mosè. Ma neppure il potere dei Giudici fu sufficiente a lungo termine a trasformare dei nomadi sparsi in un popolo unito. Gli Israeliti avevano bisogno di un re che li governasse e di una terra stabile, e Samuele, l’ultimo dei Giudici, consacrò infine Saul Re di Israele alla fine dell’undicesimo secolo a.C. Tuttavia solo con il regno del Re Davide (attorno alla metà del decimo secolo), Israele divenne una sola nazione unita. E la capitale della nazione fu Gerusalemme, dove venne costruito il famoso Tempio durante il regno del figlio di Davide, Salomone. Salomone è famoso in tutto il mondo per la sua saggezza. Ma i testi biblici attribuiti a lui furono certamente scritti molto tempo dopo la sua epoca, e non è mai stato scritto in alcuna parte chi furono i maestri che gli insegnarono la saggezza. Nel suo libro sulla storia naturale della regione di Travancore, nell’India del sud (oggi lo stato del Kerala), il Dott. Mateer scrive: C’è un fatto curioso legato al nome di questo uccello che fa luce sulla storia delle scritture. Il re Salomone mandò la sua flotta a Tarshish (Libro Primo dei Re 10:22), da cui ritornò dopo tre anni portando “oro e argento, avorio e scimmie, e pavoni”. Ora la pa- rola usata nella Bibbia degli Ebrei per pavone è tukki, e poichè gli Israeliti naturalmente non avevano un nome per questi begli uccelli fino a quando non vennero importati per la prima volta in Giudea dal re Salomone, non c’è alcun dubbio che tukki è semplicemente la vecchia parola tamil tokei, il nome del pavone... Ancora, la scimmia in ebraico è koph, mentre la parola indiana è kapi. L’avorio... è abbondante nell’India meridionale, e l’oro è largamente distribuito nei fiumi della costa occidentale. Così il “Tarshish” sopra citato

75 La vita di Gesù in India

era indubbiamente la costa ovest dell’India, e le navi di Salomone furono le prime imbarcazioni di commercio con le Indie orientali6.

A questo si può aggiungere, con grato riconoscimento, il fat- to che, oltre a “oro e argento, avorio, scimmie, e pavoni”, il re Salomone e il suo amico re Hiram (il costruttore) si portarono a casa qualcos’altro dall’India: la loro “magia” e la loro “saggezza”. Altri storici, compreso il famoso esperto di India Max Müller7, fanno risalire ad origini indiane il nome ebraico del pavone e della scimmia. Secondo il Primo Libro dei Re (9:13), Salomone accompagnò Hiram, il re di Tiro, in venti città, fra cui un posto chiamato Kabul (Cabul). Ma Kabul è il nome della capitale dell’Afghanistan, un tempo parte dell’India. Il Kashmir è conosciuto ancora oggi dalla locale popolazione mussulmana come Bagh-i-Suleiman, il “Giardino di Salomone”, e su una montagna che sovrasta la città di Srinagar c’è un piccolo tempio chiamato Takht-i-Suleiman, il “Trono di Salomone”. Secondo un’iscrizione, il “nuovo tempio” fu restaurato nell’anno

Takht-i-Suleiman, il “Trono di Salomone” alle pendici del Barehmooleh che sovrasta Srina- gar, che venne restaurato nel 78 d.C. dal re Gopadatta del Kashmir.

76 3. Mosè e i figli di Dio

Vista di Srinagar dal “Trono di Salomone”, con le case-battello e i “giardini galleggianti” sulle rive del Lago Dal.

78 d.C. dal re Gopadatta (chiamato anche Gopananda) sulle fonda- menta di un edificio più antico, crollato. Secondo una tradizione, Salomone visitò una volta la regione, e fu lui che divise in due la montagna Barehmooleh per realizzare un canale per l’acqua che ancora oggi scorre verso il grande lago Dal. Similmente la tradi- zione gli attribuisce la costruzione di un tempietto che porta il suo nome8. La collina su cui si trova il Takht-i-Suleiman è sacra anche per gli Indù, e oggi la sua cima è incoronata con un tempio Indù. Inoltre i Buddhisti del Ladakh credono che il Trono di Salomone sia stato la dimora del santo Padmasambhava, che ha portato il Buddhismo Mahayana in Tibet nell’ottavo secolo. Il Takht-i-Suleiman di Srinagar non è la sola montagna-trono del re biblico nella grande estensione di territorio che va dalla Palesti- na all’India. Nel nord-ovest dell’Iran, a sud della città di Tabriz, situata in un paesaggio straordinariamente bello paragonabile alla “Valle Felice”, c’è un’altra montagna che porta lo stesso nome. È nota soprattutto per la sua estensione di ruderi, le cui parti più antiche risalgono all’inizio del primo millennio avanti Cristo. In tempi successivi fu costruito qui un importante tempio-di-fuoco

77 La vita di Gesù in India di Zoroastro, e nel massimo fulgore dei Sassanidi – l’ultima di- nastia pre-islamica che ha governato la Persia, dal quarto al sesto secolo d.C. – fu costruito sulla montagna l’enorme palazzo del Khosraus. Le leggende orientali in genere attribuiscono un ruolo importante a questa montagna. Si dice, ad esempio, che uno dei tre Re Magi venuti dall’Oriente sia morto qui dopo il suo ritorno da Betlemme. Alla morte di Salomone attorno al 930 a.C., gli successe il figlio Reoboamo. Ma era appena salito al trono quando scoppiò una rivolta contro la casa reale, guidata da un Eframita esiliato, Geroboamo, con il pretesto di tassazioni esorbitanti. La ribellione provocò una secessione: il regno fu diviso in due parti. Le dieci tribù del nord formarono uno stato indipendente con il nome di Israele e fecero Geroboamo loro capo. Le due tribù del sud ribattezzarono il loro territorio Giudea e continuarono ad essere governate dalla Casa di Davide. I due stati fratelli contrapposti esisterono uno di fianco all’altro per più di duecentocinquanta anni, e la popolazione totale crebbe fino a circa 300.000 persone. La terra così suddivisa, durante quella che viene spesso chia- mata l’Era dei due Regni, fu sottoposta sia a lotte interne sia a un certo numero di invasioni da parte dei più potenti stati vicini. Alla fine Israele, sotto la guida di Jehu e dei suoi discendenti (845-747 a.C.), fu dapprima occupata per tre anni dagli Assiri, guidati da Sargon II, ed infine sopraffatta quando la sua capitale, Samaria, fu conquistata nel 722 a.C. la Giudea resistè ancora cento anni come stato vassallo con il pagamento di un tributo, finchè il re babilo- nese Nabucodonosor prese infine Gerusalemme e la distrusse nel 587 a.C., ponendo fine anche allo stato di Giudea . I conquistatori espulsero con la forza la popolazione. La deportazione delle due tribù di Giuda e Beniamino, che costituivano lo stato del sud, fu inizialmente ritardata nel tempo, ma successivamente Nabucodonosor lì deportò in esilio a Babilonia. Dopo più di cinquant’anni, nel 535 a.C., fu permesso a circa metà di tutti i deportati di ritornare nella loro terra natale, da Ciro II, re dei Medi e dei Persiani. Le dieci tribù che gli Assiri avevano deportato circa 130 anni

78 3. Mosè e i figli di Dio prima dallo stato settentrionale di Israele, che costituivano di gran lunga la maggior parte del popolo ebraico, ebbero un destino mol- to diverso. La maggior parte di essi partirono per l’Oriente e in Palestina non se ne sentì più parlare. “Così Israele fu deportato lontano dalla sua terra... fino ad oggi”. (Libro Secondo dei Re 17: 23). Composte da molte migliaia di persone, entrarono nella storia come “le dieci tribù perdute di Israele” e anche oggi sono spesso descritte come svanite senza lasciare traccia. Ma ci sono molti indizi evidenti che la maggior parte di queste “tribù perdute di Israele”, dopo secoli di peregrinazioni senza patria e di confusione amministrativa, siano arrivate finalmente alla loro Terra Promessa, la “terra dei padri” – l’India settentrionale, dove sono vissute in pace e tranquillità fino ad oggi.

Il diluvio in Kashmir Secondo la cronologia della Bibbia, Abramo era un diretto di- scendente di Noè, l’uomo scelto da Dio per essere l’unica persona destinata a sopravvivere al Diluvio con la sua famiglia. Il racconto biblico non fa alcun riferimento alle origini del padre di Abramo, elencandone semplicemente la genealogia fino a risalire a Noè e al tempo del Diluvio Universale. Uno strato di argilla dello spessore di due o tre metri è stato effettivamente scoperto dagli archeologi che hanno scavato in una zona attorno ad Ur in Mesopotamia, e sono stati trovati frammenti di vasellame sia sotto che sopra lo strato di argilla. Ma questo non prova niente di più del fatto che ci sia stata una notevole inondazione nel distretto attorno ad Ur. Un documento in caratteri cuneiformi proveniente da Ninive descrive la fine di questa catastrofe: “Tutta l’umanità era tornata argilla. La terra era divenuta piatta come un tetto”. Questo strato di argilla è stato considerato come prova del Diluvio universale della Bibbia, e si inserirebbe bene nella storia come è presentata dalla Bibbia, se non fosse per il fatto che gli archeologi stimano la data di questa inondazione attorno al 4.000 a.C. Ma le tribù semitiche nomadi e le loro greggi non avevano

79 La vita di Gesù in India certamente raggiunto la terra dei due fiumi in quel tempo9. Così esse non potrebbero essere sopravvissute a questa inondazione per darvi poi la loro testimonianza oculare. Il Diluvio del racconto biblico deve essere un altro. Il Diluvio in realtà rappresenta qualcosa che ha una tradizione universale, raccontato nella mitologia di quasi tutte le razze. Ci sono state molte Ere Glaciali sulla Terra, e non c’è dubbio che le inondazioni catastrofiche dovute a varie cause devono essere state ugualmente numerose. Il Poema Epico di Gilgamesh dei Sumeri fu scoperto attorno all’inizio del ventesimo secolo fra le rovine dell’antica biblioteca di Ninive, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette di argilla cotta. Uno dei suoi eroi, Utnapishtim, il Noè dei Sumeri, è descritto come un sopravvissuto di una grande inondazione provocata da un atto arbitrario degli dèi. Come nella Bibbia, un uomo costruisce una nave seguendo un consiglio divino e in questo modo sopravvive a un’inondazione, che invece distrugge tutta la vita attorno a lui. Alexander von Humboldt fa menzione che la stessa leggenda si trova fra i Peruviani e in un racconto del Diluvio che si trova in Polinesia l’eroe è persino chiamato Noa. Sono state registrate più di 250 versioni della leggenda del Diluvio in tutto il mondo. Ma qual’è il Diluvio del racconto biblico? Poichè i Veda dell’India sono senza dubbio le più antiche tradizioni nella storia dell’umanità, sembra logico pensare che il racconto vedico del Diluvio rappre- senti veramente la prima narrazione del Diluvio tramandataci. I testi danno una descrizione completa dell’avvenimento: Gli dèi avevano deciso di ripulire il mondo con un’enorme inonda- zione, ma Manu, il grande veggente e saggio, fu esentato per poter preservare la razza umana. Per questo il dio Visnù prese un’incarna- zione terrena per la prima volta come avatar, nella forma del pesce Matsya, e si rivelò a Manu sulla riva di un fiume. Il pesce avvertì Manu che la Terra sarebbe presto stata sommersa e che tutti i viventi su di essa sarebbero periti. Egli ordinò al saggio di costruire una nave che trasportasse lui e la sua famiglia, insieme a sette grandi Rishi (veggenti), ai semi di ogni pianta e a una coppia di ciascuna

80 3. Mosè e i figli di Dio

specie di animali. Egli avrebbe dovuto anche prendere con sè i Veda, per assicurare che i sacri testi venissero conservati. Non appena fu completata la costruzione della nave, cominciarono grandi piogge, i fiumi strariparono, e Visnù si mise, sotto forma di pesce, davanti alla prua dell’imbarcazione, con la punta del muso fuori dall’acqua. Manu assicurò una corda al pesce, e il pesce guidò la nave in salvo attraverso gli elementi infuriati fino a quando trovarono rifugio sui picchi delle montagne Himalayane (cf. Genesi 6-8).

Il Diluvio Vedico è durato 40 giorni – una durata che coincide esattamente con il racconto del Diluvio nella Genesi. La parola tedesca per il Diluvio è Sintflut, la prima parte della quale ha un’etimologia oscura. Molte fonti autorevoli la fanno de- rivare generalmente dal tedesco antico sint, che significa “totale”, così che Sintflut corrisponde a “inondazione totale”. (Il tedesco moderno ha la forma alternativa Sundflut, una modifica successiva, con il senso evidente e non privo di significato, di “inondazione del peccato”). Ma c’è un’altra possibile etimologia. Sindhu è il nome antico del grande fiume al quale il subcontinente indiano deve il suo nome: l’Indo10. Nei tempi antichi, “India” si riferiva alle terre oltre l’Indo, comprese quelle che oggi sono il Tibet e la Mongolia. Più tardi, furono comprese nel termine “India” anche le terre sul lato meridionale e occidentale del fiume, fino al moderno Iran. Visto da occidente, il Sindhu-Indo è il più grande e il più po- deroso fiume che si deve attraversare sulla via dell’India. Scorre da nord a sud attraverso quello che oggi è il Pakistan e si getta attraverso un delta colossale nel Mare Arabico. “L’altra sponda del fiume”, da dove è venuto Abramo11, potrebbe forse essere la terra oltre l’Indo, che serve come barriera naturale fra l’India e l’Occidente. Il fiume ha dato il nome anche all’area chiamata Sind, oggi la provincia più meridionale del Pakistan, con capitale a Karachi. La provincia ha una superficie di 140.000 kilometri quadrati ed è estremamente fertile a causa dell’abbondanza d’acqua: per questo è molto popolata. C’è ancora un altro fiume con il nome Sindh nella provincia

81 La vita di Gesù in India

Il piccolo fiume Sindh con la valle del Kashmir piena d’acqua sullo sfondo. del Kashmir, nel nord dell’India. Questo altro Sindh non è così grosso come il suo gemello più conosciuto, ma certamente è for- se della stessa importanza per la derivazione del termine tedesco Sintflut. Questo Sindh scorre in una valle del nord del Kashmir proprio attraverso la zona visibile dal Monte Nebo, da cui si dice che Mosè abbia guardato la Terra Promessa prima di morire. La sorgente di questo Sindh non è lontana dalla Caverna di Amarnath, che è particolarmente sacra agli Indù, e che attira mi- gliaia di pellegrini ogni anno nella notte di luna piena di agosto. Secondo la leggenda fu qui che il dio Shiva iniziò la sua consorte Parvati ai misteri della Creazione. Tre giorni di cammino seguendo il corso del fiume verso valle portano il visitatore al villaggio di Sonamarg, il “prato dorato”, ancora circa 2600 metri sopra. Notovitch passò di qui prima di attraversare più in alto il passo Zoji-la, a 3500 metri, per raggiun- gere l’altopiano del Ladakh. Il sentiero da Sonamarg segue il fiume per tutta la via fino a Srinagar, 84 kilometri oltre, attraversando antichi ponti di legno e piccoli villaggi posti fra prati verdi e

82 3. Mosè e i figli di Dio alberi da frutta che producono pere, mele e albicocche. Finestre artisticamente scolpite e tetti in legno ben decorati testimoniano la prosperità della regione. Più si va oltre verso Srinagar, più la valle si fa fertile e lussureggiante, vaste terrazze di riso e campi di grano appaiono da entrambi i lati. Infine, la valle si apre pro- prio davanti a un posto chiamato Kangan. In tutto e per tutto, il Kashmir è come un enorme Giardino dell’Eden – le sue enormi aree paludose e i grandi laghi poco profondi sono l’evidenza di una gigantesca inondazione in tempi lontani.

Il Kashmir, la “Terra Promessa” Secondo la Bibbia, il Paradiso – il posto dove fu creata l’umanità, era situato a Est. “E il Signore Iddio piantò un giardino nell’Eden, a oriente; e vi collocò l’uomo che aveva modellato” (Genesi 2: 8). I pochi versi successivi specificano la collocazione geografica del Giardino dell’Eden ancora menzionando quattro fiumi: “C’era un fiume che usciva dall’Eden per irrigare il giardino; poi di lì si divideva e veniva a formare quattro bracci” (Genesi 2:10). In Mesopotamia, la terra “fra i fiumi”, di solito considerata come il Giardino dell’Eden, ci sono solo due fiumi (e il nome della regione lo testimonia). Invece, l’India settentrionale può vantare cinque grandi fiumi, tutti affluenti dell’Indo (Sindh) che coprono una vasta area e danno alla regione il suo nome –la terra dei cinque fiumi, il Punjab. Dopo la divisione dell’India nel 1947, la provincia è stata spezzata fra i due stati: India (Bharat) e Pakistan. I cinque affluenti dell’Indo a ovest del fiume sono lo Jhelum, il Chenab, il Ravi, il Beas e il Sutlej. Una delle più antiche civiltà accertate dell’India era situata nella regione del Punjab – la cultura dell’Indo, che risale circa al 3000 a.C. – e nel Kashmir gli archeologi hanno trovato tracce di una civiltà che risale perfino a 50.000 anni fa. Il nome Kashmir (in sanscrito Kashmira; in Kashmiri Kashir) è stato fatto derivare etimologicamente in tre modi diversi. Cush (Kush) era un nipote di Noè, i cui discendenti dovevano

83 La vita di Gesù in India popolare la Terra, dando i loro nomi alle terre in cui si stabilivano. I discendenti di Cush sono stati associati tradizionalmente, e per più di duemila anni, all’Etiopia, ma la Genesi parla anche delle acque che scorrevano nell’Eden, “Il nome del secondo fiume è Gihon: è quello che gira attorno a tutta la terra di Etiopia” (Genesi 2:13). Virtualmente quasi ogni nome della Bibbia è andato soggetto a notevoli modifiche fonetiche e ortografiche per l’influenza di altre lingue. Così il “Kush” della Bibbia può facilmente essere divenuto “Kash”. In Farsi (persiano), mir significa qualcosa di valore, un gioiello, in russo, mir è una regione occupata da una comunità; e in turco, Mir è un titolo di rispetto. Un’altra interpretazione si basa sulla parola ebraica kasher (scritta anche kashir o, come di solito in inglese, kosher), che significa “degno di approvazione”, specialmente riferito al cibo. Secondo la legge giudaica12 solo gli animali che sono stati macellati ritualmente e dissanguati possono essere usati come cibo. I Giudei si sono sempre distinti dagli altri per le loro regole dietetiche, e così furono chiamati Kasher, come la terra che andarono ad abitare. Più tardi, Kasher diventò Kashmir. I Kashmiri di oggi chiamano ancora la loro terra Kashir, e i suoi abitanti Kashur. Inoltre un’altra possibilità etimologica si rifà al nome di un profeta vedico, Kashyapa, che si dice sia vissuto nella regione in tempi antichi. Kashyapa significa “tartaruga” in sanscrito. Secondo la cosmologia dell’epoca, la superficie leggermente curva dellaT erra circondata dagli oceani era il dorso di una tartaruga che nuotava nell’acqua. In alcuni testi vedici il nome Kashyap veniva anche dato al Dio Creatore, e “Kashyap-Mar” – che divenne Kashmir, secondo questa etimologia – avrebbe allora significato “la terra di Dio”.

Le dieci tribù perdute di Israele Fu nel diciannovesimo secolo – con l’avanzare di una entusia- stica colonizzazione – che l’Occidente cominciò a manifestare un interesse più serio per le terre del lontano Oriente, e cominciarono a filtrare notizie da parecchi esploratori occidentali, che descrivevano

84 3. Mosè e i figli di Dio la loro meraviglia per avere incontrato nel nord-ovest dell’India tribù che erano chiaramente di discendenza ebraica. Il dottore missionario Joseph Wolff, ad esempio, scrisse nella sua opera in due volumi Racconto di una missione a Bokhara negli anni 1843-184513: T utti gli Ebrei del Turkestan affermano che i Turcomanni sono i discendenti di Togarmah, uno dei figli di Gomer, menzionato nella Genesi 10:3... Gli Ebrei a Bokhara sono 10.000 di numero. Il rabbino capo mi ha assicurato che Bokhara è l’Habor, e Balkh è l’Halah, citate in 2 Re 17:6, ma che durante il regno di Gengis Khan si persero tutte le notizie scritte. C’è un’antica tradizione a Bokhara, secondo la quale alcune delle Dieci Tribù sono in Cina... Alcuni Afghani dicono di essere discen- denti di Israele. Secondo loro, Affghaun era il nipote di Asaph, figlio di Berachia, colui che costruì il Tempio di Salomone. I discendenti di questo Affghaun, essendo Ebrei, furono deportati a Babilonia da Nabucodonosor, da cui si spostarono verso la montagna di Ghoree, in Afghanistan, ma nell’epoca di Maometto divennero maomettani. Essi si rifanno ad un libro, Majmooa Alansab, o “Raccolta di Gene- alogie” scritto in persiano... Capitano Riley, sono rimasto sorpreso di trovare degli Afghani di discendenza ebraica.

E infine Wolff scrive: “Passai sei giorni con i figli di Rechab (Bani Arhab)... Essi erano figli di Israele della tribù di Dan, che risiede presso Terim in Hadramawt”14. G. T. Vigne, uno studioso francese viaggiatore membro della Royal Geographic Society, nel libro Resoconto personale di un viaggio a Chuzin, Kabul, in Afghanistan, ha scritto15: Il padre di Ermiah fu il padre degli Afghani. Egli era un contem- poraneo di Nabucodonosor, si chiamò Beni Israel ed ebbe quaranta figli. Ma un suo discendente della trentaquattresima generazione fu chiamato Kys, e fu contemporaneo del profeta Maometto.

Il Dr. James Brice e il Dr. Keith Johnson notano nella loro Descrizione Complessiva di Geografia16, sotto la voce Afghanistan, che gli Afghani “fanno risalire la loro discendenza al re Saul di

85 La vita di Gesù in India

Israele e chiamano sè stessi “Ben-i-Israel”. Secondo A. Burnes, la leggenda afghana di Nabucodonosor conferma che gli Israeliti furono trapiantati dalla Terra Santa a Ghore, nella provincia nord-occidentale di Kabul. Essi rimasero ebrei fino al 682 d.C., quando lo sceicco arabo Khaled-ibn-Abdalla lì convertì all’Islam. Alle opere sopra citate si possono aggiungere molte citazioni letterarie che mettono in evidenza l’insediamento di Israeliti nella regione dell’Afghanistan e nei territori circostanti. Uno dei contributi più importanti è il libro Le tribù perdute del Dr. George Moore17, che trovò molte iscrizioni ebraiche in siti archeologici dell’India. Molto vicino a Taxila, ora a Sirkap, in Pakistan, è stata portata alla luce una pietra che porta un’iscrizione in aramaico, la lingua parlata da Gesù. Ricerche più recenti nella parte pakistana del Kashmir hanno portato alla luce migliaia di iscrizioni e figure su roccia che ri- salgono a tempi preistorici, ai periodi del Buddhismo iniziale e post-cristiani. Il luogo delle scoperte si trova nella valle superio- re dell’Indo, dove un tempo passava la famosa via carovaniera conosciuta come la Via della Seta. Fra queste iscrizioni ce ne sono alcune in ebraico, datate dai ricercatori al nono secolo dopo Cristo – proprio nel periodo in cui l’Islam stava iniziando la sua penetrazione verso l’India18. Lo storico arabo dell’undicesimo secolo Biruni scrisse che in quel tempo non era consentito ad alcuno straniero di entrare in Kashmir, tranne che agli Ebrei. Fin dal diciannovesimo secolo fu fondata in Inghilterra una società che aveva lo scopo di riscoprire le dieci tribù perdute di Israele. Fu chiamata la Società dell’Identificazione di Londra, e la maggior parte delle opere su quell’argomento di autori inglesi sono state pubblicate a cura di quella società. Non c’è bisogno di elencare qui i trenta e oltre autori e le loro opere che provano che la popolazione del Kashmir è di discendenza israelita. È di interesse più immediato il fatto che ben più di trecento nomi geografici, o di città, regioni e zone, e di tribù, clan, fami- glie e individui dell’Antico Testamento possono essere linguisti-

86 3. Mosè e i figli di Dio camente correlati o sono foneticamente simili a nomi del Kashmir e dintorni. Gli abitanti del Kashmir sono diversi dagli altri popoli dell’In-

NOME IN KASHMIR NOME NELLA BIBBIA RIF. NELLA BIBBIA Amal Amal 1 Cronache 7:35 Asheria Asher Genesi 30:13 Attai Attai 1 Cronache 12:11 Bal Baal 1 Cronache 5:5 Bala Balah Giosuè 19:3 Bera Beerah 1 Cronache 5:6 Gabba Gaba Giosuè 18:24 Gaddi Gaddi Numeri 13:11 Gani Guni1 Cronache 7:13 Gomer Gomer Genesi 10:2 e così via...

POSTO IN KASHMIR (PROVINCIA) NOME BIBLICO RIF. BIBLICO Agurn (Kulgam) Agur Proverbi 30:1 Ajas (Srinagar) Ajah Genesi 36:24 Amariah (Srinagar) Amariah 1 Cronache 23:19 Amonu (Anantnag) Amon1 Re 22:26 Aror (Awantipur) Aroer Giosuè 12:2 Balpura (Awantipur) Baal-peor Numeri 25:3 Behatpoor (Handwara) Beth-peor Deuteronomio 34:6 Birsu (Awantipur) Birsha Genesi 14:2 Harwan (Srinagar) Haran2 Re 19:12 e così via... dia sotto ogni aspetto. Il loro modo di vita, il comportamento, la morale, il carattere, i vestiti, il linguaggio, gli usi e costumi e le abitudini sono tutti di un tipo che potrebbe essere descritto come tipicamente israelita. Come gli Israeliti di oggi, i Kashmiri non impiegano grasso per friggere e fare il pane: usano soltanto olio. Ai Kashmiri in generale piace il pesce bollito, chiamato fari, mangiato

87 La vita di Gesù in India in ricordo del periodo precedente l’Esodo dall’Egitto – “Ci ricor- diamo del pesce, che in Egitto mangiavamo gratis” (Numeri 11:5). I coltelli dei macellai nel Kashmir sono fatti con la forma di mezzaluna tipica degli Israeliti, ed anche il timone della gente abituata alla navigazione (Hanijs) hanno la tipica forma a cuore. Gli uomini portano in testa cappelli con significato di distintivi. I vestiti delle donne anziane del Kashmir (Pandtani) sono molto simili a quelli delle donne ebraiche e, come quelle, anch’esse por- tano foulard e stringhe. Come le giovani ragazze ebree, le ragazze del Kashmir danzano in due file contrapposte con le braccia unite, muovendosi insieme avanti e indietro seguendo il ritmo. Chiamano rof le loro canzoni. Dopo avere partorito un bambino, una donna del Kashmir os- serva un ritiro di quaranta giorni per purificazione; questo è anche un uso ebraico. Molte delle tombe più antiche del Kashmir sono allineate con orientamento est-ovest, mentre le tombe islamiche sono normalmente orientate in direzione nord-sud. Un gran numero

I profili di questi due giovani mostrano chiaramente le due diverse razze dell’India setten- trionale: di origine semitica (a sinistra), di origine indo-iraniana (a destra).

88 3. Mosè e i figli di Dio di queste tombe si trovano ad Haran, Rajpura, Syed Bladur Sahib, Kukar Nagh e Awantipura. Nel cimitero di Bijbihara, il posto dove si trovano il bagno e la pietra di Mosè, c’è anche un’antica tomba con un’iscrizione in ebraico. Sessantacinque kilometri a sud di Srinagar, a soli pochi kilo- metri dal “Bagno di Mosè”, si trova il Tempio di Martand. Le notevoli mura esterne dell’edificio, che risalgono all’ottavo secolo, sono decorate di bassorilievi che rappresentano un buon numero di divinità Indù. Ma insieme a queste parti della struttura che derivano da tempi più recenti, sono state scoperte pareti e rovine considerevolmente più vecchie, che non sono ancora state datate, ma che sono chiaramente più antiche di molti secoli rispetto al tempio indù costruito sopra. (Tavole 21 e 22). Può questo forse essere il tempio che un uomo “il cui aspetto assomigliava a quello del bronzo” mostrò al profeta Ezechiele du- rante il tempo dell’esilio di Babilonia (586-538 a.C.)? In effetti il Tempio di Martand sta su una “montagna molto alta” sconosciuta a Ezechiele: un picco dell’Himalaya. E dal suo fianco scaturisce “una fonte”, per fluire nello Jhelum molto più a valle. (Ezechiele 40-43).

89 Il tempio del Sole di Martand, 65 kilometri a sud-est di Srinagar), un tempio con pianta ebraica in Kashmir. È questo il tempio a cui si riferiva Ezechiele.

L’autore sulle mura del tempio a Martand. Sotto le strutture aggiunte nell’ottavo secolo, sono chiaramente visibili i muri di fondazione notevolmente più antichi. La Via della Seta tra l’Estremo Oriente e il Mediterraneo consentiva un proficuo scambio di merci e idee filosofiche anche nei tempi pre-cristiani. CAPITOLO QUATTRO

LAN’INF ZIA DI GESù

La stella dei Re Magi

Nel Vangelo secondo Matteo, secondo capitolo, si legge: O ra quando Gesù nacque in Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che dei Magi, venuti da Oriente, si presentarono a Geru- salemme dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poichè abbiamo veduto la sua stella ad Oriente e siamo venuti ad adorarlo”. (Matteo 2:1-2) Se qualche evento astronomico straordinario ha veramente avuto luogo in quella notte, ce ne devono essere tracce negli scritti seco- lari dell’epoca. E in ogni caso, qualunque congiunzione insolita di pianeti nel cielo notturno, che sia stata o meno riferita, è semplice da controllare matematicamente anche oggi. Anche Giovanni Keplero intraprese questo genere di calcoli. Egli pensava che la stella di Betlemme potesse essere stata una nova apparsa come risultato di una congiunzione fra Giove e Sa- turno nell’anno 7 a.C. Questa idea di una nova (letteralmente una “nuova” stella) fu respinta come teoria praticabile dagli astronomi successivi. Ma la congiunzione stessa che Keplero pensava ne fosse stata la causa viene generalmente accettata da molti come l’evento di Betlemme. Nel corso dell’anno 7 a.C., la congiunzione di Sa- turno e Giove nella costellazione dei Pesci capitò non meno di tre volte. (Come coincidenza, un pesce diventò un simbolo di Cristo e fu un segno segreto di riconoscimento fra le prime comunità cristiane). Una simile congiunzione in questo segno dello Zodiaco

92 4. L’infanzia di Gesù avviene soltanto una volta ogni 794 anni: chiunque l’abbia vista deve essere rimasto impressionato per mesi dallo spettacolo dei due pianeti che appaiono così vicini nel cielo notturno da sembrare una stella doppia di grande splendore1. Nel 1925 l’orientalista Paul Schnabel riuscì a decifrare una tavoletta cuneiforme antica di quasi 2.000 anni, che era stata trovata nell’osservatorio di Sippar, sull’Eufrate. Essa conteneva un’accurata descrizione dell’avvenimento astronomico dell’anno 7 a.C. – la grande congiunzione fra i pianeti Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci2. Verso la fine dell’anno 8 a.C., Giove e Saturno erano visibili solo dopo il crepuscolo nella parte occidentale del cielo, divisi da circa 16 gradi: Giove stava uscendo dalla costellazione dell’Acquario e Saturno era già nei Pesci. Nel febbraio dell’anno 7 a.C., entrambi i pianeti scomparvero perchè coperti dai raggi del Sole e rimasero invisibili per parecchie settimane. Gli astrologi del Medio Oriente attendevano con impazienza il riapparire di Giove, aspettandolo come un’occasione spettacolare e fuori del comune, all’alba del tredicesimo giorno del mese di Adaru dell’anno 304 dell’Era dei Seleucidi, ovvero il 16 marzo del 7 a.C. Successivamente osser- varono Giove che si avvicinava ancora di più a Saturno, fino a quando i due pianeti finalmente “si toccarono” alla fine del mese di Airu (29 maggio del 7 a.C.). Questa congiunzione, nella quale sia Giove che Saturno avevano un’altezza sull’orizzonte di 21° nei Pesci, separati soltanto di un grado in declinazione ed esattamente con lo stesso azimuth, capitò ancora due volte in quell’anno quasi nello stesso modo, il 3 ottobre e il 5 dicembre. Entrambi i pianeti erano visibili dal crepuscolo fino all’alba e raggiungevano l’altezza massima sull’orizzonte attorno alla mezzanotte. Man mano che il sole tramontava a occidente, i pia- neti sorgevano ad oriente, e quando a loro volta sparivano sotto l’orizzonte all’ovest, il sole all’alba riappariva ad est. All’inizio dell’anno, tuttavia, i due pianeti uscirono dalla copertura della luce del sole (un sorgere eliacale), e alla fine dell’anno scomparvero ancora una volta dietro i raggi del sole (un tramonto eliacale).

93 La vita di Gesù in India

O gni notte di quell’anno Giove e Saturno rimasero visibili, non lasciando mai la reciproca compagnia di oltre tre gradi. Un simile spettacolo non è stato più visto nel segno zodiacale dei Pesci per altri ottocento anni. Nel Vangelo secondo Matteo, la stella è citata tre volte. I re Magi dapprima dicono, “... perchè abbiamo visto la sua stella ad oriente...”. Il testo greco originale, per “oriente” usa il termine anatole. I linguisti storici hanno scoperto che anatole, usato al singolare ha un significato di particolare rilievo astronomico. Si riferiva alla comparsa della Stella del Mattino, una stella (o pianeta) che precedeva il sole all’alba, sorgendo ad oriente poco prima del levar del sole. Usata al plurale, la stessa parola aveva una connotazione geografica e si riferiva invece alle terre dell’est, l’Oriente. Così i tre re Magi potevano aver seguito il fenomeno celeste da oriente a occidente. Il secondo riferimento all’evento astronomico nel Vangelo di Matteo ha anch’esso un particolare significato in greco: “Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece precisare il tempo dell’apparizione della stella” (Matteo 2:7). La parola greca che significa “apparire” era anche un termine tecnico astronomico che si riferiva alla comparsa di una Stella del Mattino ad oriente. Secondo le credenze popolari dell’epoca, la “stella personale” di ciascuno sorgeva al momento della sua nascita. La questione di Erode comporta che quella nascita doveva essere avvenuta un po’ di tempo prima. Secondo il calendario babilonese, il sorgere di Giove era apparso durante l’ultimo mese dell’anno 304 dell’era dei Seleucidi. L’anno 305 (6 a.C.) iniziò con il mese primaverile di Nisannu, che segnava anche l’inizio del nuovo anno ebraico. Quando i Magi arrivarono a Gerusalemme, la congiunzione fra Giove e Saturno doveva essere decisamente nel suo secondo anno, e Gesù – nato probabilmente nel 7 a.C. – doveva avere quasi due anni. Fu probabilmente per questa ragione che Erode fece uccidere tutti i bambini di certe comunità fino all’età di due anni. Che cosa spinse questi misteriosi saggi d’Oriente (la parola greca anatole è qui usata al plurale) ad affrontare le fatiche di un

94 4. L’infanzia di Gesù viaggio che durava molti mesi, forse anche due anni per la sola andata, e che comportava così grandi sacrifici? Da dove venivano, e perchè cercavano con tanta insistenza un bambinetto? La teolo- gia tradizionale non fornisce alcuna risposta alla questione di chi fossero realmente i “tre saggi” o magi.

Chi erano i tre Magi? Nell’antico testo greco, i saggi erano chiamati magoi (dal per- siano antico magus). I Magi della storia biblica furono elevati alla regalità per la prima volta nel sesto secolo da Cesario di Arles. Nel nono secolo, a questi “re” furono dati i nomi, di fantasia, di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. In realtà le fonti più antiche non specificano quanti fossero i Magi, ma il loro numero venne fissato a tre fin dai tempi di Origene3, forse perchè erano stati lasciati tre doni. Ciò che è certo è che i Magi avevano fatto un lungo viaggio dall’Oriente, che erano molto versati nelle pratiche “magiche”, erano esperti astronomi e non erano affatto poveri. Ciò significa che la storia dell’arrivo di una stella che si è fer- mata proprio sopra la stalla di una locanda rustica, in cui giaceva un bambino nato solo da poche ore, è soltanto un mito religioso. È molto più verosimile che il bambino, che aveva allora quasi due anni di età, venisse cercato e visitato a casa da persone ben consapevoli della statura divina del ragazzo. Tutto questo eviden- temente non incontrava il favore di Erode, perchè quando il re apprese che cosa i tre stavano cercando, ne rimase molto colpito, e “tutta Gerusalemme con lui”. Se il bambino sia stato forse come il messianico Salvatore la cui venuta era attesa dalle sette segrete di Qumran, dei Nazareni e degli Esseni, è un tema che sarà ripreso più avanti in questo libro. Comunque, oggi si sa che il monastero di Qumran, vicino al Mar Morto, fu abbandonato per dieci anni durante il regno di Erode il Grande – cioè che la misteriosa ed esoterica setta fu messa al bando per quegli anni. Questo bando totale conferma la collera del re e il suo tentativo di assicurarsi che il bambino fosse stato ucciso.

95 La vita di Gesù in India

Potrebbero i membri della setta proibita avere mantenuto le- gami con i loro fratelli in India, con le tribù perdute della Casa di Israele? L’apocrifo Vangelo dei Nazareni4 contiene il seguente passaggio: Quando Giuseppe alzò gli occhi e guardò fuori, vide un gruppo di viaggiatori che si avvicinavano, venendo direttamente in direzione della caverna; e disse: “Adesso mi alzo e vado a riceverli”. Imme- diatamente dopo essere uscito, Giuseppe disse a Simone: “Le persone che si stanno avvicinando sembrano essere astrologi, perchè pare che stiano sempre guardando il cielo e parlando fra di loro. Ma sembrano anche essere forestieri, perchè il loro aspetto è diverso dal nostro; i loro abiti sono molto ricchi e la loro pelle è molto scura; inoltre portano un copricapo sulla testa; i loro lunghi abiti mi sembrano soffici e coprono anche le loro gambe”. A questa distanza di tempo è pressochè impossibile avere al- cuna prova che i Magi venissero dalla Persia oppure dall’India. È comunque veramente sorprendente notare quanto la storia dei tre Magi corrisponda ai racconti dei metodi con i quali vengono localizzate ancora oggi in Tibet le reincarnazioni5 dei grandi lama Buddhisti dopo la morte. Il modo con cui è condotta una simile ricerca, seguendo rituali antichi e tradizionali, è descritto nei re- soconti della “scoperta” dell’attuale Dalai Lama come bambino6, e nel libro dell’alpinista austriaco Heinrich Harrer, che ha trascorso sette anni alla corte del dio-re a Lhasa7.

Come localizzare una reincarnazione? Poco tempo prima della sua morte nel 1933, il tredicesimo Dalai Lama aveva dato alcune indicazioni sul luogo e sul tempo della sua successiva reincarnazione. Ogni giorno il suo corpo veniva posto nella stessa posizione nel Palazzo del Potala, guardando verso sud nella tradizionale posizione del loto. Ma una mattina il suo volto fu visto girato verso est. E su un piedistallo di legno a breve distanza verso nord-est dall’altare su cui era seduto apparve in maniera improvvisa e misteriosa una specie di fungo a forma di

96 4. L’infanzia di Gesù stella. Appena ricevuti questi segnali, i lama più eminenti esegui- rono un rituale magico durante il quale interrogarono un monaco che si era messo in stato di trance e che doveva operare come un oracolo. Il monaco gettò una sciarpa cerimoniale bianca in una direzione attorno all’oriente, e strane formazioni nuvolose apparvero a nord-est sopra Lhasa. Ma dopo questo episodio i lama-maghi non ricevettero ulteriori segnali per altri due anni. Finalmente il lama-capo in carica (il “lama reggente”) fu ispirato ad andare in pellegrinaggio al lago santo di Lhamoi Latso, presso Ch’Khor Gyal, a 144 kilometri di distanza. I Tibetani credono che il futuro venga riflesso nelle limpide acque di questo lago di montagna. Dopo giorni di meditazione preparatoria, il lama reggente ebbe la visione di un monastero di tre piani con i tetti dorati, nei cui pressi c’era una piccola fattoria cinese con sottotetto riccamente decorato e un bordo verde che ornava il tetto. In sovrapposizione a questa scena stavano le tre lettere tibetane Ah, Ka e Ma. Una descrizione dettagliata di questa visione fu riportata sulla carte e tenuta strettamente segreta. Colmo di gratitudine per le divine istruzioni e in completa fiducia, il lama reggente ritornò a Lhasa, e iniziarono nel palazzo i preparativi per la successiva ricerca. I più importanti di questi preparativi erano i pronunciamen- ti degli astrologi, senza i calcoli dei quali non poteva essere intrapresa alcuna mossa significativa. Infine, nel 1937, diverse spedizioni furono inviate da Lhasa per cercare il sacro bambino secondo i presagi celesti, nella direzione indicata. Ciascun gruppo comprendeva lama saggi e degni, di rango notevolmente elevato nella teocrazia. In aggiunta ai loro servitori, ciascun gruppo por- tava con sè preziosi regali, alcuni di essi presi fra gli oggetti di proprietà del defunto. I doni avevano il significato di simboli di devozione per il nuovo Dalai Lama, ma costituivano anche una prova attraverso la quale poteva essere verificata l’identità della nuova reincarnazione. Il defunto Dalai Lama poteva teoricamente essere rinato a molte migliaia di kilometri dal luogo della sua dimora precedente – e questo in effetti si rivelò essere il caso del quattordicesimo Dalai Lama.

97 La vita di Gesù in India

L a ricerca portò ben oltre i confini del Tibet centrale, nel distretto di Amdo, nella regione del Dokham, che era sotto amministrazione cinese. Come luogo di nascita del riformatore del Lamaismo, Tsong Khapa, c’erano in quella zona diversi monasteri. La spedizione trovò parecchi potenziali candidati, ma nessuno di essi corrispondeva esattamente ai dettagli della visione o ai pronunciamenti astrologici. Finalmente, durante l’inverno, presso il villaggio di Takster, il gruppo arrivò al monastero a tre piani di Kumbum, coperto di tetti dorati e vicino a una graziosa piccola fattoria con un tetto turchese e sottotetti scolpiti. Tutto corrispon- deva esattamente alla visione del lama reggente. Due lama di alto rango si finsero servitori e un giovane monaco del gruppo fece il ruolo del loro maestro. La finzione aveva il fine di nascondere nell’immediato il vero scopo della visita, di evitare emozioni non necessarie e consentire alla delegazione di ispezionare il posto in un’atmosfera tranquilla. I monaci entrarono nella casa con due funzionari del monastero locale. I due alti religiosi – uno dei quali era Lama Kewtsang Rinpoche del monastero di Sera a Lhasa – furono accompagnati in cucina nel loro ruolo di servitori, mentre l’altro monaco fu fatto accomodare nella stanza principale. Nella cucina della casa stavano giocando i bambini della famiglia, e non appena il Lama Rinpoche, che si fingeva servitore, si mise a sedere nel locale, un piccolo bambino di due anni corse verso di lui e gli si gettò in grembo. Il reverendo monaco portava una collana per preghiere che era appartenuta al defunto Dalai Lama, e il bambino sembrò riconoscerla e cominciò a tirarla come se volesse averla. Il lama promise al bambino di dargliela se avesse indovinato chi era il suo visitatore – e il bambino diede imme- diatamente la risposta “Sera-aga”, “Il Lama di Sera” nel dialetto locale! L’abilità del bambino nel riconoscere un lama camuffato da servitore era abbastanza sorprendente, ma il fatto che egli avesse in qualche modo saputo che il lama veniva da Sera riempì di stupore perfino questi monaci, che erano abituati agli eventi miracolosi. Il lama chiese allora al bambino come si chiamasse il loro presunto “maestro” ed egli rispose “Lobsang”. Il nome del servitore era

98 4. L’infanzia di Gesù infatti Lobsang Tsewang. Quei lama di alto rango passarono tutta la giornata ad osservare il bambino, trattenendosi il più possibile dall’accordargli quella profonda riverenza che erano convinti gli fosse dovuta, poichè erano ormai sicuri di avere finalmente trovato la reincarnazione. Ma essi partirono il giorno successivo, per ritornare alcuni giorni dopo con tutti gli altri membri della spedizione. Fu soltanto quando i genitori del bambino videro la processione di alti dignitari nei loro abiti completi che si avvicinavano alla loro umile dimora che si resero conto che loro figlio doveva essere una reincarnazione. Nel vicino monastero di Kumbum era morto da poco un lama particolarmente santo, e quei contadini credettero che il loro piccolo caro fosse la sua reincarnazione. Infatti era già stata fatta un’indagine su uno dei figli più grandi di quella coppia di contadini per accertare se era lui la reincarnazione. Non è raro per questi bambini reincarnati ricordare oggetti e persone conosciuti durante la loro vita precedente. Alcuni sono persino capaci di recitare scritture che non erano state loro inse- gnate. Nell’isolata tranquillità del Tibet ci sono sempre state molte prove evidenti che le vite precedenti possono lasciare tracce nella vita attuale. Tuttavia in Occidente questo raramente accade perchè gli occidentali tendono a scartare a priori l’idea che una persona morta possa rinascere in un nuovo corpo. I quattro capi Bonpo della delegazione di Lhasa procedettero poi ad eseguire le prove prescritte. Dapprima offrirono al bambi- no due collane da preghiera quasi identiche, una delle quali era appartenuta al tredicesimo Dalai Lama. Senza alcuna esitazione, il bambino scelse quella giusta, se la mise al collo e si mise a saltellare contento per tutta la stanza. La prova fu ripetuta con parecchie altre preziose collane da preghiera. Poi la delegazione offrì al bambino due diversi tamburi rituali – uno grande e istoriato, decorato d’oro, e uno molto più semplice che era appartenuto un tempo al defunto Dalai Lama. Il bambino prese il più semplice dei tamburi e continuò a giocare con questo, battendo un ritmo esatta- mente nello stesso modo con il quale questi tamburi vengono usati

99 La vita di Gesù in India nelle cerimonie religiose. Infine, furono presentati al bambino due bastoni da passeggio, ed egli dapprima toccò il bastone sbagliato, fece una pausa, prese in considerazione per breve tempo entrambi i bastoni ed infine scelse quello che era appartenuto al dio-re. Ai presenti, che erano rimasti sorpresi davanti all’apparente esitazione del bambino, fu subito spiegato da Rinpoche che anche il secondo bastone era stato usato per un certo periodo dal tredicesimo Dalai Lama, prima che egli lo donasse a Lama Kewtsang. C’è un parallelo evidente fra una simile presentazione di og- getti preziosi che erano stati di proprietà del defunto re e i doni di valore portati dai Magi dall’Oriente al bambino Gesù. È anche ovvio che un bambino deve aver raggiunto un’età di almeno due anni circa prima di essere pronto per una prova del genere. A queste prove venne aggiunta un’interpretazione delle tre lettere che il lama reggente aveva visto nella sua visione. Fu ipotizzato che la prima lettera, Ah, stesse per Amdo, il distretto in cui il bambino fu trovato. Le due lettere Ka e Ma furono considerate come rife- rentesi ad una piccola lamaseria sulla montagna sopra il villaggio di Taktser, Ka(r)ma Rolpai Dorje – dove il tredicesimo Dalai Lama aveva soggiornato qualche anno prima, durante il suo viaggio di ritorno dalla Cina. A quel tempo, la visita del tredicesimo Dalai Lama aveva suscitato una certa sensazione nell’intera regione, e fra le persone benedette dal loro dio-re c’era il padre della nuova reincarnazione, che allora aveva solo nove anni. Inoltre, si dice che il Dalai Lama precedente abbia osservato con attenzione la piccola casa rurale dove fu poi scoperta più tardi la sua reincarnazione e abbia notato con una specie di nostalgia quanto bello e sereno fosse il luogo. Si dice anche che il Dalai Lama abbia lasciato dietro di sè un paio di stivali nella piccola lamaseria, un gesto che poteva essere visto come un certo simbolismo preveggente. I delegati furono completamente soddisfatti di ogni dettaglio di conferma: la reincarnazione era stata trovata. Annunciando la scoperta e mettendone in chiaro l’evidenza, essi mandarono un telegramma in codice a Lhasa via Cina e India, e in risposta ricevettero istruzioni per organizzare la successiva operazione con la massima segretezza

100 4. L’infanzia di Gesù allo scopo di non indurre sospetti sbagliati nelle autorità cinesi. In particolare, poichè la ricerca aveva avuto successo in territorio cinese, era essenziale sviare i funzionari cinesi per poter sottrarre il giovane re alla loro autorità. Al governatore della provincia, Ma Pufang, venne spiegato che il bambino doveva essere portato a Lhasa perchè era uno dei tanti possibili pretendenti alla successione del defunto Dalai Lama. Dapprima Ma Pufang chiese 100.000 dollari cinesi per lasciare andar via il bambino, ma quando trovò che la somma era pronta, richiese altri 300.000 dollari. Il timore più grave della delegazione era che, se avessero ammesso di avere trovato il vero dio-re, la Cina avrebbe potuto insistere nel voler mandare truppe con lui a Lhasa “per la sua protezione”. Di nuovo i paralleli con la situazione simile che si verificò a Gerusalemme duemila anni fa sono sorprendenti: là infatti il divino bambino doveva essere portato fuori dallo stato per evitare ogni azione da parte del governatore romano della provincia, Erode. “Allora Erode, quando vide che era stato beffato dai Magi, si infuriò moltissimo” (Matteo 2:16). Per motivi di sicurezza, tutta la corrispondenza fra Amdo e Lhasa venne trasportata attraverso corrieri, che richiedevano spesso diversi mesi. Così ci vollero altri due anni prima che la carovana con la delegazione, il bambino e la sua famiglia, potessero finalmente partire per Lhasa. Il viaggio per il confine delT ibet centrale richiese molti mesi, ma quando arrivarono trovarono là un ministro e il suo seguito a dar loro il benvenuto; la scelta del Dalai Lama era stata confermata con una lettera dal lama reggente in carica. Fu solo in quel momento che i genitori del bambino si resero conto che loro figlio era niente meno che il nuovo capo di tutto il Tibet. Molto simile a questa storia ben accertata di come venne scoperto il Dalai Lama è un altro episodio accaduto molto di recente. Quadretti di scritte tibetane, statue dorate del Buddha e fiori freschi adornano la stanza da letto del piccolo bambino spagnolo Osel. Egli siede su cuscini di velluto decorati da broccati e porta uno splendido piccolo abito. I Buddhisti tibetani di tutto il mondo sono convinti che il piccolo Osel Hita Torres, di due anni, sia

101 La vita di Gesù in India veramente la reincarnazione del Lama Thubten Yeshe, che morì nel 1984 dopo un attacco di cuore. Durante la sua vita egli ha fondato trentuno centri buddhisti nel mondo occidentale, di cui uno in Spagna, il Paese in cui gli piaceva di più stare. Presso la città di Granada esiste il centro Buddhista chiamato Osel Ling (“Città della piccola luce”), che è tenuto da Paco e Maria Hita, un muratore e una commerciante di francobolli, che sono i genitori del piccolo Osel. Il bambino aveva appena sette mesi quando Lama Zopa, un discepolo di Thubten Yeshe, lo riconobbe come la reincarnazione del suo maestro defunto. A Lama Zopa era stato affidato il compito di cercare la rinascita del defunto da parte del Dalai Lama, dopo che Thubten Yeshe era apparso in sogno al suo discepolo come un bambino. Il Dalai Lama stesso espresse il desiderio di conoscere il bambino, così Paco e Maria si misero in viaggio con Osel verso l’India, dove vennero eseguite le prove prescritte. In una di esse furono mostrate al bambino di- verse collane per preghiere, di cui alcune molto preziose, ed egli scelse con sicurezza l’unica che era appartenuta in precedenza a Lama Thubten Yeshe. Il 19 marzo 1987, il bambino spagnolo – che allora aveva due anni – fu ritualmente riconosciuto come un lama reincarnato. Da allora, Osel sta frequentando una scuola monastica in Ne- pal. Comunque la sua istruzione richiederà quarant’anni, e soltanto allora potrà assumere il ruolo di abate del monastero nepalese di Kopan come successore di Yeshe. Osel è la prima reincarnazione in tempi recenti trovata al di fuori delle normali aree di cultura buddhista.

La fuga in Egitto D opo che i saggi dell’Oriente avevano individuato il bambino Gesù presso Gerusalemme, suo padre Giuseppe ricevette istruzioni da Dio: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta lì finchè io te lo dica: poichè Erode si accinge a cercare il bambino per farlo uccidere” (Matteo 2:13). La via della

102 4. L’infanzia di Gesù fuga deve probabilmente averli portati via Hebron verso Beershe- ba, e di là attraverso il deserto fino al Mediterraneo. Solo qui, al confine dell’Egitto, essi erano salvi. A quel tempo, circa un milione di Ebrei vivevano in Egitto – duecentomila nella sola Alessandria. Per tradizione quel Paese era stato per un certo tempo un rifugio per gli Ebrei, che vivevano in quelle che erano virtualmente co- lonie complete, con sinagoghe, scuole e qualunque altra cosa per consentire a un forestiero di sentirsi a casa. La strage degli innocenti perpetrata da Erode e riferita nei Van- geli è confermata in un rapporto scritto durante la vita di Gesù dai membri della setta degli Esseni. La setta era evidentemente oggetto delle persecuzioni di Erode e perciò era costretta ad operare in segreto nella sua stessa patria. “Il re successivo non era venuto dalla classe sacerdotale ed era una persona audace e senza Dio. Egli faceva uccidere ugualmente giovani e vecchi ed aveva sparso il terrore in tutto il territorio” (Ass. Mos 6:22). Il Professor Hassnain mi disse una volta che scuole missionarie buddhiste – vihara – erano presenti ad Alessandria anche prima dell’era cristiana. Il mio dizionario buddhista cinese definisce un vihara come un posto “che è insieme un’accademia, una scuola e un tempio e serve allo studio e alla pratica del Buddhismo. Que- sti edifici erano idealmente costruiti con legno di sandalo rosso (chandana), consistevano di trentadue stanze, ciascuna delle quali era alta otto “alberi di tala”; con un giardino, un parco, un locale da bagno e la cucina per il tè, bene arredati e con le pareti ben adornate, con provviste, letti, materassi e tutti i necessari comforts”9. Si può quindi facilmente pensare che Gesù sia stato introdotto alla saggezza della filosofia orientale fin dalla prima infanzia dagli studiosi Buddhisti di Alessandria. Attraverso un’istruzione accade- mica di questo tipo può essere spiegato, dopo tutto, il fatto che Gesù sia stato in grado di stupire con la sua saggezza i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme quando era un ragazzo di soli dodici anni. “E tutti coloro che lo ascoltavano erano stupefatti della sua intelligenza e delle sue risposte” (Luca 2:47). In quei tempi, l’età alla quale abitualmente un ragazzo si spo-

103 La vita di Gesù in India sava era di circa dodici anni. Gesù riuscì ad evitare anche questa consuetudine. Egli aveva ora un’età sufficiente per continuare i suoi studi nel luogo che poteva bene essere stata la terra dei suoi veri padri spirituali – l’India. Soltanto dopo che erano trascorsi dieci anni completi dalla morte dell’odiato usurpatore Erode (che avvenne poco tempo prima della Pasqua dell’anno 4 a.C.) Gesù potè tornare senza pericolo al suo paese natale: Morto Erode, ecco che un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe, in Egitto, e gli dice: Levati, e prendi con te il bambino e sua madre e ritorna nella terra d’Israele, perchè sono morti quelli che attentavano alla vita del bambino. Ed egli si alzò, prese con sè il bambino e sua madre, e rientrò nella terra d’Israele. Ma quando apprese che Archelao regnava in Giudea al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi (Archelao fu etnarca – go- vernatore locale – di Giudea e Samaria dal 4 a.C. al 6 d.C., cioè fino al tempo in cui Gesù ebbe un’età di dodici o tredici anni); tuttavia, essendo stato avvertito da Dio in sogno, si ritirò nella regione di Galilea: E venne a stabilirsi in una città chiamata Nazareth, affinchè si adempisse quanto era stato detto per mezzo dei profeti. Egli sarà chiamato un Nazareno. (Matteo 2:19-23)

104 CAPITOLO CINQUE

SAGGEZZA ORIENTALE IN OCCIDENTE

L’espansione del Buddhismo L a grande diffusione del Buddhismo, anche prima dell’epoca pre-cristiana, può essere fondamentalmente attribuita all’iniziativa di uno dei più grandi leaders non solo della storia dell’India ma di tutta la storia del mondo: l’Imperatore Ashoka, che visse circa dal 273 al 232 a.C. Ashoka è stato una delle figure più influenti di tutti i tempi, dal punto di vista politico, etnico e culturale. Du- rante il suo regno, l’Europa fu teatro della prima delle guerre fra Roma e Cartagine. Avendo fatto personalmente esperienza degli orrori della guerra durante la sua giovinezza, l’Imperatore decise di rinunciare alla violenza, dedicandosi invece agli insegnamenti di pace del Buddhismo. Molti dei suoi decreti e delle sue leggi benevole ci sono per- venuti fino ad oggi in forma di iscrizioni singole sulle pareti di edifici e templi. In un decreto, l’imperatore dava ordine che venisse protetto ogni essere vivente: “Tutti sono miei figli. Proprio come desidero che i miei figli possano godere di tutte le benedizioni e le gioie che si possono trovare in cielo e in terra, così desidero lo stesso per tutti”. Ashoka fece costruire non meno di 84.000 monasteri buddhisti in India e fece realizzare ospedali per pazienti sia umani che animali attraverso tutto il suo enorme impero. Fece convocare il secondo Concilio Mondiale Buddhista a Pataliputra (che corrisponde alla moderna Patna), la capitale del suo impero: vi presero parte migliaia di monaci. E in accordo con gli insegnamenti del Buddha, Ashoka

105 La vita di Gesù in India mise in atto la complessa organizzazione con la quale vennero poi diffusi all’estero gli insegnamenti buddhisti, e con essi mandò allo stesso tempo qualcosa dello spirito dell’India in terre lontane. Come massimo esponente del proselitismo, egli inviò missionari buddhisti non solo in tutte le città dell’India e dello Sri Lanka, ma anche in Siria, Egitto e Grecia attraverso la Via della Seta. La diffusione degli insegnamenti del Buddha era stato uno degli obblighi che lo stesso Sakyamuni (il “saggio dei Sakya”, Buddha) aveva raccomandato con queste parole: Andate, o monaci, e viaggiate lontano, per il bene e la felicità di molti, pieni di compassione per il mondo, per il vantaggio e la fe- licità degli dèi e dei mortali. E due di voi non prendano lo stesso sentiero. Proclamate l’insegnamento che porta al bene... Predicatelo nella lettera e nello spirito. Mostrate con la vostra condotta senza macchia come si deve vivere una vita religiosa. I monaci vivevano di elemosina, totalmente dipendenti dalla carità della gente comune. Non possedevano niente altro che l’abito che indossavano. La loro era una vita di rinuncia, ma senza alcuna austerità ascetica. Veniva loro richiesto come occupazione principale di meditare sugli Insegnamenti e liberarsi gradualmente dalle pas- sioni mortali e dai desideri mondani. Per far parte dell’ordine, una persona doveva soltanto “uscire all’aperto”, pravrayja – lasciare la sua casa (e con essa i legami della vita laica) e intraprendere una vita errante senza alcun possesso personale. L’iniziato doveva poi indossare l’abito giallo, rasarsi il capo, e pronunciare ad alta voce la formula per tre volte. L’età minima per entrare era di sette anni – l’età di Rahula, il Figlio dell’Illuminato, quando entrò nella comunità. All’atto dell’iniziazione, il novizio veniva informato delle quattro regole basilari della vita monastica: - nutrirsi solo attraverso la carità della gente; - vestirsi con abiti tratti dalla polvere; - sostare un po’ ai piedi degli alberi; - curare le ferite con rimedi naturali.

106 I monaci conducevano una vita completamente nomade. Le scrit- ture ci dicono come il Buddha e i suoi compagni abbiano girato per tutta la lunghezza del medio bacino del Gange, meditando e predicando gli insegnamenti Buddhisti, a volte isolatamente ma più spesso in gruppi, di città in città e di villaggio in villaggio. Un parallelo notevole può essere fatto fra tutto questo e l’invio verso terre lontane dei discepoli di Gesù, che similmente andarono a predicare “alle nazioni”, nel loro caso in un ultimo tentativo di convincere Israele del suo messaggio: Ed egli chiamò a sè i dodici e li mandò a due a due, dando loro potestà sugli spiriti immondi; e comandò loro di non prendere per il viaggio altro che un bastone; non pane, non bisaccia, non rame nella cintura, e disse “Calzate sandali e non indossate due tuniche”. E disse loro: “In qualunque casa entriate, là restate finchè non ve ne andiate di là. Se qualche località rifiuta di accogliervi e di ascoltarvi, andatevene e scuotete la polvere dei vostri piedi in testimonianza contro di loro. In verità vi dico, nel giorno del giudizio ci sarà più tolleranza per Sodoma e Gomorra che per quella città”. Ed essi partirono e predicarono che si facesse penitenza. E scacciarono molti demoni e, ungendoli con olio, guarirono molti infermi. (Marco 6:7-13) In questa forma di Cristianesimo, come nel Buddhismo, non c’è alcuna traccia di conversione con la forza. Invece la predicazione era per la salvezza dei molti – i molti che Isaia (53:11) aveva profetizzato che sarebbero stati “giustificati” dalla conoscenza del “giusto servitore” di Dio. Alcuni documenti in singalese riferiscono che poco tempo dopo il Concilio di Haran (oggi Harwan presso Srinagar), che ebbe luogo durante il tempo del re Kanishka (a metà del secondo secolo dopo Cristo), furono ancora inviati missionari in Kashmir, Gandhara e Mahisamandala, a Vanavasi, a Yonarattha (la “terra dei Greci”) e nello Sri Lanka. Nel Museo Borély, a Marsiglia, ci sono i resti di due statuette in posizione seduta, presumibilmente idoli votivi, che erano stati trovati nella vicina Roquepertuse, in piccoli recessi ricavati su lisce

107 La vita di Gesù in India pareti di roccia. Sebbene alle statuette manchi la testa e le autorità pensino che rappresentano divinità celto-iberiche, esse assomigliano in tutto e per tutto alle prime rappresentazioni dei Bodhisattva ed hanno tutte le caratteristiche di questi “esseri illuminati” Buddhisti – sono seduti nella classica posizione del Buddha, portano sulla spalla la corda del Brahman ed anelli decorativi sul collo e sulla parte superiore delle braccia, a significare lo stato di santità. Le braccia sono posizionate con grande cura in modo che i gesti espressi con le mani e le dita (mudra) acquistino un significato simbolico. Una mano forma il gesto tipico di toccare la Terra (Bhumi-sparsha mudra), che rappresenta il chiamare la Terra a dare testimonianza della verità delle parole del Buddha; l’altra mano è tenuta davanti al petto in una posa rassicurante (Abhaya mudra). La datazione di questi reperti non sembra rappresentare alcun particolare problema: provengono dal secondo secolo avanti Cri- sto. Gli incavi nella roccia possono essere serviti semplicemente come protezione temporanea delle statuette – dopo tutto, la regola monastica originaria dei monaci buddhisti era di non vivere in dimore fisse, ma in ricoveri temporanei, come semplici rifugi e caverne. Inoltre la sistemazione delle reliquie di Roquepertuse è molto simile allo schema di alcuni ben conosciuti tabernacoli in roccia dell’Oriente, come quelli di Bamiyan (Afghanistan) o di Ajanta ed Ellora (India). Il Buddhismo, che era molto più flessibile e apolitico rispetto alla rigida struttura del Brahmanesimo, sembra inoltre essere stato molto più in grado di adattarsi alle numerose invasioni da parte di popoli diversi, che si sparsero nel bacino dell’Indo, nell’alto bacino del Gange e nel Deccan. Questi invasori comprendevano gli ellenici Battriani del secondo secolo avanti Cristo, gli Sciti e i Parti nel primo secolo avanti Cristo. Nel Milindapanha, il grande conquistatore Menandro si intrattiene in pacifiche discussioni con il monaco buddhista Nagasena. Gli stessi governatori Sciti della dinastia Kushan incoraggiarono la diffusione del Buddhismo dopo la loro personale conversione. Il più famoso di questi, Kanishka, aderì al Buddhismo con lo stesso entusiasmo di Ashoka.

108 Questo periodo è caratterizzato dal Concilio di Haran. Secondo la descrizione di diverse fonti, ha avuto luogo sotto il regno di Kanishka, durante la seconda metà del primo secolo, in Kashmir. Sembra che il Concilio abbia riguardato soltanto le comunità monastiche buddhiste del nord-ovest dell’India, e in particolare i Sarvastivadi, che là erano numerosi – la loro era una scuola di Buddhismo Hinayana originatasi nel terzo secolo avanti Cristo e che si fuse infine con il Buddhismo Mahayana dopo il Concilio di Haran. I Sarvastivadi del Kashmir probabilmente pensarono che era meglio sottoporre la loro comprensione del Tripitaka (i “Tre Cesti” del canone Buddhista) ad un’ispezione d’autorità piutto- sto che mettere in discussione le divergenti tendenze riformiste che erano sorte all’interno della loro stessa comunità. In questo

a sinistra: La statuetta del Buddha trovata a Marsiglia, risalente al II sec. A.C. a destra: Un bodhisattva raffigurato come il Buon Pastore.

109 La vita di Gesù in India

Concilio venne codificato in modo conclusivo l’intero canone del Buddhismo Mahayana, come si era sviluppato lungo gli ultimi due secoli prima di Cristo – un evento che segna la nascita del Mahayana come una fede religiosa a pieno titolo. I primi Cristiani d’Oriente evidentemente fecero un’opposizione ben piccola o nulla al Buddhismo Mahayana, come si manifesta, ad esempio, nei manoscritti del quarto secolo trovati a Turfan, nel Turkestan orientale (oggi nella provincia cinese del Sinkiang). Cristiani, Buddhisti e Manichei vivevano là insieme e in armonia nello stesso periodo, usando persino gli stessi luoghi di culto1. Sono state scoperte in quell’area anche rappresentazioni del Buddha come Gesù il Buon Pastore2, e un Jesus-Messiah Sutra buddhista.

Terapeuti, Esseni e Nazareni Al momento della scacciata e dispersione finale degli Ebrei da parte dell’imperatore romano Tito nell’anno 70 d.C., la misteriosa comunità degli Esseni allora residente in Palestina nascose la sua biblioteca di manoscritti su pelli di capra e rotoli di papiro in grossi vasi di argilla in caverne situate sui monti di Qaratania, che sovrastano il Mar Morto. Là essi rimasero, dimenticati, fino al 1947, quando furono riscoperti e decifrati. I teologi cristiani rimasero meravigliati nell’apprendere che la maggior parte delle Beatitudini del Sermone della Montagna, attribuite a Gesù, erano in qualche modo presenti nel testo dei Rotoli del Mar Morto, di cui diverse parti erano state compilate molte generazioni prima del tempo di Gesù!3 C’era qualche legame fra i primi movimenti cristiani e gli Esseni? Può essere che la religione cristiana abbia avuto inizio come una derivazione delle modalità di culto degli Esseni? Altri- menti, da dove gli Esseni avevano preso le stesse Beatitudini? È possibile che idee buddhiste si siano infiltrate attraverso la Giudea e la Galilea pre-cristiane? Linee di comunicazione molteplici e complesse fra l’Oriente e l’Occidente sono esistite fin dai tempi più antichi della storia umana,

110 e ci sono infatti molti paralleli fra l’antica India e l’antico Egitto – le due civiltà che ebbero origine e poi espansione sulle rive di due grandi fiumi nel terzo millennio avanti Cristo. La pianta sacra dell’India è il loto che, crescendo dall’ombelico del dio Visnù, dà origine al dio Brahma, e su cui siede il Buddha contemplativo. Il loto è anche il fiore sacro di Osiride, per lungo tempo la divinità suprema del pantheon egizio e contemporaneamente dio dei morti. Nella mitologia indiana il dio Shiva danza furibondo, tenendo sulla spalla il corpo senza vita della sua consorte, e spargendo parti del suo corpo attraverso la terra. Secondo la versione egiziana antica dello stesso mito, Set, il maligno fratello di Osiride, sparge le quat- tordici parti del corpo di Osiride come semi su tutta la Terra. Mentre tutte le culture antiche del Vicino Oriente credevano in un universo solo e unico, che procede in modo lineare dalla Creazione all’Ultimo Giorno, in Egitto, come in India, si credeva che il mondo si muovesse in un ciclo senza fine di formazione e dissoluzione. Nell’egiziano Libro dei Morti Osiride dice, “Io sono ieri, oggi e domani, e ho il potere di rinascere una seconda volta”. Nella valle dell’Eufrate sono state trovate tavolette di argilla che traggono origine dalla cultura della valle dell’Indo, che fiorì nel secondo millennio avanti Cristo. Spezie, pavoni, scimmie e legno di sandalo furono esportati dall’India all’Occidente lungo tutta l’antichità. Per mezzi ancora sconosciuti, l’alfabeto usato per scrivere le lingue semitiche che si parlavano nell’antica Etiopia proveniva dall’India. Probabilmente filosofi indiani fecero viaggi fino ad Atene, Sparta e Corinto, e insegnarono al mondo greco la saggezza delle Upanishad. Secondo Aristoseno, che scriveva durante il tempo di Alessandro il Grande, il filosofo Socrate (469- 399 a.C.) incontrò un pensatore indiano ad Atene. È probabile che la teoria della trasmigrazione delle anime, implicita nelle opere filosofiche di Pitagora, di Platone e degli Stoici, sia stata ispirata dagli insegnamenti di questi filosofi indiani. Nell’anno 325 avanti Cristo, Alessandro il Grande attraversò il Khyber Pass ed invase l’India nord-occidentale. Il giovane macedone non era solo un grande capo militare, ma anche uno

111 La vita di Gesù in India studioso del celebre Aristotele ed era profondamente appassionato di filosofia. Per lui era importante riportare con sè in Macedonia l’arte e la letteratura dei territori conquistati, e quanto possibile delle loro conoscenze e delle loro idee. Probabilmente Alessandro portò un certo numero di monaci buddhisti e di yogi indù nel suo nuovo centro culturale e spirituale presso la foce del Nilo, la città di Alessandria, dove erano state poste le basi per una università mondiale. È stato in questo modo, attraverso i saggi dell’Oriente, che sono arrivate in Egitto idee di ascetismo e di regime dieteti- co vegetariano, idee generalmente estranee all’area mediterranea prima di allora. Due secoli prima di Cristo, nacque un movimento mistico no- tevole fra gli Ebrei di Alessandria e di Palestina. In Egitto questi mistici erano noti come i Terapeuti; i loro fratelli spirituali in Palestina si facevano chiamare Esseni e Nazareni. In questo mo- vimento religioso troviamo le risposte alle domande sopra citate. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, che fu presente alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., ci ha lasciato un resoconto anche grafico e da testimone oculare dei riti degli Esseni. Anche Filone di Alessandria fa menzione di una breve visita ad un insediamento di Terapeuti sulle rive del Mare Marcotide, dove essi praticavano riti che sono notevolmente simili a quelli dei Buddhisti. Come i Buddhisti, i Terapeuti e gli Esseni rinunciavano alla carne, al vino e agli eccessi sessuali. La comunità degli Esseni viveva in caverne scavate nelle pa- reti rocciose delle montagne di Qaratania presso il Mar Morto, di fronte all’antica città di Gerico. Esattamente nello stesso periodo, i monaci Buddhisti vivevano in caverne scavate nei versanti rocciosi delle montagne e delle rupi lungo la costa occidentale dell’India, centrate su una caverna-tempio (Chaitya). Come i monaci Buddhisti, gli Esseni e i Terapeuti vivevano in comunità monastiche in condizione di celibato – un modo di vita che era una novità per l’area mediterranea, poichè nessuna osservanza religiosa di quel tipo si era vista prima nella zona. Essi dedicavano la loro vita alla ricerca della conoscenza di Dio,

112 e si sforzavano di raggiungerla per mezzo di prolungati digiuni e periodi di silenzio. Filone ci ricorda che gli Esseni si astenevano dai rituali con spargimento di sangue che si tenevano nel Tempio di Gerusalemme perchè si opponevano decisamente ai sacrifici animali. La religione degli Esseni infatti può essere stata istituita come una forma di protesta contro questi elementi truci dell’ortodossia giudaica e con- tro la rigida severità della legge mosaica. Dopo tutto uno sviluppo simile aveva avuto luogo diversi secoli prima in India, quando il Buddha protestava contro le regole e i rituali dei Brahmini, che avevano perduto il loro significato originario. La comunità degli Esseni era costituita da monaci e laici, come il Sangha buddhista. La comunità monastica comportava una vita ascetica organizzata in modo comunitario nelle caverne quasi inac- cessibili poste sulle montagne attorno a Gerico, dove era possibile per loro vivere ben lontani dai gruppi ebraici ortodossi. Giovanni il Battista era uno di questi Esseni eremiti. I membri laici degli Esseni vivevano in villaggi e piccole città, dove si sposavano e allevavano bambini e si sforzavano di condurre una vita pia, pura e spirituale. Come si pratica ancora in molte aree buddhiste, le famiglie laiche spesso allevavano il primogenito con l’idea di destinarlo a fare il monaco in un monastero sulle montagne. Forse Giovanni il Battista fu integrato negli Esseni come uno di questi bambini. La parola Therapeut significa “uno che amministra” e perciò “guaritore”: la comunità dei Terapeuti alla periferia di Alessandria era senza dubbio influenzata dalla presenza di monaci buddhisti. I monaci buddhisti erano chiamati anche guaritori o medici. I Terapeuti (Therapeutae) erano soliti sedersi su stuoini di giunco, come era tradizione dei monaci buddhisti in India, e anche la loro abitudine di battezzare i novizi al momento della loro iniziazione alla vita monacale era stata presa dal Buddhismo. Non mangiavano carne nè bevevano vino, vivevano in povertà volontaria, digiunavano in tempi stabiliti, recitavano e cantavano in comunità testi e inni religiosi e indossavano tuniche bianche. Gran parte della vita del Terapeuta veniva trascorsa in silenziosa

113 La vita di Gesù in India meditazione e nei rituali del culto. Gli Esseni – sia i monaci sulle montagne sia i membri laici nelle città – tendevano ad occuparsi di agricoltura e di artigianato. I Rotoli di Qumran riferiscono che entrambe le comunità si aspettavano una fine imminente della vita sulla Terra e cercavano di prepararsi a una vita futura con Dio, dimostrando un amore fraterno uno verso l’altro e verso l’umanità in generale, e compiendo buone azioni. Gli Esseni distinguevano otto stadi di crescita spirituale, in modo molto simile all’Ottuplice Sentiero dei Buddhisti; lo scopo di tutto questo era di raggiungere un piano più elevato di esistenza e ottenere l’Illuminazione (ancora una volta come nel Buddhismo). I Vangeli Sinottici ci dicono che Gesù ammaestrò i suoi disce- poli insegnando loro a girare a piedi appoggiandosi ad un bastone (come alcuni monaci indù) e a parlare alla gente. Durante i suoi viaggi attraverso la Giudea e la Galilea, è probabile che Gesù abbia spesso passato la notte nelle case degli Esseni residenti nei vari posti che visitava. Gli Esseni battezzavano i novizi al momento dell’iniziazione. Al loro ingresso nella vita monacale, i novizi buddhisti erano oggetto di un simile rito battesimale, probabilmente derivato dai Brahmini. L’abate del monastero buddhista spruzzava la testa del novizio con latte e acqua, dopo che egli aveva confessato i suoi peccati. Una lampada che ardeva durante questo rituale simboleggiava una rinascita. È interessante notare che alcuni documenti della primis- sima Chiesa Cristiana riferiscono che dopo il battesimo un nuovo cristiano veniva descritto come illuminatus (illuminato). Secondo Epifanio di Costanza (Salamis), gli Esseni erano chia- mati anche Nazareni – Nazarenos o Nazoraios. Nell’antica Israele, alcuni veggenti venivano descritti come Nazariti. Questi Nazariti non approvavano i sacrifici di sangue che avvenivano durante il culto nel Tempio e perciò venivano guardati con disprezzo dai sacerdoti ortodossi del Tempio. I fedeli ortodossi ebrei venivano invitati a invocare tre volte al giorno la rabbia di Dio contro di loro: “Manda la tua maledizione, o Dio, sopra i Nazariti!” Il Vangelo di Giovanni dice che Pilato fece mettere una scritta

114 sopra la Croce di Gesù, che, secondo la traduzione italiana, si legge come “Gesù di Nazareth, Re dei Giudei”. Ma in molte altre lingue è stata tradotta in modo leggermente diverso, come “Gesù il Nazareno...”4. Secondo alcune ricerche, l’epiteto Nazareno non si riferiva alla città di Nazareth, che probabilmente non esisteva neppure a quel tempo. Inoltre, una delle accuse mosse contro Gesù era evidentemente il fatto che Egli era un membro dei Nazareni! Se, inoltre, le parole dell’iscrizione sono state alterate dalla tradizione o dal bisogno di sostenere una verità diversa – se, per esempio, la versione originale significava “Gesù, Guida dei Nazareni” – non occorrerebbe molto per spiegarsi perchè Gesù fosse tanto detesta- to dal Sinedrio, il Supremo Concilio Ebraico. Era il capo di una comunità che odiavano: i Nazareni.

Gesù il Nazareno In quasi tutti i manoscritti in greco, a Gesù viene dato il titolo “il Nazareno”, quasi sempre tradotto in italiano – erroneamente – come “Gesù di Nazareth”. Così, nella maggior parte delle traduzioni della Bibbia, Paolo sente sulla strada di Damasco una voce che dice, “Io sono Gesù di Nazareth, che tu perseguiti”. In effetti i manoscritti in greco non contengono una frase come questa, e la versione della Bibbia di Gerusalemme riporta invece la traduzione corretta: “Io sono Gesù il Nazareno, e tu mi stai perseguitando” (Atti 22:8). C’è stato forse qualche disegno deliberato dietro questa traduzione errata? Se l’intenzione è stata semplicemente quella di mettere in relazione Gesù con il suo luogo di origine, sarebbe stato sicura- mente descritto come “Gesù di Betlemme”, perchè non c’è niente che confermi l’affermazione che Gesù sia mai vissuto a Nazareth. Infatti, secondo il Vangelo di Marco, i suoi seguaci vivevano presso il Mare di Galilea, probabilmente a Cafarnao, perchè è di quei luoghi che è detto “Ed egli venne nella sua terra” (Marco 6:1). In ogni caso è di qui che “Colà venne poi suo fratello...” (Marco 3: 31) per invitarlo a stare a casa. Se “suo fratello” fosse venuto da

115 La vita di Gesù in India

Nazareth, avrebbe dovuto fare un viaggio di oltre 40 kilometri. Negli Atti degli Apostoli, i primi Cristiani vengono chiamati Na- zareni, mentre lo stesso Gesù è chiamato “il Nazareno” sei volte. Nel Vangelo di Giovanni (1:46), Nataniele chiede all’apostolo Filippo “Ci può essere qualcosa di buono che viene da Nazareth?”. Nella domanda è implicita la meraviglia dell’uomo che chiunque provenga da un posto così minuscolo e insignificante possa avere conoscenze così profonde, fatti salvi i benefici di un’istruzione così profonda da suggerire che avesse frequentato qualche celebre scuola di pensiero (Nataniele non aveva ovviamente mai sentito parlare di qualsiasi evento avvenuto là). Il Dizionario greco-tedesco delle Scritture del Nuovo Testamento ed altri scritti del Primo Cristianesimo (1963) afferma apertamente che “è molto difficile” trovare qualunque collegamento linguistico fra l’espressione Nazareno e Nazareth. Gli aggettivi Nazarenos, Nazorenos e Nazoraios sono stati tutti variamente impiegati per descrivere Gesù – il che prova che sono sinonimi – e sono stati generalmente presi per indicare che Gesù veniva dall’insediamento di Nazareth, il che risulta dal fat- to che è stato descritto come “Gesù di Nazareth”. Fin dal 1920, M. Lidzbarski nella sua opera Mandaean Liturgies ha dimostrato che Nazareno non si può derivare da Nazareth attraverso nessun processo etimologico standard. Non si fa alcuna menzione di Na- zareth in tutta la letteratura precedente il tempo di Gesù, e anche in quel tempo la località non doveva essere più che una piccolis- sima frazione – oppure non esisteva affatto. In Giosuè 19:10-15 la località non viene citata parlando della tribù di Zebulun, anche se viene ricordata Giafia che si trovava soltanto tre kilometri a sud-est (distrutta dai Romani nel 67 d.C.). La parola Nazareno deriva dalla radice aramaica nazar, che significa qualcosa come “scegliere”, “discernere”, “osservare” e “mettere da parte”, “preservare”. In senso figurativo, il termine può essere usato anche per significare “dedicarsi” o “consacrarsi al servizio di Dio”. Usato come sostantivo, significa “diadema”, il simbolo di una testa consacrata. Un Nazareno era perciò uno che

116 osservava e preservava i riti sacri. I Nazaria costituivano un ramo degli Esseni, e devono essere stati, con gli Ebioniti, fra le comunità cristiane originarie che, secondo il Talmud, venivano citate come Nozari5. Tutte queste sette gnostiche (gnosis è “conoscenza”) usavano la magia nei loro rituali. I loro membri erano iniziati e consacrati e conducevano una vita ascetica dedicandosi alla comunità in santità e rettitudine. È possibile che le forme leggermente diverse degli aggettivi che li descrivevano si riferissero in effetti a singoli gruppi che differivano uno dall’altro nell’interpretazione della fede e nello stile di vita, sebbene fossero tutti descritti con termini che deriva- vano dalla stessa origine etimologica. La descrizione Nazareno è anche collegata, dalla derivazione etimologica, a quella dei Nazariti dell’Antico Testamento, che esistevano molto tempo prima di Gesù. Ancora centinaia di anni prima, il forte eroe Sansone era un Nazoraios o Naziraios che si rifiutava di tagliarsi i capelli e non beveva vino (Giudici 13:5-7) – in altre parole, un asceta. Secondo John M. Robertson, i contemporanei non-asceti si facevano deli- beratamente chiamare Nazareni per distinguersi dal “nazirismo” o “ascetismo”6. Non si può dire con certezza se Gesù sia appartenuto a qualcuno di questi gruppi poichè egli evidentemente rifiutava di essere cate- goricamente soggetto a qualsiasi legge imposta, scegliendo invece, come il Buddha, soltanto di “fare la cosa giusta al momento giusto”. La grande distanza fisica fra la Palestina e l’India ha aumentato attraverso i secoli il distacco nella comprensione fra i leaders della fede spirituale che si ispirava ai princìpi della filosofia buddhista in India e i loro equivalenti in Israele. Per questa ragione Gesù poteva essere propriamente descritto come un “riformatore” che veniva mandato a ristabilire una unità di fede fra le “pecore smarrite”, per rafforzare la loro fiducia, e per dar loro supporto spirituale e morale nella lotta contro gli occupanti Romani, i Sadducei, i Farisei e gli Ebrei ortodossi. Gesù era il Divino Messaggero vivamente atteso in un periodo di tumulto e confusione. I due discepoli mandati da Giovanni il Battista gli chiesero: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo

117 La vita di Gesù in India aspettare un altro?” (Matteo 11:3). Giovanni il Battista era un profeta per i Nazareni, ed era co- nosciuto in Galilea come “il Salvatore”. Giuseppe Flavio descrive il Battista come un uomo onorevole, che incitava gli Ebrei a fare il bene e a trat- tarsi bene l’un l’altro e che li spingeva a farsi battezzare. Inoltre egli dichiarava che Dio avrebbe guardato con favore i battezzati – poichè il battesimo conferiva salute fisica e non era soltanto una purificazione dal peccato. La riparazione dal peccato deve venire prima di tutto, ed è centrata sul fatto di condurre una vita virtuosa. Grandi folle si radunavano attorno a Giovanni, spinte in gran parte dalle sue parole...7

L ’immersione rituale nell’acqua ebbe origine in India e continua ad essere praticata giornalmente dagli Indù con la stessa devozione di migliaia di anni fa – una tradizione antica come tanti misteri. In Palestina il rito degli Esseni del battesimo segna uno dei punti principali di allontanamento dai dogmi della tradizione giudaica, e specialmente dai sacrifici cruenti, che si basavano sulla rozza idea che i peccati venissero perdonati con lo spargimento di sangue. Il significato dell’immersione rituale è quello di simboleggiare, da un lato, l’allontanamento da tutto ciò che è terreno, e dall’altro la rinascita dello spirito in un corpo puro. Il Secondo Libro delle Leggi di Manu, che tratta dei sacramenti, contiene il precetto di versare acqua consacrata sopra un bambino appena nato prima di tagliare il cordone ombelicale. Poi si deve mettere sulla lingua del bambino con un cucchiaino d’oro una miscela di miele, burro puro (ghee) e sale, mentre vengono recitate in continuazione preghiere di buon auspicio. L’Atharva Veda contiene il seguente passo: “Chiunque non sia purificato alla nascita con l’acqua del Gange benedetta dalle sante invocazioni sarà soggetto a vagare per tanti anni quanti sono quelli che ha trascorso nell’impurità (“errare” si riferisce a una vita sia come spirito sia dopo la rinascita in un altro corpo). La forma di battesimo di Giovanni sembra aver costituito anche

118 un segno di appartenenza a una data comunità, i cui membri erano chiaramente distinguibili dai non-membri dall’avere eseguito varie precondizioni rituali. Questo rende chiaro che i Nazareni erano una setta indipendente che celebrava la propria versione dei misteri di un insegnamento ben consolidato. Inoltre, i capi delle sette esoteriche che attirano emotivamente le folle mentre mantengono ancora un basso profilo pubblico sono sempre stati il bersaglio di malignità e persecuzione da parte delle autorità ufficiali. Paolo si trovò di fronte alla stessa ostilità quando venne accusato da Tertullo davanti al governatore Felice di essere “un leader-di-circolo della setta dei Nazareni” (Atti 24:5). Secondo Plinio il Vecchio e Giuseppe Flavio, la setta dei Na- zareni esisteva sulle rive del Giordano e sulla sponda orientale del Mar Morto da almeno 150 anni prima della nascita di Cristo. Ai suoi seguaci era concesso di portare i capelli lunghi. Forse non se li tagliavano affatto, come molti asceti indù. Giovanni il Battista viene descritto con i capelli lunghi, e che “aveva un ve- stito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi” (Matteo 3:4). Una descrizione dell’aspetto di Gesù è fornita da un patrizio romano di nome Lentulo in una lettera al senato romano. In questo documento apocrifo, noto come l’Epistola di Lentulo, i capelli di Gesù vengono descritti come “fluenti e ondeggianti”; si abbandonavano sulle sue spalle, ed erano “divisi a metà del capo, secondo la moda dei Nazariani”. Non è realmente possibile oggi formarsi un quadro dettagliato della setta dei Nazareni dalle poche fonti a nostra disposizione, perchè i riferimenti sono assai scarsi. Nè sarebbe possibile perciò comprendere come l’atteggiamento spirituale di Gesù il Nazareno differisse da quello dei suoi contemporanei ortodossi – se non fosse per la scoperta di notevoli nuove informazioni sulla setta degli Esseni, in cui è chiaramente visibile l’influenza di insegna- menti Buddhisti. Gli Esseni differivano dai Nazareni solo in alcuni dettagli esterni: per esempio, Gesù usava olio, mentre gli Esseni usavano soltanto acqua pura. Fin dal diciannovesimo secolo, coloro che conoscevano bene i

119 La vita di Gesù in India resoconti sugli Esseni pervennero alla conclusione che la comunità di Gesù era un gruppo di Esseni. Lo storico ebreo Heinrich Graetz arrivò a descrivere il Cristianesimo come un “Essenismo con ele- menti esterni”8. Sugli Esseni ci sono notizie che provengono anche da riferimenti indiretti di storici antichi. Il filosofo ebreo Filone di Alessandria li chiamava “atleti di virtù”, e Giuseppe Flavio ha dedicato loro quasi un intero capitolo in La Guerra Ebraica (II:8). Entrambi hanno stimato il numero totale dei membri in circa quat- tromila “uomini di morale eccellente, che vivevano sparsi su tutto il territorio”. Anche l’autore romano Plinio il Vecchio fà menzione della setta degli Esseni. Ma fu soltanto con la scoperta dei famosi Rotoli del Mar Morto a Qumran nel ventesimo secolo che venne compreso il pieno signi- ficato degli insegnamenti degli Esseni, che anticipavano quelli di Gesù e gettavano una luce completamente nuova su Gesù stesso.

Gli Esseni: Il Cristianesimo prima di Gesù Nell’estate del 1947, un giovane beduino attraversò l’ingresso di una caverna mentre stava girando per le rocce attorno al Mar Morto alla ricerca di una capra dispersa del suo gregge. Gli venne la curiosità di entrare, e così il giovane pastore scoprì un certo numero di vasi di terracotta chiusi con coperchi, fra una gran quantità di frammenti di altri vasi. Nella speranza di trovare un tesoro, il giovane aprì i vasi coperti, ma con suo grande dispiacere trovò solo alcuni antichi rotoli di pergamena ammuffita. Tuttavia si trattava davvero di un tesoro, e la scoperta si rivelò subito come il più grande e sensazionale ritrovamento archeologico del secolo. Quando i rotoli furono mostrati al famoso archeologo William F. Allbright nel 1948, egli li indicò come la più grande scoperta di manoscritti del nostro tempo. Lì fece risalire al primo secolo avanti Cristo, e non ebbe dubbi sulla loro autenticità. Nel corso degli anni seguenti, i ricercatori scoprirono nell’area di Khirbet Qumran altre dieci grotte e molti altri rotoli, una gran quantità dei quali non sono stati ancora completamente tradotti o

120 resi pubblici. Tuttavia risultò subito chiaro quanto fossero simili gli insegnamenti di Gesù a quelli degli Esseni. In effetti, qualcu- no ha perfino affermato che gli Esseni devono essere stati i veri precursori del primo Cristianesimo. La sorprendente somiglianza dei due movimenti è particolarmente evidente nelle loro visioni teologiche parallele e nelle loro istituzioni religiose: tutto conferma l’esistenza di un Cristianesimo prima di Gesù. Sette rotoli provenienti dalla prima caverna sono oggi in esposi- zione nella Sala dei Manoscritti del Museo di Israele a Gerusalemme. Il manoscritto più esteso è quello conosciuto come il “Rotolo di Isaia di San Marco”9. Le sue cinquantaquattro colonne manoscritte in ebraico contengono il Libro completo del profeta Isaia. Il rotolo di Isaia è il più antico dei reperti (è datato attorno al 150 a:C), ed ha una somiglianza sorprendente con le prime copie dei testi biblici. Furono anche trovati frammenti di un secondo manoscritto di Isaia10 e un commentario al Libro del profeta Habakkuk11. Tuttavia la scoperta più importante fu un rotolo lungo quasi due metri, in cui venivano dettagliate le leggi e i regolamenti per una comunità religiosa. Oggi il documento è chiamato Serek Ha- jjahad, dalle sue parole iniziali, che significano “La regola della Comunità”, o Il manuale di istruzioni12. La prima parte descrive un Patto di Amore Eterno che lega i membri della comunità a Dio. La seconda parte descrive “i due spiriti nella natura dell’uomo”: lo spirito della luce e della verità, e il suo opposto, lo spirito dell’er- rore e dell’oscurità. (Nel Buddhismo questo viene espresso come il contrasto fra la Conoscenza e l’Ignoranza). Seguono le regole dell’Ordine, che danno una descrizione dettagliata delle condizioni per entrare nella Comunità e delle punizioni per chi ne infrange la Regola. Il tutto termina con un lungo inno finale di ringraziamento. Oltre alla Regola per l’ordine dei monaci, è stato trovato un secondo manoscritto che era stato arrotolato assieme ad esso (o forse un tempo anche cucito insieme). Questo rotolo fu intitolato Regola per l’intera Comunità13, ed era rivolto alla parte laica della comunità, per quei membri che erano sposati. Qui ci sono paralleli molto evidenti con le prime comunità

121 La vita di Gesù in India buddhiste: anch’esse facevano una distinzione fra i monaci (in lingua Pali bhikkhu) e i laici (upasaka). A coloro che appartenevano al ramo “mondano” della setta doveva essere insegnato Il manuale di Istruzioni con tutte le regole della comunità dall’età di undici anni. (Si ricordi che Gesù fu portato a Gerusalemme dall’Egitto circa a quell’età – e poi scomparve, per non essere più rivisto in quei luoghi fino a quando non fu un uomo adulto dell’età di oltre trent’anni). Agli uomini non era consentito sposarsi fino a che non avessero passato i venti anni di età; all’età di venticinque anni veniva loro accordata una posizione e un’autorità nella comunità. In realtà era possibile avere un incarico di rilievo a vent’anni, ma all’inizio era ancora necessario prestare un’obbedienza totale ai preti e agli anziani della comunità. Agli uomini di rilievo era richiesto di ritirarsi dagli incarichi quando raggiungevano una certa età. Verso la fine del rotolo, c’è una descrizione di come si devono distribuire i posti del pasto comunitario che celebra la vita che viene dopo la morte – fu questa sistemazione di posti che divenne uno degli argomenti più importanti di dibattito fra i discepoli di Gesù all’Ultima Cena (Luca 22:24-27). Un altro rotolo, malamente danneggiato in alcune parti, contiene sia i Salmi biblici, sia una quarantina di Salmi Esseni originali, dei quali tutti cominciano con le parole “Lode a Te, o Signore”; perciò questo rotolo è conosciuto come Hokhajot: “Canti di Lode”14. Gli altri scritti portati alla luce sono evidentemente i magri resti consumati dal tempo di ciò su cui gli scopritori dei secoli passati avevano sorvolato, dato che anche Origene riferisce che una traduzione dei Salmi era stata trovata assieme ad altri manoscritti in un vaso nelle vicinanze di Gerico. E il Patriarca di Seleucia, il nestoriano Timoteo I (823 d.C.), in una delle sue lettere ha descritto la scoperta di alcune scritture ebraiche trovate in una caverna non lontano da Gerico. Alcuni dei testi erano scritti in un codice segreto, ma ci sono riferimenti continui a un “Nuovo Patto” (che è naturalmente ciò che Martin Lutero ed altri riformatori intendevano per “Nuovo Testamento”) e a un misterioso “Maestro di Rettitudine”.

122 Nella sua Historia naturalis, Plinio il Vecchio fa menzione di un monastero che aveva visto a breve distanza a nord di En- gedi sulla sponda occidentale del Mar Morto. Egli lo chiamò il Monastero degli Esseni, e descrisse i suoi membri come “... un gruppo isolato di uomini, uno dei più notevoli del mondo, sen- za alcuna donna, che hanno rinunciato alle passioni mondane e vivono esclusivamente con le proprie risorse sotto gli alberi di palma” (V:17). A meno di un kilometro di distanza dalla caverna in cui furono scoperti i primi rotoli, vi sono alcune rovine conosciute fin dai tempi antichi come Khirbet Qumran (“le rovine di Qumran”), a lungo considerate come i resti di un antico forte romano. Gli scavi sul posto cominciarono solo nel 1951, sotto la direzione di Lancaster Harding, dell’Ufficio Giordano delle Antichità, e di Padre Rolando de Vaux, Direttore dell’Isituto Domenicano di Teologia di Gerusalemme. Quello che trovarono andò oltre le loro più grandi aspettative – il Monastero di Qumran, nel quale pro- babilmente erano stati scritti i rotoli stessi. Nei successivi cinque anni, lavorando intensamente, i ricercatori scoprirono un esteso insediamento protetto da un muro ben fortificato. Un edificio quasi quadrato al centro era circondato da diversi edifici minori, una grande sala da pranzo, dei bagni battesimali, e non meno di tredici pozzi da cui partiva un complesso sistema di canali che riforniva l’acqua in tutte le direzioni. C’era anche un cimitero che conteneva più di mille tombe, in cui erano sepolti soltanto uomini. Inoltre essi trovarono uno scriptorium, un locale per scrivere con tavole di pietra incavata, in cui erano stati ricavati dei porta-in- chiostro: la maggior parte dei manoscritti delle caverne vicine era stato probabilmente eseguito in questi locali. È oggi noto che il monastero era stato abitato fin dall’ottavo secolo avanti Cristo, ma era stato abbandonato al tempo dell’esilio di Babilonia, per essere rioccupato ancora solo attorno all’anno 175 avanti Cristo (nel secondo secolo). Giuseppe Flavio fa un resoconto di come vivevano i monaci:

123 La vita di Gesù in India

Essi disdegnano le ricchezze del mondo; ancora più ammirevole è vedere come essi mettono tutto in comune in modo che nessuno di loro possieda più di ciascun altro. Perchè è loro regola che chiunque voglia far parte della setta deve prima donare ogni cosa in suo possesso all’intera comunità. Il risultato è che non si vede mai nè estrema povertà nè eccessiva opulenza. Invece, impiegano qualunque proprietà per un uso comune – anche se è stata raccolta originariamente dai membri individuali dell’ordine – in completo spirito di fratellanza. Comunque l’olio è considerato come sporco. Se uno di loro ha il corpo unto con olio contro la sua volontà, egli fa subito il bagno per liberarsene. Perchè andare in giro con la pelle nel suo stato naturale è considerato presso di loro come cosa buona quanto indossare abiti bianchi puliti15. Ci sono paralleli evidenti fra questa descrizione del modo di vita degli Esseni, le regole monastiche buddhiste e le abitudini stesse di Gesù. Proprio come i monaci buddhisti non possedevano niente altro che il loro abito e pochi oggetti minori necessari per la vita nomade, Gesù condusse la sua esistenza di maestro itinerante che possedeva poco o niente. E proprio come Gesù richiedeva ai suoi discepoli di rinunciare alla famiglia e ai beni del mondo, così la regola buddhista chiedeva ai suoi seguaci di unirsi alla comunità “andando verso lo spazio aperto” – lasciando casa e famiglia (e con esse le pastoie della vita laica) per entrare nell’ordine fraterno dei monaci e girovagare senza alcun rifugio stabile, per essere liberi da tutte le questioni mondane, meditare sugli Insegnamenti e progressivamente liberarsi dalle passioni mortali e dai desideri del mondo. Gesù disse “È più facile che un cammello (anche se probabilmente voleva significare una corda di peli di cammello) passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Matteo 19:24). I Vangeli forniscono un altro esempio del pensiero di Gesù sulla liberazione dagli affari del mondo: Uno scriba gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, ti seguirò dovun- que andrai”. E Gesù gli disse: “Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo hanno nidi; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

124 (Matteo 8:19-20)

Un altro punto interessante è il divieto degli Esseni di ungersi il corpo. Si narra che anche il Buddha abbia messo in guardia i suoi seguaci da questa pratica perchè era segno di un’eccessiva cura del proprio corpo, corrispondente a un desiderio egoico. Non risulta che la setta dei Nazareni avesse alcun obbligo di attenersi strettamente a questa regola. Gli Esseni indossavano abiti bianchi, e questo portò alcuni studiosi critici del diciottesimo secolo ad affermare che la Croci- fissione e la Resurrezione di Gesù furono niente altro che un ela- borato rituale preparato dai monaci Esseni. Secondo questi critici, il giovane vestito di bianco che ha annunciato la Resurrezione alle pie donne davanti alla tomba vuota apparteneva chiaramente agli Esseni, come è provato dal suo abbigliamento bianco. Durante il diciannovesimo secolo fu avanzata anche la teoria che Gesù fosse il figlio naturale di uno degli Esseni cui Maria si era data a seguito di un fidanzamento religioso. Il bambino fu poi preso nell’Ordi- ne, come era uso e pratica comune presso gli Esseni, secondo il resoconto di Giuseppe Flavio16. Fin dal 1831, August Friedrich Gfrörer, vicario di una parroc- chia di Stoccarda e insegnante in un seminario di Tubinga, aveva scritto: “La Chiesa Cristiana è nata per evoluzione dalla comunità degli Esseni, sviluppando le loro idee: senza le regole degli Esseni la sua organizzazione non si sarebbe potuta formare”. Alcuni storici delle lingue pensano che l’espressione Esseni signi- fichi all’origine “battisti”. Altri collegano invece questa espressione al termine siriano hasen “il pio”, o all’aramaico assaya “guaritore”, “medico” (semanticamente paragonabile al greco therapeut). Molti monaci esseni dedicavano anni della loro vita a pratiche ascetiche di autodisciplina e contemplazione, e raggiungevano sorprendenti poteri di percezione extrasensoriale e telecinesi, proprio come facevano e fanno gli yogi e i fachiri in India. I monasteri Esse- ni erano situati presso Gerico, fra le montagne a ovest del Mar Morto – una regione rinomata per il suo clima dolce e salubre fin

125 La vita di Gesù in India dai giorni dei profeti Elia ed Elisha. Questa è l’unica parte della Palestina dove il clima è abbastanza caldo per tutto l’anno per poter praticare all’aperto esercizi come quelli richiesti nello yoga indiano. I doni mistici descritti proprio dagli Esseni sono gli stessi poteri straordinari che ottengono in India i praticanti dello Yoga Kundalini; essi comprendono la chiaroveggenza e la precognizione, la levitazione e il teletrasporto, la guarigione con l’imposizione delle mani, e il ritorno dei morti alla vita. Il fatto che il Nuovo Testamento osservi un silenzio assoluto e totale sull’ordine degli Esseni – una setta numericamente signi- ficativa almeno quanto i Sadducei e i Farisei (Giuseppe Flavio stima in quattromila il loro numero) – fa pensare che l’omissione sia intenzionale. Semplici considerazioni geografiche dimostrano che Gesù non poteva non conoscere il monastero di Qumran. In effetti, il punto sulla riva del Giordano dove Gesù ricevette il suo battesimo rituale dalle mani di Giovanni (attraverso il quale egli fu accolto nella setta dei Nazareni moderati) era in vista del monastero e vi distava soltanto sette kilometri. Visitando il posto si vede subito quanto il sito battesimale sia vicino a Qumran; l’aria limpida della vasta e nuda montagna sembra rendere le due località ancora più vicine. Dallo stesso punto si vede chiaramente anche la montagna sulla quale, secondo la tradizione, Gesù fu tentato dal diavolo durante il suo periodo di isolamento che ha seguito il battesimo (Luca 4: 1-13): la montagna è distante circa quindici kilometri. Giovanni viveva qui nel deserto, forse nelle stesse caverne di Qumran. Gesù passò quaranta giorni di isolamento in questo deserto subito dopo essere stato battezzato. Gli abitanti del villaggio di Qumran certamente nominavano quella zona nei loro scritti come “il deserto”. Gesù, mentre era là, “viveva con le bestie selvagge, e gli angeli lo servivano” (Marco 1:13). Ma la parola tradotta come angeli non significa niente altro che “messaggeri”, e gli Esseni avevano una numerosa gerarchia di “angeli-messaggeri”, che faceva parte dei loro misteri sacri. Così, se Gesù passò un certo tempo in una caverna attorno a Qumran, forse come parte

126 di un periodo che rappresentava un noviziato, ci deve ben essere stato qualche contatto con il monastero – forse gli “angeli” erano in realtà monaci! Nel capitolo che riguardava gli Esseni, Giuseppe Flavio ha scritto:

Chiunque voglia unirsi alla setta non viene ammesso immediata- mente, ma deve prima trascorrere un anno al di fuori dell’ordine, conducendo lo stesso tipo di vita dei suoi membri. Gli vengono fornite una piccola ascia, una fascia lombare e un abito bianco. Se supera questa prova di ascetismo per tutto il periodo, compie un ulteriore passo per diventare completamente un membro della setta: può prendere parte alla consacrazione battesimale con l’acqua, ma non può ancora partecipare ai pasti comunitari17.

C’è una procedura molto simile nel Tibet. Prima che un monaco ordinario venga consacrato come lama (che significa “più alto”), deve sottoporsi a una serie di esercizi e prove. L’aspirante deve anche stare in qualche luogo al di fuori della comunità per un certo tempo, in un posto dove resti completamente indisturbato in modo da potersi dedicare completamente alla meditazione. Il monastero di Hemis in Ladakh, come tutte le maggiori lamaserie, ha per questo scopo un secondo edificio molto più piccolo e più semplice, sulla cima di un’alta montagna distante circa cinque kilometri dal monastero principale. Immersi in una meditazione profonda nelle loro celle individuali, i candidati ricevono solo una piccola quantità di cibo dagli assistenti due volte al giorno. Un terremoto distrusse l’intera comunità di Qumran nel 31 a.C. Spaccature e crepacci nel terreno sono ancora visibili, e il livello del pavimento varia di circa mezzo metro in alcuni punti. Qumran rimase disabitato per quasi trent’anni dopo il terremoto, e fu soltanto verso il periodo della nascita di Gesù che il monastero rinacque e fu rinvigorito con nuovo spirito. Oltre a tombe umane, sono state trovati nei sotterranei del monastero resti seppelliti di animali. Le ossa di pecore, capre, mucche, vitelli e agnelli sono state accuratamente deposte a ripo- sare in tombe di terra. Appare perciò evidente che, anche se gli

127 La vita di Gesù in India

Esseni impiegavano animali domestici per aiuto di vario tipo, non uccidevano nè mangiavano gli animali stessi, perchè considerava- no un’atrocità l’interruzione di qualsiasi vita, come i Buddhisti. I monaci coltivavano orti e frutteti. Innumerevoli resti di noccioli di datteri confermano l’esistenza di piantagioni di palme proprio come vengono descritte da Plinio il Vecchio. Filone dice che anche le api erano una delle maggiori attività della comunità: a questo si dedicava giornalmente anche Giovanni Battista, come è ricordato nel Vangelo di Marco (locuste e miele). Sorprendentemente, sono state portate alla luce nel monastero anche circa quattrocento monete, e da esse è stato possibile rico- struire con grande precisione la storia della comunità. Alcune delle monete datano dal 4 a.C., quando Archelao successe al padre Erode come governatore della Giudea. Il salto nella sequenza delle monete che precede questa data suggerisce che fu soltanto con l’ascesa al potere di Archelao che fu permesso al monastero di riaprire. I membri della comunità avevano dovuto mantenere ben chiara l’idea del loro centro monastico per tutti gli anni in cui Erode, stabilito- si nel suo lussuoso palazzo invernale di Gerico, distante soltanto dodici kilometri, aveva soppresso ed espulso i gruppi degli Esseni. Morto Erode, gli Esseni ritornarono e cominciarono a ricostruire il loro monastero. Qumran fu abitato con continuità da allora fino alla ribellione degli Ebrei contro Roma nel 68 d.C. La parte basale dell’area mette in evidenza una violenta distruzione finale. Uno strato di ceneri indica che il monastero fu distrutto dalle fiamme.

L’insegnamento degli Esseni a Qumran I membri della comunità degli Esseni a Qumran non davano alla loro setta alcun nome specifico negli scritti religiosi. Essi chia- mavano sè stessi “la santa comunità”, “i prescelti da Dio”, “gli uomini della verità” o, più spesso, “i Figli della Luce”. In molti aspetti gli Esseni seguivano i precetti della Legge giudaica, ma in altri aspetti si allontanavano da questa legge a un punto tale che è assai dubbio che la comunità di Qumran possa essere veramente

128 descritta come una setta del mondo ebraico. Secondo gli Hokhajot, i Canti di Lode (o Salmi degli Esseni) che sono stati trovati là, la missione degli Esseni era di portare “la Buona Novella (eu-angelion) ai poveri come prova della misericordia di Dio”, ed essi stessi dovevano essere “messaggeri della Buona Novella”. Essi sentivano la necessità di un “Nuovo Accordo” con Dio – infatti essi talvolta si riferivano a sè stessi come il Nuovo Testamento – come fu poi stabilito più tardi nella persona di Gesù. Il Nuovo Testamento doveva durare “dal giorno della partenza del Maestro fino alla venuta del Messia di Aaron e di Israele”. Ma il fatto più sorprendente di tutti è che, quando la setta di Qumran pregava come comunità, come facevano tre volte al giorno, essi non si rivolgevano in direzione del Tempio di Gerusalemme (come facevano e fanno ancora tutti gli Ebrei ortodossi), ma verso oriente. Il punto di attrazione della loro preghiera era ad est, nella direzione del sole nascente. Giuseppe Flavio scrive che gli Esseni “parlano soltanto in modo pio... prima del sogere del sole, offrendo al sole certe antiche preghiere...”. Questo dimostra che gli Esseni consideravano il Sole come un simbolo accettabile di Dio stesso. Uno dei salmi di Qumran rende ancora più chiaro questo punto, indirizzandosi a Dio come “...la vera aurora dell’Alba che mi è apparsa al sorgere del giorno”, e ancora: “...tu sei apparso a me nella tua potenza al venire del giorno”. La Regola della Comunità (o Il Manuale di Istruzioni) richie- deva al fedele del Nuovo Testamento di recitare una preghiera all’alba e una preghiera al tramonto. I seguaci di Pitagora – che si pensa abbia ricevuto insegnamenti dai Brahmini in India – nel loro insediamento di Crotone, in Italia meridionale, e gli aderenti alla setta gnostica di Ermete Trismegisto (che si basava sul culto del dio egiziano Thoth, ma che più tardi fu molto influenzata dai Pitagorici), avevano un culto identico. Sia la direzione verso Oriente della preghiera, sia l’uso simbolico del sole sono riminiscenze del Tempio del Sole di Martand, in Kashmir. È notevole anche il fatto che gli Esseni non usavano il calen- dario stabilito dalle autorità del Tempio di Gerusalemme, che era

129 La vita di Gesù in India un calendario lunare. Essi avevano un metodo proprio di definire le date, che si basava sull’anno solare, che è in qualche modo più accurato e che era usato in generale in India fin dall’inizio della dominazione dei Brahmini. Soltanto durante il tempo di Giulio Cesare venne promulgato il calendario solare per essere impiegato in tutto l’Impero Romano, sebbene non sia stato accettato dagli Ebrei nemmeno oggi18. Nel calendario di Qumran, perciò, i giorni festivi dell’anno religioso cadevano sempre nello stesso giorno della settimana, in contrasto con la pratica ufficiale ebraica. Neppure l’abitudine di dividere l’anno in quattro stagioni è di origine ebraica. Fu Pitagora che introdusse dall’India la suddivisione stagionale trimestrale: prima di allora, gli antichi Greci pensavano soltanto in termini di tre stagioni, o forse due. Il sottofondo spirituale e la fonte originaria della filosofia degli Esseni sono ulteriormente rivelate da un altro insegnamento: come i saggi indiani e i filosofi greci essi credevano nell’immortalità, una vita dopo la morte – in altre parole, che l’anima o spirito soppravvive e lascia la sua prigione temporale, il corpo. A questo riguardo Gesù aggiunse un nuovo elemento nel suo insegnamento sulla resurrezione. Egli parlò della resurrezione dei morti, ma senza riferirsi espressamente alla resurrezione del corpo. Così egli non parlava necessariamente di una resurrezione nella carne, ma della dottrina della reincarnazione e trasmigrazione e del continuo ciclo di rinascite fino alla fine del samsara (il mondo del cambiamento incessante, come descritto nelle Upanishad) – una dottrina che sta alla base di tutte le forme di religione dell’India. I Pitagorici, i cultori dei misteri orfici, Empedocle e Platone aderivano tutti, ben prima degli Esseni, alla dottrina del ciclo delle rinascite, attraverso le quali l’anima entra in un nuovo corpo. La nozione di metempsicosi (l’espressione era usata dagli antichi Greci ed è ancora impiegata nelle lingue europee moder- ne) è sopravvissuta in Occidente fino ai giorni nostri soprattutto attraverso le sette gnostiche ed alcune sette non-arabe dell’Islam: la materia è ancora studiata in corsi universitari di teosofia e an- tropologia religiosa.

130 Anche durante il diciannovesimo secolo, alcuni commentatori hanno messo in evidenza gli aspetti buddhisti degli insegnamenti degli Esseni19. Alcuni li hanno visti come una mescolanza fra i rabbini, gli Gnostici, i Platonici e i Pitagorici da un lato, e Zo- roastrani e Buddhisti dall’altro, e hanno suggerito che la religione degli Esseni e dei Terapeuti si era evoluta dalla mescolanza del Buddhismo con il monoteismo semitico, proprio come il Buddhi- smo si è mescolato con la religione sciamanica Bon in Tibet, con le filosofie del Taoismo e del Confucianesimo in Cina, e con la religione Shinto in Giappone20. I Buddhisti indossavano abiti bianchi come gli Esseni – e come i primi Cristiani. Alcuni studiosi cattolici rimasero meravigliati quando notarono per la prima volta la straordinaria somiglianza fra i rituali e gli insegnamenti del Buddhismo Tibetano e quelli della Chiesa Cattolica. Il costume dei lama tibetani è virtualmente identico non solo agli abiti portati dai preti cattolici, ma anche all’abbigliamento degli apostoli e dei primi Cristiani, come viene raffigurato fin nei dettagli nelle rappresentazioni dell’epoca. L’organizzazione gerar- chica degli ordini monastici tibetani e cattolici romani mostrano somiglianze alquanto sorprendenti. Come i Cattolici, i Buddhisti recitano preghiere di lode e di intercessione, danno elemosine e offerte, ed in entrambe le religioni i monaci prendono i voti di povertà, castità e obbedienza. I Buddhisti usano acqua consacrata e levano la voce nella celebrazione di un servizio religioso in cui la liturgia è veramente molto simile a quella della Chiesa Cristiana d’Oriente. Il rosario è pervenuto alla Chiesa Cattolica dalle collane di preghiera buddhiste. La rappresentazione dell’aura dei Buddhisti è divenuta l’aureola dell’iconografia cristiana. Il Dottore della Chiesa Jerome e lo storico della Chiesa Eusebio affermano che i monasteri cristiani si sono evoluti dalle comunità dei Terapeuti di Alessandria. I tre principali “gradi” del clero cristiano (vescovo, prete e diacono) corrispono in effetti ai tre “gradi” dei monaci Terapeuti. I primi Cristiani vengono descritti da Epifanio come Therapeutae e Jessiani (l’ultimo termine è probabilmente una forma storpiata di “Esseni”). La più alta ambizione per un iniziato

131 La vita di Gesù in India dei primi Cristiani era di diventare un Terapeuta, e molto dell’or- ganizzazione della vita quotidiana nelle prime comunità cristiane era guidata da sette diaconi scelti – titolo che deriva anch’esso dall’organizzazione monastica dei Terapeuti. I Cristiani celebrano il giorno del Signore la domenica, mentre gli Ebrei celebrano il Sabbath di sabato. Similmente gli Esseni ritenevano che il giorno santo fosse la domenica, in cui iniziavano la loro celebrazione del Sabbath. Durante il Sabbath, gli Ebrei portavano carne, vino e grano al Tempio per il sacrificio, e ne veniva tenuta una parte per i preti. La ragione della forte inimicizia dei sacerdoti verso gli Esseni è ovvia: il rifiuto della setta degli Esseni di avere a che fare con i sacrifici di sangue rappresentava una minaccia notevole alla dieta dei sacerdoti e, cosa ancora più significativa, alla loro principale fonte di reddito (o nel rituale della macellazione degli animali, o nel fornire gli animali o nel- l’autorizzarne il sacrificio). Questa fu certamente la causa principale del complotto dei sacerdoti contro Gesù, perchè, come leader di un movimento di Nazareni-Esseni, Gesù propugnava una dottrina che avrebbe eliminato molti dei benefici e la maggior parte dei privilegi dei sacerdoti. Per quanto li riguardava, Gesù doveva essere tolto di mezzo per potere essere certi di continuare a vivere con i van- taggi precedenti. Filone descrive alcuni mistici ebrei che erano simili ai gimnosofisti indù dell’India, che respingevano anch’essi i sacrifici animali. Gli Esseni credevano anche in una dottrina di causazione mo- rale – cioè che le azioni compiute nella vita attuale influenzavano fortemente la posizione di ciascuno nella vita successiva: è l’in- segnamento indiano del karma. Coloro che comprendevano questi misteri dovevano o condurre una vita retta o continuare a compiere cattive azioni ed essere condannati nel Giorno del Giudizio. Ciò avveniva nel contesto della loro fervente attesa dell’apocalisse e dell’imminente venuta del regno di Dio. C’erano numerosi punti di contatto fra le idee di Gesù e quelle degli Esseni, ma c’erano anche differenze che non dovrebbero essere

132 trascurate. I Vangeli riferiscono che Gesù mangiava carne e beveva vino. Egli crebbe in un ambiente influenzato dagli Esseni locali, e la maggior parte dei suoi seguaci erano Esseni. Ma sebbene fosse stato probabilmente un novizio in un monastero degli Esseni, egli più tardi prese le distanze molto nettamente da tutti i precetti della setta rigidamente prescritti, perchè era decisamente convinto – come il Buddha circa cinquecento anni prima – che una cieca adesione a norme e regole precise non era certo una via per raggiungere la salvezza.. E prendendo una posizione personale, Gesù creò una versione nuova e tollerante della fede degli Esseni-Nazareni, una versione che dava spazio alle persone laiche comuni che non erano in grado di seguire la via dell’ascetismo: una via che poteva dare il benvenuto a chiunque e accoglierlo a braccia aperte. In particolare, l’approccio di Gesù ai Comandamenti e alle altre prescrizioni della Legge Mosaica era molto più libero: “Avete udito che fu detto agli antichi... Io però vi dico...” (Matteo 5:21-48). Secondo la stretta osservanza alla legge ebraica ortodossa, coloro che non ubbidivano alle restrizioni dell’attività durante il Sabbath e che non ottemperavano alle prescrizioni dovevano essere messi a morte. Ma il testo di Damasco di Qumran proibisce l’esecuzio- ne di una persona che viola il Sabbath, e secondo il Vangelo di Matteo Gesù disse: “Perchè il Figlio dell’Uomo è Signore anche del Sabato” (Matteo 12:8). La differenza fra la visione di Gesù e quella degli Esseni è evidente in particolare nell’idea di amare anche il nemico. A dif- ferenza di Gesù, gli Esseni non sentivano alcun rimorso ad odia- re i loro nemici. Al contrario, il popolo di Qumran era piuttosto orgoglioso di sentirsi perlomeno lontano dal resto del mondo, se non moralmente superiore. In modo ben diverso da questo, la mis- sione di Gesù era di prendere contatto con i peccatori, di salvare coloro che si erano perduti: le sue parole enfatizzavano che era stato mandato per trovare “la pecora smarrita della casa di Israe- le”, ed egli disapprovava espressamente la bigotteria religiosa di qualunque organizzazione o istituzione che proclamasse di avere accesso esclusivo alla verità.

133 La vita di Gesù in India

Un’altra netta differenza sta nel diverso atteggiamento verso l’uso dell’olio o del balsamo. Gesù dopotutto è il Cristo, l’Unto del Signore, una descrizione usata come un titolo per lui – e ciò lo rende distante dagli Esseni. Gli antichi testi di magia afferma- vano che l’unzione aveva lo scopo specifico di incantare i dèmoni e garantire una protezione da essi, e su base medica aiutava a guarire le ferite e allontanare le malattie del corpo e della mente. In qualche modo l’unguento “sigillava” il corpo di un fedele, assicurando così la protezione divina. Celso dice che gli Ofiti, che veneravano i serpenti, possedevano un unguento magico che trasformava chiunque lo ricevesse in un “Figlio del Padre”: “Sono stato unto con il puro unguento bianco dell’“Albero della Vita”21. Nell’apocrifo Vangelo di Filippo si trova questo passaggio: “L’Al- bero della Vita è nel centro del Paradiso; è l’albero che produce l’olio con cui vengono consacrati i re (chrisma), e per mezzo del quale la resurrezione (è stata resa possibile)”22. Se qui l’idea principale è la rinascita dell’anima in un nuovo corpo, è evidente quale altro decisivo elemento ha introdotto Gesù, l’Unto del Signore, negli insegnamenti dei diversi gruppi di Esseni. Come ha scritto Ireneo, il sacramento della santa unzione era “un rito che denotava la salvezza per “colui che è divenuto perfetto”, e di conseguenza era considerato di gran lunga più importante del battesimo. L’unzione avveniva di solito sulle tempie e sulla fronte, spesso in forma di croce. La tradizione dell’unzione ha avuto le sue origini in India, dove gli asceti Indù (sadhu) possono ancora essere riconosciuti da un piccolo cerchio bianco, o da strisce bian- che orizzontali o verticali sulla fronte, applicate con una miscela di olio e cenere sacra (vibhuti).

Buddha e Gesù: un confronto Il Dio delle tribù semitiche, se non si vogliono usare giri di parole, è una divinità vendicativa e assetata di sangue. Yahweh- Jehovah degli Ebrei tende ad essere raffigurato come un Signore che incute timore seduto su un trono al di sopra delle nuvole,

134 Foto aerea del monastero di Qumran dopo gli scavi. intento a castigare violentemente il Popolo Eletto ogni volta che trasgredisce i suoi editti e le sue proibizioni. La filosofia che sta dietro al Sermone della Montagna, come riferito dal Vangelo di Matteo, è illuminata da un Dio completa- mente diverso. Il messaggio di Cristo è un messaggio di amore, un messaggio gioioso di perdono e riconciliazione: ama il prossimo tuo come te stesso; se qualcuno ti dà uno schiaffo su una guancia, porgi l’altra guancia. È difficile immaginare un contrasto maggiore con le attitudini rivelate nel Vecchio Testamento. Nessun’altra religione dell’area orientale del Mediterraneo invita a una Grazia di amore magnanimo come fa Gesù. Dove ha imparato Gesù i precetti che ha proclamato nel Sermone della Montagna? Una possibile risposta a questa domanda si può trovare nelle prime scritture buddhiste (pre-Cristiane) come il Lalitavistara, che è il testo buddhista che mostra il maggior numero di paralleli con la tradizione dei Vangeli. Scritto in sanscrito, il Lalitavistara è una

135 La vita di Gesù in India biografia del Buddha collegata – come tempo e cultura – con i Sarvastivadi. Le sue sezioni più antiche, che derivano dalla tradi- zione Hinayana, datano dal terzo secolo avanti Cristo, sebbene la versione completa nella sua forma attuale sia stata compilata nei due secoli a cavallo della nascita di Cristo, e sia stata inclusa nel canone Mahayana con l’editto del Concilio di Haran nel primo secolo dopo Cristo, cioè – fatto significativo – alcuni anni prima della compilazione del Nuovo Testamento. Nel Lalitavistara, Buddha dice: L a conoscenza della verità, il raggiungimento del Nirvana – questa è la suprema illuminazione. Solo attraverso l’amore l’odio può essere vanificato; attraverso il perfetto amore il male può essere superato... Non dire mai parole ostili al tuo prossimo, ed esso ti risponderà allo stesso modo.

Un mercante di Sunapaortha chiese all’Illuminato di dargli l’insegnamento. “La gente è violenta” disse il Risvegliato. “Se ti offendono, come devi rispondere?” Il mercante si strinse nelle spalle. “Non darei loro alcuna ri- sposta” disse. “E se ti colpiscono?” “Non avrei alcuna reazione” “E se ti uccidono?” Il mercante sorrise. “La morte, o Maestro, non è il male. Alcuni persino la desiderano!” Allo stesso modo, Gesù ammaestrava i suoi discepoli: “A chiun- que ti colpisce sulla guancia destra, porgi l’altra guancia”. Buddha disse al suo discepolo favorito, Ananda: “Credi in me, Ananda! Tutti coloro che credono in me, avranno una grande gioia”. Similmente Cristo istruiva i suoi discepoli a credere in lui e a non dubitare in questa fede. In un’altra occasione, il Buddha descrisse l’elargizione delle elemosine come “un seme seminato in una buona terra, che darà frutti in abbondanza”. Egli dichiarò anche che “il cibo che viene mangiato non distrugge una persona.... ma il togliere una vita, ruba-

136 re, mentire, commettere adulterio, e persino pensare di fare queste cose, possono certamente portare alla distruzione di una persona”. E inoltre: “Un uomo seppellisce un tesoro in un pozzo profondo. Ma un tesoro nascosto come questo non gli è di nessuna utilità. Ora, un tesoro di amore per il prossimo, di pietà e di moderazione – questo è un tesoro che nessun ladro potrà mai rubare”. Anche quando i cieli cadranno sulla terra, anche quando il mondo sarà inghiottito e distrutto, anche allora, Ananda, le parole del Buddha resteranno vere”. In un altro passo l’Illuminato parla di sè stesso come “un pastore pieno di saggezza” che si volge per riportare sulla via le pecore del gregge che stanno vagando verso l’abisso. Tutte queste parole del Buddha ricordano fortemente le parole di Gesù, come riportate dai Vangeli. Forse Gesù ben conosceva le parole del Lalitavistara? Giovanni il Battista battezzava alla foce del fiume Giordano, laddove entra nel Mar Morto, molto vicino al luogo dove la comunità degli Esseni aveva la sua base principale e dove furono scoperti nel 1947 i Rotoli del Mar Morto. Giovanni esortava la gente a pentirsi dei peccati e a ricevere il battesimo dalle sue mani nelle acque del Giordano. Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù si ritirò nel deserto, dove fu soggetto alle tentazioni di Satana. Cinquecento anni prima, anche il Buddha fu soggetto a una serie di tentazioni da parte di Mara, il “signore dei piaceri dei sensi”, come narra il Lalitavistara. A Siddharta, durante il suo digiuno e la sua meditazione, Mara offrì piatti deliziosi e offrì le ricchezze e i piaceri del mondo, ma la concentrazione contemplativa del Buddha non ne venne in minima parte disturbata. Gesù affrontò la stessa prova nel deserto, con lo stesso risultato. Si narra di una simile storia di tentazione anche per Zarathustra (Zoroastro) e in verità lo stesso tema – relativamente ben radicato in Oriente – si trova in molte biografie di santi cristiani. Gesù raccomandò ai suoi discepoli di andare e diffondere il messaggio di gioia alla casa di Israele. Come i sannyasi Indù, i discepoli non dovevano portare con sè nè oro nè argento, nè un secondo vestito o un altro paio di scarpe.

137 La vita di Gesù in India

Cinquecento anni prima di Gesù, il Buddha aveva usato, nel nominare i suoi primi discepoli – i nobili trenta – le stesse parole che Gesù avrebbe usato più tardi: “Venite, seguitemi!” I discepoli rinunciarono subito ad ogni cosa e lo seguirono, proprio come Pietro, Andrea e i figli di Zebedeo seguirono Gesù più tardi. E come Gesù, il Buddha parlava a mezzo di parabole. Gesù una volta disse che un cieco non poteva guidare un altro cieco senza che entrambi cadessero in una buca. In un passaggio simile il Buddha dice: “Quando un gruppo di ciechi si tengono uno con l’altro in fila, quello davanti non vede niente, quello nel mezzo non vede niente e quello in coda non vede niente!” Nelle scritture buddhiste c’è un equivalente anche della parabola del Figliuol Prodigo. Altre parabole raccontate da Gesù sono presenti non nei discorsi del Buddha, ma nelle tradizioni e nei proverbi indù pre-cristiani, compresa, ad esempio, la famosa affermazione che la fede può muovere le montagne. In questo modo Krishna sposta il monte Govardhana per proteggere i suoi abitanti dalla collera del dio Indra, e nel Ramayana il dio-scimmia Hanuman trasporta una montagna nello Sri Lanka. Nessuna immagine simile era presente nelle tradizioni dell’Antico Testamento. Sono stati attribuiti al Buddha diversi miracoli, molti dei quali sono molto simili a quelli descritti nel Nuovo Testamento come compiuti da Gesù. Buddha e i suoi discepoli furono invitati a un matrimonio nella città di Jambunada. Il santo gruppo era seduto a consumare un allegro pasto, ma il cibo, invece di diminuire ra- pidamente man mano che veniva consumato, in realtà aumentava di quantità ed andava crescendo sempre più, così che, anche se arrivavano sempre nuovi ospiti, ce ne fu a sufficienza per la grande moltitudine di persone presenti alla fine. Come Gesù, Buddha veniva considerato sia divino, sia umano. Prima di arrivare sulla Terra, Buddha esisteva come essere spirituale fra le entità divine nel mondo dello spirito. Di sua spontanea volontà è disceso sulla Terra per portarvi beneficio. Come quella di Cristo, la sua nascita è il risultato di un miracolo: angeli messaggeri pro- clamano che egli sarà un salvatore, ed annunciano profeticamente

138 a sua madre: “Ogni gioia a te, regina Maya; gioisci e sii felice, poichè il bambino che hai dato alla luce è santo!” Proprio come fu detto al vecchio e pio Simeone che avrebbe visto la venuta del Messia, la nascita del Buddha viene annunciata dal vecchio santo Asita che, poco prima della sua morte, va dal bambino appena nato, lo prende fra le sue braccia e dichiara: Questo è colui che non ha uguali, preminente fra gli uomini... Egli raggiungerà la massima altezza dell’illuminazione. Egli ha conoscen- za del supremo Volere. È lui che metterà in moto la Ruota della Dottrina. Egli ha avuto compassione delle sofferenze dell’umanità. La sua fede si diffonderà in tutto il mondo.

Ricordiamo che similmente Simeone prende il santo bambino fra le braccia e dice: Signore, adesso congeda il tuo servo in pace, secondo la tua pa- rola: poichè i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato a vantaggio di tutti i popoli; luce per illuminare i Gentili, e gloria del tuo popolo Israele. (Luca 2:29-32)

Anche studiosi relativamente cauti sono convinti che queste parole hanno un precedente diretto nel Buddhismo. A scuola, il giovane Principe Siddharta ha già una certa fami- liarità con tutti i tipi di testi religiosi. Egli esce per un suo giro solitario, sparisce, e viene poi trovato assorto in profonda medi- tazione. I paralleli con Gesù, bambino di dodici anni che viene trovato nel Tempio in dotte dissertazioni con esperti delle scritture, mentre i suoi genitori lo stanno cercando, sono così evidenti che non possono essere trascurati. Buddha comincia a predicare in pubblico all’età di circa trent’anni, la stessa età in cui cominciò Cristo. Come Gesù, Buddha viaggia attraverso la sua terra con i suoi discepoli principali in volontaria povertà, dando loro insegnamenti a mezzo di vive immagini e parabole. Come Gesù, Buddha ha dodici discepoli principali, e

139 La vita di Gesù in India i suoi primi seguaci sono due fratelli – di nuovo con un esatto parallelo con i primi seguaci di Gesù. Quando ricevono la chiamata del Buddha, i suoi primi com- pagni sono seduti sotto un albero di fico, ed è mentre era sedu- to sotto un albero bo o pipal-tree (un’altra specie di fico) che Buddha raggiunse l’illuminazione. Per i Buddhisti l’albero bo (Ficus religiosa) rimane il simbolo più importante dell’aspirazione all’Illuminazione. Anche Gesù dà per la prima volta l’illumina- zione al discepolo Nataniele seduto sotto un albero di fico. Sia Buddha che Cristo hanno un discepolo favorito e un discepolo che li tradisce – e, come Giuda Iscariota, il nemico di Buddha, Devadatta, fa una brutta fine (anche se il suo complotto fallisce, mentre quello di Giuda riesce). Con quanta forza Gesù critica i Farisei, i fedeli ortodossi che si attengono in modo staticamente rigido alla Legge Mosaica, al- trettanto Buddha critica la casta sacerdotale dei Brahmini, la cui ortodossia si è ridotta a regole fisse e rituali privi di significato. “Come arroganti apprendisti di un mestiere che stanno ancora imparando, i sacerdoti estendono sempre più la loro rete di rego- lamenti e sono all’origine di ogni schema perverso”. Dei Farisei, Gesù similmente dice, “Legano fardelli pesanti e insopportabili e li mettono sulle spalle degli altri, ma essi si rifiutano di smuoverli con un dito. Tutte le loro opere, poi, le fanno per essere guardati dagli uomini” (Matteo 23:4-5). Nello stesso modo il Buddha descriveva i bramini: “Nel vostro interno siete come legno ruvido, anche se all’esterno il vostro aspetto è lucido” e Gesù dice dell’ipocrisia dei Farisei: “Voi siete come sepolcri imbiancati, che sono belli all’apparenza, ma di dentro sono pieni d’ossa di morti e di ogni immondezza“ (Matteo 23:27). Proprio come Buddha respinge i sacrifici di sangue compiuti da certi Brahmini, così Gesù condanna i sacrifici di sangue compiuti dagli Ebrei. E proprio come Buddha attribuisce scarso valore a cosa sia puro e cosa sia impuro e alla questione se le abluzioni rituali possano o non possano essere efficaci, così Gesù censura qualunque atto che non sia sincero o che sia semplice ostentazione.

140 Malgrado tutti i tentativi volti a nascondere le vere origini dell’insegnamento di Gesù, e malgrado che i Vangeli siano stati compressi più volte per ridurli ad una interpretazione rigidamente conformata, si possono citare più di cento passaggi23 del Nuovo Testamento che mettono in evidenza origini che si riconducono ad una tradizione molto più antica: il Buddhismo.

Il pensiero buddhista negli insegnamenti di Gesù L e affinità fra l’insegnamento etico di Gesù e quello del Buddha sono ben note. Entrambi proibiscono l’omicidio, il furto, la falsa testimonianza e le relazioni sessuali illecite. Entrambi insistono sul fatto che gli anziani devono essere tenuti in grande rispetto. Entrambi mirano a superare il male attraverso il bene. Entrambi predicano l’amore anche verso il nemico. Entrambi danno grande valore alla serenità mentale e all’intenzione pacifica. Entrambi mettono in guardia contro l’attaccamento ai futili “tesori monda- ni”. Ed entrambi raccomandano ogni compassione per le vittime sacrificali. I paralleli sono molti, ed alcuni testi delle due fedi coincidono virtualmente parola per parola. Come Gesù, Buddha chiamò sè stesso “Figlio dell’Uomo”, e proprio come Gesù può essere descritto come la Luce del Mondo, così al Buddha vengono attribuiti i titoli di “Occhio del Mondo” e “Luce Incomparabile”. La comprensione di sè stesso e del proprio ruolo nel Buddha differisce ben poco dalla comprensione del Cristo della propria natura e del proprio posto. “Io conosco Dio e il Regno dei Cieli, e la Via che vi conduce”, dice il Buddha, “Io li conosco come uno che è entrato nel Brahmaloka (il Regno di Dio) e che là è nato”. E “Coloro che credono in me e mi amano sono certi di raggiungere il Paradiso. Coloro che credono in me otterranno certamente la salvezza”. Tutto questo è notevolmente simile alle promesse di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni: “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è sottoposto a condanna, ma è passato dalla morte alla vita”

141 La vita di Gesù in India

(Giovanni 5:24). E ancora “Chi crede in me, anche se è morto, vivrà” (Giovanni 11:25). Buddha dice ai suoi discepoli, “Coloro che hanno orecchie per ascoltare, ascoltino”. Egli compie miracoli: i malati sono guariti, i ciechi possono di nuovo vedere, i sordi possono udire e gli storpi camminano liberamente. Egli cammina sul Gange in piena, proprio come Gesù cammina sulle acque del lago. Ed infine viene data ai discepoli di Gesù la facoltà di compiere miracoli, proprio come ai loro predecessori, i discepoli di Buddha. In un’occasione Buddha capitò sulla riva di un fiume. Dalla riva opposta un discepolo che non era riuscito a trovare una bar- ca, cominciò a camminare sull’acqua verso di lui, proprio come Pietro quando si avvicinò a Gesù camminando sull’acqua. E nello stesso modo in cui Pietro iniziò ad affondare quando la sua fede cominciò a vacillare, il discepolo di Buddha cominciò ad affondare quando la sua concentrazione meditativa sul Buddha fu disturbata. Pietro fu salvato dalle parole di conforto e dal braccio di Gesù, e il discepolo di Buddha si salvò quando riuscì a riprendere la sua concentrazione nel contemplare il Maestro. Le persone che furono testimoni dei due eventi rimasero molto meravigliate. Buddha disse, “La fede ci ha condotto attraverso le acque del fiume, la saggezza ci porta sani e salvi sull’altra sponda”. Camminare sull’acqua è un’idea assolutamente assente nelle tradizioni ebraiche, mentre è un tema ampiamente diffuso in India: è molto probabile che il Nuovo Testamento abbia preso questa idea dall’India. Inoltre, come Gesù il Buddha evitava assolutamente miracoli destinati semplicemente a stuzzicare il desiderio del sensazionale della gente. A uno yogi che aveva passato venticinque anni di sforzi nel provare ad acquistare la capacità di attraversare un fiume senza bagnarsi i piedi, il Buddha disse “Hai davvero perso tanto tempo su una cosa di così poco conto? Tutto quello di cui avevi bisogno era una piccola moneta, e il barcaiolo ti avrebbe fatto attraversa- re il fiume con il suo battello”. Ma in un periodo successivo, ai racconti dei miracoli del Buddha nella tradizione del Buddhismo Mahayana venne accordata un’importanza pari a quella dei miracoli

142 di Gesù nel Cristianesimo. In tutti i tempi e in ogni luogo, la gente è stata più facilmente impressionata da miracoli, segni e spettacoli di magia che non dalle verità spirituali, specialmente quando le verità spirituali sono difficili da credere o praticare. C’è una particolare storia che rappresenta forse il parallelo più sorprendente di tutti fra i più antichi testi buddhisti e il Nuovo Testamento. In termini cristiani è la parabola della monetina della vedova. Secondo la versione buddhista, si narra di un’assemblea religiosa alla quale viene richiesto ai fedeli di fare una donazione in denaro. I membri più ricchi della congregazione offrono con generosità e in moneta pregiata. C’è però una povera vedova, che possiede in totale solo due monetine, ed essa le dona generosamente entrambe, e con piacere. Il sacerdote presente si accorge del suo nobile gesto e la elogia pubblicamente per questo, mentre non accenna affatto alle altre donazioni. Il passaggio corrispondente del Vangelo di Marco così racconta l’episodio simile:

E Gesù, sedendosi di fronte al Tesoro, guardava come la folla gettava monete nel Tesoro: e molti ricchi ne mettevano assai. E venne una povera vedova che mise due spiccioli, equivalenti a un quadrante. Chiamati a sè i suoi discepoli, Gesù disse loro: “In verità vi dico, questa povera vedova ha messo più di tutti gli altri nel Tesoro: Poichè tutti vi hanno messo del loro superfluo, questa invece, nella sua indigenza, ha messo tutto ciò che possedeva, tutto ciò che aveva per vivere”. (Marco 12:41-44)

O ltre al fatto che il tema di base è identico in entrambe le versioni, ci sono alcune coincidenze di dettaglio che colpiscono in modo particolare. In entrambe le versioni la storia riguarda una vedova. Entrambe parlano di offerte ad un’assemblea religio- sa e di persone ricche presenti. In entrambe la vedova offre tutto quello che possiede, per la precisione due monete, e per questo viene lodata da qualcuno che apprezza il suo sacrificio molto di

143 La vita di Gesù in India più delle donazioni dei ricchi. Le due versioni sono così uguali, che riesce difficile credere che la più recente (quella cristiana) sia stata inventata in modo del tutto indipendente dalla più antica (quella buddhista). I paralleli fra il Buddhismo e il Cristianesimo sono evidenti non solo nelle parole e nelle azioni dei rispettivi fondatori, ma anche in altri aspetti delle due religioni, successivi alla loro morte. Il mito e la leggenda circondano le due figure centrali in modo che, subito dopo la morte di entrambi, Buddha e Gesù vengono elevati al di sopra delle divinità minori e i racconti dei miracoli proliferano e si diffondono. In entrambi i casi i discepoli dapprima evitano di stabilire qualunque comunità religiosa organizzata per la fede, e operano invece in piccoli gruppi sparsi. Subito si scatenano dispute teologiche fra gruppi con diversi sottofondi culturali: fra gli Sthavira e i Mahasanghika, e fra i Cristiani Ebrei e i Cristiani Ellenisti. In entrambe le religioni vengono convocati Concili, uno a Rajagriha, uno a Gerusalemme. E proprio come i Buddhisti or- todossi formalizzarono la loro dottrina nel Concilio di Pataliputra (241 a.C.), 250 anni dopo la morte del Buddha, così fece la Chiesa Cristiana con il Concilio di Nicea (325 d.C.), 300 anni dopo che Gesù fu visto per l’ultima volta in Palestina. Nel tempo in cui Gesù viveva e predicava in Palestina, la scuola Mahayana del Buddhismo si era appena evoluta dalla scuola Hinayana, più chiusa in sè stessa. È stata la scuola Mahayana che ha fatto diventare il Buddhismo una religione universale, aperta ai credenti di ogni nazione e di ogni cultura. La filosofia Mahayana si focalizza sulla compassione verso tutti gli esseri, personificata nell’ideale del Bodhisattva, concezione che prese forma nel terzo secolo avanti Cristo. Il Bodhisattva è un Illuminato che rimanda la sua immersione nell’Essere Universale, che rinvia il suo ingresso nel nirvana, finchè non è riuscito a portare ogni essere alla salvezza. L’esistenza terrena di un Bodhisattva ha l’unico scopo di portare tutte le anime sul sentiero della liberazione (moksha), la via che costituisce la liberazione dal ciclo delle rinascite, dalle distrazioni del mondo e dalla fisicità. Tutte le qualità caratteristiche di un

144 Bodhisattva si trovano nella persona di Gesù, fino al più piccolo dettaglio. Gesù stesso è la figura tipica del Bodhisattva ideale.

Gesù era un ebreo ortodosso? Ebreo fra gli Ebrei, Gesù viene talvolta considerato come rappresentativo dell’ebraismo del suo tempo e della cultura lo- cale. Ma non possiamo applicare a lui in alcun modo gli epiteti “tradizionale” e “ortodosso” in senso religioso. In particolare per quanto riguarda argomenti come la morte, la famiglia, la Legge, e invero la tradizione giudaica, ci sono differenze fondamentali che distinguono le sue concezioni da quelle del giudaismo ortodosso. Anzi, non è azzardato dire che Gesù criticò a fondo tutto quello che era più sacro alla cultura ebraica tradizionale! Questo è vero in particolare per argomenti come la morte e la famiglia. In quattro versi successivi Luca riferisce che Gesù considera la libertà personale di culto e l’amore per Dio ben più importanti dei riti convenzionali della sepoltura e dei doveri inerenti all’appartenenza a una famiglia.

A un altro, poi, disse, “Seguimi”. Costui rispose: “Signore, per- mettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gesù gli disse:, “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti: tu vattene ad annunziare il regno di Dio”. Un altro ancora gli disse: “Ti seguirò, Signore, ma prima permet- timi di salutare i miei di casa”. Gesù gli rispose: “Chiunque guarda indietro mentre mette mano all’aratro, non è adatto per il regno di Dio”. (Luca 9:59-62)

O gni volta che l’insegnamento e le attività di Gesù toccavano argomenti relativi alla famiglia, tendevano ad “offendere le convin- zioni ebraiche”, come ha messo in evidenza lo storico ebreo C.G. Montefiore24. “Se uno viene a me e non mi preferisce a suo padre, alla madre, alla moglie, ai figli, ai fratelli, alle sorelle... non può essere mio discepolo” (Luca 14:26). “Chi ama il padre e la madre

145 La vita di Gesù in India più di me non è degno di me” (Matteo 10:37). Particolarmente contrario – e incomprensibile – alla tradizione ebraica è il pas- saggio del Vangelo di Matteo in cui Gesù disconosce verbalmente la sua stessa madre:

Mentre egli parlava ancora alle folle, ecco che sua madre e i suoi fratelli stavano fuori, cercando di parlargli. Qualcuno gli disse: “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno di fuori e cercano di parlarti”. Ma egli rispose a chi lo informava: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?” E, stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!” (Matteo 12:46-49)

L o stesso Gesù in nome del quale sono state organizzate “cro- ciate per la famiglia” evitò i suoi stessi familiari quando volevano parlargli. Ed è proprio Matteo – l’estensore di un Vangelo da un punto di vista ebraico – che fa dire a Gesù un’affermazione unica per il mondo antico e particolarmente scandalosa per gli Ebrei: “Sono venuto, infatti, a metter divisione: l’uomo contro suo padre, e la figlia contro sua madre, e la nuora contro sua suocera”. E con una strana anticipazione delle teorie freudiane, egli aggiunge: “e nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua” (Matteo 10:35-36) Visto tenendo come sottofondo la cultura ebraica contemporanea, questo comportamento da parte di Gesù – il rigetto dei legami familiari e lo scioglimento di vincoli ritenuti sacrosanti – può lasciare assai perplessi anche oggi. Ma è esattamente lo stesso atteggiamento del Buddhista che cerca di ottenere la completa liberazione dai desideri e dalle distrazioni dell’ego mondano. Per ottenere la liberazione dalle sofferenze di questa vita terrena, devono essere abbandonati tutti gli attaccamenti personali, come pure tutti i condizionamenti culturali che rappresentano impedimenti dello stesso genere. La persona umana individuale resta imprigionata nel ciclo delle rinascite per tutto il tempo in cui non riesce a liberarsi dai desideri dell’ego. Gesù si è trovato continuamente in contrasto

146 con la Legge Giudaica, che gli sembrava in ogni caso interpretata in termini futili e vuoti; il suo deciso rifiuto dell’importanza del Sabato fu alla fine sufficiente a portarlo alla Crocifissione. Se Gesù avesse veramente voluto condurre una vita divina come era intesa dagli Ebrei ortodossi contemporanei, o addirittu- ra diventare rabbino, avrebbe dovuto sposarsi – specialmente in età matura. Matteo, comunque, non lascia alcun dubbio che Gesù rimase scapolo. (19:12). E Gesù avrebbe dovuto essere circonciso, come era richiesto a tutti gli Ebrei maschi in segno del Patto fra Yahweh-Jehovah e Abramo25. Solo agli uomini circoncisi era consentito prendere parte al pasto che commemorava la Pasqua giudaica, e a nessun uomo non circonciso era consentito entrare nel santuario del Signore nel Tempio26. Chiunque rifiutasse di essere circonciso era considerato uno che aveva infranto il Patto e veniva espulso, “esiliato dal suo popolo” (Genesi 17:14). Tuttavia i Vangeli non dicono chiaramente se Gesù fosse circonciso o no. In Luca 2:21 si dice soltanto che all’età di otto giorni, quando era il tempo fissato dalla legge per la circoncisione, gli venne dato il suo nome. Non c’è nessuna affermazione esplicita che egli sia stato veramente circonciso. L’apocrifo Vangelo di Tommaso riferisce un discorso di Gesù sulla circoncisione:

I suoi discepoli gli chiesero: “La circoncisione – è una cosa veramente importante, o no?” Egli rispose: “Se fosse veramente importante, il vostro Padre celeste vi avrebbe fatti venire al mondo già circoncisi dall’utero di vostra madre. Ma certamente può essere di grande importanza una circoncisione spirituale”. (Logion 53)27

È noto che gli Esseni riconoscevano solo una tale “circonci- sione spirituale” e non richiedevano mai l’asportazione fisica del prepuzio. In questo modo Paolo, che si era opposto fortemente alla circoncisione come pratica religiosa, fece il possibile per superare le obiezioni dei Cristiani ebrei e arrivare ad abolire l’obbligo sancito dagli apostoli al Concilio di Gerusalemme.

147 La vita di Gesù in India

I successori degli Esseni e dei Nazareni Nella lotta per il potere che si verificò fra i molti gruppi Paoli- nisti, Gnostici e Cristiani-Ebrei durante i primi secoli della nostra era, fu la Chiesa di Roma, come organizzata in forma gerarchica da Paolo, che risultò infine vincitrice, a seguito della conversione al Cristianesimo dell’Imperatore Costantino nel 313 d.C. Trecento anni più tardi si trovò sotto pressione, quando una nuova religione si affacciò premendo fortemente da sud verso l’Asia Minore: l’Islam riuscì ad imporsi su molta della popolazione del- l’area in un arco di tempo straordinariamentre breve. Ma cosa è accaduto dei gruppi che non erano disposti a sot- tomettersi all’autorità del Papa di Roma e dell’Imperatore di Bi- sanzio – gli Esseni e i Nazareni, il nucleo principale dei Cristiani Ebrei (Ebioniti), gli Gnostici, i Manichei e i neo-Platonici? Sono semplicemente scomparsi, assorbiti senza lasciare tracce o nella Chiesa di Roma o nella corrente principale dell’Islam? Un gran numero di differenti comunità tribali, clan e sette esistono ancora oggi fra le montagne dell’Asia Minore, della Siria e del Kurdistan: sono considerati dai mussulmani ortodossi come eretici, potenziali fonti di disturbo e, quando non sono chiamati semplicemente Sciiti, possono essere indicati con il nome collettivo di Alawiti28 (perchè il cugino e genero del Profeta Maometto, Alì, ha un posto speciale nelle loro credenze). Questi Alawiti comprendono, ad esempio, i dervishi Bektashi dell’Anatolia e i Nusairi delle montagne costiere della Siria. Molti esperti ritengono che il nome di quest’ultimo gruppo derivi da Nazareno o Nazoraian, o dal nome Nasara o Nasrani, che veniva dato ai primi Cristiani in Palestina29. E ci sono le più note comunità dei Drusi nelle montagne del Libano, e gli Yazidi del Kurdistan, che vengono chiamati in modo dispregiativo adoratori del diavolo dai Mussulmani ortodossi. Fino alla comparsa di pochi studiosi isolati nei tempi moderni, compresi i ricercatori per studio, non si sapeva praticamente niente

148 delle credenze religiose di questi gruppi, che si proclamavano tutti mussulmani; in essi tutti coloro che erano iniziati ai misteri della loro fede venivano vincolati a un segreto assoluto, sotto minac- cia delle pene più severe. Solo molto recentemente parecchie di queste comunità tribali, e in particolare alcuni gruppi in Turchia30, hanno aperto la porta al mondo esterno rivelando un’antica tradi- zione in cui nozioni mediterranee e anatoliche dei tempi classici si sono conservate assieme con antiche concezioni ebraiche, dei primi cristiani e gnostiche, alcune delle quali dimostrano paralleli inequivocabili sia con gli Esseni, i Nazareni e i Terapeuti, sia con gli ideali di vita religiosa e di pensiero dell’India. Tutte queste sette dividono tipicamente la comunità in non-iniziati (laici) e iniziati (monaci). I monaci sono divisi in tre gradi, proprio come i monaci dei Terapeuti e il clero dei primi Cristiani. In Anatolia, i monaci che appartengono all’ordine dei Bektashi e sono vincolati al celibato vivono o in monasteri o come men- dicanti erranti, che viaggiano a piedi da un posto all’altro. Anche le donne – alle quali è consentito un modo di vivere molto più indipendente rispetto alle donne mussulmane – sono accettate nella società degli iniziati31, e possono prendere parte al Jem, il più importante rito del culto, che ha luogo nei monasteri o nelle case dei fedeli più devoti. Consiste in un pasto comune con pane e vino (molto simile al pasto chiamato agape nelle assemblee dei primi Cristiani), una confessione dei peccati davanti al clero e una danza sacra eseguita in stato estatico sia dagli uomini sia dalle donne. I candidati all’iniziazione vengono spruzzati con acqua da dodici fratelli dell’Ordine, e simbolicamente appesi, come segno della morte della vecchia persona e della risurrezione della nuova. Gli Alawiti dell’Iran occidentale noti come Ahl-e Haqq (“Popolo della verità”) conducono inoltre il novizio ad una sorgente in cui viene poi immerso32. I precetti filosofici di queste comunità ricordano fortemente le tradizioni indiane. L’universo è sottoposto a un ciclo senza fine di formazione e dissoluzione, chiamato il ciclo dell’essere. Da uno Stato Primario chiamato Haqq (“Verità”) che corrisponde alla

149 La vita di Gesù in India condizione basilare di tutte le cose – paragonabile al brahman degli Indù, alla shunyata del Buddhismo Mahayana e al Tao dei Cinesi – si emana una Divinità in tre Persone, che a sua volta dà origine al Logos primario o Intelligenza-del-Mondo, che si incarna fra gli uomini in ogni epoca per mostrare loro la via verso l’Illuminazione. Esempi particolarmente degni di venerazione di queste divinità incarnate sono Alì e, fatto notevole, Gesù. Lo scopo della vita umana è raggiungere l’Illuminazione e superare così il ciclo delle rinascite, in modo da diventare una “persona perfetta” (insan-i-kamil), un riflesso o immagine di Dio, come Alì o Gesù33. Un antropologo del Lussemburgo che aveva passato molti anni a studiare le popolazioni delle tribù del Kurdistan dell’Anatolia orientale mi raccontò una volta che continuano a circolare mol- te leggende sulla permanenza di Gesù dopo la Resurrezione in quella che è oggi la Turchia sud-orientale. Secondo la tradizione popolare persiana, egli visse nella città di Nisibis, presso Edessa, oggi chiamata Nusaybin, e presso il confine turco con la Siria. Altri studiosi riportano una tradizione esistente fra gli Alawiti del- l’Anatolia secondo la quale Gesù sopravvisse alla Crocifissione, fu riportato in salute dai suoi discepoli e poi lasciò per sempre i territori sotto il dominio dell’Impero Romano34. Le terre situate a nord, a ovest e a sud erano tutte sotto il dominio romano, così Gesù può essere emigrato solo verso est. Molti studiosi pensano che queste comunità tribali rappresen- tino i diretti discendenti degli Esseni e dei Nazareni che, dopo il tempo di Cristo, si sono fusi con i Cristiani Ebrei in opposizione al gruppo Ellenistico dominante di Paolo e che, allo scopo di so- pravvivere sotto il dominio mussulmano, hanno più tardi assunto l’aspetto esteriore di una sétta islamica. Ci sono molti altri punti a favore di questa tesi, oltre a quelli già menzionati. Ad esempio, tutti i gruppi celebrano le festività cristiane, e in particolare la Pasqua. Oltre a venerare Gesù, essi considerano con particolare rispetto Giovanni Battista e Pietro, ma non riconoscono affatto Paolo. Hanno grande stima per i Vangeli di Matteo e Giovanni, ma considerano quasi con disprezzo il Vangelo

150 (Ellenista) del greco Luca. Comunque la cosa più interessante è forse il fatto che queste tribù vivono proprio nelle zone dove vivevano alcune delle co- munità cristiane originarie. Gli Alawiti della Turchia, ad esempio, occupano il territorio che una volta era la terra dei Galati – un popolo al quale fu indirizzata una delle epistole attribuite a Paolo nel Nuovo Testamento. Allora è certamente possibile che queste remote comunità che abitano in aree montagnose inaccessibili possano avere conservato la dottrina cristiana originaria in una forma molto meno alterata di quanto abbia fatto la Chiesa di Roma con tutti i suoi imperatori, papi e cardinali35.

151 CAPITOLO SEI

IL SEGRETO DI GESù

“Che tipo di uomo è questo?” Il tentativo di descrivere la figura storica di Gesù Cristo è molto simile al tentativo di un fisico di provare l’esistenza di una par- ticella subatomica e determinare la sua carica. La particella reale non può essere osservata con mezzi ottici diretti, ma lungo il corso di un certo numero di esperimenti è possibile registrare le tracce di altre particelle più grandi con le quali è venuta in contatto, e seguendo queste tracce fino all’origine, calcolare le forze coinvolte nella collisione. La particella subatomica invisibile è in tal modo descritta in ultima analisi attraverso i suoi effetti. Nel caso di Gesù, ci sono altri due fattori che rendono il com- pito ancora più difficile. Il primo è che le Chiese Cristiane hanno distrutto virtualmente tutte le informazioni certe utili per ricostruire gli eventi della storia personale di Gesù. Il secondo è che Gesù stesso era vincolato a mantenere il suo segreto (il segreto di chi era veramente) durante tutta la vita, allo scopo di tenere lontani il più possibile gli intrighi dei suoi nemici. Gesù come persona è coperto da un velo di mistero e di segretezza. Una nebbia miste- riosa ricopre gli eventi della sua vita personale, lasciando sempre troppo spazio per le aggiunte successive. Tanta ambiguità crea alla fine una completa perplessità o confusione. Le nostre idee sulla natura e la personalità di Gesù Cristo sono basate non tanto su una documentata biografia e su prove storiche, quanto su una verità che trascende la storia men- tre la attraversa. Urtiamo inevitabilmente contro i limiti di ciò

152 6. Il segreto di Gesù che sembra naturale e comprensibile. Tutte le nostre domande si riducono, in ultima analisi, a una sola questione centrale – quella che si erano posti anche i contemporanei di Gesù: “Che tipo di uomo è questo?” (Marco 4:41). Che ci siano percezioni tanto diverse della persona di Gesù si può presumere dalla natura della sua persona storica – un equilibrio notevole e accuratamente mantenuto fra apertura e segretezza. Le esortazioni di Gesù verso gli altri a mantenere il silenzio su di lui, l’incapacità persino dei suoi stessi discepoli di comprenderlo, e il fatto che quello che il Figlio dell’Uomo diceva in realtà era relativamente evanescente, sono tutti fatti che hanno giocato una certa parte in tutto questo. Quegli stessi discepoli che hanno passato la vita ad accompagnare il Maestro non erano in grado di capirlo correttamente nè di apprezzare cosa stava per fare. Egli pareva eccentrico ed enigmatico e sembrava che non gli interessasse molto ridurre questo aspetto nascosto nella sua vita pubblica. Anche i discepoli erano espressamente tenuti al silenzio. Dopo la dichiarazione rivelatoria di Pietro, Gesù “intimò loro di non parlare a nessuno di lui” (Marco 8:30) e mentre scendeva dalla montagna dopo la Trasfigurazione, egli “proibì loro di raccontare a chicchessia ciò che avevano veduto” (Marco 9:9). C’era lo stesso ordine di segretezza quando Gesù guariva la gente. Ogni volta Gesù vietava a coloro che venivano guariti di diffondere la notizia dell’evento. E licenziò un lebbroso che aveva guarito con le parole “Bada, non dir nulla a nessuno” (Marco 1: 43). E a coloro che erano presenti alla resurrezione della figlia di Giairo “comandò severamente che nessuno lo venisse a sapere” (Marco 5:43). E Gesù mandò a casa l’uomo di Bethsaida, cui aveva restituito la vista, dicendogli: “Non entrare neppure nel villaggio, nè parlare con alcuno nel villaggio”. (Marco 8:26). Malgrado tutto questo, i miracoli non poterono essere tenuti segreti e divennero ben presto di pubblico dominio. Il risultato fu che dopo la guari- gione di una persona che era muta e sorda, ad esempio, “ordinava loro che non lo dicessero a nessuno, ma quanto più lo comandava, tanto più loro lo divulgavano”. (Marco 7:36)

153 La vita di Gesù in India

Gesù inoltre dava ordini ai demoni che lo riconoscevano come il Santo di Dio (Marco 1:24 e 5:7). Egli “impediva ai demoni di parlare, perchè essi sapevano chi era lui” (Marco 1:34). “E gli spiriti immondi, vedendolo, cadevano ai suoi piedi gridando, Tu sei il Figlio di Dio. Ma egli intimava loro aspramente di non manifestare chi era lui” (Marco 3:11-12). In questo modo, allora, ai discepoli, a coloro che venivano gua- riti, agli spiriti immondi e ai demoni, a tutti veniva proibito di far conoscere le sue azioni – invero ad essi veniva data generalmente una formale disposizione di mantenere il silenzio su di lui. “E voleva che nessuno sapesse chi egli era” (Marco 7:24 e 9:30). L’ordine si applicava naturalmente anche ai discepoli. Sembra che ci sia stato un grande salto intellettuale fra Gesù e i suoi discepoli, che erano semplicemente incapaci di capirlo. Questo è particolarmente evidente nelle espressioni di esasperazione di Gesù davanti alla loro completa mancanza di comprensione. Sulla barca in balìa di una tempesta sul lago, da poppa disse queste parole: “Perchè avete così paura? Com’è che non avete fede?” (Marco 4: 40). E dopo il miracolo dei pani: “Che andate dicendo che non avete pane? Non capite ancora e non intendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete? Avete orecchi e non udite? Non vi ricordate?” (Marco 8:17-18). E infine: “Com’è che non comprendete neppure ora?” (Marco 8:21). Quando il tentativo dei discepoli di guarire un ragazzo posseduto da uno “spirito muto” non ha avuto successo, Gesù li ammonisce con le parole: “O ge- nerazione incredula! Fino a quando sarò tra voi? Fino a quando vi sopporterò? Conducetemelo” (Marco 9:19). La seconda di queste due affermazioni può essere interpretata con il fatto che Gesù avesse sempre considerato la sua missione in Palestina di durata limitata e che egli vedeva avvicinarsi il tempo del suo ritorno in India. Anche le circostanze del suo ingresso pubblico finale in Ge- rusalemme destano alcune perplessità. Perchè questo figlio di gente comune avrebbe dovuto essere salutato come una celebrità in quella città se – come afferma il racconto ufficiale – era stato a fare panche nella bottega da falegname di suo padre per tutta

154 6. Il segreto di Gesù la sua vita di adulto fino al trentesimo anno, e in tal modo era ben difficile che potesse essere considerato uno straniero presso la popolazione locale? L’accoglienza entusiastica del popolo della Palestina suggerisce invece che egli fosse ritornato da un lungo viaggio dopo un’assenza prolungata, con insegnamenti nuovi e strani e con poteri soprannaturali, come la capacità di compiere miracoli e di guarire i malati. Questo mette anche in una nuova luce la domanda del Nazareno Giovanni Battista: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?” (Matteo 11:3).

La reincarnazione nel Nuovo Testamento Secondo un’indagine statistica sulla pubblica opinione effettuata come ricerca dall’organizzazione Gallup, circa il 23 per cento dei Nord-Americani negli anni 1980-81 e circa il 21 per cento degli Europei nel 1983 credevano nella dottrina della reincarnazione1. La reincarnazione viene citata in modo molto specifico parecchie volte nel Nuovo Testamento, anche se questi riferimenti sono molto spesso ignorati o nascosti (probabilmente in modo intenzionale). La credenza nella reincarnazione era un fatto naturale nelle prime comunità cristiane, fino a quando divenne vittima di uno storico errore perpetrato dal Concilio Ecumenico di Costantinopoli nell’an- no 533 d.C. Dichiarata eretica, è da allora rimasta bandita dalla dottrina “cristiana” fino ad oggi. L’idea della rinascita era ampiamente diffusa attraverso tutto il mondo greco-romano dell’antichità classica. Il grande filosofo e matematico greco Pitagora (570-496 a.C. circa), un contemporaneo di Buddha, era un grande sostenitore della trasmigrazione delle anime, e ci sono anche alcune leggende che parlano dei suoi viaggi in India2. Anche Platone (427-347 a.C.) era un seguace della rein- carnazione, e la rinascita ha un ruolo centrale pure nella filosofia degli Stoici. I poeti romani Virgilio e Plutarco, contemporanei di Gesù, pensavano che le anime delle persone che erano in qualche modo legate al mondo fisico della carne sarebbero rinate in un nuovo corpo quando il vecchio corpo giungeva alla morte.

155 La vita di Gesù in India

Nel Nord-Africa antico, in Asia Minore e nel Medio Oriente, dall’Anatolia e dall’Egitto alla Persia, le nozioni di rinascita e tra- smigrazione delle anime erano date per certe. L’Antico Testamento contiene chiari esempi della credenza in una rinascita dell’anima in un altro corpo. Secondo il Salmo 90:3, Dio “riduce l’uomo a polvere e dice: tornate, figli dell’uomo”. Friedrich Weinreb inoltre interpreta un passaggio del Libro di Giona come la descrizione di una reincarnazione regressiva in forma di bestiame, e parla anche di una reincarnazione di Nimrod. Weinreb spiega il concetto ebrai- co del Dio-anima nshamah, lo spirito divino perfetto ugualmente presente in tutti gli umani, e di cui certi aspetti caratteristici fanno un’apparizione di quando in quando3. Attorno all’anno 30 d.C. gli Ebrei ben conoscevano la dottrina della trasmigrazione delle anime, che essi chiamavano Gilgal (“Ruo- ta”, “Ciclo”). Come riferisce Jerome, il Dottore della Chiesa, la dottrina del Gilgal era comunenente conosciuta dai primi Cristiani. Sotto il titolo “La reincarnazione nel Talmud ebraico” è scritto nel Konversationslexicon di Meyer – un’enciclopedia tedesca standard pubblicata nel 1907: Gli Ebrei del tempo di Cristo credevano generalmente nella trasmi- grazione delle anime. Gli autori del Talmud davano per certo che Dio aveva creato un numero finito di anime ebree che avrebbero continuato a ritornare in un’esistenza terrena per tutto il tempo in cui erano ebree, anche se occasionalmente in forma di animale, per dare una lezione a quell’anima. Ma tutto sarebbe stato purifi- cato nell’Ultimo Giorno, e risorto nel corpo dei giusti nella Terra Promessa. (Konversationslexicon, Vol.18, pag.263)

Il Vecchio Testamento in realtà finisce con una profezia (fatta attorno all’870 a.C.) che annuncia la reincarnazione di Elia: “Ecco, io vi manderò Elia il profeta, prima che venga il grande e terribile giorno del Signore” (Malachia 4:5). Circa nove secoli più tardi, un angelo appare a Zaccaria e gli annuncia la nascita di un figlio:

156 6. Il segreto di Gesù

Ma l’angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria, perchè la tua preghiera è stata esaudita; tua moglie Elisabetta ti darà un figlio e tu gli darai il nome di Giovanni. Sarà per te gioia ed esultanza; e molti (!) si rallegreranno per la sua nascita. Perchè egli sarà grande al cospetto del Signore, e non berrà vino nè bevanda inebriante; e sarà riempito di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. E molti dei figli di Israele saranno ricondotti al Signore Dio loro. Ed egli stesso lo precederà con lo spirito e la potenza di Elia (Elias è esattamente la versione greca dell’ebraico Elijah), per ricondurre il cuore dei padri verso i figli... (Luca 1:13-17)

Fu Gesù stesso ad affermare più tardi che Giovanni Battista era Elijah/Elias:

Perchè questo è colui di cui fu scritto: Ecco, io mando il mio mes- saggero dinanzi a te, per prepararti dinanzi la via. In verità vi dico: Fra i nati di donna non è apparso uno più grande di Giovanni il Battista: e tuttavia il più piccolo del regno dei Cieli è più grande di lui... Poichè fino a Giovanni hanno fatto profezie tutti i profeti e la legge. E se volete capire, è lui Elia, che doveva venire. (Matteo 11:10-11, 13-14)

Secondo Giovanni 1:21, quando viene interrogato dai sacerdoti e dai Leviti, il Battista risponde che egli non è Elia. Tralasciando per il momento qualunque ipotesi su quale possa essere una ragione tangibile per tale risposta negativa da parte di Giovanni il Battista alla domanda se fosse o no Elijah/Elias, la cosa più significativa a questo riguardo è che le autorità religiose pensavano evidentemente del tutto possibile che egli fosse davvero una nuova incarnazione di Elijah/Elias. Non ci è mai stato detto dove Giovanni il Battista abbia trascorso la sua giovinezza – cioè, dove sia stato educato ed istruito. C’è

157 La vita di Gesù in India soltanto un brevissimo accenno nel Vangelo di Luca: “Il fanciullo, intanto, cresceva e si fortificava nello spirito; e rimase nei deserti fino al giorno in cui si manifestò a Israele” (Luca 1:80). Non è inconcepibile, perciò, che anche Giovanni venisse rico- nosciuto come reincarnazione di un’anima particolarmente santa, e avesse avuto un diretto addestramento monastico nella lontana India. Se fosse così, il “preparare la via per il Signore” avrebbe avuto un significato non soltanto figurativo. In un’altra occasione, Gesù chiede ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo?”. Quelli risposero: “Alcuni dicono che tu sei Giovanni il Battista: alcuni, Elia; ed altri, Ge- remia, o uno dei profeti.”. Ed egli dice loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E Simon Pietro rispose e disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16:13-16). E i discepoli chiesero a Gesù: “Perchè dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”. E Gesù rispose e disse loro: “Si, Elia deve venire a rimettere tutto in ordine. Vi dico però che Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto, ma lo hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’Uomo dovrà soffrire molto per causa loro”. Allora i discepoli capirono che aveva loro parlato di Giovanni il Battista. (Matteo 17:10-13). Secondo i Vangeli, allora, Gesù stesso ha confermato che l’anima di Elijah/Elias era rinata in forma umana come Giovan- ni. Elijah/Elias aveva provato a introdurre il monoteismo nella corte regale, ed aveva insegnato che Dio non si manifesta come fuoco e distruzione ma in una “calma, piccola voce” – cioè nella riflessione e nella meditazione. Il primo Elia si vestiva con l’abito tipico del monaco errante, si nutriva miracolosamente e gli era consentito fare miracoli – in particolare moltiplicare le quantità di cibo e riportare i morti alla vita. Poichè aveva la missione di consacrare altri, diceva di essere un “messaggero” e attirava grandi schiere di seguaci. Infine, egli scomparve in un modo così misterioso (salendo verso il cielo in una tromba d’aria), che venne poi cercato da cinquanta uomini per tre giorni ma non fu mai trovato.

158 6. Il segreto di Gesù

I seguaci di Gesù sapevano che Gesù era una reincarnazione, ma non erano ancora sicuri della sua identità e tentavano parecchi suggerimenti. Gesù stesso non dà risposta diretta alle varie ipotesi, ma conferma indirettamente le idee dei discepoli incoraggiando la loro curiosità: “Ma chi dite che io sia?” Nel Nuovo Testamento (Matteo 14:1-2; 16:13-14; Marco 6:14-16; Luca 9:7-9) ci sono anche significative descrizioni delle congetture di varie persone, compreso Erode, sul quesito di quale anima Gesù fosse la rein- carnazione. Tutti questi passaggi provano in modo certo che la reincarnazione era una credenza largamente diffusa in quel tempo. Secondo Giuseppe Flavio, i Farisei credevano nel “potere di... co- loro che ritornano alla vita”4, e che le anime dei buoni passavano in un altro corpo5. Nel racconto di Gesù che guarisce un uomo cieco dalla nascita (Giovanni 9), i discepoli chiedono espressamente: “Maestro, chi ha peccato, quest’uomo, o i suoi genitori, poichè è nato cieco?” L’idea che qualcuno poteva essere nato cieco a causa di peccati commessi prima comporta naturalmente la conseguenza di una vita precedente e di una conseguente rinascita. Un’ulteriore e contemporanea conseguenza della questione è l’elevato concetto di karma (termine sanscrito per “azione” o “causa dell’azione”), per il quale le azioni compiute in una vita influiscono profondamente sulle condizioni e le circostanze della vita successiva. Ancora, il concetto di reincarnazione è evidente nel terzo ca- pitolo del Vangelo di Giovanni. Quando Gesù incontra il Fariseo Nicodemo, saluta questo “notabile dei Giudei” con le parole: “In verità, in verità ti dico: solo se un uomo nasce di nuovo, può vedere il regno di Dio”. Gli risponde Nicodemo: “Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel ventre di sua madre, e nascere?” Risponde Gesù: “In verità, in verità ti dico, Nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3:3-5). Il riferimento più chiaro alla reincarnazione nel Nuovo Testa- mento si trova nell’Epistola di Giacomo (3:6, riportata qui come nella versione della Bibbia di Gerusalemme), dove si dice che la

159 La vita di Gesù in India lingua “è un intero mondo di malizia: essa contamina tutto il corpo; traendo la fiamma stessa dall’inferno, dà fuoco all’intera ruota della creazione”. La traduzione dell’ultima frase che appare nella maggior parte delle Bibbie in lingue occidentali è “il corso della natura”, “la ruota della nostra esistenza” o altre espressioni ugualmente nebulose che alterano il senso delle parole greche originali, che letteralmente significano “ciclo dell’essere” o “ruota della vita”, e in cui la parola per “essere” e “vita” è genesis, correlata al verbo “venire alla luce”, “nascere” – corrispondendo così esattamente alla dottrina indiana della ruota delle rinascite (samsara chakra), che è descritta in fiamme come il “ciclo dell’essere” dell’Epistola di Giacomo. Molti teologi interpretano questo passaggio nel testo dicendo che “mostra un’influenza gnostica”, e la dottrina sostenuta dagli Gnostici – o almeno così vorrebbero farci credere tutte le moderne Chiese Cristiane, o istituzioni, o autorità – è non soltanto non-cristiana, ma fondamentalmente opposta all’insegnamento di Gesù.

Il Cristianesimo e gli Gnostici Negli scritti teologici della Chiesa Cristiana iniziale e in altri documenti contemporanei, ci sono molti esempi di una relazione fra il pensiero cristiano e il pensiero indiano nei primi secoli dopo Cristo. Numerosi riferimenti che risalgono ai Padri della Chiesa del tempo possono essere oggi interpretati come affermazioni del- la dottrina della reincarnazione, malgrado tutti i rimaneggiamenti letterari che sono stati eseguiti successivamente6. Eusebio, il primo estensore di storia della Chiesa, ci dice che Pantainos – il fondatore della famosa scuola teologica di Alessandria – ha vissuto in India prima di iniziare il suo lavoro di teologo7. I commerci fra l’Impero Romano e l’India erano fiorenti nel primo secolo della nostra era, e il centro di questi commerci era la città di Alessandria. Insieme con le merci e gli articoli che ve- nivano commerciati, anche le idee e concezioni indiane trovavano la loro via verso Alessandria, permeando così il pensiero locale politico e religioso. In quel tempo il Cristianesimo non era ancora

160 6. Il segreto di Gesù diventato quella Chiesa monolitica ed altamente stratificata che sarebbe diventato più tardi; era invece costituito da molti gruppi separati, ciascuno dei quali era affiliato a qualcuna delle varie scuole filosofiche: molti di essi erano collegati alle scuole che alla fine furono raggruppate senza troppe distinzioni sotto la denomi- nazione di “Gnostiche”. La maggior parte delle dottrine gnostiche furono più tardi condannate come eresie dai Concili della Chiesa, ma alcune sette sono sopravvissute fino al Medio Evo, finchè gli ultimi dei loro seguaci (i Catari, gli Albigesi e i Bogomili) furono brutalmente annientati dall’autocratica Chiesa di Roma. Elemento comune di tutti questi gruppi gnostici era una forte fede in Gesù e nella reincarnazione. Molti dotti studiosi hanno affermato che i primissimi Cristiani e gli Gnostici facevano parte in origine dello stesso movimento, e che il famoso antagonismo fra i due gruppi è stata una falsificazione della storia avvenuta in un tempo molto successivo da parte dei capi della Chiesa8. Questa affermazione non è stata mai confutata in modo convincente. Inoltre, un buon numero di commentatori pensano anche che in quel tempo ci fosse una colonia buddhista ad Alessandria9. Che ci sia stata o no in quell’epoca iniziale, resta il fatto in- contestabile che nel secondo secolo dopo Cristo una delegazione di monaci buddhisti proveniente dall’Egitto prese parte a un grande convegno buddhista nello Sri Lanka. I seguaci del Buddha ad Alessandria durante i decenni prima e dopo la nascita di Gesù, se c’erano, certamente non si davano il nome di Buddhisti. Invece, essi devono probabilmente aver usato il nome adottato dai loro fratelli in India: i seguaci del Dharma (la Legge universale e l’insegnamento del Buddha). In greco, la parola Dharma può essere tradotta come Logos, “Parola” e coloro che aderivano a questo insegnamento potrebbero piuttosto essere stati menzionati come Logici. Infatti un gruppo di Gnostici era realmente conosciuto come i Logici. La famosa introduzione al Vangelo di Giovanni – “In principio era il Verbo...” – ha perciò una forma letteraria del tutto simile a un’introduzione delle scritture buddhiste, “L’essenza di tutto è il

161 La vita di Gesù in India

D harma...”, specialmente se si considera che la parola greca usata per “principio”, arche, può avere altri significati, in particolare “origine”, “principio” e “dominio”, e che la forma all’imperfetto del verbo “essere” – tradotta semplicemente con “era” – suggerisce un’azione continuata fino al presente. La più sacra “autorità” del Buddhismo è la Trinità rappresentata da Buddha, Dharma e Sangha. La teologia cristiana ha la Santa Trinità del Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, di cui il Figlio, la seconda Persona, è equiparato al Logos (cioè al Dharma), e la terza Persona, lo Spirito Santo, è attivo nella comunità dei fedeli (il Sangha). Il concetto di una Santa Trinità, una Divinità in tre Persone o manifestazioni, esiste nelle dottrine religiose fin dall’alba della storia, dall’Egitto all’Asia orientale. Era in questo modo che gli antichi Egizi delle prime dinastie concepivano la loro prima trinità di un sole dio, una terra madre e un sole-su-terra figlio. L’equivalente cinese era la trinità di Cielo, Terra e l’individuo umano reso perfetto (rappresentato dall’Imperatore, il Figlio del Cielo). La Trimurti Indù di Brahma, Vishnù e Shiva, anche se sembra essersi sviluppata in tal modo solo nei tempi medioevali, ha le sue radici in idee molto più antiche dei Tre. Nella filosofia vedica, il cuore del moderno Induismo, il Dio o Divinità è descritto come Sat (“Esistenza”, pronunciato “saht” – vedere Appendice), Chit (“Consapevolezza”) e Ananda (“Benedizione”), con tre denominazioni che hanno chiari parallelismi con le Persone della Trinità Cristiana. Il pensiero gnostico si trova ovunque nel primo Cristianesimo, e in particolare nelle lettere di Paolo – specialmente nella lettera agli Efesini (che potrebbe benissimo non essere di Paolo, come ammesso da alcuni) – e nel Vangelo di Giovanni. Poichè quasi tutti gli scritti “eretici” sono stati distrutti dalla Chiesa, quasi nessuno dei testi originali che conteneva le dottrine gnostiche è arrivato fino a noi. Quel poco che rimane comprende la Pistis Sophia (in greco: “Saggezza della Fede”), i Libri di Jeu e la biblioteca Copta di Nag Hammadi del quarto secolo dopo Cristo, che è comparsa nel 1945 per una scoperta molto simile a quella dei Rotoli del Mar Morto.

162 6. Il segreto di Gesù

Malgrado la continua e persistente negazione di ogni collega- mento fra i primi Cristiani e gli Gnostici da parte delle autorità storiche della Chiesa Cristiana, resta il fatto incontestabile che un certo numero di concetti teologici che sono venuti a far parte della dottrina ortodossa della Chiesa di Roma hanno avuto origi- ne in realtà all’interno della cultura gnostica che aveva sede in Alessandria, dove hanno vissuto e lavorato i primi grandi teologi cristiani Clemente (circa 150-214 d.C.) e Origene (circa 185-254 d.C.). È stato provato che Clemente di Alessandria aveva fami- liarità non solo con la cultura spirituale dell’India ma anche con l’insegnamento del Buddha10. Il suo pensiero sulla trasmigrazione delle anime parla da solo:

Noi esistiamo da prima della fondazione del mondo, noi che erava- mo già presenti anche prima di allora attraverso il nostro essere in Dio; noi, le creature a cui è data la conoscenza del Logos divino, attraverso il quale noi siamo i più antichi...11 Poichè, come ciascuna nascita segue la precedente, noi veniamo portati in progressione graduale verso l’Immortalità12.

L ’allievo e successore di Clemente fu Origene, il fondatore della teologia cristiana sistematica: uno dei suoi maestri fu un indivi- duo misterioso chiamato Ammonio Sakkas, o Ammonio il Saka. I Saka erano un popolo dell’India del nord, e i precedenti indiani di Ammonio sono al di fuori di ogni dubbio, ma molti esperti oggi pensano che l’epiteto Sakkas non significhi in realtà “il Saka”, ma che più probabilmente si riferisca a Sakya o Sakyamuni – cioè al fatto che Ammonio era un monaco buddhista13. Se è così, allora il teologo principale del primo Cristianesimo dopo Agostino era l’allievo di un monaco buddhista dell’India, e molte delle immagini e delle metafore che usa nelle sue opere teologiche potrebbero essere viste come prese direttamente dal Buddhismo. Sfortunatamente, degli scritti di Origene si sono salvati solo pochi frammenti. La maggior parte dei suoi manoscritti furono distrutti più tardi proprio perchè egli era disponibile a mostrare una grande tolleranza verso la gente con vedute diverse, e special-

163 La vita di Gesù in India mente per la sua fede nella reincarnazione. Ciò che rimane è la sua opera principale De Principiis, un tentativo di presentazione sistematica degli insegnamenti cristiani (nella traduzione latina di Rufino di Aquileia), oltre al suo trattato Contra Celsum e a un “Commentario su Matteo”. Due passaggi dei suoi scritti sono sufficienti a dimostrare la sua convinzione nell’esistenza dell’anima prima della nascita e nell’influenza delle azioni compiute in precedenza:

Ciascuna anima... entra in questo mondo rafforzata dalle vittorie o indebolita dagli errori della sua vita precedente. Il suo posto in questo mondo... è stabilito da quello che ha guadagnato o perduto14. Non ha un senso assoluto che ciascuna anima... sia guidata in un corpo, e questo in accordo con le azioni compiute in precedenza?... L’anima usa un corpo per un certo tempo... ma via via che cambia, il corpo le viene meno adatto e allora essa lo cambia per un altro15.

Affermazioni simili vengono fatte da molti altri teologi cristiani nel periodo precedente al Concilio di Costantinopoli del 553 d.C. Uno di questi è stato Gregorio di Nyssa (circa 334-391 d.C.):

L ’anima ha bisogno di intraprendere una specie di processo di gua- rigione per essere purificata dalle macchie causate dal peccato. Nella vita attuale, la virtù è il rimedio applicato per guarire queste ferite. Se queste restano incurabili nella vita attuale, allora il trattamento di guarigione deve continuare in una vita futura16.

L’anatema di Giustiniano Quasi tutti gli storici cristiani oggi hanno adottato il punto di vista che la dottrina della reincarnazione è stata dichiarata un’eresia (con un anatema) con un decreto formale del Concilio di Costanti- nopoli nell’anno 553. Tuttavia un esame più attento delle circostanze reali rivela che qualunque idea di un decreto formale da parte del Concilio non resiste ad una ricerca accurata. La dottrina della reincarnazione venne in effetti condannata da niente di più che

164 6. Il segreto di Gesù un semplice veto personale da parte dell’Imperatore Giustiniano, e l’anatema non fu mai parte delle risoluzioni del Concilio. La moglie di Giustiniano (secondo lo storico Procopio) era la figlia ambiziosa, per non dire assetata di potere, di una guardia dell’anfiteatro di Bisanzio. Essa cominciò la sua straordinaria ascesa, che alla fine la portò a diventare governatrice di un impero, come cortigiana. Non appena diventò Imperatrice, per spezzare i legami con il suo ignobile passato e dare di sè un’immagine austera e morale, ordinò la tortura e l’esecuzione di cinquecento delle sue precedenti colleghe cortigiane. Poi, in un tentativo volto ad evitare di dover soffrire le temute conseguenze di tali azioni crudeli in una vita successiva secondo le leggi del karma e della reincarnazione, cominciò ad usare tutta la sua influenza per ottenere che venisse formalmente abolita la dottrina del ciclo delle rinascite. Era evi- dentemente convinta che un editto promulgato per “decreto divino” dell’Imperatore e che scagliasse l’anatema su quella dottrina come eresia l’avrebbe assolta da ogni colpevolezza. Inoltre, sia l’Impe- ratore che sua moglie erano impegnati a rafforzare la supremazia dell’autorità spirituale e temporale di Costantinopoli su Roma e sul Vescovo di Roma: Questo aiuta anche a comprendere come un decreto imperiale che scaglia l’anatema sulle dottrine sostenute da Origene e altri possa essere stato promulgato senza l’approvazione del Papa e dei Vescovi Romani d’Occidente. L’Imperatore Giustiniano aveva già dichiarato guerra agli in- segnamenti di Origene nel 543 d.C. quando, senza disturbarsi a consultare il Papa, li aveva condannati come eretici con un sinodo convocato per quello scopo. Dieci anni dopo, radunò un Concilio a Costantinopoli, che solo più tardi divenne noto come il Quinto Concilio Ecumenico. Riesce difficile chiamarlo “ecumenico” e può appena essere descritto come un “concilio”, poichè fu poco più che una giustificazione personale per Giustiniano, che vedeva sè stesso come capo della Chiesa d’Oriente e stava tentando di consolidare il suo potere rispetto al Vescovo di Roma in Occidente. Dei 165 vescovi presenti, appena una dozzina provenivano da diocesi ro- mane; tutti gli altri vescovi occidentali si rifiutarono esplicitamente

165 La vita di Gesù in India di prendere parte al Concilio. I vescovi orientali (Ortodossi) che costituivano il maggior numero dei presenti erano vassalli feudali dell’Imperatore e in posizione tale da non poter assolutamente resistere alle pressioni esercitate dall’Imperatore stesso. Anche il Papa Vigilio – sebbene in quel tempo stesse visitando Costantino- poli – se ne restò lontano dal Concilio per protesta. Come era accaduto nel sinodo precedente della Chiesa d’Oriente nel 543, l’Imperatore ottenne ancora una volta in questa assemblea la condanna dell’insegnamento di Origene sulla reincarnazione, e quindici anatemi (proscrizioni ecclesiastiche) vennero scagliati contro di lui. Il procedimento formale, tuttavia, richiedeva che i protocolli ufficiali delle otto sessioni del Concilio (che duravano quattro settimane) venissero presentati al Papa per la ratifica. Sollecitato dall’Imperatore, l’ambizioso Papa Vigilio (che era stato nominato Papa solo per l’insistenza dell’Imperatrice nel 537 d.C.) alla fine acconsentì e mise la sua firma ai decreti del Concilio che gli avevano portato davanti. La cosa significativa a questo riguar- do, comunque, è che i documenti portati al Papa per la firma riguardavano solo un atto di accusa verso tre studiosi che erano stati dichiarati eretici da Giustiniano e contro i quali l’Imperatore aveva già emesso un editto quattro anni prima (una questione generalmente nota come l’“episodio dei Tre Capitoli”). Ma nei documenti non si faceva alcuna menzione di Origene. I successivi Papi Pelagio I (556-561), Pelagio II (579-590) e Gregorio I (590- 604) si trovarono successivamente a parlare del Quinto Concilio senza riferirsi una sola volta a Origene, neppure di passaggio. In qualche modo l’idea che l’anatema di Giustiniano – “Dannazione eterna a chiunque predichi l’errore della pre-esistenza dell’anima e della sua innaturale rinascita” – sia stato parte delle risoluzio- ni del Concilio trovò rapidamente posto nel corpo di tradizioni ecclesiastico. Un esame scrupoloso degli eventi storici e della relativa documentazione rende perfettamente chiaro che il bando sulla dottrina della reincarnazione non è niente più che un errore che ora è ben consolidato da oltre un millennio.

166 6. Il segreto di Gesù

Attorno al 1900, un americano di nome James Morgan Pryse aveva già raccolto una lista completa di riferimenti alla dottrina della reincarnazione nel Nuovo Testamento17. Pryse considerò che la dottrina proveniva molto naturalmente dalle vedute fondamen- tali del mondo antico, attraverso gli insegnamenti degli antichi filosofi, ed appariva quindi come conseguenza naturale nel Nuovo Testamento. Che il principio spirituale che sta dietro l’esistenza umana e il principio spirituale che sta dietro l’esistenza dell’inte- ro universo (microcosmo e macrocosmo) siano fondamentalmente uno stesso principio significa che tutti gli elementi, le forze e i processi esistono nella persona individuale, sia in senso fisico e materiale sia in senso spirituale e divino. Questa concezione rivela l’unità spirituale di tutti gli esseri: non c’è alcuna separazione fra la Natura e Dio. Si considera la Divinità in tutto e in tutti i tempi, in ciascuna minuta particella dell’universo. L’individuo umano in forma fisica è una manifestazione ema- natasi dal regno dell’Unità Divina indifferenziata, senza confini e senza tempo che materializza Sè Stessa secondo fasi cicliche nelle varie forme dell’essere. L’Essere essenziale e primordiale è eternamente immutabile, mentre la Natura – o l’universo – è un Venire all’Essere, una Essenza in continuo fluire. L’anima – o lo spirito – dell’Uomo è così, nella sua più pro- fonda coscienza, eterna, mentre nel suo continuo andare e venire (reincarnazione) è soggetta a una continua sequenza di azione: di cause ed effetti. Allo scopo di tornare alla fine allo stato divino, l’Uomo deve diventare consapevole di questo principio, e compiere effettivi passi per raggiungere una padronanza degli aspetti materiali della sua esi- stenza. Dopo una prolungata sequenza di vite, può essere raggiunto uno stato in cui tutte le sofferenze karmiche che sono il risultato di questi periodi di esistenza terrena vengono superate e nella perfezione finale il sè interiore o spirituale si fonde nell’Eterna Unità. Così la dottrina della reincarnazione può essere riassunta in poche parole.

167 La vita di Gesù in India

Attraverso la conoscenza, il discernimento, la meditazione, l’ascetismo, l’assorbimento contemplativo, la rinuncia e simili discipline, è possibile superare i rigidi vincoli della vita corporea mentre si è ancora sulla terra, in modo da divenire consapevoli della propria natura divina. Il Vangelo di Matteo descrive la meta in questo modo: “Voi, dunque, siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto” (Matteo 5:48). Ma la via verso la perfezione è lastricata di molte reincarnazioni, finchè l’individuo è completa- mente risvegliato e cosciente di essere il figlio di Dio ed esegue le opere di un Cristo:

Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo a motivo delle mie opere. In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch’egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi. (Giovanni 14:11-12)

Secondo me, Gesù è l’esempio ideale del Bodhisattva – cioè, un Buddha in formazione; una persona che, stando sulla soglia dell’Illuminazione totale, ritorna volontariamente ad una rinascita per compassione degli esseri senzienti. Gesù è già molto vicino a quello stato divino, avendo abbandonato tutti i legami personali e i condizionamenti dell’ego. Egli percepisce pienamente che l’esistenza terrena, il ciclo delle rinascite determinato dal karma, è la causa di tutte le sofferenze; ha predicato ai suoi discepoli la rinuncia cosciente alla vita del mondo; ed ha mostrato loro la via verso l’Illuminazione attraverso la “retta azione” e la creazione di karma positivo. “La sopravvivenza dell’umanità occidentale dipende dalla reintroduzione del concetto di karma nel pensiero corrente della gente comune”, come ha detto Paul Brunton, e se possiamo di nuovo divenire familiari con le idee di karma e reincarnazione, questo ci aprirà dimensioni completamente nuove per la comprensione di Gesù, mostrandoci la via dinanzi a noi, verso un’era a venire, anche senza una “resurrezione del corpo”.

168 6. Il segreto di Gesù

I miracoli: di Gesù e in India Ad un osservatore superficiale, i miracoli compiuti da Gesù possono sembrare per sè stessi unici e senza precedenti. Ma dietro molti eventi straordinari, spettacolari ed inesplicabili avvenuti nel corso di tutta la storia umana – alcuni utili o persino benefici, altri dannosi o addirittura catastrofici – la gente è sempre stata portata a vedere l’opera di una misteriosa Forza sconosciuta in Natura e al di là dell’umana comprensione. Dai primi riti magici primitivi eseguiti per calmare le divinità delle antiche forme di religione, l’uomo si è interessato di questi fenomeni inesplicabili, e continua a farlo anche oggi. I poteri “magici” di Gesù erano considerati evidentemente non molto fuori dall’ordinario, non tanto da meritare una menzione da parte degli storici contemporanei. Durante il tempo della vita di Gesù le persone che vivevano sull’inspiegabile, i guaritori con la fede e i ciarlatani dell’occulto erano frequenti dappertutto. Quello che era diverso in Gesù era soprattutto il fatto che egli non pra- ticava le sue arti alla ricerca di fama e di fortuna. I racconti dei miracoli nel Nuovo Testamento – circa una trentina – discendono dalle tradizioni religiose delle comunità contempo- ranee di quelle zone e quindi non sono verificabili storicamente. I racconti che mettono in evidenza le attività di Gesù come esorcista sono comunque più antichi ed erano certamente diffusi nel tempo stesso di Gesù. Per migliaia di anni, la questione se i miracoli fossero realmente possibili non è stata mai posta da nessuno. È nata per la prima volta come materia di discussione durante il Rinascimento, quando ha cominciato a manifestarsi una nuova curiosità scientifica sul mondo. Fino al diciassettesimo secolo nessuno ha mai tentato di trovare una spiegazione razionale per alcuni dei miracoli descritti nei Vangeli. I razionalisti, comunque, sono disposti ad accettare soltanto fenomeni che siano in accordo con le leggi naturali e comprensibili alla mente che indaga scientificamente. I miracoli sono perciò fenomeni per i quali non ci sono relazioni causali comprensibili o spiegabili. Oggi, gli scienziati scoprono ogni giorno

169 La vita di Gesù in India leggi completamente nuove nel modo di procedere dei processi naturali e lavorano in continuazione su problemi che erano consi- derati insondabili, se non magici, fino al giorno prima. I teologi definiscono un miracolo cristiano come “la sospensione di una legge di natura da parte di Dio stesso”. Invece, l’occultista non crede nella sospensione di una legge ma ritiene che i fenomeni miracolosi siano soggetti a leggi più elevate che non sono state ancora scoperte e definite. Qualunque cosa che accade nel nostro universo avviene secondo una legge e può essere spiegata. I poteri cosiddetti magici dell’iniziato sono perciò niente altro che la conseguenza naturale della sua migliore conoscenza di come le leggi naturali e queste leggi superiori, che derivano dal regno interiore della coscienza, si possono compene- trare e integrare le une con le altre. Nè nel Vecchio nè nel Nuovo Testamento (nelle loro lingue ori- ginali) viene mai usato il termine “miracolo”. Le scritture parlano invece di “segni”, “poteri” o delle “meravigliose opere di Dio”. La più importante parola ebraica el (e elohim), per esempio, che deriva dalla radice semitica alah “essere forte”, significa “il grande Potere”. La parola che descrive questo santo potere di compiere miracoli deriva pertanto dalla stessa sorgente della pa- rola che significa “Dio”. Ci sono collegamenti simili nelle lingue indo-europee. Il primo elemento della parola sanscrita brahman si può far risalire alla radice di tre consonanti brh, “estendersi”, così “espandersi”, “irradiare (luce)”, “avere potere su” e “essere forte”. I miracoli di Gesù sembrano essere stati compiuti in gran parte sul piano della compassione: la guarigione degli infermi, dei confusi mentali e degli handicappati fisici. Ma evidentemente ha compiuto anche altri tipi di miracolo quando era necessario: ha trasformato l’acqua in vino, ha moltiplicato le quantità di cibo, si è reso invisibile, ha resuscitato i “morti” e ha camminato sull’acqua (levitazione). Come per gli altri racconti su Gesù, ci sono naturalmente pa- ralleli e precedenti letterari per gli episodi dei miracoli sia nelle tradizioni europee sia in quelle asiatiche. Plinio narra delle cure miracolose del medico greco Asclepiade (124-60 a.C. circa). Tacito

170 6. Il segreto di Gesù e Svetonio riferiscono delle guarigioni miracolose eseguite perfino dall’Imperatore Vespasiano. Anche i primi apostoli cristiani erano in grado di guarire gli infermi e di compiere svariati miracoli, e durante il primo secolo dopo Cristo Apollonio di Tyana compiva simili opere e altre meraviglie. Ma per quanto riguarda i più antichi racconti di miracoli identici a quelli eseguiti da Gesù, la prima fonte comprende le storie di Krishna nella letteratura post-vedica dell’India, i Purana (special- mente il Bhagavata Purana e il Mahabharata). Krishna è l’ottavo avatar del dio Vishnù, e per la maggioranza degli Indù Vaishnaviti che venerano Vishnù (la radice sanscrita vish è “pervadere”) come il supremo Signore, la sua forma incarnata Krishna è il Salvatore. I Rig Veda sono un’opera troppo antica perchè Vishnù vi sia indicato come una divinità fattasi umana, perciò è colà descritto come una manifestazione dell’energia solare. Nella teologia Indù di tempi successivi, comunque, Vishnù è il sostentatore dell’Universo nella divina Trinità, con Brahma il Creatore e Shiva il Distruttore. Un avatar (il termine sanscrito avatara deriva da ava, “verso il basso” e tri, “attraversare”) rappresenta una forma incarnata di Dio. Il divino Essere Supremo prende un corpo mortale per compassione, per aiutare l’umanità sofferente a raggiungere la liberazione e la perfezione. La storia della nascita di Krishna, della sua fanciullezza e della sua vita contiene molti paralleli con i racconti su Gesù del Nuovo Testamento, anche nei dettagli (come ad esempio nell’episodio della strage degli innocenti). Krishna e Cristo sono i due più notevoli esecutori di miracoli nelle sacre scritture rispettivamente degli Indù e dei Cristiani. Bhagvan Dass divide i miracoli di Krishna in sette categorie18:

1. la comparsa di apparizioni 2. la percezione visiva a grandi distanze 3. la moltiplicazione di piccole quantità di cibo o altri oggetti 4. la presenza simultanea in molti luoghi in un corpo quasi ma- teriale

171 La vita di Gesù in India

5. la guarigione degli infermi con l’imposizione delle mani 6. la rianimazione dei “morti” alla vita 7. l’annientamento dei démoni e l’esorcismo dei posseduti. Alcuni operatori di miracoli possono compiere solo una o due specie di miracoli, altri di più. Ci sono sempre stati mistici, santi o veggenti con diversi poteri e reputazioni. E l’India è sempre stata la patria del miracoloso, la terra del fenomenale. Nel suo trattato La Scienza Sacra, Sri Yukteswar9 vede come scopi dell’esistenza terrena l’aspirazione e il tentativo di unire con Dio il sè interiore. Yukteswar considera la Creazione come “sostanzialmente niente altro che un semplice simulacro della Natura sovraimposto all’unica Sostanza Reale, Dio, il Padre Eterno, che è Guru – il Supremo – in questo universo”. Questo significa che tutte le cose sono composte della stessa unica Entità. E Dio stesso, che appare come una molteplicità perchè la sua essenza si esprime in una grande varietà di modi, è ciascuno ed è qualunque luogo. La Bibbia dice esattamente la stessa cosa nel Salmo 82:6, “Io ho detto, voi siete dèi; e tutti voi siete figli dell’Altissimo”. Il passaggio è ripreso nel Vangelo di Giovanni: quando i Giudei lo accusarono di pretendere di essere un Dio, Gesù rispose: “Non è scritto nella vostra legge, io dissi, siete dèi?” (Giovanni 10:34). Yukteswar prosegue spiegando che gli iniziati che hanno rag- giunto una padronanza perfetta del mondo della materia trovano il loro Dio o ultimo compimento nel loro sè interiore e non nel mondo esterno. Questi “umani divini” infine ottengono la padronanza sulla vita e la morte e sono virtualmente in grado di plasmare il mondo intorno a sè, capaci assolutamente di fare qualsiasi cosa. Essi ottengono gli otto compimenti ascetici (Aishwarya), attraverso il potere dei quali possono: anima: rimpicciolire la materia (o il corpo di qualcuno) fino a qualunque dimensione a piacere mahima: ingrandirla a qualunque dimensione vogliano laghima: renderla leggera a piacere garima: renderla pesante a piacere

172 6. Il segreto di Gesù prapti: possedere qualunque cosa e di qualsiasi tipo a piacere vashitwa: avere potere (vasha) su qualunque cosa di qualunque tipo a piacere prakamya: soddisfare tutti i desideri con la forza della volontà ishitwa: diventare il Signore (Isha) di tutte le cose.

Quando i discepoli di Gesù non riuscirono ad esorcizzare uno spirito immondo, gli chiesero perchè, ed egli spiegò loro che era per mancanza di fede: “In verità, infatti, vi dico: Se avete fede grande quanto un granello di senape, direte a questa montagna: Spostati da qua a là; ed essa si sposterà; e nulla vi sarà im- possibile”. (Matteo 17:20). I fenomeni collegati di telecinesi e levitazione hanno avuto una tradizione ininterrotta sia dentro che fuori la Chiesa Cristiana. È stato riferito che non meno di circa 230 santi cattolici hanno avuto la capacità di levitare più o meno volontariamente. Durante il diciannovesimo secolo, il medium Daniel Douglas- Home ha convinto con successo migliaia di spettatori in varie occa- sioni della sua capacità di “volare”. Fra i testimoni erano comprese persone notevolmente famose come William Makepeace Thackeray, Edward Bulwer-Lytton, Napoleone II, John Ruskin, Dante Gabriele Rossetti e Mark Twain. Tali prestazioni hanno avuto luogo lungo un periodo di quasi quarant’anni e sono state più volte oggetto di ricerche e confermate. Nei suoi rapporti su tutte le diverse forme di fenomeni psichi- ci, Francis Hitching cita più di venticinque casi di levitazione20. Certamente sono stati riferiti esempi di levitazione fino al tempo attuale. Swami Rama riporta il racconto di una sua testimonianza oculare nella raccolta di conversazioni Living with the Himalayan Masters. Il fenomeno è stato fotografato e persino filmato. La levitazione sembra essere prodotta da un controllo enorme- memte rafforzato sui processi del corpo, per esempio tramite la concentrazione e la meditazione, o attraverso gli effetti dell’estasi religiosa che consente momenti in cui la forza di gravità in qualche modo non si applica più.

173 La vita di Gesù in India

T ali “miracoli minori” si possono ottenere anche per denaro o per soddisfare coloro che sono alla ricerca del sensazionale. Ma i veri Maestri compiono questi “miracoli” soltanto per scopi altruistici. Il sant’uomo dell’India e operatore di miracoli Sai Baba dice, come Gesù, che ogni persona ha poteri divini che possono essere fatti operare attraverso l’addestramento e la disciplina mentale. Ma chiunque usa questi poteri per seminare il male, raccoglierà male. E chiunque usa i poteri per sè stesso e per trarne vantaggio perso- nale li perderà completamente. Talvolta questi poteri sono limitati nella loro efficacia o durata, particolarmente quando vengono usati senza altruismo, saggezza e consapevolezza spirituale. Oggi, come migliaia di anni fa, i “miracoli” restano un metodo legittimo per portare il messaggio divino più vicino ai dubbiosi e a coloro che sono confinati esclusivamente nel mondo materiale. Quasi ogni cosa riferita riguardo a Gesù ha un parallelo nelle antiche leggende indiane. Una delle ragioni per cui questa similitudine fra storie indiane e cristiane è così poco conosciuta è che pochissimi Europei sono in grado di leggere il sanscrito degli antichi testi: solo recentemente si sono cominciate ad avere traduzioni che hanno risvegliato l’interesse del mondo occidentale. Nessuno dei rappresentanti conosciuti “divini-umani” di Dio sulla Terra sembra essere stato in grado di convincere le masse incredule della sua autorità divina senza ricorrere a segni miracolosi e strabilianti. Ogni Figlio di Dio è stato in grado di dimostrare il suo status agli scettici per mezzo di capacità superumane. Krishna è un avatar – una forma mortale discesa sulla Terra – del dio Vishnù (il secondo elemento della Trinità Indù, Colui che sostiene la Creazione). Sembra che Krishna e Cristo abbiano in comune ben di più che soltanto i miracoli: è certamente possibile che le due espressioni abbiano un’origine etimologica comune. Il titolo “Cristo” (in latino Christus) viene dal greco khristos (chri- stos), l’“unto” (in greco khriein “ungere”, ma anche “tingere”, “colorare”; khrisma “unzione”). Il nome sanscrito Krsna (pronuncia “Krishna”) significa “il nero” o “il blu”. Entrambi i termini, Chri-

174 6. Il segreto di Gesù stus e Krishna, possono ben essere collegati alla radice sanscrita krs (pronuncia “krish”), “attrarre”: basandosi su questa etimologia il nome Krishna è tradotto spesso come “Colui che attira tutto”. Questa persona che attira tutta la Creazione è la forma più alta in cui Dio è stato visto sulla Terra. Secondo la tradizione brahmanica, Brahma è considerato il Creatore dell’Universo, e talvolta è anche chiamato “Padre”. Vishnù, che si è incarnato come Krishna, viene occasionalmente chiamato “Figlio”. E Shiva, la terza Persona della Trinità Indù, che è Spirito, corrisponde perciò allo Spirito Santo, “che dirige l’eterna legge di formazione e dissoluzione ed è presente in tutte le creature viventi e in tutta la Natura...”. Krishna è l’ottavo avatar o forma incarnata del dio Vishnù e viene dopo altri sette avatar precedenti. La nona comparsa di Vishnù sulla Terra è avvenuta nella figura di (il Principe Siddharta, Sakyamuni, “il saggio dei Sakya”).

Krishna e Cristo Secondo le fonti più antiche, circa 5000 anni fa il Signore Vi- shnù apparve in forma umana alla presenza della giovane Devaki (“Fatta per Dio”), che era membro della casa reale. Devaki cadde in estasi e fu “pervasa” dello spirito di Dio, che venne a lei nello splendore della sua maestà divina, così che ella concepì un figlio. La tradizione racconta di una annunciazione: Benedetta sei tu fra le donne, Devaki. Benvenuta sei tu fra i santi Rishi. Tu sei stata scelta per un’opera di salvezza... Egli verrà con una corona luminosa: il Cielo e la Terra saranno pieni di gioia... Vergine e Madre, noi ti salutiamo; tu sei la madre di tutti noi, perchè tu darai alla luce il nostro Salvatore. Tu lo chiamerai Krishna.

Ma il Re di Mathura era stato avvertito – e la cosa era per lui un incubo – che dalla figlia di sua sorella sarebbe nato un re destinato a diventare più potente di lui. La giovane Devaki si nascose nei campi con il bambino appena nato, in compagnia di alcune mandrie di

175 La vita di Gesù in India mucche, e il bambino scampò miracolosamente ai soldati che erano stati mandati dal re ad uccidere tutti i bambini maschi neonati. Ci sono molti racconti dell’infanzia di Krishna, che mettono in evidenza i suoi poteri e le sue conoscenze. Come il giovanissimo Gesù nei Vangeli apocrifi, Krishna era in grado di compiere ogni miracolo concepibile anche quando era ancora un bambinetto. È per questo che fu in grado di sopravvivere alle tante insidie preparategli da suo zio Kansa. In un punto un serpente strisciò nella sua culla per strangolare il bambino, ma fu ucciso dal piccolo a mani nude (un esatto parallelo del mito che riguarda il giovane Herakles/Ercole). Più avanti, Krishna combattè Kaliya, serpente dalle molte teste, lo sconfisse e lo costrinse a lasciare il fiume Kamuna. Le eroiche imprese compiute dal super-ragazzo indiano erano sufficienti a riempire numerosi volumi. All’età di sedici anni, Krishna lasciò sua madre per diffondere i suoi nuovi insegnamenti attraverso tutta l’India. Egli parlava al popolo e ai principi contro la corruzione, ovunque si schierava con i deboli contro l’oppressione, e dichiarava di essere venuto sulla Terra per liberare la gente dalla sofferenza e dal peccato, per scacciare lo spirito del male e per riportare il governo della rettitudine. Egli superò terribili difficoltà, combattè da solo contro interi eserciti, compì una grande varietà di miracoli, risuscitò i morti alla vita, guarì i lebbrosi, ridiede la vista ai ciechi e l’udito ai sordi e fece camminare gli storpi. Alla fine raccolse un gran numero di discepoli, che lo seguivano con zelo e che dovevano continuare il suo lavoro. Ovunque la gente veniva a lui per ascoltare i suoi insegnamenti e per stupirsi davanti ai miracoli che compiva. Egli fu onorato come un dio ed acclamato come il vero Redentore di cui parlavano le profezie dei padri. Ogni tanto Krishna se ne andava per conto suo per un po’, lasciando i suoi discepoli a cavarsela da soli per metterli alla prova, e ritornando da loro quando si trovavano in difficoltà. Il movimento che si stava diffondendo veniva guardato con sospetto dalle autorità, che provarono ad eliminarlo, ma senza successo. Krishna non voleva diffondere una nuova religione, ma sempli- cemente rinnovare la religione che già esisteva e ripulirla da tutte

176 6. Il segreto di Gesù le sue follie e i suoi abusi. I suoi insegnamenti hanno la forma di parabole poetiche, di aforismi e simili, in modo molto analogo a quanto viene riportato per le parole di Gesù. Essi sono contenuti nella Bhagavad Gita, che presenta le più elevate prescrizioni mo- rali di una sublime visione della vita in un modo così semplice che tutti possono comprenderle. Krishna in tal modo insegna ai suoi seguaci ad amare il loro prossimo; raccomanda il rispetto per l’individuo, chiamando tutti a dividere ogni avere con i poveri, a compiere azioni dettate da rettitudine e puro altruismo e a credere nell’eterna bontà del Creatore. Egli ci insegna a ripagare il male con il bene, ad amare i nostri nemici, e vieta la vendetta. Egli consola i deboli, condanna la tirannia e aiuta i più sfortunati. Egli stesso vive in povertà e si dedica ai poveri e agli handicappati. È privo di legami personali ed invoca la castità. Anche Krishna ha una Trasfigurazione. Il Figlio di Dio si mostra contemporaneamente in mille forme divine diverse al suo discepolo favorito Arjuna, e gli dice: Colui le cui azioni son fatte per me, il cui supremo bene son io, colui che è a me devoto, privo di attaccamento, privo di odio verso i vari esseri, costui entra in me, Arjuna! (Bhagavad Gita, Canto 11, traduz. di Raniero Gnoli)

Infine, Krishna lascia che una freccia lo colpisca in un piede, e questo segna il termine della sua vita sulla Terra. Ma quando i suoi seguaci cercano il suo corpo, non viene trovato in alcun luogo, perchè egli è salito al cielo. La leggenda di Krishna è probabilmente la fonte più antica che dà un contributo alla figura mistica di Cristo. Ma ci sono somiglianze ugualmente sorprendenti con le leggende di Dionysos/Bacco (che risalgono circa all’ottavo secolo avanti Cristo). E oltre alle raffinate culture di Roma e dell’antica Grecia, anche quella dell’antica Persia – che pure aveva le sue personalità di Salvatore-Redentore – ha influenzato in modo egualmente decisivo le nozioni escatologiche ed apocalittiche della religione cristiana.

177 CAPITOLO SETTE

LA SINDONE - UN’EREDITà DI GESù

L’accusa e il processo L a situazione politica in Giudea al tempo di Gesù era estrema- mente turbolenta e regolarmente costellata di avvenimenti drammatici. Erode il Grande (37-4 a.C.) ha avuto a che fare con continue sommosse interne, talvolta vere rivolte, lungo tutto il suo regno. A combattere contro di lui e i suoi successori erano guerriglieri armati, fanatici nazionalisti che seguivano un uomo, determinati a fare ogni azione possibile per scalzare il dominio romano. Giu- seppe Flavio fa un riferimento al capo di questa turbolenta “ganga di banditi”, un tale Giuda di Galilea, ma i “banditi” sembra che siano stati piuttosto uomini dalle forti convinzioni religiose, che tentavano in sostanza solo di difendere la fede dei loro antenati contro la dominazione straniera1. Fra questi gruppi ribelli – che comprendevano i Farisei, i Sad- ducei e i Recabiti – gli Esseni avevano un posto speciale, perchè erano formalmente organizzati in un Ordine, ed avevano un “gruppo scelto” nei Nazareni (Nazarean). I Sadducei e i Farisei arrivarono alla fine ad un compromesso con i successori di Erode, accettando in cambio incarichi prestigiosi. I Recabiti, d’altro canto, respinsero completamente la “civilizzazione” che Roma cercava di imporre loro, e continuarono a vivere nelle tende fuori dalle città, come avevano fatto per secoli i loro predecessori. Fu probabilmente quando il figlio di Erode, Archelao, venne deposto nell’anno 6 d.C. che gli Esseni e i Nazareni ritornarono dall’esilio nella città di Alessandria e dintorni. Certamente, il

178 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù monastero di Qumran venne abitato nuovamente a partire da quel tempo. Ma fu proprio a questo punto che il risentimento nazionalista contro la dominazione imperiale romana sfociò in continui episodi di guerriglia, in particolare nell’area amministrata da Erode Antipa (fratello di Archelao). La lotta di resistenza era in gran parte con- dotta in gran segreto dai partigiani Esseni che potevano spargersi nella campagna rendendosi introvabili. E fu così che gli Esseni e i Nazareni continuarono a sfidare attivamente e coraggiosamente tutto il potere del dominio romano anche quando i conformisti Farisei e Sadducei erano divenuti ormai integrati nel sistema po- litico dei dominatori. Dopo la morte di Erode il Grande, la regione passò da una crisi all’altra. Molti della nativa popolazione giudea si aggrappavano disperatamente alla speranza dell’arrivo del Messia, che avrebbe fatto rivivere il regno di Davide e Salomone e liberato la patria dall’odiato dittatore straniero. Secondo il testo dei Vangeli di Marco, Matteo e Luca, il pe- riodo dell’attività pubblica di Gesù durò al massimo da uno a due anni circa. Solo l’ultimo Vangelo, quello di Giovanni, riferisce che Gesù era stato presente a tre festività di Pasqua in Gerusalemme. In definitiva, si deve ritenere perciò che Gesù sia stato in quella zona per un periodo che va da due a tre anni. Durante questo tempo, Gesù attraversava spesso i confini delle varie province in cui era divisa la Palestina, cambiando ogni volta la giurisdizione delle autorità locali religiose e secolari. Perchè egli sia poi andato a Gerusalemme, consegnandosi così ai suoi persecutori, rimane un mistero. E il suo ingresso a Gerusalemme fu particolarmente spettaco- lare: Gesù venne festeggiato con giubilo come il re che avrebbe stabilito il “Regno di Dio”. Secondo la tradizione cristiana, il “Regno di Dio” è uno stato di perfezione celeste, da intendersi in senso puramente spirituale: tutti possono raggiungerlo tramite la grazia e l’assistenza di Dio. Ma quello che cercavano le folle di Gerusalemme era qualcosa di

179 La vita di Gesù in India natura molto più mondana. Il Messianesimo giudaico anticipava un Regno di Dio che era un nuovo, purificato e potente stato di Israele, e ci si attendeva che il suo capo (il Messia) fosse un invincibile comandante militare e un uomo di stato, come era stato un tempo il Re Davide, che avrebbe liberato la patria dal giogo romano. Il punto di vista di Gesù su queste aspettative è riportato nel Vangelo di Luca: “Il regno di Dio non viene in modo osservabile, nè si potrà dire: Eccolo qua! oppure Eccolo là! Infatti il regno di Dio è dentro di voi” (Luca 17:20-21). L’ingresso nella città di Gerusalemme fu un atto di provocazione senza precedenti. Fino a quel momento, la resistenza aveva operato come un movimento nascosto: non avevano mai osato mostrarsi apertamente nella capitale. Circa una settimana prima della grande festività della Pasqua, Gesù decise di lasciare il suo nascondiglio nelle montagne di Ephraim (Giovanni 11:54), e si mise in viaggio con i suoi seguaci, per una via più lunga che passava da Gerico, dirigendosi verso la capitale, che distava circa quaranta kilometri (Luca 19:1,28). Il Vangelo di Marco racconta di quella drammatica decisione:

Erano intanto in viaggio per salire a Gerusalemme e Gesù camminava davanti a loro, e di ciò essi erano stupefatti, e quelli che seguivano avevano paura. Prendendo di nuovo con sè i dodici, Gesù cominciò a dire loro ciò che stava per accadergli. “Ecco che noi saliamo a Gerusalemme; e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi; ed essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai Gentili. Ed essi lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e il terzo giorno risorgerà”. (Marco 10:32-34)

Cinque giorni prima della grande festività, essi raggiunsero Gerusalemme. All’ingresso attraverso le porte della città, Gesù fu clamorosamente acclamato dalle folle. Ma sebbene Gesù cavalcasse un asino in segno di umiltà, sottomissione e intenzioni pacifiche, l’acclamazione fu più tardi tragicamente interpretata in modo

180 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù errato. “L’intera città era in subbuglio” (Matteo 21:10, versione della Bibbia di Gerusalemme). Le forti ed azzardate affermazioni di Gesù e i metodi ugualmente decisivi, per non dire violenti, che aveva usato per cacciare i mercanti dal Tempio, avrebbero potuto forse in un’altra atmosfera essere considerati come allegorici – ma erano certamente tali da poter essere interpretati come un chiaro invito al popolo a sollevarsi. Alcune delle parole di Gesù non erano affatto di conciliazione: “Non crediate che io sia venuto a metter pace sulla terra: non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Matteo 10:34)2. E inoltre “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra; e cosa voglio, se è già stato acceso?” (Luca 12:49). La prima cosa che Gesù fece a Gerusalemme fu di mostrare un attacco contro le autorità, un attacco che nessuno aveva osato tentare prima. Con una decisione che non lasciava dubbi Gesù fece rimostranze contro i guardiani della Legge nel Tempio. Le sue precise e spinose denunce (Matteo 23) erano un pubblico elenco di accuse verso i suoi antagonisti, di fronte a un gran numero di pellegrini entusiasti. Secondo i Vangeli, arrivò anche a spingere i mercanti e i cambiavalute fuori dal luogo di culto. Naturalmen- te, un simile attacco all’autorità dei custodi ufficiali del Tempio non poteva essere tollerato – ma era necessaria una certa cautela, perchè in una situazione così tesa ogni azione avventata avrebbe potuto causare una sollevazione popolare. “Lo vennero a sapere i sommi sacerdoti e gli scribi, e cercavano il modo di farlo morire: perchè avevano paura di lui, dato che tutta la folla era rapita dal suo insegnamento” (Marco 11:18). C’era sempre la possibilità di rivolte o altre forme di agitazione pubblica durante i giorni sacri della festività e Pilato (il Gover- natore, rappresentante dell’Imperatore di Roma) era venuto dalla Cesarea con le sue coorti (ciascuna composta di 500 legionari) per essere pronto a intervenire in caso di necessità. A queste tur- bolenze viene solo fatto un piccolo accenno nei Vangeli. Secondo Marco, un certo Barabba era stato fatto prigioniero “insieme con i rivoltosi che durante la sommossa avevano commesso un omici- dio” (Marco 15:7). Anche Marco dice che i sommi sacerdoti e gli

181 La vita di Gesù in India scribi “cercavano il modo di impadronirsi di Gesù con l’inganno per ucciderlo. Ma dicevano, non durante la festa, perchè potrebbe nascerne una sommossa popolare” (Marco 14:1-2). Se Gesù do- veva essere liquidato, questo era da farsi con la massima rapidità e grande cautela. I Farisei provarono per primi a far sì che Gesù si incriminasse da solo in una pubblica discussione. Gli chiesero se era giusto pagare le tasse all’Imperatore romano. Se Gesù avesse risposto negativamente, sarebbe stata evidente l’accusa di alto tradimento; se avesse risposto positivamente, avrebbe perduto tutto il sostegno e gran parte dell’interesse del popolo. Invece, egli uscì dall’im- barazzante situazione con un colpo di genio (Marco 12:14-17). Poi i Sadducei tentarono di mettere in ridicolo la sua dottrina della reincarnazione. Anche questo attacco fu rintuzzato abilmente (Marco 12:19-27). La data degli avvenimenti di Gerusalemme pone ancora oggi un notevole problema. Nei Vangeli non si trovano nè il mese nè l’anno di questi avvenimenti. I pareri più accreditati variano dal- l’anno 30 all’anno 33. Anche se tutti i Vangeli concordano nell’affermare che Gesù fu crocifisso di venerdì, ci sono due ipotesi diverse sulla data del mese in cui ciò avvenne. Secondo i Vangeli Sinottici, Gesù ha celebrato l’Ultima Cena con i suoi discepoli la sera di giovedì. Secondo il calendario ebraico, giovedì era il 14 di Nisan, il giorno in cui si doveva mangiare l’Agnello Pasquale. Il venerdì succes- sivo, 15 Nisan, era la prima giornata sacra della festa ebraica di Passah-Mazzoth. Ma è veramente impensabile che Gesù sia stato arrestato e interrogato davanti al Sinedrio completo (che compren- deva 71 cittadini giudei) proprio in quella notte santa. Una simile violazione della Legge Giudaica da parte proprio dei suoi custodi è semplicemente non credibile. Una soluzione alternativa si può trovare nel testo del Vangelo di Giovanni, che risente di influenze gnostiche. Qui l’Ultima Cena non è indicata come il pasto di Pasqua degli Ebrei e Gesù era già stato crocifisso il 14 Nisan. Se questa è la versione corretta, Gesù

182 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù deve avere celebrato senza i prescritti pezzi di pane azzimo e gli utensili rituali, perchè questi sono (ancora oggi) preparati all’uso nel giorno che precede immediatamente la Pasqua, che viene chia- mato infatti il Giorno della Preparazione. La versione degli eventi di Giovanni sembra abbastanza logica, ma si basa sull’idea che in questa occasione Gesù non abbia osservato gli usi ebraici sanciti dalla Legge (ma ci sono state certamente altre occasioni in cui egli li ha deliberatamente ignorati). Anche il posto scelto per l’Ultima Cena denota l’influenza de- gli Esseni: “Ecco, quando entrerete in città, incontrerete un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa dove entrerà” (Luca 22:10). Ma nella Gerusalemme di quei giorni, la raccolta e il trasporto dell’acqua erano eseguiti soltanto dalle donne. Perciò in questa casa particolare ovviamente non si applicavano gli usi e costumi normali. E in effetti il pasto non si svolse affatto secondo il rito prescritto, ma completamente nel modo degli Esseni. Essi non mangiarono l’agnello sacrificale, ma pane, come gli Esseni, che naturalmente non mangiavano mai carne. Nell’apocrifo Vangelo degli Ebioniti, quando i discepoli sollevano la questione di dove essi avrebbero preparato il pasto di Pasqua, Gesù dice loro: “Io non voglio mangiare carne con voi questa Pasqua!”3. I discepoli danno poi una certa importanza al posto attorno alla tavola perchè, secondo la Regola dell’Ordine degli Esseni, a ciascuna persona veniva assegnato un posto fisso secondo il suo rango, indicato dalla vicinanza al Maestro (1QSa). “Nacque pure una contesa tra essi, su chi di loro fosse da considerarsi maggiore” (Luca 22:24). Così ebbe luogo una specie di mensa pasquale, ma non nel giorno prescritto, senza carne e senza il rituale consueto. A questo punto, nasce una questione che ha causato notevoli dubbi e ricerche fra gli esperti – una questione alla quale nessuno è ancora stato capace di dare una risposta: come stabilire la data dell’Ultima Cena. Ma il problema si risolve automaticamente se viene usato il calendario degli Esseni per stabilire la data della festività. Perchè il calendario solare rendeva possibile dividere l’anno (contato con 364 giorni) in 52 settimane e non c’erano

183 La vita di Gesù in India resti in giorni rimasti alla fine di ciascun anno (come c’erano invece con il calendario ebraico). Il Capodanno cade sempre in un mercoledì di primavera. Quindi la Pasqua degli Esseni del 14 Nisan capitava regolarmente di mercoledì, e così quell’anno deve avere avuto luogo due giorni prima della Pasqua ebraica ortodossa. Il Vangelo di Giovanni è perciò corretto quando dice che Gesù fu crocifisso il 14 Nisan, perchè ha in mente il calendario ufficiale, che mette la Crocifissione nel giorno prima di Pasqua. Allora l’intera sequenza degli avvenimenti di Gerusalemme ha luogo in un periodo di tre giorni e si può elencare in modo logico e conclusivo:

Martedì sera: l’Ultima Cena arresto ai Getsemani audizione preliminare da parte di Anna Pietro rinnega tre volte il Maestro Mercoledì mattina: l’inizio del processo dinanzi al Sinedrio esame delle testimonianze da parte di Caifa Mercoledì sera: Gesù è trattenuto tutta la notte e viene maltrattato nel carcere di Caifa Giovedì: il Sinedrio si riunisce per annunciare il giudizio Gesù viene portato da Pilato e interrogato Gesù viene consegnato ad Erode Antipa Venerdì: il processo politico continua davanti a Pilato la flagellazione, l’incoronazione con la corona di spine la sentenza crocifissione circa all’ora sesta (12 o mezzogiorno)

Un incidente insolito ebbe luogo durante l’arresto di Gesù da parte delle guardie del Tempio dopo la cena: “Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sguainò e colpì il servo del sommo sacer- dote mozzandogli l’orecchio destro. Il servo si chiamava Malco. Allora Gesù disse a Pietro: Rimetti la spada nel fodero. Non berrò

184 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù io il calice che il Padre mi ha dato?” (Giovanni 18:10-11). Perchè Pietro portava una spada? Fin dal secondo secolo avanti Cristo, il Sinedrio (ebraico derivato dal greco: “Assemblea”) rappresentava la più alta autorità giudaica non solo in materia di religione, ma in tutti gli affari secolari, na- zionali e giuridici che potevano avere un aspetto religioso. Prima della dominazione romana, il Sinedrio aveva anche un notevole potere politico. Era composto di settanta membri – sacerdoti, an- ziani e scribi – sotto la guida del presidente, il sommo sacerdote, in quel tempo Giuseppe Caifa. Fra gli anziani dell’assemblea c’era Giuseppe di Arimatea, un ricco ed influente proprietario terriero che diede voto contrario alla decisione del Gran Concilio di mettere a morte il Nazareno (Luca 23:50-51). Dopo dettagliato esame e confronto dei testimoni, il sommo sacerdote Caifa concluse ponendo la domanda cruciale: “Ti scon- giuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Matteo 26:63). Quando Gesù rispose “Tu l’hai detto” Caifa prese questa risposta per un Sì – e da questo non c’era possibilità di ritorno. Secondo la Legge ebraica, chiunque si arrogasse natura divina era un bestemmiatore ed era immediatamente soggetto a sentenza capitale. In realtà la Legge ebraica prevedeva l’esecuzione mediante lapidazione, ma Gesù non poteva essere portato fuori e sommariamente lapidato a morte perchè il Sinedrio aveva solo da poco tempo ricevuto un ordine da Roma in base al quale nessuno poteva essere messo a morte senza la preventiva approvazione del procuratore romano. Un altro fattore era che qualunque questione dinanzi al Sinedrio doveva essere conclusa durante la luce del giorno (fra l’alba e il tramonto). Se tutti i settanta membri del Consiglio fossero stati convocati e il processo avesse avuto luogo di notte, l’intera procedura sarebbe stata illegale fin dall’inizio. Nel Vangelo di Luca c’è la conferma che la seduta ebbe luogo durante il giorno (Luca 22:66). L’assemblea non si riunì nuova- mente fino al mattino successivo (giovedì) per annunciare la sua sentenza: “Venuta la mattina, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per metterlo a morte: E,

185 La vita di Gesù in India dopo averlo legato, lo condussero dal governatore Ponzio Pilato e glielo consegnarono” (Matteo 27:1-2). Pilato sembra essere stato poco contento di doversi occupare di questo caso fin dall’inizio (Giovanni 18:31) perchè, come disse egli stesso, non poteva trovare alcun indizio per cui Gesù fosse colpevole. Egli provò a fare in modo che fosse liberato ma, quan- do vide che non ci riusciva, con un gesto dimostrativo si lavò le mani di quel caso per conservare la sua “innocenza” (Matteo 27: 24). Fallì poi anche il tentativo di Pilato di passare il delicato caso all’etnarca ebreo locale, Erode Antipa, che era presente per la festività, perchè Gesù non gli disse assolutamente niente. Egli fu rimandato di nuovo al procuratore (Luca 23:6-16) che alla fine lo lasciò al volere della folla che era stata incitata da Caifa e dai sacerdoti, e riconsegnò loro il Nazareno per l’esecuzione come avevano richiesto. Tenere presente che Gesù il Nazareno apparteneva al Nuovo Patto del movimento degli Esseni, presumibilmente come uno che osservava la Regola della Comunità senza appartenere realmente alla comunità ristretta, significa essere in grado di trovare per molte delle contraddizioni e degli enigmi dei racconti dei Vangeli una spiegazione relativamente lineare e perfettamente coerente. Infatti spiega certamente perchè Gesù venisse perseguitato dagli Ebrei ortodossi e nello stesso tempo fosse in pericolo di vita nei processi secolari e politici. In effetti, considerando l’estrema scarsità delle fonti storiche a nostra disposizione, è soltanto alla luce di questa ipotesi che gli avvenimenti che circondano la fine del ministero di Gesù in Palestina possono essere spiegati in modo convincente e soddisfacente. I problemi che nascono dalla convinzione popolare della “Re- surrezione dai morti” e della “Ascensione del corpo” di Cristo sono assai più difficili da risolvere. Le fonti letterarie disponibili non spiegano perchè Gesù sia stato dichiarato morto solo poche ore dopo la crocifissione. Le sue gambe, dopo tutto – a differenza di quelle dei due uomini crocifissi con lui – non erano state spezzate. (La frattura delle gambe era destinata ad abbreviare decisamente

186 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù il supplizio, che diversamente poteva durare anche fino a cinque giorni). Nessuna meraviglia quindi che Pilato sia rimasto molto sorpreso quando gli fu richiesto di consegnare “il corpo”: “Pilato si meravigliò che fosse già morto” (Marco 15:44). Nessuno vide la Resurrezione – o almeno ci è stato detto che nessuno ha affermato di averla vista – il che significa che la Re- surrezione di Gesù dai morti deve restare soltanto una materia di fede. Così l’insegnamento della Chiesa su un argomento di vitale importanza come la Resurrezione deve essere considerato come una deduzione successiva all’evento, un’interpretazione4. L’argomento potrebbe essere lasciato a questo punto: o uno crede nella Resurrezione di Gesù o non ci crede. Certamente sarebbe in ogni caso impossibile ora, dopo un così lungo tempo, cercare di fare luce criticamente su un avvenimento storico di duemila anni fa e stabilire esattamente cosa accadde. Sarebbe davvero del tutto impossibile – se non ci fosse una prova sorprendente che ci mette in grado di esaminare in gran dettaglio gli avvenimenti relativi alla Crocifissione, anche usando le tecniche più moderne che la tecno- logia ci mette a disposizione: il lenzuolo che avvolgeva Gesù.

La Sindone di Torino S’era già fatta sera, e siccome era il Giorno della Preparazio- ne, cioè la vigilia del Sabato, Giuseppe d’Arimatea, un membro ragguardevole del Consiglio, ricco (Matteo, Luca) e che era un discepolo di Gesù (Matteo, Giovanni), sebbene lo fosse in segreto per timore dei Giudei (Giovanni), che aveva votato contro la loro decisione e la loro azione (Luca), e che aspettava anche lui il regno di Dio (Luca), andò coraggiosamente a presentarsi a Pilato e domandò il corpo di Gesù (Matteo, Luca, Giovanni). E Pilato si meravigliò che fosse già morto: fece venire il cen- turione e gli domandò se davvero era morto da un pezzo. Udito il rapporto del centurione, consegnò il corpo a Giuseppe (Matteo, Giovanni). Ed egli comprò un lenzuolo, depose Gesù dalla croce e lo avvolse

187 La vita di Gesù in India

nel lenzuolo (pulito: Matteo) (Matteo, Luca, Giovanni) e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia (suo: Matteo – nuovo: Matteo, Giovanni – in cui nessun corpo era stato deposto prima: Luca, Gio- vanni – scavato nella roccia: Luca); poi rotolò una pietra dinanzi all’entrata del sepolcro. (Marco 15:42-46)

Il lenzuolo qui menzionato è oggi conservato a Torino e co- stituisce un documento autentico che ha catturato per la posterità, virtualmente per un miracolo, uno dei momenti più importanti della storia del mondo, ed in qualcosa che si avvicina ad una rappresentazione tridimensionale. La famosa Sindone di Torino è un lenzuolo lungo 4,36 e largo 1,10 metri e mostra con sorprendente chiarezza l’impronta di un uomo che è stato crocifisso da poco. Una metà del lenzuolo mostra la parte dorsale e, poichè era avvolto attorno alla testa dell’uomo circa alla metà, l’altro lato mostra la parte frontale. La testa, la faccia, il torace, braccia, mani, gambe e piedi dell’uomo sono facili da riconoscere in quanto impressi. Il colore del manufatto è in gran parte di tonalità seppia, sebbene in alcune zone sia grigio. Sono chiaramente visibili tracce di sangue, che appaiono di colore cremisi molto pallido. Al primo sguardo alla Sindone nel suo complesso, gli occhi si posano in primo luogo su due strisce scure che corrono verti- calmente per tutta la lunghezza della Sindone e che si estendono in due punti romboidali più larghi. Si tratta di segni di bruciature che sono stati riparati con cuciture di colore più chiaro. Questa forma particolare è il risultato del fatto che il lenzuolo è quasi andato perduto in un incendio alla Cappella di Chambéry, in Francia, nel 1532, quando era piegato in 48 strati in un cofanetto d’argento. Per il calore dell’incendio, il contenitore d’argento ha cominciato a fondere da una parte, in modo che strisce di argento fuso hanno lasciato un disegno geometrico di segni di bruciatura nel materiale piegato. Se su questo manufatto c’è veramente l’immagine di Gesù, e

188 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù l’autenticità del lenzuolo può essere provata, allora questo docu- mento non solo rappresenta un fatto sensazionale della massima importanza anche scientifica, ma può anche servire come l’unica base scientifica accettabile sulla quale può essere risolta la que- stione che ha impegnato tante persone per un così lungo tempo: è realmente avvenuta la Resurrezione di Gesù? Ci possono essere delle riserve preliminari sul fatto che una qualunque lunghezza di manufatto possa avere realmente resistito con così pochi danni evidenti per un periodo di tempo che ammonta a quasi due millenni. È però un fatto che ci sono molti pezzi di tessuto che sono notevolmente più antichi e meglio conservati della Sindone di Torino. Esemplari ben conservati si trovano nelle colle- zioni del Museo Nazionale Egiziano del Cairo, nel Museo Egizio di Torino e nei dipartimenti di Egittologia dei musei storici di Londra. Parigi, Berlino, Hildesheim e altrove: vi sono dei campioni che risalgono a 3500 anni, alcuni persino a 5000 anni fa. Il clima secco del Vicino Oriente è particolarmente favorevole alla conservazione a lungo termine di tessuti e rotoli. In ogni caso la sostanza vegetale è principalmente cellulosa, una molecola molto stabile. La parola greca sindon (talvolta tradotta in inglese con “muslin”) nei Vangeli Sinottici si riferisce alla lunghezza di un lenzuolo di lino. La Sindone è di lino, le fibre sono intessute assieme in un rapporto di 3:1, creando un tessuto a spina di pesce. Nel tempo di Gesù questa era una forma di lavoro al telaio estremamente raro, che richiedeva una grande esperienza ed era probabilmente molto costoso. Gli unici esempi arrivati fino a noi di questo tipo di materiale tessuto nel primo secolo provengono dalla provincia romana di Siria, cui la Palestina allora apparteneva. (Questo modo di tessere fu introdotto nell’Europa occidentale e settentrionale solo nel quattordicesimo secolo dopo Cristo). Usando un microscopio elettronico per esaminare i trefoli nel 1973, il Professor Raes dell’Università di Gand in Belgio scoprì alcune tracce di cotone, una pianta che non era coltivata nel Vicino Oriente al tempo di Gesù. Tuttavia, nella Siria e nella Mesopotamia di quell’epoca, veniva occasionalmente impiegato per tessere il

189 La vita di Gesù in India cotone importato dall’India, anche se doveva essere prima trattato su un telaio speciale. Il botanico e scienziato delle corti di giustizia Dr. Max Frei, svizzero, ha fatto uso di tecniche complesse di analisi del polline per arrivare ad alcune scoperte sensazionali. Il Dr. Frei ha preso dodici campioni, ciascuno con un’area da dieci a venti centimetri quadrati, da parti diverse della superficie della Sindone, ponendoli su una striscia adesiva. Sotto lo scanning del microscopio elettronico, egli ha trovato, oltre alla polvere e alle fibre del lino, anche da uno a quattro granelli di polline per centimetro quadrato. I granelli di polline hanno dimensioni fra 0,0025 e 0,25 millimetri e perciò non sono in generale visibili a occhio nudo. Ma i minuscoli gra- nelli sono ricoperti da due strati di cuticola, la cui composizione chimica non è stata pienamente determinata neppure oggi. Il guscio esterno è così resistente, anche da solo, che in certe condizioni il polline può sopravvivere intatto per parecchi milioni di anni. Inoltre, ciascuna specie o varietà di pianta ha i suoi granellini di polline di aspetto ben distinguibile da quelli delle altre piante, così che è possibile dire con grande facilità da quale pianta è stato originato ogni granello. In un rapporto sulla sua ricerca pubblicato nel marzo 1976, Frei ha annunciato di essere stato in grado di identificare un totale di quarantanove diversi tipi di piante dal polline che aveva trovato sulla Sindone. Molte di queste piante crescono ancora oggi nelle regioni in cui si dice che la Sindone sia stata tenuta nel corso della sua storia: una di queste è il cedro del Libano (Cedrus libani). Ma la novità sensazionale è che è stato trovato anche polline di undici tipi di piante che non crescono affatto nell’Europa Centra- le, ma sono alofite che provengono dal Vicino Oriente. Le alofite sono piante che crescono soltanto in terreni che contengono una proporzione di sale insolitamente alta – come i terreni della re- gione attorno al Mar Morto. Fra queste c’erano particolari varietà desertiche delle specie: tamarisco (Tamarix), seablite (Suaeda) e artemisia (Artemisia). La storia della Sindone fino a questo punto era stata descritta

190 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù solo a partire dal quattordicesimo secolo, ed alcuni ricercatori ne avevano perciò dedotto che la Sindone era stata fabbricata in quel periodo in Francia e che era sempre stata tenuta entro i confini di Francia e Italia. L’analisi del polline ha oggi fornito una prova evidente che il lenzuolo deve essere stato in Palestina in un tempo molto antecedente. Inoltre, si è scoperto che le specie di polline identificate sulla Sindone si trovano in concentrazioni abbastanza alte in quegli strati dei sedimenti del Mare di Galilea (lago di Tiberiade) che corrispondono al tempo di Gesù. I granelli di polline di altre otto varietà di piante erano caratteri- stici delle steppe dell’Asia Minore, in particolare della zona attorno a Edessa (oggi Urfa, in Turchia). Il Dr. Frei non poteva immaginare che grande significato avrebbe avuto in seguito questo fatto.

Il ritratto di Edessa

Il volto della Sindone irradia nobiltà e dignità.

191 La vita di Gesù in India

Se oggi è possibile tracciare la storia della Sindone indietro fino alle sue origini5, ciò è dovuto in gran parte alle ricerche dello storico inglese Ian Wilson6. Dalla grande quantità di dati storici a sua disposizione, egli è stato in grado di dimostrare che la Sin- done corrisponde al cosiddetto Ritratto di Edessa, di cui ci sono notizie che risalgono al primo secolo, e che è conosciuto come il Mandylion fin dal sesto secolo. La storia della Santa Sindone ha tutti i palpiti di un bel romanzo. Secondo l’apocrifo Vangelo degli Ebrei, che veniva usato dai Nazareni, Gesù diede il lenzuolo descritto nei Vangeli al “servo dei sacerdoti” dopo la Resurrezione7. È logico presumere che colui che ha ricevuto un simile favore non fosse uno dei nemici mortali di Gesù. Il “servo dei sacerdoti” ha ricevuto il prezioso regalo molto probabilmente come segno di gratitudine per qualche servizio speciale. Ma indipendentemente da chi fu a prendere possesso del lenzuolo dopo la Resurrezione, venne poi molto probabilmente conservato dai seguaci di Gesù: i candidati più verosimili sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, che avevano fatto in modo che il corpo venisse rimosso dalla Croce e posto nella tomba. Ma non si poteva permettere che il lenzuolo rimanesse in Pa- lestina: la continua e disordinata guerriglia contro le forze degli odiati padroni romani era una minaccia troppo grande. Così i se- guaci di Gesù fecero in modo di portare la Sindone fuori da quella terra. Solo le grosse e ben consolidate comunità cristiane del nord potevano costituire un rifugio sicuro, cioè città come Antiochia, Corinto, Efeso ed Edessa, che si trovano molto lontano dalle zone dove aveva predicato Gesù. Circa nell’anno 325 d.C., lo storico della Chiesa Eusebio (260- 340), Vescovo di Cesarea, riferiva che c’era stato uno scambio di lettere fra Gesù e il re di Edessa, Abgar V, noto come Ukkama (“Il Nero”), che regnò negli anni 15-50 d.C.8 Eusebio dice di avere tradotto egli stesso questa corrispondenza, presa dagli archivi del re di Edessa, dall’antico siriaco (Aramaico) al greco. Conosciuta ed accettata come autentica fin dai tempi antichi in Occidente9, anche se conosciuta in una grande quantità di varianti, questa Leggenda

192 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù di Abgar rappresentava chiaramente una notizia documentaria ben radicata nella fede cristiana primitiva, che a sua volta supporta la deduzione che si sia basata su eventi reali. In quei giorni Edessa era un importante centro di commercio non lontano dalla vecchia Via Reale che portava da Efeso, a occidente, a Susa, ad oriente, attraverso gli antichi imperi dei Lidi, dei Medi e dei Persiani, collegando Edessa direttamente con l’India e l’Asia orientale attraverso la Via della Seta. L’articolo di commercio di maggior valore ad Edessa era la seta dell’Estremo Oriente, ed era proprio in questo commercio che erano coinvolti assai attivamente i membri delle grosse comunità ebraiche della città, la maggior parte dei quali erano mercanti. Politicamente, Edessa è stata governata dalla dinastia Abgar dal 132 a.C. al 216 d.C. Solo verso la metà del secondo secolo, sotto Abgar IX Ma’nu, fu costituita ad Edessa una Chiesa Cristiana organizzata. Secondo le fonti storiche, tuttavia,è probabile che ci sia stata ad Edessa una comunità cristiana di piccole dimensioni già molto tempo prima, e che Abgar V Ukkama abbia avuto qualche conoscenza del mes- saggio di Gesù anche prima della corrispondenza. Eusebio racconta che il re Abgar Ukkama mandò un messag- gero a Gerusalemme per chiedere a Gesù di venire ad Edessa per guarirlo da una cronica malattia della pelle. Gesù non potè fare il viaggio di persona, ma mandò un discepolo di nome Taddeo (chia- mato Addai nei testi di Siria) – non l’apostolo con quel nome ma uno dei settanta discepoli menzionati da Luca (Luca 10:1) – con una lettera per Abgar. In essa, Gesù diceva al re che il discepolo l’avrebbe curato e che poi la lettera avrebbe continuato a proteg- gere la città dal male. Negli anni attorno al 1850 un certo numero di antichi manoscritti siriani furono scoperti in un monastero presso Wadi el-Natrun (la valle Natron), nel deserto del Basso Egitto. Fra questi c’era un’al- tra versione della storia di Abgar, ora conosciuta come Doctrina Addai10, che concorda esattamente con la versione sotto riportata di Evagrius Scholasticus (527-600) alla fine del sesto secolo. La stessa versione della tradizione è riferita nel famoso discorso di

193 La vita di Gesù in India festività pronunciato nell’anno 945 in occasione dell’installazione del Ritratto di Edessa nella Cappella Pharos alla corte dell’Im- peratore bizantino Costantino VII Porphyrogennetos11. Secondo tutte queste fonti, Gesù mandò ad Abgar non soltanto una lettera, ma anche un suo ritratto formato miracolosamente. Si dice che il re sia guarito subito per opera del potere miracoloso del ritratto. Immediatamente dopo questo spettacolare miracolo, Taddeo-Addai pregò in Edessa, mentre Abgar e la maggior parte degli abitanti della città si convertirono alla fede del Vangelo. La Doctrina Ad- dai pone la data del sermone di Taddeo nell’anno 343 secondo il calendario di Edessa, che corrisponde all’anno 33 d.C. – proprio l’anno in cui fu crocifisso Gesù. Poichè un sudario di sepoltura era in quei tempi considerato come contaminato dall’“impurità” della morte, il re Abgar sarebbe stato profondamente offeso se Taddeo gli avesse consegnato quello che evidentemente ne era uno. Probabilmente per questa ragione, Taddeo piegò il lenzuolo in modo che sembrasse piuttosto un ri- tratto su lino e lo fece incorniciare in oro dal suo correligionario di Edessa Addai – un uomo che, secondo le fonti siriane e armene, era il capo della comunità cristiana della città. Era un compito per cui Addai era molto adatto: era un commerciante-orefice ed era esperto nel confezionare preziose catenine: era stato il re- sponsabile della realizzazione dello stesso diadema del re. Negli Acta Thaddaei del sesto secolo (un tentativo di spiegare come l’immagine era stata impressa sul tessuto, dal punto di vista dei contemporanei), viene usato per descrivere la Sindone il termine tetradiplon, che probabilmente voleva significare “ripiegato in quattro doppi strati”12. Se la Sindone, lunga più di quattro metri e quindi difficile da maneggiare, viene piegata nel mezzo ripetendo l’operazione tre volte, si ottiene qualcosa che può facilmente essere descritto come di quattro doppi strati. Il rettangolo di tessuto che ne risulta, ora di 110 per 54,5 centimetri e quindi più maneggevole, mostra semplicemente la testa di Gesù, impressa ed incorniciata, senza dare adito a sospettare che queste non siano le vere dimensioni

194 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù della sindon. Secondo il testo del discorso di festività pronunciato a Costan- tinopoli nel 945 (sopra citato), Abgar Ukkama mostrò il ritratto, nella sua cornice d’oro, sopra le porte della città di Edessa. Abgar morì nel 50 d.C. Gli successe per soli sette anni il suo figlio maggiore Ma’nu V, prima che salisse sul trono di Edessa il suo secondo figlio Ma’nu VI, che però si riconvertì al paganesimo e perseguitò brutalmente la crescente comunità cristiana locale. Fu in questo periodo che il ritratto scomparve e non se ne sentì più parlare per cinquecento anni. Il discorso di festività del 945 rivela che cosa accadde realmente. Aggai, che in quel tempo era stato Vescovo di Edessa per ventitre anni (secondo i calcoli dei patriarchi caldei), fece sparire la sacra reliquia ponendola in un posto sicuro, fuori dalla portata del re nemico. La fece murare all’interno delle mura della città, in una nicchia sopra la porta occidentale. Per questo Ma’nu fece crudelmente giustiziare Aggai il 30 luglio dell’anno 57, secondo Mares Salomonis. La prima indicazione che la Sindone era di nuovo tornata alla luce si trova in un documento scritto dallo storico della Chiesa Evagrio nell’anno 593. Egli pone la data dell’evento a circa cin- quanta anni prima, nel maggio del 544. Similmente il sermone di festività di Costantinopoli riferisce che il ritratto fu riscoperto in Edessa nel sesto secolo, e che era lo stesso ritratto di Cristo che un discepolo aveva portato ad Abgar. Secondo Wilson, il lenzuolo di lino fu riscoperto quando gli edifici di Edessa dovettero essere riparati, per ordine dell’Imperatore Giustiniano I, dopo la catastrofica inondazione dell’anno 525 – in particolare quando si fu costretti a smantellare la porta della città. Il ritratto fu evidentemente riconosciuto subito come quello originale portato ad Abgar. Nel 544 il Vescovo Eulalio scrisse che l’immagine scoperta era stata autenticamente impressa e “non fatta da mani umane”: in greco, acheiropoieton13. Il ritratto ritrovato venne portato “alla grande chiesa” (la cattedrale di Hagia Sophia), dove fu posto in un co- fanetto d’argento ben chiuso. Da allora in poi il lenzuolo divenne noto come il Mandylion e fu considerato così sacro e prezioso

195 La vita di Gesù in India da essere portato fuori per la pubblica venerazione soltanto in occasione delle festività più importanti. Nel 639 gli Arabi conquistarono Edessa e quindi vennero in possesso della Sindone. Un ricco cristiano, Atanasio della famiglia Gmea, si fece ridare il tessuto di lino dagli Arabi e lo nascose in una cripta in una delle tante chiese della città. Molti studiosi ritengono che il termine Mandylion, usato per il ritratto da questo periodo in poi, derivi dall’arabo mandil (una parola derivata a sua volta dal latino mantelium), che significa “una lunghezza di tessuto”, tale che può essere usata per un velo, un corto mantello, un turbante o un fazzoletto. Personalmente, suggerisco invece che questa parola sia collegata in qualche modo con il termine sanscrito mandala, che significa “un circolo”, e in particolare un diagramma mistico in forma circolare. I Mandala erano molto usati nel Buddhismo tibetano. Rappresentano un’espe- rienza religiosa in forma simbolica, con l’indicazione di particolari relazioni spirituali nella simmetria del disegno, ed assistono nelle discipline meditative che portano all’Illuminazione. Dopo la scoperta del Ritratto di Edessa nel sesto secolo, ci fu un grande aumento di venerazione dell’immagine nel Cristianesimo. Molte notizie di altre immagini del Cristo “non fatte da mani uma- ne” erano in circolazione in quel periodo (come l’acheiropoieta di Memphis e Camuliana). Insieme a tutto questo, è diventato evidente un improvviso e netto cambiamento in quello che si credeva fosse stato l’aspetto esteriore di Cristo. Fino alla riscoperta dell’immagine della Sindone, Gesù era stato rappresentato secondo canoni classici, come un filosofo o un imperatore, come un maestro di verità, un buon pastore o un giovinetto senza barba come Apollo – poichè la giovinezza era vista come simbolo del divino. Dove si stabiliva una venerazione per il Mandylion, là appariva improvvisamente una forma di rappresentazione straordinariamente simile al ritratto tridimensionale del lenzuolo. Un buon esempio di questo si può vedere nel ritratto di Gesù del sesto secolo sul vaso d’argento di Emesa. Da allora in poi Gesù è stato principalmente rappresentato in vista frontale, con occhi grandi e ben aperti sotto sopracciglia

196 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù pronunciate, lunga capigliatura ondeggiante divisa a metà, barba a due punte, lungo naso aquilino, e di età matura. L’immagine diventò rapidamente accettata con un’unanimità dottrinale quasi completa da tutto il mondo cristiano. Nel Sinodo di Costantinopoli degli anni 691-692 fu decretato che da allora in poi Gesù dovesse essere rappresentato solo nella sua “forma umana” e che erano consentite soltanto “rappresentazioni simili al vero”. Circa alla stessa data, Giustiniano II (che regnò negli anni 685-695 e 705- 711) fece coniare le sue monete per la prima volta con il ritratto di Cristo, e anche su queste il viso di Gesù era simile all’immagine della Sindone. Il risultato è che, sebbene la tradizione letteraria non ci abbia tramandato alcuna informazione sull’aspetto di Gesù, dal sesto secolo in poi è stato rappresentato in modo così significativo e simile che chiunque veda un ritratto, non ha mai alcun dubbio di quale sia il soggetto rappresentato14! Gli storici hanno elencato un numero che va da quindici (Wilson) a venti (Vignon, Wuenschel)15 caratteristiche notevoli del ritratto della Sindone che si possono riconoscere nelle immagini di Gesù eseguite dal sesto secolo in poi. Fino al decimo secolo – quando il Mandylion fu portato a Costantinopoli – questa immagine del viso di Cristo era tipica nell’arte sacra bizantina, insieme ad altri elementi del ritratto della Sindone. Molte rappresentazioni del tempo presentano una vista frontale del volto di Gesù, senza il collo, dentro un rettangolo più lungo orizzontalmente che verticalmente, e che sembra avere una specie di griglia sovraimposta come una rete di linee diagonali, mentre la faccia stessa è come incorniciata da un’apertura circolare. Lo schema generale di queste rappresentazioni corrisponde preci- samente con quello del tessuto “piegato in quattro doppi strati”. Inoltre, un ritratto dentro un rettangolo su base orizzontale si può considerare che offenda la normale sensibilità estetica ed è perciò molto insolito in tutte le forme di rappresentazione visiva. Wilson ritiene che il Ritratto di Edessa, il Mandylion, sia l’autentico “originale” che ha dato inizio alla storia dell’arte sull’argomento. Nell’ottavo secolo, il movimento conosciuto come gli Icono-

197 La vita di Gesù in India clasti (gli “spacca-immagini”) andò al potere nell’Impero Romano d’Oriente sotto l’Imperatore Leone III. Ovunque, le immagini e le icone religiose furono tirate giù e distrutte – ma il Mandylion, che era già stato nascosto per sottrarlo ai Mussulmani che anch’essi odiavano le immagini e che allora governavano Edessa, scampò senza danni a questo periodo. Sessanta anni dopo, quando gli Iconoclasti erano stati ufficialmente screditati, cominciarono a Costantinopoli i tentativi (continuati nei decenni successivi) per poter portare la preziosa immagine nella capitale dell’Impero. Il progetto ebbe finalmente successo sotto l’Imperatore Romano I Lecapeno (regnò negli anni 920-944) che, nel 942, mandò il suo uomo più abile, il generale Curcuas, a prendere il ritratto di Cristo. Fu così che l’esercito imperiale bizantino mise l’assedio alla città di Edessa e chiese la consegna del Mandylion in cambio della liberazione di duecento prigionieri e della salvezza per la città. Per evitare spargimento di sangue, gli abitanti di Edessa accettarono le condizioni dell’Imperatore, ottenendo l’immunità della città e dodicimila pezzi d’argento. Tuttavia, secondo fonti contempora- nee, sembra che gli abitanti di Edessa abbiano tentato due volte di ingannare gli uomini dell’Imperatore con una copia, prima di consegnare la Sindone autentica. Il 15 agosto del 944 la Sindone arrivò finalmente a Costantino- poli, salutata da folle esultanti, e vi rimase probabilmente per due secoli e mezzo, custodita nella chiesa di Blachernai. (I ritratti e i “lenzuoli” realizzati per la Cappella Pharos si devono considerare copie). O durante la consegna del Mandylion ad Edessa o durante il viaggio a Costantinopoli, il ritratto è stato evidentemente tolto dalla sua cornice e si è così rivelato come la Sindone completa. In ogni caso, Gregorio – arcidiacono della Chiesa Grande di Costantinopoli – tenne un discorso al momento del trionfale ingresso del tessuto, in cui menzionò “... le gocce di sangue, che sono uscite dal suo costato...”, che avevano lasciato la traccia sul tessuto. E almeno in questa affermazione c’è la prova che il Mandylion di Edessa e la Sindone di Torino sono lo stesso lenzuolo. Se era visibile la ferita provocata dalla lancia del centurione, il tessuto non poteva

198 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù essere semplicemente un riquadro che conteneva l’immagine di un volto. Quel lenzuolo deve essersi originato nel breve periodo che ha seguito immediatamente la Crocifissione. Il testo di un discorso tenuto in precedenza da Papa Stefano III nell’anno 769 aveva un passaggio inseritovi durante il dodicesimo secolo sull’immagine che Gesù aveva lasciato essendo stato avvolto “con tutto il corpo” in un bianco lenzuolo “...sul quale il glorioso aspetto di nostro Signore e l’intera lunghezza del suo corpo erano rimasti miracolosamente impressi...”16. Riferimenti simili si trovano nella storia ecclesiastica di Ordericus Vitalis (attorno al 1141)17 e negli Otia Imperialia di Gervaso di Tilbury all’inizio del tredicesimo secolo18. Durante tutti questi anni la Sindone è stata evidentemente esposta in tutta la sua lunghezza in modo regolare a Costantinopoli. Nel 1203, il crociato francese

199 La vita di Gesù in India

Robert de Clari scrisse che aveva visto il lenzuolo nella Chiesa di Santa Maria la Madonna a Blachernai in Costantinopoli: “... la Sindone, in cui fu avvolto nostro Signore, che veniva esposta ogni venerdì, così che l’immagine di Nostro Signore poteva essere vista chiaramente”19.

I misteriosi Templari Robert de Clari era venuto a Costantinopoli come cavaliere della Quarta Crociata. Dopo un lungo assedio, i crociati presero infine la ricca città nell’aprile del 1204. Essi distrussero qualunque cosa non avesse valore per loro; saccheggiarono e portarono via con loro qualunque cosa trovata in città che fosse di pregio o comunque costosa, compresi, senza alcuno scrupolo di coscienza, i tesori e le sante reliquie che appartenevano alla Chiesa Cristiana. Fra tanto tumulto e tanto caos la Sindone scomparve, per riapparire soltanto 150 anni dopo in Francia, in possesso dei membri della famiglia Charny, che la esposero per la prima volta in Occidente20. Sono state elaborate diverse teorie, alcune delle quali piuttosto fantasiose, per spiegare come il lenzuolo sia scomparso da Costan- tinopoli e sia poi finito in Francia. Poichè il tessuto è sparito di colpo per più di un secolo, è stato molto probabilmente in possesso degli stessi proprietari per tutto quel periodo – presumibilmente un gruppo strettamente legato ai crociati, che fossero abbastanza ricchi da non avere bisogno di ottenere fondi vendendo la reliquia, che potessero garantire la sua sicurezza nel segreto più assoluto, che avessero un buon motivo per custodirla e che fossero inoltre collegati in qualche modo alla famiglia Charny. Tutte queste ca- ratteristiche portano al misterioso Ordine dei Templari. L’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Sa- lomone, più noto semplicemente come i Templari, venne fondato nel 1119 da un gruppo di crociati guidati dal cavaliere francese Hugues de Payns. Oltre ai consueti voti di povertà, castità e ob- bedienza, i Templari giuravano di proteggere i pellegrini in Terra Santa e di essere parte attiva nella lotta contro i Mussulmani. L’Or-

200 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù dine divenne assai presto straordinariamente potente ed influente. Comunque, verso la fine del tredicesimo secolo cominciarono a circolare voci secondo le quali i cavalieri Templari erano tenuti ad adorare un’icona misteriosa in incontri segreti. Secondo resoconti del tempo e rapporti della Corte dell’Inquisizione, l’icona dei Templari era un’immagine “su una tavoletta” che rappresentava in una versione “molto pallida e senza colori” la testa di un uomo in grandezza naturale, “con una barba a due punte, come quella che portano i Templari”. I Templari veneravano l’icona come “il volto senza veli di Dio”. Una copia dell’icona veniva tenuta in alcuni centri dei Templari. (Una copia di questo tipo fu trovata nel 1951 in un antico posto dell’Ordine a Templecombe nel So- merset, Inghilterra.) L’icona è uguale all’immagine del Mandylion in ogni dettaglio! I Templari erano ovviamente venuti in posses- so della Sindone e avevano preso la sua immagine come punto centrale della loro venerazione religiosa. Ma come avevano fatto a far uscire la Sindone da Costantinopoli senza essere notati e a portarla in Occidente? Elmar R. Gruber ha trovato una soluzione a questo enigma storico. I Templari non avevano preso parte alla conquista di Costan- tinopoli perchè non aveva niente a che fare con i loro compiti in Terra Santa; tuttavia, immediatamente dopo la presa della città, alcuni dei loro agenti vi si recarono in missione segreta. Soltanto le aree dei palazzi Bucoleon e Blachernai non erano state preda dei saccheggi della soldataglia dei crociati, perchè i capi dei crociati avevano scelto quei palazzi come propria residenza una volta che l’attacco avesse avuto successo. Perciò i tesori e le reliquie che quei palazzi contenevano furono distribuiti a dignitari di alto rango secolari e religiosi. Nel maggio 1204, il Conte Baldovino IX delle Fiandre fu incoronato Sacro Romano Imperatore di Bisanzio. Per portare questa notizia al Papa Innocenzo II, il nuovo Imperatore scelse il Maestro della Corte dei Templari di Lombardia, un certo Fratello Baroche, che può bene aver convinto Baldovino che to- gliere la Sindone dalla chiesa di Blachernai e donarla al Papa gli avrebbe indubbiamente assicurato il favore del Vaticano. Tuttavia

201 La vita di Gesù in India la missione fu tenuta segreta, per timore di possibili rivolte da parte della popolazione greca. Fratello Baroche portò il prezioso carico su una nave che trasportava merci di valore verso Roma. Al largo della costa del Peloponneso l’imbarcazione fu attaccata di sorpresa da sei galere genovesi e saccheggiata21. Abbastanza stranamente, i pirati genovesi lasciarono che la nave e il suo equipaggio proseguissero per la loro rotta senza danni – le navi catturate erano invece di solito portate a Genova – così che Fratello Baroche raggiunse Roma indenne nell’autunno del 1204 e consegnò la lettera di Baldovino a Papa Innocenzo. Forse i Templari avevano fatto una trattativa segreta con i Genovesi, cedendo tutto il bottino di valore, purchè non venissero danneggiati la nave, l’equipaggio e il vecchio lenzuolo “senza alcun valore”. O forse Baroche aveva in ogni caso portato via il lenzuolo dalla nave per lasciarlo in qualche porto di scalo, dato che i Templari avevano possedimenti nel Peloponneso, e al- lora potè lasciarsi prendere con la sua nave dai Genovesi. In ogni caso, la Sindone era scomparsa, e in una lettera del 12 novembre 1204 il Papa Innocenzo minacciò i Genovesi di scomunica se non avessero restituito subito la reliquia rubata22. L’intera questione era estremamente imbarazzante sia per l’Im- peratore sia per il Papa e fu messa sotto silenzio. La Sindone era “misteriosamente scomparsa”. Nel 1307, Filippo il Bello di Francia usò le voci che riguarda- vano l’eretica adorazione di icone da parte dei Templari, insieme con altre accuse – come pratiche omosessuali, rapporti segreti con i Mussulmani e i Catari (che erano stati spazzati via cento anni prima) – come pretesto per annientare i Templari e impadronirsi degli estesi possedimenti dell’Ordine. Due degli ultimi capi rimasti dell’Ordine dei Templari furono bruciati sul rogo per eresia a Parigi nel marzo 1314, sebbene avessero professato la fede cristiana fino alla fine e protestato la loro innocenza. Uno era il Gran Maestro dell’Ordine, Jacques de Molay; l’altro era il Maestro di Normandia, Geoffroy de Charnay. Malgrado un’accurata ricerca, i loro persecutori non riuscirono a

202 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù trovare in alcun luogo l’“icona” dei cavalieri. Alcuni anni dopo, tuttavia, il lenzuolo ricomparve ancora una volta, in possesso di un Geoffroy de Charny23, che, da una ricerca genealogica, poteva ben essere stato un bisnipote del cavaliere Templare che aveva pagato con la vita, anche se di persona non aveva alcun collegamento manifesto con l’Ordine. Sembra quindi che i capi dei Templari abbiano nascosto il lenzuolo presso un parente di Geoffroy de Charnay (il Templare) che fosse al di fuori di ogni sospetto, allo scopo di proteggerlo dalla persecuzione di Filippo. Questo spiega anche perchè la famiglia de Charny non sia stata in grado di dare alcuna spiegazione di come fosse venuta in possesso del tessuto, quando più tardi vennero accusati dai due vescovi di Troyes, Henri de Poitiers e Pierre d’Arcis, di avere esibito un falso, in occasione di una esposizione al pubblico nella chiesa collegiale di Lirey. Seb- bene i vescovi non avessero mai visto il lenzuolo personalmente, essi si opponevano fermamente ad ogni esibizione in pubblico della reliquia. Seguirono una serie di complotti contro la famiglia de Charny, ai quali Margareta de Charny riuscì a mettere fine soltanto facendo uscire il tessuto dalla regione. Ella lo lasciò al pio Duca Luigi di Savoia e ne ricevette in cambio una ricca ricompensa per “servizi di grande valore”. Il Duca diede ai canonici di Lirey 50 franchi d’oro come compenso. Da allora in poi la storia della Sindone è ben documentata e può essere rapidamente riassunta24. Nel 1502 il lenzuolo fu depositato nella cappella del Castello di Chambéry dove, nel 1532, rischiò di essere distrutto dal fuoco che lasciò le bruciature ancora oggi visibili. Nel 1578 il lenzuolo venne infine portato a Torino, dove è stato conservato come eredità di famiglia della Casa Savoia per quattro secoli, finchè Umberto II di Savoia, ex-re d’Italia, lo lasciò alla Santa Sede nel suo testamento del 18 marzo 1983, poco prima della sua morte. (Solo due settimane prima, Papa Giovanni Paolo II aveva fatto personalmente un viaggio alla residenza di Lisbona del monarca in esilio per convincere l’anziano signore a lasciare in eredità il lenzuolo alla Santa Sede.) Analisi scientifica della Sindone

203 La via seguita dalla Sindone di Torino. 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù

In occasione del cinquantesimo anniversario della costituzio- ne dello Stato d’Italia nel 1898, la Sindone fu ancora una volta esposta al pubblico. Il fotografo dilettante Secondo Pia ebbe allora l’opportunità di fotografare la Sindone per la prima volta nella sua storia. Dopo parecchi tentativi, Pia riuscì a prendere una fotogra- fia ragionevole della Sindone. Quando ebbe sviluppato le lastre fotografiche esposte nella sua camera oscura, fece una scoperta sensazionale: il negativo sulla lastra fotografica mostrava molto bene le sembianze naturali di Gesù, come doveva essere apparso nella vita reale. Il volto che ci è familiare come ritratto di Gesù sulla Sindone di Torino è stato ottenuto con il capovolgimento di luci ed ombre (Le macchie di sangue, d’altro canto, appaiono sul negativo come segni più chiari.) Questo fatto da solo dimostra che l’immagine non può essere stata dipinta da un artista. Per creare una così perfetta inversione a mano non basterebbero neppure i mezzi di cui disponiamo con le tecniche più moderne. Il negativo della fotografia scattata da Pia è stato il punto di partenza del moderno dibattito sull’autenticità del lenzuolo. Le fotografie più recenti prese da Giuseppe Enrie nel 1931 con- fermano che non c’è nulla che suggerisca che l’immagine sia stata dipinta sulla Sindone: nessuna pittura, nessun segno di pennello, nessuna traccia. L’impressione del corpo penetra gradualmente nel tessuto: non si possono vedere contorni distinti. Queste fotografie più precise hanno portato un intero elenco di nuove scoperte: 1. Il corpo che si vede nell’immagine non è vestito, proprio come erano i criminali quando venivano puniti e giustiziati secondo la legge romana. Una rappresentazione artistica di Gesù completamente nudo sarebbe stata inconcepibile, una bestemmia di proporzioni irrimediabili. 2. L’immagine è molto evidentemente di qualcuno che è stato crocifisso perchè inchiodato a una croce, piuttosto che attaccato a una croce tramite cinghie (che era pure una pratica usuale). Poichè le crocifissioni erano frequenti, questo non serve in sè stesso a provare che il corpo è quello di Gesù. È stato il primo Imperatore

205 La vita di Gesù in India romano cristiano, Costantino, ad abolire questo barbaro metodo di esecuzione, così che il lenzuolo deve avere avuto origine prima dell’anno 330 d.C. 3. La barba e la capigliatura della persona rappresentata non erano consueti nell’Impero Romano, tranne che in Palestina. La lunghezza dei capelli e la discriminatura centrale sul capo ci dicono che la vittima era un membro della comunità dei Nazareni. 4. La Sindone mostra con grande evidenza gli avvenimenti di sei delle Stazioni della Croce descritte nei Vangeli. In primo luogo, i medici specialisti confermano la presenza di una seria contusione sotto un occhio e di altre ferite superficiali evidentemente provocate da colpi in faccia dati dai soldati. 5. In secondo luogo, piccoli segni doppi sono chiaramente visibili lungo tutta la schiena, e in alcuni punti della parte anteriore. Ci sono complessivamente più di novanta di queste ferite, da cui è possibile dire non solo quante frustate furono inferte durante la flagellazione, ma anche che il mezzo impiegato fu il flagrum romano. Questa particolare specie di frusta aveva tre strisce di cuoio applicate in punta con coppie di palline di piombo o osso. 6. L’evidenza della terza Stazione della Croce sta nel fatto che le ferite delle frustate nella regione delle spalle sono state chiaramente aggravate dalla successiva applicazione di un forte peso – un’in- dicazione che la vittima della crocifissione deve avere davvero trasportato (almeno) il braccio orizzontale di una croce. 7. La quarta Stazione della Croce è visibile nelle macchie e strisce irregolari di sangue sulle parti anteriore e posteriore della testa: è la traccia evidente di una corona di spine. Non si trattava comunque di una coroncina a treccia o tiara, come rappresentata nell’icono- grafia cristiana da quasi tutti gli artisti, ma doveva trattarsi di un “cappello” che copriva tutta la parte superiore del capo, molto simile alle corone orientali. Chiunque avrebbe potuto semplicemente riprodurre una copia della convenzionale coroncina di spine. 8. La quinta Stazione, l’inchiodatura alla croce, è visibile nelle

206 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù strisce di sangue sulle mani e sui piedi. Dalla direzione delle maggiori tracce di sangue, non è difficile dedurre che le brac- cia furono distese con un angolo fra i 55 e i 65 gradi. Sebbene gli artisti e gli iconografi abbiano sempre rappresentato i chiodi piantati sulle palme delle mani, le macchie di sangue sul tessuto dimostrano che i chiodi vennero in realtà infissi sui polsi. Espe- rimenti eseguiti dal patologo francese Barbet hanno dimostrato che le palme delle mani non potrebbero sopportare il peso di un corpo di più di quaranta kilogrammi senza lacerarsi. Quale falsario avrebbe potuto saperlo? 9. L’ultima delle sei Stazioni della Croce è rappresentata da una ferita lunga circa 4,5 centimetri sul fianco destro del corpo fra la quinta e la sesta costola. Sembra che la ferita abbia prodotto una piccola quantità di sangue, in accordo con quanto detto nel Vangelo di Giovanni, di una ferita da lancia da cui fluirono immediatamente “sangue e acqua”. 10. Nè le cosce nè le parti inferiori delle gambe mostrano alcun segno di grossi danni, e questo conferma che gli arti non furono davvero spezzati.

I punti sopra enunciati, che coincidono tutti con la descrizio- ne del Vangelo, indicano che non può trattarsi semplicemente di una qualunque vittima di una crocifissione. Il gesuita e storico Herbert Thurston, che era convinto che la Sindone fosse un falso, ha scritto “...Se questa non è una rappresentazione di Cristo, è stata dipinta per assomigliarle molto. Queste fattezze, prese tutte assieme, non sono mai state rivelate da nessun altro fin dall’inizio del mondo”25. Un esame ancora più accurato, con l’impiego dei più moderni strumenti scientifici, è stato possibile solo dopo che fu istituita una Commissione per lo studio scientifico della Sindone. Nel 1969, il Cardinale Pellegrino di Torino nominò un certo numero di spe- cialisti scientifici che, assieme a un gruppo di esperti dottrinali, dovevano eseguire un esame sistematico della Sindone. Inizialmente

207 La vita di Gesù in India il gruppo comprendeva solo undici specialisti, ma nel corso degli anni successivi vi furono scoperte di così grande importanza che vennero coinvolti nell’analisi del tessuto interi istituti ed Università, e persino l’Ente Aeronautico e Spaziale degli U.S.A. (NASA). Fino ad allora le ricerche si erano svolte sulle fotografie della Sindone, ma nel 1969 la Sindone potè finalmente essere esaminata direttamente, per un periodo di due giorni. Sembra una cosa strana, ma la Commissione e i suoi studi furono mantenuti strettamente

La Sindone completa come un negativo fotografico. Solo nel negativo tutti i dettagli diventano chiaramente visibili.

208 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù segreti; i nomi dei suoi membri non vennero resi pubblici fino al 1976. I risultati di questi primi esperimenti furono molto scarsi. Furono scattate un buon numero di fotografie a colori, e parti della Sindone furono esaminate al microscopio in luce normale, ultra- violetta ed infrarossa. Un rapporto finale raccomandava che per le ricerche future si dovessero prelevare un certo numero di piccoli campioni su cui eseguire poi un intero spettro di test scientifici. L’ex-re d’Italia, Umberto II di Savoia, che a quel tempo era ancora il proprietario legale della Sindone, si dichiarò d’accordo con le richieste degli esperti. Nel 1973 ne consentì un esame sistematico e vari test per tre giorni, dopo di che il lenzuolo fu mostrato in televisione a milioni di persone con il commento di Papa Paolo VI.

Gesù venne posto vivo nel Sepolcro? Fin dagli anni Cinquanta, un tedesco chiamato Hans Naber (ma che ha usato anche i nomi di Kurt Berna e John Reban), specia- lizzato in scritti riguardanti la Sindone, aveva ottenuto una certa fama con la produzione di pubblicazioni in uno stile in qualche modo sensazionale. Egli dichiarò che la Sindone provava al di là di ogni dubbio che Gesù non poteva essere veramente morto quando fu tolto dalla Croce, perchè un cadavere non avrebbe potuto continuare a sanguinare nel modo che aveva evidentemente fatto il corpo che era stato avvolto nel lino della Sindone di Torino26. Naber affermò di avere avuto una visione nel 1947 in cui Gesù gli era apparso e gli aveva chiesto di testimoniare al mondo che l’uomo sottoposto alla Crocifissione era morto solo in apparenza, ma in realtà era in una specie di trance da cui si era risvegliato dopo tre giorni. La pubblicazione dei risultati dello studio e delle fotografie della Sindone diedero finalmente a Naber l’opportunità di tentare di provare le sue teorie, ed egli cercò di trovare un certo numero di riconosciuti esperti della Sindone pronti a sostenere il suo tentativo. È inutile dire che le autorità dottrinali della Chiesa non avevano alcuna simpatia per l’argomento – ma un bel giorno,

209 La vita di Gesù in India con una certa campagna di stampa, Naber dichiarò di avere ricevuto una lettera da un anonimo membro del clero della Chiesa Cattolica Romana in cui si diceva che non era possibile da un lato insegnare che Gesù era morto sulla Croce per la salvezza dell’umanità e da un altro venerare un sudario che non aveva mai avvolto un corpo morto. Il Vaticano si trovò obbligato a prendere una posizione ufficiale sull’argomento e decise allo stesso tempo che si doveva trovare una soluzione radicale e definitiva. Per il Professore di Teologia Werner Bulst, le affermazioni di Naber erano “pura fantasia”: Naber fu accusato di non sapere neanche di cosa stesse parlando e di non avere inoltre alcuna “pre- parazione scientifica”27. Ma Naber non poteva semplicemente venire ignorato, perchè era in grado di risvegliare l’interesse in tutto il mondo. Comunque, l’antagonismo che Naber fece sorgere con la sua insistenza portò alla sua rovina fisica, mentale e finanziaria. Nel 1973, quando si ebbero gli ultimi risultati della ricerca, fu come se i dubbi diffusi e messi in evidenza da Naber venissero confermati. È molto semplice, dopotutto, stabilire la presenza di quantità di sangue anche minuscole a mezzo di un’analisi chimi- ca in laboratorio. Il metodo più comune per fare questo è quello chiamato reazione del perossido: anche la più piccola traccia del pigmento rosso del sangue (emoglobina) libera ossigeno dal perossido di idrogeno, che a sua volta provoca l’ossidazione del reagente basico incolore benzidina, facendo diventare azzurra la soluzione. L’emoglobina e il prodotto della sua decomposizione, l’emo, sono molecole molto stabili che possono continuare a reagire normalmente anche dopo molti secoli. Parecchi filamenti da varie aree macchiate di sangue furono accuratamente prelevati dal materiale ed esaminati da due laboratori indipendenti in Italia. Il risultato sembrò essere un grosso passo indietro – tutti gli esiti delle prove furono negativi. Fu come se le macchie che sembravano di sangue non fossero affatto sangue! Le macchie di sangue sui piedi (ammesso che si trattasse ve- ramente di sangue) erano naturalmente sufficienti a confermare la teoria di Naber che era fluito sangue dopo che Gesù era stato

210 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù rimosso dalla Croce. Ma ora era molto più facile per chiunque ne fosse interessato affermare che la Sindone era opera di un’ingegnosa contraffazione, e non c’era alcun bisogno di dover ammettere che Gesù era ancora vivo quando fu tolto dalla Croce. La pubblicazione del rapporto della Commissione nel 1976 fece sì che la notizia della “frode” si diffondesse come una fiamma. Quello che non venne pubblicato, tuttavia, fu il fatto che non c’era alcuna sostanza conosciuta che potesse essere usata per una simile contraffazione, e che l’emo, sebbene relativamente stabile, perde la sua stabilità, si decompone e diviene così non rintracciabile se esposto ad alte temperature – come era accaduto alla Sindone nell’incendio del 1532. Se ci fosse veramente sangue oppure no era una domanda rimasta senza risposta soddisfacente fino a parecchi anni dopo le ricerche del 1973. Nel 1978, la Sindone si trovava a Torino da quattrocento anni esatti, e per celebrare l’occasione venne esibita ancora una volta al pubblico. Dal 28 agosto all’8 ottobre, più di tre milioni di pellegrini guardarono attentamente la più preziosa reliquia della Cristianità, probabilmente l’autentica immagine di Gesù. Poi, prima della fine dell’ultima sera di esposizione, il lenzuolo fu tolto dalla sua bacheca a prova di pallottola e sistemato su una tavola adattabile. In una stanza del Palazzo Reale, che è adiacente alla Cattedrale, due squadre di insigni scienziati erano in attesa di iniziare un pro- gramma di ricerche che doveva durare due settimane. Un gruppo era in prevalenza europeo, e comprendeva lo specialista di analisi microscopica di Torino Giovanni Riggi, il patologo Baima Bollone di Milano, il fisico Luigi Gonella di Torino e lo scienziato-legale Max Frei di Zurigo. L’altro gruppo era formato da venticinque spe- cialisti americani nei campi di fotografia, spettroscopia, radiografia, tecnologia informatica, chimica organica e fisica, equipaggiati con una straordinaria serie di strumenti sofisticati, alcuni dei quali erano stati costruiti appositamente per l’analisi della Sindone. Nei giorni che seguirono, impiegando una procedura di lavoro lunga ma rigorosa, furono preparati un gran numero di negativi fotografici, fotografie di tipo particolare, grafici e tabelle di dati,

211 La vita di Gesù in India che vennero tutti esaminati con l’aiuto di grossi elaboratori negli Stati Uniti. La Sindone fu dapprima suddivisa in una griglia di sessanta sezioni allo scopo di eseguire un preciso e completo esame fotometrico. Ciascuna di queste sezioni venne poi accuratamente fotografata, usando uno spettro completo di filtri diversi. I negativi servirono poi come base per un certo numero di esperimenti ottici. Nel laboratorio fotografico della NASA, i valori di tonalità (luce- ombra) delle fotografie furono resi digitali, cioè convertiti in dati trattabili dal computer, e questo rese possibile evidenziare piccole zone di contrasto nella fotografia, rivelando sottili dettagli altri- menti invisibili all’occhio umano. Con questo metodo fu possibile ricostruire dall’immagine un rilievo tridimensionale del corpo in grandezza naturale. Se si fosse trattato di una contraffazione, ne sarebbero risultate proporzioni completamente errate. Sulla base di questo rilievo, fu possibile stabilire l’altezza e il peso reali del corpo: l’altezza è di circa 1,80 metri e il peso è di 79 kilogrammi. È stato anche possibile calcolare la distanza fra il corpo e il tessuto in ciascun punto, usando i valori della tonalità: più scura nei punti di contatto diretto fra il corpo e la Sindone; più grande era la distanza fra la Sindone e il corpo, più leggera ne risulta la tonalità sulla Sindone. I ricercatori hanno poi scoperto che c’era una relazione diretta fra l’immagine sulla Sindone e le distanze fra la Sindone e il corpo: questo ha confermato l’ipotesi fatta da lungo tempo che l’immagine deve essersi formata in qualche modo per contatto con il corpo. E l’esame delle fibre al microscopio elettronico ha rivelato che l’immagine non si è prodotta a causa di particelle rilevabili di qualche sostanza, ma che le fibre stesse della Sindone dove è visibile l’immagine sono rese più scure in superficie, a differenza di quelle delle aree dove non c’è l’immagine. Un esperimento che venne eseguito direttamente sul tessuto stesso, la spettroanalisi di fluorescenza ai raggi X, ha infine for- nito la prova che le macchie di sangue derivano veramente dalla presenza di sangue. In questa prova una parte del lenzuolo è stata sottoposta ad un’elevata dose di radiazioni per un breve periodo, e così indotta a diventare fluorescente. Poichè ogni molecola emette

212 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù fluorescenza in un suo modo unico sotto l’influsso di elevati li- velli di radiazione, la struttura atomica di un materiale può essere determinata dal suo spettro di fluorescenza. Le righe dello spettro hanno mostrato che c’erano quantità significative dell’elemento ferro, che è uno dei maggiori costituenti del sangue, in particolare dell’emoglobina. Per il chimico americano Dr. Walter McCrone, la presenza di ferro era una prova in sè stessa che la Sindone di Torino non poteva essere autentica, come dichiarò pubblicamente al convegno annuale dell’American Association for the Advancement of Science alla fine del 1971 e ripetè più volte in seguito. Egli considerò la presenza di ferro come un’indicazione sicura che era stata usata una vernice contenente ossido di ferro – un tipo di pittura che non era ancora stata inventata prima del quattordicesimo secolo. Il Dr. McCrone non aveva mai visto personalmente la Sindone! L’ipotesi della pittura fu confutata con un esperimento diverso in cui alcune particelle della Sindone vennero trattate con idrazina e acido formico vaporizzato e poi sottoposte a radiazione ultravioletta. In tali condizioni, le molecole di porfirina diventano di un rosso brillante e questa tecnica ha dimostrato che erano presenti nella Sindone. La porfirina è un precursore nel metabolismo dell’emo, ed è un indicatore accertato della presenza di sangue nei casi in cui l’emo stessa è stata distrutta dall’alta temperatura. Questo metodo della fotografia della fluorescenza ultravioletta ha provato anche che c’erano due tipi diversi di aree intaccate dal calore del fuoco. Nel 1532, la Sindone fu sottoposta a lenta combustione interna nel suo cofanetto nella cappella del palazzo di Chambéry, confinata in un’atmosfera che conteneva poco ossigeno. La fluorescenza rossastra dei segni di bruciatura ha confermato la combustione lenta nel cofanetto d’argento, così come è noto nella sua storia. Altri segni di bruciatura mostrano una fluorescenza di colore diverso, che suggerisce un secondo episodio sconosciuto di combustione, in un fuoco “all’aperto”. (Questo prova anche che si deve respingere l’ipotesi che il corpo che è stato nella Sindone abbia potuto lasciare l’immagine sul tessuto attraverso qualche

213 La vita di Gesù in India processo di irraggiamento). Gli esperimenti dei ricercatori USA dimostrano che le grada- zioni diverse di colorazione seppia nell’immagine sono dovute a un cambiamento nella struttura chimica della cellulosa del lino. In esperimenti di laboratorio è stato possibile simulare le stesse differenze di colorazione usando vari agenti ossidanti per decom- porre la cellulosa del lino. Le immagini per ossidazione diventano sempre più distinte al passare del tempo. Fin dal 1924, il biologo francese Professor Paul Vignon aveva avuto grande successo con i suoi esperimenti in quella che fu poi definita “teoria vaporografica”. Vignon dimostrò che un corpo che suda posto in un lino che è stato imbevuto in una miscela di olio leggero e tintura di aloe (Aloe medicinalis) produce la stessa colo- razione che compare sulla Sindone, perchè il sudore si decompone per formare vapori ammoniacali, che poi provocano un processo di ossidazione che ha luogo nella cellulosa. Questa colorazione è più forte nel punto di contatto fra il lenzuolo e il corpo e diventa più debole quando aumenta la distanza fra il corpo e il lenzuolo. (Questo spiega anche perchè l’immagine assomiglia a un negativo fotografico). Vignon ha spiegato che l’immagine sul lenzuolo è prodotta principalmente dai vapori di ammoniaca rilasciati durante l’evaporazione di acido urico da un corpo febbricitante. La solu- zione di aloe e mirra assorbita nel lenzuolo reagisce con esso, con formazione di carbonato d’ammonio, i vapori del quale colorano le fibre del lino. Nell’atmosfera umida fra la pelle e il lenzuolo, il grado di colorazione è in proporzione diretta alla vicinanza del corpo con il lenzuolo. La colorazione molto più intensa delle macchie di sangue è il risultato di una reazione chimica più forte. Il Vangelo di Giovanni descrive come nel funerale di Gesù siano state usate grandi quantità di aloe: “Egli dunque venne e portò via il corpo di Gesù. Venne anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da Gesù di notte, portando una miscela di mirra e di aloe, circa cento libbre. Essi presero dunque il corpo di Gesù e lo avvolsero con panni di lino insieme con gli aromi, come usano fare i Giudei per la

214 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù sepoltura” (Giovanni 19:38-40). Gli esperimenti di Vignon, anche se convincenti, divennero il bersaglio di severe critiche nel 1933, per la semplice ragione che i sali e il calore del corpo necessari per le reazioni chimiche e l’evaporazione non potevano essere stati presenti in quantità suf- ficienti in un cadavere. Tuttavia era stato sicuramente provato che miscele di aloe e mirra in condizioni di umidità potevano davvero creare immagini permanenti di un corpo su un tessuto. Vignon ha dimostrato che anche un tempo di contatto brevissimo come quarantacinque secondi poteva lasciare una debole immagine, con la formazione di una figura positiva chiaramente riconoscibile se vista su un negativo fotografico. La prova che l’immagine sulla Sindone era di origine vaporo- grafica avrebbe potuto porre fine virtualmente ad ogni altra spe- culazione – ma la Chiesa Cristiana si oppose a questa soluzione evidente con tre obiezioni: a) Secondo le precise norme che regolavano un funerale giudeo ortodosso, il cadavere avrebbe dovuto essere fisicamente e ritual- mente purificato prima di essere avvolto. Segni come le macchie di sangue sarebbero stati quindi impossibili. b) Se il corpo fosse stato correttamente avvolto nella Sindone come prescritto, si sarebbe prodotta un’immagine complessiva in qualche modo deformata e distorta in larghezza, molto diversa dall’immagine piana della superficie inferiore, poichè si altera completamente tutta la figura. Questo argomento può essere facilmente controbattuto, perchè il lino imbevuto diventa piuttosto rigido, così che il lenzuolo non potrebbe essere avvolto attorno ad ogni contorno del corpo, ma solo toccarlo nelle parti più prominenti. c) I cadaveri non sudano e non emettono calore corporeo.

La teoria del Professor Vignon, che è il risultato di quarantatre anni di studio, fu scartata in base a questa ultima obiezione – cioè perchè i cadaveri non sudano. Ma se Gesù fosse stato ancora vivo, l’alta temperatura del corpo provocata dalle ferite l’avrebbe fatto

215 La vita di Gesù in India sudare in modo più abbondante che mai!

La datazione al radiocarbonio del 1988 O ggi esiste una prova semplice per determinare l’età di tutte le sostanze organiche, tramite la misura dei livelli del radioisotopo carbonio-14 (chimicamente lo stesso elemento del carbonio comune, C12, ma con due neutroni in più nel nucleo, che rendono l’atomo così instabile che decade radioattivamente in breve tempo). Gli orga- nismi viventi assorbono l’anidride carbonica dall’aria, incorporando il carbonio nella propria struttura. Quando la vita dell’organismo finisce, il carbonio radioattivo continua a decadere a un tasso molto lento e costante (di circa metà di tutto il materiale ogni seimila anni, il suo “tempo di dimezzamento”). Poichè la proporzione di C14 nell’atmosfera è costante (mantenuta dalle radiazioni prove- nienti dallo spazio), è sufficiente soltanto misurare il rapporto del C14 rispetto al C12 in quello che è rimasto dell’antico materiale organico, eseguire un semplice calcolo in relazione al tempo di dimezzamento, e l’età del reperto archeologico può essere stabilita con una precisione migliore del dieci per cento. Prima degli anni Ottanta, tuttavia, si richiedeva un campione molto consistente del materiale in esame – e nel processo sarebbe stato completamente distrutto per combustione – e nessuna autorità della Chiesa poteva permettere che la santa reliquia più importante del Cristianesimo venisse mutilata o anche visibilmente danneggiata in questo modo. Ma oggi è possibile, da alcuni anni, datare anche le più minuscole quantità di un materiale: perciò, nell’aprile 1988, dopo che Umberto II di Savoia era stato persuaso dal Papa a cedere il tessuto alla Santa Sede, il Vaticano (spinto all’azione dalle spet- tacolari pubblicazioni di Naber) ordinò un esame al radiocarbonio della Sindone di Torino, nella speranza che si riuscisse una volta per tutte a dimostrare se la reliquia era autentica oppure no. A tre laboratori specializzati nella datazione di materiale archeo- logico – a Zurigo, Oxford e Tucson (Arizona) – furono consegnati campioni della dimensione di un francobollo del lenzuolo di Torino.

216 7. La Sindone - Un’eredità di Gesù

Sei mesi più tardi, nell’ottobre 1988, il sensazionale risultato fu reso noto al pubblico: l’esame aveva dimostrato al di là di ogni dubbio che il tessuto aveva avuto origine nel Medio Evo (in un periodo fra gli anni 1260 e 1390). Questa scoperta, che contraddiceva tutti i risultati delle ricerche precedenti, mi fece sorgere subito dei sospetti sull’accuratezza con cui era stata eseguita la datazione al radiocarbonio. Avevo studiato la storia della Sindone per molti anni: sapevo per certe molte cose che provavano attivamente che quel tessuto era esistito prima del Medio Evo. Dovevo andare ad esaminare a fondo i procedimenti di prova. Fu l’inizio di tre anni di un lavoro da detective che mi portò in tutti i luoghi in qualche modo interessati alla datazione al radiocarbonio. Man mano che provavo a mettere assieme indizi e a saperne di più su ogni circostanza, scoprivo sempre di più che una gran moltitudine di contraddizioni e fatti inconsistenti si trovavano ovunque lungo tutte le procedure di prova. Mi risultò ben presto evidente che gli scienziati che avevano preso parte alle prove avevano qualcosa da nascondere. Dietro precise richieste su qual- che dettaglio, cadevano in contraddizioni e spesso ricorrevano a falsificazioni quando si accorgevano che la versione ufficiale degli eventi relativi alla procedura era in pericolo. Il Direttore della ri- cerca, il Dr. Michael Tite, ricevette in regalo un milione di sterline per un nuovo istituto da non meglio identificati “amici e sponsor” (ironicamente il Dr. Tite ha ricevuto il denaro un Venerdì santo!), e il Cardinale Ballestrero di Torino diede le dimissioni in modo improvviso e inaspettato poco tempo dopo la pubblicazione dei risultati delle prove: per lungo tempo non fu più disponibile a dare risposte sull’argomento. Per vie traverse e con grande difficoltà, riuscii finalmente ad ottenere fotografie fortemente ingrandite dei pezzi di tessuto che i laboratori avevano ricevuto per eseguire la datazione. Ho fatto esaminare queste foto da parecchi istituti specializzati in questo genere di lavori e confrontare al computer le immagini digitalizzate con le fotografie di ciascun frammento originale prese direttamente

217 La vita di Gesù in India prima che venisse tagliato via. I risultati furono chiari e decisivi: i pezzi di tessuto datati nei laboratori non potevano provenire dal tessuto originario! Proseguendo le mie indagini scoprii che i campioni esaminati con la tecnica del radiocarbonio erano stati presi da un abito te- nuto fin dal 1296 nella basilica di San Massimino nella Francia meridionale, il mantello da cerimonia di San Luigi d’Anjou. Que- sto ha provato una volta per tutte che la datazione della Sindone di Torino è stata manipolata: l’idea era di presentare il lenzuolo come una contraffazione medioevale, e così porre fine a tutte le discussioni sulla questione se Gesù fosse o no sopravvissuto alla Crocifissione – discussioni che avrebbero scosso la Chiesa Cristiana fin dalle fondamenta. La storia completa della mia sorprendente esposizione di questa enorme frode perpetrata ai danni del pubblico si trova nel volume The Jesus Conspiracy: The Truth about the Resurrection28, un libro che ho scritto assieme al Dr. Elmar R.Gruber (non ancora edito in Italia, nde). La datazione al radiocarbonio del 1988 si è rivelata niente più di un cinico tentativo di imbroglio criminale. Certamente non prova che la Sindone ha soltanto settecento anni – in effetti, la falsificazione intenzionale e fraudolenta dei risultati delle prove è invece una prova aggiuntiva che la Sindone di Torino è realmente il lenzuolo in cui Gesù fu avvolto un tempo, e che Gesù era ancora vivo quando vi fu “posto a riposare”.

218 CAPITOLO OTTO

LA “MORTE” E LA “RISURREZIONE”

Due funerali nel Vangelo di Giovanni

(Molte delle idee esposte in questo capitolo sono basate sul lavoro di Elmar R. Gruber, come sono state pubblicate nei capitoli preparati da lui per The Jesus Conspiracy, libro che abbiamo scritto insieme).

Torniamo ancora una volta a quelle drammatiche ore del Venerdì Santo, quando Gesù fu inchiodato alla Croce e nello stesso giorno frettolosamente riposto nella tomba. La storia della Crocifissione è pervenuta a noi attraverso i tre Vangeli Sinottici, il Vangelo di Giovanni e parecchi testi apocrifi. Leggendo i testi dei quattro Vangeli in parallelo, cosa che richiede già un certo sforzo, è possibile trovare una lista considerevole di punti di differenza, oltre ai punti di concordanza – e questa è una situazione che rende difficile formare una chiara e consistente descrizione degli eventi. È il Vangelo di Giovanni che generalmente mostra la maggiore discordanza dagli altri tre Vangeli. Proprio per questo i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono descritti come “sinottici”, con il significato di “dallo stesso punto di vista”: i numerosi punti di concordanza dei testi possono essere elencati in successione e con- frontati passo passo – questa correlazione suggerisce che derivino principalmente da una stessa fonte. Giovanni non si inserisce nello stesso schema. Sebbene il testo di Giovanni sia stato completato ad Efeso verso la fine del primo secolo e sia stato l’ultimo dei quattro

219 La vita di Gesù in India

Vangeli ad essere scritto, esso è considerato come riportante la più autentica di tutte quattro le narrazioni. In particolare comprende alcuni episodi che non ci sono negli altri Vangeli, come le nozze di Cana, la conversazione con Nicodemo e il ritorno alla vita di Lazzaro. Le sue descrizioni dettagliate e storicamente accurate di caratteristiche topografiche (in particolare la pianta e i punti di riferimento di Gerusalemme prima della rivolta del 66 d.C.) por- tano alla conclusione che Giovanni stesso, o chi descriveva e ha usato il suo nome, fosse personalmente presente in quei posti al tempo di Gesù. Il tono straordinariamente mistico e gnostico del suo racconto e l’immediatezza della sua relazione personale con Gesù inducono a pensare che Giovanni sia stato il testimone più affidabile non solo degli avvenimenti, ma anche degli insegnamenti del maestro1. Leggendo il testo, ci viene subito l’impressione di stare ascol- tando il racconto di un testimone oculare. Mentre i Vangeli sinottici dicono semplicemente che Gesù ebbe un funerale conforme agli usi dei Giudei, Giovanni cerca di presentare il funerale nel con- testo della scoperta delle fasce da sepoltura la mattina del giorno di Pasqua, come una sua testimonianza diretta o un racconto di prima mano. Il professore italiano di letteratura Gino Zaninotto mette in evidenza tutto questo in un eccellente lavoro di analisi linguistica – anche se arriva alla conclusione, in qualche modo audace, che Giovanni era stato un testimone oculare anche della “Ascensione”. A metà del Vangelo di Giovanni c’è una storia che può forse rappresentare il punto chiave di tutto il Libro: il racconto della risurrezione alla vita di Lazzaro (Giovanni 11:1-45) – un episo- dio che non compare in nessun altro Vangelo riconosciuto. Una versione di questo racconto era evidentemente compresa un tempo in una prima stesura del Vangelo di Marco, ma più tardi fu tolta, chiaramente per ordine del Vescovo Clemente di Alessandria2. La storia di Lazzaro è di grande significato per noi perchè, nel raccontarla, Giovanni fornisce una dettagliata descrizione degli usi funerari del suo tempo. Sebbene la narrazione non sia chiara su

220 8. La “morte” e la “risurrezione” molti punti, col risultato che ci sono state molte interpretazioni differenti, una cosa che afferma con decisione è che Lazzaro era certamente morto davvero. Egli è descritto come avvolto mani e piedi nelle fasce di sepoltura, e la descrizione originale in greco usa la parola keiriai (tradotta a volte come “bende avvolgenti”). È qui che incontriamo il primo problema di traduzione: che significato dobbiamo dare a “avvolto mani e piedi”? È noto che i Giudei non fasciavano gli arti del morto, tranne forse per trasportare il corpo alla tomba3. La parola keirai si riferisce a bande di lino abba- stanza lunghe per avvolgersi attorno a tutto il corpo. Perciò non dovremmo prendere queste espressioni per significare che Lazzaro venne legato soltanto ai polsi e alle caviglie, ma piuttosto che tutto il corpo era stato fasciato nelle bende di lino fino ai polsi e alle caviglie, escludendo le mani e i piedi. In effetti, se i piedi di Lazzaro fossero stati strettamente legati, è difficile capire come possa essere uscito dalla tomba da solo quando Gesù glielo ebbe ordinato (Giovanni 11:44). Inoltre, Nonnos, il celebre poeta epico greco del tardo periodo classico, ha usato lo stesso termine nella sua parafrasi del Vangelo di Giovanni, descrivendo Lazzaro come “fasciato in bende di lino dalla testa ai piedi”. È interessante notare che Giovanni usa una parola completamente diversa per i tessuti in cui Gesù fu avvolto nella tomba: othonia. Il plurale di othonion non ha correlazioni con alcuna parte speci- fica del corpo ed è molto più un equivalente del termine generico “tessuti” piuttosto che delle più descrittive “bende avvolgenti”. Il volto di Lazzaro era “fasciato” (peridedemenos) con qual- cosa chiamato un soudarion (letteralmente “un lenzuolo con cui portar via il sudore”, in latino sudarium). In questo caso venne probabilmente usato come una fascia sottogola, avvolta attorno al capo del cadavere per tenere la mascella inferiore strettamente unita a quella superiore. Giovanni usa ancora termini diversi per descrivere il funerale di Gesù. La faccia di Gesù non era legata con un soudarion, ma vi era invece “avvolta” (entetyligmenon). In effetti, egli dice molto chiaramente che il tessuto era appoggiato “sopra la testa” (epi

221 La vita di Gesù in India tes kephales), presumibilmente per escludere altre alternative, in particolare che il tessuto fosse usato per tenere chiusa la bocca. In tutta la letteratura sulla Sindone di Torino – i lavori di Barbet, Bulst e Currer-Briggs, per esempio – ci sono continui riferimenti all’idea che si può vedere una fascia sottogola nell’immagine sul- la Sindone4. Ma non c’è invece realmente alcuna traccia visibile di una benda di tal genere. Avrebbe perlomeno dovuto lasciare qualche traccia sui peli della barba e sui lati del viso. La “fascia sottogola” è una di quelle strane aggiunte sovrapposte al folklore dell’immagine come ipotesi gradita a qualcuno. Avendo impiegato parole diverse per eventi diversi, sembra che l’autore del Vangelo di Giovanni abbia inteso fare una netta distinzione fra il funerale di Lazzaro e il funerale di Gesù, ed evidenziare così le differenze fra due eventi che erano simili solo superficialmente. In questo modo rendeva assai chiaro ad ogni lettore abbastanza attento che i due eventi erano espressamente e fondamentalmente non paragonabili. La risurrezione di Lazzaro dalla morte è descritta con parole e immagini che sono frequenti nella normale sepoltura di un corpo morto. Invece, nel caso di Gesù tutto suggerisce che non si trattava affatto di un funerale normale.

Nella tomba del Signore Continuiamo il nostro esame di queste differenze. Lazzaro venne fuori avvicinandosi (ex-elthen), e la parola che viene usata implica che egli uscì fuori senza alcun aiuto. Egli uscì dalla caverna che era stata usata come tomba e si liberò dalle sue fasce di lino in modo da potersi muovere liberamente. Normalmente una tomba giudea consisteva in una caverna scavata sul fianco roccioso di una collina, in cui venivano intagliate nicchie larghe circa 50 cen- timetri, alte 80 centimetri e profonde 2 metri (kôkim, il plurale di kôk). I cadaveri, avvolti nelle loro bende, venivano introdotti per il lungo, prima con la testa, in queste nicchie5. Ogni riferimento della narrazione, esplicito e implicito, fa ben comprendere che la

222 8. La “morte” e la “risurrezione” sepoltura di Lazzaro è stata in verità un funerale definitivo. Invece il funerale di Gesù è descritto in maniera molto diversa. Gesù non fu deposto in una nicchia intagliata perpendicolarmente nella parete rocciosa di una tomba, ma deposto su una superficie di pietra o sporgenza aperta. Nella mattina della “risurrezione”, Maria di Magdala vede gli “angeli in bianco”, come vengono chiamati, “seduti uno dalla parte del capo e l’altro dalla parte dei piedi, là dove giaceva il corpo di Gesù” (Giovanni 20:12). Gesù non era stato deposto in lunghezza in un kôk, perchè, se lo fosse stato, nessuno avrebbe potuto essere seduto dalla parte della testa. A questo punto una possibile obiezione è che Gesù avrebbe potuto essere sepolto in quella che viene chiamata una tomba Ar- cosol. Questa forma di architettura tombale è caratterizzata da un largo recesso o volta scavata a una certa altezza sul pavimento nella parete laterale di una camera sepolcrale, sopra una piattaforma di pietra o sarcofago. In questo caso sarebbe stato certamente possibile per gli “angeli” sedersi ad entrambe le estremità del corpo. Ma l’evidenza archeologica è contro questa ipotesi. Le tombe Arco- sol si svilupparono solo durante il primo periodo bizantino, circa duecento anni dopo il funerale di Gesù. Prima di allora ci fu un breve periodo in cui si erano usate anche tombe strette del tardo periodo romano. Ma la struttura tombale più diffusa e più tipica del tempo di Gesù era la tomba kokim a nicchie, ed evidentemente la tomba in cui fu deposto Gesù era una costruzione di questo tipo. L’interno di una tomba kôkim si poteva raggiungere attraverso un’entrata posta sotto il livello del terreno, che era spesso chiusa con una pietra spostabile. La tomba consisteva in una grande ca- verna principale, sulle pareti della quale erano normalmente scavati un certo numero di kôkim, ciascuno dei quali poteva contenere un corpo. Al centro della caverna c’era una depressione quadrata nel terreno, che serviva come area di drenaggio. Da ciascun lato della depressione, allo stesso livello dell’ingresso dall’esterno, c’era una zona in cui poteva essere posto un corpo per il lavaggio e l’unzione6. Anche durante il giorno, nella tomba c’era abbastanza oscurità perchè fosse necessario l’uso di lanterne poste in nicchie:

223 La vita di Gesù in India

1. Area esterna 2. Pietra rotolante 3. Camera interna 4. Cavità 5. Corridoio 6. Posizione del corpo durante la preparazione 7. Tombe individuali (Kôkim)

Ricostruzione di una struttura tombale Kôkim. la legge ebraica non consentiva la sepoltura dopo il tramonto o prima dell’alba. Giovanni ci dice che il discepolo favorito di Gesù corse alla tomba (20:5) e, “curvandosi e guardando all’interno”, vide le bende di lino. Maria di Magdala “si curvò, e guardò nel sepolcro” (20: 11), e vide i due “angeli” nel luogo dove Gesù era stato deposto. Da questa descrizione si possono trarre due conclusioni. Una è che la pianta della tomba di Cristo come è stata ricostruita dal Frate Hughes Vincent e come viene spesso riprodotta, è comunque sba- gliata. Secondo questa pianta, Gesù è stato deposto in una tomba Arcosol, in un locale raggiungibile dopo essere passati prima da un’altra stanza. Sarebbe stato impossibile vedere il posto dove giaceva Gesù, movendosi comunque davanti all’ingresso. La seconda conclusione è che questa descrizione conferma la nostra ipotesi che la sepoltura di Gesù non è stata mai completata. Se il suo corpo fosse già stato sistemato in un kôk, non sarebbe stato visibile dall’ingresso della tomba neanche in questo caso. La luce che entra attraverso la porta di ingresso molto bassa

224 8. La “morte” e la “risurrezione” raggiunge solo la metà della caverna principale. Il corpo di Gesù poteva perciò essere stato deposto soltanto in qualche posto nei pressi della metà della caverna, sul ripiano attorno alla depressione centrale del pavimento, e certamente non all’interno di uno dei kôkim della tomba. Ora leggiamo più attentamente il testo greco di Giovanni: “Essi presero dunque il corpo di Gesù, e lo avvolsero (edesan) con bende di lino (othoniois) insieme con gli aromi (meta ton aro- maton), come usano fare i Giudei per la sepoltura (entaphiazein)” (Giovanni 19:40). Per varie ragioni l’interpretazione di questo passo è stata di notevole difficoltà per molti commentatori. Il verbo deo, di cui edesan è una derivazione, significa normalmente “legare insieme”, “stringere”. Ma le cose vengono generalmente legate assieme con stringhe di manufatti (spargana, keiriai), con corde (desmoi) o con strisce di cuoio, non con tessuti. Savio evita il problema traducendo deo con “avvolgere”, in analogia con certi testi in greco in cui viene usato con la preposizione en7. Nel Vangelo di Marco (15:46) il verbo usato è invece eneileo, una parola che, mentre descrive Gesù come coperto con un lenzuolo, evidenzia anche che il corpo era avvolto molto strettamente, quasi fatto su come un pacco. Ma ancora non suggerisce un processo di bendatura completa come si usava per avvolgere una mummia. Il verbo kateilisso sarebbe stato molto più adatto per esprimere un processo del genere, come viene usato, ad esempio, da Erodoto per descrivere l’avvolgimento di una mummia egizia e, in un’altra occasione, la bendatura della ferita di un soldato greco. Ma un uso specifico del verbo eneileo negli antichi testi in greco ha a che fare con un certo modo di preparare il cibo: “avvolgendolo” prima in foglie di fico8. La parola venne evidentemente usata come termine preferito per descrivere come era stato ricoperto il corpo di Gesù, in particolare per fare qualche riferimento all’avvolgimento stretto (forse perchè bagnato) causato dalle sostanze aromatiche assorbite nel sudario. Allo scopo di giustificare la terminologia insolita di questa

225 La vita di Gesù in India descrizione, diversi commentatori linguistici hanno suggerito che si intendeva forse parlare di qualche specie di processo di imbalsamazione. Essi si riferiscono alle cento libbre di sostanze aromatiche procurate da Nicodemo: “E venne anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da Gesù di notte, portando una miscela di mirra e di aloe, circa cento libbre” (Giovanni 19:39). Cento libbre – quarantacinque kilogrammi – è un peso enorme di sostanze relativamente leggere! Se l’aloe e la mirra fossero state in forma secca o in polvere, la quantità necessaria a fare questo peso avrebbe occupato un’intera tavolozza di sacchi, e Nicodemo avrebbe avuto bisogno di un certo numero di assistenti per aiu- tarlo a trasportare il carico. Il trasporto sarebbe stato ancora più difficile se quelle sostanze fossero state in sospensione nel vino, nell’aceto o nell’olio. Il teologo Paul Billerbeck descrive l’evento come se avesse dovuto aver luogo un’imbalsamazione, con l’uso delle sostanze aromatiche sospese nell’olio9. Ma i testi rabbinici si riferiscono solo all’unzione esterna dei corpi dei defunti. L’aggiunta di aromi non viene mai menzionata, e non certamente in queste quantità: non faceva mai parte degli usi ebraici, e neppure l’imbalsamazione10. Sarebbe stato impossibile, in ogni caso, eseguire un’imbalsama- zione nel modo descritto. Per evitare che i gas di decomposizione potessero gonfiare e poi rompere il corpo, le interiora avrebbero dovuto essere tolte tramite un’incisione che ripugnava agli Ebrei sia dal punto di vista estetico che religioso, e le sostanze sopra citate non avrebbero potuto, se applicate, arrestare per sè stesse l’ulteriore decomposizione. Molti studiosi della Bibbia di conse- guenza trovano questo passo del Vangelo di Giovanni sia incom- prensibile sia fonte di perplessità. Un commentatore, Haenchen, può soltanto concludere, “L’autore di questo passaggio non aveva alcuna idea dei rituali ebraici di sepoltura, e inoltre non sapeva niente di imbalsamazione”. Ma fermiamoci un momento a considerare meglio l’argomento. Abbiamo già visto che Giovanni fa una chiara e deliberata di- stinzione fra il funerale di Lazzaro e quello di Gesù, ed è anche

226 8. La “morte” e la “risurrezione” più probabile che egli abbia scelto le parole con una intenzione ugualmente accurata per far capire fra le righe ai futuri lettori una situazione che non risulti prontamente evidente da una lettura superficiale del testo. Il lettore attento avrebbe dovuto essersi già messo allerta per le grandi differenze fra la cerimonia di sepoltura di Lazzaro e quella di Gesù – e per il fatto che la prima cerimo- nia era stata completata e la seconda era rimasta incompleta. Ma perchè i seguaci di Gesù e chi credeva in lui avrebbero dovuto dare al loro amato maestro una sepoltura lasciata a metà dopo avere avuto tanta fretta da deporlo nella tomba più vicina? Tutto questo non ha alcun senso. I commentatori delle Scritture si trovano in grande difficoltà con questa strana “cerimonia di sepoltura” di Gesù. Spesso cercano di superarla dicendo che il funerale di Gesù ebbe luogo in circostanze particolari: al tramonto di un Venerdì Santo proprio quando stava per iniziare il Sabato, un giorno in cui il seppellimento non era consentito, e questo avrebbe provocato il fatto che tutto dovette essere fatto in gran fretta. Il funerale di Gesù si dovette eseguire con tale rapidità da consentire solo il minimo dei rituali di sepoltura abituali e da lasciare incompleta la sepoltura effettiva. Ma questa idea ha poco senso, per un buon numero di ragioni. Per prima cosa, non è giusto affermare che un funerale com- pleto non era consentito durante il Sabato. I testi rabbinici non affermano una cosa simile in termini specifici. Un testo dice che la cerimonia completa di sepoltura è consentita di Sabato come in ogni altro giorno; un altro dice che in questi casi il cadavere deve essere prima coperto di sabbia per conservarlo finchè sia terminato il Sabato, quando la cerimonia potrà essere completata11. Inoltre, seguendo Gesù, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo si erano già messi in una posizione che rappresentava l’abrogazione della loro precedente adesione alla tradizione e ai costumi ebraici, in modo che sembra assai poco probabile che essi si sentissero partico- larmente tenuti ad osservare tali costumi proprio quando erano accaduti eventi e azioni di simile importanza. Non c’era alcun bisogno, allora, di un rito di sepoltura abbre-

227 La vita di Gesù in India viato e affrettato, eseguito soltanto per restare aderenti agli usi. Tuttavia, ci sono tutte le indicazioni che i seguaci di Gesù abbiano agito con la massima rapidità e la massima efficienza, seguendo un piano ben prestabilito. Allora, cosa accadde veramente nella caverna tombale? Rileggiamo allora il passo cruciale alla luce delle conclusioni cui siamo appena pervenuti: “Essi presero, dunque, il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende di lino insieme con gli aromi, come usano fare i Giudei per la sepoltura”. Gli aromi erano aloe e mirra, come sappiamo. La mirra era usata come ingrediente per imbalsamare dagli Egizi, ma non figurava nel rituale di sepoltura degli Ebrei. Invece, l’uso ebraico prescriveva che il corpo del de- funto dovesse essere lavato e cosparso d’unguento, che i capelli venissero tagliati e messi in ordine e che il corpo venisse poi rivestito e il volto coperto con un lenzuolo. Il lavaggio del corpo era di tale basilare importanza che poteva venire eseguito anche nel giorno di Sabato12. Tuttavia non si fa menzione di nulla di tutto questo nel Vangelo di Giovanni. Non ci fu alcuna unzione del corpo. Invece, come ci è stato detto, le donne arrivarono alla tomba la domenica per ungere il corpo di Gesù. Qualunque cosa stessero facendo Giuseppe e Nicodemo, non aveva assolutamente niente a che fare con i rituali di sepoltura dei Giudei. Giovanni dice che essi seppellirono Gesù in un modo che era usuale per i Giudei – e poi passa a descrivere una cerimonia che è decisamente diversa da quella normale! Ora, perchè avrebbe dovuto farlo? Veramente non conosceva i riti di sepoltura? Naturalmente li conosceva, perchè ha descritto un funerale tipico nella storia di Lazzaro. Anche qui, allora, proprio come dovevamo capire una verità più profonda confrontando le differenze delle descrizioni del funerale di Lazzaro e di quello di Gesù, dobbiamo comprendere che cosa Giovanni cercava veramente di comunicare contraddicendo sè stesso in modo così evidente. Allora, cosa accadde in quella tomba intagliata nella roccia, se non si trattava di una sepoltura? Le misteriose “sostanze aromatiche”

228 8. La “morte” e la “risurrezione”

L a cosa più strana di tutto quello che è stato descritto in rela- zione alla sepoltura e alla tomba è la presenza di quella quantità di erbe straordinariamente grande. Qual’era il loro scopo? – poichè esse non avevano niente a che fare con una sepoltura. A differenza del parere di alcuni autori secondo i quali la specie di aloe citata da Giovanni è Aloe perryi13, è molto più verosimile ipotizzare che la specie usata sia stata invece Aloe vera14 . L’Aloe vera è una pianta originaria della parte sud-occidentale della penisola arabica e della vicina isola di Socotra (questo è il motivo per cui è occasionalmente chiamata Aloe soccotrina), dove si trova insieme a più di una dozzina di altri tipi di aloe. Il suo habitat nell’Arabia sud-occidentale non era lontano dalla rotta commerciale che portava dall’Arabia meridionale al Mediterraneo nei tempi classici. Essendo una pianta polposa e succosa, non poteva conservarsi facilmente nei lunghi viaggi commerciali sulle carovane o per mare senza venire essiccata: è ben noto che esisteva un attivo commercio di prodotti vegetali dal sud-ovest dell’Arabia verso la Palestina e le aree adiacenti. Le piante di Aloe erano usate in medicina e per ottenere l’incenso fin dal secondo e terzo millennio a.C. Un gel a stick ricavato da quelle piante veniva usato per vari scopi nell’antichità, soprattutto per curare ferite, infiammazioni locali e scottature. Il gel si può ottenere asportando sottili strati di cellule di polpa fogliare (parenchyma) dagli strati esterni più consistenti. L’essudato resinoso giallo che filtra dal fusto tagliato si secca in una forma di massa cerosa, che negli antichi mercati di erbe me- dicinali veniva venduta con il nome di aloe amara, un composto ricco di fenoli, specialmente aloina15. Il secondo tipo di spezia portato da Nicodemo era la mirra, una resina gommosa ricavata da arbusti del genere Commiphora, che appartiene alla famiglia delle Burseraceae. La fragranza aro- matica della mirra aveva un ruolo importante negli antichi rituali dell’India e dell’Oriente. Anche l’olio santo con cui venivano unti il tabernacolo e l’arca degli antichi Israeliti conteneva mirra, come uno degli “aromi principali” (Exodus 30:23). I racconti dell’antico Egitto descrivono come la mirra arrivasse dalla leggendaria terra

229 La vita di Gesù in India di Punt (che era probabilmente situata sulla costa di quella che è oggi la Somalia). Ippocrate elogia il potere disinfettante della mirra. Era usata fin dai tempi più antichi per la medicazione delle ferite. Nel Medio Evo la mirra era considerata estremamente importante nel trattamento della peste e di altre forme di malattie infettive. Entrambe le sostanze, l’aloe e la mirra, erano comunemente usate nella cura di grandi porzioni di tessuto danneggiato perchè potevano facilmente essere composte come unguenti e tinture. Alcuni specialisti affermano che gli Ebrei mescolavano spesso la mirra con il ladano, la resina della rosa alpina (specie Cistus, da non confondersi con il laudano, derivato dall’oppio)16. Questo veniva usato specialmente per impacchi e fasciature17. È evidente che queste miscele rappresentavano, al tempo di Gesù, il mezzo universalmente riconosciuto per ottenere la guarigione più efficace e più rapida delle ferite, insieme alla maggiore protezione possibile contro le infezioni. Non c’è alcun dubbio che Nicodemo si era procurarato una quantità veramente sorprendente di erbe medicinali altamente specifiche con l’unico scopo di curare le ferite sul corpo di Gesù. Queste spezie non possono avere avuto alcun’altra funzione. Ci si comincia a rendere conto gradualmente ma con chiarezza che lo stile dello scritto di Giovanni è molto accuratamente criptico, in modo sufficiente sia per rivelare ai lettori attenti ed interessati come si era svolto un evento straordinariamente importante, sia per nascondere quelle stesse notizie agli occhi delle persone non abbastanza informate da cercarle. Gesù non viene descritto come un corpo che sta per essere sepolto – non poteva essere sepolto – perchè non era morto sulla Croce! L’autore del Vangelo di Giovanni, che era un testimone oculare degli eventi presso il sepolcro di Gesù (o che ha avuto i dettagli da qualcuno che era presente) e che ha avuto anche notizie com- plete da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, ha scritto in un modo tale da raccontare a chiunque sapesse come leggere fra le righe cosa sia realmente accaduto durante la Crocifissione e immedia- tamente dopo di essa. Egli ha reso perciò chiaramente l’idea che,

230 8. La “morte” e la “risurrezione” mentre venivano mantenuti e resi visibili gli aspetti esteriori di un normale funerale ebraico, in realtà si facevano sforzi dietro le quinte per “riportare in vita Gesù” nel segreto della caverna tombale, sotto la direzione di Giuseppe e di Nicodemo. E i leali amici di Gesù non tentarono di riuscirci compiendo un miracolo come quelli che lui stesso aveva compiuto, ma usando l’arte della guarigione medica.

La Crocifissione: gli aspetti medici Gli avvenimenti che ebbero luogo nella tomba di roccia, non lontana dal luogo dell’esecuzione, devono essere interpretati come un tentativo da parte di alcuni membri della comunità degli Esseni di curare Gesù, seriamente ferito, a mezzo di erbe medicinali. Il motivo per cui Marco avrebbe impiegato il verbo eneileo risulta ora chiaro: quella parola era generalmente impiegata in connessione con la cottura del cibo avvolto in foglie, come abbiamo visto. Per curare Gesù, i Terapeuti lo fecero ricoprire evidentemente con un avvolgimento bagnato debolmente stretto e in grado di favorire il sudore, che era impregnato di una grande quantità di erbe, con un effetto complessivo non troppo diverso dall’uso che se ne faceva in cucina. L’edesan othoniois (“e lo avvolsero in tessuti di lino”) di Giovanni deve essere visto in questo contesto perchè si possa riconoscere il suo vero significato. Quello che si voleva significa- re non era una semplice copertura o un semplice avvolgimento, ma un vero bendaggio a strisce che avvolgeva il corpo intero, incapsulandolo in modo leggero. Dioscoride, il medico di Cilicia del primo secolo dopo Cristo, ha usato anche lui i verbi deo ed eneileo per indicare l’avvolgimento in tessuti di lino18. Non c’era naturalmente nessuna intenzione di seppellire Gesù. Doveva invece essere portato in un posto sicuro dove avrebbe potuto riposare tranquillamente per guarire e rimettersi in forze. Quale posto migliore per qualcuno che doveva “riposare in pace”, della tomba di una persona creduta morta! Naturalmente non ci è stato detto niente del lavaggio del corpo, una procedura così

231 La vita di Gesù in India importante nei funerali ebraici. Giuseppe non lavò Gesù, perchè non era morto. In termini medici, il lavaggio non sarebbe stato certamente una buona idea in ogni caso. Con l’azione di lavaggio, le numerose ferite, chiuse da sangue seccato, avrebbero nuovamen- te ricominciato a sanguinare dappertutto. Giuseppe e Nicodemo devono avere applicato la soluzione curativa di erbe al corpo con la massima cura, per evitare che questo accadesse. Davanti a conclusioni così radicali, è giusto considerare che possibilità ci siano per una persona di sopravvivere alla crocifis- sione. La morte sulla croce era considerata dai Romani il metodo più avvilente e terrorizzante di esecuzione. Cicerone la chiama “la for- ma più orrenda e abominevole di punizione capitale”. Soltanto in casi eccezionali furono condannati a questo supplizio dei cittadini romani, e si trattava sempre di cittadini delle classi sociali più basse. Ma nei territori occupati dai Romani, la crocifissione era tanto un mezzo di esecuzione quanto un deterrente, che manteneva docili e sottomessi i popoli potenzialmente ribelli. La Palestina era nota da lungo tempo come una pericolosa sede di fervore nazionalista. Fra l’epoca dei Maccabei nel 167 a.C. e Bar Kochba nel 134 d.C., ci furono qualcosa come sessantadue episodi di rivolta, guerriglia e ribellione contro la dominazione dei forestieri infedeli, prima i Greci e poi i Romani. Tutti questi episodi tranne uno ebbero inizio in Galilea, la terra natale di Gesù. Non deve quindi sorprendere troppo che le crocifissioni fossero qui una pratica quasi abituale. La crocifissione era estranea agli Ebrei. Per loro i mezzi legali di punizione capitale erano la lapidazione, il rogo, la decapitazione e lo strangolamento. Ma in accordo con la Legge Mosaica era ammesso impiccare un criminale che era già stato giustiziato “sul legno”, come punizione ed umiliazione aggiuntive: “Perchè un impiccato è una maledizione di Dio” (Deuteronomio 21:23). Non era consentito perciò, in nessuna circostanza, che la crocifissione di un criminale violasse il Sabato, il cui inizio era considerato al tramonto del giorno precedente, il Giorno della Preparazione. Per evitare di provocare disordini civili anche peggiori, i Romani

232 8. La “morte” e la “risurrezione” facevano il possibile per non offendere volontariamente i sentimenti religiosi degli Ebrei. Una volta che era stata emessa la sentenza di morte ufficiale romana ibis in crucem (“andrai sulla croce”), ci si prendeva cura che l’esecuzione venisse terminata prima del Sabato. Perciò, nel caso della crocifissione di Gesù, la grande fretta era dovuta al fatto che ebbe luogo nel Giorno della Preparazione. Doveva essere terminata prima del tramonto. Ma non era facile ottenere questo, perchè la particolarità della crocifissione era che l’agonizzante tortura si protraeva nel tempo. Veniva eseguita in modo tale da prolungare il dolore e la sofferenza del condannato normalmente per un periodo di alcuni giorni, fino a quando, alla fine, spirava. C’era una considerevole varietà nella struttura reale della croce e nel modo in cui la vittima vi veniva attaccata. Se tutto il peso del corpo della persona crocifissa veniva sospeso soltanto ai polsi, la morte sopraggiungeva dopo cinque o sei ore per graduale soffo- camento, e non a causa di perdita di sangue o per qualunque altro motivo. In questa posizione estrema, la respirazione è ridotta così drasticamente che il corpo non viene più adeguatamente rifornito di ossigeno. Dopo un tempo relativamente breve, ne risulta la perdita di conoscenza e la conseguente posizione di caduta in avanti della testa riduce ulteriormente l’inspirazione d’aria19. Per evitare una morte così “facile”, veniva spesso fissato sull’asta verticale della croce un piccolo pezzo di legno chiamato il suppedaneum, sul quale la vittima poteva appoggiarsi finchè ne aveva la forza. Questo pezzo di legno non deve essere immaginato come un’assicella inchiodata con un certo angolo, come viene rappresentata nelle scene della crocifissione bizantine. Il suppedaneum era un piccolo pezzo della croce messo orizzontalmente, sul quale la persona crocifissa era in grado realmente di reggersi in piedi. Non per niente le rappresen- tazioni più antiche mostrano in piedi la persona crocifissa, come ad esempio nella crocifissione “strana” della Cappella Palatina. Il condannato veniva fissato alla croce tramite legatura con cinghie o chiodatura alle mani e ai piedi. La persona crocifissa poteva allora sforzarsi di ritardare la morte, sostenendo il proprio

233 La vita di Gesù in India peso con le braccia nel punto di attacco o appoggiandosi con le gambe sul legno posto sotto i piedi. Occasionalmente veniva anche fissato all’altezza opportuna un pezzo di legno per sedersi (sedile), che presumibilmente alleviava anche in qualche modo la pena, ma però prolungava ulteriormente l’agonia. Come scrisse in una lettera Seneca, il filosofo personale di Nerone, “La vita della persona condannata a questa punizione se ne andava via goccia a goccia”. I Vangeli riferiscono che Gesù fu inchiodato sulla croce all’ora sesta (12: mezzogiorno) e rese lo spirito all’ora nona (circa le tre del pomeriggio). Verso sera, l’uomo, preso per morto, fu tolto dalla croce. Questa morte inaspettatamente rapida lasciò perplesso lo stesso Pilato: ovviamente molto sorpreso, chiese al capo centu- rione se tutto era in ordine (Marco 15:44). Le stesse perplessità e sorpresa vengono manifestate ancora oggi. Molti studiosi, special- mente esperti nel campo medico, hanno eseguito molti esperimenti e molte ricerche per arrivare a una spiegazione della “morte” di Gesù, così rapida in modo sospetto. Nessun autore ha trovato il

234 8. La “morte” e la “risurrezione” problema facile da risolvere. L’idea più comune è che deve esserne stato responsabile il duro trattamento subìto da Gesù prima della crocifissione: era stato così gravemente minato nelle sue condizioni fisiche da soccombere alla tortura della crocifissione dopo un tempo tanto breve. Queste spiegazioni sono piuttosto deboli. Per prima cosa, a differenza della comunità monastica degli Esseni sottoposta a vita rigidamente ascetica, Gesù non era asce- ticamente debole20, ma relativamente alto, forte e robusto (in base ai valori della Sindone, era alto circa 1,82 metri e pesava 79 kilo- grammi), un uomo “in forma”. Dopo una notte di maltrattamenti, fu comunque in grado di parlare alla corte il giorno successivo in modo molto appropriato, ovviamente in pieno possesso delle sue facoltà mentali, cosa che non sarebbe stata possibile in stato di prostrazione. Inoltre, Gesù fu aiutato da Simone di Cirene nel trasporto del carico del braccio orizzontale della croce (patibulum) per buona parte della distanza di circa 550-650 metri dal Pretorio di Pilato al luogo dell’esecuzione. Il fatto che Simone di Cirene sia stato co-optato per questo è stato preso da molti commentatori come prova che Gesù si trovava in uno stato di grande indebolimento, non più in grado di portare il peso del braccio della croce. Anche questo deve essere contestato. Come per la flagellazione, Gesù non fu trattato in modo diverso da qualunque altro condannato. Chiunque fosse stato condannato a morte mediante crocifissione veniva prima sottoposto a questa tortura. Sotto la legge ebraica, trentanove frustate erano il numero massimo che poteva essere inflitto; un terzo di queste sul torace o sulla parte anteriore, il resto sulla schiena. Il sacerdote infliggeva questa punizione nella sinagoga con un frustino di pelle a tre cinghie. Naturalmente non ci è stato raccontato se si sono attenuti al numero corretto di frustate nel caso di Gesù. Nella descrizione del Vangelo di Pietro del momento in cui Gesù viene inchiodato alla croce, viene detto: “Ma egli rimase in silenzio, come se non sentisse dolore”. È probabile che durante il suo addestramento Gesù fosse divenuto esperto nell’arte di dominare il dolore me- diante la meditazione, proprio come gli yogi indiani. Gli esercizi

235 La vita di Gesù in India che portano a questa capacità sono praticati da un gran numero di sette religiose attraverso tutto l’Oriente: sono stati oggetto di attente ricerche scientifiche e sono ben documentati. Nella maggior parte dei casi, le braccia della persona condannata erano prima fissate alpatibulum , che doveva poi portare sulle spalle fino al luogo dell’esecuzione. Il peso di questo braccio della croce variava fra 18 e 30 kilogrammi circa, così che era richiesta una forza considerevole per essere in grado di trasportare il pesante carico. I racconti del Vangelo ci dicono che Gesù fu inchiodato alla croce soltanto sul luogo dell’esecuzione. Egli fu lasciato nudo sul terreno, mentre i suoi polsi venivano inchiodati al patibulum, e il patibulum fu inchiodato al tronco verticale (stipes). Poi l’intera costruzione, con lui su di essa, fu alzata in verticale. È strano che le sofferenze della morte delle altre vittime della crocifissione fossero tanto più lunghe che nel caso di Gesù, conside- rando la sua costituzione forte e ben allenata. Nell’autobiografia di Giuseppe Flavio, i cui scritti ci hanno insegnato tanto sui costumi e gli eventi della Palestina al tempo di Gesù, c’è un passaggio informativo che riguarda un uomo crocifisso che è guarito e si è ripreso dopo essere stato portato giù dalla croce: Fui mandato da Tito Cesare con Ceralio e un migliaio di uomini a cavallo in una cittadina chiamata Thecoa, per esaminare se vi si poteva installare un campo militare. Al mio ritorno vidi molti pri- gionieri che dovevano essere crocifissi, e ne riconobbi tre, che erano stati un tempo miei compagni. Molto turbato, andai da Tito con le lacrime agli occhi e gli parlai di loro. Egli diede subito l’ordine di tirarli giù dalla croce e cercare nel modo migliore di farli guarire. Ma due di loro morirono mentre erano sotto le cure del dottore; il terzo invece si riprese e guarì21. È difficile capire perchè Gesù abbia reso lo spirito così presto, e “con un grido profondo”, un gesto di morte che risulta fonte di perplessità e poco comprensibile agli esperti di medicina. Uno studio più attento, tuttavia, mostra che anche questa è un’indica- zione significativa che Gesù fu tolto dalla Croce vivo e privo di conoscenza.

236 8. La “morte” e la “risurrezione”

Allora i Giudei, poichè era il giorno della Preparazione, affinchè i corpi non rimanessero sulla croce di sabato (poichè quel sabato era un giorno solenne), chiesero a Pilato che venissero spezzate le gambe ai crocifissi e fossero portati via. Allora vennero i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all’altro che era crocifisso insieme con lui. (Giovanni 19:31-32)

Così i due criminali crocifissi con Gesù, che avevano certa- mente ricevuto prima il suo stesso maltrattamento, erano ancora vivi. Le loro gambe vennero spezzate, così che non poterono più sopportare a lungo il loro peso e stare dritti: perciò soffocarono dolorosamente fino alla morte nel giro di poche ore. “Ma quando giunsero a Gesù, e videro che era già morto, non gli spezzarono le gambe” (Giovanni 19:33). Questo è un comportamento molto strano, se non inspiegabile, da parte dei soldati romani. Perchè questi rozzi soldati non spezzarono anche le gambe di Gesù, per essere sicuri della sua morte? L’interpreta- zione fornita dalle Scritture – che doveva compiersi la parola del profeta in Esodo 12:46 (“... non gli sarà spezzato un solo osso”) non ci è di alcun aiuto. La questione da porsi è invece perchè quei rudi uomini abbiano potuto pensare di evitare a Gesù quel consueto trattamento crudele. Essi devono avere avuto dei dub- bi – e giustamente – sul fatto che Gesù fosse realmente morto; devono perlomeno aver guardato il suo stato di incoscienza con scetticismo. Altrimenti non si sarebbero preoccupati di dare il colpo di lancia nel costato. Sicuramente ci si doveva perlomeno aspettare che quei brutali soldati avessero spezzato le gambe a tutti gli uomini crocifissi, per accertarsi che fossero tutti morti. Inoltre, fino a quel momento, Gesù era evidentemente stato trat- tato con un disprezzo anche superiore al normale, subendo sputi in faccia, dovendo tenere uno scettro per derisione e portare in testa la corona di spine. Perchè questo improvviso cambio di at- teggiamento – questo trattamento “privilegiato” e compassionevole senza ragione? I Vangeli non forniscono alcuna risposta coerente a questa do-

237 La vita di Gesù in India manda. L’unico punto sul quale sono d’accordo è che Gesù morì presto, all’ora nona, emettendo un forte grido, mentre coloro che erano stati crocifissi vicino a lui prolungavano lentamente la loro sofferenza. Secondo Giovanni (19:34), uno dei soldati trafisse il fianco di Gesù con la lancia, e ne uscirono sangue ed acqua. Luca e Matteo non contribuiscono per niente a chiarire questi eventi perchè nessuno di loro ne fa menzione. Tuttavia Marco ci lascia un indizio interessante (15:44-45). Pilato, sorpreso del fatto che Gesù sia già morto, fa venire il centurione, che conferma la morte: solo allora Pilato concede il corpo di Gesù. Il centurione, che ha ovviamente controllato in modo per lui idoneo la morte di Gesù, è lo stesso che, commosso dagli eventi durante la Crocifissione, loda Gesù come il vero Figlio di Dio (Marco 15:39; Matteo 27: 54; Luca 23:47). Chi era questo centurione? Nella letteratura apocrifa che riguarda Pilato egli è chiamato Longino ed è rappresentato come il capitano delle guardie inca- ricate della Crocifissione. E secondo una tradizione testimoniata da Gregorio di Nissa in persona, Longino è diventato più tardi il vescovo della sua terra natale, la Cappadocia. Questa “conversione” può significare che egli aveva qualche conoscenza di Gesù e dei suoi seguaci prima della Crocifissione, e può anche essere stato lui stesso uno che credeva in Gesù. Molti dei problemi che si pongo- no a riguardo della Crocifissione si potrebbero risolvere di colpo. Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e il centurione Longino erano fra i seguaci segreti di Gesù. Influenti come posizione e rango, essi erano informati con buon anticipo su cosa avrebbe portato l’arrivo di Gesù, considerato pubblicamente pericoloso. Giuseppe era grandemente rispettato come membro del Sinedrio Ebraico, che era il supremo Alto Consesso fin dal secondo secolo avanti Cristo ed aveva autorità su tutti gli affari di stato in cui fosse coinvolta la religione ebraica, compresa l’amministrazione della giustizia. Era formato da settanta membri sotto la presidenza del Sommo Sacerdote. Nicodemo, che aveva ricevuto gli insegnamenti di Gesù protetto dall’oscurità della notte (Giovanni 3:1-22), era anche un notabile giudeo. Grazie a questi incarichi, Giuseppe e

238 8. La “morte” e la “risurrezione”

Nicodemo erano stati senza dubbio ben informati sul tempo e il luogo dell’esecuzione, e furono così in grado di fare un piano per salvare il loro maestro. Una traccia delle tempestive informazioni che venivano date a Nicodemo si può trovare in una leggenda medioevale tenuta in grande rispetto come parte delle storie dei santi: in essa si racconta come Nicodemo, in una lettera inviata a Maria Maddalena, abbia avvertito Gesù di un attacco da parte degli Ebrei mentre era ad Ephraim (Giovanni 11:53-54)22. Giuseppe e Nicodemo sapevano che la crocifissione non poteva proprio essere evitata. Ma se avessero potuto fare in modo di tirar giù Gesù dalla croce abbastanza presto e se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stato possibile tenerlo in vita, in modo che avrebbe potuto probabilmente continuare la sua missione sotto altro nome. Era di vitale importanza per tutta l’operazione che gli apostoli non fossero coinvolti. Essi si erano nascosti per timore di persecuzioni. Nessuna azione sarebbe stata intrapresa contro i rispettati notabili Giuseppe e Nicodemo o contro il centurione romano. Così c’era davvero poco tempo per portare a termine con successo la rischiosa operazione.

La ferita nel fianco e la bevanda forte Ritorniamo al colpo di lancia nel fianco di Gesù. Un’occhiata attenta al testo greco originale rivela che il verbo usato per descri- vere il colpo del soldato, nyssein, ha il significato di “pungere”, “punzecchiare”, e non si applica realmente a un colpo dato con forza, nè assolutamente a qualcosa in grado di provocare una ferita profonda. Nella Vulgata (la traduzione latina della Bibbia universal- mente nota), il verbo usato è aperire, una traduzione non corretta che significa sostanzialmente “aprire”. Ma il significato fondamen- tale, quello che si intendeva dire, è qualcosa di ancora differente. L’operazione era una procedura che serviva come una specie di “conferma ufficiale” della morte: se il corpo non mostrava alcuna reazione a un colpo da taglio superficiale, si poteva considerare che la persona fosse morta. Probabilmente fu lo stesso centurione

239 La vita di Gesù in India menzionato nei Vangeli ad eseguire questa prova personalmente. Certamente non poteva essere un colpo mortale – dopotutto Gesù era creduto già morto, tanto è vero che le sue gambe non furono spezzate. In ogni caso un soldato esperto ben difficilmente avrebbe pensato di uccidere qualcuno con un colpo di lancia in un fianco: per quello scopo avrebbe colpito sul davanti, in direzione del cuore. I soldati romani di quel tempo usavano generalmente il tipo di lancia chiamata hasta o pilum, che portava una sottile lama affusolata lunga circa da 25 a 40 centimetri, che si allargava poco prima della punta. Come uno stiletto, la lama era proprio adatta per pungere un po’ la pelle per vedere se la persona crocifissa mostrava qualche reazione. Gli studiosi delle Scritture hanno difficoltà a spiegare la fuo- riuscita di sangue e acqua. Alcuni possono solo vederlo come un miracolo, in considerazione del fatto che la circolazione cessa con la morte. Altri trovano più significato in un’interpretazione simbolica degli elementi sangue e acqua. Sono state addotte anche spiegazioni scientifiche, in particolare considerando che “l’acqua” fosse in realtà siero, che si separa quando il sangue coagula. Ma la decomposizione del sangue in questo modo comincia non prima di sei ore dopo la morte! Ma non dobbiamo trascurare questo pas- saggio del Vangelo di Giovanni, come se fosse privo di significato. Dobbiamo invece considerare l’ipotesi che il nostro informatore testimone oculare volesse dare un’enfasi particolare a sangue e acqua. Infatti la frase che segue questo passaggio dice: “E chi ha veduto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera: ed egli sa che dice il vero, affinchè anche voi crediate”. (19:35) Questo è essenziale, e si adatta perfettamente con quello che già sappiamo sullo stile di scrittura di Giovanni – una narrazione su due livelli: una descrizione apparentemente ovvia per i lettori superficiali, e un certo numero di riferimenti criptici disseminati in tutto il testo per coloro che sanno come leggere fra le righe per scoprirli. La particolare enfasi messa in modo così evidente sul sangue e l’acqua che fuoriuscirono dal fianco di Gesù ha in realtà lo scopo di far conoscere che Gesù era ancora vivo. Anche se dovevano passare

240 8. La “morte” e la “risurrezione” molti secoli prima che venisse scoperta la natura circolatoria del sistema sanguigno umano, era comunemente noto al tempo di Gesù che i cadaveri non sanguinano e che non si può vedere il siero del sangue sulle ferite di un corpo appena morto. Anche Origene (185-254), che credeva con certezza che Gesù fosse morto nel momento in cui sangue e acqua uscirono dalla ferita, fu costretto ad evidenziare che i cadaveri non sanguinano. L’espressione sangue e acqua è usata con significato idiomatico in altre lingue. Nel linguaggio arabo forbito, ad esempio, è usata per enfatizzare la forza di un evento. In italiano e in inglese moderni possiamo dire che qualcuno “suda sangue” quando sta facendo un grande sforzo (senza con questo significare che il sangue fluisce veramente attraverso i pori della pelle), ma l’equivalente in tedesco è “sudare sangue e acqua”, Blut und Wasser schwitzen. Può essere allora che la stessa espressione usata per descrivere una ferita non significhi niente di più che è visibile una grossa quantità di sangue. Gesù era evidentemente morto solo in apparenza. La quantità di sangue uscita, e l’enfasi messa subito dopo asserendo che si trattava di una osservazione certamente vera, avevano il significato di far conoscere il fatto reale. Tutto quello che doveva accadere poi, una volta che il colpo di lancia aveva confermato la morte, era stato accuratamente pianificato da Giuseppe e dai suoi assistenti. Ma l’uomo di Arimatea aveva cominciato i preparativi necessari molto tempo prima. La prima azione che il ricco Giuseppe aveva intrapreso era stato l’acquisto di un giardino nelle immediate vicinanze del luogo della Crocifissione23. Con saggia previdenza, aveva deciso di farsi scavare una nuova tomba nella roccia sulla sua proprietà – in un posto dove un corpo inerte avrebbe potuto essere trasportato prontamente e in sicurezza. Il fatto che si trattasse di una tomba non usata fino ad allora era essenziale: deporre Gesù in una tomba in cui erano già stati sepolti altri avrebbe sollevato forti obiezioni legali e morali, perchè la presenza del corpo di un criminale giustiziato sarebbe stato normalmente considerato un disonore per i corpi dei fedeli che già giacevano in quella tomba. Non ci sarebbe stata alcuna obiezione

241 La vita di Gesù in India ad un “seppellimento” in una tomba vuota, in particolare per il fatto, come riferisce Giuseppe Flavio, che ai criminali politici che erano stati giustiziati dai Romani – come era Gesù – poteva essere certamente concesso un funerale onorevole, che era invece negato a un criminale comune24. Naturalmente Giuseppe di Arimatea non poteva dire che si stava dando da fare per preparare una tomba a Gesù. I Vangeli perciò dicono che Giuseppe portò il corpo di Gesù a giacere nella sua personale nuova tomba di famiglia. Il passaggio del Vangelo dove si afferma che si trattava di una tomba per l’uso personale di Giuseppe aveva l’intendimento di essere preso alla lettera dai lettori superficiali che non stavano a pensarci due volte25. In realtà, la nuova tomba costruita nel giardino presso il Golgota non era stata affatto pensata per i morti, nè Giuseppe e la sua famiglia, nè nessun altro. Aveva unicamente lo scopo di una precauzione pratica, per evitare di dover trasportare troppo lontano Gesù, seriamente ferito, una volta che fossero riusciti a portarlo via dalla Croce abbastanza presto. I persecutori di Gesù sarebbero nel frattempo rimasti soddisfatti di saperlo morto e sepolto. Il fatto che la Crocifissione avvenisse nel Giorno della Pre- parazione fu, se non altro, un vantaggio, perchè significava che avrebbero potuto accelerare al massimo “la sepoltura” senza destare sospetti. Naturalmente dovevano essere ben sicuri che Gesù sem- brasse veramente morto. Anche questo non poteva proprio essere lasciato al caso. I Vangeli raccontano un’altra cosa che accadde appena prima che Gesù venisse descritto come morto sulla Croce:

O ra c’era là un vaso pieno di aceto: e intrisero una spugna nell’aceto, la misero su un issopo (una pianta usata per l’aspersione rituale) e gliela portarono alla bocca. Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: “Tutto è compiuto”. E, chinato il capo, rese lo spirito. (Giovanni 19:29-30) Perchè Gesù giunse (apparentemente) a morte immediatamente dopo aver preso la bevanda amara? Era veramente aceto quello che gli fu dato? Era pienamente in linea con il costume ebraico

242 8. La “morte” e la “risurrezione” offrire ad una persona condannata a morte del vino aromatizzato con mirra o incenso per alleviare il dolore con il suo leggero effet- to narcotico. Un passaggio del Talmud dice: “A colui che sta per andare all’esecuzione venga data una parte di incenso in una tazza di vino, per aiutarlo a perdere conoscenza” (Sanh. 43a). Ma nei Vangeli non si fa alcuna menzione di un vino aromatizzato. Tutti gli evangelisti concordano sul fatto che si trattava di un liquido dal gusto molto amaro. In latino, “aceto” è acetum, strettamente correlato all’antica radice ac “acuto”, e in italiano acido o aspro. Non solo i soldati romani consentirono che a Gesù venisse data la bevanda, ma uno di essi aiutò addirittura Gesù a prenderla (Matteo 27:48; Marco 15:36; Giovanni 19:29). Guardiamo più da vicino cosa accadde. La spugna fu offerta a Gesù su un fusto di issopo. L’issopo è una pianta con un fu- sto debole, difficilmente adatto a portare una spugna inzuppata. Neanche un mazzetto di fusti legati insieme avrebbe la rigidità sufficiente per renderlo possibile, sebbene Gesù sulla Croce non potesse essere molto alto rispetto al terreno. Su alcune croci, la persona condannata era fissata con i piedi appena al di sopra del suolo, e in tal caso la spugna non si sarebbe dovuta sollevare ad alcuna altezza reale per essere offerta. Ma forse lo strumento usato per offrire a Gesù l’“aceto” era stato oggetto di un banale errore linguistico – hyssos “una corta lancia” è stata in tutto que- sto tempo interpretata come hyssopos, “issopo”. È un soldato che offre a Gesù la spugna, secondo gli autori Sinottici, così che è più che semplicemente possibile, ma è probabile, che sia accaduto qualche simile errore verbale. Possiamo anche avere buoni motivi per supporre che fu il centurione Longino a sollevare la spugna fino alle labbra di Gesù con la sua lancia26. La bevanda di aceto è menzionata nella narrazione di Giovanni in modo tale che si possa considerare che l’aceto era stato portato sul luogo della Crocifissione per quello scopo preciso. Faceva parte dei preparativi che Giuseppe, Nicodemo e il centurione avevano messo in atto per eseguire il loro piano. Su cosa fosse realmente il liquido amaro possiamo fare soltanto congetture. In

243 La vita di Gesù in India quei tempi era disponibile un grande assortimento di sostanze analgesiche e narcotiche: le arti mediche di quel periodo erano eccellenti per quanto riguarda le varie miscele con effetti diver- si sul corpo. Forse la bevanda era un vino amaro al quale era sta aggiunta una quantità dosata di oppio. L’eccezionale potere anestetico e sedativo dell’oppio era ben conosciuto ai Giudei anche nei tempi pre-cristiani. L’oppio è la forma essiccata del succo lattiginoso ottenuto dalle punte dei semi non maturi di una specie di papavero (Papaver somniferum). Questo papavero era ampiamente diffuso in Palestina, così è certamente possibile che a Gesù sia stato dato oppio disciolto in qualche liquido, mentre era sulla Croce. L’effetto narcotico dell’oppio è così forte che può portare a uno stato di completo torpore, in cui una persona non ha alcuna sensazione esterna di nessun genere. L’alcaloide principale dell’op- pio (il suo costituente più attivo) è la morfina, che è un potente sedativo e narcotico, e che può inibire la respirazione. Un secondo alcaloide dell’oppio, la papaverina, non ha effetto analgesico ma è un ottimo rilassante muscolare. In combinazione, e insieme con altre sostanze farmaceutiche, non è difficile ottenere soluzioni oppiacee tali da avere qualunque effetto specificamente richiesto. In verità, un tale cocktail di droghe era l’ideale per gli scopi di Giuseppe e dei suoi amici: non solo fu dato a Gesù il migliore degli antidolorifici, ma la miscela fu preparata in modo che perdesse conoscenza in breve tempo e così restasse inerte come “morto” sulla Croce. L’apparenza di morte improvvisa era ancora più evi- dente per il fatto che l’oppio riduce e rallenta improvvisamente il battito cardiaco, deprime drasticamente la respirazione fino a renderla impercettibile, e rende il corpo completamente inerte. E inoltre, somministrato nella dose opportuna, come certamente noto agli esperti Esseni Terapeuti, non costituiva alcun pericolo reale per il cuore – anzi, gli era in realtà benefico. D’altro canto, forse la supposta bevanda di aceto conteneva invece gli ingredienti attivi della bevanda sacra degli Indiani e dei Persiani, Soma e Haoma (rispettivamente). Il culto persiano

244 8. La “morte” e la “risurrezione” di Mitra comprendeva un sacrificio di Haoma molto simile alla Messa Cristiana (Santa Comunione o Eucarestia). Il Professor Seydel scrive:

L a forma del sacrificio di Haoma era identica a quella dei consueti sacrifici persiani per i morti. Piccoli pezzi rotondi di pane, con le dimensioni della monetina da un tallero, venivano offerti e consumati con la bevanda Haoma. L’Haoma era in origine il succo concentrato della pianta del soma Asclepias acida, con la quale gli Ariani Vedici aspergevano il fuoco sacrificale. Era considerata un simbolo della vita divina, una bevanda degli dèi, e la bevanda dell’immortalità...27

Il Soma, la bevanda sacra dell’India, metteva un adepto in grado di entrare in uno stato simile alla morte per parecchi giorni e di svegliarsi poi in uno stato di esaltazione che durava ancora qual- che giorno. In questo stato di estasi, una “coscienza più elevata” parlava attraverso l’adepto, che aveva poteri allucinatori. Oltre ad Asclepias acida, il Soma poteva contenere anche canapa indiana (Cannabis indica) – secondo la tradizione, era contenuta almeno nella bevanda di Zarathustra. Sono state trovate rappresentazioni di Asclepias acida incise sulle tombe dei primi cristiani nelle catacombe di Roma, dove è mostrata come una varietà che porta frutti allungati – una varietà che non si trova in alcuna località europea. Un’equivalente europea di Asclepias acida (che è un “albero della seta”), è per molti aspetti l’erba delle rondini (Vincetoxicum hirundinaria). La sua efficacia come antidoto al veleno è dimo- strata dal suo nome latino: vince-toxicum significa letteralmente “sconfigge il veleno”. Dioscoride, il medico e farmacologo greco del primo secolo, ha chiamato la pianta la “strangolatrice di cani” nella sua Materia Medica, dove scrisse che le foglie mescolate con carne potevano uccidere i cani, i lupi e le volpi (Mat. Med. 4,80). Però quel veleno poteva anche essere usato come antidoto per i morsi di animali velenosi (Mat. Med. 3,92). La pianta viene elogiata anche in un manuale di botanica scritto nel 1563 (Mat- tioli, p.337): “Questa è una radice ottima contro tutti i veleni,

245 La vita di Gesù in India perfetta come sostanza e qualità, ed è per questo che è chiamata in latino Vince-toxicum – cioè, vincitrice di qualunque veleno. Viene usata anche contro la peste; dopo averla presa nel vino, si suda in abbondanza”. Una sudorazione abbondante e la bocca asciutta (si noti “Ho sete”, Giovanni 19:28) sono sintomi tipici di avvelenamento. In Svizzera, l’erba delle rondini è chiamata “erba del Maestro”, e in Austria, “erba dei Giudei” o “erba della Croce Bianca”. Potrebbero questi nomi riecheggiare un antico ricordo dell’uso storicamente più importante della pianta? Non mancano certo gli esempi in cui viene menzionata una pozione magica che ha la proprietà di mettere persone vive in un lungo stato che assomiglia alla morte, anzi si tratta di episodi relativamente comuni nella storia e nella letteratura. L’esempio più conosciuto è quello di Romeo e Giulietta. In ogni caso, la “morte” provocata è in realtà uno stato simile al coma, in cui i segni di vita, come la respirazione, il battito cardiaco e le pulsazioni, non sono più percepibili. Se Gesù fosse stato veramente prossimo a restare soffocato sulla Croce – e virtualmente tutti gli esperti di medicina legale indicano il soffocamento come causa della morte – il grido profondo emesso prima che Egli “morisse”, come menzionato specificamente dai tre evangelisti Sinottici, sarebbe stato certamente impossibile. Una persona senza respiro, che sta per soffocare, sarebbe a mala pena riuscito ad emettere un bisbiglio. Ma Gesù emise un forte grido. E Giovanni riferisce che “Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: Tutto è compiuto. E, chinato il capo, rese lo spirito” (19: 30). Gesù fu capace di dire queste parole quando ebbe preso la bevanda e mentre sentiva aumentare il suo effetto narcotico. Fu in grado di dirle perchè era vicino non alla morte, ma ad un profondo e indotto stato di incoscienza.

Le tracce sul lenzuolo O ra confrontiamo quello che ci è stato detto nei resoconti del Vangelo con ciò che veniamo a sapere dall’immagine prodotta dal corpo sulla Sindone di Torino. Ci sono macchie di sangue sulla

246 8. La “morte” e la “risurrezione”

Sindone. Se un cadavere fosse stato sepolto avvolto nel sudario di lino, il funerale non sarebbe avvenuto secondo la legge ebrai- ca, perchè il corpo avrebbe dovuto prima essere ben lavato con acqua calda. Anche la particolare posizione del corpo è sorprendente. In un libro che respinge l’autenticità della Sindone di Torino, Jo- seph Blinzler afferma che è “... difficilmente concepibile che i discepoli abbiano messo le mani in una posizione così inverosi- mile e poco pratica, come si vede nell’immagine della Sindone di Torino, mentre seppellivano il Messia”28. A parte il fatto che nessuno ha mai detto che i discepoli erano nel sepolcro in quel momento, si deve evidenziare che la posizione del corpo di Gesù è esattamente quella degli scheletri sepolti nel cimitero dell’insediamento monastico degli Esseni a Qumran, presso il Mar Morto. “La posizione dei corpi nelle tombe è generalmente la stessa... Come regola, il corpo è in posizione supina, la testa è rivolta verso sud, e le mani sono incrociate insieme sull’addome o giacciono sui fianchi”29. Si è supposto che Gesù sia rimasto morto appeso alla croce per tre ore. Se fosse veramente accaduto così, le conseguenze si potrebbero descrivere con assoluta certezza. Secondo tutte le autorità mediche moderne, il rigor mortis avrebbe cominciato a manifestarsi in circa trenta minuti dopo la morte o giù di lì. I muscoli del corpo sarebbero diventati completamente rigidi ed immobili in un tempo variabile da tre a sei ore, in funzione della temperatura ambien- te: più alta è la temperatura, più veloce l’irrigidimento. Il rigor mortis è causato da complessi processi biochimici, ma è dovuto principalmente al declino dei livelli del composto dell’energia me- tabolica ATP (adenosina-trifosfato), dopo la cessazione del battito cardiaco. L’intera muscolatura scheletrica diventa completamente rigida nella posizione che il corpo ha assunto al momento della morte, qualunque essa sia, e solo quando il rigor mortis si rilascia e perde effetto – da quattro a sette giorni dopo – la posizione del corpo può essere modificata. Una volta che Gesù ebbe perso conoscenza sulla Croce, il suo

247 La vita di Gesù in India corpo avrebbe dovuto curvarsi. Il suo peso, prima sostenuto soprat- tutto dalle gambe fissate fermamente dal chiodo attraverso i piedi, avrebbe dovuto passare al sostegno delle braccia tenute fisse dai chiodi attraverso i polsi. Le gambe sarebbero così divenute piegate ad angolo acuto all’altezza delle ginocchia. La testa avrebbe dovuto cadere in avanti, e il mento si sarebbe appoggiato sulla parte alta dello sterno. Dopo le tre o quattro ore in cui si dice che il corpo sia rimasto sulla croce, avrebbe dovuto diventare rigido in que- sta posizione. Ma un’attenta occhiata all’immagine della schiena sulla Sindone rivela immediatamente che l’intero corpo di Gesù è stato deposto ben in piano sul lenzuolo. Le gambe sono dritte, non piegate, e le braccia erano evidentemente ben mobili quando sono state messe in posizione (altrimenti sarebbero state tese e allontanate nella posizione della Crocifissione). Alcuni commentatori della Sindone hanno suggerito che le braccia erano probabilmente legate insieme ai polsi. Ma qualunque corda o striscia del genere avrebbe arrestato il sanguinamento ai polsi, che invece può essere visto chiaramente sul lenzuolo. Monsignor Giulio Ricci, un membro del Centro per le Ricerche sulla Sindone a Roma, ha una soluzione personale al problema: egli pensa che la Sindone stessa fosse strettamente legata con corde esterne at- torno al cadavere irrigidito e grottescamente piegato30. Ma questa spiegazione è semplicemente priva di senso, perchè l’immagine mostra chiaramente che la Sindone era inizialmente distesa su un piano, sia nella parte inferiore che superiore del corpo. Altrimen- ti ne sarebbero risultate evidenti distorsioni esterne in larghezza (rendendo impossibile lo scanning al computer). Il fatto che non ci fosse ovviamente nessun rigor mortis nel momento in cui Gesù fu portato giù dalla Croce è una prova suf- ficiente che non era morto. E una prova ancora più convincente è fornita dalle macchie di sangue visibili sulla Sindone. Infatti si possono chiaramente distinguere due momenti separati di fuoriuscita del sangue. Dapprima, ci sono tracce del sangue che fluì quando Gesù fu inchiodato alla Croce. Poi, ci sono tracce del sangue fresco che fluì dal corpo quando Gesù era già deposto

248 8. La “morte” e la “risurrezione” orizzontalmente sul lenzuolo! Osserviamo prima le macchie di sangue sulla fronte: le punte aguzze della corona di spine posta per derisione sul capo di Gesù devono aver lasciato minuscole punture, piccole ma penetranti, nella sottile pelle della testa. Fintanto che la “corona di spine” era sul capo, le spine tenevano chiuse molto bene le piccole ferite (del diametro fra uno e due millimetri). La piccola quantità di sangue che cercava di uscire passando le spine coagulava immediatamente e si incrostava nei capelli, ed è così in tutte le ferite più piccole. Ma nel retro della testa, l’immagine sulla Sindone mostra chiara- mente molte tracce di sangue di dimensioni maggiori, che puntano in tutte le direzioni. Questo sangue è evidentemente sgocciolato sul tessuto quando il corpo è stato deposto sul lenzuolo, soltanto subito dopo che erano state tolte le spine. I vasi sanguigni nella sottile pelle della testa sono numerosi ma piccolissimi, e sono ben riforniti di sangue solo finchè il sistema circolatorio rimane effi- ciente. In una persona morta, appena il cuore si ferma, il sangue si ritira dai vasi capillari che si trovano immediatamente sotto la superficie della pelle, facendo diventare la pelle “pallida come un cadavere”, e non c’è alcun modo perchè possa uscire ancora sangue da tali piccole ferite, perchè il sangue intravascolare si raggruma immediatamente. Sull’immagine di Gesù della Sindone, è visibile sulla fronte una larga macchia di sangue con la forma di un 3 rovesciato. Una macchia così insolita può formarsi soltanto se la testa è legger- mente sollevata rispetto all’orizzontale (qualche specie di cuscino era molto probabilmente messo sotto e dietro la testa mentre Gesù giaceva supino). Il sangue, che fluisce lentamente, poi scorre verso il basso in una grinza nella fronte, si raccoglie un po’, e man mano che si aggiunge sangue fresco, deborda verso il basso fino alla successiva grinza della fronte. Questa ferita sulla fronte, causata anch’essa dalla corona di spine, è situata sul punto più alto di tutto il corpo (disteso orizzontalmente). Anche se è possibile che il sangue esca da grandi ferite su un cadavere in certe condizioni, non è possibile in alcuna circostanza nel punto più alto della fronte.

249 La vita di Gesù in India

Un fluire del sangue del tipo descritto è possibile soltanto se il sistema circolatorio è completamente funzionante! Quasi alla stessa distanza dal suolo della fronte sono le mani, poste una sopra l’altra. Qui è particolarmente evidente come sia stato versato sangue fresco sul tessuto, oltre al sangue che si era già seccato. Sui polsi si possono distinguere chiaramente tre tracce di sangue, che vanno in direzioni diverse. Una semplice misura degli angoli fornisce indicazioni sicure di come si sono originate queste tracce di sangue. La mano sinistra è situata sopra la destra e copre la sua ferita del chiodo, in modo che i calcoli riguardano soltanto la ferita visibile sulla mano sinistra. Quando il chiodo venne piantato, un po’ di sangue fluì nel solco fra i muscoli in tensione lungo la parte anteriore del braccio, e cadde infine verticalmente verso il basso, sotto l’influenza della gravità. Questi piccoli rivoli verticali corrono tutti quasi paralleli. Dalla loro direzione possiamo dedurre l’angolo delle braccia rispetto al ramo trasversale della Croce: era di circa 20°. Questo rende possibile anche il calcolo della differenza in altezza verticale fra la posizione diritta e quella inerte del corpo sulla Croce. Ma a proposito della posizione delle braccia resta ancora un fatto di grande interesse. Due delle maggiori tracce di sangue confermano l’angolo delle braccia mentre Gesù era sulla Croce, ma la terza traccia di sangue, che ha origine nello stesso punto, è distintamente visibile sulla Sindone con un angolo completamente diverso, e non è stata menzionata negli studi di alcuno dei più

Il corpo giaceva disteso per il lungo su una superfice piana ed aveva un piccolo cuscino.

250 8. La “morte” e la “risurrezione” noti commentatori della Sindone. In effetti, devono davvero essere stati ben zitti su questo – e non c’è da meravigliarsi: la forma e la direzione di questa terza traccia di sangue provano che poteva essersi formata soltanto dopo che i chiodi erano stati tolti dalle ferite. L’asportazione dei chiodi dai polsi ha provocato una ripresa del sanguinamento delle ferite e ha fatto in modo che il sangue si spargesse attraverso la mano, non appena distesa. Inoltre si vede chiaramente che gli orli della terza traccia di sangue sono molto meno definiti di quelli delle altre due tracce, e questo indica che le prime due tracce di sangue si erano già seccate e sono state nuovamente inumidite dall’aloe del tessuto, mentre il sangue fresco della terza traccia è contornato da frange di siero acquoso. Queste orlature di siero sono formate dall’attività della fibrina, fattore coagulante presente nel sangue fresco, e compaiono solo quando il sangue si raccoglie su una superficie che fa una leggera conca e non può fluire via liberamente. Per il tempo in cui Gesù era appeso alla Croce, il sangue poteva fluire dalle ferite, lasciando tracce di sangue coagulato senza alcuna orlatura di siero e con bordi nettamente definiti. Sulla Sindone il braccio destro appare un po’ più lungo del sinistro. Le minori distorsioni nell’immagine frontale dimostrano che il lenzuolo non era posto rigidamente sul corpo. Poichè invece il sudario si conformava alla forma incurvata del corpo, anche la ferita nel fianco ha lasciato una chiara impronta. Nella vista fron- tale, vicino a una delle macchie sulle aree bruciacchiate, ci sono tracce nettamente definite di sangue che partono dalla ferita sul fianco e che si erano coagulate sulla Croce. Parallelamente alla ferita nel fianco, una cospicua traccia di sangue scorre trasversalmente attraverso la schiena. Il sangue appare in modo molto diverso da quello della parte frontale del corpo. Anche qui ci sono chiaramente bordi di sangue orlati da frange di siero, un segno sicuro che si tratta di sangue fluito mentre il corpo giaceva sul lenzuolo. Il sangue – e ce n’è una quantità considerevole – può essere fluito sul tessuto solo quando il corpo vi giaceva orizzontalmente. Altrimenti una traccia di san-

251 La vita di Gesù in India

Traccia del sangue 1

Traccia del sangue 2

sangue 3

Traccia del

Le ferite nelle mani: le tracce 1 e 2 sono ben essiccate (di conseguenza con bordi netti) ed hanno avuto origine durante la crocifissione; ma la traccia 3 si è formata solo dopo che il corpo era stato posto in posizione orizzontale. gue avrebbe dovuto scorrere verso la parte bassa dell’addome. Il sangue proviene certamente dalla ferita nel fianco. Appena Gesù fu deposto nel lenzuolo curativo, l’incisione laterale ricominciò a sanguinare. Naturalmente, il rivolo di sangue non fluì in basso nel senso della lunghezza del corpo, ma prese la via più breve sotto l’azione della gravità lungo la superficie del corpo, cioè sotto il braccio destro, per raccogliersi attraverso la schiena e nell’arco della regione lombare. Guardiamo cosa gli esperti hanno da dire su questo fatto. Se le braccia del corpo sono sollevate nella posizione della crocifissione, la ferita nel fianco scivola di un certo margine verso l’alto. Gli scienziati dell’East Midlands Forensic Laboratory considerano poco verosimile, tuttavia, che un colpo di lancia nel punto della ferita al costato abbia potuto toccare il cuore. Essi non vedono alcun grave pericolo vitale anche se la punta fosse penetrata di un certo tratto. La lancia dovrebbe soltanto aver intaccato la membrana che

252 8. La “morte” e la “risurrezione”

Poiché il corpo sulla croce era in posizione eretta quando cosciente, ma inerte quando privo di conoscenza, due posizioni marcatamente differenti si possono definire matematica- mente con il calcolo degli angoli delle tracce di sangue sulle mani e sulle braccia. avvolge la cavità toracica, provocando la fuoriuscita di “sangue e acqua”, un fluido pleurico acquoso che si era raccolto fra i polmoni e la parete toracica durante le violenze subìte31. Sulla questione della ferita nel fianco di Gesù, è stato chiesto una volta al Dr. Bonte, specialista di medicina legale e Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Düsseldorf, se il sangue potesse fluire da una ferita aperta fra la quinta e la sesta costola a circa dieci centimetri a destra della posizione mediana, da un cadavere disteso supino su una superficie piana, senza applicare alcuna pressione meccanica dall’esterno. La ferita era stata inflitta inizialmente mentre il corpo era verticale: successivamente il corpo era stato posto a giacere sulla schiena. Per assicurarsi di avere un’opinione veramente non influenzata da pregiudizi, all’esperto non venne detto quale fosse il “caso criminale” in questione. La risposta data dall’esperto di medicina legale è estremamente in- teressante: 1. Il sangue fluisce spontaneamente da una ferita in un cadavere solo se: a) l’apertura della ferita è situata in una zona in cui il sangue si è raccolto (ipostasi), come può essere evidente dalla perdita

253 La vita di Gesù in India

di colore della pelle (livor mortis), oppure b) l’apertura della ferita porta a una cavità piena di sangue, il sangue è ancora liquido (almeno in parte) e il livello della cavità è verticalmente più alto dal suolo rispetto all’apertura della ferita. 2. Secondo la vostra descrizione, comunque, l’apertura della ferita era situata sul fronte della parete toracica, circa dieci centime- tri a destra della linea centrale. Con il cadavere in posizione supina, questa corrisponde quasi esattamente al punto più alto del corpo. Perciò nessuna delle due condizioni di cui sopra è soddisfatta: a) l’apertura della ferita non era in una zona di ipostasi, e b) il sangue non poteva essere fluito attraverso la ferita dal- la cavità toracica destra perchè avrebbe dovuto prima salire contrastando la pressione del fluido. Lo stesso vale per altre possibili fonti di sanguinamento (polmone, vasi polmonari, cavità cardiache). 3. Considero perciò una fuoriuscita spontanea di sangue dopo la morte dall’apertura di una ferita in quella posizione assoluta- mente impossibile. 4. D’altro canto, una fuoriuscita di sangue nella quantità descritta, insieme con la direzione del flusso, sarebbe in accordo con l’ipotesi che la persona in questione fosse in quel momento ancora viva. È frequente trovare, nella pratica medica legale, che il sangue fluisce da una ferita aperta precisamente nella posizione e secondo la direzione qui descritte, da una vittima ancora vivente posta in posizione supina. Questo è vero in particolare se sono stati danneggiati i vasi arteriosi più grandi e se la pressione del sangue fornisce la necessaria vis a tergo (forza da dietro) per far sì che il livello sanguigno salga vin- cendo la pressione idrostatica32. Questa risposta da parte di un esperto che non era consapevole della delicata materia su cui stava dando il suo qualificato parere è notevole per diversi motivi. Essa dimostra che un’analisi dei fatti non falsata da pregiudizi porta a risultati molto diversi da

254 8. La “morte” e la “risurrezione” quelli presentati da persone che vogliono usare la Sindone per provare che Gesù morì. Quando Karl Herbst informò più tardi il Professor Bonte dell’argomento reale sul quale aveva dato il suo qualificato parere, e gli spiegò alcuni degli argomenti dei suoi colleghi, la sua risposta fu chiara: “Non intendo rivedere i miei ragionamenti precedenti. Secondo me, tutto porta a pensare che la circolazione non si era arrestata. Naturalmente concordo con il Professor Bollone che un’emissione di sangue da una ferita da lancia nel costato può avvenire durante il trasporto di un corpo con una modalità passiva. Ma allora ci si dovrebbe chiedere se il lenzuolo fosse stato avvolto attorno al corpo prima del trasporto. E se così fosse stato, non si sarebbero potute formare nè tracce “statiche” nè immagini di “impressione”, che sono consentite sempre solo da un allineamento topografico con un corpo supino. Allora mi sarei piuttosto aspettato numerose tracce da contatto strisciante, piazzate in modo più casuale e irregolarmente sparse. Secondo la mia opinione, l’immagine realmente trovata ci dice che la persona coinvolta venne avvolta nel sudario solo al momento in cui fu

Sangue raccolto nell’arco lombare tra la parte media della schiena e i glutei. Questo sangue può solo essere fluito solo dopo che il corpo è stato posto in posizione orizzontale.

255 La vita di Gesù in India deposta nella tomba, e questo è avvenuto molto probabilmente prima stendendo il corpo in piano sul lenzuolo e poi piegando l’altra metà del lenzuolo sopra il corpo. Non riesco a vedere come un’emissione passiva di apprezzabili quantità di sangue sia potuta avvenire durante l’operazione di stendimento del corpo”. È evidente una fuoriuscita considerevole di sangue anche dalle ferite provocate dal chiodo attraverso i piedi. Sull’immagine del retro è chiaro che il sangue è fluito verso il basso dalla ferita ai calcagni, si è raccolto lì e, per il fatto che c’era ancora un’alimen- tazione di sangue fresco, è fluito sul tessuto verso destra. La traccia di sangue, lunga 17 centimetri, è interrotta perchè il sangue si è fermato contro una piega del tessuto, prima di scorrere ulteriormente verso destra. L’ultima parte di questa traccia di sangue si può trovare proprio all’estremità della Sindone, dove i bordi del lenzuolo erano sovrapposti uno all’altro così che il sangue fresco ha macchiato entrambi i lati. Ancora una volta rimane il fatto essenziale: semplicemente il sangue non può scorrere in questo modo da un corpo morto da diverse ore. Il cuore e le funzioni circolatorie erano ancora efficienti, anche se la respirazione poteva essere notevolmente ridotta. L’emorragia nella regione dei piedi mostra molto chiaramente il fluire di sangue fresco. I movimenti eseguiti mentre il corpo veniva disteso hanno fatto sì che le ferite aperte ricominciassero a sanguinare, e il sangue uscisse in tutte le direzioni. L’immagine scura impressa dai rivoletti di sangue non lascia dubbi sul fatto che questo sangue raggiunse il lenzuolo solo dopo la deposizione nella tomba. Poichè il sudario era impregnato di aloe resinoso nei punti dove toccava la pelle, il sangue non poteva venire assorbito nel tessuto ma si spandeva sulla sua superficie. Stabilire lo stato di morte clinica presenta difficoltà ai medici anche oggi. L’uso di alcune sostanze moderne, ad esempio, può provocare un coma così profondo da indurre facilmente false dia- gnosi. Un metodo ben noto per stabilire la morte era quello di fare una piccola incisione nel calcagno o nel polso. Se il sangue arterioso scorre, il sistema circolatorio è ancora in funzione. I

256 8. La “morte” e la “risurrezione”

Le tracce di sangue sui piedi mostrano particolarmente bene come il sangue sia fuoriuscito in tutte le direzioni sulla superficie della Sindone dopo che il corpo fu rimosso dalla Croce. cadaveri non sanguinano proprio! Nel caso di Gesù, ci furono complessivamente ventotto ferite che continuarono a sanguinare anche dopo la rimozione del corpo dalla Croce. Questo prova che non è possibile che Gesù fosse morto quando il suo corpo fu deposto nella tomba.

La tomba aperta nella roccia D al momento in cui Gesù fu visto pendere dalla Croce privo di conoscenza, Giuseppe si precipitò ad assicurarsi la consegna del corpo con la massima celerità umanamente possibile. Egli esercitò tutta la sua influenza su Pilato per ottenere un rilascio istantaneo. Uno studioso delle Scritture fa l’ipotesi che il ricco Giuseppe abbia corrotto qualcuno con forti somme per accelerare le cose al massimo33. Questo non è certo inconcepibile. Giuseppe era pressato dal tempo e qualunque mezzo gli sarebbe sembrato giustificato per abbreviare il procedimento burocratico. Agli uomini

257 La vita di Gesù in India crocifissi con Gesù erano state spezzate le gambe, ma nel caso di Gesù il centurione controllò solo con il colpo di lancia che fosse morto. Pilato rilasciò il “cadavere” e subito Giuseppe e Nicodemo tolsero Gesù dalla Croce e lo portarono nella tomba aperta nella roccia, che si trovava lì vicino. Nel ritiro della caverna tombale, iniziarono subito i preparativi per la guarigione di Gesù sul ripiano in mezzo del pavimento. La bevanda a base di oppio lo aveva aiutato a cadere in un sonno profondo e non sentire più il dolore. Fu avvolto e trattato con quelle grandi quantità di erbe medicinali per far guarire più velocemente le ferite. Ma Giuseppe e Nicodemo sapevano che non avrebbero potuto lasciare a lungo Gesù nella tomba. I Giudei erano estrema- mente sospettosi ed avevano già espresso timori che i seguaci di Gesù potessero rubare il corpo e proclamare che c’era stata una resurrezione miracolosa. Secondo Matteo (27:62-66), essi chiesero a Pilato di mettere qualcuno a guardia della tomba. Non potevano tenere essi stessi il sepolcro sotto osservazione perchè era di Sabato. Più passava il tempo, più sarebbe stato difficile tenere Gesù inosservato e fuori da ogni vista. Non è possibile, a questa distanza di tempo, dire se fu effettivamente assegnata alla tomba una guardia romana, anche se Matteo (soltanto lui) lo afferma. Può anche essere, comunque, che sia stata introdotta nel testo per aggiungere un effetto drammatico all’apparizione dell’angelo. L’urgente desiderio degli Ebrei di avere un soldato per fare la guardia a un cadavere deve essere sembrato bizzarro ai Romani, ed è assai improbabile che essi abbiano aderito a una simile richiesta. Così, almeno per il Sabato, il gruppetto ebbe il tempo di pren- dersi cura di Gesù. Comunque, non appena ne fosse stato in grado, avrebbe dovuto essere spostato rapidamente altrove, per evitare ulteriori problemi con le autorità giudaiche. Quando le donne giunsero alla tomba con gli oli per l’unzione, nel primo giorno della settimana, trovarono la pietra rotolata da una parte e la tomba vuota. Vediamo cosa dicono i racconti del Vangelo. Luca scrive:

258 8. La “morte” e la “risurrezione”

Ora, il primo giorno della settimana, all’alba, esse vennero al sepolcro, portando con sè gli aromi che avevano preparato, e certi altri. E trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro. Entrate poi dentro, non trovarono il corpo del Signore Gesù. E mentre non sapevano cosa pensare di ciò, ecco che due uomini, in abiti sfolgoranti, si presentarono a loro: E standosene esse intimorite e con la faccia chinata a terra, quelli dissero loro: “Perchè cercate tra i morti colui che vive?” (Luca 24: 1-5)

Marco lo racconta in questo modo:

Ma, alzati gli occhi, videro che la pietra era stata fatta rotolare via: eppure, era molto grande. Entrate nel sepolcro, videro, seduto sulla destra, un giovane vestito di una lunga candida veste e ne furono sgomente. Ma egli disse loro: “Non vi sgomentate! Voi cercate Gesù di Nazareth, il crocifisso. Egli è risorto; non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. (Marco 16:4-6)

D opo la sua cosiddetta “resurrezione”, si dice che Gesù sia entrato frequentemente attraverso porte chiuse e sia “apparso” con grande sorpresa dei suoi seguaci. (Giovanni 20:19-26). Ma allora perchè, sembra logico chiedersi, fu fatta rotolare via la grossa pietra dall’ingresso della tomba, proprio dal posto dove si dice che sia accaduta questa miracolosa “resurrezione”? Sarebbe stato sicuramente un “miracolo” più sorprendente se si fosse dovuto far rotolare via la pietra per lasciare entrare le donne con gli oli per l’unzione, solo per far scoprire che Gesù era scomparso dal locale completamente chiuso. La tomba aperta è una prova del fatto che qualcuno aveva dovuto agire in gran fretta per portare Gesù fuori dalla tomba stessa. Gli amici Esseni erano ovviamente ancora presso la tomba – cioè gli uomini in abiti sfolgoranti di Luca, o il giovane vestito di candida veste di Marco. L’abito bianco candido denota certamente che erano Esseni. Gesù era probabilmente stato portato fuori appena poco tempo prima. Poichè la festività della

259 La vita di Gesù in India

Pasqua coincideva sempre con la luna piena, era facile viaggiare nella notte illuminata dalla luce lunare. Forse gli Esseni che sta- vano dietro erano ancora lì per raccogliere qualcosa e chiudere la tomba. Le donne stupite ebbero dagli Esseni chiare risposte alle loro domande: Gesù si era risvegliato e non era più lì. Egli si era davvero risvegliato – cioè, era uscito dal coma provocato dalle droghe. Il testo di Luca è ancora più chiaro: “Perchè cercate tra i morti colui che vive?”. Questo non ci fa credere che Gesù era vivo, che era stato possibile salvarlo? Non è questo il chiaro messaggio che ci danno questi passaggi del Vangelo? Giovanni, che non riporta l’episodio delle donne al sepolcro, riferisce in dettaglio di un evento che sembra essere accaduto pri- ma dell’arrivo delle donne (Giovanni 20:1-18). Maria Maddalena arriva alla tomba la mattina presto, quando è ancora scuro, e vede la pietra rotolata via. Colpita, corre da Pietro e Giovanni e dice piangendo che qualcuno ha portato via dal sepolcro il Signore. Quando i due arrivano alla tomba e guardano dentro, vedono solo le bende di lino: non c’è traccia di Gesù in alcun luogo. Maria Maddalena, che sta piangendo in piedi davanti alla tomba, chiede al giardiniere se avesse portato via il corpo. Quando colui che credeva il giardiniere le si rivolge per nome, ella si rende conto che si tratta di Gesù. È notevole che Maria Maddalena scambi Gesù per il giardi- niere. È questo Colui che è risorto nella gloria – una figura non riconosciuta da nessuno dei suoi più stretti compagni e scambiata da lei per il giardiniere? Quello che probabilmente accadde è che Gesù era stato appena portato fuori dalla tomba quando arrivò Maria Maddalena. Così, per non attirare l’attenzione, lo avevano vestito con abiti semplici come quelli che poteva portare un giar- diniere. A Gesù, che era debole, può anche essere stato dato un attrezzo da giardino come temporaneo sostegno per camminare. Tutti questi fattori portano allora a una sola conclusione. Inoltre, i giardinieri hanno la pelle molto abbronzata per il loro continuo lavorare all’aperto sotto il sole. Il volto di Gesù era gonfio per i traumi subìti e la soluzione di aloe e mirra lascia una caratteristica

260 8. La “morte” e la “risurrezione” colorazione scura. Questo fu certamente il motivo per cui Maria Maddalenna non riconobbe il suo maestro nella debole luce del primo mattino, e non perchè lo vide in un corpo “trasfigurato” perchè risorto. L’apocrifo Vangelo di Pietro descrive come la guardia abbia visto tre uomini uscire dalla tomba “e due di essi sostenevano l’altro”! Una persona risorta nella gloria ha bisogno di un simile sostegno? Certamente no – ma ne ha bisogno un uomo ferito, che deve essere portato in un luogo sicuro, e che si è appena risve- gliato da un coma. Dopo aver riportato questi eventi, i Vangeli, nei passaggi che riguardano Gesù, diventano più dispersi e meno affidabili, perchè da questo punto in poi sono influenzati dal mito della “resurrezione” e da un’interpretazione teologica secondo la quale Gesù corrisponde al Cristo risorto. Comunque una cosa è certa: Gesù fu di nuovo con i suoi discepoli per un breve tempo, forse a Gerusalemme, ma soprattutto in Galilea. Ben poche conclusioni certe si possono trarre sugli eventi che accaddero durante il tempo successivo alla scomparsa di Gesù dalla tomba, perchè le varie descrizioni sono assai confuse. Si dice che siano passati tre giorni fra la Crocifissione e la ricom- parsa, ma questo corrisponde semplicemente a un periodo mistico che si ritrova in miti di resurrezione più antichi. Può darsi che si siano presi cura di Gesù per un periodo più lungo, finchè ri- prese a mostrarsi ancora una volta ai suoi seguaci. In ogni caso sembra che questi incontri siano sempre stati segreti e di breve durata. Naturalmente non poteva mostrarsi in pubblico, altrimenti sarebbe stato immediatamente arrestato di nuovo. Sembra che la sua comparsa sia stata all’inizio molto influenzata dalle sue feri- te – la sua faccia era probabilmente gonfia per un po’ di tempo – tanto che persino i suoi amici avevano difficoltà a riconoscerlo quando lo vedevano. Nel considerare le apparizioni di Gesù ai suoi seguaci, è essen- ziale tener sempre presente che negli scritti sono riportate in modo da essere in accordo con la teologia della sua “resurrezione”, come si era andata sviluppando dopo l’evento. Tutto il capitolo 21 del

261 La vita di Gesù in India

Vangelo di Giovanni, che contiene l’apparizione di Gesù presso il Mare di Tiberiade, è opera di un autore che non ha scritto il resto, ed è semplicemente stato aggiunto. Il capitolo sembra essere stato scritto da Giovanni il sacerdote ed incluso nel testo di Giovanni il discepolo favorito a causa dell’omonimia34. Immediatamente dopo la Crocifissione, i discepoli di Gesù se ne andarono per tornare tristemente alle loro precedenti occupazioni. Simon Pietro, Tommaso, Nataniele di Cana e i figli di Zebedeo ripresero l’attività di pescatori (Giovanni 21:2). Solo quando Gesù disse loro che li avrebbe incontrati personalmente in Galilea, furono presi da nuovo entusiasmo (Matteo 28:10). I suoi incontri con i compagni un tempo itineranti sono pre- sentati come “apparizioni” perchè si dice che Gesù sia entrato in mezzo a loro attraverso porte chiuse – e tuttavia viene enfatizzata allo stesso tempo la corporeità di Gesù: I discepoli erano confusi: a quasi nessuno di loro probabilmente era stato detto qualcosa dell’operazione di soccorso preparata da Giuseppe e Nicodemo, che non appartenevano al loro gruppo. L’ultima cosa che i Van- geli riportano su Gesù, poco tempo prima della sua partenza dalla Palestina35 sono i suoi continui tentativi di spiegare ai discepoli una volta per tutte che era sopravvissuto alla Crocifissione ed era guarito. Ma all’inizio i discepoli avevano pensato che potesse essere un fantasma:

Ed egli disse loro: “Perchè vi turbate? Perchè sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e constatate: uno spirito non ha carne ed ossa, come vedete che ho io”. E ciò detto, mostrò loro le mani e i piedi. E siccome, per la gioia, essi non credevano ancora ed erano stupefatti, egli disse loro: “Avete qui qualche cosa da mangiare?” Ed essi gli diedero un pezzo di pesce arrostito, e un favo di miele. Ed egli li prese e ne mangiò sotto gli occhi di tutti. (Luca 24:38-43)

262 8. La “morte” e la “risurrezione”

Gesù è ansioso di dimostrare ai suoi seguaci che il suo corpo è realmente di natura materiale, proprio come lo era stato prima. Egli mette in evidenza la sua presenza fisica consentendo loro di toccarlo e mangiando con loro; inoltre dice solo semplicemente che non è uno spirito. Per provare che il suo corpo non è stato “trasformato” in alcun modo, egli mostra anche i segni delle ferite e chiede anche al “dubbioso Tommaso” di toccare con la mano la ferita nel fianco. Più tardi si rivelò agli undici seduti a tavola e criticò la loro mancanza di fede e la loro testardaggine nel non credere a coloro che lo avevano visto dopo che si era rianimato (!) (Marco 16:14). Che Gesù fosse lì in persona non era il risultato di un errore, nè di un inganno o di un’illusione; il suo corpo è umano come il loro, non è trasfigurato, nè quello di una proie- zione astrale, o un fantasma – questo è il messaggio che tenta di far capire ai discepoli.

“Risorto” o “rianimato”? Un confronto del vocabolario reale del Vangelo di Giovanni e di quello dei Vangeli Sinottici consente una ricostruzione abbastanza dettagliata degli eventi. Sul ripiano attorno alla depressione centrale sul pavimento della caverna tombale sono state preparate un certo numero di tele (othonia) fatte con un pezzo di lino (sindon) non colorato (kathara). Sopra queste bende è stata stesa un’altra striscia di lino (soudarion). Una soluzione delle erbe medicinali aloe e mirra viene applicata al corpo nudo di Gesù privo di conoscenza, che viene poi disteso per tutta la lunghezza sul lenzuolo, di cui una parte viene sollevata e ripiegata indietro per ricoprire il corpo. In questo modo tutto il corpo era coperto (entylisso). La quantità delle sostanze aromatiche nel lenzuolo (circa 45 kilogrammi!) rendeva il gigantesco bendaggio-cataplasma così pesante che il corpo ne era saldamente e completamente avvolto (eneileo) come se fosse in un grosso impacco. Se adesso rileggiamo il passaggio del Vangelo di Giovanni che

263 La vita di Gesù in India riporta in dettaglio gli eventi circostanti alla scoperta della tomba vuota (Giovanni 20:1-18), tenendo in mente la ricostruzione sopra delineata, l’intero significato diventa automaticamente chiaro. Dapprima Maria Maddalena corre da Simon Pietro e dal disce- polo favorito di Gesù e concitatamente dice loro che qualcuno ha portato via il corpo di Gesù dalla tomba. Non dice che il corpo è stato in qualche modo rubato: la sua affermazione è neutrale sul fatto di come Gesù possa essere scomparso dalla tomba. Non ci è stato neanche detto perchè Maria Maddalena andò alla tomba la mattina così presto, mentre era ancora scuro. Giovanni non dice che voleva ungere la salma, come dicono i Vangeli Sinottici per il caso delle donne lì descritte. Quando parla a Pietro e Giovanni, ella dice semplicemente: “Essi hanno portato il Signore fuori dal sepolcro...”. È come se le persone a cui stava parlando sapessero chi “essi” fossero. Basandosi su questa prima frase, è possibile e anche plausibile un’ulteriore ricostruzione degli eventi. Durante la notte, dopo che era stato applicato l’impacco medicinale con le erbe, Giuseppe e Nicodemo andarono a far visita ad alcuni dei seguaci di Gesù. In particolare, essi andarono da Maria Maddalena, Simon Pietro e Giovanni, che potevano essere considerati come amici intimi. Spiegarono brevemente ai tre che cosa avevano fatto, e quindi che stavano tentando di salvare Gesù dalla morte con l’aiuto degli amici Esseni. Se i loro sforzi avessero avuto successo, i tre che li ascoltavano meravigliati avrebbero ricominciato a sperare. Ma qualunque cosa fosse successa, Gesù avrebbe dovuto essere portato via al più presto possibile dall’attuale nascondiglio poco sicuro, e portato in qualche posto affidabile, lontano dagli sguardi indi- screti dei sacerdoti di Gerusalemme. Dire qualcosa di più poteva significare compromettere l’esito di tutta l’operazione. Dopotutto era possibile che uno dei discepoli venisse arrestato e che, sotto tortura, rivelasse i loro piani. Maria Maddalena, meravigliata ed emozionata per ciò che ave- va udito, non può trattenersi a lungo e si avvia verso la tomba per vedere di persona se Giuseppe ha detto la verità. Là trova la

264 8. La “morte” e la “risurrezione” pietra rotolata via dall’ingresso e corre immediatamente indietro dagli altri due per confermare loro quello che era accaduto. Come aveva detto Giuseppe, “essi” – lui e i suoi assistenti – avevano portato via Gesù dalla tomba. Poi ella aggiunse subito: “... e non sappiamo dove l’hanno portato”. Se avesse parlato di un furto in una tomba, questa nota aggiuntiva non avrebbe avuto alcun senso. La vittima di una rapina ovviamente non si aspetta di sapere dove vengono portati i beni rubati. Ella si riferiva evidentemente agli Esseni che, dopo aver aspettato il più a lungo possibile mentre erano ancora protetti dall’oscurità, avevano fatto i primi passi per portare via Gesù. Adesso è la volta dei due discepoli ad essere assolutamente stupiti, ed essi corrono verso la tomba. Il giovane Giovanni è più veloce e raggiunge per primo l’entrata, da dove sbircia con cautela verso l’interno. Ma l’ingenuo Pietro entra direttamente nella caverna tombale e si guarda attorno. Nota un mucchietto scomposto di bende e, separato da esse e ben piegato, il lenzuolo curativo menzionato da Giuseppe. Solo a questo punto anche Giovanni osa entrare nella tomba e, come è stato riportato, “egli vide, e credette”. Questo passaggio, il più interessante, è normalmente preso come base della dottrina cristiana della Resurrezione. L’azione di “vedere e credere” in questo modo – un’azione che occupa un posto importante nella teologia Giovannea – è comunemente interpretato come un fatto che conferisce immediatezza e realtà assoluta alla Resurrezione di Gesù. Allo stesso tempo, secondo l’autore del Vangelo, solo il discepolo favorito “vide e credette”; Pietro semplicemente “vide”. Il verso successivo fornisce la so- luzione: “Poichè non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale Gesù doveva risorgere dai morti”. È possibile affermare che al tempo in cui fu scritto il Vangelo di Giovanni, la dottrina della Resurrezione, come è stata formulata da Paolo (specialmente nel capitolo 15 della sua prima lettera ai Corinzi), fosse già accettata generalmente dai primi Cristiani. Era naturale, perciò, che l’autore del Vangelo, che ha descritto i fatti come (o da una descrizione di) un testimone oculare, si preoccupasse

265 La vita di Gesù in India di presentare gli eventi in un modo teologicamente corretto. Così prosegue perdonando Pietro per non avere creduto immediatamente dopo avere visto, perchè dopo tutto non era ancora consapevole del testo biblico in cui la Resurrezione era stata preannunciata. Ma dobbiamo ricordare che il modo di scrivere di Giovanni si svolge in gran parte su due livelli diversi: uno ovvio e l’altro nascosto. In questo caso, allora, non sta veramente parlando della morte e resurrezione, ma del salvataggio di Gesù. Perciò diamo brevemente uno sguardo a quel passaggio delle Scritture di cui i discepoli non avevano conoscenza. Non è facile identificarlo. La maggior parte degli studiosi delle Scritture concordano che, secondo gli Atti 2:25-28 deve essere il Salmo 16:8-11. Così si leggono questi versi dei Salmi:

Ho tenuto sempre il Signore davanti a me: siccome è alla mia destra, non vacillerò. Perciò si rallegra il mio cuore ed esulta il mio intimo: anche la mia carne riposa tranquilla. Perchè non abbandonerai la mia anima all’inferno; nè farai che il tuo fedele soffra la corruzione. Tu mi mostri il sentiero della vita, pienezza di gioia al tuo cospetto; delizie alla tua destra in eterno.

È questa la Resurrezione promessa, come affermano le auto- rità delle Scritture? Per quanto ci si provi, è impossibile trovare qui qualche menzione alla resurrezione. È proprio il contrario. La precondizione per la resurrezione, come evidenzia Paolo, è la morte. Si può usare l’aggettivo “risuscitato” solo per descrivere una persona che prima è morta. È su questa base che il Cristiano dice nel Credo, Gesù morì e poi “risuscitò da morte”. Ma il Salmo parla piuttosto di salvezza dalla morte. Pietro lo interpreta male quando si riferisce ad esso per spiegare il segreto della Pentecoste come la promessa della resurrezione (Atti 2:25-28). Forse questo ha qualcosa a che fare col fatto che non ha creduto quando ha visto le bende nella tomba, perchè era rimasto fedele alla tradizione mitica della Resurrezione. Perchè, attenendosi ai fatti reali, il “vedere e

266 8. La “morte” e la “risurrezione” credere” del discepolo favorito può essere capito soltanto come il suo convincimento di quello che Giuseppe di Arimatea aveva detto loro. Il discepolo favorito vide che nessuno era sepolto nella tomba, e le bende separate e sparse gli avevano confermato il fatto che Gesù era ancora vivo. Perciò egli credette non nella Resurrezione ma nel fatto che Gesù era stato salvato! Ecco la chiave di questo passaggio biblico. È possibile che l’idea di Resurrezione nella Bibbia provenga da una tradizione consapevole di questi sforzi per far guarire Gesù. L’affascinante opera del linguista e teologo Padre Günther Schwarz ha gettato un’eccitante nuova luce sull’argomento. Perchè i termini “risorgere” e “ritornare alla vita” che si trovano nelle traduzioni della Bibbia, nell’originale in aramaico derivano, come dimostra il Dr. Schwarz, da una radice verbale che significa “rianimare”!36 Spiega Schwarz:

L ’evidenza linguistica è conclusiva: non “resurrezione” ma “riani- mazione” è il solo significato possibile per entrambe queste parole aramaiche, una delle quali dovrebbe avere usato Gesù. Mi riferisco alle parole sinonime achajuta e techijjuta. Entrambi i nomi sono derivati dal verbo chaja, “vivere”, e di conseguenza significano – ripeto – “rianimazione” e niente altro37.

Questa scoperta è veramente sensazionale e ridà subito ai testi biblici un significato che è in perfetto accordo con la nostra analisi di cui sopra. Anche la parola greca del Nuovo Testamento non corrisponde, nel significato della sua radice, nè con il concetto dell’originale aramaico nè con il significato di “resurrezione” consolidato nell’uso cristiano: anhistemi significa “svegliare”, “destare” (transitivi), e “alzarsi”, “mettersi in piedi” (intransitivi); anastasis significa “un atto di alzarsi”. Solo nell’interpretazione cristiana successiva anhistemi è venuto a significare “far sorgere dai morti” (transitivo) e “risorgere dai morti” (intransitivo), e anastasis “resurrezione”38. Alla luce di ciò che sappiamo ora consideriamo di nuovo i pas-

267 La vita di Gesù in India saggi di Marco e di Luca in cui le donne presso la tomba vengono informate della sparizione di Gesù dagli uomini vestiti di bianco. Marco scrive: “Ed egli disse loro, non vi sgomentate: Voi cercate Gesù di Nazareth, il crocifisso: è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto” (16:6, confrontabile con Matteo 28:6, anche se qui gli eventi reali sono stati inseriti in un quadro un po’ drammatizzato comprendendovi un angelo che appare in modo sensazionale, un terremoto e il terrore delle guardie). La domanda semplice e stringata da parte degli uomini vestiti di bianco nel Vangelo di Luca, che chiedono perchè si sta cercando una persona viva fra i morti (24:5), è assai chiara. Gesù vive, è stato salvato, non ha più niente a che fare con una tomba, è vivo fra i vivi. Se n’è andato avanti in Galilea, dove i suoi seguaci potranno rivederlo. Abbiamo già visto come Gesù abbia avuto grande difficoltà a convincere i discepoli della sua effettiva presenza corporea. La ragione di questo fatto è duplice. Primo, la maggior parte dei discepoli non era a conoscenza del tentativo di rianimazione e così erano convinti di star vedendo un cadavere risuscitato o un fantasma. Secondo, la supposta morte in croce di Gesù segna il punto in cui finisce la storia e comincia la teologia cristiana (la dottrina della Resurrezione). A questo punto viene a conclusione la vita di Gesù come individuo umano ed inizia al suo posto la storia di Cristo – la realtà glorificata nel mito.

268 CAPITOLO NOVE

DOPO LA CROCIFISSIONE

Paolo incontra Gesù a Damasco D opo essersi rimesso dalla terribile esperienza della Crocifissio- ne, Gesù rimase nascosto. Non poteva più predicare in pubblico, perchè i suoi persecutori lo avrebbero riconosciuto subito e non se lo sarebbero lasciato scappare una seconda volta. Doveva starsene ben lontano dalla minaccia rappresentata dai suoi nemici: “Poi li condusse fin verso Bethania e, levate le mani, li benedisse. E mentre li benediceva, si separò da loro mentre veniva portato sù nel cielo. Ed essi lo adorarono e tornarono a Gerusalemme pieni di gioia”. (Luca 24:50-52) Per rappresentarsi la scena dell’addio, il modo migliore è rico- struire gli eventi proprio nel luogo dove accaddero. Dall’esterno della città di Gerusalemme la via per Bethania sale molto ripidamente sulle colline meridionali della catena che comprende il Monte degli Olivi, su fino al “Picco dell’Ascensione”. Una persona che cammina sul culmine e poi scende dall’altra parte viene rapidamente persa di vista. Ma c’è un testimone oculare per affermare che Gesù non scomparve così una volta per tutte e la cui testimonianza non può essere trascurata e messa fuori causa come fosse un’invenzione: è Paolo. Sebbene non fosse presente personalmente come testimone agli eventi della Crocifissione, egli incontrò effettivamente Gesù qualche tempo dopo l’“Ascensione” – un incontro che doveva cambiare tutta la sua vita. Paulus (Saulus) era stato uno dei più zelanti e fanatici oppositori del movimento del Nuovo Patto. Egli può anche aver sentito delle

269 La vita di Gesù in India voci sul fatto che Gesù, sebbene creduto morto, stesse continuando la sua attività in segreto. “Saulo, ancora pronunciando minacce di strage contro i discepoli di Gesù, si presentò al sommo sacerdote e gli domandò autorizzazione scritta all’indirizzo delle comunità ebraiche di Damasco, allo scopo di far arrestare e tradurre a Ge- rusalemme tutti quanti, uomini e donne, gli aderenti alla nuova religione” (Atti 9:1-2). Dopo una ricerca molto approfondita, lo psichiatra Wilhelm Lange-Eichbaum1 è stato in grado di delineare un ritratto dettagliato della personalità di Paolo nella sua famosa opera Genio, Pazzia e Fama. Nel suo aspetto esteriore, Paolo era fragile, non attraente e piccoletto, ma allo stesso tempo il suo temperamento era austero, ascetico, impetuoso ed impulsivo. Lo zelo che dimostrava nella persecuzione dei Cristiani era una compensazione per i suoi sen- timenti di inadeguatezza. La caratteristica più interessante del Paolinesimo è la sua nozione di redenzione e liberazione dalle tensioni interne (in particolare gli impulsi sessuali e la paura della morte). Paolo aveva un’energia illimitata e un ego con conflitti interiori. Soffriva gravemente di perdite di coscienza e cambiamenti di umore, che egli considerava come demoni. Commentatori recenti hanno mostrato che la causa di quello che lui spesso descriveva come “una spina nella carne” (2 ai Corinzi 12:17, cf ai Galati 6:17) non era l’epilessia, come era stato suggerito in un primo tempo, ma era probabilmente (e tragicamente) la sua omosessualità. Il problema gli dava una forte avversione per il sesso e insieme per la sessualità, una disposizio- ne che è risultata fondamentale per lo sviluppo della sua dottrina ascetica del matrimonio e che è stata poi la causa principale delle idee della donna e della sessualità che hanno dominato il pensiero cristiano da allora fino ad oggi. Gesù, invece, aveva un atteggia- mento aperto, quasi “moderno”, verso le donne: in contrasto con la visione misogina della società contemporanea egli aveva discepoli femmine e predicava alle donne come agli uomini. La tradizione apocrifa dice che Maria Maddalena gli era particolarmente vicina ed era una fra i compagni più intimi e fra i seguaci più fedeli.

270 9. Dopo la crocifissione

I quattro Vangeli della Bibbia inoltre riferiscono che ella è stata la prima persona a vedere Gesù dopo la Crocifissione. Ma Paolo ci fornisce la sua lista personale delle persone che videro Cristo risorto: l’elenco non fa alcuna menzione di Maria Maddalena e comprende solo uomini. La sorprendente esperienza che capitò a Paolo presso Damasco non fu perciò una semplice visione (e neppure un’allucinazione dovuta ad un attacco epilettico, come spesso è stato suggerito): D urante il viaggio avvenne che, nelle vicinanze di Damasco, un fulgore improvviso gli balenò intorno dal cielo. Stramazzato a terra, sentì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti?” Ed egli disse: “Chi sei tu, Signore?”. E il Signore disse: “Sono Gesù che tu perseguiti: è difficile per te persistere in un’inutile resistenza”. Ed egli tremante e meravigliato disse: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”. E il Signore gli disse: “Tu alzati ed entra in città ed io ti farò dire quel che devi fare”. (Atti 9:3-6) O ra, Damasco era nel cuore della Siria, dove i Giudei erano odiati fin dal tempo della ribellione dei Maccabei (165 a.C.) e dove in quel tempo era situato il centro spirituale dell’Ordine degli Esseni. Forse Saulo aveva preso parte ad un rituale di iniziazione, ed era stato “reso cieco” per tre giorni (Atti 9:8-9) dalla bevanda Soma. Sossiano Hierocle fu un importante amministratore romano; governatore della Fenicia, del Libano, della Bitinia e dell’Egitto: era considerato anche ai suoi giorni uno dei più brutali persecutori delle prime comunità cristiane. Una frase del suo libro Ai Cristiani dice: “Dopo essere sfuggito (!) ai Giudei, Cristo raccolse attorno a sè circa novecento uomini tutti dèditi al banditismo”2. Abbiamo già notato in altra sede a che tipo di persone venivano riferiti di solito termini come “banditi” e “ladri” da parte di chi usava la lingua latina. È davvero possibile che la comunità degli Esseni a Damasco avesse novecento membri.

271 La vita di Gesù in India

Paolo fu battezzato ed ammesso agli insegnamenti di Anania, un seguace di Gesù che viveva a Damasco. Secondo il punto 9 degli Atti, ad Anania venne richiesto da Gesù stesso di visitare Saulo e Anania rimase all’inizio molto riluttante perchè conosceva la sua fama di persecutore fino a quel giorno. Gesù respinse queste obiezioni con le parole: “Va ugualmente, poichè quest’uomo è uno strumento eletto per portare il mio nome davanti ai Gentili, ai re e ai figli d’Israele: e io gli mostrerò tutto quello che dovrà soffrire per la mia causa” (Atti 9:15-16). Da quel momento in poi Paolo sarebbe diventato il più zelante apostolo della nuova fede. Egli sentì il fascino della personalità di Gesù e riconobbe subito il grande significato del compito che il Nazareno gli aveva dato. Con uno zelo ancora più grande di quello che aveva usato nel perseguitare Gesù ed i suoi seguaci, Paolo si assunse l’incarico di diffondere la sua personale interpretazione del nuovo insegnamento. L’incontro fra Gesù e Paolo a Damasco avvenne circa due anni dopo la Crocifissione. A non meno di trecento kilometri a nord di Gerusalemme e sotto la protezione degli Esseni, Gesù si doveva sentire relativamente al sicuro dai suoi nemici.

Il viaggio verso il Paradiso Una volta che una comunità religiosa aveva accettato il culto di stato dei Romani, Roma tollerava l’esercizio di altre pratiche religiose. Ma i Giudei avevano privilegi speciali ed erano esentati anche dal dover partecipare al culto di stato. La prima espansio- ne del Nuovo Patto ebbe luogo sotto la protezione delle norme di esenzione riservate ai Giudei. Ma quando divenne chiaro ai Romani che i seguaci di Gesù avevano ben poco in comune con il Giudaismo e che inoltre potevano essere considerati agitatori politici, i Cristiani (nome con cui cominciavano ad essere noti collettivamente) dovettero rinunciare ad ogni richiesta di tolleranza: cominciò invece a manifestarsi verso di loro un’aperta ostilità. Dapprima, le comunità cristiane vennero perseguitate dal sistema

272 9. Dopo la crocifissione statale romano soltanto a livello locale, come supposti disturbatori della pace. Una persecuzione generale sotto il controllo dello stato non ebbe inizio fino alla seconda metà del terzo secolo. Immediatamente dopo la Crocifissione, l’ostilità dei Giudei a Gerusalemme spinse i primi Cristiani ad allargare la loro missio- ne universale diffondendola verso il territorio molto più ampio dell’Impero Romano. A Damasco, allora, Gesù poteva avere il beneficio della prote- zione degli Esseni. Circa cinque kilometri fuori Damasco c’è un posto che si chiama ancora oggi Mayuam-i-Isa, “Il posto dove visse Gesù”. Lo storico persiano Mir Kawand cita parecchie fonti secondo le quali Gesù visse e predicò qui dopo la Crocifissione. I seguaci del “nuovo insegnamento” continuavano a crescere di numero, non soltanto per lo sforzo personale di Gesù. Ma le voci sulla presenza di Gesù a Damasco – dopotutto Paolo aveva in realtà intrapreso il viaggio per indagare su queste voci – stavano prendendo sempre maggiore consistenza, e gradualmente doveva essere diventato troppo pericoloso per il Nazareno continuare a risiedere nella provincia romana di Siria.

Rovine del palazzo reale di Nisibis, oggi Nusaybin. Il confine tra Siria e Turchia corre proprio attraverso il sito degli scavi.

273 La vita di Gesù in India

L e tradizioni persiane dicono che mentre Gesù risiedeva a Damasco ricevette una lettera dal re di Nisibis in Asia Minore, in cui il re richiedeva a Gesù di recarsi a guarirlo da una malattia. Gesù allora mandò avanti il suo fedele discepolo Tommaso, con il messaggio che sarebbe poi venuto presto Gesù personalmente. E poco tempo dopo egli si recò a Nisibis con sua madre Maria. In Jami-ut-Tawarik, lo studioso persiano Fakir Muhammad dice che il re era già stato guarito da Tommaso prima che Gesù arrivasse a Nisibis con il suo gruppo. Imam Abu Jafar Muhammad ha scritto nella sua famosa opera Tafsir-Ibn-i-Jarir at-Tabri che il soggiorno di Gesù a Nisibis finì per rappresentare un notevole pericolo per il Nazareno e che appariva in pubblico solo a rischio della vita3. Da Nisibis, Gesù dapprima andò verso nord-ovest. Comunque, gli apocrifi Atti di Tommaso riferiscono che Gesù visitò la corte del re di Andrapa, arrivando improvvisamente durante le feste per il matrimonio della principessa. Andrapoli era in Paphlagonia (la moderna Iskilip, nell’estremo nord dell’Anatolia), ed apparteneva alla provincia romana di Galatia fin dal 7 a.C. La festa di matrimonio alla corte reale fu l’occasione dell’incontro fra l’apostolo Tommaso

274 9. Dopo la crocifissione e il suo maestro, perchè essi avevano viaggiato separatamente. Tommaso fu incaricato da Gesù di recarsi in India.

Ma egli non voleva andare là, e disse che non poteva viaggiare per la debolezza del suo corpo. “Come posso io, un ebreo, andare a predicare la verità alle genti dell’India?”. E dopo che ebbe riflettuto e così parlato, il Salvatore comparve a lui nella notte e gli disse: “Non temere, Tommaso. Vai in India e predica colà la parola, poi- chè la mia Grazia è con te”. Ma egli non voleva obbedire, e disse: “Mandami ovunque vuoi, ma da qualche altra parte! Perchè io non andrò in India”. (Acta Thomae I)4

Secondo gli Atti di Tommaso, Gesù allora vendette il riluttante Tommaso come schiavo al mercante indiano Abban, al quale il re Gundafor (Gondaphares) aveva chiesto di trovargli un carpentiere. (Le scoperte di mucchi di antiche monete hanno confermato che il re degli Indo-Parti Gundafor era veramente sul trono durante il primo secolo). Gesù firmò un contratto con Abban, “pattuito per la somma di tre libbre di argento grezzo”. Questa storia poco realistica ci dice presumibilmente che il prezzo del viaggio di Tommaso per l’India venne pagato da Gesù, e che in questo modo Gesù si era assicurato che Tommaso vi sarebbe arrivato davvero. Come l’apocrifo Vangelo di Tommaso, gli Atti di Tommaso sono di origine siriana, e possono essere fatti risalire come tradizione all’attività missionaria dello stesso Tommaso in Edessa. Inoltre la tradizione dice che i suoi resti furono riportati ad Edessa durante il quarto secolo, molto tempo dopo che l’apostolo era morto presso Madras nell’India meridionale. Gli Atti di Tommaso e il Vangelo di Tommaso sono strettamente collegati. Entrambe sono opere eso- teriche degli Gnostici scritte in Aramaico siriano (Siriaco) e usate all’inizio del terzo secolo dai Manichei tardo-gnostici (Mani nacque nel 217). Un “Vangelo di Tommaso” è menzionato per la prima volta e commentato da Ippolito (Rif. V - 7,20) nel suo rapporto sui “Naasseni” circa nell’anno 230 d.C. Il nome dell’apostolo Didimo Giuda Tommaso significa “Giuda il

275 La vita di Gesù in India

Gemello” (il greco didymus e l’aramaico toma’ segnificano entram- bi “gemello”), e può bene indicare una relazione particolarmente stretta con Gesù. Nei testi copti, la parola “gemello” sembra essere sostituibile con l’espressione “amico e compagno”, di cui è perciò sinonimo. Gli Atti di Tommaso affermano che Tommaso aveva avuto il privilegio di essere stato introdotto ai più profondi segreti di Gesù. Nel Capitolo 39 ci si rivolge all’apostolo con il suo titolo particolare, “Fratello gemello di Cristo, apostolo dell’Altissimo, iniziato alla conoscenza della parola nascosta di Cristo, tu che hai ricevuto i suoi pronunciamenti segreti”. E in un’altra versione: “Tu che hai avuto conoscenza della Parola segreta di Chi ha dato la Vita, e che hai ricevuto i Misteri nascosti del Figlio di Dio”5. Tommaso è perciò il custode (che è il significato della radice di “Nazareno”) delle parole segrete di Gesù, rivelate unicamente a lui. Nel Vangelo di Tommaso (nei testi gnostici copti di Nag Ham- madi), si trova il passaggio seguente:

Gesù disse ai suoi discepoli: “Paragonatemi a qualcuno e ditemi a chi sono simile”. Simon Pietro Gli disse: “Tu sei come un messag- gero di rettitudine”. Matteo Gli disse: “Tu sei come un uomo che è un saggio filosofo”. Tommaso Gli disse: “Maestro, la mia bocca è completamente incapace di dire a chi sei simile”. Gesù disse: “Io non sono il vostro maestro. Perchè voi avete bevuto, voi vi siete intossicati con la sorgente spumeggiante che io vi ho dato”. Ed Egli lo prese in disparte e gli disse tre parole. Quando Tommaso ritornò dai suoi compagni, essi gli chiesero: “Cosa ti ha detto Gesù?” Tom- maso disse loro: “Se io vi dico una delle cose che mi ha detto, voi raccoglierete pietre e me le tirerete addosso, e una fiamma sorgerà dalle pietre e vi brucierà”. (Logion 13)6 T ommaso era evidentemente entrato nelle più profonde dimensioni della conoscenza, ed ora sembrava quasi uguale a Cristo. Le conversioni effettuate dagli apostoli hanno un ruolo note- vole negli Atti di Tommaso. Ci sono molte descrizioni di riti di iniziazione che comprendono elementi sacramentali. Al nuovo adepto veniva posto il “sigillo” mediante l’unzione con l’olio e la

276 9. Dopo la crocifissione partecipazione all’Eucarestia. In questa Messa o Eucarestia (o Santa Comunione) veniva consumato solo pane, perchè il calice veniva impiegato soltanto per contenere acqua. Nella seconda parte degli Atti di Tommaso, il re indiano Misdai dice che l’olio, l’acqua e il pane erano elementi della “magìa” degli apostoli. L’iniziato era chiamato servo o servitore di Dio, gli era detto che partecipava del Potere di Dio, ed era da quel momento considerato un membro del corpo dei credenti. Il divenire “servo” o “cameriera” in potere di Dio, spiega come mai Tommaso fu “venduto come schiavo” a qualcuno chiamato Abban (Abba significa “Padre”). L’elevazione da un ordinario Fratello dell’Ordine degli Es- seni al più alto livello di Nazareno veniva suggellata attraverso l’unzione del capo con olio consacrato, e un’ulteriore unzione dell’iniziato nudo. I Nazareni dovevano sembrare molto simili uno all’altro. Erano tutti vestiti con gli stessi abiti bianchi e portavano tutti i capelli e la barba con lo stesso stile. Perciò è possibile che il termine “gemello”, applicato a Tommaso, fosse semplicemente un’allusione alla somiglianza nell’aspetto esterno dei due uomini. Negli Atti di Tommaso vi sono numerosi resoconti di errori di identità, anche se Tommaso era più giovane di dieci anni buoni rispetto a Gesù. Nella stessa notte delle nozze, il Re di Andrapa accompagnò l’apostolo Tommaso nella camera nuziale, in modo che potesse convertire la coppia appena sposata. Dopo che Tommaso ebbe pregato con la coppia, tutti gli altri lasciarono la stanza.

Ma dopo che tutti se ne furono andati e le porte furono chiuse, lo sposo sollevò la cortina della camera nuziale per chiamare la sua sposa. E vide il Signore Gesù che parlava con la sposa, e assomi- gliava a Giuda Tommaso, che li aveva appena benedetti e poi se ne era andato. Lo sposo disse a Gesù: “Ma non te ne sei appena andato? Perchè sei rientrato?”. Ma il Signore rispose: “Io non sono Giuda detto Tommaso; sono suo fratello”. E il Signore si sedette sul letto, dicendo loro di sedersi sul sofà, e proseguì dicendo loro: “Ricordatevi, figli miei, quello che vi ha detto mio fratello e a chi vi ha raccomandato...”

277 La vita di Gesù in India

(Actae Thomae 11-12)7

Un capitolo precedente (il Capitolo 8) descrive l’incontro fra Tommaso e una donna ebrea che suonava il flauto alle feste di nozze. Dal tempo della caduta del regno di Israele (722 a.C.) c’erano probabilmente comunità israelitiche sparse un po’ dovun- que attraverso il Medio Oriente. È probabile che, man mano che viaggiava verso oriente, Gesù fosse sempre in grado di trovare buona accoglienza fra gli esiliati Figli di Israele, o almeno fra i simpatizzanti degli Israeliti. Secondo il Libro di Esther, in Parthia (moderni Iraq ed Iran) c’erano i più grossi insediamenti di Israe- liti. Più tardi le comunità israelitiche formarono un’alleanza per opporre una forte resistenza all’invasione dell’Imperatore Traiano (attorno al 115 d.C.). Molti nomi di località lungo l’antica Via della Seta suggerisco- no un collegamento con Gesù o Maria, specialmente come luoghi di sosta. Presso Efeso, sulla costa ovest di quella che oggi è la Turchia, ad esempio, c’è una “Casa di Maria”. Forse Gesù e sua madre si fermarono un po’ lì prima di continuare il loro viaggio verso oriente. Un buon numero di documenti storici si riferiscono al soggiorno di Gesù in Persia. Il nome e il titolo di Gesù cambiano da stato a stato, e sono continuamente adattati da una lingua all’altra, in accordo con le condizioni e le tradizioni locali. Nei posti dove Gesù si è fermato per un periodo più lungo, i nomi locali si sono molto probabilmente conservati con più facilità nel corso degli anni. Complessivamente, sembra che siano passati più di sedici anni dopo la Crocifissione di Gesù prima che egli arrivasse in Kashmir con il suo seguito. In Parthia, Gesù era evidentemente conosciuto con il nome di Yuz Asaf. Il significato di questo nome è riportato nel Farhang-i- Asafia, un’antica opera che racconta la storia della Persia, in cui si riferisce che Gesù (Hazrat Issa)8 guarì alcuni lebbrosi, che da allora furono chiamati Asaf – “i purificati” – essendo stati curati dalla loro malattia. Yuz significa “guida”, così che Yuz Asaf può

278 9. Dopo la crocifissione essere preso a significare “guida dei guariti”, un epiteto comune per Gesù e che probabilmente allude alla missione di Gesù di al- lontanare gli “spiriti immondi” e riportare tutti alla vera Fede. Con questo nuovo nome Gesù era probabilmente in grado di muoversi con maggiore sicurezza ed evitare i suoi persecutori – dopo tutto, i sacerdoti persiani non avevano probabilmente dimenticato la sua precedente visita alla loro terra. Secondo le varie tradizioni, il profeta entrò in quelle terre da occidente. Le sue parole e i suoi insegnamenti non avevano conte- nuto diverso da quelli di Gesù Cristo; si dice anche che egli abbia soggiornato a Mashag, dove avrebbe visitato la tomba di Sem, il figlio di Noè (Jami-ut-Tawarik, Vol. II). Sono arrivati fino a noi diversi manoscritti che narrano come Yuz Asaf abbia predicato attraverso tutta la Persia (moderno Iran) e abbia convertito un gran numero di persone. Le descrizioni in dettaglio del suo insegnamento (come l’Ahwali Ahaliau-i-Paras di Agha Mustafai) confermano in continuazione ancora una volta che Yuz Asaf e Gesù erano la stessa identica persona. Il poeta ufficiale alla corte di Akbar, l’imperatore Mogul dell’India, chiamava Gesù Ai Ki Nam-i-to Yus o Kristo, o “Tu, il cui nome è Yuz o Cristo”. Sebbene il titolo greco Christos abbia assunto varie forme derivate che si sono poi consolidate in diverse lingue occidentali, in Oriente è il nome Yuz Asaf che si è conservato attraverso i secoli. Anche negli attuali Afghanistan e Pakistan si trovano nomi di località che evidentemente comme- morano la presenza e l’attività di Gesù. Per esempio, ci sono due pianure che portano il nome del profeta Yuz Asaf nell’Afghanistan orientale, presso le cittadine di Ghazni e Jalalabad, dove, secondo la tradizione, Gesù si era recato. C’è poi la presenza di Gesù e Tommaso a Taxila (attualmente in Pakistan), alla corte del Re Gundafor durante il ventiseiesimo anno del suo regno (47 d.C.), come è riportato negli Atti di Tommaso. Il re chiede a Tommaso di costruire un meraviglioso palazzo, ma l’apostolo distribuisce invece ai bisognosi il denaro ricevuto in pagamento. Tommaso ringrazia Gesù per questa opportunità di rendersi utile:

279 La vita di Gesù in India

“Io ti ringrazio, o Signore, in tutti i modi possibili, tu che sei morto per breve tempo (!), che io possa vivere eternamente in Te; e per avermi venduto, allo scopo di liberare tanti altri per mezzo mio”. E non cessò mai di predicare e dare sollievo agli afflitti, dicendo: “Il Signore ti dà questo, ed assicura che chiunque riceverà il nutri- mento. Poichè egli è colui che nutre gli orfani ed aiuta le vedove, ed offre il dono della tranquillità e della pace a tutti coloro che sono afflitti”. (Actae Thomae 19)9 Infine, lo stesso re si convertì, ricevendo un “palazzo in Cielo” per festeggiare l’evento! Tommaso diede l’iniziazione a Gundafor e a suo fratello Gad, “mise loro il sigillo” col battesimo d’acqua e con l’unzione d’olio e celebrando l’Eucarestia: così li portò come pecore nel gregge del Signore. “Perchè abbiamo udito che il Dio che adori riconosce la sua pecora dal suo sigillo”. Alla conclusione del rito di iniziazione, comparve Gesù stesso e disse: “La pace sia con voi, Fratelli” (Actae Thomae 27)10. Il testo continua, “E (Tommaso)... prese il pane, l’olio, la verdura e il sale, li benedì e li diede all’assemblea. Tuttavia lui personalmente continuò il suo digiuno, perchè stava iniziando il Giorno del Signore”. Evidentemente Gesù non rimase con conti- nuità alla corte del re, sebbene vi ritornasse con regolarità. In ogni caso, la notte seguente egli visitò di nuovo Tommaso, che lo stava aspettando, e gli disse:

T ommaso, alzati presto, benedici tutti, e dopo la preghiera e l’ado- razione, va lungo il sentiero verso est per due miglia, e là io ti mostrerò la mia gloria. Con l’opera che stai per cominciare, molti cercheranno rifugio in me e tu trionferai sul mondo e sul potere del nemico. (Actae Thomae 29)11 Nel posto indicato da Gesù, l’apostolo trovò un ragazzo che sembrava morto. Egli lo riportò alla vita, in presenza di un certo numero di spettatori. Il giovane, che viene descritto come “di aspetto

280 9. Dopo la crocifissione piacevole”, disse a Tommaso di avere visto Gesù: “Perchè io ho visto quell’uomo, che stava presso di te, e lo udii che ti diceva: Ho molti miracoli da compiere per tuo tramite, e ci sono grandi opere che eseguirò attraverso la tua persona...”12. Il successivo indizio del suo passaggio sulla via seguita da Gesù verso oriente si trova in una cittadina chiamata Mari, 70 kilometri a est di Taxila. In questo paese di montagna, situato in posizione idilliaca (anticamente scritto Murree sulle carte topografiche inglesi) sul confine con il Kashmir, è stata tenuta in ordine e onorata da tempi immemorabili una tomba, che è conosciuta come Mai Mari da Asthan, il “Luogo dell’ultimo Riposo della Madre Maria”. Quando Gesù raggiunse questa zona con il suo gruppo, sua madre doveva avere oltre settanta anni di età ed essere indubbia- mente stanca per il lungo viaggio. Poichè non c’è nessuna traccia di una tomba di Maria in nessun altro posto, è molto probabile che Maria sia stata sepolta qui. Gesù certamente non avrebbe proseguito senza di lei, lasciandola indietro senza protezione e alla mercè dei suoi nemici. Come molte tombe nella regione del Kashmir, questa tomba è allineata con orientamento est-ovest, mentre nelle aree di cultura islamica le tombe sono sempre orientate nord-sud. La tom- ba di Maria è situata sulla Punta Pindi, una montagna all’esterno della piccola città, ed è onorata dalla popolazione islamica locale come tomba della madre di Gesù. (Per i Mussulmani Gesù, o Issa, è venerato come uno dei profeti più grandi). Oggi il posto è compreso in una zona militare non accessibile per la sua vicinanza alla linea di cessate-il-fuoco. L’area attorno a Mari era indù al tempo di Cristo. Ma gli Iindù normalmente cremano i loro morti e ne disperdono le ceneri; solo i monaci (sadhu) e i santi vengono sepolti nella terra. Poichè la tomba risale ai tempi pre-islamici (e perciò indù), la persona lì sepolta deve essere stata considerata come santa. Quando le orde islamiche irruppero nell’India settentrionale nel- l’ottavo secolo e parte della popolazione locale venne convertita, i conquistatori distrussero molti dei posti di culto degli “infedeli”. Tuttavia il santuario della tomba di Maria non venne danneggiato,

281 La tomba di Maria, madre di Gesù, a Mari, in Pakistan. 9. Dopo la crocifissione presumibilmente perchè i Mussulmani furono capaci di riconoscere dalla particolare posizione della tomba che si trattava dei resti santi di una persona delle “Genti del Libro” – i Cristiani o gli Ebrei – che rispettavano. (Fig. 40). Nel 1898, l’esercito inglese costruì una torre di osservazione proprio vicino al monumento, ma questo non impedì ai numerosi pellegrini di visitare il sacro santuario. Poi nel 1917, un certo capitano Richardson ordinò di radere al suolo la tomba per tenere lontani i pellegrini dalla zona militare. Forti manifestazioni di protesta da parte della popolazione fecero intervenire prontamente i funzionari locali, per cui la distruzione del santuario venne fermata prima di essere completata. La controversia sulla Tomba di Maria è tutta registrata negli archivi dell’amministrazione locale e catalogata in data 30 luglio 1917. La tomba fu restaurata nel 1950, subito dopo la rimozione della torre di vedetta. Ora la tomba è “decorata” con il traliccio di una trasmittente televisiva. Oggi una strada asfaltata scorre, attraverso un panorama di montagne boscose, da Mari a Srinagar, la capitale del Kashmir, lontana 170 kilometri. Circa 40 kilometri a sud di Srinagar, fra i villaggi di Naugam e Nilmag, in una valle ampia e aperta, si trova lo Yus-Marg, il “Prato di Gesù”, dove Gesù predicò – o almeno così dice la tradizione delle tribù di pastori conosciute come i Bani-Israel, i “Figli di Israele”, che si dice si siano stabiliti nell’area dal 722 a.C. Gli Atti di Tommaso proseguono raccontando che l’apostolo Tommaso visse per un certo tempo come missionario alla corte del re indiano Misdai, nell’India meridionale, dove ancora fece molti seguaci e convertì un gran numero di persone. Tuttavia alla fine cadde in disgrazia e subì il destino di un martire. Quando Marco Polo ritornò in Europa nel 1295 dopo il suo soggiorno di venti- cinque anni in Estremo Oriente, portò la notizia che sulla costa orientale dell’India del Sud vivevano moltitudini di Cristiani, che veneravano la tomba dell’apostolo Tommaso e che usavano una terra rossa tinta dal sangue del martire per eseguire guarigioni a mezzo della fede. Il grande viaggiatore veneziano trovò dei Cristiani

283 La via seguita da Gesù verso l’India. 9. Dopo la crocifissione anche sulla costa del Malabar nella parte occidentale dell’India del Sud (l’odierno Kerala), che si chiamavano “Cristiani di Tommaso”. La loro forma di Cristianesimo “poteva essere fatta risalire a tempi molto antichi”, secondo l’espressione di Marco Polo. Ma ci sono documenti molto più antichi che testimoniano la presenza di Cristiani in India13. Tertulliano elenca l’India fra le terre “governate” dal Cristianesimo. Ephraem Syrus (o Ephraim di Siria, circa 306-373 d.C.) racconta dell’attività missionaria di Tommaso in India, e anche Anorbio (attorno al 305 d.C.) conta l’India fra le terre cristiane. Uno dei dignitari che hanno preso parte al concilio di Nicea portava il titolo di Vescovo di tutta la Persia e della più Grande India. La tomba dell’apostolo Tommaso è stata venerata fino ad oggi dai Cristiani nella città di Mylapore presso Madras, nell’India me- ridionale, anche se si dice che le sue ossa siano state portate da lì ad Edessa da lungo tempo, all’inizio del quarto secolo. Nell’anno 1900 comparve su un giornale inglese un breve arti- colo che attirò l’attenzione di tutto il mondo teologico. Il rapporto annunciava che fra le rovine della città indiana di Fatehpur Sikri (non lontano da Agra, circa 175 kilometri a sud di Delhi), era stato trovato inciso su un muro un discorso di Gesù completamente sconosciuto all’Occidente cristiano. Fatehpur Sikri fu per un breve periodo la capitale dell’Impero Mogul in India sotto il Gran Mogul Akbar (1542-1605), ma venne abbandonata alcuni anni dopo la sua costruzione. Il Gran Mogul fece un ingresso trionfale nella città nel maggio 1601, e per commemorare l’evento fece scolpire l’iscrizione sopraddetta sulla porta principale meridionale (Buland Darwaza) della grande moschea. Quasi venti anni prima, nel 1582, Akbar aveva proclamato un razionale monoteismo (Din-i-Ilahi), in un tentativo di mettere insieme le numerose religioni dell’India. Egli aveva compiuto studi approfonditi sull’Induismo, il Parsismo e il Giainismo, e aveva appreso tutto quello che poteva sui Vangeli cristiani dai Gesuiti portoghesi che vivevano alla sua corte. Il suo progetto era di unificare l’India, che a quel tempo era spezzettata in varie fazioni religiose, con un’unica religione basata sulle dottrine

285 La vita di Gesù in India

L’agraphon scolpito su una parete del palazzo del Re Akbar a Fatehpur Sikri presso Agra. essenziali di tutti gli insegnamenti. Akbar deve avere scelto queste particolari parole di Gesù perchè gli erano sembrate la formulazione migliore possibile delle sue idee, altrimenti era ben difficile che avrebbe dato loro un tale rilievo. Le parole sono incise sul lato sinistro dell’enorme arco, al mo- mento di lasciare i confini della moschea per la porta principale, insieme al riferimento all’occasione commemorata e alla data: Gesù (la pace sia con lui) disse: “Il mondo è come un ponte. At- traversalo – ma non fermarti su di esso!”

In un altro posto, sopra l’arco dell’ala nord della moschea (Liwan), la stessa frase si trova scritta in forma modificata: “Gesù (la pace sia con lui) disse: Il mondo è come una casa troppo apprezzata. Prendilo come un avviso, ma non costruire su di esso!” È ben difficile che siano stati i missionari portoghesi a dare ad Akbar questo agraphon (in greco “non scritto” è il termine tecnico per indicare un detto di Gesù non contenuto nei Vangeli),

286 9. Dopo la crocifissione perchè non si può trovare in alcun testo cristiano. Non è neppure compreso nell’estesa Vita di Gesù che il gesuita Jerome Xavier scrisse per Akbar. Perciò è veramente possibile che l’agraphon provenga realmente dai primi Cristiani di Tommaso. Le parole iniziali delle due affermazioni, una frase introduttiva che è sempre la stessa, si trova anche nei racconti islamici su Gesù dei periodi successivi, e questo fatto ha condotto molti orientalisti a dedurre che quelle parole arrivarono in India attraverso l’Islam. Ma non può essere questa la spiegazione, perchè c’è una concordanza no- tevole, nella forma e nel contenuto, fra queste massime e quelle molto più antiche lasciate da Gesù e riportate nell’apocrifo Vangelo di Tommaso. Il Vangelo di Tommaso è oggi accessibile nella sua interezza grazie alle sensazionali scoperte fatte a Nag Hammadi nel 1945. Il “Vangelo” non è una narrazione coerente come i Vangeli biblici, ma una raccolta di 114 brevi discorsi di Gesù (Logia), disposti in ordine arbitrario. La maggior parte dei Logia hanno come introduzione la stessa formula, “Gesù disse...” Il Vangelo di Tommaso inizia dicendo che cosa è: “Queste sono le parole segrete che Gesù disse quando era vivo, e che Didimo Giuda Tommaso mise per scritto. Ed egli (Gesù) disse: Chiunque arrivi a comprendere queste parole non proverà la morte”14. Anche se non fosse possibile provare che l’apostolo Tommaso visitò l’India, ci sono notevoli evidenze di attività missionaria at- traverso tutta l’India molto tempo prima della conquista da parte dei Maomettani. Si dice che Pantainos di Alessandria si sia im- battuto in un Vangelo di Matteo in aramaico durante i suoi viaggi missionari in India attorno all’anno 180 d.C. La Cronaca di Seert (I sezione 8, par. 5) riferisce che il Vescovo Davide di Bassora (un contemporaneo di Metropolitan Papa che morì nel 316 d.C.) si recò in India e vi predicò con grande successo. Attorno all’anno 335 (come riportato più tardi da Filostorgio, prima del 433 d.C.), l’Imperatore Costantino mandò il Vescovo Teofilo in India per riformare la liturgia e i rituali di adorazione. Alla fine del quarto secolo, Simeone di Mesopotamia fa men- zione del martirio di alcuni Indiani considerati “barbari” per la

287 La vita di Gesù in India loro fede cristiana. Attorno al 490 d.C. il Vescovo Ma’an di Persia mandò suoi scritti verso l’India (secondo la Cronaca di Seert, II sezione 9). Infine, Cosma Indicopleuste ci ha lasciato il resoconto di un viaggio in India che intraprese attorno all’anno 525, fornendo precisi dettagli geografici. Egli trovò dei Cristiani sull’isola di Sri Lanka e sulla costa occidentale dell’India, “nel Male, dove cresce il pepe (cioè, nel Malabar) e nel luogo chiamato Kalliana (Kalyan, presso Bombay)”, ed afferma inoltre che Kalliana era la sede di un vescovo che era stato in Persia15. Sebbene sia evidente che Gesù era conosciuto in India molto tempo prima dell’arrivo dell’Islam, le affermazioni su di lui che si trovano nel Corano sono rivelatrici. Il Corano dice che Gesù non morì sulla Croce, ma sopravvisse al tentativo di esecuzione e poi andò a vivere in una “valle felice”.

Il “vero” Gesù nell’Islam Issa, il nome comunemente usato per Gesù nell’Islam, deriva dal siriaco Yeshu. La ragione per cui i riferimenti al profeta Issa nel Corano sono così estesi è probabilmente dovuta al proposito di correggere “l’immagine alterata e distorta che risulta dagli scritti dei suoi seguaci”. Gesù è considerato come l’ultimo grande profeta prima di Maometto. Vi si dice anche che egli aveva profetizzato la venuta del “più grande di tutti i profeti”: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle. Quando, però, verrà lui, lo Spirito di verità, vi introdurrà a tutta intera la verità: egli, infatti, non parlerà per conto suo, ma dirà quanto ascolta, e vi annunzierà le cose da venire. Egli mi glorificherà, perchè prenderà del mio per comunicarvelo. (Giovanni 16:12-14)

Maometto considerò sè stesso come il promesso “Spirito di verità”, e perciò sentì di essere chiamato a reinterpretare l’in- segnamento di Gesù e a riabilitare l’uomo dopo quella che era stata creduta una vergognosa morte sulla Croce. Dopo essere sta-

288 9. Dopo la crocifissione to liberato dall’umiliazione della morte per crocifissione, Gesù fu accolto con gioia nel corpo dei profeti dell’Islam come colui che ha preparato la via a Maometto. Nello stesso tempo, “Il Messia, il figlio di Maria, è stato un Messaggero; altri Messaggeri (come lui) erano venuti prima” (Corano 5,76). Sulla missione di Gesù, il Corano dice: “In verità, Noi (cioè, Dio) donammo il Libro a Mosè e facemmo seguire lui dagli altri Messaggeri; abbiamo inoltre accordato a Gesù, figlio di Maria, i segni manifesti della sua missione, e l’abbiamo fortificato con lo Spirito della Santità” (Corano 2,88). Il Corano respinge con chiarezza l’affermazione della teologia cristiana che Gesù è uomo e Dio:

O gente del Libro, non trasgredite i limiti della vostra religione. Non dite, riguardo a Dio, se non la verità. Certo il Messia, Gesù, figlio di Maria, fu solo un Messaggero di Dio e il compimento della sua Parola che egli diede a Maria, e un dono di grazia proveniente da lui. Credete dunque in Dio e nei suoi Messaggeri e non dite: (essi sono) “Tre”. Desistete da ciò, e questo sarà meglio per voi. In verità, Dio è un Dio solo. Lontano sia dalla sua gloria che egli abbia un figlio! (Corano 4,172)

E in un altro punto:

...Essi imitano gli infedeli di un tempo. Dio li confonda! Quanto vanno errati! Essi venerano i loro rabbini e i loro monaci come dèi davanti a Dio, e così pure il Messia, il figlio di Maria. Eppure era stato ordinato loro di adorare solo l’unico Dio. Non c’è altro Dio fuori di lui. Gloria a Lui che è ben al di sopra di coloro che essi deificano dinanzi a Lui! (Corano 9,30-31)

Il Corano afferma chiaramente che Gesù non morì sulla Croce, e che i Giudei furono tratti in errore: Essi hanno negato la verità, e hanno espresso una falsità mostruosa contro Maria. Essi hanno dichiarato: “Abbiamo messo a morte il

289 La vita di Gesù in India

Messia Gesù, il figlio di Maria, il Messaggero di Dio”. Essi non l’hanno ucciso, nè l’hanno crocifisso, ma è stato fatto apparire a loro come se lo fosse stato. Quelli che erano di altro avviso su questo, erano in dubbio sulla sua morte; ciò che sapevano su questo era pura congettura... In realtà, Dio lo elevò alla Sua presenza, poichè Dio è potente e saggio. (Corano 4,156-157)

L a parola araba per “crocifiggere” qui significa chiaramente “mettere a morte tramite crocifissione”. Ma questo passaggio indica che nel Corano una crocifissione senza la morte della persona cro- cifissa non è fuori questione. Cosa ancora più notevole, al tempo in cui il Corano fu scritto sembra che i Giudei stessi fossero in dubbio sul fatto se Gesù fosse realmente morto sulla Croce. Inoltre il Corano non trascura di fornire una risposta alla que- stione di dove Gesù sia andato dopo la Crocifissione: “Facemmo inoltre del figlio di Maria e di sua madre un segno per l’umanità e demmo ad entrambi un rifugio su alture tranquille bagnate da fresche sorgenti” (Corano 23,51). Quanto bene questa descrizione del posto di rifugio si applichi al Kashmir è assolutamente sor- prendente. In un’altra traduzione, il luogo fra le montagne è anche chiamato “una verde vallata”. Secondo (nato a Qadian, nel Punjab, nel 1835 e fondatore del movimento riformista islamico Ahmadi- ya), il Corano conferma la verità che Gesù fu salvato dalla morte sulla Croce e quindi da una morte infausta che non sarebbe stata degna di lui. Anche uno o due passaggi dei Vangeli sembrano confermare che Gesù sia sopravvissuto alla Crocifissione. Gesù fece un’af- fermazione in cui si paragonò a Giona, che era sopravvissuto dopo essere stato ingerito nella pancia di una balena ed era poi riapparso. Se Gesù fosse stato disteso morto nel sepolcro, non si sarebbe potuto fare alcun parallelo fra i due. “Come, infatti, Giona rimase tre giorni e tre notti nella pancia della balena, così il Figlio dell’uomo rimarrà tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Matteo 12:40).

290 9. Dopo la crocifissione

Per la setta Ahmadiya (una forma popolare di Islam esistente ancora oggi), il fatto che Gesù abbia superato le torture della Cro- cifissione è un compimento delle profezie dell’Antico Testamento. Il “retto servitore” di Isaia, ad esempio, “fu strappato via dalla terra dei vivi: per l’iniquità del mio popolo fu percosso... Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori: perchè offrirà sè stesso in espiazione dei peccati... egli prolungherà i suoi giorni, e la volontà del Signore si compirà per mezzo suo” (Isaia 53:8,10). A parte “portar via dalla terra dei vivi” e alcuni altri riferimenti a quella che poteva essere interpretata come la morte, il Libro del profeta Isaia non dice in alcun punto che il promesso servitore del Signore sarebbe realmente morto. Anche le profezie del Salmo 34 non dicono nulla sulla morte del futuro Messia: “Molte sono le disgrazie del giusto: ma il Signore lo fa scampare da tutte” (Salmi 34:19). Così è difficile che Dio abbia progettato per Gesù una vergognosa morte per crocifissione. Dal punto di vista tradizionale degli Arabi, un uomo è maledetto solo se volta le spalle a Dio nel suo cuore, “diventa scuro”, non ha più amore per Dio, viene privato della grazia di Dio per sempre, ed è lontano da ogni conoscenza di Dio; se egli, come Satana, è pieno del veleno della falsità e non viene più raggiunto neanche da un solo raggio della luce dell’amore; e se respinge qualunque relazione con Dio ed è pieno di risentimento, odio e inimicizia verso Dio, Dio diventa suo nemico e si allontana da lui disgustato! Mirza Ghulam credeva che i Cristiani non potessero essersi mai resi conto pienamente dell’orrore e della vergogna che si accompagnano alla descrizione “maledetto sul legno della croce”, altrimenti non avrebbero mai pensato alla morte sulla Croce come ad un modo della loro adorazione al virtuoso Gesù. Alcuni moderni specialisti di filosofie orientali sono dell’opi- nione che la verità su Gesù e il suo insegnamento siano stati in qualche modo realmente meglio conservati nell’Islam piuttosto che nel Cristianesimo. L’Arabia, essi dicono, diventò cristiana subito. Il cristiano Maometto tentò attraverso il suo messaggio di proteggere l’insegnamento originario di Gesù difendendolo dalle proliferanti

291 La vita di Gesù in India distorsioni, ma anche il suo messaggio venne alterato dopo la sua morte proprio come era accaduto in precedenza all’insegnamento di Gesù16.

Gesù in Kashmir Se Gesù visse realmente in Kashmir per un considerevole periodo di tempo – se, in altre parole, è giusta la tradizione secondo la quale egli morì infine a Srinagar quando aveva più di ottant’anni – allora dovrebbe essere possibile trovare qualche evidenza nell’an- tica letteratura indiana di come passò gli ultimi trenta o quaranta anni della sua vita. Il problema è che chi scriveva in India in quei tempi antichi voleva evitare che influenze esterne potessero avere qualche impatto sulla cultura locale propria, anche solo nel riferire avvenimenti storici. Un esempio di questo è la completa assenza di descrizioni o resoconti scritti contemporanei persino dell’imponente campa- gna militare in India di Alessandro il Grande. Gli specialisti di storia indiana concordano sul fatto che non ci sia stata alcuna storia scritta in modo sistematico in India prima della diffusione dell’Islam17. Le antiche narrazioni degli Indù sono chiamate i Purana (dal sanscrito purana, “antico”). Dal quinto o quarto secolo avanti Cristo fino al diciassettesimo secolo dopo Cristo sono stati costantemente aggiornati con l’aggiunta di nuove “storie”18. L’intera raccolta consiste normalmente in diciotto volumi, tutti scritti in sanscrito, l’antica lingua sacra dell’India. Il nono volume, chiamato il Bha- vishyat Maha-Purana e scritto fra il terzo e il settimo secolo d.C., contiene un supplemento che descrive come Gesù arrivò in India. La descrizione è così chiara che non ci può essere alcun dubbio su chi sia la persona cui si riferisce. Il Purana riferisce che gli Israeliti vennero a vivere in India e poi, nei versi 17-32, descrive la comparsa di Gesù sulla scena: Shalivahana, il nipote di Vikramajit, salì al potere. Egli sconfisse le orde attaccanti dei Cinesi, dei Parti, degli Sciti e dei Battriani.

292 9. Dopo la crocifissione

Tracciò un confine fra gli Ariani e i Mleccha (i non-Indù), e ordinò a questi ultimi di ritirarsi sull’altra sponda dell’Indo. Un giorno Shalivahana, il signore dei Shaka, arrivò fra montagne coperte di neve. Qui, nella terra degli Huna, il potente re vide un uomo di bell’aspetto che stava seduto in quella località fra le montagne. Aveva un corpo bianco e portava abiti bianchi. Il re chiese al sant’uomo: “Chi sei?” L’altro rispose: “Sappi che io sono Ishaputra (in sanscrito “Figlio di Dio”), nato da una vergine, portatore degli insegnamenti dei barbari (Mleccha), che portano la verità”. Il re allora gli chiese: “Di quali insegnamenti parli?” L’altro rispose: “Alla fine del Satya Yuga19, l’Età dell’Oro, io sono comparso come Masiha (il Messia) nella terra depravata dei non-credenti. Anche la dea Ishamasi apparve ai barbari (Dasyu) in una forma terribile. Fui portato davanti a lei nel modo dei non- credenti e raggiunsi il Masiha-tva (lo stato di Messia). Ascolta, o re: io ho portato la religione ai non-credenti. Dopo la purificazione dello spirito ed aver ripulito il corpo impuro, ed aver cercato rifugio nelle preghiere del Naigama, l’uomo arriverà ad adorare l’Eterno. Attraverso la verità, la meditazione e il raccoglimento dello spiri- to, l’uomo troverà la sua via verso Isha (in sanscrito, “Dio”), che vive nel centro di Luce, che rimane immutabile come il sole e che dissolve per sempre tutto ciò che è transeunte. Così Ishamasi fu dissolta, e l’Immagine di Isha si rivelò nel cuore, sempre puro e colmo di gioia; e io fui chiamato Isha-Masiha”. Dopo che il re ebbe udito queste parole, si inchinò al predicatore dei barbari e lo mandò per la sua strada verso la loro terra20.

Il “predicatore dei non-credenti” si riferisce a sè stesso come Isha-Masiha. La parola sanscrita Isha significa “Signore” e viene usata per “Dio”. Masiha corrisponde alla parola “Messia”. Perciò Isha-Masiha significa “il Signore, il Messia”. Altrove l’uomo ve- stito di bianco chiama sè stesso Isha-putra, “Figlio di Dio” e dice di essere nato da una vergine (in sanscrito kumari). Poichè non c’è nessuna leggenda simile che si possa trovare nella letteratura indiana prima di questa, la persona descritta deve essere Gesù. La “dea Ishamasi” sembra essere un’espressione generale per qualunque

293 La vita di Gesù in India

Un passaggio del Bhavishyat Maha-Purana (come compare in una recente edizione), nel quale è citata la permanenza di Gesù in Kashmir. cosa cattiva e maligna: questo nome non si trova in nessun’altra parte nella letteratura. La parola Naigama è evidentemente il nome di qualche sacra(e) scrittura(e), ma ancora non c’è alcun riferimento ad essa(e) da nessuna parte. Alcuni traduttori pensano che ci si riferisca ai Veda. Secondo il Professor Hassnain, il re Shalivahana regnò nel periodo Kushan dal 49 al 50 d.C. Altri commentatori pongono l’inizio dell’era Shaka o Shalivahana nel 78 d.C. Le uniche “montagne coperte di neve” in India sono nella catena Himalayana. Gli studiosi non sono stati ancora in grado di localizzare con precisione la “terra degli Huna”, ma deve trattarsi di una regione dell’Himalaya dell’ovest, da qualche parte fra le colline del Punjab e il monte Kailash nel Tibet occidentale presso il confine indiano; questa vasta area comprende anche il Ladakh. Un’ulteriore evidenza che Gesù visitò l’area Himalayana è

294 9. Dopo la crocifissione fornita da una tomba menzionata dal pittore Nicholas Roerich in The Heart of Asia, pubblicato nel 1930. La tomba si trova a nord del Ladakh, nel vicino Turkestan orientale, che ora è la provincia cinese del Sinkiang (Xinjiang), a circa dieci kilometri dalla cittadina di Kashgar, e si dice sia quella di una certa Maria, che era fra i seguaci di Gesù. L’apocrifo Vangelo di Filippo fa menzione di tre donne che non lasciarono mai Gesù dopo la Crocifissione. Tutte tre si chiamavano Maria: sua madre e la sorella (forse la moglie di Cleopa?), e Maria Maddalena, “che era chiamata la sua com- pagna”. L’idea che questa tomba presso Kashgar sia di una Maria (una o l’altra) si può così ben considerare come basata sui fatti. Durante gli ultimi anni della sua vita in India, Gesù non rimase nello stesso posto ma si mosse da un luogo all’altro come mini- stro itinerante fintanto che la sua salute glielo consentì. Ci sono comunque molte indicazioni che egli tendeva sempre a tornare nel Kashmir. A circa sessanta kilometri a sud-est di Srinagar e a soli 12 kilometri da Bijbihara (il posto della “pietra di Mosè”) si trova Aish-Muqam, una caverna che si estende per circa dodici metri nel fianco della montagna, all’entrata della quale è stato eretto un magnifico santuario. Il sacro edificio contiene le reliquie di Zai- nuddin Wali, un santo islamico, che visse nella caverna durante il regno del Sultano Zainul Abidin Badshah (1408-1461). Il bene più prezioso di questo santo era un bastone che gli era stato dato dallo sceicco Noor Din Wali. Il bastone è ancora là, è considerata una reliquia di grande valore ed è strettamente sorve- gliato dai guardiani della tomba, che lo tengono sempre coperto da un panno verde. Quando i fedeli della regione si sentono sotto il pericolo di qualche minaccia di emergenza, soprattutto un’epidemia, si recano in pellegrinaggio ad Aish-Muqam confidando di venire aiutati dal miracoloso potere del bastone. Il bastone, di colore scuro, è lungo più di 2,3 metri e spesso 25 millimetri; è fatto di legno d’olivo, ed è conosciuto o come il “bastone di Mosè” o come il “bastone di Gesù”. Coloro che venerano questa reliquia credono che quel bastone da viaggiatore sia appartenuto prima a

295 La vita di Gesù in India

Il cosiddetto “bastone di Gesù”.

Mosè, che lo usò quando fece il suo viaggio per il Kashmir, e che sia stato più tardi usato da Gesù come simbolo della sua eredità mosaica. Il bastone era stato tenuto in un primo tempo nel quar- tiere Khangahi Muhalla di Srinagar, prima di trovare una degna sistemazione ad Aish-Muqam. Si dice che il nome Aish-Muqam si riferisca a Gesù. Aish pare che derivi da Isha o Issa, e muqam significa “luogo di sosta (o riposo)”. Questo suggerisce che l’isolata caverna possa un tempo essere stata il posto dove Gesù poteva ritirarsi per un certo tempo e dedicarsi a una silenziosa meditazione. Naturalmente non ci sono più elementi per provare la verità di queste tradizioni. Ma ci sono prove della presenza di Gesù in Kashmir molto più solide di semplici tradizioni orali: testimonianze nella pietra che sono sopravvissute alle vicissitudini dei secoli più o meno intatte, come tesori archeologici. Una tale testimonianza nella pietra della presenza di Gesù in Kashmir è un’iscrizione sul Takht-i-Suleiman, il “Trono di Salomone”, la storia del quale è raccontata da Mullah

296 9. Dopo la crocifissione

Nadiri, uno storico che visse durante il regno del Sultano Zainul Abidin. Nella sua Storia del Kashmir (Tarikh-i-Kashmir), scritta nel 1413, egli riferisce che il Tempio di Salomone (che era già antico di mille anni all’alba dell’éra cristiana) fu restaurato da un architetto persiano, per ordine del re, durante il regno di Gopadatta, figlio del Rajah Akh. Gli Indù osservarono che il persiano era un “barbaro” che seguiva una religione straniera. Durante il lavoro di restauro, furono incise quattro scritte in persiano antico sul fianco della gradinata che porta su verso l’ingresso principale: Maimar een satoon raj bihishti zargar, sal panjah wa chahar. “Il costruttore di queste colonne è l’umile Bihishti Zargar, nel- l’anno cinquantaquattro”. Een satoon bardast khwaja rukun bin murjan. “Khwaja Rukun, figlio di Murjan, fece costruire queste colonne”. Dar een wagat yuz asaf dawa-i-paighambar-imikunad. Sal panjah wa chahar. “In questo tempo, Yuz Asaf annunciò la sua missione profetica. Nell’anno cinquantaquattro”. Aishan yuzu paighambar-i-bani israil ast. “Egli è Gesù, profeta dei figli di Israele”.

Mullah Nadiri così continua: Nel tempo del regno di Gopadatta, Yuz Asaf venne dalla Terra

L’iscrizione sul Trono di Salomone, sopra la città di Srinagar.

297 La vita di Gesù in India

Una pagina dei resoconti storici di Mullah Nadiri (1413).

Santa fino a questa valle e annunciò di essere un profeta. Fu un perfetto esempio di pietà e di virtù ed affermò che lui stesso era il suo messaggio, che viveva nella Grazia di Dio giorno e notte e che aveva reso accessibile Dio alla gente del Kashmir. Egli chiamò il popolo presso di sè, e la gente della valle credette in lui. Quando gli Indù andarono da Gopadatta colmi di indignazione, spingendolo a prendere qualche misura verso quell’uomo, egli li mandò via. Ho letto anche in un libro indù che questo profeta è veramente Hazrat Issa21, lo Spirito di Dio (la pace e la benevolenza di Dio siano con lui), ed egli prese il nome di Yuz Asaf. La vera conoscenza è in Dio. Egli passò la sua vita in questa valle.

298 9. Dopo la crocifissione

Dopo la sua morte, il suo corpo fu posto a giacere nel Mohalla An- zimarah. Si dice anche che dalla tomba di questo profeta emanasse la luce della profezia. Il re Gopadatta regnò sessant’anni e due mesi, prima di morire. Dopo di lui, salì al trono suo figlio Gikaran, che regnò per un periodo di 58 anni22.

Il re Gopadatta regnò in Kashmir dall’anno 53 in poi. L’anno indicato nel testo come anno 54 del regno del Rajah Gopadatta era il 107 d.C. secondo il calendario moderno. Perciò il governo del Rajah capitò durante il regno del grande re Kanishka della dinastia Kushan. Il testo non dice se Gesù era ancora vivo a quel tempo. Fino ad oggi sono stati trovati in antichi testi almeno ventuno riferimenti che danno testimonianza della permanenza di Gesù in Kashmir. Una testimonianza geografica ci è fornita dai nomi di molte città e località del Kashmir, come ad esempio:

Aish-Muqam Yus-Marg Arya-Issa Yusnag Issa-Brari Yusu Issa-eil Yuzu-dha Issah-kush Yuzu-dhara Issa-mati Yuzu-gam Issa-Ta Yuzu-hatpura I-yes-Issa Yuzu-kun I-yes-th-Issa-vara Yuzu-maidan Kal-Issa Yuzu-Para Ram-Issa Yuzu-raja Yus-mangala Yuzu-varman

Al tempo in cui Gesù visse in Kashmir, la “Valle Felice” era al centro di un grande risveglio religioso, culturale, intellettuale e politico. Il regno del Kashmir era il centro dell’enorme impero Indo-Scita, ed era governato dal grande re Kanishka I (78-103 d.C.) della dinastia Kushan. Eccellente uomo di stato e governante illuminato e saggio, Kanishka fece il possibile per far convivere la

299 La vita di Gesù in India variegata mescolanza di razze della sua terra tramite una politica di tolleranza e generosità. L’armonia combinata delle filosofie greca e indiana raggiunse il suo massimo nella cultura di Gandhara. Il centro accademico di questo incontro di culture era l’antica Uni- versità di Taxila, la cui fama era già ottima e assai diffusa. Kanishka vide nel Buddhismo la perfetta matrice per la realiz- zazione delle sue idee, e cercò istruzione e consigli fra i monaci buddhisti. Era tuttavia dispiaciuto nel vedere che l’insegnamento del Buddha si era frammentato in tante scuole e sette. Seguendo il consiglio del filosofo Parshwa, Kanishka convocò il Concilio di Haran (Harwan in Kashmir) con lo scopo di ristabilire l’unità della frammentata comunità religiosa attraverso un processo di esame e formalizzazione dei testi buddhisti. Così, dopo più di trecento anni, ebbe luogo un altro Concilio Buddhista – il Quarto – cui presero parte 1500 studiosi e mona- ci. Questo Concilio aiutò l’affermazione come religione popolare della nuova scuola Mahayana. I preti della scuola Hinayana erano riluttanti a perdere i loro privilegi, e tentarono infine di opporre resistenza alle decisioni del Concilio, ma non furono in grado di far prevalere la loro linea. Invece, la scuola Mahayana venne alla fine confermata come una religione indipendente, che poteva indicare la via per la salvezza di tutti. Anche la versione attuale del Lalitavistara – il testo buddhista che mostra le più grandi somiglianze con il Nuovo Testamento – risale al Concilio di Haran. La posizione di Haran, a soli 12 kilometri da Srinagar, ci consente l’ipotesi che Gesù stesso abbia potuto essere presente a questo importante incontro; può anche avervi svolto un ruolo importante. Kanishka restò così favorevolmente impressionato dai risultati del Concilio che si convertì lui stesso al Buddhismo, e affidò l’am- ministrazione del suo regno alla comunità di monaci buddhisti il cui capo spirituale era il grande Nagarjuna, il filosofo più influente del Buddhismo Mahayana.

Un’ulteriore prova della permanenza di Gesù nell’antico Kashmir

300 9. Dopo la crocifissione

Sigillo di Haran.

è fornita dal testo del Rajah Tarangini, una storia del Kashmir scritta in versi sanscriti da Pandit Kalhana nel dodicesimo secolo. È considerato uno dei testi storici più autentici ed antichi della letteratura dell’India. Il Rajah Tarangini contiene un gran nume- ro di storie e leggende tramandate per tradizione orale dai tempi antichi. Tuttavia molte di queste narrazioni sono state ampiamente arricchite durante il corso del tempo, rendendo difficile riconosce- re oggi la verità dei fatti storici. L’opera riferisce la storia di un sant’uomo chiamato Isana, che compiva miracoli molto simili a quelli di Gesù. Si dice inoltre che Isana abbia salvato l’influente uomo di stato Vazir dalla morte sulla croce, e lo abbia riportato alla vita. Più tardi Vazir divenne il governatore del Kashmir e mantenne la carica per quarantasette anni. Secondo Kalhana, Isa- na fu il primo riformatore in Kashmir: visse ed operò nel primo secolo dopo Cristo. Sembra verosimile che l’uomo-dio Isana non sia stato niente altro che Issa-Gesù. La tomba di Gesù a Srinagar D urante il Medio Evo, la storia di Barlaam e Josafat era un

301 La vita di Gesù in India tema letterario familiare a qualunque persona colta. C’era una grande varietà di traduzioni e versioni della storia attraverso tut- ta l’Europa e il Vicino Oriente, ma la versione originale veniva attribuita a San Giovanni di Damasco (Giovanni Damasceno), un eminente arabo cristiano che visse a Gerusalemme attorno all’anno 700. La storia – conosciuta anche in alcuni stati come “Il principe e il derviscio” – può essere rapidamente riassunta. Ad Abaner, un potente re dell’india, viene detto da un astrologo che il suo bello e virtuoso figlio Josafat (o Joasaf) si convertità dall’Islam al Cristianesimo. Allo scopo di evitare il compimento della profezia, il re fa costruire un magnifico palazzo perchè il figlio vi cresca dentro, completamente isolato dal mondo esterno. Malgrado queste misure prese da suo padre, a Josafat capita un giorno di vedere un cieco. In un’altra occasione incontra un vec- chio. E infine egli vede un corpo senza vita. Poichè il giovane aveva sempre visto prima soltanto persone giovani e belle che lo circondavano nel palazzo, quegli incontri sono esperienze com- pletamente nuove per lui e gli aprono gli occhi sulle realtà della vita umana. Alla fine, il principe incontra l’asceta Barlaam, che lo converte al Cristianesimo. Sebbene il re tenti di dissuadere suo figlio dall’aderire alla nuova fede e gli offra perfino la metà del suo regno, Josafat rinuncia a tutte le ricchezze del mondo, si ritira in solitudine e passa il resto della sua vita come devoto eremita. Questa storia bella e toccante è piena di una così profonda verità che Barlaam e Joasaf furono canonizzati come martiri dalla Chiesa Cattolica Romana nel 1583 e fu loro dedicata una festività nel calendario liturgico, dove al 27 novembre si legge: “In India, presso il confine con la Persia, santi Barlaam e Joasaf. Le loro opere meravigliose sono state descritte da San Giovanni di Damasco”. Per un altro secolo nessuno apparentemente si ac- corse che la storia è semplicemente una variante della leggenda dell’educazione reale del Principe Siddharta, che poi decise di rinunciare alla sua famiglia e alla sua proprietà ed andarsene in cerca dell’Illuminazione. Il nome Josafat/Josaphat/Joasaf suona così ebraico che nessuno ha mai dubitato della sua origine ebrea.

302 9. Dopo la crocifissione

Ma in effetti il nome può essere fatto risalire senza difficoltà ad un’origine completamente diversa. Il termine greco Joasaf di Gio- vanni Damasceno è un tentativo di tradurre l’arabo Judasaf, che a sua volta proviene dal kashmiri Yusasaph. Ma la forma kashmiri e quella araba sono errori di trascrizione: le lettere J e B sono quasi identiche in siriaco, arabo e persiano, e Judasaf corrisponde in realtà ad un originario Budasaf – una parola che è facilmente riconoscibile come Bodhisattva, un “essere Illuminato”, un Buddha in formazione. Anche l’esotico nome Barlaam può essere fatto risalire, attraverso il passaggio delle lingue, alla sua vera origine. In arabo, Balauhar ha lo stesso significato della parola sanscrita Bhagvan, “il Beato”, cioè “Dio”. Le origini linguistiche di Judasaf- Budasaf rendono ora chiaro che il profeta islamico Yuz Asaf era in realtà un Bodhisattva. Un Bodhisattva è caratterizzato da una compassione sconfinata che avvolge tutto. Egli comprende la sofferenza di tutti gli esseri e li porta alla liberazione. Il suo unico scopo è salvare tutti gli esseri dal male dell’ignoranza, anche se questo significa doverne prendere la colpa su sè stesso. Pure Gesù seguì questo ideale sen- za compromessi, accettando la responsabilità di tutti i peccati del mondo e permettendo infine di essere inchiodato alla Croce come un “agnello sacrificale”. Tutte le caratteristiche di un Bodhisattva si possono trovare anche in Gesù. L’incarnazione della compassione illimitata nel Buddhismo è Avalokiteshvara, il cui nome deriva da Ishvara (“il Signore creatore”) e ava-lokita: “(colui) che guarda con compassione (al mondo)”. Avalokiteshvara possiede grandi e miracolosi poteri che lo rendono in grado di superare tutti i pericoli e le difficoltà. Dall’inizio del secondo secolo, Avalokiteshvara è stato spesso rappresentato nelle arti visive con segni sulla superficie delle mani e dei piedi, che simboleggiano la Ruota Buddhista della Dottrina. Molti commentatori occidentali hanno riconosciuto le stigmate di Gesù in questi segni della ruota e li hanno visti come una prova che Avalokiteshvara e Gesù sono la stessa persona. Quando l’importante Quarto Concilio del Kashmir fu tenuto ad

303 La vita di Gesù in India

Haran, presso Srinagar, sotto gli auspici di Kanishka il Grande, Gesù – se era ancora vivo – deve avere avuto più di ottant’anni di età. Abbiamo suggerito che potrebbe anche aver preso parte a questo avvenimento, che avrebbe avuto poi un così grande significato nel mondo buddhista, come santo molto venerato – un’ipotesi sulla quale possiamo ammettere che non ci sia alcuna prova, anche se i fatti noti possono consentire di vedervi qualche indizio. In ogni caso, le riforme introdotte dal Concilio furono in completo accordo con gli insegnamenti di Gesù. Fatima, la figlia di Maometto, notò che da una frase del Profeta si deduce che Gesù visse fino alla tarda età di 120 anni23. È vero che non c’è alcuna evidenza archeologica di questa affermazione, ma una simile età avanzata non sembra essere stata rara fra i santi che conducevano una vita ascetica, che mantenevano il corpo fisico sotto il completo controllo dello spirito. Ci sono molti rapporti di santi tibetani che hanno raggiunto età di 130, 150 anni e anche oltre. Lo storico Sheikh Al-Sa’id-us-Sadiq, che visse fino al 962 d.C. in Khurasan (Iran), racconta dei due viaggi di Gesù in India e dell’ultima parte della sua vita come Yuz Asaf in Kashmir nella sua famosa opera Ikmal-ud-Din. Questo libro fu ripubblicato in Iran nel 1883, e più tardi fu tradotto in tedesco dal famoso esperto orientalista Max Müller. Il libro contiene una parabola di Yuz Asaf che si trova in una forma quasi identica nel Nuovo Testamento:

Gente, ascoltate le mie parole: un contadino va a seminare i suoi campi. Poi vengono gli uccelli e mangiano i semi. Altri semi ca- dono sulla strada. E, osservate, alcuni cadono sulla roccia, dove non c’è terra fertile, e sono soffiati via. Alcuni cadono fra le spine e non possono crescere. Tuttavia i semi che cadono sulla buona terra, germogliano e danno buoni frutti. Il seminatore è il saggio e i semi sono le sue parole di saggezza. I semi che vengono mangiati dagli uccelli sono come le persone che non capiscono le parole. I semi che cadono sulla roccia sono le parole di saggezza che entra- no da un orecchio ed escono dall’altro. I semi che cadono fra le spine sono per coloro che realmente ascoltano e vedono, ma non agiscono di conseguenza. Ma i semi che cadono sulla buona terra

304 9. Dopo la crocifissione

sono come coloro che ascoltano le parole di saggezza e agiscono di conseguenza24.

Una versione araba della storia di Barlaam e Josaphat, Il Libro di Balauhar e Budasaf (pagg. 285-286), pubblicato a Bombay, ci racconta come morì Yuz Asaf:

Ed egli raggiunse il Kashmir, che era la regione più lontana in cui aveva predicato, e lì la sua vita si avviò alla fine. Egli se ne andò dal mondo e lasciò la sua eredità a un certo discepolo chiamato Ababid, che lo aveva servito; qualunque cosa egli avesse fatto, era perfetta. Ed egli gli lasciò qualche istruzione e gli disse: “Ho trovato un degno santuario e l’ho decorato e vi ho portato delle lampade votive. Ho radunato insieme il gregge della verità, che era stato disperso e per il quale io venni mandato. E ora devo raccogliere il respiro nella mia ascesa dal mondo, liberando la mia anima dal corpo. Segui gli insegnamenti che hai ricevuto, e non deviare dalla via della verità, ma tieniti saldamente in essa con gratitudine – e possa Ababid essere la guida”. Allora fece spostare Ababid in modo da tenere il posto libero per lui; poi allungò le gambe e si distese sdraiato; e, voltando la testa verso nord e il volto verso est, dolce- mente cessò di vivere25.

L a tomba del profeta Yuz Asaf è oggi situata all’interno della città vecchia di Srinagar, Anzimar, nel quartiere Khanyar. L’edi- ficio costruito più tardi attorno alla tomba è chiamato Rozabal o Rauza Bal. Rauza è un termine usato per indicare la tomba di una personalità celebre: qualcuno nobile, per ricchezza o santità. L’edificio ha pianta rettangolare, e vi è stato aggiunto un piccolo portico. Sopra all’entrata nella stanza di sepoltura vera e propria è scolpita un’iscrizione che dichiara che Yuz Asaf entrò nella valle del Kashmir molti secoli fa e che la sua vita fu dedicata a mani- festare la verità. Ci sono due diverse pietre tombali sul pavimento della camera di sepoltura più interna, circondate da una barriera di legno a cui sono stati aggiunti dei rinforzi, ricoperta da un pesante panno. La pietra tombale più grande è quella di Yuz Asaf, la più piccola è quella del santo islamico Syed Nasir-ud-Din, che vi fu

305 La vita di Gesù in India

Pianta della tomba di Gesù sepolto molto più recentemente, nel quindicesimo secolo26. Entrambe le pietre tombali sono allineate in direzione nord-sud, secondo l’uso islamico. Come è pure abituale per le tombe islamiche in India, queste pietre tombali sono soltanto indicative: le tombe vere sono situate in una cripta sotto il pavimento dell’edificio. Una piccola apertura consente al visitatore di guardare giù nella camera tombale che è di sotto. Il sarcofago che contiene i resti terreni di Yuz Asaf è allineato in direzione est-ovest, in accordo con l’uso ebraico! Questa è una prova evidente che Yuz Asaf non poteva essere stato un santo islamico. E fra gli Indù e i Buddhi- sti, solo gli asceti (sadhu) e i santi vengono seppelliti (i cadaveri sono normalmente cremati). Quindi qui giace una persona che era venerata come santo anche prima dell’arrivo dell’Islam, quando in Kashmir erano diffusi il Buddhismo Mahayana e l’Induismo Tantrico. L’etimologia del nome Yuz Asaf ha dimostrato che può essere derivato da Bodhisattva. Ciò significa che giace sepolta qui

306 9. Dopo la crocifissione una persona che era riverita nei tempi pre-islamici come un futuro Buddha, che secondo la leggenda veniva da occidente, e la cui tomba è allineata con orientamento est-ovest, come le tombe degli Ebrei. Tutto questo non prova che è il corpo di Gesù il Nazareno che riposa in questa terra. Però i numerosi fattori che indicano uno stretto collegamento fra il Buddhismo Mahayana e le origini del Cristianesimo, le prove storiche e letterarie che Gesù soprav- visse alla Crocifissione, e i riferimenti parimenti sostanziali che Gesù trascorse gli ultimi anni o decenni della sua vita in India, e specialmente in Kashmir, sembrano tutti insieme giustificare l’af- fermazione che il corpo di Gesù è veramente sepolto a Rozabal. È sempre stata una pratica dei devoti mettere candele attorno alle pietre tombali. Quando, qualche tempo fa, sono stati rimossi gli strati di cera vecchi di secoli, venne fatta una scoperta sensa- zionale: nella pietra erano scolpite un paio di impronte di piedi – una tradizione ampiamente diffusa in Asia nelle tombe dei santi – e accanto ad esse c’erano un crocifisso e un rosario. Le impron- te servivano per indicare l’identità del defunto, in modo analogo

Nella città vecchia di Srinagar c’è un edificio conosciuto come Roza Bal, costruito sopra il luogo della sepoltura di Yuz Asef che, come fortemente suggerito dalle evidenze, è nient’altro che Gesù.

307 La vita di Gesù in India alle impronte digitali27. Come con le svastiche sulle impronte del Buddha, le impronte dei piedi di Yuz Asaf mostrano un segno di identificazione unico ed inconfondibile. Chi ha scolpito il bassori- lievo ha mostrato molto chiaramente le cicatrici delle ferite della Crocifissione. La posizione delle ferite mostra anche che il piede

In questo bassorilievo delle “impronte dei piedi” sono facilmente riconoscibili le cicatrici lasciate dalla Crocifissione, incisioni a forma di mezzaluna poste sotto alle dita.

Le impronte dei piedi stilizzate all’interno dell’edificio tombale, illuminate da candele.

308 9. Dopo la crocifissione sinistro è stato inchiodato sopra il destro, fatto confermato dalle macchie di sangue sulla Sindone di Torino. Poichè la crocifissione era sconosciuta in India come forma di esecuzione di condannati a morte, non è soltanto possibile che qui sia sepolto il corpo di Gesù, ma è davvero molto probabile! Molte antiche opere letterarie del Kashmir testimoniano il fatto che Yuz Asaf e Gesù sono la stessa persona. Un antico manoscritto descrive il santuario come la tomba di Issa Rooh-Allah (“Gesù, lo Spirito di Dio”, lo Spirito Santo)28. Migliaia di fedeli si recano in pellegrinaggio a questa tomba – non soltanto Mussulmani, ma Indù, Buddhisti e anche Cristiani. La vera importanza di questo piccolo santuario è stata preservata fino ad oggi nella memoria dei discendenti degli antichi Israeliti: essi lo chiamano “la tomba di Hazrat Issa Sahib”, la tomba del Signore Gesù. Documenti molto antichi affermano che un edificio di protezione era già stato costruito sopra la cripta nell’anno 112 d.C. Fin da allora, la tomba è stata custodita dalla stessa famiglia: l’incari- co di sorvegliante della tomba veniva passato di padre in figlio in una linea ininterrotta. Nel 1766, a coloro che custodivano la tomba venne rilasciato un riconoscimento ufficiale, e questo fatto ha confermato l’importanza del luogo sacro. Nel decreto formale, emesso dal Gran Muftì (o “Maestro della legge religiosa islamica”) Rahman Mir sono scritte queste parole: “Qui giace Yuz Asaf, che ricostruì il Tempio di Salomone al tempo del Re Gopadatta, e che venne come profeta in Kashmir. Egli predicò al popolo, dichiarò la sua unità con Dio, e diede delle norme di vita. Da allora la sua tomba è stata onorata da re, funzionari di stato, alti dignitari e dalla gente comune”. Ho visitato Srinagar nel 1984 come membro di una delega- zione di specialisti e giornalisti: il nostro gruppo venne ricevuto formalmente dal Governatore dello stato di Jammu e Kashmir, Dr. Farooq Abdullah. In quell’occasione dissi al Dr. Abdullah che sarei stato molto interessato e molto grato se si fosse potuto aprire ed esaminare il sarcofago. Qualche tempo prima avevo trasferito una notevole somma

309 La vita di Gesù in India di denaro – complessivamente molte migliaia di marchi tedeschi, frutto della generosa donazione di una signora che aveva letto la prima edizione di questo libro – agli amministratori della tomba: poichè il lavoro di restauro così finanziato era in corso proprio in quel periodo, pensai che si trattava di un’ottima opportunità per suggerire l’apertura della tomba. Il Governatore Abdullah fece predisporre subito tutto il necessario per l’apertura e l’ispezione della camera tombale, e ci assicurò inoltre la protezione della polizia se si fosse verificato qualche attacco fisico da parte di fondamentalisti infuriati. La sera precedente la prevista apertura della tomba, scoppiarono tumulti nella città vecchia di Srinagar, col risultato che ci furono sette morti. In conseguenza di questo, il capo della polizia ci se- gnalò di non procedere con l’operazione, nel timore di un’ulteriore intensificazione dei tumulti e dicendo di non poter più rispondere della nostra sicurezza. Durante gli anni Sessanta, l’inspiegabile scomparsa di un pelo della barba del Profeta Maometto, custodito nella moschea Hazra- tbal a Srinagar e considerato la più sacra reliquia islamica dello stato, provocò una rivolta popolare in Kashmir che durò alcune settimane. Il popolo della vallata considerò responsabile il governo centrale di Delhi: l’assegnazione del Kashmir all’Unione Indiana nel 1948 non è mai stata accettata da gran parte della popolazione (prevalentemente islamica), e questo ha reso la “Valle Felice” una zona di continue sommosse. Di fronte a queste sensibilità religiose potenzialmente esplosi- ve, fummo sfortunatamente costretti a rimandare a tempi migliori l’operazione che avevamo progettato. Fino alla data in cui sto scrivendo (maggio 1993), non è stato ancora possibile far aprire il sarcofago per studiarlo. Dall’estate del 1989 si è stabilita in Kashmir una situazione simile a una guerra civile, a causa dell’attività di vari gruppi di guerriglieri. I viaggi turistici nella valle si sono quasi arrestati. L’area della città vecchia di Srinagar, in cui è situata la tomba, è il nascon- diglio principale dei guerriglieri che, per la maggior parte, se ne

310 Santuario in legno all’interno dell’edificio funebre.

Il sepolcro è coperto da uno spesso tessuto. La vita di Gesù in India stanno nascosti mentre l’esercito indiano perlustra ogni vicolo ed ogni angolo di strada. A malincuore, devo perciò scoraggiare fortemente qualunque visita alla tomba finchè la situazione in Kashmir non migliora. Sembra che al momento ci siano scarse prospettive di miglioramento. In ogni caso, per il fatto che la tomba è molto vicina al fiume Jhelum e deve avere subìto molte inondazioni negli ultimi duemila anni, non c’è molto da sperare neanche dall’apertura del sarcofago.

Gesù o Paolo? Molti fedeli cristiani potrebbero obiettare che con gli argomenti che ho esposto in questo libro tolgo al Cristianesimo un elemento essenziale, che da solo può dare speranza e conforto: la redenzione dal peccato (che è la causa della sofferenza nel mondo), ottenuta tramite la morte sacrificale sostitutiva di Gesù Cristo, per tutti coloro che riconoscono il suo insegnamento. Ma proprio questa forma della dottrina della salvezza del Cristianesimo tradizionale, tratta quasi esclusivamente dall’opera di Paolo, non è mai stata predicata da Gesù. È Paolo che ha insegnato che l’intera funzione di Gesù è centrata sulla sua morte sacrificale, e che attraverso lo spargimento del suo sangue egli ha assolto i fedeli dai loro peccati e li ha liberati dalla confusione e dalla dominazione di Satana. In effetti, Paolo non ha ritrasmesso una sola sillaba degli insegnamenti diretti di Gesù nelle sue epistole, nè ha riportato una sola delle sue parabole. Invece, egli ha costruito una filosofia sua personale sulla base della sua comprensione (o del suo fraintendimento) dell’insegnamento di Gesù. Paolo insiste sul fatto che a causa del peccato di Adamo tutte le persone sono soggette alla collera di Dio fin dall’inizio (ved. Efesini 2:3), e sono perdute senza eccezione (Romani 5:18; Prima ai Corinzi 15:18), perchè tutti sono soggetti al peccato (Romani 3:9; Galati 3:22; Colossesi 2:14). Dio ha emesso il suo giudizio di condanna contro tutta l’umanità (Romani 5:16). Al contrario della Buona Novella portata da Gesù, Paolo ha dato

312 9. Dopo la crocifissione messaggi oscuri e paurosi, dalla minaccia dei quali solo lui può mostrare la via di salvezza. E questa via di uscita fu la salvezza dell’umanità attraverso la morte sacrificale di Cristo: “Così, come per la colpa di uno solo ricadde su tutti gli uomini un giudizio di condanna, pure per l’opera di giustizia di uno solo pervenne a tutti gli uomini il libero dono della giustificazione che dà la vita” (Romani 5:18). E nella lettera ai Colossesi egli descrive Gesù come “Colui che ha cancellato il nostro certificato di debito, che in tutti i punti era contro di noi, e lo tolse di mezzo inchiodandolo alla croce” (Colossesi 2:14). Ma la cosa peggiore sulla dottrina della salvezza secondo Paolo è la sua affermazione che l’individuo non può contribuire per nien- te alla propria salvezza nella sua miserevole vita: non attraverso qualsiasi opera buona, non attraverso qualunque cambiamento di vita comunque sia per il meglio, può l’individuo giustificare il suo essere salvato e riconciliato con Dio (cf Romani 3:24, 9:16; Prima ai Corinzi 1:29; Galati 2:16). Perchè secondo Paolo è esclusivamente la grazia di Dio che ci porta alla salvezza: “Poichè per la grazia siete stati salvati, per mezzo della fede; e questo non per voi: è un dono di Dio: Non per le opere, affinchè nessuno abbia a vantarsi” (Efesini 2:8-9). Secondo Paolo una persona può essere salvata semplicemente dal solo atto del battesimo, che lo fa diventare un figlio di Dio e un essere completamente nuovo. Qualunque pretesa di cooperare alla salvezza con i propri sforzi personali deve essere visto, se- condo questo insegnamento, come un deprezzamento del sacrificio di Gesù, come un tentativo di salvarsi da soli, che è destinato al fallimento. Al contrario, ciascuna persona, per quanto possa aver condotto una vita buona ed esemplare, deve in questo schema considerarsi perduta se non accetta che il sacrificio sulla Croce è stato fatto per lui personalmente come sua completa salvezza. Queste idee sono totalmente estranee a Gesù. I Cristiani sono in gran parte dell’opinione che la grandezza e l’unicità del Cristianesimo consistano in questo insegnamento, o cadano con esso. Ma questa si rivela una pura immaginazione,

313 La vita di Gesù in India ben lontana dalle idee di Gesù. Neppure un piccolo indizio di questa cosiddetta dottrina cristiana della salvezza si può trovare nel Sermone della Montagna – la quintessenza del messaggio di Gesù – o nella Preghiera del Signore (il Padre Nostro), oppure nelle parabole tradizionali predicate da Gesù! A Gesù non interessava costruire una filosofia che potesse basarsi sulla sua vita e sul suo messaggio, che potesse liberare la gente dalle sofferenze dell’esistenza terrena – egli visse realmente ciò che aveva insegnato. Tolleranza in qualunque momento, cura per la felicità e il beneficio degli altri esseri (umani ed animali), dare e condividere, assenza di egoità nell’aiutare gli altri a portare il fardello della sofferenza, un amore universale ed incondizionato per tutto – questa è la via di perfezione che Gesù dimostrò nella sua vita.

314 Postfazione

Non c’è pace nel mondo senza pace tra le religioni Non c’è pace religiosa senza dialogo tra le religioni, non c’è dialogo tra le religioni senza la conoscenza delle proprie tradizioni! (Credo del teologo professor Hans Küng)

Una religione ha veramente senso soltanto se è capace di portare alla pace interiore ed esteriore. Se invece minaccia i credenti con eterne condanne e infinite pene dell’inferno, finisce inevitabilmente per portare soltanto a repressione e paura, da cui derivano litigiosità e aggressività. Praticamente tutte le guerre sono oggi riconducibili a conflitti religiosi: ovunque dominano minacciosamente fonda- mentalismo (terrorismo), sconfinata avidità, corruzione, inganno, violenza, egoismo, assassinio e omicidio. Le rivendicazioni etiche e morali delle religioni occidentali abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) hanno purtroppo completamente fallito. I profondi conflitti tra questi singoli indirizzi di fede risalgono a contenuti e dogmi completamente irrazionali, privi di basi razionali, che si contraddicono reciprocamente. I cristiani hanno per secoli perseguitato gli ebrei perché costoro avevano ucciso il Figlio del loro Dio; dal canto loro gli ebrei considerano i cristiani una setta deviata che crede in un falso Messia. I maomettani considerano i cristiani degli infedeli perché non vogliono riconoscere il loro

315 La vita di Gesù in India venerato profeta Maometto, mettono sullo stesso piano Gesù e Dio e credono che il profeta Isha/Gesù sia morto sulla croce, cosa che contraddice le concezioni del Corano. Lo stesso vale naturalmente per i cristiani nei confronti dei maomettani. Dal punto di vista di un’indagine moderna, forense, indipendente, non dogmatica e scientifica della storia delle diverse religioni, queste reciproche accuse sono però oggi completamente prive di fondamenta. Esse escludono ogni conoscenza storica e sono soltanto costruzioni tramandate per tempi molto lunghi, che servono unicamente al mantenimento delle strutture di potere. Proviamo a immaginare che medicina, tecnica e scienza si trovino ancor oggi allo stesso livello conoscitivo di millenni fa! Nel campo della storia delle religioni però noi accettiamo tale situazione come ovvia. Sin dalla loro fondazione, la ricerca e l’insegnamento delle religioni abramitiche sono esclusivamente nelle mani dei rispettivi credenti. Dato però che queste comunità sono strutturate gerar- chicamente sulla base dei modelli e delle leggende da loro stesse costruiti, non sono comprensibilmente affatto interessate a compiere una autentica ricerca neutrale. Al contrario cercano ansiosamente di evitare una simile ricerca e di reprimerla. Poiché però in tutto il mondo la gente soffre drammaticamente per la perdita di ogni etica e morale ed è oggi priva di qualsiasi orientamento, ne risulta che all’inizio di questa nuova epoca è veramente tempo di rompere tale monopolio. Soltanto ricercando la verità storica è possibile pensare ad un avvicinamento delle diverse religioni tra di loro. Mentre in tutto il mondo vengono sprecati miliardi anche per progetti di ricerca relativamente poco importanti, per l’indagine della nostra cultura e civilizzazione sono a disposizione pochi mezzi pubblici, perché i custodi del potere non sono ovviamente interessati a modifiche delle strutture esistenti. Ciò nonostante, ovunque nel mondo esistono piccoli gruppi di persone impegnate nel progresso spirituale. Personalmente mi sono posto il compito di offrire a queste persone un forum dove scambiarsi opinioni e informazioni. Nascono così in tutto il mondo

316 Postfazione comunità di persone alla ricerca, aperte a nuove conoscenze nel campo della filosofia, della teologia e della storia. Io definisco questi gruppi auto-organizzati “Scuola della Nuova Filosofia”, abbreviato “neophil”. Prego gli interessati di mettersi in contatto via Internet con la International School of New Philosophers “Neophils” all’indirizzo di posta elettronica [email protected]. Holger Kersten Autunno 2009

317 Medio Oriente

AVANTI CRISTO c. 1750 Abramo parte da Haran con la sua tribù c. 1730 Le tribù ebraiche viaggiano verso l’Egitto, guidate da Giuseppe c. 1550 Fine del regno di Hyksos: inizio dell’oppressione c. 1250 Mosè; Esodo dall’Egitto c. 1200 Insediamento in Palestina 965-926 Re Salomone dopo il 926 Divisione nel regno settentrionale di Israele e il regno meridionale di Giudea c. 870 Il profeta Elia 722 Sargon II di Assiria conquista Israele; le dieci tribù di Israele scompaiono per sempre c. 590 Possibile riferimento del profeta Ezechiele al Tempio in Kashmir 587 Fine del regno di Giudea - Esilio di Babilonia (durato circa 50 anni) 7 Nascita di Gesù 4 Morte di Erode il Grande

CRIS doPO TO 6 Deposizione di Archelao; Gesù, a dodici anni, è nel Tempio 6-c.30 Primo viaggio di Gesù in India c.30 Ritorno dall’India ed entrata in Gerusalemme 31 Esecuzione di Giovanni il Battista 33 Crocifissione di Gesù c.35 Paolo incontra Gesù a Damasco e si converte c.36 Gesù con il re di Andrapa dopo il 36 Gesù in Edessa e con il re di Nisibis

318 Tavola cronologica

India

AVANTI CRISTO c.2500 Cultura dell’Indo (Harappa) c.1300 Compilazione dei Veda Sesto secolo Le “Tribù perdute di Israele” si insediano nell’India settentrionale 563-483 Gautama Siddharta Sakyamuni, il Buddha Quinto secolo Prima stesura dei sutra buddhisti c.250 L’Imperatore indiano Ashoka manda missionari buddhisti fino a Marsiglia (Roquepertuse) Primo secolo Il Buddhismo Mahayana si forma sull’idea del Sal- vatore (Bodhisattva)

doPO CRISTO prima del 50 Gesù soggiorna nella città universitaria di Taxila (Punjab); compare alla corte del governatore degli Indo-Parti, Gundafor c.50 Gesù alla corte del re locale Gopananda (Gopadatta), che regnò negli anni 49-109 dopo il 50 Gesù viaggia come predicatore itinerante con il nome di Yuz Asaf in Kashmir e nelle regioni circostanti dopo il 70 Gesù incontra il re locale Shalivahana 78 Inscrizione sul Tempio di Salomone a Srinagar c.78-103 Regno del re Kanishka c.80 Quarto Concilio Buddhista ad Haran (Harwan) in Kashmir dopo l’80 Il corpo di Gesù viene sepolto a Srinagar.

319 NOTE

Capitolo 1: La vita sconosciuta di Gesù

1. Recentemente (1990) è stata aperta per i forestieri una seconda strada per il Ladakh, che viene dalla cittadina di montagna di Manali, nello stato di Himachal Pradesh, attraverso il Rohtang Pass. 2. Nikolas Notovitch, The Unknown Life of Jesus Christ, tradotto dall’edizione francese del 1894, revisionato e con una prefazione aggiunta da Notovitch, Londra, 1895. 3. Issa è il nome arabo mussulmano di Gesù. 4. In persiano panj è “cinque”, ab è “acqua”; letteralmente quindi “cinque acque”. 5. Il Giainismo è un’antichissima religione monastica indiana, strettamente correlata al Buddhismo, ma più ascetica. Fu formulata nella sua forma attuale da Mahavira, un contemporaneo del Buddha. 6. Il Pali è un dialetto dell’India del nord dei secoli successivi alla morte del Buddha, usato per scrivere il canone del Buddhismo Theravada del sud (Hinayana). 7. Un’informazione bibliografica è contenuta nel Dictionnaire National des Contemporains, Vol.3, p.274, Paris, 1901. 8. E.V. Bogdanovitch, L’Alliance franco-russe 9. Bibliothèque Nazionale, Paris, Fol.R.226 10. Vedi Public Record Office, Kew, FO 371/113 No. 29196 11. Bibliografija Periodicheskikh Izdaniy Rossiy (1901-1906). Leningrad 1958 12. N.C. Chaudhuri, Scholar Extraordinary, London 1974 ; p.325 13. Year 10, p. 211, Berlin 1895 14. The Hindustan Times, New Delhi, 11 Luglio 1988 15. N. Roerich, Altai-Himalaya, a Travel Diary, New York 1929, p.89 16. H. Merrick, In the World’s Attick, London 1931, p.215

320 17. Bibliothèque Nazionale, Paris, Fol.M.715 18. Inventory number 88.177 19. Nel Dictionnaire National des Contemporains, Vol.3, p.274, Parigi, 1901, risulta che Notovitch fu accettato nella Légion d’Honneur con il grado di Officier de l’Instruction publique nell’anno 1889 pour avoir donné au musée du Trocadero de précieuses collections d’objets rapportés de l’Inde et de la Perse. 20. La Chiesa di Moravia, chiamata anche la comunità Herrnhüter.

Capitolo 2: Chi era Gesù?

1.T acito, Annali 15:44 2. Plinio il Giovane, Lettere, 10:96f 3. Suetonio, Vitae Caesarum; Nero (16), Claudio (25:4) 4. Flavio Giuseppe, The Antiquities of the Jews XX,9:1; XVIII, 3:3 5. 1:47 6. Arthur Drews, Die Christusmythe, Jena, 2° edizione 1911, p.3 7. Tradotto dall’edizione tedesca da Wilhelm Reeb, Lipsia, 1923. 8. Clemente di Alessandria, Stromateis 7; 89:2 sgg. 9. Origene, Contra Celsum 3:12 10. G. Borknamm, Jesus of Nazareth, Stoccarda, 9° edizione 1971 11. Citazione da Der Spiegel No. 14, 1966 12. J. Jeremias, 1951 13. Citazione da Der Spiegel No. 14, 1966 14. W. Nestle, Krisis des Christentums, 1947; p.89 15. F. Overbeck, Christentum und Kultur, pubblicazione postuma, 1919 16. Citazione da H. Ackermann, Enstellung und Klärung der Botschaft Jesu, 1961 17. A. Deissmann, Paulus, Tübingen, 2a edizione 1925 18. E. Grimm, Die Ethik Jesu, 1917 19. A.Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forshung, Tübingen, 2a ed. 1913, p. 512 20. Citazione da Der Spiegel No. 14, 1966 21. Der Stern, No. 16, 1973 22. Dardico: un gruppo di antiche lingue indo-europee parlate nell’Himalaya occidentale, nel Karakorum e nell’Hindu Kush. Le più conosciute sono il Kashmiri e lo Shina 23. Anagarika Govinda, The Way of the White Clouds.

321 La vita di Gesù in India

Capitolo 3: Mosè e i figli di Dio

1. J. Juergens, Der Bibliche Moses, Munich, 1928 2. Prof. Flinders Petrie, Researches in Sinai, 1906 3. Cf. Esodo 19:11, 24:17, 33:9; Deuteronomio 4:11, 4:24, 4:33, 4:36, 5:4, 5:5, 5:23, 9:3, 32:22 4. W. F. Irland, Die Memoiren David Rizzios, Lipsia, 1852 5. Dummelow, Commentary to the Holy Bible, p.115 6. Dr. Mateer, The Land of Charity, citato nella Iside Svelata di H.P. Blavatsky, vol. II 7. Cf. Max Müller, Indien in Weber, Indische Skizzen, Berlin, 1857 8. F. Bernier, Travels in the Moghul Empire, London 1891; p.432 9. G. Konzelmann, Aufbruch der Hebräer, Munich 1976; p.37 sgg. 10. Un cambiamento fonetico nel persiano antico ha trasformato Sindh in Hind, e questa parola venne subito a denotare l’intero subcontinente e i suoi abi- tanti (Hindù). In tempi più recenti è stata tolta anche l’h, lasciando Ind-, che divenne poi India. 11. Cf. Joshua 24:2-3 12. Cf. Levitico 11; Deuteronomio 14 13. Revd. Dr. Joseph Wolff, Narrative of a Mission to Bokhara in the Years 1843-1845, Vol. I, pp.13-20, London 1845 14. idem, p.58 15. London 1840, p.166 16. Dr. J. Bryce e Dr. K. Johnson, A Comprehensive Description of Geography, London and Glasgow, 1880; p.25 17. G. Moore, The Lost Tribes, London, 1861 18. K. Jettmar, Felsbilder im Karakoroum, in Spektrum der Wissenshaft, Di- cembre 1983; p.22-32

Capitolo 4: L’infanzia di Gesù

1. G. Kroll, Auf den Spuren Jesu, Leipzig, 1964; p.63 sgg. 2. P. Schnabel, Der jungste Keilshrifttext, in Zeitschrift für Assyrologie, NF 2(36); p.66 sgg. 3. Origene, Gen. Hom. XIV, 3 4. Traduzione di citazione da Hennecke-Schneemelcher, Neutestamentische Apokryphen, Vol. I, Tubinga, 4° ed. 1968; p.98 5. L’idea della reincarnazione è basata sul principio che ciascuna anima avanza attraverso un processo di evoluzione che dura molte vite, e di conseguenza rinasce più e più volte in un corpo o umano o altro, per accumulare sempre maggiore esperienza, fino a quando raggiunge lo stato divino.

322 6. SS. Dalai Lama, My Country and My People 7. Heinrich Harrer, Seven Years in Tibet 8. Vicki Mackenzie, Reincarnation: The Boy Lama, London 1988 9. E.J. Eitel, A Handbook of Chinese Buddism, Tokyo, 1904

Capitolo 5: Saggezza orientale in Occidente

1. Cf. Le Coq, Ostturkistan: Waldshmidt, Zentralasien, Lüders, Die literarischen Funde 2. Da H.J. Klimkeit, Gottes - und Selbsterfahrung in der gnostisch-buddhistischen Religionsbegegnung Zentralasiens, in Zeitschrift für Religions – und Gei- stesgeschichte, Vol. 35, 1983, p.236-247 3. Sebbene per questi testi sia stata accettata per molti anni una data di com- pilazione pre-cristiana, diversi ricercatori hanno recentemente suggerito che alcune parti dei testi siano state scritte attorno al tempo della nascita di Gesù o poco dopo, e si riferiscano direttamente a Gesù. Cf. M. Baigent e R. Leigh, The Private Jesus: The Dead Sea Scrolls and the Truth about Early , Monaco, 1991 4. Nell’arte questa iscrizione è di solito considerata come l’abbreviazione delle parole latine Iesus, Nazarenus, Rex Iudaeorum, o INRI 5. Gli Arabi chiamavano i primi Cristiani Nasrani o Nasara. 6. John M. Robertson, Die Evangelienmythen, Jena, 1910, p.51 sgg. 7. The Antiquities of Jews XVIII, 5:2 8. Citazione da J. Klausner, Jesus Von Nazareth, 1952, p.144 9. Forma abbreviata: 1QIs. 10. Forma abbreviata: 1QIIs. 11. Forma abbreviata: 1Qp Hab. 12. Forma abbreviata: 1QS. 13. Forma abbreviata: 1QSa. 14. Forma abbreviata: 1QH. 15. The Jewis War II, 8:3 16. Albert Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung 17. The Jewis War II, 8:7 18. L’anno ebraico era di dodici mesi che si alternavano fra 29 e 30 giorni ciascuno, per un totale di 50 settimane di sette giorni. Per effettuare l’ag- giustamento all’anno solare vero, si deve inserire un tredicesimo mese, il secondo Adar o Veadar, sette volte ogni periodo di diciannove anni. L’“anno emergente” in relazione alla cronologia ebraica è il “Giorno della Creazione”, che corrisponde nel calendario Gregoriano al 20 settembre del 3760 a.C. 19. A. Hilgenfeld, Zeitshrift für wissenschaftliche Teologie (1860-1862); Bauer, Essener, in Pauly-Wissowa, Suppl. Bd. IV, S p.426 sgg.

323 La vita di Gesù in India

20. Cf. Emile Burnouf, Le Bouddhisme en Occident, in Revue des Deux Mondes, 1888 21. Origene, Contra Celsum, 6:27 22. I Codici di Nag Hammadi II 3, 121:15-19 23. Secondo Edmunds, Buddhist and Christian Gospels, ce ne sono 112 24. C.G. Montefiore, The Synoptic Gospels, 2° ed., 1927 25. Cf. Genesi, 17:1 sgg. 26. Cf. Esodo 12:43 sgg., Ezechiele 44:9 27. Hennecke-Schneemelcher, Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.210 28. La forma araba siriana è Alavites, quella turca Alevites, mentre nelle aree in cui si parla il Farsi (Persiano), il termine generale è Ali-Ilahi (“deificatore di Alì”) 29. Gli stessi Nusairi derivano il loro nome da quello di uno dei loro capi du- rante l’ottavo secolo, Ibn Nusair, ma questa derivazione è vista con molti dubbi dagli studiosi perchè era stata probabilmente formulata allo scopo di evitare ai Nusairi un’accusa di eresia. Cf. R. Dussaud, Histoire et religion des Nosairis, Paris 1900; I. Goldziher, Archiv für Religionswissenschaft, 4/1901; H.J. Schoeps, Theologie und Geschichte des Urchristentums; G. Lüling, Die Wiederentdeckung des Propheten Muhammad, Erlangen, 1981 30. Il gruppo Alawita dell’Anatolia (Kizilba, Tahtaci, Yuruka, e l’élite spiri- tuale dei dervisci Bektashi), che vivono principalmente come agricoltori di montagna, pastori e nomadi, rappresentano attorno al 15-30 per cento dell’intera popolazione turca. 31. Questo non si applica ai Nusairi siriani, le cui tradizioni religiose sono un previlegio soltanto degli uomini. 32. E. Müller, Kulturhistorische Studien zur Genese pseudo-hislamischer Sek- tengebilde in Vorderasien, Wiesbaden, 1967 33. A.J. Dierl, Geschichte und Lehre des anatolische Alevismus-Bektashismus, Frankfurt, 1985 34. A.J. Dierl, op. cit. p.125 sgg. 35. Altra letteratura su questo tema include: J.K. Birge, The Bektashi Order of Dervishes, Hartford, 1937; E. Gross, Das Vilajetname des Hadji Bektash, Lipsia, 1927; A. Haas, Die Bektashi, Berlin 1987; G. Jacob, Die Bektashije in Abhdlg. d. königl. bayer. Akademie d. Wissensch. I.KI.XXIV, Bd.III, Monaco 1909; Beiträge zur Kenntnis des Derwisch-Ordens der Bektaschije, Berlino, 1908; Das Fortleben von antiken Mysterien und Altchristlichem im Islam, in Der Islam, 1911, p.232 sgg.; H. Kirchmaier, Über die Yezidi, in Der Islam, 34, 1959; E. Kohn, Vorislamisches in einigen vorderasiatischen Sekten und Derwischorden, in Ethnologische Studien, 1931, p.295 sgg.; Henri Lammens, L’Islam, Beirut, 1941; R. Strothmann, Morgenländische Geneimsekten in der abendländischen Forschung, Berlino, 1953; Der Islam: Sekten, in Hdb. D. Rel. Wissensch., Berlino, 1948.

324 Capitolo 6: Il segreto di Gesù

1. Gallup Poll sui Valori Europei, Londra, 1983; G. Gallup jr. Encounters with Immortality, 1983 2. Secondo L. von Schroeder (Pythagoras und die Inder, Lipsia, 1884), Pitagora fu “colui che portò in Grecia le tradizioni indiane”. Ma, anche tralasciando la questione se Pitagora abbia realmente visitato l’India di persona, i contatti culturali fra la Grecia e l’India ai tempi del Buddha sono accertati. 3. Friedrich Weinreb, Das Buch Jonah, Zurigo, 1970 p.90 sgg. 4. The Antiquities of Jews XVIII, 1:3 5. The Jewish War II, 8:14 6. Per esempio: di Alessandria (circa dal 25 a.C. al 50 d.C.) nella sua opera Sul sognare (I, 139); Giustino Martire (circa 100-165) nel suo Dialoghi con Tryphon l’Ebreo (LXXXVIII, 5) Tatian (secondo secolo) nel suo Discorsi ai Greci (VII, 5-6), Synesius di Cirene (tra il 370-413) in Sui Sogni (140 B) e Agostino (354-430) in Sulla Grandezza dell’Anima (XX, 34) e nelle Confessioni (I, 6,9) 7. Eusebius, Historia Ecclesiastica V, 9; E. Benz, Indische Einflüsse auf die frühchristliche Theologie, Wiesbaden, 1951 8. Cf. E. Pagels, Versuchnung durch Erkenntnis. Die gnostischen Evangelien 9. H. de Lubac, Textes Alexandrins et Bouddhiques, RechScRel 27, 1937 10. Clemente di Alessandria, Stromateis I, 15 11. Clemente di Alessandria, Admonition I, 6 12. Clemente di Alessandria, Stromateis IV, 160:3 13. E. Seeberg, Ammonio Sakas, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, Bd. LX, 1941; E. Benz, Indische Einflüsse auf die frühchristliche Theologie, op. cit., Cope, citato in Karl Hoheisel, Das frühe Christentum und die Seelenwan- derung, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 1984-1985 14. Origene, De Principiis 15. Origene, Contra Celsum 16. Gregorio di Nyssa, The Catechetical Oration VIII, 9 17. M. Pryse, Reincarnation in the New Testament, Ansata, 1980 18. Bagvan Dass, Krishna and the Theory of Avatars 19. Sri Yukteswar, La Scienza Sacra (Self Realization Fellowship, Los Angeles) 20. F. Hitching, Die letzen Rätsel unserer Welt, Francoforte, 1982; p.118 segg.

325 La vita di Gesù in India

Capitolo 7: La Sindone - Un’eredità di Gesù

1. Flavio Giuseppe, The Antiquities of the Jews XVIII, 1:1,6 2. Secondo le ricerche linguistiche più recenti del filologo Rev. Dr. Günther Schwarz, c’è tuttavia un errore di traduzione. La parola aramaica per “spa- da”, zeyana, si distingue solo da un piccolo accento da ziyyuna, “nutrimento (spirituale)”, un significato che darebbe alla frase un senso completamente diverso. 3. Epifanio, Her. 30 4. W. Marxsen, Die Auferstehung Jesu, Gütersloh, 1960 5. Cf. Kersten e Gruber, The Jesus Conspiracy: The Truth About the Resur- rection, Element Books, 1994. I paragrafi seguenti sull’argomento della Sindone di Torino sono in gran parte basati su quest’opera. Poichè i risul- tati dell’indagine storica del Dr. Gruber rappresentano l’aggiornamento più completo della ricerca sulla Sindone e supportano in modo significativo le mie argomentazioni, vi sono riportati qui e/o parafrasati alcuni passaggi fondamentali. Lo stesso dicasi per molti passaggi del Capitolo 8. 6. Ian Wilson, The Turin Shroud, London, 1978 7. Jerome, De Viris Illustribus II 8. Eusebius, Historia Ecclesiastica I, 13; II, 6-8 9. La pellegrina Eteria di Aquitania visitò Edessa nel 383 al suo ritorno dalla Terra Santa, e riportò in Occidente una copia della lettera. Cf. J.F. Gamurrini (ed.), S. Hilarii Tractatus et Hymni et S. Silviae Aquitanae Perigrinatio ad loca sancta... ex cod. Arretino depromps, Biblioteca dell’Accademia Storico Giuridica, Vol. IV, Roma 1887; H. Pétré, Peregrinatio Aetheriae, Sources Chrétiennes, 21, Parigi, 1948 10. W. Cureton, Ancient Syriac Documents Relative to the Earliest Establish- ment of Christianity in Emessa and the Neighbouring Countries, London, 1864; G. Philips (ed.), The Doctrine of Addai the Apostle, London, 1876 11. Narratio (PG 113), traduzione inglese in Wilson, The Turin Shroud, op. cit. 12. E. von Dobschütz, Christusbilder, Lipsia, 1899, p.182 13. Evagrius, Historia Ecclesiastica, Migne, PG LXXX, VI/2, Sp. 2748-49 14. W. Bulst, Das Grabtuch von Turin, Karlsruhe, 1978, p.111 15. P. Mignon, Le Saint Suaire de Turin devant la science, l’archeologie, l’histoire, l’iconographie, la logique, Paris, 1938; E.A. Wuenschel, Self- Portrait of Christ: The Holy , New York 1954; Wilson, The Turin Shroud, op. cit. Paul Maloney riduce ulteriormente la lista di Vignon da venti a soltanto nove caratteristiche, che anche gli osservatori più scettici devono accettare. P. Maloney, The Shroud of Turin: Traits and Peculiarità of Image and Cloth Preserved in Historical Sources: discorso al Simposio

326 Internazionale “La Sindone e le icone” Bologna, maggio 1989 16. Citato in M. Green, Enshrouded in Silente, Ampleforth Journal 74, 1969, p.319-345 17. Ordericus Vitalis, Historia Ecclesiastica, TLIII, IX, 8 18. Gervasio di Tilbury, Otia Imperialia, III 19. Citazione da Wilson, The Turin Shroud, op. cit. 20. In questo periodo i Mandylion erano esposti al pubblico a Roma, Genova e Parigi, ma erano tutte copie dipinte a mano; nessuna pretendeva di essere l’originale. Il cosiddetto “asciugamano di Veronica” è una copia di questo tipo; il suo nome si può fare risalire alla descrizione vera icon (“immagine vera”) usata per il Mandylion. 21. E. Hezck, Genua und seine Marine im Zeitalter der Kreuzzüg, Innsbruck, 1886, p.66 22. Epist. Innoc., Migne, PL 215, p.433 sgg. 23. Charny è lo stesso nome di Charnay; in quel tempo la lingua francese non si era ancora sviluppata fino ad avere un’ortografia standardizzata. 24. Per ulteriori dettagli sulla straordinaria del lenzuolo, si veda: Kersten e Gruber, The Jesus Conspiracy, op. cit. 25. H. Thurston, The Holy Shroud... in The Month, 101, 1903, p.19 26. J. Reban, Christus wurde lebending begraben, Zurigo, 1982 27. W. Bulst, Das Grabtuch von Turin, Karlsruhe, 1978, p.123 28. Kersten e Gruber, The Jesus Conspiracy, op. cit.

Capitolo 8: La “morte” e la “resurrezione”

1. C.H. Dodd, Historical Tradition in the fourth Gospel, Cambridge, 1963, p. 423; S.G. Brandon, Jesus and the Zealots, Manchester, 1967, p.16 2. H. Lincold, M. Baigent e R. Leigh, Il Santo Graal 3. G. Ghiberti, La sepoltura di Gesù, Roma, 1982, p.43 4. P. Barbet, Die Passion Jesu Christi in der Sicht eines Chrurgen, Karlsuhe, 1953; W. Bulst e J. Pfeiffer, Das Turiner Grabtuch und das Christus bild, Francoforte, 1987, p.87 sgg; N. Currer-Briggs, The Holy Grail and the Shroud of Christ, Maulden, 1984, p.16 5. P. G. Bagatti e J.T. Milik, Gli scavi del “Dominus flevit”, la necropoli del periodo romano, Gerusalemme, 1958 6. L’unico disegno corretto di una struttura tombale è riportato in: Mishnah, Baba Bathra 6,8. 7. P. Savio, Ricerche storiche sulla Santa Sindone, Torino, 1957, p.33 sgg. 8. G. Zaninotto, GV 20,1-8, Giovanni testimone oculare della risurrezione di Gesù?, Sindone, 1, 1989; p. 148. Un passaggio degli Acta Philippi (143) è di particolare interesse su questo punto, “Filippo chiese di essere seppellito

327 La vita di Gesù in India

in foglie di papiro, e che nessun lenzuolo di lino fosse posato su di lui, in modo da evitare di essere trattato allo stesso modo di Cristo, che fu avvolto in una Sindone” (en sindoni eneilethe). 9. L’imbalsamazione di Jacopo e Giuseppe (Genesi 50:2-3,26) sono eccezioni, basate sugli antichi usi egiziani. 10. E. Haenchen, Das Johannes Evangelium: Eine Kommentar, Tubinga 1980, p.556 11. Shabbat 23:5 12. A. Dessy, La sepoltura dei crocefissi, Sindon, 1, 1989, p.42 13. L. Boulos, Medicinal Plants of North Africa, Algonac 1983, p.128; J.A. Duke, Medicine Plants of the Bible, New York, 1983, p.19; H.N. Moldenke e A.N. Moldenke, Plants of the Bible, New York, 1952, p.35; cf anche G.W. Reynolds, The Aloe of South Africa, Johannesburg, 1950, p.349 sgg. 14. F. N. Hepper, The Identity and Origin of Classical Bitter Aloe, Palestine Exploration Quarterly, 120, 1988, p. 146-148 15. D. Grindlay e T. Reynolds, The Aloe Vera Phenomenon: A review of the properties and modern use of the leaf parenchyma gel, Journal of Ethnop- harmacology, 16, 1986, p.117-151 16. Moldenke e Moldenke, Plants of the Bible, op. cit. 17. A. W. Anderson, Plants of the Bible, New York, 1957 18. A. Feuillet, The Identification and the Disposition of the Funerari Linens of Jesus, Burial Accordino to the Fourth Gospel, SSI, 4, 1982, p.18; Zaninotto, Sindone, op. cit. p.160. Blintzer è stato il primo a farlo notare: J. Blintzer, Das Turiner Grablinnen und die Wissenschaft, Ettal, 1952. In Matteo e Luca il verbo eneileo che suggerisce il “peso” dell’impacco è attenuato dall’uso del verbo entylisso, che significa semplicemente “avvolto”. 19. H. Mödder, Die Todesursache bei der Kreuzigung, in Stimmen der Zeit, 144, 1948, p.50-59; F. Zugibe, Death by , in Canadian Society of Forensic Science Journal, 17, 1984 20. “È venuto il Figlio dell’Uomo che mangia e beve, e si dice: “Ecco un mangione e un beone...” (Matteo 11:19) 21. Flavio Giuseppe, Vita IV, 75 22. Petrus de Natalibus, Catalogus Sanctorum, Lyon, 1508. Petrus de Natalibus basa le sue affermazioni su Giovanni di Damasco. 23. B. Bagatti e E. Testa, Il Golgota e la Croce, Gerusalemme,1978; p.24. L’apocrifo Vangelo di Pietro chiama il posto dove fu scavata la tomba “Giardino di Giuseppe”. 24. Flavio Giuseppe, The Jewish War IV, 5:2 25. Almeno uno studioso delle Scritture ha trovato anche molto strano che Giuseppe abbia fatto costruire la sua tomba proprio vicino a un luogo di esecuzioni capitali: Haenchen, Das Johannes-Evangelium, come sopra; p.564. 26. Ma Giovanni faceva probabilmente riferimento a Cristo come simbolo del

328 vero Agnello Pasquale. L’issopo aveva una funzione importante nel rituale che commemorava la prima Pasqua (Esodo 12:22). Nel Vangelo di Marco, il passaggio corrispondente dice che la spugna di aceto era attaccata su una canna (kalamos). Ha forse Giovanni usato intenzionalmente il termine hussopos (“hyssop”) invece di kalamos? 27. R. Seydel, Das Evangelium von Jesus, Lipsia, 1882, p.273 28. J. Blinzler, Das Turiner Grablinnen und die Wissenschaft, op. cit., p.31 29. H. Bardtke, Die handshriftenfunde am Toten Meer, Berlino, 1958, p.42 30. G. Ricci, Kreuzweg nach dem Leichentuch von Turin, Roma, 1971, p.68 sgg. 31. R. Hoare, The Testimony of the Shroud, London, 1978, p.53 32. Lettera del Marzo 1990 33. J. S. Kennard, The Burial of Jesus, JBL 74, 1955, p.238 34. Cf. R. Thiel, Jesus Christus und die Wissenschaft, Berlino, 1938, p.100 sgg. 35. Alla cosiddetta “Ascensione”, Gesù evidentemente scomparve dalla zona in cui aveva operato, e probabilmente iniziò il suo viaggio verso l’India. 36. G. Schwarz, Anhistemi und anastasis in den Evangelien, in Bibliche Notizen, Beiträge zur exegetischen Diskussion, 10, 1979, p.35-40 37. G. Schwarz, Tod, Auferstehung, Gericht und ewiges Leben nach den ersten drei Evangelien, Via Mundi, 55, 1988 38. C f. G. Schwarz, Wenn die Worte nicht stimmen: Dreissig entstellte Evan- gelientexte wiederhergestellt, Monaco 1990, p.56 sgg. Poichè la tradizione ha ovviamente confuso “rianimazione” con il concetto teologico di “risurre- zione”, non è possibile mettere a fuoco il significato esatto dei testi biblici.

Capitolo 9: Dopo la Crocifissione

1. W. Lange-Eichbaum, Genie, Irrsinn und Ruhm, Monaco, 6a ed., 1967, p.496 sgg. 2. Lactantius, Institutiones, 5:3 3. Vol. 3, p.197 sgg. 4. Hennecke-Schneemelcher, Neutestamentische Apokryphen, op. cit. Vol. II p.299 sgg. 5. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. I, p.199 sgg. 6. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. I, p.206 sgg. 7. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.303 8. Arabo per “Riverito Gesù” 9. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.316 10. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.319 11. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.320 12. Cf. Neutestamentische Apokryphen, Vol. II, p.322

329 La vita di Gesù in India

13. J. Jeremias, saggio in Nachrichten aus der Akad. d. Wiss. Göttingen, I. Phil.-Hist. Kl., 1953, p.95 sgg. 14. Hennecke-Schneemelcher, Neutestamentische Apokryphen, Vol. I, p.199 sgg. 15. J. Jeremias, op. cit. 16. G. Lüling, Über den Ur-Quran, Erlangen, 1977; Die Wiederentdeckung des Propheten Muhammad, Erlangen, 1981 17. Cf. H. Glasenapp, Die Literaturen Indiens, Stoccarda, 1961, p.129-135 18. Da H.R. Hoffmann, Kalacakra Studies I, in Central Asiatic Journal, Vol. 13, 1969, p.52-73; Vol. 15, 1972, p.298-301 19. La prima e la migliore delle quattro ere (yuga) 20. Citato nella traduzione da A. Hohenberger, Das Bhavishyapurana, in Mün- chener Indologische Studien 5, Wiesbaden, 1967, p.17 sgg. 21. Arabo per “Riverito Gesù” 22. Tarikh-i-Kashmir, p.69 23. Fonte: Kans-ul-Ammal, Vol. II, p.34 24. Ikmâl-ud-Din, p.327; cf. Matteo 13:1-23; Marco 4:1-20; Luca 8:4-15 25. Citazione da D.W. Lang, The Wisdom of Balahar, New York, 1957, p.37 26. Negli ultimi anni la tomba è stata rinnovata e modificata un buon numero di volte. Questo ha probabilmente modificato in qualche modo anche le strutture circostanti, ma poichè il Kashmir è stato soggetto a notevoli re- strizioni dal 1989 (a causa dei continui tumulti e dell’attività di guerriglia), non c’è alcuna informazione attendibile sulle condizioni attuali della tomba. Un pezzo della griglia fu venduto a un visitatore nel 1989 ed è ora in mio possesso. 27. Secondo Aziz Kashmiri, editore del giornale Roshni pubblicato a Srinagar, le impronte dei piedi furono scoperte nel 1958 da Mrs. Ketkar, la figlia dell’aiutante di Lord Kitchener. 28. Citazione da M. Yasin, Mysteries of Kashmir, Srinagar, 1972.

330 BIBLIOGRAFIA

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341 Altri libri di Verdechiaro edizioni

MEMORIE DAL FUTURO DI BENEDETTO XVI Adeodato Blanco Scritto nel 1984 da un uomo di Chiesa che si cela dietro ad uno pseudonimo (l’inquisizione è tuttora una realtà) questo affascinante libro ci parla del rinnovamento della Chiesa che, volente o nolente, essa sarà costretta ad accettare, ritornando agli insegnamenti originali di Cristo, o affonderà per sempre. Follia o profezia? Un libro che non mancherà di sconcertare il lettore, sia laico che ecclesiastico.

IL LIBRO DEI MISTERI SUBLIMI Cesare Boni Il mistero di Dio, della vita e della morte, tutte le domande che l’uomo si pone, oggi come non mai, trovano qui una ri- sposta chiara. Documentata e, soprattutto, vissuta. Un libro che aiuta a dare un senso ai tanti interrogativi sul perché delle cose. Frutto di 40 anni di ricerche e di insegnamento.

IL SEGRETO DI BALI Giuliano Gherpelli Lasciati accompagnare in questa esperienza a Bali da un profondo conoscitore della spiritualità balinese. Attraverso gli appunti di tanti viaggi, è una riflessione sui valori segreti non scritti nei libri e nascosti nei simbolismi contenuti nella vita quotidiana di questa meravigliosa isola. Un libro per chi ama Bali ma anche per chi non la conosce e vuole saperne di più prima di andarci.

342 SIDDHARTA audiobook Hermann Hesse Il Siddharta di Hermann Hesse in versione audiolibro, inter- pretato dal noto attore Enzo Decaro e con una nuova traduzio- ne di Paola Giovetti. La collana Verdechiaro Audiobook non è il tradizionale ascolto del testo, ma un suo completamento “sensoriale”, sonoro e ambientale, per adattare la lettura del libro all’emisfero destro del cervello, quello dell’emotività con cui, oltre ad ascoltare, si “sente”.

KATHERINE MANSFIELD, UNA STRANA MORTE Mario Pincherle Chi l’ha detto che bisogna soffrire? Il percorso interiore che Pincherle ci propone è qualcosa di molto diverso: non la vi- sione del mondo dei “disarmonizzatori”, la cui strada passa attraverso il dolore o la divisione, ma quella di chi si accorge che non è necessario che le rotture avvengano e che è giunto il momento di ascoltare la voce che parla dentro di noi. Que- sto lavoro appassionato non potrà non affascinare il lettore. PONIBILI SOLO PRESSO L’EDITORE LA QUINTESSENZA DELLE RELIGIONI Anthony Elenjimittam Il primo libro di Padre Anthony, tuttavia attualissimo. Ci mo- stra come, al di là delle forme, dei dogmi e dei rituali, ciò che sta alla base di ogni religione è la stessa, unica essenza: la realizzazione di Dio o del Sé, quell’IO SONO che permea e vivifica ogni essere. È tempo di trovare la comune essenza per arrivare alla Religione Universale dell’Uomo.

DALLE RELIGIONI POLITICIZZATE ALLE RELIGIONI AUTO-REALIZZANTI Anthony Elenjimittam Le peripezie di un giovane monaco che si scontra con il dogmatismo delle strutture ecclesiastiche e che sogna la realizzazione della Religione dell’Uomo. Uno dei pochi di- scepoli di Gandhi tuttora viventi il cui scopo è lavorare per il superamento delle barriere interreligiose. È tempo di arrivare alla comprensione intuitiva del cuore delle cose per integrare e portare a frutto tutto il mondo della conoscenza umana e svelare i divini misteri della nostra vita.

343 Verdechiaro nasce dalla fusione del verde e del giallo e rap- presenta la realizzazione nel concreto di un progetto individuato attraverso l’intuizione: poter contribuire alla circolazione delle idee in cui crediamo. Le nostre proposte editoriali sono libri che portano il seme di un messaggio evolutivo che sentiamo in modo particolare. Sono opere indirizzate alla mente e al cuore dell’uomo, che pensiamo non debbano mai essere disgiunti per il raggiungimento di una più profonda consapevolezza. Che questi libri possano essere un faro per colui che desidera addentrarsi nel viaggio interiore.

Verdechiaro Edizioni via Montecchio, 23/2 42031 Baiso (Reggio Emilia) tel e fax 0522/598264 email [email protected] http://www.verdechiaro.com

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