Federico Frasson, e la fondazione di Luna…

Sylloge Epigraphica Barcinonensis (SEBarc) xvi, 2018, pp. 17-35 issn 2013-4118 data de recepció 1.2.2018 data d’acceptació 7.3.2018

Annio da Viterbo e la fondazione di Luna. La difesa erudita di un falso tra storiografia, epigrafia e numismatica Annius of Viterbo and the foundation of Luna. The erudite defense of a forgery

Federico Frasson*

Riassunto: Le falsificazioni di Annio da Viterbo, che ebbero una certa fortuna soprattutto nel XVI secolo, includono anche un frammento catoniano, in cui si attribuisce al dio Giano, identificato con il patriarca Noè, la fondazione di dodici città etrusche, tra le quali figura anche Luna, attuale Luni (SP, Italia), vicino a Sarzana. L’analisi della produzione antiquaria sarzanese dei secoli XVI-XVIII dimostra come gli eruditi locali avessero recepito la notizia dello Pseudo- Catone e avessero continuato, per ragioni campanilistiche, a dare un qualche credito a tale fonte, anche quando ormai le contraffazioni di Annio erano state ampiamente smascherate. Lo studio delle prove documentarie addotte a difesa dell’antichità del falso frammento di Catone illumina sul livello di preparazione dei dotti lunigianesi e sull’uso che questi ultimi facevano delle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche.

Abstract: The forgeries of Annius of Viterbo, which enjoyed a certain success especially dur- ing the sixteenth century, feature a Catonian fragment relating to the foundation by the god Janus (identified with the patriarch Noah) of twelve Etruscan cities, including Luna, near the modern-day Sarzana (SP, ). The analysis of the Sarzanese antiquarian production (XVI-XVIII centuries) shows how local scholars had accepted the account of the Pseudo-Cato and had continued, for campanilistic reasons, to give some credence to this source, even when Annius’ forgeries had been already largely unmasked. The study of the documentary evidences, which were used by the Lunigianese scholars to defend the antiquity of the fake fragment of Cato, enlightens us as to their competence and their use of literary, epigraphic and numismatic sources. * Università degli Studi di Genova. Al Prof. Marc Mayer i Olivé e alla Prof.ssa Giulia Baratta vanno i miei più vivi ringraziamenti per aver accolto questo mio contributo all’interno della Sylloge Epigraphica Barcinonensis.

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 17 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

Parole chiave: Annio da Viterbo, Catone, Giano, Luna, falso Keywords: Annius of Viterbo, Cato, Janus, Luna, forgery

Sul finire del XV secolo apparve sulla scena degli studi antichistici l’opera del frate domenicano Annio da Viterbo (1437-1502)1 che, con il suo accentuato misoelle- nismo, andava a minare le basi metodologiche degli studi umanistici, proponendo una radicale rilettura della storia più remota del mondo fondata sulle fonti di ori- gine orientale; in particolare, Annio (fig. 1) si poneva sulla scia di Giuseppe Flavio, che considerava la Bibbia ebraica come il resoconto storico più antico ed autorevole, di gran lunga più affidabile della tradizione greca, che, fino a Omero, avrebbe fatto ricorso a testimonianze orali, quando già da molto tempo gli Ebrei, i Caldei, gli Egizi

1. La bibliografia su Annio da Viterbo, il cui vero nome era Giovanni Nanni, è molto vasta: cfr. p. es. R. Weiss, «Traccia per una biografia di Annio da Viterbo», in Italia medioevale e umani- stica 5, 1962, pp. 425-441; E.N. Tigerstedt, «Ioannes Annius and Graecia Mendax», in C. Hen- derson Jr. (ed.), Classical, Mediaeval and Renaissance Studies in Honor of Berthold Louis Ullman, II, Roma 1964, pp. 293-310; G. Baffioni, P. Mattiangeli, Annio da Viterbo. Documenti e ricerche, I, Roma 1981; E. Fumagalli, «Un falso tardo-quattrocentesco: lo pseudo-Catone di Annio da Viterbo», in R. Avesani, M. Ferrari, T. Foffano et alii, Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, Roma 1984, pp. 337-363; A. Grafton, Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occiden- tale, trad. it., Torino 1996, pp. 30, 40-41, 44, 51-52, 57-59, 62-64, 66-67, 70, 89, 106, 109-124, 127; G. Ferraù, Riflessioni teoriche e prassi storiografica in Annio da Viterbo, in D. Canfora, M. Chiabò, M. de Nichilo (a cura di), Principato ecclesiastico e riuso dei classici. Gli umanisti e Alessandro VI. Atti del convegno (Bari-Monte Sant’Angelo, 22-24 maggio 2000), Roma 2002, pp. 151-193; R. Fubini, Storiografia dell’Umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma 2003, pp. 335-342; W. Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans: Annius of Viterbo and his Forged Antiquities», in Modern Language Notes 119, Suppl., 2004, pp. 201-223; G. Pedullà, «Annio, il falsario di Dio», in A. De Vincentiis (a cura di), Atlante della letteratura italiana, I. Dalle origini al Rinascimento, Torino 2010, pp. 596-603; W. Stephens, «Annius of Viterbo», in A. Grafton, G.W. Most, S. Settis (eds.), The Classical Tradition, Cambridge (Mass.), London 2010, pp. 46-47; W. Stephens, «Complex Pseu- donymity: Annius of Viterbo’s Multiple Persona Disorder», in Modern Language Notes 126, 4, 2011, pp. 689-708; R. Fubini, s.v. Nanni, Giovanni (Annio da Viterbo), in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXVII, Roma 2012, pp. 726-732; A. Scandaliato, G. Mandalà, «Guglielmo Raimondo Moncada e Annio da Viterbo: proposte di identificazione e prospettive di ricerca», in M. Perani, G. Corazzol (a cura di), Flavio Mitridate mediatore fra culture nel contesto dell’ebraismo siciliano del XV secolo. Atti del convegno internazionale di studi, Caltabellotta, 30 giugno-1 luglio 2008, Palermo 2012, pp. 201-217; I.D. Rowland, «Annius of Viterbo», in J.M. Turfa (ed.), The Etruscan World, Abingdon, New York 2013, pp. 1117-1129; W. Stephens, «From Berossos to Berosus Chaldaeus: The Forgeries of Annius of Viterbo and Their Fortune», in J. Haubold, G.B. Lanfranchi, R. Rollinger et alii (eds.), The World of Berossos. Proceedings of the 4th International Colloquium on »The Ancient Near East between Classical and Ancient Oriental Traditions«, Hatfield College, Durham 7th-9th July 2010, Wiesbaden 2013, pp. 277-289; V. De Caprio, «Annio da Viterbo e i toponimi», in L. Bertolini, D. Coppini, C. Marsico (a cura di), Nel cantiere degli umanisti per Mariangela Regoliosi, I, Firenze 2014, pp. 475-494; M. Mayer i Olivé, «El prefacio de las Antiquitates de Juan Annio de Viterbo: oportunidad e intención política», in J.M. Maestre Maestre, S.I. Ramos Maldonado, M.A. Díaz Gito et alii (eds.), Humanismo y pervivencia del mundo clásico. Homenaje al Profesor Juan Gil, IV, Alcañiz, Madrid 2015, pp. 1853-1868; I.D. Rowland, «Annius of Viterbo and the Beginning of Etruscan Studies», in S. Bell, A.A. Carpino (eds.), A Companion to the Etruscans, Malden, Oxford, Chichester 2016, pp. 433-445.

18 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… e i Fenici registravano accuratamente in forma scritta gli eventi della loro storia2. La pretesa «rivoluzione» anniana si basava sulla riscoperta di molti testi, che si ritenevano perduti, come i Babyloniaca di Berosso (chiamati Chaldaica da Annio), una copia dei quali sarebbe stata data al viterbese da due domenicani armeni, che gli avevano fatto visita mentre si trovava presso il convento di Santa Maria di Ca-

Fig. 1. Viterbo, Palazzo dei Priori, Sala del Consiglio, affresco raffigurante frate Annio (da Stephens, «Gli Etruschi…», cit., p. 3)

2. W.E. Stephens, «Gli Etruschi e la Prisca Teologia in Annio da Viterbo», in Biblioteca e società 4, 3-4, 1982, pp. 6-9; W.E. Stephens, «The Etruscans and the Ancient Theology in Annius of Viterbo», in P. Brezzi, M. de Panizza Lorch (a cura di), Umanesimo a Roma nel Quattrocento. Atti del Convegno su «Umanesimo a Roma nel Quattrocento», New York 1-4 dicembre 1981, Roma, New York 1984, pp. 314-322; M. Wifstrand Schiebe, «Tyrrhenus the Degraded Hero. On Changing Concepts in the

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 19 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… stello, a Genova3. L’opera di Annio, che con il suo impatto virtualmente avrebbe potuto segnare una svolta nel panorama degli studi, era però frutto di impostura, dal momento che tutti i nuovi testi antichi presentati e commentati dal frate domenicano non erano altro che invenzioni di quest’ultimo. Data alle stampe per la prima volta nel 1498 a Roma, per i tipi di Eucharius Silber, con il titolo di Commentaria super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium, l’opera, che oggi è più conosciuta con il nome di Antiquitates, derivato dal titolo dell’edizione parigina del 15124, riscosse un grande successo, tanto che, tra il 1498 e il 1612, ne furono fatte almeno diciotto edizioni in latino e due tradu- zioni italiane. La perdurante fortuna delle Antiquitates5, al cui curioso fascino non sfuggirono nemmeno Jean Bodin, Lutero, Erasmo da Rotterdam e Calvino6, appare piuttosto sorprendente, se si pensa che i sospetti di contraffazione si erano fatti strada molto presto negli ambienti umanistici, come dimostrano le riserve avanzate già dal Volaterrano, dal Sabellico, da Pietro Crinito, Jacques Léfèvre d’Étaples e Juan Luís Vives7. Questo successo, tuttavia, può essere spiegato con l’abilità di Annio, che aveva saputo dare armonia al suo lavoro, e aveva scelto, come fonti, autori che godevano di una grande reputazione presso i suoi contemporanei, inserendoli in una «catena filologica» accuratamente studiata; la stessa veste tipografica dell’imponente volu- me, che imitava lo stile universitario, contribuiva, poi, a incutere rispetto nel lettore. Il viterbese, senza mai lodare apertamente la sua dottrina, era riuscito a plasmare abilmente il suo personaggio di studioso serio e autorevole, giungendo persino, con

Works of Annius of Viterbo», in Aevum 66, 1993, pp. 386-388; G. Petrella, L’officina del geografo. La «Descrittione di tutta Italia» di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinque- cento. Con un saggio di edizione (Lombardia-Toscana), Milano 2004, pp. 61-62; Pedullà, «Annio…», cit., pp. 599-600; Stephens, «Complex Pseudonymity…», cit., pp. 701-703; Fubini, s.v. Nanni…, cit., pp. 729-730; Stephens, «From Berossos to Berosus Chaldaeus…», cit., pp. 279-280; De Caprio, «An- nio da Viterbo…», cit., pp. 484-488. Cfr. già Tigerstedt, «Ioannes Annius…», cit., pp. 302-310, che interpretava il misoellenismo antiumanistico di Annio come una difesa del testo biblico. 3. Weiss, «Traccia…», cit., pp. 430-431; Pedullà, «Annio…», cit., p. 597; Stephens, «Complex Pseudonymity…», cit., pp. 695, 701-702; Fubini, s.v. Nanni…, cit., p. 728; Stephens, «From Berossos to Berosus Chaldaeus…», cit., spec. pp. 278-280. 4. Antiquitatũ variarũ volumina. XVII. A venerãdo & sacræ theologiæ: & prædicatorii ordĩs ꝓfessore Io. Annio hac serie declarata, [Parigi] 1512; cfr. p. es. Weiss, «Traccia…», cit., p. 435; Petrel- la, L’officina…, cit., pp. 59-60; Pedullà, «Annio…», cit., p. 597; Fubini, s.v. Nanni…, cit., p. 730; G. Marcocci, «Contro i falsari. Gaspar Barreiros censore di Annio da Viterbo», in M. Donattini (a cura di), Tra Rinascimento e Controriforma. Continuità di una ricerca. Atti della giornata di studi per Albano Biondi, Modena 23 settembre 2009, Verona 2012, p. 191; De Caprio, «Annio da Viterbo…», cit., pp. 475-477. 5. Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., pp. 204-206. 6. Cfr. p. es. Tigerstedt, «Ioannes Annius…», cit., p. 295; Petrella, L’officina…, cit., p. 64; Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., p. 206; Pedullà, «Annio…», cit., p. 598; Marcocci, «Contro i falsari…», cit., p. 195. 7. Vd. p. es. Weiss, «Traccia…», cit., pp. 437-438; Tigerstedt, «Ioannes Annius…», cit., p. 296; Petrella, L’officina…, cit., pp. 71-73; Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., p. 206; Pedullà, «Annio…», cit., p. 597; Marcocci, «Contro i falsari…», cit., p. 195; Mayer i Olivé, «El prefacio de las Antiquitates…», cit., p. 1855; più cauto il Panvinio (cfr. J.-L. Ferrary, Onofrio Panvinio et les antiquités romaines, 1996, pp. 69-70).

20 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… una certa sfacciataggine, a mettere in guardia dai falsari, forse nel tentativo di cau- telarsi8. L’entusiasmo antiquario generato dal contenuto delle Antiquitates, scritte da quello che, nel 1499, era diventato il magister Sacri Palatii della Corte pontificia9, in molti casi prevalse sullo spirito critico dei fruitori dell’opera, che spesso era oggetto di una lettura distratta e superficiale, senza contare le volte in cui le falsificazioni anniane erano riferite di seconda mano da autori che non avevano mai consultato direttamente il lavoro del viterbese. La vera forza delle Antiquitates, però, risiedeva nel prezioso materiale che offriva a coloro che cercavano legittimazione per le loro pretese, come le famiglie regnanti di molti paesi d’Europa, che nella storia primigenia della loro civiltà trovavano utili spunti per sostenere le loro rivendicazioni10, ma anche agli storici locali, che potevano nobilitare una casata o una città attribuendole un’origine insigne e antichissima. Questo specifico utilizzo dell’opera di Annio trova riscontro, per esempio, nella dissertazione De Luna Etruriae oppido Lunensique portu e, in particolare, in un passo che l’autore, il giureconsulto sarzanese Agostino Bernucci (1514-1584), scrisse prima del 156011: «Lunam igitur, quae etiam nunc a Macra flumine haud procul

8. Sulle ragioni del successo dell’opera di Annio, cfr. p. es. Grafton, Falsari e critici…, cit., pp. 58, 66; Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., pp. 214-218; Pedullà, «Annio…», cit., pp. 598-599. 9. Weiss, «Traccia…», cit., pp. 435-436; Tigerstedt, «Ioannes Annius…», cit., p. 293; P. Mat- tiangeli, Annio da Viterbo ispiratore di cicli pittorici, in Baffioni-Mattiangeli, Annio…, cit., pp. 257, 266; Petrella, L’officina…, cit., p. 61; Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., p. 214; Mayer i Olivé, «El prefacio de las Antiquitates…», cit., p. 1854. 10. Cfr. p. es. M. Mayer, «Ciríaco de Ancona, Annio de Viterbo y la historiographía hispánica», in G. Paci, S. Sconocchia (a cura di), Ciriaco d’Ancona e la cultura antiquaria dell’Umanesimo. Atti del Convegno internazionale di studio, Ancona, 6-9 febbraio 1992, Reggio Emilia 1998, pp. 349-357; R. Bizzocchi, Genealogie incredibili. Scritti di storia nell’Europa moderna, 20092, pp. 25-47; Pedullà, «Annio…», cit., p. 598; Marcocci, «Contro i falsari…», cit., pp. 192-194; in questo senso, un’analoga funzione era svolta da secoli dalle Cronache troiane di Ditti Cretese e Darete Frigio che, come le Antiquitates anniane, erano fittizie, anche se si distinguevano da queste ultime per essere state effettivamente redatte nell’antichità. Sull’argomento e sulla vexata quaestio dei possibili rapporti tra le due opere, cfr. da ultimo V. Prosperi, «Veri falsi, antichi e moderni: le Antiquitates di Annio da Viterbo e le Cronache troiane di Ditti Cretese e Darete Frigio», in A. Guzmán, I. Velázquez (ed.), De Falsa et Vera Historia I. Estudios sobre falsificación documental y literaria antigua, Madrid 2017, pp. 341-355. 11. Sul Bernucci (o Brenucci), cfr. p. es. A. Neri, «Agostino Bernucci», in Giornale storico e letterario della Liguria 5, 1-2, 1904, pp. 337-368. La dissertazione, di cui presso l’Archivio di Stato di Lucca si conserva una copia manoscritta già proprietà di Giovanni Battista Orsucci (ASLu, G. B. Orsucci, 44, 5), fu data alle stampe per la prima volta solo due secoli circa dopo la sua compilazione (vd. Stephani Baluzii Tutelensis Miscellanea novo ordine digesta et non paucis ineditis monumentis opportunisque animadversionibus aucta opera ac studio J.D. Mansi archiepiscopi Lucensis, IV, Lucae 1764, pp. 145- 149); su tale opera, scritta verosimilmente in momenti diversi, vd. CIL XI, p. 258 nr. V; G. Sforza, «Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1442 al 1800. Notizie raccolte da G. Sforza», in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le province modenesi s. IV, 7, 1895, pp. 109-115; Neri, «Agostino Bernucci…», cit., pp. 337-368; R. Cavalli, «Luni paleocristiana. Aggiornamento degli studi e degli scavi», in Giornale Storico della Lunigiana e del Territorio Lucense n.s. 24-25, 1973-1974, pp. 104-105; F. Frasson, Le epigrafi di Luni romana. I. Revisione delle iscrizioni del Corpus Inscriptio- num Latinarum, Alessandria 2013, p. XVI; F. Frasson, «La verità nascosta dietro al falso. Dagli onori a un notabile di Luna alla leggenda di Giano fondatore della città», c.d.s.

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 21 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… iacere deserta conspicitur, a Jano ad litus Hetruscum conditam Cato in fragmentis autumat, cuius rei argumentum illius regionis nomen esse potest, quae passim Lune- iana nuncupatur, silicet Janis luna»12. Luna è ovviamente la colonia romana dedotta nel 177 a.C., inclusa nella VII regio augustea e corrispondente all’attuale Luni (SP), mentre i frammenti di Catone, nei quali il Bernucci rinviene la notizia che tale città sarebbe stata fondata da Giano, sono proprio una delle fantasiose falsificazioni di Annio, alla quale il dotto sarzanese evidentemente prestò fede, forse sedotto dalla possibilità di dare ulteriore lustro a un centro di comprovata antichità, considerato allora, come oggi, il diretto antenato di Sarzana. Nel VII libro delle Antiquitates, infatti, nel testo di uno dei presunti frammenti delle Origines che Annio avrebbe rinvenuto nel codice trecentesco di un ignoto magister Guilielmus Mantuanus13, fra le dodici colonie che Giano, identificato dal viterbese con Noè, avrebbe fondato in territorio etrusco, e in particolare tra le quattro situate «ad littus Etruscũ», ossia lungo la costa tirrenica, figura anche «Cariara», di cui «Luna» sarebbe stato il nome in lingua latina14. A conforto della notizia «catoniana» il Bernucci ricorda anche la presenza della parola JANO nella prima riga di un’iscrizione bilingue (latina e greca) incisa su una lastra ritrovata nelle rovine di Luni non molto tempo prima15, considerandola come una testimonianza del mitico fondatore di Luna, mentre in realtà le lettere, che pro- babilmente andavano trascritte IANO, non dovevano essere altro che la parte finale di un cognome lacunoso, quasi certamente Petriniano16.

12. ASLu, G. B. Orsucci, 44, 5, f. 247r.; vd. anche Mansi 1764, p. 145 (con trascurabili differenze nel testo). 13. Weiss, «Traccia…», cit., p. 431; Fumagalli, «Un falso tardo-quattrocentesco…», cit., pp. 341- 343, 358; Petrella, L’officina…, cit., p. 71; Pedullà, «Annio…», cit., p. 597; cfr. già Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., p. 97. 14. Antiquitatũ variarũ…, cit., f. LIXv., con commento al f. LXv., ripreso da Leandro Alberti (Descrit- tione di tutta Italia, Bologna 1550, f. 24v.; cfr. Petrella, L’officina…, cit., p. 351); cfr. anche Antiquitatũ variarũ…, cit., ff. LXVIIIr., LXXIIIIr., LXXVIIv. Sullo pseudo-Catone di Annio come fonte per l’incivilimento e la colonizzazione dell’Etruria da parte di Giano, cfr. p. es. Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., pp. 97-98; Stephens, «Gli Etruschi…», cit., pp. 6, 8-9; Stephens, «The Etruscans…», cit., pp. 316, 319, 321-322; Stephens, «Complex Pseudonymity…», cit., p. 704. Sui falsi frammenti catoniani di Annio, vd. in generale Fumagalli, «Un falso tardo-quattrocentesco…», cit., pp. 337-363. 15. ASLu, G. B. Orsucci, 44, 5, f. 247r. (cfr. Stephani Baluzii…, cit., p. 145). L’epigrafe sarebbe stata trasportata a Sarzana nel 1525: cfr. H. Landinelli, Del origine dell’Antichissima Città di Luni, del suo disfacimento. Della Città di Sarzana, e di tutte le cose più Notabili pertinenti à detta città, et a tutta la Provincia di Lunegiana. Della chiesa lunense, e de suoi vescovi, divisa in due trattati (ms. cart. del sec. XVII, Genova, Biblioteca Civica Berio, Sezione di Conservazione, m.r.VIII.2.14), p. 3; B. De Rossi, Collettanea copiosissima di memorie e notizie istoriche Appartenenti alla Città, e Provincia di Luni (Archivio di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti, T.IV.2.), f. 6r. Stando a quest’ultimo, il reperto risultava irreperibile già all’inizio del Settecento. 16. Per una dettagliata analisi dell’iscrizione, molto probabilmente autentica, anche se edita in passato come falsa (CIL XI, 179*), cfr. Frasson, «La verità nascosta dietro al falso…», cit., c.d.s.; vd. anche U. Mazzini, «La pretesa iscrizione lunense di Giano restaurata», in Giornale storico della Lunigiana 11, 1, 1920, pp. 83-91.

22 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

Circa mezzo secolo più tardi la dissertazione del Bernucci capitò tra le mani di suo nipote, il canonico Ippolito Landinelli17, che, secondo la sua stessa testimonianza18, dopo averla letta, sentì il desiderio di occuparsi del medesimo argomento, scrivendo un’opera divisa in due trattati, dedicati l’uno all’antica Luni e l’altro a Sarzana19. Lo stimolo principale che mosse il Landinelli era quello di «vedere e sapere tutto quel- lo, che possibil fosse della verità», perché aveva trovato il lavoro del nonno «tutto ripieno di quelle opinioni erronee, che da buona parte de scrittori inanzi a lui non erano stati avertiti; anziché, da huomini graviss.mi e pratichissimi dell’Antichità erano state rifiutate»20. Parlando di «opinioni erronee», il canonico alludeva, in partico- lar modo, a quelle derivate da Annio da Viterbo, le cui falsificazioni, al tempo del Landinelli, erano state ormai smascherate in modo convincente e confinate dai più nell’ambito delle fantasie21. L’allusione è resa palese fin dal primo capitolo del suo Primo Trattato Dell’origine della Città di Luni, dove l’erudito, interrogandosi sul fondatore delle dodici città d’Etruria, dopo aver riferito il racconto relativo a Giano presente nelle Antiquitates anniane, specifica che «questa opinione creduta da quasi tutti gl’Istorici vicini a tempi nostri, è stata ultimam.te da moderni huomini gravissimi, che particolari trattati della Toscana hanno posto in luce, talmente riprovata, che

17. Sul Landinelli, di cui il Bernucci era nonno materno, vd. almeno E. Gerini, Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana, I, Massa 1829, pp. 115-116; CIL XI, p. 258 nr. VII; Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., pp. 118-123; Cavalli, «Luni paleocristiana…», cit., pp. 105-108; Frasson, Le epigrafi di Luni…, cit., pp. XVI-XVII; Frasson, «La verità nascosta dietro al falso…», cit., c.d.s. 18. Landinelli, Del origine…, cit., pp. II-III. 19. Il manoscritto autografo dell’opera è andato perduto, ma sopravvivono molte copie; per le citazioni contenute nel presente contributo si è scelto di seguire, come già aveva fatto Eugen Bormann per il Corpus Inscriptionum Latinarum (cfr. CIL XI, p. 258 nr. VII), la copia dell’esemplare posseduto dal nipote dell’autore, Paolo Emilio Landinelli, fatta realizzare, su autorizzazione di quest’ultimo, da Filippo Casoni, ancora nel XVII secolo, e oggi custodita presso la Biblioteca Civica di Genova (cfr. supra nota 15). 20. Landinelli, Del origine…, cit., p. II. 21. Tra i maggiori detrattori delle Antiquitates si possono ricordare almeno gli spagnoli Melchor Cano, autore dei De locis Theologicis Libri duodecim, usciti postumi nel 1563 a Salamanca, per i tipi di Mathias Gastius (vd. A. Biondi, «Melchor Cano: la storia come locus theologicus», in Bollettino della Società di Studi Valdesi 92, 130, 1971, pp. 49-51; sull’opera cfr. recentemente Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., pp. 210-212; F. Mandreoli, «Il De locis theologicis di Melchor Cano. Appunti su un metodo teologico interpretato sui “tempi lunghi”», in Rivista di Teologia dell’E- vangelizzazione 14, 28, 2010, pp. 281-301), e Antonio Agustín, arcivescovo di Tarragona, che scrisse i Dialogos de medallas inscriciones y otras antiguedades, editi per la prima volta a Tarragona nel 1587 (vd. p. es. M.H. Crawford (ed.), Antonio Agustin Between Renaissance and Counter-Reform, London 1993; Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., pp. 206-209; Mayer i Olivé, «El prefacio de las Antiquitates…», cit., pp. 1856-1857), e il portoghese Gaspar Barreiros, che nel 1561 pubblicò a Coimbra le Censuras sobre quatro livros intitulados em M. Portio Catam de Originibus, em Beroso Chaldæo, em Manethon Ægyptio, & em Q. Fabio Pictor Romano, una sezione delle quali fu tradotta in latino con il titolo Censura, In quendam auctorem, qui sub falsa inscriptione Berosi Chal- daei circunfertur e stampata a Roma nel 1565 (cfr. recentemente Marcocci, «Contro i falsari…», cit., pp. 197-213). Sulla difesa della genuinità dei testi anniani o della buona fede dell’autore, che ha trovato isolati sostenitori fino al XX secolo, cfr. p. es. Stephens, «When Pope Noah Ruled the Etruscans…», cit., pp. 212-214, 219-220; Stephens, «Complex Pseudonymity…», cit., pp. 694-695.

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 23 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… non mediocre vanità parerebbe a chi approvar la volesse»22. Il Landinelli, però, non sembra rassegnarsi del tutto a considerare i frammenti tramandati dalle Antiquitates come semplici «Chimere di Frate Annio viterbese», tanto più che quelli vengono talora utilizzati nelle loro opere dagli stessi eruditi che li considerano «inventati ó corrotti» dal domenicano «per far gran cosa il suo Viterbo»23. Una frase, in parti- colare, sintetizza il pensiero del canonico sarzanese riguardo al Catone di Annio e agli altri autori antichi presenti nelle Antiquitates: «non nego che questi scrittori detti non rechino seco molta sospetione, ma che in tutte le parti loro sieno falsi mi sara sempre difficile a crederlo»24. Il Landinelli sembra cercare un difficile equilibrio tra le due posizioni, rimanendo in bilico tra la riverenza nei confronti degli illustri detrattori di Annio e il desiderio, non scevro da un certo campanilismo, di salvare qualcosa in un’opera che, in qualche modo, faceva risalire addirittura a un patriarca biblico la fondazione della più antica città della Lunigiana. L’erudito, comunque, non si limita ad esprimere un parere, ma, con alcune prove materiali, cerca di avvalorare la possibilità che tali frammenti non «sieno cosa cosi moderna come la fanno» e che fossero, in qualche misura, già noti prima della pub- blicazione delle Antiquitates. La prima evidenza a essere ricordata è «una certa pietra scritta di caratteri antichi nelle mura d’una Torre ó Rocca» di Pontremoli, su cui si sarebbe letto il seguente esametro: «Apua sum quondam Marco coelebrata Catoni». Dal momento che l’edificio sarebbe stato opera, secondo il Landinelli, di Castruccio (Castracani) Antelminelli o di Bernabò Visconti, entrambi vissuti nel XIV secolo, l’iscrizione dimostrerebbe che già più di un secolo prima della pubblicazione delle Antiquitates esisteva la convinzione che Catone avesse scritto qualcosa a proposito della Lunigiana25. Pur ammettendo che l’iscrizione citata dal Landinelli sia realmente esistita26 e che la struttura nella quale sarebbe stata murata risalisse effettivamen- te al Trecento, non è affatto detto che la pietra si trovasse in quella collocazione già al tempo della costruzione dell’edificio. Desta non pochi sospetti, poi, il fatto che la prima notizia riguardante l’iscrizione risalga alla prima metà del Cinquecento, momento di massimo successo dell’opera di Annio; vi si accenna, infatti, negli Annali di Agostino Giustiniani, completati nel 1535 e pubblicati postumi due anni dopo:

«pontremolo secondo alcuni anticamente era nominato Apua quale era Citta grande, dalla quale furono nominati i Lyguri Apuani. Et secõdo alcuni altri Apua era piu alta edificata al fonte della Macra, & in luogo di quella e edificato Pontremoli, il quale e

22. Landinelli, Del origine…, cit., pp. 1-2 (p. 2 per le parole citate). 23. Landinelli, Del origine…, cit., p. 2. 24. Landinelli, Del origine…, cit., p. 2. 25. Landinelli, Del origine…, cit., p. 3; cfr. CIL XI 181*; Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., p. 120. 26. Dalle parole del Landinelli non si evince chiaramente se l’erudito abbia visto di persona l’epigrafe: «si è veduto et hoggi ancora veder si deve in certa pietra… queste parole… se però detta Pietra non è stata tolta via, che in qualonque modo sia, basta che è cosa volgatis.ma tra tutto quel popolo che la vi fosse» (Landinelli, Del origine…, cit., p. 3).

24 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

grosso Castello & comprende ottocento foghi, & ha tre fortezze quali si guardano continuamẽte & in una di esse si lege di lettere antiche in marmo sculpite, Apua sum, quõdam Marco celebrata Catone»27.

Appare alquanto probabile che il falso epigrafico, realizzato probabilmente con una certa perizia tecnica, sia da collegare all’iniziativa di un qualche erudito pontre- molese, che aveva letto l’opera di Annio, nella quale infatti (in frammenti attribuiti a Catone e all’Itinerario di Antonino e nel commento ai frammenti di Sempronio) si possono individuare alcuni riferimenti alla favolosa città di Apua, che avrebbe dato il nome ai Liguri Apuani, si sarebbe trovata alle sorgenti della Magra, in un luogo di passaggio verso la Gallia Cisalpina, e, secondo il viterbese, corrisponderebbe alla moderna Pontremoli28; queste notizie sono grosso modo le stesse che si leggono nel Giustiniani, la cui fonte, per Apua, dovevano essere pertanto, in modo diretto o indiretto, proprio le Antiquitates anniane, come lo erano certamente per un altro autore che parla di tale città e ricorda l’iscrizione, cioè il domenicano Leandro Al- berti29 che, per la sua Descrittione di tutta Italia (1550), fece talora affidamento sui frammenti pubblicati dal defunto confratello viterbese30.

Nella seconda metà del Cinquecento l’esametro ricorre anche negli Annali di Pon- tremoli di Giovanni Rolando Villani, dove però il verso non compare isolato, ma inserito in un esastico, senza alcun cenno all’esistenza di un’epigrafe marmorea:

«Pont est distinguens tusco sermone fluentum: Rem sit et excelsum, ol quoque prisca notat. Tuscia dividitur. Nam totta flumine Macra A ligure adsueto, teste Marrone, malo: Apua sum quondam Marco celebrata Catone. Sempronii hoc cernes, historiamque Pii»31.

27. A. Giustiniano, Castigatissimi annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa & Illustrissima Republi. di Genoa, etc., Genoa 1537, Car. XXIv. (cfr. Annali della Repubblica di Genova di Monsignor Agostino Giustiniani, illustrati con note dal Prof. Cav. G.B. Spotorno, I, Genova 18543, p. 106; vd. anche Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., p. 103). La data del 1535 (e precisamente il 10 agosto) compare in calce all’epistola che l’autore indirizza al Doge, al Senato e a tutto il popolo di Genova. 28. Antiquitatũ variarũ…, cit., ff. LXVIIr., LXVIIIr., LXXIIIIr.-v., LXXVIIv., CLIIIr., CLVIIr. 29. Alberti, Descrittione…, cit., ff. 9r., 34v.; cfr. Petrella, L’officina…, cit., p. 397. Ad Apua e alla sua corrispondenza con Pontremoli accenna già il Volaterrano, a dimostrazione dell’immediato successo delle Antiquitates e di come anche i più importanti umanisti siano caduti vittima, talora, delle imposture anniane (cfr. R. Volaterranus, Commentariorum Urbanorum, octo & triginta libri, accuratius quàm antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem latio donatus, Basileae 1530, f. 46r.; la prima edizione è del 1506); cfr. Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., pp. 98-99. 30. Cfr. almeno Petrella, L’officina…, cit., pp. 59-76. 31. M. Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua nei Cronisti pontremolesi» in Archivio Storico per le Province Parmensi n.s. 33, 1933, p. 222 nota 1; nell’edizione degli Annali di Pontremoli a cura di Nicola Zucchi Castellini i versi sono presentati con alcune lievi differenze: al v. 2 si legge «psisca» invece di

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 25 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

Secondo lo stesso Villani, l’autore del testo sarebbe un tale Domenico da Rivalta, maestro di grammatica a Pontremoli, che avrebbe scritto sullo stesso argomento anche in prosa32 e che, secondo alcuni, sarebbe stato un non altrimenti noto collaboratore di Annio da Viterbo33. Se è difficile pronunciarsi, in assenza di ulteriori riscontri, su questo ipotetico rapporto di collaborazione, è evidentissimo un legame tra l’esastico e i passi delle Antiquitates relativi ad Apua e a Pontremoli34. Anche se alcuni ritengono che l’esametro contenente il riferimento a Catone, che si distinguerebbe per «un certo distacco di tono», sia stato composto preceden- temente e da altri e sia stato successivamente incluso nel testo, e che la leggenda di Apua sia esistita già prima della pubblicazione delle Antiquitates e che sia stata confezionata da maestri di grammatica operanti a Pontremoli35, è molto più pro- babile che Apua sia nata dalla penna di Annio36, in ragione anche del silenzio delle fonti anteriori a quest’ultimo. Accettando come veritiera la notizia del Villani, può sorgere il dubbio che l’esa- metro non sia mai stato inciso su pietra e che l’epigrafe, citata sempre di seconda

«prisca», e ai vv. 3 e 4, «tota» e «Marone», rispettivamente al posto di «totta» e «Marrone»; cfr. N. Zuc- chi Castellini (a cura di), Cronache pontremolesi del Cinquecento, [Parma] 1980, p. 22; l’esastico è trascritto, in modo impreciso, anche nelle Memorie storiche di Bernardino Campi (1656-1716), frate cappuccino del convento di Pontremoli (cfr. B. Campi, Memorie storiche della città di Pontremoli, testo e note di L. Bertocchi, M. Bertocchi, V. Bianchi, N. Zucchi Castellini, Pontremoli 1975, p. 54). 32. Zucchi Castellini, Cronache…, cit., pp. 20-21. 33. Cfr. Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., pp. 222-223 nota 1; vd. però anche M. Giu- liani, «Giovanni Sforza e la “Storia„ di Pontremoli», in Archivio Storico per le Province Parmensi s. IV 12, 1960, p. 195, in cui l’autore sembra considerare Domenico da Rivalta precedente o comunque indipendente rispetto ad Annio. 34. Per i primi tre versi di carattere paretimologico si trova un confronto puntuale in Antiquitatũ variarũ…, cit., f. CLVIIr.: «cui etiam alius argumẽto est amnis Macra: quẽ quia distinguit totam Thusciam a Lyguribus & Gallis: cognominant Thusci pont Remoli: & ab eo urbem vicinam olim Apuam: nunc pont Remoli id est fluentum distinguens celsitudinem antiquã. Distinguit enim celsitudinem antiquissimã Thuscię ab antiquis Lyguribus & Gallis. Est enim Rem celsitudo ut Thalmudistę cum divo Hieronymo consentiunt: & ol antiquissimum & priscum significat: ut. VI. quaestio indicavit. Hinc pont Remoli: significat fluentum distinguens celsitudines antiquas». Il quarto verso, come è reso esplicito dalle parole «teste Marrone», è tratto da Virgilio e, in particolare, da un verso delle Georgiche (Verg. georg. II 168: adsuetumque malo Ligurem), mentre gli ultimi due hanno un riscontro p. es. in Antiquitatũ variarũ…, cit., f., LXXIIIIv.: «ultimũ oppidũ huius itineris est trãsitus in Gallias oppidũ Apuanũ: est aũt Apua: a qua pars in Tuscia dicunt’ Apuani Lygures: ut in cõmentariis Catonis & Sẽpronii dictum fuit. Nunc Pont Remoli dicit’». L’historia Pii nominata alla fine dell’esastico è, invece, una probabile allusione al frammento anniano dell’Itinerarium Antonini, in cui è nominata esplicitamente Apua (Antiquitatũ variarũ…, cit., f., LXXIIIIr.-v.); Annio, infatti, ritiene che l’Itinerarium sia opera dell’imperatore Antonino Pio (cfr. p. es. Pedullà, «Annio…», cit., p. 597; Stephens, «Complex Pseudonymity…», cit., p. 704). 35. Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., pp. 221-222, 223 nota 1; N. Zucchi Castellini, Storia di Pontremoli dalle origini all’Unità d’Italia, Genova 1990, p. 14. 36. Si veda già il Consulto dell’avvocato Giuseppe Averani (1662-1738) intitolato Se veramente nella Liguria vi sia stata la Città d’Apua pubblicato postumo in G. Averani, Lezioni toscane, II, Firenze 1746, pp. 207-224 e successivamente G. Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di Pontremoli, I, 1, Firenze 1904, pp. 77-78, 93 nota 15; Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., pp. 226-227 nota 1; G. Pistarino, Una fonte medievale falsa e il suo presunto autore. Saladino de castro Sarzane e Alfonso Ceccarelli, Genova 1958, p. 16; cfr. anche infra nota 37.

26 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… mano, sia esistita solo nella tradizione libresca, come sembra in qualche modo suggerire un contemporaneo del Landinelli, l’erudito scozzese Thomas Dempster, che, bollando Apua come invenzione di Annio, riporta la presunta iscrizione pon- tremolese, aggiungendo: «cujus ineptissimi versiculi levitas vel ex eo arguitur, quod lapidem, cui insculptus ille, nemo unquam viderit»37. In realtà, per quanto non lo dicano esplicitamente, il Giustiniani e il Landinelli38 potrebbero aver visto l’epigrafe, così come alcuni autori successivi, che forniscono particolari assenti nelle opere precedenti. Nel loro Breve discorso giuridico-politico contro il contratto di vendita di Pontremoli da parte del Ducato di Milano alla Repubblica di Genova, scritto a Milano nel 1649, gli avvocati Giovanni Battista Parasacchi e Francesco Villani, celebrando le glorie passate della loro patria, par- lano di Apua e riportano «due versi antichissimi» che si sarebbero potuti leggere «nella Torre principale della Terra», cioè: «Appua sum quoñdam Marco celebrata Catone. / Sempronij hoc cernas, historiamque Pij»39. Qualora i due giureconsulti non avessero semplicemente copiato gli ultimi due versi dell’esastico presente negli Annali di Giovanni Rolando Villani, il fatto che riportino l’iscrizione con un verso in più, così come la precisa indicazione del luogo dove quest’ultima si sarebbe trovata, potrebbe accreditare una conoscenza autoptica della pietra. Se poi com’è probabile, la «Torre principale» di Pontremoli fosse da identificare con il celebre Campanone (o Torre dell’orologio), che costituiva la torre centrale della cortina di Cacciaguerra (fig.2 ), fortificazione fatta costruire da Castruccio Castracani nel 132240, la notizia contenuta nel Breve discorso giuridico-politico sarebbe confermata da quanto scrisse trent’anni dopo il frate agostiniano Marco Aurelio Moglia, il quale, citando l’iscrizio- ne, afferma che «si legge in un pezzo di marmo posto sulla torre di Cazzaguerra»41. Questi riscontri sembrano avvalorare la testimonianza del Landinelli, il cui testo è seguito quasi verbatim da un altro sarzanese, Bonaventura De Rossi (1666-1741), dottore dell’una e dell’altra legge, che, però, nella sua Collettanea copiosissima di memorie e notizie istoriche Appartenenti alla Città, e Provincia di Luni42, compo-

37. T. Dempsterus, De Etruria regali libri septem, II, Florentiae 1723, p. 434 (l’opera fu pubblicata postuma circa un secolo dopo la sua stesura). 38. Vd. supra note 25, 27. 39. G.B. Parasacchi, F. Villani, Breve Discorso Giuridico-politico Sopr’il Contratto Della Vendita di Pontremoli, Celebrato dal Sig. Contestabile di Castiglia, Governatore dello Stato di Milano, Con la Serenissima Republica di Genova, s.l. 1649, pp. 20-21. Su tale discorso, cfr. p. es. Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., pp. 217-220; vd. già Campi, Memorie storiche…, cit., p. 247; G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa, XI, Firenze 17772, p. 356. 40. F. Boni, C. Mazzini, La cortina di Cacciaguerra a Pontremoli, Pontremoli 2001 (spec. pp. 11- 95, 111-120); N. Gallo, Guida storico-architettonica dei castelli della Lunigiana toscana, Prato 2002, pp. 399-400. 41. M.A. Moglia, Festivo ragguaglio della portentosa Imagine di Maria Annontiata di Pontremoli, Massa 1680, citato da Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., p. 222 nota 1. 42. Il presunto manoscritto originale dell’opera, della quale esistono diverse copie, è custodito presso l’Archivio di Stato di Torino (cfr. supra nota 15). Sul De Rossi, si veda almeno CIL XI, p. 258 nr. VIII;

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 27 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

Fig. 2. Pontremoli (MS), Campanone (fotografia di D. Papalini, licenza Attribution ShareAlike 3.0) sta all’inizio del XVIII secolo, si distacca dal suo modello per quel che riguarda la trascrizione dell’epigrafe che, come nel Breve discorso giuridico-politico, si articola in due versi43.

Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., pp. 143-155; Cavalli, «Luni paleocristiana…», cit., pp. 111- 116; M. Al Kalak (a cura di), Carteggi con D’Abramo…. Evangelista (Edizione Nazionale del Carteggio di L.A. Muratori, 16), Firenze 2012, pp. 188-191; Frasson, Le epigrafi di Luni…, cit., pp. XVII-XVIII. 43. De Rossi, Collettanea…, cit., f. 5v.: «Apua sum quondam Marco celebrata Catone. / Semproni hoc cernas, Historiamque Pii». Nella Collettanea l’iscrizione è chiamata in causa, sulla falsariga del testo del Landinelli, per dimostrare che non tutto ciò che è stato pubblicato da Annio corrisponde a un’inven- zione di quest’ultimo; il De Rossi, per la stessa ragione, cita l’epigrafe, con identico testo, anche in una lettera datata 5 novembre 1710 e indirizzata a Goffredo Filippi (Gottfried Philipp Spannagel), che faceva da tramite tra il sarzanese e Ludovico Antonio Muratori (cfr. Al Kalak, Carteggi con D’Abramo…, cit., pp. 199-200 nr. 4; vd. infra note 65, 67).

28 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna…

Al di là del problema dell’effettiva esistenza e dell’ubicazione dell’epigrafe, che fu cercata invano dallo Sforza ancora verso la fine dell’Ottocento44, dai testi analiz- zati si evince chiaramente la volontà degli eruditi locali, lunigianesi e in particolare pontremolesi, di credere (o il rifiuto a non credere) alle imposture di Annio e ali- mentare il mito di Apua, città eponima dei Liguri Apuani, per sostenere le proprie rivendicazioni o semplicemente per tenere alto un certo orgoglio campanilistico45, scopi per i quali le Antiquitates offrivano, in generale, molto materiale, come si è già avuto modo di sottolineare in precedenza. In ultima analisi, l’epigrafe pontremolese, che il Landinelli chiama in causa per sostenere che almeno una parte dei documenti contenuti nelle Antiquitates non era stata creata ad arte da Annio46, ma rientrava in una tradizione anteriore e indipenden- te, sembra andare, in un certo senso, nella direzione opposta, configurandosi come il prodotto di un ambiente culturale locale che, per dare lustro alla propria cittadina, traeva ispirazione proprio dalle falsificazioni del viterbese.

Sulla seconda evidenza citata dal Landinelli a sostegno della sua teoria non occorre soffermarsi, dal momento che è la già citata iscrizione lunense bilingue ricordata per la prima volta dal Bernucci, di cui il nipote segue l’errata interpretazione, pur riportando il testo con alcune varianti e aggiungendo alcuni particolari circa l’epoca di ritrovamento e il luogo di conservazione47. Si può accennare, invece, a un terzo documento richiamato dal canonico, «una medaglia antichissima di rame, trovata, non ha molto tempo nel Cinto di Luni, nella quale da una parte è scolpito Giano Bifronte nel altra parte cioe nel suo roverscio

44. Sforza, Memorie e documenti…, cit., p. 78 (in cui si ritiene che l’epigrafe non sia mai esistita); Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., p. 120 nota 33; l’iscrizione è ricordata p. es. anche in Osservazioni critiche di P. Righetti sui Cenni storici del Comune d’Arcola di Giovanni Fiamberti, Genova 1836, p. 23. 45. Sulla leggenda di Apua e sul suo valore per i pontremolesi, cfr. p. es. Sforza, «Gli studi arche- ologici…», cit., p. 116; Giuliani, «Luni e la leggenda di Apua…», cit., pp. 205-235. 46. Si noti che il tentativo del Landinelli si inquadra in un momento in cui contro Apua e i fram- menti che l’avrebbero ricordata si espresse, tra gli altri, prima del già menzionato Dempster (vd. supra nota 37), anche il celebre storico e geografo olandese Paolo Merula (Paul van Merle): «Castellum, quod vulgo cognominatum di Ponte Remuli, iuxta Macræ fontem. Hic Apuam quidam somniant ex nescio quibus Catonis Antoninique fragmentis» (P. Merula, Cosmographiæ generalis libri tres: Item geographiæ particularis libri quatuor: Quibus Europa in genere; speciatim Hispania, Gallia, Italia, describuntur, [Leida] 1605, p. 887). Va detto, però, che i fautori di Apua potevano trovare appoggio per le loro idee nelle opere di illustri eruditi, quali, p. es., il Volaterrano, il Giustiniani, l’Alberti (vd. supra note 27, 29) e il Cluverio, che tuttavia dubitava dell’attendibilità dei frammenti anniani (Ph. Cluverius, Italia anti- qua; Opus post omnium curas elaboratissimum; tabulis geographicis ære expressis illustratum, Lugduni Batavorum 1624, p. 75). 47. Landinelli, Del origine…, cit., p. 3; vd. supra note 15-16. Quando il De Rossi, seguendo il Landinelli, si occupò dell’epigrafe, quest’ultima, come già evidenziato, risultava ormai irreperibile (cfr. supra nota 15); si veda, in proposito, anche una lettera dello stesso De Rossi scritta l’8 marzo 1711 nell’ambito del carteggio col Muratori (Al Kalak, Carteggi con D’Abramo…, cit., p. 203 nr. 7; vd. infra note 67-68).

SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 29 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… legni di nave, e da basso ad essa questa parola IANIA, che si vede cosi perche è forse scancellata parte della prima lettera»48. Appare sorprendente come il Landinelli potesse considerare rilevante, per la leggenda della fondazione di Luna, una moneta che era stata ritrovata a Luni, ma che non aveva a che fare specificatamente con la colonia, recando incisi due tipi, come la testa di Giano e la nave, piuttosto comuni nella monetazione enea della Roma repubblicana49. Di certo il canonico insiste sulla grande antichità della mo- neta, che considera «una delle piu antiche cose che si possa trovare», ricorrendo, per dimostrarlo, alle fonti letterarie, di cui tuttavia fa un uso alquanto impreciso. L’erudito sarzanese, infatti, richiama un famoso passo pliniano, in cui però si leg- ge che Servius rex primus signavit aes e che signatum est nota pecudum50, quindi non, come vuole il Landinelli, che lo stesso Servio Tullio fu anche il primo «a porvi l’imagine di Giano Bifronte» e «nel roverscio un rostro di nave»51, perché Plinio, pur ricordando, poco dopo, questi tipi monetali, non lo fa riferendosi all’epoca regia52. La seconda testimonianza a cui ricorre il canonico è tratta da Macrobio ed è ugualmente poco significativa, perché ha carattere leggendario, dal momento che attribuisce a Giano stesso la scelta di coniare monete con la sua effigie e con la prua di nave, in ricordo del viaggio di Saturno in Italia53. Il Landinelli, comunque, non consultò direttamente né Plinio né Macrobio, perché la quasi totalità delle sue parole sembra derivare dalla voce Aes di una delle edizioni del Calepino con le aggiunte di Paolo Manuzio; in tale voce si rinviene già l’errore relativo al passo di Plinio54, mentre non è presente il riferimento al titolo dell’opera di Macrobio, che invece compare in Landinelli, anche se errato, perché il sarzanese accenna al primo libro del commento al Somnium Scipionis, mentre la vicenda di Giano e Saturno è narrata nel primo libro dei Saturnalia55. L’erudito, ad ogni modo, nel citare la mo- neta, muove dalla legenda del rovescio, IANIA, in cui ravvisa un collegamento con Giano, pur ammettendo che «si vede cosi perche è forse scancellata parte della prima lettera»56. Nel manoscritto del Landinelli non vi è un disegno delle due facce della moneta, che compare invece nella Collettanea di Bonaventura De Rossi (fig. 3), il

48. Landinelli, Del origine…, cit., p. 4. Cfr. Sforza, «Gli studi archeologici…», cit., p. 120. 49. I tipi compaiono già negli assi fusi verso la seconda metà del IV - prima metà del III secolo a.C. e si conservano negli esemplari coniati fino alla fine della repubblica: cfr. p. es. G.G. Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Roma 1993 (rist. 2002), pp. 35, 55. 50. Plin. nat. XXXIII 3, 43. Sul passo pliniano relativo alle origini dell’aes signatum e sulla mancanza di prove riguardo alla sua affidabilità, cfr. p. es. Belloni, La moneta…, cit., p. 27. 51. Landinelli, Del origine…, cit., p. 4. 52. Plin., nat. XXXIII 3, 45. 53. Macrob. Sat. I 7, 21-22 (= Hyg. F 6 Peter2 = F 10 Cornell). 54. Ambrosii Calepini dictionarium. Additamenta Pauli Manutii, Tum ad intelligendam, tum ad exornandam linguam Latinam, quædam etiam ad Romanarum rerum scientiam utilissima, Venetiis 1558, f. 14v. 55. Cfr. supra nota 53. 56. Landinelli, Del origine…, cit., p. 4.

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Fig. 3. Disegno di una moneta ritrovata a Luni (da De Rossi, Collettanea…, cit., f. 6r., su autorizzazione dell’Archivio di Stato di Torino) quale però, parlando della legenda in esergo al rovescio, faceva notare che la prima lettera, in parte cancellata, sembrava una G57. Se si dà credito al disegno del De Rossi, ma non alla sua lettura della legenda58, si può avanzare un’ipotesi di identificazione della moneta, che potrebbe corrispondere a un asse di C. Vibio Pansa emesso dalla zecca di Roma nel 90 a.C., che presenta, al diritto, la testa di Giano bifronte e, al rovescio, tre prore di navi volte a destra (fig. 4)59, che l’erudito (o la sua fonte) potrebbe aver riprodotto in modo approssi- mativo a causa del cattivo stato di conservazione della moneta, al quale si dovreb- be imputare anche l’imprecisa trascrizione della legenda; l’asse a cui si rimanda, infatti, presenta la legenda C. PANSA, dove il prenome è separato dal cognome da un segno di interpunzione e la P ha spesso l’occhiello molto aperto. Non sembra affatto improbabile che l’insieme rappresentato dalle prime due lettere e dal segno interposto possa essere stato scambiato per una G da un occhio inesperto e forviato da possibili lacune e che una S dai semicerchi non molto pronunciati possa essere

57. De Rossi, Collettanea…, cit., f. 6r.-v. 58. Se è molto probabile che il De Rossi abbia visto una moneta in bronzo con tipi analoghi, ma senza legenda o con legenda illeggibile, conservata a quel tempo a Sarzana presso la famiglia nobile dei Calani (De Rossi, Collettanea…, cit., f. 6v.), non è chiaro, invece, se abbia avuto modo di individuare, di visionare personalmente e di ricopiare la moneta citata dal Landinelli, anche se la precisione del disegno e la lettura della legenda in esergo al rovescio, diversa da quella del canonico, potrebbero avvalorare questa possibilità; qualora il disegno non fosse il frutto di un esame autoptico, non sarebbe facile determinarne la fonte, a meno di non ipotizzare che tale raffigurazione fosse presente nel manoscritto originale del Landinelli, oggi perduto, o comunque nella copia consultata dall’autore della Collettanea, che, in tal caso, avrebbe basato la sua lettura su un’interpretazione personale del disegno. Alla possibile esistenza di un manoscritto del Landinelli contenente il disegno della moneta potrebbe far pensare il fatto che Pietro Paganetti, riportando nella sua opera una riproduzione di tale oggetto, rimandi esclusivamente al primo capitolo del primo trattato dell’opera del canonico sarzanese, anche se l’immagine e la legenda coincidono perfettamente con quelle presenti nella Collettanea del De Rossi, che, peraltro, il Paganetti conosce e cita più volte nelle stesse pagine come fonte per le iscrizioni lunensi che pubblica (P. Paganetti, Della istoria ecclesiastica della Liguria, I, Genova 1765, p. 392 nr. 95). 59. Cfr. RRC, I, p. 347 nr. 342/7b-d; RRC, II, pl. XLV nr. 2; vd. BMCRR I, p. 295 nrr. 2312-2313; BMCRR III, pl. XXXVI nr. 18; E. A. Sydenham, The Coinage of the Roman Republic, London 1952, p. 106 nr. 690.

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Fig. 4. Asse di C. Vibio Pansa (da BMCRR III, pl. XXXVI nr. 18) stata trascritta come I dagli eruditi. Appare ugualmente plausibile che, per le non buone condizioni della moneta, risultasse illeggibile anche la legenda ROMA, che si doveva trovare nella parte alta del rovescio, mentre la presenza del ramo di palma e dei pilei dei Dioscuri, che sulle monete di Pansa sono raffigurati rispettivamente sopra la prima prora e all’estremità destra del rovescio, sarebbe suggerita dal primo e dall’ultimo dei cinque elementi verticali disegnati dal De Rossi. Non è noto quale sia stata la sorte della moneta accuratamente descritta dal Landinelli e dal De Rossi, ma sicuramente non era l’unico esemplare di tale genere in circolazione a Luni, dal momento che dagli scavi della città provengono almeno sei esemplari di assi di C. Vibio Pansa con la testa di Giano al diritto e la tripla prora di nave al rovescio, di cui almeno quattro con la legenda C. PANSA (fig. 5)60. Al termine della sua difesa della tradizione anniana, il Landinelli sembra fare un’improvvisa marcia indietro, stemperando l’importanza delle sue affermazioni e allineandosi, suo malgrado, al parere degli studiosi più autorevoli, che condannano gli scritti del viterbese: «tutta via questo sia detto piu per modo di discorso che per desiderio che io mi habbia di apportare nuove opinioni o di contradire alli scritti loro che in ciò vengono comprovati da Autori piu veridici»61. Il canonico nomina, in proposito, dimostrando di conoscerne gli scritti, due famosi detrattori di Annio, lo spagnolo Melchor Cano (fig. 6)62 e un suo contemporaneo, il gesuita mantovano Antonio Possevino, di cui riporta un passo della Bibliotheca selecta relativo alle fal- sificazioni di Annio, contenente un elenco di illustri eruditi che sono stati ingannati dall’opera del viterbese63, tra i quali figura anche il teologo Sisto Senese che aveva

60. Cfr. A. Bertino, Monete da Luni dalla fine del III a.C. al 1204, s.l. [2015], pp. 5-6, 111 nrr. 10- 15, 125 tav. I nr. 10. 61. Landinelli, Del origine…, cit., p. 5. 62. Vd. supra nota 21. 63. Landinelli, Del origine…, cit., p. 5. Vd. A. Possevinus, Bibliotheca selecta Qua agitur de

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Fig. 5. Esemplare di asse di C. Vibio Pansa rinvenuto a Luni (da Bertino, Monete da Luni…, cit., p. 125 tav. I nr. 10) speso parole di ammirazione per Giovanni Nanni64, come non manca di far notare il Landinelli, probabilmente per mettere in evidenza che Annio non è stato soltanto criticato, ma anche lodato da grandi uomini di cultura65. Il canonico, dopo tutto, non è pienamente convinto e, di fatto, nonostante non manchi di riferire tutte le altre ipotesi sull’origine della dodecapoli etrusca e di ri- flettere sull’opportunità di includere Luna in tale insieme di città66, non si rassegna

ratione studiorum In Historia, In Disciplinis, In Salute omnium procuranda, Romae 1593, p. 74; cfr. da ultimo Prosperi, «Veri falsi…», cit., p. 348. Sul Possevino, vd. recentemente C. Carella, «Antonio Possevino e la biblioteca “selecta” del principe cristiano», in E. Canone (a cura di), Bibliothecae Selectae. Da Cusano a Leopardi, Firenze 1993, pp. 507-516; V. Lavenia, «Machiavelli e una biblioteca non troppo “selecta”. Una svista di Antonio Possevino», in Bruniana & Campanelliana 12, 1, 2006, pp. 183-190; C. Casalini-L. Salvarani, in A. Possevino S.J., Coltura degl’Ingegni, a cura di C. Casalini-L. Sal- varani, Roma 2008, spec. pp. 87-90; R. Dekoninck, «Une bibliothèque très sélective: Possevino et les arts», in Littératures Classiques 66, 2008, pp. 71-80; D. Quirini-Popławska (ed.), Antonio Possevino SJ (1533-1611). Życie i dzieło na tle epoki, Krakow 2012; E. Colombo, s.v. Possevino, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXV, Roma 2016, pp. 153-158. 64. Cfr. S. Senensis, Bibliotheca sancta ex præcipuis Catholicæ Ecclesiæ Auctoribus collecta, & in octo libros Digesta, quorum inscriptiones duodecima pagina indicabit, Parisiis 1610, pp. 69, 290, 317, 320, 645 (la prima edizione dell’opera fu stampata a Venezia nel 1566). Su Sisto Senese, vd. recentemente F. Parente, «Quelques contributions à propos de la biographie de Sixte de Sienne et de sa (prétendue) culture juive», in D. Tollet (éd.), Les Églises et le Talmud. Ce que les chrétiens savaient du judaïsme (XVIe-XIXe siècles), Paris 2006, pp. 57-94, con la bibliografia ivi indicata. 65. Un argomento analogo è utilizzato dal De Rossi, che ricorda come l’astronomo gesuita Giovan- ni Battista Riccioli, «cronista frà moderni diligentissimo», per l’anno di fondazione di Viterbo, abbia fatto riferimento ad Annio, trovandolo evidentemente «almeno in qualche parte veridico» (De Rossi, Collettanea…, cit., f. 6v.; vd. anche la lettera al Filippi del 5 novembre 1710: Al Kalak, Carteggi con D’Abramo…, cit., p. 199 nr. 4). Cfr. I.B. Ricciolius, Chronologiæ reformatæ tomus tertius continens catalogos plurimos personarum rerumque insigniorum cum earum temporibus in tres partes distributus, Bononiæ 1669, p. 324. 66. Landinelli, Del origine…, cit., pp. 6-7.

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Fig. 6. Ritratto di Melchor Cano (da Retratos de los españoles ilustres con un epítome de sus vidas, Madrid 1791)

34 SEBarc xvi, 2018, pp. 17-35 Federico Frasson, Annio da Viterbo e la fondazione di Luna… ad abbandonare la leggenda della fondazione di Luni da parte di Giano, che aveva trovato la sua massima popolarità nel Cinquecento per poi perdere inevitabilmen- te di importanza e credibilità sotto i colpi della critica, che smantellò l’opera di Annio. Alla luce del declino al quale erano ormai andate inevitabilmente incontro le falsificazioni del viterbese all’inizio del Settecento, due lettere che il De Rossi, riprendendo gli argomenti del Landinelli, inviò rispettivamente il 5 novembre 1710 e l’8 marzo 1711 a Ludovico Antonio Muratori67, nella speranza, forse, di ricevere un qualche supporto o anche solo un parere dall’insigne storico, appaiono come un ultimo disperato tentativo di salvare, o quantomeno di riconsiderare, la tradizione leggendaria sulla fondazione di Luni. Cosa abbia risposto il Muratori non è noto68, ma si può ragionevolmente supporre che non abbia dato troppa importanza agli argomenti addotti dal De Rossi, dal momento che una ventina di anni più tardi (24 giugno 1730), in una lettera al marchese Camillo Canossa, lo studioso modenese, pronunciandosi contro l’esistenza di Apua, parlò esplicitamente di «autori finti da Annio da Viterbo», ritenendo pertanto che i frammenti catoniani contenuti nelle Antiquitates non fossero altro che il frutto della fantasia del domenicano69.

67. La prima con il Filippi come tramite (cfr. supra note 43, 65). Cfr. Al Kalak, Carteggi con D’A- bramo…, cit., rispettivamente pp. 197-200 nr. 4 (spec. pp. 199-200) e pp. 203-204 nr. 4 (spec. p. 203). Benché nella lettera dell’8 marzo 1711 (vd. supra nota 47; infra nota 68) il De Rossi si scagli violentemente contro il Landinelli, definendolo «scrittor paesano ma falso, sfacciato e maligno» e «bugiardissimo» e giudicando la sua opera «un trattato curioso più d’opinione che di ragione» (Al Kalak, Carteggi con D’Abramo…, cit., p. 203 nr. 7), ampie parti della sua Collettanea, scritta in quegli stessi anni, sono riprese pressoché letteralmente dal testo del canonico. 68. Per quanto le lettere di risposta inviate dal Muratori non si conservino, il parere dell’illustre modenese su quella specifica questione, sempre che sia mai stato formulato, non arrivò immediatamente; di certo la curiosità del De Rossi non era ancora stata soddisfatta nel marzo del 1711, quando, oltre a tornare sull’argomento nella lettera al Muratori del giorno 8 (vd. supra note 47, 67), l’erudito sarzanese tre giorni dopo scrisse al Filippi, palesando la sua impazienza: «io altresì spero d’havere il gusto di posata risposta a’ miei premessi quesiti per regola della mia Istoria, ma particolarmente circa l’origine delle prime dodeci città di Toscana e di Luni fra esse» (Al Kalak, Carteggi con D’Abramo…, cit., p. 204 nr. 8). 69. Cfr. Sforza, Memorie e documenti…, cit., pp. 591-596 (p. 592 per le parole citate); Al Kalak (a cura di), Carteggi con Cacciago…. Capilupi (Edizione Nazionale del Carteggio di L.A. Muratori, 11), Firenze 2009, pp. 373-374 (p. 373 per le parole citate). Il Muratori era stato interpellato a proposito di Apua e dell’origine di Pontremoli dallo stesso Canossa, che gli aveva fornito alcuni scritti sull’argo- mento, tra i quali una lettera di Anton Maria Salvini, in cui l’esistenza della città è difesa con argomenti inconsistenti (vd. U. Mazzini, «Il parere di Anton Maria Salvini sulla esistenza di Apua», in Giornale Storico della Lunigiana 8, 3, 1917, pp. 161-167).

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