“Marandino era domus del suo traffico”

Il boss 84enne Giovanni Marandino è ricoverato a Poggioreale dove è stato trasferito nella giornata di martedì. L’uomo versa in precarie condizioni di salute dovute a demenza senile avanzata, fanno sapere i suoi legali. Nonostante i suoi 84 anni, il giudice per le indagini preliminari Alfonso Scermino era stato inflessibile accogliendo la richiesta di custodia cautelare in carcere per “Ninuccio”, ex boss della Nco, presentata dal sostituto procuratore Francesca Fittipaldi della Procura di , per il serio pericolo di reiterazione del reato. Che non stesse bene lo avevano capito anche i finanzieri del Gico, quando nel corso delle indagini si sono resi conto che a sostituirlo, nell’illecita attività di usura e nelle riscossioni di assegni e interessi, era il figlio Emanuell Marandino, 39 anni, ristretto ai domiciliari. In tutto sei, invece, gli indagati a piede libero: oltre ai Marandino, coinvolti seppur in maniera più defilata anche la moglie e madre Ada Di Agostino, Paolo Aprano, Ciro Acciaio, Giovanni Scorziello, Nicola e Marianna Polito. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbero avuto, a vario titolo, ruoli di finanziatori, intermediari con i clienti o di riciclaggio dei proventi dell’usura. Sei, nello specifico, gli episodi contestati, negli anni 2016, 2017 e 2019. Ad incastrare i Marandino anche un video, girato con il cellulare da uno degli imprenditori vessati mentre, impaurito, si recava presso l’abitazione dove l’ex cassiere di Raffaele Cutolo, pluripregiudicato, era tra l’altro sottoposto ad obbligo di dimora per precedenti indagini: si tratta dalla sua dimora a Ponte Barizzo, divenuta, per gli inquirenti, un vero e proprio ‘centro finanziario illegale’ dove si prestavano illecitamente soldi al tasso d’interesse del 20% al mese, ovvero 200 euro per ogni mille. In un solo anno, le fiamme gialle hanno riscostruito un giro di circa 100mila euro, per complessivi 90mila incassati a titolo d’interessi maturati. Tra le vittime numerosi commercianti e piccoli imprenditori locali, alle prese con problemi economici anche a fronte delle conseguenze della pandemia da Covid-19, molti dei quali, intimoriti dalla fama criminale di Giovanni Marandino, si sono mostrati restii a svelare la natura dei prestiti ricevuti, negando di subire tassi d’interesse fuorilegge. Emblematico il caso di un imprenditore, il quale, incapace di ripagare il debito alla scadenza, finse di scomparire con tanto di denuncia dei familiari ai carabinieri, fuggendo ad Imola dove poi affermò di essersi recato per motivi di lavoro. “temuto camorrista, elemento di spicco della criminalità organizzata dell’ebolitano per decenni – scrive il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare – Giovanni Marrandino, nonostante la sua età avanzata, continuava a delinquere. E lo faceva gestendo un giro di prestiti a sfondo usurario rispetto al quale non manifestava alcuna resipiscenza. Marandino era il domus del suo traffico. Era lui a dettare le condizioni dei prestiti, a convocare i debitori, a intimare il rispetto delle scadenze, a ricevere e movimentare i titoli di credito ricevuti in garanzia. Tutti i correi si muovevano in regime di subalternità rispetto alla sua figura carismatica di boss.

“Un progetto integrato costituirebbe un’opportunità di crescita sociale” di Pina Ferro

Il grazie del consigliere regionale Matera all’amministratore delegato e direttore Generale Rfi (Rete ferroviaria italiana), Vera Fiorani “Da uomo delle istituzioni, ho sempre creduto nell’importanza essenziale delle reti infrastrutturali che costituiscono un obiettivo primario per il Meridione, sia per rilanciare gli investimenti e la spesa pubblica nei trasporti, sia in un’ottica di raggiungimento degli obiettivi europei di riconversione ecologica”. Sottolinea Matera in una lettera inviata a Vera Fiorani.

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Pua inesistente, perché irrealizzabile Scatta la lottizzazione abusiva

Lungo la sponda del fiume Picentino, svoltando subito a sinistra dopo il ponte sulla Nazionale tra Salerno e Pontecagnano, proseguendo per la striminzita via Budetti, dopo l’antica Pizzeria Negri, la strada presenta sulla destra vestigia del passato splendore industriale conserviero di Pontecagnano. Alle spalle di caseggiati di una qualche dignità architettonica degli anni ’30, si scorgono, ancora per ora, monconi di capannoni e aree libere di movimentazione merci. Sebbene in decadenza, tutta la zona ha un certo respiro d’aria e d’orizzonte che contrasta con la selva di palazzoni di otto piani costruiti negli ultimi tempi, uno addosso all’altro, sul lato sinistro della strada. Già così com’è, e in tempo di Covid, il traffico soffoca quel viottolo che è via Budetti. Ma l’incubo di una circolazione occlusa nel prossimo futuro viene dalle nuove costruzioni che stanno nascendo al posto delle vecchie fabbriche conserviere. Vediamo come è potuto succedere. Già questo giornale ha iniziato ad interessarsi della cancellazione della memoria storica di Pontecagnano con l’abbattimento precipitoso in pieno lockdown e divieto di lavori non urgenti, di un’antica ciminiera dell’ex fabbrica Spineta.

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San Mauro Appalti, vi sono otto avvisi di garanzia

Otto avvisi di garanzia, emessi dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, nell’ambito di una indagine avviata nel 2019 sulle procedure di affidamento del servizio mensa, la proroga del contratto per il responsabile del servizio di Ragioneria e alcune agevolazioni fiscali riconosciute ad una cooperativa vicina al primo cittadini di , Giuseppe Cilento. Tra gli indagati, anche un assessore, un ex assessore, quattro funzionari ed un’imprenditrice. Sono accusati, a vario titolo, per abuso d’ufficio e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente in merito all’affidamento della gara per la refezione scolastica. L’inchiesta era avviata nel 2019 dai carabinieri della stazione di Pollica, diretti dall’allora maresciallo capo Lorenzo Brogna. Ma il primo cittadino non ci sta, ribadendo la correttezza del suo operato. «Sapevo bene che mi avrebbero massacrato quando decisi di tornare ad amministrare San Mauro Cilento dopo tutto quello che era successo con la bufera giudiziaria che aveva coinvolto la precedente Amministrazione – commenta Cilento – E mi massacreranno ancora visto che adesso c’è anche la proposta della guida del Parco, non a caso nei giorni scorsi è stata tirata fuori anche un’altra vecchia storia, e anche in quel caso abbiamo dimostrato la nostra correttezza e onestà nell’operare. Dimostrerò anche stavolta di aver fatto rispettare la legalità. Sono tranquillo e sereno e nei prossimi giorni ho già chiesto di essere ascoltato dal procuratore per spiegare tutto».

Sant’ Antonio Abate: il covid spegne i fuochi, non la tradizione

La festa in onore di Sant’Antonio Abate è un rito che si è sempre rinnovata ogni anno in questa giornata, e la cui origine, persa ormai nella notte dei tempi, affonda le sue radici tra il sacro e il profano. Anche a , che ospita le sacre reliquie del Santo, annullata processione e celebrazioni in streaming, causa aumento dei contagi nel sia nella frazione marina di Villammare

Di Olga Chieffi

Solo lo scorso gennaio, intorno ai fuochi benedetti in onore di Sant’Antonio Abate si celebrava il ritorno alla luce, tanta allegria, musica, vino e gastronomia per una tradizione che ha sempre infiammato letteralmente l’inverno. Il culto del santo egiziano, protettore degli animali, è molto legato alla tradizione contadina in questi piccoli borghi. Un rito religioso che presenta dei tratti pagani, legato a un periodo dell’anno dedicato da sempre al culto della famiglia e al riposo dal lavoro contadino, che prima si passava davanti al fuoco di un camino o di una stufetta, di quelle economiche e smaltate di bianco. Un atto di devozione con cui la popolazione affidava la custodia e la protezione di quanto avevano di più prezioso: la perdita di quegli animali, infatti, avrebbe potuto comportare per quelle economie fondate sulla sussistenza la rovina, il rischio concreto di andare incontro a lunghi periodi di stenti. Antonio era un eremita nato a Koma in Egitto nel 251 e morto in un convento nei pressi del Mar Rosso nel 356. Di lui si ha una biografia redatta da un monaco dello stesso Convento, Atanasio, nella quale Sant’Antonio tutto appare fuorché protettore degli animali domestici, considerati dal Santo eremita addirittura creature del demonio, che inducono in tentazione. Sant’Antonio diventa una specie di Signore degli animali in base ad un episodio agiografico. Alla fine dell’XI secolo le reliquie del Santo erano state trasferite in Francia nella diocesi di Vienne (e precisamente in una cittadina che ancora oggi si chiama Bourg Saint’Antoine) da un nobile pellegrino, Gastone. Nel 1297 nacque l’ordine questuante degli Antoniani, il quale richiamandosi alla regola di Sant’Agostino si diffuse in seguito per tutta l’Europa. Una singolare specializzazione terapeutica degli Antoniani era quella di curare l’ergotismo canceroso, detto “ignis sacer” o fuoco di Sant’Antonio, mediante il grasso di maiale misto ad alcune erbe. Questa terribile malattia, che “divorava come il fuoco” soprattutto gli arti inferiori, destinati perciò spesso all’amputazione, era causata da un fungo che si sviluppava nella farina di segale cornuta, largamente impiegata nel basso medioevo dai ceti rurali ed indigenti per confezionare il loro pane quotidiano. Sicché le comunità rurali provvedevano ad allevare i maiali, fornendo agli Antoniani il prezioso grasso con cui i frati curavano l’ergotismo, all’epoca epidemico, Cominciarono a diffondersi le prime immagini che raffigurano sant’Antonio con un porcellino ai suoi piedi e che, ancora nel XVII secolo, creavano non lieve imbarazzo ai teologi della chiesa di Roma, i quali non riuscivano a spiegarne i motivi. S.Antuono segna nel calendario popolare, anche il principio del Carnevale, ovvero di quel periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio, che vive un aspetto di ribellione alla propria condizione sociale, riflettendo aspetti rituali arcaici, legati nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male. In Salerno, associando la presenza del maiale accosto al santo, si dice : “S’è ‘nnammurato d’’o porco”. Nella nostra città, Sant’Antuono si venera nella chiesetta di Santa Rita, oggi, San Pietro a Corte, tradizionalmente detto di Sant’Antuono, innanzi al vecchio municipio, chiamato Palazzo Sant’Antuono. Nella stessa piazzetta, ogni anno si procedeva alla benedizione degli animali, che oggi, purtroppo non verrà svolta. S.Antuono è ritenuto anche il patrono del fuoco. Pare che egli sia disceso all’Inferno, dal quale ha tratto un po’ di fuoco di nascosto del diavolo, novello Prometeo, per cui, la notte del 17, in sua venerazione si accendono grossi falò, la lunga notte dei Vampalori, con spari di mortaretti e suoni attorno ai quali si danza intrecciando tarantelle e per essere fedeli all’antica tradizione campana, evocando versi animaleschi, gustando le specialità campane, il vino le salsicce e le patate sotto la cenere. Uno dei paesi in cui il culto di Sant’Antonio non ha perso il suo antico smalto è Vibonati, di cui Sant’Antonio Abate è il patrono, anche perché ne conserva le sacre reliquie. Il covid, che purtroppo ha colpito pesantemente il paese non ha permesso di svolgere con serenità tutta la santa Novena, né permetterà oggi la Benedizione degli animali. Il parroco Don Martino Romano non ha certo lasciato il suo gregge, aumentando le celebrazioni e aprendo la chiesa per dar modo di inginocchiarsi dinanzi al Santo Patrono per cinque minuti. Nella celebrazione di ieri infatti, il parroco dopo aver benedetto la popolazione esibendo le sacre reliquie, e arrampicandosi pericolosamente sul muretto dinanzi la chiesa, allargando lo sguardo per la valle, fino al mare ha richiamato tutti all’ordine e alla consapevolezza e che per la festa dovremo tutti attendere altri tempi. Intanto ognuno di noi potrà partecipare attivamente dalle proprie case accendendo un cero sui vostri davanzali insieme alla recita della preghiera a Sant’Antonio e di condividendo una foto sui social con l’hashtag #unalucepersantantonio.

Operazione Kamaraton: in 39 a processo

Per 39 indagati coinvolti nell’inchiesta Kamaraton il 4 marzo del prossimo anno inizierà il processo. Sono stati tutti rinviati a giudizio al termine dell’udienza preliminare che si è svolta presso il tribunale di Vallo della Lucania. Altre tre persone coinvolte nella vicenda giudiziaria e legate alla Soget hanno chiesto il rito abbreviato. Per tutti a chiedere il processo era stato il sostituto procuratore Vincenzo Palumbo al termine delle indagini relative alla maxi vicenda giudiziaria che ha sconvolto il Comune di Camerota il 16 maggio del 2019. Furono 12 le misure cautelari che scattarono a carico di ex politici, funzionari e professionisti, tutti legati alla giunta guidata dalla seconda metà del 2012 ai primi mesi del 2017 dal sindaco Antonio Romano. Con lui a finire nei guai Antonio Troccoli già primo cittadino, il figlio Ciro Troccoli assessore nella giunta romano, e gli ex amministratori Michele Del Duca, Rosario Abate, Fernando Cammarano. Furono sottoposto agli arresti. Per gli ex primi cittadini si aprirono anche le porte del carcere di Vallo. Poi rimessi in libertà. Il prosieguo delle indagini il ha fatto numero degli indagati fino ad arrivare ad un totale di 42 e coinvolgendo altri funzionari, avvocati, vigili urbani e dirigenti della Soget. Nel lungo elenco figura anche Giuseppe Occhiati, il dipendente comunale finito in manette pochi giorni dopo il blitz dei carabinieri, beccato in flagranza mentre intascava soldi in cambio del rilascio di un documento all’interno di un bar. Le indagini coordinate dalla Procura di Vallo fecero emergere l’esistenza di un “collaudato sistema criminale”, stando alle accuse basato su logiche affaristiche e clientelari, funzionale alla spartizione illecita degli appalti a favore degli imprenditori amici. Per il procuratore capo Antonio Ricci, una vera e propria struttura associativa, in grado di perseguire i propri fini illeciti attraverso l’apparato amministrativo. Venivano rilasciate anche “regolari ricevute” con assunzioni che sfruttavano le difficoltà occupazionali dell’area e portavano a creare occasioni di lavoro non per tutti ma solo per alcuni, e non per merito, al massimo per il numero di voti garantito. E ancora spartizione di gare d’appalto a società riferibili agli stessi amministratori o a soggetti compiacenti o a loro vicini. Un modus operandi omogeneo e portato avanti per un apprezzabile lasso di tempo, che si sviluppava in particolare sotto le direttive di Romano e Troccoli con l’apporto degli altri. La gestione della cosa pubblica era “Un affare per pochi amici”. In cambio delle gare pilotate, gli imprenditori fornivano agli amministratori o la classica mazzetta, con somme di diverse migliaia di euro, o assunzioni presso le proprie aziende di personale indicato dagli amministratori, o ancora lavori edili privati in maniera gratuita, pass per parcheggi e ormeggi gratuiti durante l’estate.

I fratelli Leo di “SognoAttivo” ad un passo dalla Maratona di New York

“Leonida” è arrivata da Reggio Emilia. E’ un nome di fantasia, ispirato al Re di Sparta, quello scelto per la carrozzina che li porterà alla realizzazione di un sogno. Dopo tre mesi di attesa i fratelli Leo, Dario e Franco, sono a un passo dal percorrere la maratona di New York, in programma il prossimo 7 novembre 2021. E’ con gli occhi lucidi di Franco che non riesce quasi a dire nulla e la felicità di Dario, che l’artigiano emiliano Manuel Borea è arrivato a Bellizzi, in provincia di Salerno, con in auto un “dono” speciale. La carrozzina, fatta realizzare su misura da Dario, è arrivata a destinazione. In questi mesi i due fratelli salernitani hanno realizzato l’associazione “SognoAttivo”, con l’obiettivo di aiutare e incoraggiare a questo sport tante persone del territorio affette da tetraparesi spastica, come Franco.

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Spaccio, arriva la stangata del gup di Pina Ferro

Un cartello tra gruppi criminali storicamente contrapposti per il controllo del traffico e dello spaccio in provincia di Salerno. Un fiume di droga che attraversava le città di Salerno, Battipaglia, Pontecagnano Faiano, Bellizzi, Acerno, Montecorvino Pugliano, Cava de’ Tirreni, fino a Lanciano, sotto gli occhi dei clan De Feo e Pecoraro Renna. A distanza di oltre un anno dal blitz che portò in manette 37 persone arrivano le prime condanne. Si tratta degli imputati che hanno scelto di essere processato con il rito degli abbreviati. Ieri, il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Salerno ha inflitto la condanna a: 16 anni a Adelchi Quaranta, 12 anni a Carmine Quaranta, 10 anni ciascuno a Fiorenzo Parotti e Gianluca Esposito, 8 anni a Marika Cancellu, 8 anni a Luca Cataldo e Maurizio junior Pepe; 3 anni 4 mesi a Alfredo Portofranco (già Alfredo Cianciulli), Salvatore Sannino; 4 anni a Sabato Di Lascio; 7 anni e 4 mesi ciascuno a Giuseppe Di Mauro, Vincenzo Gorga, Francesco Marotta, Giuseppe Maria Munno e Marco Ferraiolo. Il Gup ha condannato a 7 anni ciascuno: Carmine Longobardi, Carlo Vitale, Gianpaolo D’Alessio, Riccardo Ronga, Matteo D’Alessio, Armando Faiella, Nicoletta Genovese e Alessio Pennasilico. Inflitti 6 anni e 8 mesi a Saveria Francesca Orilia; 1 anno ciascuno a a Michele Cavallo, Luca Cribari, Andrea Faruolo. Condannato ad 1 anno e 8 mesi Giuseppe Sudano. Assolti Sergio Bisogni, Carmine Mogavero, Armando Faiella, Daniele Mogavero e Gioacchino Mazzariello. Nel collegio difensivo tra gli altri gli avvocati Luigi Gargiuo, Michele Sarno, Luigi Capaldo, Massimo Ancarola e Pierluigi Spadafora. L’organizzazione fu smantellata nell’aprile del 2019 al termine di da una complessa attività investigativa coordinata sviluppata in due tronconi le cui indagini furono svolte dal Nucleo Investigativo Reparto Operativo dei Carabinieri e dalla Squadra Mobile di Salerno. Gli arrestati erano ritenuti responsabili, a vario titolo, di “associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti” aggravata dall’aver agito al fine di agevolare le attività delle associazioni camorristiche “De Feo” e “Pecoraro”. Le attività investigative, avviate nel 2017, condotte con intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno permesso di acquisire decisive fonti di prova a carico delle persone arrestate. I dati acquisiti attraverso le intercettazioni sono stati rafforzati dalle osservazioni, perquisizioni, sequestri che hanno altresì consentito di operare arresti in flagranza e sequestri durante tutta la durata delle indagini. Sono stati così ricostruiti gli assetti di due sodalizi criminali, collegati fra di loro con base operativa nella provincia salernitana e ramificazioni nel napoletano e nella provincia di Roma, che gestivano i canali di approvvigionamento di sostanza stupefacenti da spacciare nella provincia di Salerno.In particolare, per la sola piazza di spaccio di Pontecagnano Faiano, il giro d’affari é stato quantificato in circa 60mila euro settimanali. Uccise la badante della madre, in manette un 51ennne di Pina Ferro

E’ arrivata ad una svolta l’indagine sulla morte di Snejana Bunaclea, una badante moldava di 43 anni, trovata lo scorso 5 marzo priva di vita all’interno di una vasca da bagno nell’abitazione ad Altavilla Silentina. In un primo momento si era ipotizzato che la signora fosse deceduta a causa di un malore. In un primo momento si era ipotizzato che la signora fosse deceduta a causa di un malore. Le successive indagini hanno fatto emergere elementi che hanno fatto supporre agli investigatori di non trovarsi di fronte ad una morte naturale. A conclusione dell’attività investigativa, i carabinieri del Comando Provinciale di Salerno, agli ordini del colonnello Gianluca Trombetti, e della compagnia di Eboli, diretti dal capitano Emanuele Tanzilli, hanno tratto in arresto, il 51enne Gerardo Cappetta , ritenuto il responsabile della morte di Snejana Bunacalea. L’arresto è avvenuto in esecuzione di un ordinanza di custodia cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno. L’uomo, incensurato, figlio dell’anziana signora, è stato ammanettato ieri mattina dall’abitazione dove gli inquirenti ritengono che, per motivi passionali, abbia ucciso la donna la scorsa primavera. La badandte era in servizio presso quella famiglia da pochi mesi. Il provvedimento eseguito ieri mattina dai carabinieri, si fonda sui gravi indizi di colpevolezza acquisiti dai militari a conclusione di una serrata attività di indagine diretta e coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, avviata lo stesso giorno del rinvenimento del cadavere della donna, la causa della cui morte, a prima vista, sembrava essere un malore. Insorti subito dei sospetti, gli investigatori, hanno focalizzato l’attenzione sul 51enne, il quale (poi si è scoperto), per depistare le indagini, aveva raccontato che la vittima aveva problemi di salute. Affermazioni che servivano ad avvalorare la tesi di una sua morte naturale. Nonostante ciò, al fine di compiere i necessari accertamenti, fu immediatamente sottoposta a sequestro la parte dell’immobile in cui si era verificato il decesso e il magistrato titolare del fascicolo dispose esame autoptico sulla salma della giovane donna. Successivamente si è provveduto a separare i canali investigativi, assegnando gli accertamenti tradizionali alle cure dell’arma locale, in sinergia con il comando Provinciale, impegnato ad approfondire gli aspetti tecnici e di polizia scientifica. Preziosissima la relazione autoptica dei consulenti medico legali, i cui circostanziati elementi tecnici, calati nel più ampio quadro delle indagini, hanno dato maggiore concretezza all’ipotesi di un omicidio d’impeto, avvenuto con movente di tipo passionale. La visione d’insieme delle attività compiute ha fatto emergere come l’uomo, nel corso della convivenza sotto lo stesso tetto con la badante moldava, si sia invaghito della donna, equivocando verosimilmente taluni comportamenti e non accettando che la stessa avesse iniziato a frequentare un altro suo conoscente, divenuto presto suo rivale in amore. Un appuntamento a cena con quest’ultimo potrebbe essere stata la causa scatenante del litigio che, nell’ipotesi degli inquirenti, sarebbe presto degenerato e avrebbe portato all’omicidio della donna, avvenuto nel bagno del primo piano della villetta dove entrambi vivevano. Raggiunta mentre si stava lavando, dopo essere riuscito a sopraffarla cogliendola di sorpresa, l’uomo l’avrebbe affogata, tenendole schiacciata la testa sul fondo della vasca piena d’acqua. In seguito, sempre secondo quanto emerso dalle indagini, l’omicida si sarebbe reso conto di quanto accaduto e, solo dopo aver alterato la scena del crimine per simulare un incidente, avrebbe allertato i soccorsi. I minuziosi ripetuti sopralluoghi sul luogo teatro degli eventi e gli esami di laboratorio effettuati dai carabinieri del Ris di Roma, uniti alle dichiarazioni di alcuni “testimoni” chiave, hanno evidenziato tutte le incongruenze delle versioni fornite inizialmente dall’uomo, ricostruendo un quadro accusatorio ritenuto assolutamente solido e concreto dal Gip di Salerno che ha disposto l’arresto. L’episodio si inquadra nell’ampio novero della violenza di genere, fenomeno criminale per lungo tempo rimasto sommerso, in relazione al quale negli ultimi anni vi è stata una progressiva presa di coscienza, che ha portato all’adozione di nuove misure legislative volte a tutelare quelle che, tecnicamente, si definiscono le fasce deboli della società. Ad ogni modo, la vicenda di Snejana Bunacalea è particolare, perché, differentemente da tanti altri recenti casi di femminicidio, è stata caratterizzata da un impenetrabile silenzio. L’assenza di parenti e relazioni sul territorio italiano (l’ex marito e i due figli piccoli vivono in patria) ha fatto sì che le circostanze così anomale della morte fossero a livello mediatico presto ricondotte ad un possibile incidente, anche in virtù del fatto che il principale sospettato, oggi condotto in carcere, viveva una quotidianità particolarmente riservata e non si era mai reso responsabile di gesti o comportamenti contrari alla legge. L’opera degli inquirenti restituisce giustizia alla giovane donna moldava ed alla sua famiglia di origine, oltre a fornire un rassicurante segnale dell’attenzione rivolta dall’Arma e dell’Autorità Giudiziaria all’approfondimento dei fatti reato che avvengono all’interno delle mura domestiche e/o in contesti intra-familiari, onde offrire la giusta tutela alle vittime di violenza di genere. L’invito rivolto a tutte le donne vittime di maltrattamenti e soprusi, anche in questa triste circostanza, è quello di denunciare in tutti i modi possibili prima che sia tardi, perché il ciclo della violenza non è mai reversibile. Gestione clientelare della spesa pubblica, nei guai i sindaci di Orria e Perito di Pina Ferro

Gestione clientelare della spesa pubblica nei guai 11 amministratore di comuni di Perito e di Orria. Le misure restrittive eseguite, ieri mattina, dao carabinieri sono giunte a conclusione di una laboriosa attività investigativa avviata anche a seguito di alcune segnalazioni. Nei guai oltre agli amministratori, sono finiti anche amministratori di note imprese cilentane. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Valolo della Lucania, Sergio Marotta, ha disposto il divieto di dimora per il primo cittadino di Orria, Mauro Inverso; l’interdizione dalle proprie funzioni per 6 mesi, invece, per il primo cittadino di Perito, Carlo Cirillo.

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