MOSAICI AFRICANI A SOGGETTO DIONISIACO: UNA RIFLESSIONE*

Emanuela Murgia Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Trieste.

Molti elementi di riflessione metodologica emergono dallo studio delle immagini di divinità, di miti o di riti, soprattutto in ambito domestico1. È certo che questi documenti, non relegabili ad una mera sfera decorativa, sono spesso significativi non solo per l’individuazione di preferenze estetiche, ma anche dell’identità culturale della committenza2. Altrettanto vero, tuttavia, è che solo (e peraltro non sempre) un approccio globale all’insieme dei dati relativi al contesto3 può permettere di chiarire lo ‘statuto’ di quelle immagini efficacemente definite «aux limites du religieux»4. Tra queste, un posto particolarissimo occupano le rappresentazioni che attingono alla sfera dionisiaca5, sull’interpretazione delle quali il dibattito metodologico è lungi dal considerarsi concluso6. Le allusioni ad un valore per così dire ‘religioso’, se non ‘spirituale’, delle raffigura- zioni musive e pittoriche di Dioniso o delle sue vicende mitiche (ma anche, per metonimia, di tirsi, tamburelli, rytha, maschere, personaggi del tiaso, pantere, etc.) non sono rare7, come pure

* Ringrazio Marco Fernandelli per i suggerimenti bibliografici. 1. Image et Religion 2008 e i contributi presentati in occasione del convegno Image et religion dans l’espace domestique organizzato il 6-7 giugno 2003 ad Atene dall’École Française d’Athènes, in collaborazione con l’École Française de e la Scuola Archeologica Italiana di Atene e pubblicati in MÉFRA, 113, 1, 2001 e, 116, 2, 2004. Al tema della rappresentazione del ‘divino’ sono, inoltre, dedicati i colloqui organizzati dal gruppo di ricerca Figura. La représen- tation du divin dans les mondes grec et romain. 2. Mugione, Pouzadoux 2008, p. 303; Robert 2008, p. 414-415. 3. Schmitt-Pantel 2008, p. 307; Robert 2008, p. 412-413. Si veda, invece, l’invito di Grassigli 1995, p. 230, 235 a proposito delle rappresentazioni del mito di Licurgo, ad avviare «un diverso itinerario di studio» per evitare che il tema iconografico in questione, «invece di stabilire un rapporto dialettico con il contesto», finisca «per subirne la determinazione, ricevendo un senso solo da esso». In altri termini sarebbe l’iconografia stessa a giustificare la presenza della scena di Licurgo in un determinato contesto e non viceversa. 4. La definizione è adottata in Image et Religion 2008. 5. Per esempio Grassigli 1995, p. 229-248; Parrish 1995, p. 307-332; Darmon 1999, p. 198-199; Parrish 2004, p. 75-84; Guimier-Sorbets 2011, p. 437-446 per il repertorio musivo, Griesi 2011, p. 243-264, per quello pittorico ercolanese. 6. Wyler 2004, p. 933-951, 2008, p. 449-459; Darmon 2008, p. 485-500; Dunbabin 2008, p. 193. 7. Grimal 1981, p. 323: «les échos dans l’âme», «sentiment du divin, de la présence, des objets naturels, de ‘demones’»; Grassigli 1997, p. 706: «È più difficile, invece, valutare appieno la portata degli altri soggetti dionisiaci. In ogni caso è ovvio ritenere possibile l’esistenza di vari gradi di intensità o di specificità religiosa per un medesimo soggetto»; Darmon 2008, p. 499: «On est tenté de supposer qu’au bout du compte, pour qui savait les lire, leurs représentations profanes restaient imprégnées de quelque valeur spirituelle. Et, même vécues dans la maison, au quotidien, elles

Karthago 30 (2016-2017) 133-144. doi: 10.2143/KAR.30.0.3278596 © by Peeters. All rights reserved. 134 EMANUELA MURGIA frequenti sono i riferimenti alla possibile adesione della committenza al dionisismo8 o le letture in chiave iniziatica9. L’accettazione di tali categorie interpretative può indurre a considerare mosaici e pitture a tema dionisiaco tra le fonti attendibili per la ricostruzione della cultura religiosa di un determinato contesto. Un caso esemplare, in tal senso, è quello delle province romane d’ che, forse più di altre regioni dell’Impero, hanno restituito pavimenti a soggetto dionisiaco e “tappeti di vite” entro i quali variamente si inseriscono figure di repertorio (satiri, sileni, baccanti, eroti, etc.), se non veri e propri episodi del mito (trionfo di Dioniso, Dioniso e Icario, Arianna dormiente, etc.)10. C’è chi, come Roger Hanoune, ha ritenuto improbabile che suddetti pavimenti possano essere considerati fonti attendibili per delineare i caratteri del dionisismo africano: «ils ne nous apprennent rien ou presque sur les convictions des commanditaires de ces revêtements de sol et ne transforment évidemment pas leurs maisons en sanctuaires ou en sièges de confréries dévotes, que ce soit à Cuicul pour la Maison de Bacchus ou à Thysdrus pour la Maison de la procession dionysique»11. Diversamente altri hanno suggerito per i cosiddetti ‘carpet-vine’, una specifica «connota- zione mistico rituale»12. Francesca Ghedini, in particolare, ha chiarito come «la straordinaria fioritura di raffigurazioni dionisiache nella produzione musiva delle province africane» vada spiegata «nell’ottica dell’esaltazione di una divinità che da un lato si pone come ponte fra terra e cielo, soddisfacendo quella forte esigenza di misticismo propria delle popolazioni locali, dall’altro si qualifica come dio della vegetazione e della fecondità»13. I mosaici a tema dionisiaco (datati dalla seconda metà del II secolo d.C. al IV secolo d.C.)14 confermerebbero, dunque, in ambito privato, una tradizione cultuale di lunga durata che, dalle più antiche attestazioni puniche15 giungerebbe fino alle soglie della tarda antichità16. Come ha specificato Stéphanie Wyler, «le premier écueil à éviter est de confondre les diffé- rentes manifestations du dionysisme à travers les âges et les aires géographiques»17 e che «à partir d’un langage commun, religieux ou iconographique, les images du dionysisme sont libres de

continuaient à véhiculer quelque effluve de leur nature divine». Sull’ambiguità di queste considerazioni, Wyler 2008, p. 450-451. 8. Sull’uso talvolta improprio del termine, Wyler 2008, p. 449. 9. Per esempio Grassigli 1995, p. 229-248. 10. Dunbabin 1978, p. 173-187; Boucher 1987, p. 921-922; Kondoleon 1995, p. 236; Slim 1995, p. 87-119; Ghedini 1997, p. 215-247; Balmelle, Brun 2005, p. 899-921 (con specifico riferimento al repertorio inerente i lavori agricoli); Novello 2007, p. 67-80. 11. Hanoune 1986, p. 152-153. Sui mosaici della Maison de Bacchus (Djemila-Cuicul) e della Maison de la procession dionysiaque (El Jem–Thysdrus), si veda il recente Turcan 2003, p. 125-127. Sull’individuazione dei luoghi di culto a Dioniso, Jaccottet 2010, p. 249-267, in particolare p. 254-264. 12. Ghedini 1997, p. 215 e 241. In questo senso, e non solo per i ‘tappeti di vite’, già Foucher 1974-1975, p. 8; Boussaada Ahlem 1992, p. 1060. Così anche Novello 2007, p. 75-80. 13. Ghedini 1997, p. 241. 14. Ibid., p. 232-233. 15. Su tali testimonianze Picard 1979, p. 83-113. 16. Ghedini 1997, p. 240-241. La studiosa suggerisce, inoltre, che la raffigurazione delle vigne poteva alludere al diasparagmos, p. 241. Così anche Novello 2007, p. 77. 17. Wyler 2008, p. 449. MOSAICI AFRICANI A SOGGETTO DIONISIACO: UNA RIFLESSIONE 135 manipulations et d’interprétations, dans la mesure précisément où le contexte dans lequel elles ont été conçues et reçues n’est pas cultuel»18. In quest’ottica, dunque, un ritorno al contesto appare quanto mai necessario19. Del ricco corpus musivo a tema dionisiaco, vorrei soffermarmi sull’analisi del pavimento che ornava l’oecus della ‘Casa del Sileno’ di El Jem-Thysdrus (figg. 1-2)20 e che presenta, secondo alcuni, raffigurazioni «connotate in senso religioso» (il Sileno ebbro con Eroti e Ninfa, lo svela- mento del phallus, la menade con il serpente, il sileno che ammansisce un leone)21. La frequenza con la quale la tematica dionisiaca appare nei mosaici dell’antica Thysdrus, rispetto al resto dell’Africa Proconsularis, è tale22 da chiedersene la ragione, sia essa da ricercare in una sorta di ‘moda’, in una esibizione di cultura classica o, piuttosto, nell’adesione dei proprietari delle varie dimore «à l’idéologie impériale fondée sur un syncretisme où le bachisme avait sa large part»23. Quest’ultima ipotesi parrebbe la più accreditata tra gli studiosi: nel commit- tente della ‘Casa dei mesi’24, per esempio, si è proposto di individuare un iniziato ai misteri di Dionysos-Bacchus-Osiris25. Anche nella ‘Casa di Bacco’26, per proporre un altro caso, il soggetto di uno dei mosaici (datato alla seconda metà del IV secolo d.C.) sembrerebbe «rievocare, in un momento in cui il paganesimo morente lasciava spazio alla nuova religione cristiana e al sotter- raneo dilagare di culti salvazionistici, l’antica figura delShadrapa punico»27. È possibile, dunque, affermare che il repertorio musivo tisdritano fosse connotato da un forte valore semantico, e che Dioniso vi apparisse nei suoi diversi aspetti e possibili rapporti con altre divinità (Bacchus, Liber Pater, Osiris, Shadrapa) o figure del mito (Orfeo)? È chiaro che una risposta a tale quesito non può che essere ottenuta interrogando una pluralità di fonti (epigrafiche, letterarie, archeologiche) condividendo, in questo senso, la stessa strada intrapresa dagli storici delle religioni28.

18. Ibid., p. 450. Si veda, per esempio, l’evoluzione dei programmi figurativi dionisiaci a Pompei, tra età repubblicana e principato, Wyler 2006, p. 155-163. Cfr. anche Zanker 2009, p. 91-92 a proposito dell’uso del repertorio dioni- siaco come sinonimo di adesione ad uno stile di vita ellenizzante. Considerazioni analoghe valgono, mutatis mutandis, per le pitture egittizzanti, Bragantini 2012, p. 21-33. 19. Si veda, a questo proposito, l’invito di Jaccottet 2003, p. 184-189, 193 a considerare con estrema prudenza le immagini ‘dionisiache’ estrapolate dal loro contesto. 20. Foucher 1961, p. 27-29, 1964, p. 252-253; Dunbabin 1978, p. 117, n. 28; Parrish 1984, n. 33, Ghedini 1997, p. 242-243, n. 5-6; Bullo, Ghedini 2003, Thysdrus 8; Novello 2007, p. 256, Thys. 6. 21. Ghedini 1997, p. 226-228; Novello 2007, p. 76-77. 22. Per una rassegna delle testimonianze Foucher 1981, passim; Novello 2007, p. 204-205, 254-261. 23. Foucher 1981, p. 691; 1994, p. 79-80. 24. Su cui Foucher 1994, p. 70-80; Eastman 2001, p. 183-200; Foucher 2000, p. 63-108; 2001, p. 205-214; Bullo, Ghedini 2003, Thysdrus 4, Deschamps 2005, p. 103-130; Eastman 2005, p. 1065-1072; Novello 2007, p. 255, Thys. 3, con le diverse proposte di datazione dei pavimenti musivi (dall’inizio del III secolo d.C. alla fine dello stesso). 25. Deschamps 2005, p. 103-130. 26. Dunbabin 1978, p. 258, n. 12 a-b; Novello 2007, p. 260, Thys. 23. 27. Novello 2007, p. 77. Così già Le Glay 1975, p. 134 riconosceva nella figura nimbata con geco un ‘Bacco africano’ esito di un duplice o triplice sincretismo, e Boucher 1987, p. 918, n. 197. Si veda anche Cadotte 2007, p. 259. 28. Superate le categorie di Bénabou 1976; Le Glay 1966, 1975, p. 123-151, sostanzialmente riprese da Cadotte 2007, la ricerca attuale tende verso un modello interpretativo più ‘flessibile’ delle diverse identità religiose africane, soprattutto alla luce dei differenti contesti topografici, istituzionali e politici che le hanno prodotte, si veda la recente 136 EMANUELA MURGIA

Ora, benché il repertorio iconografico così come quello epigrafico mostrino una grandissima diffusione del culto di Liber Pater nelle province africane29 e benché spesso fonti archeologiche ed iscrizioni provengano dallo stesso sito (come a Carthago, Thuburbo Maius, Cuicul, Thugga, etc.), circostanza che, secondo Jalloul Boussada Ahlem, contraddirebbe la tesi secondo la quale i mosaici a tema dionisiaco avrebbero un valore esclusivamente ornamentale30, è un dato di fatto che il sito di El Jem-Thysdrus non ha restituito alcuna dedica al dio31. Inoltre, tra le fonti lette- rarie tradizionalmente considerate dalla critica a proposito del dionisismo in Africa, nessuna è relativa a Thysdrus: Arnobio (nat. 5.19) descrive, infatti, bacchanalia [...] inmania con episodi di diasparagmos nella regione di Sicca, mentre Agostino (epist. 17.4) menziona i baccanali dei notabili di Medauros32. La lacuna documentaria costituisce di per sé un elemento indiziario sul quale riflettere tuttavia, trattandosi di un argumentum ex silentio, non resta che valorizzare al massimo la sola fonte disponibile (quella iconografica)33 con l’ausilio di indicatori ‘altri’. Tale approccio metodologico è, in fin dei conti, lo stesso adottato da Francesca Ghedini la quale, nell’analizzare il già citato mosaico con Sileno dell’omonima Casa di Thysdrus, ne propone un’interpretazione «in chiave orfico/dionisiaca»34 sulla scorta della Ecloga 6 virgiliana e ne suggerisce un rapporto semantico con una scena mitologica, anch’essa «fortemente pervasa di riferimenti dionisiaci»35, rappresentata su un mosaico del IV secolo da Cherchel-Caesarea36. La lettura della studiosa lascia, tuttavia, qualche zona d’ombra. Il pavimento tisdritano, datato variamente tra l’avanzata età severiana e il IV secolo d.C.37, presenta un rigoglioso ‘carpet-vine’, con eroti vendemmianti tra racemi e una serie di personaggi del tiaso distribuiti lungo i bordi del “tappeto di vite”: satiri e menadi associati ad animali di grossa taglia (dromedario, elefanti, pantere, leoni, etc.) e una figura maschile inginocchiata che trae un oggetto da un cesto posato a terra (svelamento del liknon con il fallo?); al centro uno

sintesi proposta da Miatto 2014, p. 231-241. Si vedano soprattutto i lavori di Sebaï 1999, p. 81-94, 2005, p. 39-56, 2014, p. 129-141. 29. Bruhl 1953, p. 223; Hanoune 1986, p. 156-158; Boussaada Ahlem 1992, p. 1049; Cadotte 2007, p. 253-281. 30. Boussaada Ahlem 1992, p. 1049. Tale considerazione andrebbe, tuttavia, riponderata soprattutto su basi cronologiche: la maggior parte delle iscrizioni, infatti, si colloca tra II e III secolo d.C. e diminuisce drasticamente nella tarda età imperiale, Boussaada Ahlem 1992, p. 1050, 1056. Secondo Novello 2007, p. 80 il gap documentario troverebbe una risposta nella casualità dei rinvenimenti e nei «differenti tipi di cultualità sottesa all’ornamentazione degli edifici abitativi da una parte, alla dedica di iscrizioni dall’altra». Resta da spiegare, però, quali siano tali disparità cultuali. 31. Cadotte 2007, p. 267-270, 453-456. 32. Hanoune 1986, p. 153-156. 33. La lettura planimetrica dell’edificio risulta difficile. Il mosaico decorava una stanza rettangolare, adiacente ad una più ampia con ingresso a pianta trapezoidale decorato da una processione dionisiaca. Non è possibile chiarire se i due ambienti fossero collegati né quali fossero le loro funzioni, Ghedini 1997, p. 236. 34. Ibid., p. 228. 35. Ibid. 36. Dunbabin 1978, p. 255, n. 10; Parrish 1984, p. 132-134; Ghedini 1997, p. 242, n. 3. Secondo Novello 2007, p. 77, n. 108 lo stesso valore andrebbe attribuito anche alla raffigurazione di Dioniso ebbro su un mosaico cartaginese (su cui Dunbabin 1978, p. 252, n. 22; Ghedini 1997, p. 242, n. 2). 37. Dunbabin 1978, p. 117, n. 28 (260-280 d.C.); Ghedini 1997, p. 243 (fine età severiana); Parrish 1984, n. 33 (metà del III secolo d.C.); Foucher 1981, p. 686, fig. 1 (IV secolo d.C.). MOSAICI AFRICANI A SOGGETTO DIONISIACO: UNA RIFLESSIONE 137 pseudoemblema esagonale raffigura una Ninfa e tre giovani fanciulli che si apprestano a legare un Sileno semirecumbente. Questa scena troverebbe, secondo la critica, una pressoché puntuale corrispondenza letteraria nell’episodio virgiliano (ecl. 6.13-86) del Sileno ebbro che, sorpreso nel sonno dai pastorelli Cromo e Mnasillo e dalla ninfa Egle, fu imprigionato e costretto a cantare38. Il contenuto del carme intonato avrebbe, secondo Francesca Ghedini, un carattere cosmo- gonico (dall’incipit sulla formazione del mondo, alla narrazione di miti che evocherebbero «il faticoso cammino verso un universo civilizzato e il percorso inverso»39) tanto da rivelarsi, sulla scorta di una suggestione interpretativa di Francesco Della Corte40, un vero e proprio «canto di rivelazione, in cui la rievocazione del lontano passato, fa balenare la possibilità di un ritorno all’età dell’oro attraverso la mistica orfico/dionisiaca»41. Il tema prescelto dal committente del mosaico della ‘Casa del Sileno’ non costituirebbe, dunque, secondo Ghedini, una generica allusione alla cultura classica, alla quale evidentemente il dominus attingeva, ma piuttosto un’allusione al carattere civilizzatore di Dioniso e, soprattutto, il medium figurativo volto a rivelare «la via di un percorso iniziatico in chiave orfico/dioni- siaca»42. Lo stesso valore avrebbe, secondo Francesca Ghedini, anche la scena del Sileno ebbro con putti del pavimento realizzato nel secondo quarto del IV secolo d.C. da Caecilius per una dimora (?) di Cherchel43. Questa teoria, ha trovato un ulteriore sviluppo nello studio di Marta Novello che attribuisce al mosaico tisdritano «un messaggio salvazionistico»44. Alcuni aspetti di questa proposta restano poco persuasivi; mi limito ad alcune osservazioni. Il canto del Sileno costituisce tutt’oggi, come è stato detto, una crux esegetica: da chi ne riconosce una derivazione lucreziana ed epicurea, a chi vi individua un’ispirazione dionisiaca, a chi lo valuta, infine, come un’espressione di eclettismo45. Il rischio di non rendere conto della pluralità di interpretazioni filologiche, accogliendone una sola (nella fattispecie una lettura in chiave iniziatica), comporta una valutazione forzata del possibile messaggio affidato alla scena musiva tisdritana. A prescindere, poi, dal significato attribuibile all’Ecloga, che peraltro si apre e si chiude con Apollo46, è chiaro che difficilmente esso può indirizzare l’interpretazione dei mosaici di El Jem e di Cherchel, realizzati tra III e IV secolo d.C., né, viceversa, questi possono contribuire a chiarire il contenuto dei versi virgiliani47, composti tra gli anni quaranta e trenta del I secolo a.C.48. L’unico modo possibile per determinare qualità e misura della dipendenza tra fonte archeologica

38. Foucher 1964, p. 252-253 ; de Saint Denis 1963, p. 23-20 ; Foucher 1981, p. 686, 692 ; Ghedini 1997, p. 226-228. 39. Ibid., p. 227. 40. Della Corte 1983-1984, p. 165-178. 41. Ghedini 1997, p. 227. 42. Ibid., p. 228. 43. Ibid., p. 227-228. 44. Novello 2007, p. 77. 45. Paratore 1964, p. 509-537; Cupaiolo 1996, p. 490; Aricò 2012, p. 141; Cucchiarelli 2012, p. 26. 46. Ibid., p. 320. 47. Così, invece, Ghedini 1997, p. 228. 48. Cucchiarelli 2012, p. 15-16. 138 EMANUELA MURGIA e letteraria è considerare come questa doveva apparire ai lettori della media e tarda età imperiale. A tale proposito Francesca Ghedini ha notato che «forse proprio per la sua forte connotazione iniziatica, l’egloga vi era talvolta recitata a teatro»49, citando a riguardo il noto passo di Servio ad ecl. 6.11: dicitur autem ingenti favore esse recitata, adeo ut, cum eam postea Cytheris meretrix cantasset in theatro, quam in fine Lycoridem vocat, stupefactus Cicero, cuius esset, requireret. Et cum eum tandem aliquando vidisset, dixisse dicitur et ad suam et ad illius laudem magnae spes altera Romae: quod iste postea ad Ascanium transtulit, sicut commentatores loquuntur. Occorre, innanzitutto, precisare che il commentatore si limita a ricordare il canto di Lycoris e non che l’ecloga fosse recitata a teatro per la sua ‘connotazione iniziatica’50. Sull’attendibilità stessa dell’episodio, inoltre, il giudizio non è unanime51. Che la complessità del discorso virgiliano non fosse del tutto compresa nella tarda antichità sembra inoltre trovare conferma nel fatto che Nemesiano, reinterpretando liberamente l’Ecloga 4 e l’Ecloga 6 di Virgilio, affida a Pan, novello cantore divino, la narrazione delle vicende di Bacco52. A corollario di queste considerazioni si pone, inoltre, il fatto che la scena musiva del Sileno ebbro ripropone una situazione letteraria e non un episodio mitologico53, condizione di per sé sufficiente ad escludere una connotazione cultuale, di qualsiasi natura possa essa trattarsi. In questo contesto, dunque, anche la scena di svelamento del liknon54, rappresentata a margine del “tappeto di vite” della ‘Casa del Sileno’, non costituisce un preciso riferimento «al momento centrale della cerimonia inizatica»55 e non pare dotata di quella forte connotazione «in senso religioso» che, invece, le è stata attribuita56. A questo proposito vale la pena ricordare il monito di Anne-Françoise Jaccottet a proposito dell’esegesi del ricorrente motivo del disvela- mento del fallo. La studiosa ha specificato come la svelamento o l’imposizione del liknon non fosse indispensabile all’iniziazione (non se ne fa menzione in alcuna fonte epigrafica)57 e come, anzi, i riti per la partecipazione ai misteri fossero molteplici; tale tema iconografico costituiva, agli occhi degli antichi, il codice più efficace per alludere alla sfera dionisiaca e all’iniziazione; ciò nonostante «leur rapport à la réalité n’est pas primordial et les éléments isolés, qui renvoient à la réalité cultuelle, sont complètement redigérés pour entrer dans le langage et la syntaxe icono- graphiques qui suivent leurs propres règles»58.

49. Ghedini 1997, p. 228. 50. Su questo, si veda la notizia di Don. Vita 26, p. 8 Hagen Bucolica eo successu edidit ut in scaena quoque per cantores crebro pronuntiarentur. Sul successo teatrale delle Bucoliche, Van Sickle 2003. 51. Bonaria 1984, p. 576, 1987, p. 216; Manzoni 1995, p. 36-38; Traina 1999, p. 96. 52. Cucchiarelli 2012, p. 320. 53. Valgano a questo proposito le significative osservazioni di Cucchiarelli 2012, p. 320 a proposito della Ecloga 6: «Dal suo dionisiaco antro, il Sileno non fa rivelazioni religiose: richiama concetti, luoghi e fatti del misticismo, ma limitandosi a evocare per suggestioni». 54. Su cui Burkert 2004, p. 98-101. 55. Ghedini 1997, p. 227; però, Jaccottet 2003, p. 99-100, 140-143. 56. Foucher 1981, p. 691; Ghedini 1997, p. 243; Novello 2007, p. 77. 57. Burkert 1989, p. 34, 127-128 ricorda come il liknon con il fallo apparisse in contesti bacchici senza particolari connotazioni ‘mistiche’. Sull’uso della cista mystica nei culti di Iside, Mater Magna, Demetra, si veda Le Glay 1966, p. 362. 58. Jaccottet 2005-2006, p. 237-238. MOSAICI AFRICANI A SOGGETTO DIONISIACO: UNA RIFLESSIONE 139

In conclusione, dunque, mi sembra che il Sileno ebbro e le ninfe del mosaico di Thysdrus-El Jem rimandino chiaramente ad una dimensione culturale e non cultuale a conferma di quanto già suggerito da Anne-Françoise Jaccottet, le osservazioni della quale vorrei qui nuovamente ricordare: «l’imagerie dionysiaque est un monde à part entière, riche d’une tradition pluriséculaire et dont la diffusion extraordinaire en fait une référence universelle. Les images dionysiaques, véritable patrimoine iconographique, jouent le rôle d’une koinè visuelle dans laquelle chacun dans l’Antiquité se reconnaît culturellement. C’est cette dimension culturelle qui doit nous faire relativiser notre approche des images dionysiaques»59.

Fig. 1 – , Casa del Sileno, mosaico ‘a tappeto di vite’, da Ghedini 1997, p. 223, fig. 7.

59. Jaccottet 2005-2006, p. 238. 140 EMANUELA MURGIA

Fig. 2 – El Djem, Casa del Sileno, pannello esagonale con Sileno ebbro, pastorelli e Ninfa, da Ghedini 1997, p. 227, fig. 12.

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