Archeologia Dell'unità. Architettura, Pittura E Filosofia Nella Tragedia Italiana Del Cinquecento
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Archeologia Dell'unità. Architettura, Pittura E Filosofia Nella Tragedia Italiana Del Cinquecento The Harvard community has made this article openly available. Please share how this access benefits you. Your story matters Citation Confalonieri, Corrado. 2019. Archeologia Dell'unità. Architettura, Pittura E Filosofia Nella Tragedia Italiana Del Cinquecento. Doctoral dissertation, Harvard University, Graduate School of Arts & Sciences. Citable link http://nrs.harvard.edu/urn-3:HUL.InstRepos:42029549 Terms of Use This article was downloaded from Harvard University’s DASH repository, and is made available under the terms and conditions applicable to Other Posted Material, as set forth at http:// nrs.harvard.edu/urn-3:HUL.InstRepos:dash.current.terms-of- use#LAA Archeologia dell’unità. Architettura, pittura e filosofia nella tragedia italiana del Cinquecento A dissertation presented by Corrado Confalonieri to The Department of Romance Languages and Literatures in partial fulfillment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy in the subject of Romance Languages and Literatures Harvard University Cambridge, Massachusetts May 2019 © 2019 Corrado Confalonieri All rights reserved Prof. Jeffrey T. Schnapp Corrado Confalonieri Archeologia dell’unità. Architettura, pittura e filosofia nella tragedia italiana del Cinquecento Abstract Archeologia dell’unità offers a new narrative of both the origins and the consequences in the history of ideas of the pseudo-Aristotelian unities of time and place that emerged in sixteenth-century Italy. Weaving together phenomena such as the reception of Vitruvius’s De architectura, the performance of classical plays in Italian courts, the invention of perspective and its impact on stage design, I reconstruct the interactions between artists and humanists and the development of a shared language across aesthetics and poetics. I claim that the complication of the Aristotelian concept of unity of action with the notions of time and place is the symptom of a shift in paradigms—from the inner coherence of the text to the verisimilitude, from the importance of the plot to the appreciation of the mise-en- scène—caused by the interdisciplinary network that the Poetics entered in mid-sixteenth century. Focusing on the innovations of Renaissance scenography, I show in selected tragedies by Giangiorgio Trissino (Sofonisba), Pietro Aretino (Orazia), Luigi Groto (Adriana), and Torquato Tasso (Re Torrismondo) how the dimension of spectacle came to condition the structure of texts. I claim that rethinking the unity of action in light of the unities of place and time bears consequences for the “philosophy” of the action beyond the material conditions of the stage representation, providing a model for texts that are not meant to be staged and an explanation for the shifting of the “poetics of the tragedy” to the “philosophy of the tragic” that would later emerge in German Idealism. ! iii ! Archeologia dell’unità. Architettura, pittura e filosofia nella tragedia italiana del Cinquecento INDICE Parte I Introduzione 1. In principio fu Aristotele? 1 2. La formazione discorsiva del Rinascimento 6 Capitolo 1 Letterati e architetti nell’Italia del Rinascimento 1. Ferrara, Firenze, Urbino: a caccia di libri tra le corti 15 2. Excursus. Il posto dell’architettura nella teoria tra Quattro e Cinquecento 22 3. Milano, Ferrara, Vicenza, Roma: seguendo Gian Giorgio Trissino 30 4. Roma: Claudio Tolomei e l’Accademia della Virtù 34 5. Venezia: Camillo, Serlio, Zorzi, Aretino 44 Capitolo 2 La norma di ogni corpo 1. Ideologia di una figura 49 2. Discorsi fluidi 55 3. Corpo, testo, edificio: le regole del gioco 58 4. Corpo, edificio, città: motivare lo spazio 76 Capitolo 3 Paradigmi in movimento 1. Un errore di Trissino 94 2. Teatro scritto, teatro rappresentato 96 3. Una festa per gli occhi 100 4. Tra scenografia e poetica 104 5. Dalla scena all’azione: dietro la maschera dell’aristotelismo 108 6. Il verosimile nella teoria e nella storia 115 7. Per una difesa di Castelvetro 118 8. Come si rovescia una gerarchia 122 Parte II Introduzione 131 Capitolo 4 Hic Cirta, hic salta: Gian Giorgio Trissino, Sofonisba 1. Divergenze parallele: le due “Sofonisbe” 133 2. Galeotto del Carretto: tragedia di Sofonisba, romanzo di Massinissa 137 3. Trissino: costringere e impedire l’azione al qui-e-ora 146 ! iv ! Capitolo 5 L’allegoria di una città: Pietro Aretino, Orazia 1. Forma e ideologia 160 2. Storia e letteratura 162 3. “Roma, che del tutto esser dee donna” 167 Capitolo 6 Quando i luoghi raccontano le storie: Luigi Groto, Adriana 1. Attraverso la scena: da una città all’altra 178 2. Unità di luogo 187 3. Hadria quanta fuit 197 Capitolo 7 Lontano da qui: Torquato Tasso, Re Torrismondo 1. Un Edipo a Vicenza 206 2. Dentro e fuori Sant’Anna 213 3. Lo spazio nel Torrismondo 230 Coda Da Tasso a Tolstoj: poetica della tragedia e filosofia del tragico 245 Indice delle illustrazioni 255 Bibliografia 257 ! v Parte I Introduzione 1. In principio fu Aristotele? “Aristotle may have been a midwife, but he didn’t lay the egg” (JAVITCH 2001a: 142). Con questa metafora – non la prima e non la più celebre di una carriera in buona parte rivolta allo studio della poetica cinquecentesca1 – Daniel Javitch concludeva uno dei saggi dedicati alla confutazione di un’idea che aveva avuto largo credito e che ancora resiste, pur se non sempre adeguatamente discussa, negli studi rinascimentali: l’idea, cioè, già avanzata da Joel Spingarn (1899) e poi ribadita con autorevolezza da Bernard Weinberg (1961), che la riscoperta della Poetica fosse da considerare come la causa diretta dei tentativi di elaborare nel corso del Cinquecento una sistematica teoria della letteratura, e in particolare che al trattato aristotelico fosse da ricondurre lo stimolo a ripensare la poetica per generi letterari.2 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1 Memorabile quella di cantus interruptus, usata in un celebre articolo per descrivere le frustrazioni imposte al lettore dalla struttura digressiva dell’Orlando Furioso (JAVITCH 1980). Oltre allo studio sulla canonizzazione del poema di Ariosto (JAVITCH 1991), ricco di implicazioni anche per lo studio della poetica da un punto di vista teorico, si vedano anche JAVITCH 1988, 1992, 1994, 1998, 1999a e 1999b. 2 È utile ricordare l’aneddoto raccontato da Marvin Carlson in apertura al suo Places of Performance sul dibattito riguardante l’utilità dello studio degli spazi dedicati alle rappresentazioni che Joel Spingarn, allora docente alla Columbia University, ebbe col collega Brander Matthews, primo professore ad avere una cattedra di studi teatrali negli Stati Uniti. A Matthews, che sosteneva la necessità di ricostruire i palcoscenici in cui dovevano essersi svolti gli spettacoli dall’antichità fino ai tempi più recenti, Spingarn opponeva “what he called new criticism”, affermando cioè che “the study of the history of the theatrical spaces […] had no more to do with the understanding of the drama than the study of the history of printing had to do with the understanding of poetry” (CARLSON 1989: 1). Carlson commentava che, per quanto minoritaria se non insostenibile fosse diventata la posizione di Spingarn, il respiro degli studi suggeriti da Matthews era ancora troppo corto, limitato com’era a una posizione di servizio, pur sempre strumentale a una migliore comprensione del testo. Il presente lavoro condivide questa critica, ma la articola in direzione diversa da quella socio-culturale di Carlson: contro la tesi di Spingarn, il mio tentativo consiste nel dimostrare l’influenza della dimensione della rappresentazione sulla concezione del testo in termini apparentemente limitati alla poetica. Puntando sulla brevità e sull’incompletezza del testo di Aristotele – caratteristiche di cui, come avrò modo di ricordare in seguito, ebbero già a lamentarsi i letterati cinquecenteschi –,3 Javitch ha preferito ridimensionarne il ruolo generativo, e dunque parlare di “assimilazione” della Poetica all’interno di un dibattito sulla letteratura che era sì pronto ad accoglierla e magari a riorganizzarsi intorno a essa, ma che tuttavia non fu l’esito della sua riscoperta. La Poetica, infatti, fu piuttosto uno strumento con cui i suoi lettori, spesso interessati in quanto poeti in proprio oltre che teorici della poesia, forgiarono un sistema di norme nel complesso innovative rispetto alle limitate indicazioni del testo di partenza. Che la Poetica potesse davvero essere ritenuta il testo di partenza, anzi, è di per sé un fatto verso cui si deve nutrire qualche riserva, perché l’autorità di Aristotele, pressoché incontestabile nominalmente, fu alle volte sfruttata per presentare come “aristotelico”, e dunque per legittimare, ciò che, se non in contrasto con il trattato, era però difficilmente derivabile da esso. Per i Discorsi dell’arte poetica di Tasso, per esempio, si è parlato di innovazioni teoriche introdotte “dietro la maschera dell’aristotelismo” (JAVITCH 1999a), ma si tratta di un espediente che può valere al di là del caso di Tasso e che più in generale dimostra il punto decisivo di questo rovesciamento nel rapporto tra creazione di regole e lettura di Aristotele: anche le norme che nel Cinquecento vennero dichiaratamente presentate come aristoteliche possono talvolta essere lette come non aristoteliche (il che peraltro non vuol dire che fossero sempre antiaristoteliche). !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 3 Allusioni all’oscurità di Aristotele si trovano per esempio nella dedicatoria dell’Orbecche (edita per