Raffaele La Capria
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RIZZOLI Rassegna Stampa del 11/03/2016 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE RIZZOLI 11/03/2016 Il Foglio 4 VITA, EROS, TANATOS, DUDU' A TU PER TU - 23 "Ho novantatré anni e la morte non mi fa più paura, ho piuttosto paura dell'eternità". Moravia, Parise, Rosi, Arbasino, Napolitano. Storie e bellezze. Un giorno con La Capria Alla Rai, Bernabei mi diceva: "Tieni sempre presente che noi dobbiamo fare dei programmi per quelli che scendono dagli alberi" "L'altro giorno mi domandavo: ma le donne mi piacevano o non mi piacevano? Devo confessare che non me lo ricordo più" "Sandro Viola si prese mia moglie, ma mi ha sollevato da parecchie responsabilità. Alla fin Salvatore Merlo RIZZOLI 1 articolo 11/03/2016 diffusione:25000 Pag. 5 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato A TU PER TU - 23 VITA, EROS, TANATOS, DUDU' "Ho novantatré anni e la morte non mi fa più paura, ho piuttosto paura dell'eternità". Moravia, Parise, Rosi, Arbasino, Napolitano. Storie e bellezze. Un giorno con La Capria Alla Rai, Bernabei mi diceva: "Tieni sempre presente che noi dobbiamo fare dei programmi per quelli che scendono dagli alberi" "L'altro giorno mi domandavo: ma le donne mi piacevano o non mi piacevano? Devo confessare che non me lo ricordo più" "Sandro Viola si prese mia moglie, ma mi ha sollevato da parecchie responsabilità. Alla fin Salvatore Merlo Roma. "Un tempo era più facile capire, c'era la buona letteratura e c'era la cattiva letteratura. Oggi c'è la falsa buona letteratura. Quasi tutti scrivono bene, qualcuno anche benissimo, ma sono senz'anima. Libri costruiti. Goffredo Parise, il Parise del 'Sillabario', faceva diventare poetico il senso comune, perché solo la poesia rende un libro animato, vivo". E quando gli si chiede di fare un esempio di libro artificioso, lui è forse quasi sul punto di citare il suo amico appena scomparso, Umberto Eco (ma non lo fa): "Penso ai libri dei personaggi televisivi, libri che loro si promuovono reciprocamente". Dunque mette su un tono ironico, accompagnato da quell'inflessione napoletana che lui è capace di modulare, di accendere e di spegnere all'occorrenza, come se pensasse che in talune occasioni non si debbano sfuggire le reminiscenze regionali poiché farlo equivarrebbe a dare alle parole un che di neutro, d'inconsistente. Così quando è ironico, lui è anche napoletano. "In libreria si trovano i libri di cani e porci, i miei non si trovano mai". E allora gli si racconta di una visita a casa del vecchio Ettore Bernabei: le pareti dello studio foderate di volumi, iscritte in un rettangolo di carta rilegata e di legno color noce, e su uno scaffale - sorprendentemente incongruo - ecco un libro di Fabio Volo, addirittura annotato, con dei segnalibro che sbucano da ogni parte. E Bernabei che spiegava: "L'ho letto per curiosità, volevo capire cos'è la narrativa contemporanea che vende, quella che fa numeri". E cos'è? "E' il nulla dell'esistenzialismo. L'espressione di una società che vive il momento, non sa niente del passato e non si pone il problema dell'avvenire". Così lui, dopo aver ascoltato di Bernabei, ride a questo racconto. "Bernabei è sempre stato un uomo intelligente", dice. "Quando lavoravo in Rai si raccomandava: 'Tieni sempre presente che noi dobbiamo fare dei programmi per quelli che scendono dagli alberi'", come le scimmie, i macachi. E fu Bernabei ad assumerlo in Rai, lui e pure Eco, assieme a molti altri scrittori, intellettuali... Era una forma di mecenatismo. In questo modo Bernabei finanziava la cultura italiana, poi quasi nessuno di loro lavorava troppo alla televisione, in realtà. "Debbo confessare che sono stato un parassita", dice con uno sguardo quasi da monello. "Ma poi mi dico pure: era meglio fare il bravo impiegato, o scrivere tutti i romanzi che ho scritto in quegli anni? Forse sono stato più utile così alla società". Il vecchio, largo ascensore color noce scivola rapido verso l'ultimo piano di Palazzo Doria, spalancato su Piazza Grazioli, con la sua scala monumentale, che ci passerebbe comodamente anche una Jeep o una Land Rover (ma è vero che i Doria Pamphilj affittarono questi appartamenti agli scrittori, perché volevano essere circondati dagli intellettuali, come in una corte del Rinascimento? "Vivo qui dal 1961, ed è vero che hanno tenuto gli affitti sempre un po' più bassi, rispetto al mercato"). Ed eccolo finalmente, al quinto piano, ecco Raffaele La Capria, che bianco di capelli e piccolo d'ossa, ma con qualcosa di solido e d'affettuoso nel gesto, nello sguardo, sta in piedi come un giunco oscillante sulla soglia di casa e sorride contagiosamente: la giacca a quadretti, un po' anni Cinquanta, il volto che raggia un'intelligenza vitale. "Io ho novantatré anni", dice. "Lei quanti anni ha?". Trentatré. "Eh, chissà se ci capiremo. Sono curioso, venga dentro". Il piccolo ingresso, poi una seconda saletta, con un divano e le poltroncine, lascia intravedere una terza stanza, appena in ombra: la scrivania e un solitario telefono, che ogni tanto squilla e strepita, ma invano, trascurato. Pare che questa casa possieda la più bella terrazza della città, imperiosamente aperta sui tetti di Roma, ma non mi sarà mostrata, e nemmeno lo chiedo. Ogni passaggio, da una stanza all'altra, è scandito da una diversa, fitta libreria. I vecchi volumi Einaudi, poi i RIZZOLI - Rassegna Stampa 11/03/2016 4 11/03/2016 diffusione:25000 Pag. 5 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Meridiani Mondadori, e tra questi ce n'è anche uno con il suo nome sul dorso, ovviamente: La Capria, Opere ("lo guardo, e non so perché mi viene da ridere. 'Opere'. Non sarà troppo solenne?"). Così, mentre si cala con precauzione sulla poltroncina, alle spalle di un'allegra finestra sui tetti, l'ultimo grande scrittore italiano mi avverte, con spiritosa serietà: "Poiché sono un po' sordo, ho studiato la disposizione dei posti. Lei si metta qui", dice, indicando una sedia che lui piazza proprio di fronte a sé, di modo tale che tra le mie gambe e il bracciolo a cui lui si appoggia non c'è quasi soluzione di continuità. "Ho novantatré anni e la morte non mi fa più paura, ho piuttosto paura dell'eternità", dice. "Penso che non bisogna superare il senso del limite. E la morte è un limite sacro". E mentre pronuncia queste parole si capisce che le ha già tutte in testa, gli pulsano come vene. "Poi, però, insorge dentro di me un altro La Capria, che mi avverte: 'E' inconcepibile vivere senza la certezza che i buoni saranno premiati e i cattivi puniti'. E la mia idea della morte oscilla, come il mio segno zodiacale, che è la bilancia". Crede in Dio? "E come fai a rispondere, dai. Ti sei mai fatto un'idea dell'infinità dell'universo? Figurati se puoi rispondere sull'esistenza di Dio. Non vado in chiesa. Ma suppongo di essere un uomo religioso. Credo nel mistero. Nell'insufficienza dell'uomo", dice, sporgendo appena dalla poltrona, dove adesso pare seduto un po' in bilico. Ma è vero, gli si chiede, che negli anni Novanta lei sceneggiò "Nanà", il romanzo di Zola, con Peppino Patroni Griffi, e preparaste così una fiction televisiva di Berlusconi, uno sceneggiato che doveva essere interpretato dalla sua favorita di quei tempi, da Francesca Dellera? "Che fosse la favorita di Berlusconi non lo sapevo, ma quella è davvero una storia irrilevante, me l'ero persino dimenticata. A lei chi lo ha detto?". Mi sono informato. "D'altra parte viviamo nel mondo dell'irrilevanza", mormora, quasi fuggevolmente, e senza protervia. D'altra parte lui è soprattutto lo sceneggiatore di "Le mani sulla città", altro che fiction. E a proposito d'irrilevanza: dicevamo di Fabio Volo. "Ah, sì, ecco. Io Fabio Volo non l'ho letto, lo metto da parte. In questo caso sono ignorante, la mia è una ignoranza procurata", sorride. "Ma guardi qua invece", e indica un volume di oltre milleduecento pagine, l'ultimo romanzo di Edoardo Albinati. "Libri come questo fanno capire che da qualche parte c'è ancora ambizione. Lo presento allo Strega". La Capria lo vinse nel 1961, quando lo Strega era ancora lo Strega, all'apogeo del premio: raccontano che dal '61 in poi lui sia stato fondamentale, determinante nell'attribuzione dei premi successivi. Allora glielo dico, ma forse lui non mi sente, la sua lieve sordità è d'altra parte selettiva: tanto più la domanda è incerta, timida, o appena insidiosa, tanto più si acuisce il difetto d'udito. "Dopo la vittoria tutti i miei amici cominciarono a diffidare del libro", che era "Ferito a Morte", racconta. "Compresa Elsa Morante, che pure lo aveva presentato. Elsa era una donna impulsiva, la sua non era meschinità, semplicemente s'era forse accorta quanto io le fossi in realtà estraneo: il mio partito era quello del senso comune, della logica elementare, dei sentimenti, mentre tutt'intorno, in Italia, spirava una certa idea dell'impegno ideologico, c'era Pasolini... E invece, guardi, tutta la storia della letteratura è composta da una semplice e sublime sostanza: la comunicazione dei sentimenti, delle emozioni. La Storia, quella con la esse maiuscola, ci racconta l'assedio di Troia da parte degli Achei.