LOESCHER EDITORE TORINO Un Profilo Di Vincenzo Di Benedetto
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Volume 142, 2014, fascicolo 1 2014 LOESCHER EDITORE TORINO UN PROFILO DI VINCENZO DI BENEDETTO Abstract: An outline of the life of the well known scholar Vincenzo Di Bene- detto, recently, from his education deceased (at Saracena and Calabria, Pisa and Oxford, his relationship with Eduard Fraenkel, Sebastiano Timpanaro and other prominent scholars of the 50s and 60s of the last century, and his membership to the Partito Socialista di Unità Proletaria) until his last years. Special attention is devoted both to the wide area of his copious intellectual endeavours (not just Latin and Greek but also Italian philology, and linguistic) and to the political, cultural and didactic engagement which gives his thought and method a strongly original character. Keywords: Di Benedetto, Fraenkel, Greek Philology, Italian philology, Latin philology, Timpanaro. Vincenzo Di Benedetto nacque ad Altomonte nel gennaio del 1934, ma solo perché la madre (Maria Gaetana) voleva essere assistita nel parto dalle sorelle: in realtà apparteneva alla comunità della vicina Saracena, in provincia di Cosenza, un borgo di quattromila anime adagiato sul dorso di una collina rocciosa che sovrasta la valle del Garga, secondo di tre fratelli (Leone e Biagio gli altri due) che avrebbero tutti studiato fino a conseguire una laurea pur essendo nati da una casalinga e da un uomo (Saverio, omo- nimo dell’unico figlio di Vincenzo e di sua moglie Diana) che, dopo aver praticato vari mestieri fra cui il sarto e il droghiere, dal 1949 al 1953 aveva tentato le sorti dell’emigrante come ‘tagliatore di camicie’ a San Paolo in Brasile. A nove anni, nell’estate del ‘43, intravide in lontananza le truppe tedesche in fuga e poi quelle alleate risalire verso il nord lungo gli avval- lamenti dei monti di Orsomarso. A Castrovillari, dove frequentava il liceo classico, si imbatté dicias- settenne in Polinnia, l’antologia di lirici greci di Perrotta e Gentili: un testo scolastico che in modo inconsueto per i tempi abbinava impegno divulgativo e rigore scientifico. L’assidua consultazione del volume, come leggiamo in Ricordo di Polinnia1, gli rivelò per la prima volta, insieme con l’esistenza della metrica e del problema di colmare le lacune dei papiri, un modo nuovo di leggere i testi antichi: «attraverso i lirici greci scoprii il valore dell’attualità della letteratura del passato». Depositario, attraverso la comunità di Saracena, di una cultura e di un 1 Di Benedetto 2001e. UN PROFILO DI VINCENZO DI BENEDETTO 219 linguaggio che il fratello Biagio avrebbe contribuito a tramandare e valo- rizzare in due volumi, Saracena, i segni della memoria e Piccolo almanac- co calabrese, entrambi pubblicati nel 1994 nella stessa Saracena (editore Il Coscile), il giovane Di Benedetto era d’altronde fermamente intenzio- nato a spiccare il volo da Saracena e dalla Calabria in cerca di avventure di più largo respiro. Anche in vista di questo obiettivo fu studente licea- le esemplare, eccellente tanto nelle materie umanistiche quanto in quelle scientifiche. Quando venne a conoscenza dal suo insegnante di latino e greco del bando per l’accesso alla Scuola Normale di Pisa, non esitò a par- tecipare e vinse agevolmente un concorso di ammissione che a quel tempo metteva a disposizione un numero molto ridotto di posti. Nel suo primo anno di studi universitari, il 1952/1953 (Giorgio Pasqua- li era morto da pochi mesi a Belluno, il 9 luglio del ‘52), letteratura e filologia greca sia alla Facoltà di Lettere di Pisa sia alla Scuola Normale erano tenute da Aurelio Peretti, uno dei primi allievi di Pasquali e autore di Epirrema e tragedia2. D’altra parte né in quell’anno né in quelli imme- diatamente successivi Peretti tenne mai lezioni o seminari sulla tragedia: era concentrato sul problema della formazione della silloge teognidea (Te- ognide nella tradizione gnomologica apparve a Pisa nel 19533), e proprio in un seminario di Peretti su Teognide il giovane studente sperimentò per la prima volta dal vivo la pratica e il senso del mestiere filologico. Fra i docenti che lo impressionarono positivamente ci furono anche, in Normale, il paleografo Augusto Campana, il filologo umanista Alessandro Perosa e il latinista Ignazio Cazzaniga, nella Facoltà di Lettere dell’ateneo pisano l’archeologo Silvio Ferri e lo storico Giovanni Pugliese Carratelli, di cui ammirò la curiosità (si era messo immediatamente a interpretare le tavolette della Lineare B appena decifrata da Ventris e Chadwick) e il respiro inter-disciplinare oltre a trovare in lui un esempio e un testimone di quella cultura liberale e liberal-democratica che si riconduceva a Bene- detto Croce e Adolfo Omodeo (in questi anni il giovane Di Benedetto è un crociano convinto, tanto da ricopiarsi a mano su una serie di quaderni tutto il Breviario di estetica). Anche per gli stimoli ricevuti dall’insegnamento di Pugliese, e sulla rivista da lui fondata e diretta, pubblica ancora studente il suo primo artico- lo, Pittaco e Alceo4, anch’esso incluso in quella poderosa raccolta, curata da Riccardo Di Donato, dei suoi scritti ‘minori’5. Questo lavoro non era destinato a convincere Fraenkel (pare che commentasse: «Jacoby e io la pensiamo diversamente») né certo rappresenta una soluzione incontrover- tibile all’intricata questione sul nome del padre di Pittaco, eppure l’ipotesi che vi è suggerita è senz’altro ingegnosa (ὕρραος e ὑρράδιος non sono pa- 2 Peretti 1939. 3 Peretti 1953. 4 Di Benedetto 1955b. 5 Di Benedetto 2007. 220 FRANCO FERRARI tronimici, ma semplici aggettivi che significano ‘bastardo’, come attestato in Esichio, tanto più che non esistono in greco, prima dell’età bizantina, patronimici in -άδιος) ed è stata recentemente rivalutata da W. Lapini6. Invitato a tenere un ampio corso di tipo seminariale alla Normale, il grande Eduard Fraenkel, che era nato a Berlino nel 1888 ed era stato disce- polo di Wilamowitz e di Leo, entra nel 1954 nell’orizzonte di Di Benedet- to, che diventa uno dei più assidui frequentatori delle sue lezioni, tanto che Aldo Capitini lo incarica di fare da correttore, o piuttosto da ‘controllore’, dell’italiano di Fraenkel, raffinato conoscitore dei nostri classici, Dante su tutti, ma un po’ meno ferrato nell’italiano parlato. Lo studente Di Benedet- to nutre verso il grande studioso tedesco, esule a Oxford dal 1934, una solo moderata soggezione e si propone alla sua attenzione anche al di fuori dei seminari, quando discutono, fra l’altro, di Croce, della cui estetica Fraen- kel diffida per l’inadeguata consapevolezza delle complesse articolazioni dei testi e dell’evolversi della forma letteraria. Come avrebbe ricordato in un convegno su Fraenkel che organizzam- mo insieme nel dicembre del 2000 presso la Normale7, Di Benedetto individua come tratti salienti della personalità di Fraenkel l’impegno ad approfondire il senso della singola parola e della singola espressione, il gusto per i realia sentiti come via per scandagliare il mondo di un autore, l’attenzione alla conversione formale dell’esperienza vissuta in letteratura e al riuso creativo di schegge pregresse e anche l’impegno didattico ad personam come strumento di trasmissione del mestiere di interpretare i testi. In seguito avrebbe partecipato a più riprese anche ai seminari orga- nizzati da Arnaldo Momigliano presso la Scuola Normale, generalmente caratterizzati da interventi di diversi studiosi, giovani e maturi, intorno a una grande personalità della storia della filologia e animati da una vivacità di discussione senz’altro maggiore rispetto a quelli tenuti da Fraenkel. Negli stessi anni si apre a un impegno politico attivo – un impegno che veniva da lontano, «da una Calabria bisognosa di rinnovamento e di riscatto» – destinato a non lunga durata ma che gli suscitò sincero entusi- asmo. Nel 1955, come giovane rappresentante pisano di Unità Popolare (il movimento politico fondato il 18 aprile 1953 dalla confluenza di Autono- mia Socialista, Unione di Rinascita Repubblicana e Giustizia e Libertà), conosce Tristano Codignola in occasione di un convegno tenuto a Roma in via Arenula (erano presenti fra gli altri Ferruccio Parri e Carlo Arturo Jemolo) e nei primi anni ‘60 aderisce al partito socialista, poi partecipa attivamente, facendo parte del direttivo pisano, alle vicende del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Come si rievoca in Ricordo di Maria Timpanaro8, il primo atto della costituzione del partito a Pisa fu una lettera di dimissioni dal partito so- 6 Lapini 2007, 168 sg. 7 Di Benedetto 2000. 8 Di Benedetto 2001d. UN PROFILO DI VINCENZO DI BENEDETTO 221 cialista redatta da quattro iscritti (Maria e Sebastiano Timpanaro, lo sto- rico Giovanni Miccoli e Di Benedetto) proprio a casa del Nostro. Poi, l’8 febbraio del 1964, partecipa all’assemblea costitutiva della federazione pisana del partito, che ebbe la sua sede dapprima in via Giordano Bruno, poi in corso Italia. Non solo al tempo della scissione dal partito socialista ma in una lunga fase che va dal 1959 al 1967 e che si interruppe al momento del trasferi- mento di Maria e di Sebastiano a Firenze frequentò assiduamente casa Tim- panaro recependo da Maria l’interesse per la filosofia antica e intreccian- do con Sebastiano, nonostante la differenza di età, un’amicizia rievocata in Come ricordo Sebastiano Timpanaro jr9. Sebastiano Timpanaro, che era del ’23 e che lavorava come correttore di bozze presso la Nuova Italia, al tempo aveva già pubblicato quello che forse resta il suo capolavoro10 e spesso, pur senza intervenire quasi mai nelle discussioni, partecipava ai seminari che si svolgevano alla Scuola Normale. Con Timpanaro, che gli raccontava passo passo i momenti salienti delle sue ricerche, Di Benedetto era solito fare lunghe e dotte passeggiate serali assistendo come in presa diretta alle scansioni, ai dubbi, ai passi falsi e finalmente ai progressi che accompagnano un’indagine scientifica. E natu- ralmente discutevano a fondo di politica in una prospettiva che presuppo- neva, in Timpanaro, la piena assimilazione dei testi marxisti ma che anda- va al di là del marxismo.