aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Lorenza Fumagalli Manuela Gasperi Marcello Canclini aldidentro STORIA PAESI GENTE

coordinamento editoriale Daniela Gurini V fotografie Giovanni Peretti contributi di Beatrice Bellotti, glaciologia Remo Bracchi, toponimi Marco Foppoli, stemma e illustrazioni

lpinia A editrice

aldidentro STORIA PAESI GENTE Presentazione V

Valdidentro, meravigliosa valle dell’alta Valtellina, il della Provincia di che con i suoi 24.000 ettari è il più grande di tutti. L’azzurro è il colore che la contraddistingue e la fa individuare fra tutti i comuni della Magnifica Terra, ma il verde è il colore che domina, con i suoi estesi boschi ove prevale l’abete ed il pino e con i suoi pascoli, che d’inverno si mescola col bianco della neve, che ammanta tutto e protegge la terra, quasi in modo intimo e materno. Un tempo la Valdidentro faceva parte dell’antico Contado di , assieme ai territori di , e oltre che, naturalmente, di Bormio stessa. La vita era molto dura, ma la gente della Valdidentro è sempre stata molto tenace ed ingegnosa, ed anche orgogliosa. Oltre al ricco apparato di fotografie che ben ci fanno cogliere l’ampiezza, la bellezza e, si può dire, l’ariosità di questo vasto territorio ed alle numerose ed interessanti iconografie ed immagini d’epoca, questo volume vuole illustrare la storia di questo territorio, dai tempi più antichi agli inizi del XX secolo, e soprattutto vuole approfondire la storia del Comune di Valdidentro, dalla sua nascita sviscerandone tutte le problematiche che esistevano dal passaggio dei tempi autonomi dell’antico Contado ai tempi post-napoleonici, storia che è scaturita dal nostro archivio comunale con attente ed approfondite ricerche. La religiosità ha sempre contraddistinto la vita delle sue frazioni, creando un senso di appartenenza tramite le varie parrocchie, creando legami interni che sono tangibili anche oggi. Ecco allora che viene approfondita la storia delle chiese della Valdidentro, non solo per quel motivo ma anche per il fatto che in esse da sempre la popolazione ha voluto lasciare tangibili segni della propria fede e della propria operosità tramite numerose opere d’arte, spesso uscite dalle mani di abili artisti locali. E, ancora, la gente. Il volume ci dona uno spaccato del carattere della gente di Valdidentro, che affonda le sue radici e si è formato nei secoli passati, ci fa memoria degli usi e costumi della popolazione di questa nostra verde valle. Una memoria che ritengo non solo opportuna, ma necessaria. E tutto il libro vuole avere questo spirito, questo valore di memoria. Per ciò questo libro non è solo dedicato alle persone anziane, per fare rivivere emozioni di tempi andati, e naturalmente a tutti i cittadini e numerosi ospiti, ma soprattutto è dedicato alle giovani generazioni, perché dalle bellezze di questo territorio nel cuore delle Alpi, dalla sua storia antica e recente e dagli usi e costumi della sua gente nasca e si rafforzi un profondo amore per la propria terra, un attaccamento per i propri luoghi e per la propria cultura che è garanzia di continuità e di salvaguardia per il territorio stesso, che è garanzia di futuro. Questo libro, ed il valore che rappresenta, è un dono per tutti noi. Il Sindaco Avv. Ezio Trabucchi

5

aldidentro STORIA PAESI GENTE Il territorio e lo StemmaV

L’attuale comune di Valdidentro fu Tirolo; così ne accennava il Tuana nel sin dal primo Medioevo una delle ‘600: tre Onorate Valli che con il «Da qui verso settentrione con una borgo di Bormio, la salita lunga e dura, attraverso massi Terra mastra, enormi, scale, rocce asperrime per i componevano il cavalieri, si apre la via verso i Reti e contado Müstair attraverso il passo di Fraele, bormino. davvero un baratro e vertiginoso per Si può chi non vi è avvezzo. Presso le gole a ipotizzare mezza montagna e la corona di massi si che in taluni vedono oggi i ruderi di un’antica momenti anche la fortezza e due torri gemelle: alcuni Valdidentro, così ritengono che siano state erette dai come le altre vallate Galli». sorelle, abbia potuto alzare Le stelle alludono ai proprie insegne distinte da quattro principali quelle del Contado. Documenti nuclei abitati del vasto settecenteschi ricordavano infatti comune di valle: che nelle processioni religiose Isolaccia, Premadio, potevano partecipare sia gli stendardi Pedenosso e Semogo. delle parrocchie che quelli “laicali” delle vicinie, se ne potrebbe dedurre La raffigurazione quindi l’esistenza di particolari insegne della nota chiesa gotica tradizionali usate delle Onorate Valli. di San Gallo Purtroppo però negli archivi nulla, al rappresenta un altro momento, è stato rinvenuto: nessun importante sigillo o immagine con l’antica insegna monumento del della vicinia. patrimonio storico- artistico del comune. Ci limiteremo quindi ad analizzare lo stemma moderno del comune di Valdidentro che, concesso con il D.P.R. del 26 aprile 1983, si allinea agli usuali canoni compositivi degli emblemi civici moderni. BLASONATURA Nella prima partizione ritroviamo la o descrizione tecnica araldica raffigurazione delle celebri torri di Semitroncato partito: Fraele, baluardo fortificato nel 1° d’argento a due torri quadrate settentrionale del Contado di Bormio. diroccate di rosso fondate ciscuna su un Le due torri, poste a ben 1930 m di monte di verde movente dal fianco dello scudo quota, erano infatti le sentinelle poste e formante un avvallamento verso la punta; sul passo che collegava la Valtellina con nel 2° d’azzurro a quattro stelle d’oro a cinque punte la Valmüstair, l’Engadina e il ordinate 1,2,1; nel 3° d’oro alla chiesa di S. Gallo terrazzata di verde con il campanile addossato ad una montagna dello stesso.

7 aldidentro STORIA PAESI GENTE V Indice

Presentazione

Lo Stemma del Comune

la Storia 13

STORIA DELLA VALDIDENTRO 13 La Valdidentro nell’antico regime prima del 1759 13 La Repubblica Cisalpina e quella Italiana dal ....al.... 39 Il periodo francese (dal 1797 al 1804) 39 Il Regno d’Italia (dal 1805 al 1815) 43 Il dominio austriaco (dal 1816 al 1859) 47 APPROFONDIMENTI La nazione (dopo il 1859) 77 Le torri pag 17 Il 1900 I Nomi e i Luoghi alcuni toponimi della Valdidentro 29 Le streghe pag34 Il Palazzo Pretorio 41 I Bagni Nuovi dalla nascita distrettuale alla privatizzazione 49 Il Pio Istituto scolastico 61 La divisione dei beni distrettuali nel 1841 67 Elenco dei beni e delle passività 67 La divisione dei boschi 70 I forni e le ferriere ottocentesche 72 I fabbriceri 82 Le strade comunali nel 1869 92 Terreni da vincolarsi in Valdidentro nel 1877 96 Gli esposti 98 I pascoli e gli alpeggi 102 i Paesi 119

LE CHIESE DELLA VALDIDENTRO 121 San Giovanni A Molina 121 San Gallo 125 San Cristoforo a Premadio 129 San Martino ai Bagni 133 Santuario della Madonna della Pietà 139 Chiesa della SS. Trinità di Turripiano 143 Isolaccia 145 Semogo 149 San Carlo 153 Santi Martino e Urbano a Pedenosso 155 San Antonio di Scianno, San Erasmo, San Giacomo di Fraele 165 la Gente

USI E COSTUMI DELLA VALDIDENTRO 173 Il carattere 173 Il ciclo della vita 177 La nascita e l’infanzia 177 Il fidanzamento e le nozze 191 La morte 197 Feste e usanze del ciclo annuale 201 Gabinèt 201 Il carnevale 206 La settimana santa e la Pasqua 207 Il Corpus Domini209 La Madonna dell’acqua di Isolaccia 211 Santa Lucia 213 La Stella

9

la toria Storia della Valdidentro

LA VALDIDENTRO NELL’ANTICO REGIME

“Vallata a Cruce Toii Intus”. uomini con più di venticinque anni. Pagina a fronte: Così alla fine del ’400 veniva chiamata Egli era il referente del Consiglio Isolaccia a inizio la vallata che si distendeS a occidente Ordinario (anche detto “Seduto”) di 1900, con la chiesa del borgo di Bormio che, con la Bormio, unitamente ai due consiglieri del ‘500 abbattuta e Valdisotto a meridione, la Valfurva a di valle, uno eletto dalle “Vicinanze di ricostruita con diverso orientamento nel oriente e Livigno, costituiva l’entità fuori” e l’altro da quelle “di dentro”. 1938. politica e amministrativa denominata Questi ultimi componevano, con negli antichi incartamenti “Communitas quattordici colleghi (quattro delle altre Burmii”. Nei secoli che seguiranno si due vallate e dieci di Bormio) preferirà a questa antica l’istituzione appena sopra citata, denominazione quella di Valle di partecipando però alla sola Pedenosso o Valdidentro. amministrazione del Contado; erano cioè esclusi, a differenza dei dieci I suoi confini toccano il Comune di consiglieri di Bormio, dal Tribunale Valdisotto, quello di , quello di penale. Tale esclusione cessò nel 1555, , quello di Livigno, quello di quando un decreto delle Tre Leghe , quelli di Val Monastero e Grigie estese anche ai sei quello di Bormio. Nell’Antico Regime rappresentanti delle tre Valli (Livigno era compresa nella Valdidentro anche fu sempre escluso dagli organismi la lontana Trepalle. amministrativi e giudiziari) il diritto di Sei erano le Vicinanze che la farne parte. componevano: Semogo, Isolaccia, Il potere legislativo ed ogni Pedenosso, dette “Vicinanze di Dentro” e provvedimento straordinario erano una Turripiano, Premadio e Molina, dette prerogativa del Consiglio di Popolo “Vicinanze di Fuori”. composto, sempre secondo quanto Ogni Vicinanza amministrava una decretato nel 1555, da centoventi porzione di territorio (gestione dei uomini, venti dei quali boschi e dei pascoli, manutenzione nominati fra i vicini di delle strade e dei ponti, ripartizione Valdidentro. Il numero era dell’acqua per l’irrigazione prativa, però discrezionale e le suddivisione delle spese comuni o proporzioni mai rispettate “taglie”, ecc.) ed era presieduta da un rigorosamente. “anziano d’huomini”, eletto ogni anno dall’assemblea dei vicini, ossia dagli aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Croce di Toi

14 Nelle istituzioni ecclesiastiche le sei Vicinanze, fino alla seconda metà del NXV secolo, furono parte della Pieve di Bormio, la cui chiesa matrice o plebana era quella dei santi Gervasio e Protasio. A partire dal 1453 si vollero però separare per costituire parrocchie autonome. Fu così che in quell’anno le tre Vicinanze “di dentro” fondarono la cura di S. Martino e Urbano e, pochi anni dopo, nel 1467, quelle “di fuori” istituirono la cura di S. Gallo. Dopo meno di due secoli inizierà il processo di frammentazione della cura di S. Martino e Urbano che si dividerà in quattro distinte parrocchie: nel 1624 si costituirà la parrocchia di S. Abbondio di Semogo, nel 1734, non senza aspri contrasti, quella di Maria Nascente di Isolaccia ed infine nel 1771 verrà istituita la parrocchia di Trepalle.

Didascalia

didascalia pagina successiva aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalie

16 la toria S Sul territorio di Valdidentro correvano le due importanti strade dell’UmbrailS e di Fraele, definite nei documenti medievali “regali”, ossia di diritto del re, strade pubbliche per eccellenza che nella seconda metà del Settecento, con la carreggiabile che portava a Serravalle e quindi in Valtellina, si preferirà definire con l’aggettivo di “imperiali”. La prima, detta nel XIV secolo “via curta”, saliva dal ponte sul torrente Campello alla contrada di Molina, quindi ai Bagni, per poi inoltrarsi da Boscopiano in Forcola, scendendo a Santa Maria di Val Monastero dalla Val Muranza. La seconda, detta “via longa”, attraversava Premadio per poi risalire il bosco Arsiccio fino a fiancheggiare la piccola contrada di Degola, raggiungeva, per un tratto mediante scale aggrappate alla roccia, le torri sopra le Scale, percorreva la Val Fraele e poi dalla Val Mora scendeva a Valclava sempre in Val Monastero.

LE TORRI Le torri di Fraele, costruite nel periodo visconteo, e precisamente nel 1391, attivando le direttive dei due soprintendenti alla costruzione Tibaldo Marioli e Giovanni Foliani (pagati per il loro lavoro in libbre di sale, ferro, panno e segale), rappresentarono con le Serre dei Bagni e di Serravalle e il Castello di S. Pietro, il sistema difensivo del Contado di Bormio. La posizione delle stesse rendeva piuttosto difficoltoso conquistarle, anche per via delle guardie che le presidiavano come attesta un documento del 1435. Ancora nel 1481 il duca di Milano decise di fortificarle e chi ne beneficiò fu un certo Diodato di Molina che tre anni dopo ottenne il pagamento per l’opera eseguita, dal Consiglio ordinario di Bormio. Pare probabile che nell’antichità le torri fossero molto più slanciate di quanto lo siano oggi, come e invece sicuro che la “serra alle Scale” fu abbattuta il 23 febbraio 1513, per ordine dei Grigioni che, dopo essersi insediati quali dominatori nel Bormiese (1512), videro in questa rocca un possibile impedimento futuro alla discesa delle proprie truppe.

la toria S Fra i torrioni avanzava la strada di Fraele, anche detta “delle Scale” per la particolarità d’essere stata costruita con traverse di legno di larice poste orizzontalmente al versante del monte. Questi piccoli tronchi formavano infatti l’alzata dei gradini della scala, mentre la pedata degli stessi era costituita dalla semplice terra battuta. Il primo intervento manutentivo documentato su tale percorso risale al 1357, quando si avvertì la necessità di transitavi con i cavalli, ma di seguito numerosi furono i ripristini, fra cui ricordiamo quelli del : 16 ottobre 1397, 1495, 14 ottobre 1637, 27 maggio 1659 e il 1720.

Didascalie

19 aldidentro STORIA PAESI GENTE Il trasporto e il commercio furono ebbero infatti il monopolio sui V fra le più importanti attività praticate trasporti someggiati per i due valichi e le entrate derivanti da questa attività nel Contado di Bormio. Per privilegio contribuirono significativamente alla di Francesco Sforza, dal 1450 i Bormini loro ricchezza. Le merci più commerciate erano il vino ed il sale: il primo acquistato senza in Valtellina fino a 1500 plaustri (ogni plaustro corrispondeva a circa 760 l.), il secondo, che permetteva il ritorno con le bestie da soma sempre cariche ma avvantaggiate da gabelle ridotte, veniva acquistato nelle saline di Hall, poco lontano da Innsbruck in Austria.

Un’altra risorsa di non poco conto era quella dei pascoli, che, oltre a Upermettere di estivare il bestiame locale, consentivano di ottenere rilevanti entrate affittandoli ai pastori detti “tesini” (da Tesin, nome del fiume Ticino, da cui provenivano le greggi e in seguito utilizzato indistintamente per identificare tutti i pastori forestieri). Alcuni di essi erano gestiti dalla Didascalia Comunità, mentre altri venivano

Didascalia

20 la toria S assegnati alle Vicinanze che affittavano spinoso contrasto in Valdidentro tra le quelli sovrabbondanti, incassando in Vicinanze “di dentro” e quelle “di tal modo parte del denaro necessario fuori”che si concluse con l’arbitrato per le spese collettive. Essendo una presieduto dal notaio Francesco Viviani risorsa di non poco conto, la di Livigno, da mastro Giacomo Comunità tendeva a riservarseli per far Romani di Molina e da Antonio fronte alle spese generali, divenendo Trabucchi detto Cottol di Semogo. spesso oggetto di rivendicazioni e Con la conclusione di tale vertenza l’11 proteste. Si giunse ad una definitiva gennaio 1619 si definì la cosidetta soluzione del problema a partire dai “divisione Sermondi”, già abbozzata primi anni del ’600 quando si negli anni precedenti, che prese il assegnarono i pascoli nome dal notaio Leoprando Sermondi proporzionalmente ai capi di bestiame che la stipulò. che si potevano svernare. Fu in questo quadro che si aprì uno

didascalia

didascalia

21 aldidentro STORIA PAESI GENTE In Valdidentro, accanto Il forno di Semogo è descritto nel V all’agricoltura e alla zootecnia, si 1272 in un antico repertorio di coltivaronoI sin dai primi secoli del documenti e percorrendo l’Al sono millennio appena trascorso le miniere ancora visibili, anche se trasformati e di ferro della val Vezzola, della val destinati ad altri usi, edifici che si Fraele e di Pedenollo. Il primo forno sviluppano molto in altezza e che fusorio di cui vi si ha memoria fu furono probabilmente opifici per la quello dell’Al (anticamente detta Val di trasformazione della ghisa in ferro Semogo), che utilizzava la vena ferrosa malleabile. L’antico forno fu proveniente dalla val Vezzosa e abbandonato dopo che si costruirono precisamente dalla località ormai quasi gli altiforni di Tort in valle di Livigno dimenticata del “Mot dela Fereda” (si nel 1332 e, qualche anno di sehuito, il ricordi a tal proposito che “Fereda” forno di Cazzabella, nella località significa appunto “miniera di ferro”). ancora esistente detta Gras del Forn, Resta comunque ad oggi il sentiero oltre il valico di S. Giacomo. dei trasportatori del minerale che Quest’ultimo fu smantellato dopo che dall’Al, per Pozzagliera e Brancon, una straordinaria figura di raggiunge la val Vezzola e quindi imprenditore, Vasino Muggi detto costeggia i pascoli sopra Plator fino alla Gratta, costruì nel 1548 il forno in miniera ormai nascosta e sommersa dai località Presuraccia in val Fraele. didascalia detriti. la toria S L’attività siderurgica richiedeva un notevole consumo di legna da trasformare in carbone e nei boschi di Valdidentro si incontrano spesso le tracce di questa attività: si tratta di spiazzi circolari del diametro di cinque metri e più, composti da terriccio nero, dove si preparava il “pojat”, ossia la catasta di legna che dopo una lenta combustione generava un carbone che, per essere di qualità, doveva avere riflessi argentei ed un suono, al tocco, quasi metallico. Un altro tipo di attività che richiedeva, oltre al materiale idoneo (rappresentato in questo caso dalla pietra calcarea) anche un notevole consumo di legna, era la produzione di calce. Le fornaci per la cottura delle pietre si trovavano un po’ ovunque, ma particolarmente apprezzata perché didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE priva di “grep”, cioè di parti che non V cocevano, era la calce prodotta nella località anticamente detta Ponte di Turriplano ed oggi Sughet: un decreto del Consiglio di Bormio del 1445 autorizzava la costruzione della fornace e stabiliva il prezzo del prodotto, allora venduto a “bena”(piccolo carro a due ruote con cassa di legno), e il “boscatico”, ossia la gabella spettante al fisco per il consumo di legna.

Sul territorio di Valdidentro scaturiscono anche le acque termali cheS in tempi remoti costituirono la “fama loci” di tutta l’ampia conca che prese il nome di Bormio da un remoto ‘bhor’, nel significato di “caldo”, riferito appunto alle acque che sgorgano dalle rocce sopra le forre del fiume Adda. Esse furono inizialmente utilizzate per fini curativi, ma si associarono anche ad attività ludiche e didascalia ricreative tanto da poter dire che i

24 Questa pagiana

pagina successiva

aldidentro STORIA PAESI GENTE Bagni di Bormio furono gli antesignani V dell’attuale diffusa attività turistica. Altre acque, a cui credenze ancestrali attribuivano poteri medicamentosi e rigenerativi straordinari sgorgano in Valdidentro: sono le fonti dette “di san Carlo” che scaturiscono a Prei, al Bosco del Conte e poco sotto i Bagni Vecchi.

Nel corso dei secoli questa valle fu molte volte percorsa e devastata da Neserciti e soldatesche. Curioso quel che si racconta in una cronaca seicentesca a proposito della località di Camplöng in val Fraele: in quel luogo un esercito ariano pare fu sconfitto dai Cattolici ai tempi di Teodosio (379-395), ed è alquanto singolare la credenza che voleva non potesse più sbocciare didascalia nessun fiore in tal luogo, che invece vedeva affiorare le ossa dei soldati che lì persero la vita. Se il racconto appena esposto ha qualcosa di leggendario, è invece certo che, nel 1376, il giorno di S. Andrea, entrarono dalla val Verva, dopo aver risalito la val Grosina, aggirando in tal modo le allora inespugnabili fortificazioni di Serravalle, le milizie di Galeazzo Visconti, guidate da Giovanni Cane, le quali misero a ferro e fuoco tutto il Contado, “tam in montes quam in plano”. Nel quadro della Guerra dei Trentanni, la Valtellina e i Contadi di Bormio e furono campo di battaglia degli eserciti spagnoli, francesi, grigioni e svizzeri. La Valdidentro fu invasa il 2 settembre 1620 dalle truppe svizzere e grigione penetrate da Livigno, le quali sfondarono senza fatica le resistenze che si erano concentrate tra Piandelvino e Sughet (località con nome derivante dalla corruzione dal

28 la toria S Seguirono crudeltà inimmaginabili. Qualche anno dopo la Valdidentro fu di nuovo teatro di orribili massacri, compresi quelli effettuati su donne e bambini, perpetrati il 14 giugno 1635 dalle truppe dal barone di Fernamont. Infine la val Fraele fu campo di battaglia, il 31 ottobre, tra l’esercito imperiale e quello francese guidato dal duca di Rohan che, con geniale strategia, sconfisse miseramente e costrinse ad una umiliante ritirata dalla val Mora i tedeschi che combattevano per la Casa d’Austria.

dal soprannome di un certo Francesco Marni detto Sughet di Isolaccia - che didascalia nel 1617 ottenne di poter costruire una segheria nella località precedentemente chiamata Ponte di Turripiano) nella “trinciera” che si costruì per fermarne l’avanzata.

I NOMI EILUOGHI

ALCUNI TOPONIMI DELLA VALDIDENTRO di Remo Bracchi

Arnoga Il Rohlfs propone, come per Arnate, Arnasco ecc., una derivazione comune dal nome personale celtico *Arn(i)os (DTL 62). Data la sopravvivenza nel nostro territorio dell'ant. cep. àrna «capanna di pastori», è forse da preferirsi la partenza da una base prelat. *arna «concavità, anfratto tra le rocce» (LEI 3.1,1340; Bracchi, Aevum 57,481). Negli Statuti boschivi di Bormio troviamo però la variante Renoga (cap. 57), che si ripete in tutta la documentazione successiva più antica. Sembra perciò da preferirsi una derivazione dal celtico *renos «torrente, corso d’acqua», con un suffisso caratteristico dello stesso sostrato linguistico.

29 aldidentro STORIA PAESI GENTE Cancano V Come rivelano le grafie antiche, che si presentano ripetutamente nella forma Campcan(o) o simili, il toponimo deriva dal sintagma lat. campus canus «campo bianco». Probabilmente è stato così battezzato in un periodo di innevamento. La valle di Fraele doveva essere percorsa già in tempo molto antico sia per la facilità che offre al valico, sia per la presenza di ferro nei massicci che la circondano. Cardoné Il suffisso -é è caratteristico dei collettivi di nomi di piante, arbusti o erbaggi. Il nome locale deriva dunque da cardoneto «località nella quale abbondano i cardi”, in dial. cardón. Fraele Il friul. Fraelacco, nelle grafie del sec. XIV Frayelaco, Freyelaco, Didascalia della foto Fragellaco, nel dial. locale Freelà, viene interpretato come un prediale, qui sotto un derivato cioè dal nome del primo colono o proprietario romano, che doveva essere un Fricellius o Fircellius o Fregellius. Un appellativo comune fraèl dal lat. fragellum variante tarda di flagellum «correggiato per battere il grano» si riscontra all’intorno, ma non a Bormio. In questo caso si dovrebbe forse presupporre l’intermediazione di un soprannome. Isolaccia Dal lat. tardo *i(n)s?lacea «brutta isola». Il primo nucleo di case è sorto entro la lingua di terra dove il torrente Scianno si incontra con il Viola, e il luogo di insediamento poteva facilmente offrire l'immagine di un segmento di terra ritagliato dalle acque. Pedenosso In territorio di Oga troviamo il toponimo Pedenale, che sembra contenere la stessa base, completata con un suffisso diverso. Nell’inventario dei beni del monastero di Sant’Abbondio in Bormio del 1316 l’appellativo conserva ancora un’accezione comune di «ripa, scarpata»: coheret... in parte pedenale... a sero pedenale seu ripa. Forse dal lat. pes, pvdis «piede», nel senso di «pendio», con un suffisso come in val-éna. Tanto il suffisso -éna quanto -òs sembrano di origine prelatina, ma probabilmente sono rimasti vitali anche nei secoli successivi alla romanizzazione.

30

Piandelvino Tutta la documentazione antica fino almeno al sec. XVII è concorde nel trascrivere il toponimo nella forma Plano Albino o simili. Si deve dunque escludere l’etimologia popolare che vorrebbe collocare nel piccolo nucleo ai piedi delle torri di Fraele fantomatiche cantine per la maturazione del vino. Difficile resta comunque l’interpretazione di Albino, se debba essere raccostato al lat. albus «bianco» o a un (sopran)nome personale. Platòr Un altro Platòr designava una serie di prati a Morignón a est delle case del Mót, spurgati dal petrame di alcune frane staccatesi dalla Val Màla. Come si ricava dagli Statuti boschivi in riferimento alla località della Valdidentro, il nome deriva dalla locuzione latina in sumbo pratorum «alla sommità dei prati». Dopo la perdita dei primi segmenti, c’è stata dissimilazione delle due r-r in l-r. Premadio In origine si tratta di un composto dal sintagma lat. pratum maius «prato maggiore», probabilmente per designare un’estensione erbosa più grande di quelle riscontrabili all’intorno. La d, che non è presente nella forma dialettale Premàio Permài, rappresenta un’epentesi secondaria. Scale Dalla conformazione a «gradinata» di qualche tratto del pendio che sale verso la cima. Dal lat. scala «scala», con specializzazione geonomastica «serie di balze». Semogo Un’antica variante Samòch potrebbe accreditare la derivazione dal celt. *samos «estate», nel senso di «pascolo estivo», riportandosi ai tempi che precedono una colonizzazione permanente del territorio. In direzione della Val Viola incontriamo Altoméira, che potrebbe derivare dal lat. *autumnaria «pascoli d’autunno». Trèla Nome probabilmente risalito dalla Val Grosina. Nel dialetto di Grosio tréla designa il «casello per la conservazione del latte e l’affioramento, costruito in muratura a secco sopra sorgenti o corsi d’acqua sui maggenghi e gli alpeggi», forse da una base prelatina *turra «monticello di terra». Le costruzioni più antiche erano seminterrate e ricoperte di zolle erbose (DEG 914; DTL 546; BSSV 15,100). la toria S Val Lia Dalla falsa scomposizione di un appellativo anticamente unitario, derivato da una formazione aggettivale valliva «appartenente alla valle, conformata a valle». La caduta della v intervocalica era un tempo assai più accentuata nel nostro territorio. Val Viola La grafia antica è costantemente Albiola, termine che ricalca una formazione femminile parallela al lat. alveolus «piccolo alveo», probabilmento in riferimento agli inghiottitoi del fiume. Vezzola In dialetto locale li Esòla. Nel Quaternus alpium dell’anno 1309 leggiamo: usque ad plazum Sexevrum, et inde a dicto plazo ferit ad ayralle quod dicitur ad ymas Assollas. Negli Statuti boschivi e nei documenti successivi il toponimo appare generalmente preceduto dall’articolo femm. la, che potrebbe derivare dalla falsa segmentazione della sillaba iniziale. In tal caso non sarebbe del tutto impensabile partire dal lat. lapideus «di pietra», con l’aggiunta del suffisso dimin. -ola. Il toponimo potrebbe essere nato in relazione a qualche cava di pietra utilizzata nella costruzione di laveggi o anche per altre destinazioni (Bracchi, BSSV 51,52). Didascalia della foto qui sotto e della pagina a fronte aldidentro STORIA PAESI GENTE Alle miserie derivanti dalla guerra si “strana infirmità”. La causa fu V attribuita alle malie di tre streghe e Aaggiunsero in quegli anni efferatezze e atrocità dettate da credenze che questa accusa scatenò una delle più avevano le loro radici nella notte dei feroci cacce che il Contado di Bormio tempi. Con la peste che incombeva e abbia conosciuto. In una prima fase, che aveva infettato le regioni limitrofe, quella dell’autunno 1630 ci si accanì si deliberarono ordini e misure di esclusivamente con gli indiziati di grande severità per evitare ogni Pedenosso, di Isolaccia e soprattutto di contatto con le popolazioni finitime, Semogo; le indagini si estesero poi, nei ma un giovane di Isolaccia eluse ogni due anni seguenti, a Livigno. controllo e si recò in Engadina per consultare un maliardo di grande fama, didascalia dopo che la moglie si ammalò di

LE STREGHE Il Bormiese conobbe la sua prima caccia alle streghe nel 1483, quando le inquisite venivano condannate vive al rogo con “l’imputazione religiosa” d’essere al servizio del diavolo e conseguentemente rinunciatarie a Dio. Questo atteggiamento, che si schierava a favore della liberazione dal male, provocò l’uccisione di ben 41 streghe nel Contado di Bormio, che s’immaginava per credenza si cibassero di cadaveri di bambini preferibilmente non battezzati. Il Tribunale di Bormio richiamò nuovamente gli inquisitori nel 1519 e la seconda caccia alle streghe fu aperta. Molte furono le condannate, tanto che lo scritto di un tedesco le annovera a ben 300. Il loro ultimo viaggio partiva dalla piazza del Kuerc di Bormio, su cui s’affacciava Palazzo Pretorio contenente le carceri (marza), per terminare in località “la giustizia” (fra Premadio e Bormio) dove attendeva un falò che volutamente era pubblico. I Grigioni, divenuti padroni del Bormiese nel 1512, con decreto emanato nel 1557 impedirono l’entrata sui territori Valtellinesi agli ecclesiastici e per questo motivo le seguenti cacce alle streghe non si avvalsero di tribunali ecclesiastici, ma bensì di giudici civili. Ogni carestia, terremoto, frana, alluvione, etc. richiedeva un colpevole e questo portò spesso ad identificarlo “con la strega”; come accadde durante la peste del 1630 che falcidiò la popolazione dell’Italia

34

aldidentro STORIA PAESI GENTE del nord, risparmiando miracolosamente la Comunità di Bormio, che comunque viveva V nell’angoscia e nella paura, costituendo il substrato ideale per far scattare una nuova ondata di stregoneria. La cattura di una presunta strega doveva ottenere la confessione della vittima (che generalmente avveniva sotto tortura) per poter procedere all’uccisione della stessa, previa decapitazione e successiva bruciatura. Spesso questa confessione attivava una cattura a catena; ogni strega ammetteva infatti di aver ballato ai sabba con altre streghe, di aver operato malefici in gruppo, di aver avuto maestre nell’utilizzato di erbe allucinogene o nella pratica della triturazione delle ossa di bambini già morti per comporre unguenti, o ancora d’essere state istruite sui gesti e sulle formule da compiersi o sull’educazione magica per diventare lupi, capre, o altro. I nomi di altre persone erano fatte e con questi s’attivava la procedura della cattura e susseguentemente, quasi per tutte, dell’uccisione. Se fortunatamente le malcapitate riuscivano a fuggire prima dell’arresto, esse venivano bandite a vita dal territorio quali “ree confesse” e mai avrebbero potuto rientrarvi previa uccisione senza processo. Ancora fra il 1645 e il 1650 i roghi furono più volte accesi, ma dopo tale data si assistette all’intervento del Vescovo che tentò di frenare il fenomeno, stabilendo un atteggiamento contrario a quanto era accaduto fino ad allora. Nel 1675 però altre 37 persone furono giustiziate, e su di esse venne cercato il “bollo del diavolo”, corrispondente ad un neo, una cicatrice, una macchia scura o altro, che potesse confermare l’appartenenza della donna, o dell’uomo, al diavolo. Dieci anni dopo i Gesuiti istituirono il confortatorio, didascalia foto grande ovvero un locale sito presso Palazzo Pretorio, dove i predestinati a morte potevano ottenere conforto, la sera precedente all’esecuzione. L’ultima strega del Bormiese condannata a morte fu, nel 1715, Elisabetta di Oga.

36 la toria S Se la pestilenza del 1630 lasciò illese le popolazioni del Bormiese, quella iniziata nel 1635 ne decimò invece gli abitanti e, se Semogo vide salire molti suoi abitanti sul patibolo per reati di stregoneria, fu invece preservato dal micidiale contagio, tanto che, per esempio, la riunione del Consiglio Ordinario del 25 agosto 1636 si svolse “nella Valle di Pedenosso, nei campi di Lirun, vicino a Semogo, loco eletto a preposito per essere la Terra di Bormio et quasi tutte le altre Valli intacate di contagione”. In quell’anno si iniziò in località Arsure la costruzione della chiesa intitolata ai santi Rocco, Sebastiano e Carlo per adempimento didascalia foto piccola di un voto a protezione della peste.

la toria S IL PERIODO FRANCESE (DAL 1797 AL 1804)

LA REPUBBLICA CISALPINA dimenticare la regolamentazione E QUELLA ITALIANA amministrativa e quella giudiziaria. Bormio e le sue Valli, dall’antichità esonerate da gabelle, dazi e bolli, furono Sul finire del 1797, dopo la vittoria così fortemente provate delle armate repubblicane capitanate da dall’introduzione di una pesante Napoleone Buonaparte, la Communitas tassazione basata principalmente sul Burmii intraprese un’alleanza “emotiva” dovuto richiesto per la redazione dei con i Valtellinesi e, per la prima volta documenti, sulla privativa del sale e dei nella storia insieme difesero le rispettive tabacchi e sul bollo per la formulazione istituzioni democratiche, seppur dei contratti. dissimili fra loro. In questo difficile periodo anche gli Nonostante l’intervento illuminato scontri amministrativi interni agli enti si di personaggi colti quali i deputati fecero più duri e fra questi riaffiorò la Crespi e Bruni e il teologo Bardea, vertenza, apparentemente sedata alla chiamati in causa per riottenere la fine del XVIII secolo, fra le Vicinanze di libertà amministrativa, il proclama Premadio, Turripiano e Molina. francese fu comunque redatto, Esse trovarono un accordo sulla stabilendo l’annessione dell’intera modalità di divisione dei debiti e degli regione valtellinese alla Repubblica introiti derivanti dall’affitto delle Cisalpina. montagne ai pastori, solo dopo La Valtellina, la Valcamonica, l’intervento del parroco Giacomo Bormio e Chiavenna divennero così Silvestri l’11 agosto1800, che stabilì di Province, abbandonando statuti, dida privilegi e normative proprie e accettando di buon grado Sondrio quale capoluogo del Dipartimento Pagina a fronte dell’Adda e dell’Oglio di cui esse ormai facevano parte (fatta esclusione per Chiavenna che si unì al Dipartimento del Lario). L’organizzazione territoriale della Repubblica era allora suddivisa in Dipartimenti, regolati e gestiti da Prefetti, sotto questi stavano i Distretti capitanati dai loro Vice - Prefetti e ancor sotto i Comuni retti dal Podestà o dai Sindaci, affiancati da savi o consiglieri. Il compito primario di questo nuovo governo fu occuparsi dell’ordinamento fiscale per ottenere il massimo del reddito possibile, senza però

39 aldidentro STORIA PAESI GENTE ripristinare la tradizione, suddividendo V benefici e obblighi economici in due parti distinte: una competente alla sola Premadio e l’altra condivisa fra le due restanti Vicinanze. Sempre nell’intento di ricercare finalità economiche vantaggiose, anche le chiese vennero private, e più volte saccheggiate, d’oro, argento, paramenti preziosi e gonfaloni che, dopo essere stati venduti, impinguarono le casse centrali governative milanesi, casse che già si erano indebitamente arricchite con la “Confisca Reta”, sottraendo scorrettamente gli introiti spettanti alla Prefettura di Sondrio. Per questi abusi e per il sovente mantenimento di ingenti truppe francesi e cisalpine da parte dei Comuni dove essere risiederono, la Costituzione della nuova Repubblica Cisalpina fu subita, più che condivisa, didascalie dalle popolazioni dell’Alta Valle.

40 la toria S Il 14 giugno 1800 la vincita di Napoleone sugli Austriaci a Marengo, seguita dalla pace di Lunéville l’anno seguente, determinò l’inizio della seconda fase repubblicana (conclusasi nel 1805) che darà vita al nuovo assetto territoriale italiano. Bisognerà però attendere fino al 21 gennaio 1802 per veder pubblicata, in 128 articoli, la nuova Costituzione della Repubblica Italina che si sostituirà a quella Cisalpina. I territori continueranno comunque ad essere divisi in Comuni, Cantoni o Distretti e Dipartimenti, e il circondario di Bormio acquisirà , Grosio e . reclute, più volte chiamate a rispondere didascalia dell’indisciplinato atteggiamento Anche la Valdidentro entrerà nella assunto d’innanzi alla Pretura di neonata Vice Prefettura circondariale di , dove era stato trasferito il Sondrio, portando con se un credito Tribunale alla fine del 1803, pari a 49215,10 lire, dovutole per l’ attivando un decreto affitto non riscosso dell’osteria sottoscritto da Ragazzi. d’Ombraglio, incendiata e distrutta nel 1800 dalle truppe militari francesi, per l’ affitto dell’osteria e delle case dei Bagni nel periodo compreso fra 1798 e l’inizio dell’800 e per i proventi fiscali quali: dazi, dazi di consumo detti “ bazi” e tassa sulla caccia, di cui la precedente Repubblica Cisalpina si era IL PALAZZO PRETORIO inopportunamente appropriata. Una delle maggiori prerogative E’ di questo periodo l’istituzione dell’indipendenza del Contado di del servizio militare obbligatorio, Bormio, sciolto nel 1797, fu detto “Coscrizione”, malvisto l’opportunità di possedere un proprio un po’ ovunque ma con più Tribunale civile e penale, sito all’interno di determinazione nel Palazzo Pretorio, oggi sede della Comunità Bormiese, che fu Montana Alta Valtelllina. costretto ad Questo privilegio svanì con l’entrata di Napoleone assistere alla negli alti territori Bormiesi, dopo l’emissione del diserzione in regolamento Ragazzi redatto il 29 novembre 1803. massa Il Mandamento d’allora risultò sprovvisto di una propria Pretura delle locale a vantaggio di quella Tiranese. sue Fortemente indignati per questo atteggiamento, considerato invadente e restrittivo, un gruppo eletto di undici valenti cittadini Bormiesi inoltrarono alcune suppliche alle autorità competenti, ottenendo soddisfazione solo il 18 gennaio 1804 quando il Segretario centrale Riva, dopo aver brevemente comunicato

41 aldidentro STORIA PAESI GENTE “le motivazioni che portarono a disfarsi V dell’ufficio pretoriale di Bormio negli anni precedenti”, promise “un attento ripensamento sul ripristino della locale giudicatura”, sostituita provvisoriamente in loco dalla sola figura del Conciliatore, come voleva la legge dell’11 luglio 1801. La Pretura tornò quindi ad insediarsi nel fabbricato Pretorio dal 1818 e li rimase fino al 1964. Il ballottaggio fra Distretto e Governo in cui incorse questo palazzo nel XIX secolo, iniziò con la vendita effettuata dal Mandamento di Bormio al Regio Governo nel maggio 1825 (non accettata fino all’anno seguente dalla sola Valdidentro , che trovava inopportuno pagare un contributo pari a 1/5 delle 1203 lire richieste per l’obbligatoria manutenzione precedente la vendita), si accrebbe con l’atto del 16 aprile 1882, che vedeva lo stesso Mandamento di nuovo proprietario di un primo locale all’interno dell’immobile, per concludersi definitivamente con il riacquisto complessivo dell’intera residenza da parte del Circondario Bormiese il 21 agosto 1886. Quest’ultimo atto, rogato dal notaio didascalie Giuseppe Tuana di Grosotto, sottolineò il danno subito dal Mandamento che, fra la vendita al Governo e il successivo riacquisto dello stesso, perse ben 5000 lire. Dopo il 1911, con contratto di locazione stipulato dal Sindaco di Bormio Pietro Rini, oltre alla Pretura, alle Carceri mandamentali e al Genio Civile, vennero introdotti nell’edifico anche l’Ufficio di Registro e l’Agenzia delle Imposte e delle Tasse.

42 la toria S IL REGNO D’ITALIA (DAL 1805 AL 1815)

Il 15 aprile 1805 Napoleone I° fu 1804 e il 1805, ben 72 risultarono i proclamato re d’Italia e i Prefetti calzolai, i cappellai, i negozianti, i ordinarono l’immediata l’eliminazione cocchieri e gli scodellai che richiesero il del titolo di Repubblica e l’attivazione visto d’espatrio, concesso del Codice napoleonico. indistintamente ad ognuno per uno o Questo avvenimento fu celebrato due anni consecutivi. anche a Bormio, centro mandamentale Solo tre anni più tardi l’ingegnere del territorio, con la lettura del Ferranti ottenne l’incaricato dalla manifesto nella piazza principale del Direzione Generale delle Acque e paese al suono della bajona. Strade per redigere una relazione sulla La maggioranza della popolazione transitabilità dei percorsi dell’Alta Valle non gradì comunque partecipare a tale e fra le strade che ottennero maggior ricorrenza e i pochi intervenuti attenzione, quella di Fraele risultò la ostentarono scarso entusiasmo. più studiata, tanto da scomodare lo stesso Prefetto Ticozzi, che la voleva più Ancora una volta si pensò infatti di comoda e ampia sul versante di didascalia rivolgere una supplica al re, confidando di riottenere gli antichi privilegi e la diretta gestione del fisco, come accadeva precedentemente alla Repubblica Cisalpina; sotto quest’ultima infatti il Bormiese incorse nella completa decadenza dei commerci, nella diminuzione della popolazione, soprattutto nelle Valli e fra queste maggiormente nella Valdidentro (che contava allora sole 912 unità), nella devastazione prodotta dalle ricorrenti guerre, e nell’inevitabile povertà dell’intero Distretto, che non potendo beneficiare di entrate proprie, dovute per legge al solo governo centrale, scivolò verso la più misera disperazione. Fu proprio in questo periodo povero e buio che alcuni cittadini tentarono la sorte emigrando nel Bresciano, a Chiari, nel Trentino, in Valtellina, a Domaso, a Vienna, a Nizza, in Germania, in Svizzera, nel Tirolo, in Valcamonica ed anche a Roma. Dall’elenco trasmesso alla Vice Prefettura di Sondrio, a cavallo tra il

43 aldidentro STORIA PAESI GENTE Valdidentro e meno scoscesa verso la V piana di Cancano. Se svanì però la possibilità di ripristinare questa via per mancanza di fondi, molto più grave fu ciò che accadde nello stesso anno all’intera Valtellina. Essa fu più volte coinvolta da tumulti e disordini scatenatisi nelle zone confinanti del Tirolo meridionale, che portarono gli insorti capitanati da Andrea Hofer a combattere (dopo la pace di Presburgo che aveva tolto all’Austria il Veneto e la Dalmazia a vantaggio del Regno italico). dida Caddero sotto le loro armi, una dopo l’altra, le postazioni valtellinesi di , Montagna, , Boffetto, , seguite da , Villa, Tirano e, nel maggio 1809, anche da Bormio. Più restie furono invece Valdidentro, Valdisotto e Valfurva che determinarono, sostenute dallo scontento Bormio, l’abbandono dei territori da parte dagli insorti, spesso “saccheggiatori ed avvinazzati, resi folli dai facili successi militari ottenuti”. La ritirata dei sovversivi si espanse poi a macchia d’olio per merito delle vittorie ottenute da Eugenio Napoleone e nel luglio 1809 il segno tangibile di ripresa del Regno italico si notò nell’emanazione del sistema tributario del “Dazio – consumo”, che sostituì le antiche licenze coattive con quelle libere, su cui però era imposto il pagamento del diritto fisso. Il Bormiese, nuovamente contrariato si ribellò all’introduzione di questa normativa, stabilendo la chiusura dei propri esercizi in segno di protesta; questo duro atteggiamento ottenne la sospensione del dazio.

44

aldidentro STORIA PAESI GENTE Nel 1813 gli austriaci insorsero in V Valtellina e nell’aprile 1814 Napoleone abdicò firmando l’armistizio con l’Austria. Bormio e le sue Valli tentarono con caparbia la carta dell’annessione ai Grigioni, augurandosi di poter divenire la IV Lega Grigia; il risultato finale fu invece l’annessione al Veneto e alla Lombardia, che preventivarono per la Valdidentro la suddivisione fra Isolaccia e Semogo da una parte e Premadio, Pedenosso e Fraele dall’altra. Questa ipotesi di frammentarietà territoriale non fu comunque confermata dall’Imperial Regia Delegazione Provinciale, che approvò un unico Comune costituito da Isolaccia, Pedenosso, Molina, Semogo, Premadio e Turripiano, assegnando Trepalle alla vicina Livigno.

didascalia

46 la toria S IL DOMINIO AUSTRIACO (DAL 1816 AL 1859)

Il primo ventennio che seguì il Congresso di Vienna (che definì sulle valli dell’Adda il dominio austriaco), fu cupo, povero e contrassegnato dalla disoccupazione. Non esistevano ad allora ormai più commerci, sovente le carestie (come quella del 1817) affamavano la popolazione, i nobili erano decaduti e la rigida legislazione austriaca, che pose fine alle numerose diserzioni militari, privando con l’obbligo del servizio di leva, la “terra” e l’agricoltura di robuste e giovani braccia, insinuò inevitabilmente in questi luoghi: ozio, ubriachezza, corruzione e vagabondaggio. aldidentro STORIA PAESI GENTE Anche i Bagni Vecchi, detti di San V Martino, risentirono di questo negativo Aatteggiamento diventando un luogo “frivolo, licenzioso” e altamente dispendioso per le casse comunali; quest’ultima fu la motivazione principale che indusse il Comune di Valdidentro prima e l’intero Distretto poi a deliberarne la vendita nel 1820; vendita che venne riproposta sei anni dopo per la mancanza di acquirenti che mal si rapportavano all’esagerata richiesta economica, alla sopraccitata dequalifica dello stabile e soprattutto all’incertezza derivante dalla scomparsa dell’acqua calda del “bagno superiore” fra il gennaio e l’aprile del 1822 (fatto che si ripresentò identico nel 1843). Si pensò quindi di ricorrere alla locazione dello stabile per ottenere almeno un’entrata sicura, attivando una lunga serie di contratti triennali e novennali, controfirmati per accettazione dall’affittuario Antonio didascalia Helzer.

didascalia

48 la toria S Nel 1828 si decise inoltre di costruire vendita o di contratto livellario” l’imponente complesso dei Bagni Nuovi, sull’intero edificio, garantendo quale sperando in tal modo di risanare gli scelta conclusiva quella che si fosse ammanchi delle “vecchio terme”. L’ atto rivelata maggiormente remunerativa. d’inizio lavori, per problemi logistici, Il problema, non ancora risolto, si scivolò però all’anno successivo e lo ripropose con più determinazione nel stabile fu ultimato nel 1836. 1839, con l’affitto di entrambi gli L’anno seguente si procedette immobili ad Helzer (verso cui il all’edificazione di un nuovo “braccio di Distretto aveva intentato una causa per fabbricato” che conteneva l’oratorio, le la mancata manutenzione di alcuni vasche marmoree e la stufa per asciugare tubi di piombo), che locò gli stessi velocemente la biancheria, ma il fino al 1858, quando I BAGNI NUOVI Distretto schiacciato da ulteriori e definitivamente si concluse la DALLA NASCITA gravosi debiti, fu costretto a proporre sofferta vendita alla Società DISTRETTUALE ALLA quale unica soluzione possibile Le Prese. l’approvazione del “progetto di libera PRIVATIZZAZIONE

I BAGNI DISTRETTUALI Nel 1828 si propose la costruzione dello stabilimento termale dei Bagni Nuovi in aggiunta a quello esistente dei Bagni Vecchi, che venne risparmiato dalla demolizione del 1205 (unitamente alla “chiesa di S. Martino e alle case vicine”), per volere di un articolo introdotto nella pace fra Comaschi e Bormiesi. Il progetto di questo nuovo complesso impose da subito tre difficoltà, la prima consisteva nell’identificare il territorio su cui posizionarlo (problema risolto nel 1829), la seconda fu lo stabilire come far giungere le acque fino in quel luogo e la terza il capire come aggirare l’impossibilità di servirsi di una vera strada (che fu costruita e successivamente collaudata nel 1836).

49 aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Chi si contese il diritto di progettare l’opera grandiosa dei Bagni furono gli ingegneri Ferranti e Donegani e nel 1832 (dopo la vincita di quest’ultimo), l’appaltatore della didascalie costruzione Luigi Lambertenghi riuscì ad accumulare una cauzione ipotecaria sufficiente per permettere l’inizio degli scavi. Molti furono i disboscamenti effettuati dal Distretto di Bormio per recuperare i fondi necessari alla fabbricazione e non è da sottovalutare neppure il prestito concesso dall’amministrazione distrettuale dal Pio Istituto scolastico di Bormio. Nel 1835 si completarono i rustici di servizio attigui al corpo centrale e nel 1836 si provvide al collaudo definitivo dello stabile e alla sua inaugurazione. Nel frattempo i Bagni Vecchi continuavano ad essere locati seguendo le linee guida dei contratti triennali e novennali del 1801, 1821, 1829, etc. e al locatario, che per lungo tempo fu Antonio Helzer , spettò l’onere di procedere alla manutenzione del vecchio complesso termale. Anche l’antica chiesetta di S. Martino fu motivo di contenzioso fra l’amministrazione distrettuale e la fabbriceria di Bormio al fine di definirne l’effettivo possesso, che risultò essere mandamentale.

50 la toria S Dal canto loro i Bagni Nuovi stentavano a partire per le spese occorse nella costruzione, spese che si triplicarono rispetto al preventivo iniziale presunto; fu questo il motivo per cui ottennero l’abolizione della tassa di consumo. Anche questo non bastò a sollevare la soffocante situazione debitoria venutasi a creare, tanto che si pensò di richiedere l’intervento del Re, almeno per quietare le rimostranze intentate da scalpellini, pittori e imbianchini, che dopo aver magnificamente operato non ottennero alcuna retribuzione. Sua Maestà non venne interpellata, ma già nel 1837, nonostante la vendita di parte del bosco del Gallo per far fronte alle spese, si iniziò a vociferare sulla necessaria vendita dello stabilimento termale. Le cose non andavano meglio ai Bagni Vecchi che trovarono Helzer sfavorevole al rinnovo della locazione, per la richiesta di un fitto troppo alto; fitto che abbassatogli lo incentivò a divenire unico locatario, per Bagni Vecchi e Nuovi, nel 1838. Nello stesso anno l’Imperatore a cui pochi anni prima si pensava di appellarsi per la rinascita degli stabilimenti, fu ospite d’onore delle terme e questo non poté che contribuire ad accrescere l’ormai smisurato debito distrettuale. Nel 1840 la preannunciata vendita sembrava imminente, ma ancora nel 1843 – 1844 Helzer ottenne un contratto a lui più favorevole per l’assenza di acque calde in loco e per l’appostamento di una caserma ai Bagni Vecchi che svilirono i locali non occupati a semplice osteria. didascalie Nel 1848 fu Giuseppe Negri ad affittare gli immobili e a lui toccò risolvere i problemi legati alle requisizioni effettuate dai militari; l’anno seguente i Bagni ridivennero osteria e nel 1850 di nuovo furono occupate dai militari. Otto anni più tardi Nicolò Negri, figlio di Giuseppe, s’insediò quale nuovo locatario assistendo a ben cinque esperimenti d’asta intentati per la vendita dei prestigiosi quanto costosi stabili.

I Bagni privati La “Società Le Prese”, con l’importo di 79150,40 lire austriache, vinse l’appalto iniziando il 3 novembre 1858 la sua “rappresentanza di possesso” sugli immobili. “Ad essa subingresse poco appresso la Società Bernina dietro l’apporto di 28005 fiorini”, sborsati dall’allora rappresentante Stefano Ragazzi. Il primo documento stilato, a proposito della vendita in oggetto, fu la convenzione del 2 aprile 1859, a questa seguì l’accordo fra le rappresentanze dei Comuni distrettuali e quelle dalla società acquirente (redatta dall’ingegner Ulisse Salis, lo stesso dicembre) e ancora l’intendimento d’acquisto di Ragazzi nel gennaio 1861, che porterà alla stesura del rogito Bonomo Carbonera ( 13 ottobre 1862) con cui i Comuni sociali si privarono dell’immobile a favore della società svizzera.

51 aldidentro STORIA PAESI GENTE Nacquero però alcune discrepanze dettate dal fatto che la ditta acquirente V considerava le fonti termali dell’intero circondario di propria spettanza, anche se esterne al territorio realmente acquistato, mentre il Distretto combatteva questa tesi, attribuendo alla ditta Bernina solo ciò che realmente aveva acquistato.. Nel 1867 bisognò richiedere l’intervento dell’ingegnere censuario Sioli per definirne i corretti termini del territorio alienato, ma nonostante il parere illuminato dello stesso, venne attivata una causa. Questa fu intentata per volere del consigliere nazionale delle Confederazione Svizzera Andrea Rodolfo Planta, quale presidente della società Bernina, e l’avvocato che se ne occupò fu Antonio Songoni , residente a Sondrio. Il 1 dicembre 1873 con altro atto a rogito Banzi, gli abitanti della contrada di Molina concessero ai Bagni la terza parte dell’acqua di loro proprietà, che defluiva nella Vicinanza passando attraverso i pascoli della società (la sorgente era poco sopra la strada dello Stelvio), in cambio della costruzione di una vasca con quattro aperture, due delle quali spettanti alla contrada e due ai predetti Bagni. Quest’atto confermava che il Distretto aveva ragione nel sostenere che le sole sorgenti all’interno del territorio acquistato fossero della ditta Svizzera e la stessa fu quindi costretta a stipulare un contratto con i vicini di Molina per ottenere le acque tanto vicine, ma sicuramente non sue. Nel 1879 i Bagni chiesero ancora d’acquistare una porzione di terreno, adibito a ghiaione e denominato Castellanella, rimasto sbadatamente escluso nell’atto d’acquisto a rogito Carbonera. Nel 1903 s’inaugurò la “Spa Bagni Nuovi”. Nell’ultimo dopoguerra venne aggiunta , sul lato nord della costruzione dei Bagni Nuovi un’ala per le cure inalatorie e per le piscine termali, fra cui ancora si ricorda la “piscina dei coscritti”.

52

aldidentro STORIA PAESI GENTE V La luce elettrica ai Bagni Nel 1887 dinnanzi a notaio Luigi Torelli di Bormio, comparve Luigi Motta segretario di Valdidentro per richiedere la custodia di un atto stilato il 18 settembre dello stesso anno, su cui risultava la concessione fatta alla ditta Bernina (allora rappresentata dall’avvocato Giovanni Salis) di una porzione di territorio con finalità di pascolo comunale, unitamente alla servitù di passaggio dello stesso, per permettere agli stabilimenti dei Bagni Nuovi e Vecchi d’ottenere la luce elettrica, mediante il posizionamento di “una sega circolare ed opifici simili…, nonché l’uso del corso o canale irrigatorio … detto di Semigliore”, che traeva la sua acqua dal fiume Adda in prossimità del ponte del forno e della ferriera; definendo inoltre che, non potendo bastare la portata d’acqua allora esistente per il corretto funzionamento dell’impianto, necessitava con urgenza l’ampliamento del canale. La ditta s’accollò su questo progetto ogni spesa governativa. Nel settembre 1894 ancora i fratelli Planta di Samaden, allora proprietari, mossero istanza ai Comuni sociali per ottenere l’aumento della concessione di derivazione d’acqua dal fiume Adda, sul territorio di Premadio, per ottenere la potenza di 60 cavalli ( anziché i 40 esistenti) idonei alla produzione di energia elettrica da utilizzarsi per l’illuminazione degli stabili ( così come previsto dalla legge 10 agosto 1884 n. 2644). Nel 1895 venne quindi fatto il sopralluogo necessario da Epifanio Tosco ingegnere del Genio civile di Sondrio e, servendosi del progetto di Giacomo Orsatti, fu stabilito di concedere l’acquisizione di acqua richiesta in cambio del diritto esclusivo per i Comuni sociali dell’uso di tre sorgenti di acqua calda esistenti sulla sponda sinistra del fiume I Planta ottennero inoltre che, una volta aperto il nuovo complesso termale di Bormio, (approvvigionato con le tre sorgenti calde) su questo gravasse la concessione del bagno gratuito ai residenti , fino ad allora di spettanza dei Bagni. didascalia La prima concessione d’acqua risaliva al 24 gennaio 1868 ed era “stata stipulata a favore della ditta Luigi Cornelliani proprietaria delle officine per la lavorazione del ferro di Premadio”. Nell’ultimo dopoguerra venne aggiunta , sul lato nord della costruzione dei Bagni Nuovi un’ala per cure inalatorie e per piscine termali, fra cui si trovava anche quella detta “dei coscritti” e nel giardino chiuso fra un’arroccata cinta di mura era posizionata, fino al 1970, la fontana detta “dei fanciulli”.

54 la toria S

La costruzione della strada dello stradini, muratori e minatori (700 dei didascalia Stelvio avvenuta, per volere del governo quali impegnati sul solo versante fraL il 1820 e il ‘25, per primari fini italiano), provenienti dal Piemonte, da militari oltre che per incentivare il Milano, e dalla Bergamasca . ripristino dei commerci e la L’immigrazione in massa che ne conseguente ripresa dell’Alta Valtellina, derivò, creò ulteriori disordini e nuova peccò però in scorrevolezza se confrontata con i nuovi valichi dello criminalità, soprattutto fra coloro che Spluga e dell’ e con l’antico spinti dalla disperazione e dalla fame percorso, allora fortemente migliorato, avevano intrapreso lunghi viaggi senza del Tonale. ottenere l’ambito lavoro. Questo fatto non permise d’ottenere Se la direzione di questa imponente la sperata ripresa dell’attività strada fu affidata a Carlo Donegani, a economica in Valle, aggravando suo fio figlio Giovanni spettò lo studio maggiormente, per le innumerevoli del progetto dello splendido spese sostenute, il bilancio distrettuale. stabilimento termale dei Bagni Nuovi, L’imponente lavoro di costruzione completamente finanziato dal Distretto rappresentò comunque un’eccezionale che, come già si è detto, per lungo opportunità per combattere la tempo pagò i danni economici scaturiti disoccupazione; opportunità che la dalla stesura di un errato e superficiale popolazione locale, ormai svogliata e preventivo di spesa, addirittura soggiogata dall’ozio, utilizzò solo in triplicatisi al momento parte, a vantaggio dei 1500 braccianti, dell’inaugurazione dello stesso.

55 aldidentro STORIA PAESI GENTE frizzante acqua acidula, su cui era stata V imposta una tassa, sull’esempio di ciò che accadeva nello stabilimento di Sampellegrino. Sempre in quell’anno venne stabilita la costruzione del tratto viabile fra Bormio e Semogo, che avrebbe dovuto sapientemente ricalcare l’antico tratto bisognoso di manutenzione e d’innovazione. L’intera circoscrizione arricciò il naso, ma il Distretto per garantire gli imminenti lavori, si avvalse della clausola che se i Comuni avessero negato il concorso alla spesa, essi avrebbero dovuto obbligatoriamente restituire i fondi elargiti dalla Valdidentro durante la costruzione della propria “carrozzabile” che percorreva la Valfurva. ( abbandonata nel 1847 perché poco frequentata, fatta esclusione per il solo tratto Bormio - S. Antonio che d’allora divenne di competenza dei due territori su cui scorreva). Anche se non ci è dato di sapere con esattezza se pesò più il ricatto o la Le strade, da sempre sinonimo di paura di dover sostenere successivamente ogni lavoro senza didascalia possibile guadagno, anche nell’OttocentoL ottennero la loro l’aiuto economico del Distretto, è certo attenzione, tanto che il Distretto già che la Valdidentro ottenne la nel 1818 chiedeva l’intervento di costruzione della propria strada con miglioria sull’intero tronco stradale contributo condiviso. Bormio - Tirano, in modo da poter Ma se alcune strade nacquero permettere ai Bormiesi di recarsi alla distrettuali, altre lo divennero fiera annuale di S. Michele per rompendo antiche tradizioni, come contrattare od effettuare la vendita del accadde nel 1830 alle scale di Fraele proprio bestiame. che, da sempre spettanti nella Ancora nel 1840 il Distretto manutenzione ai vicini di Pedenosso, deliberò l’istituzione di un pedaggio, divennero circoscrizionali privando i mai comunque applicato, da pagarsi valligiani della tassa ottenuta per il per l’utilizzo della strada di S.ta transito dei pecorai con le loro 3300 Caterina (costruita a partire dal 1839 pecore annuali, quando si recavano con fondi del Pio Istituto scolastico) verso le vicine montagne Grigione. nel momento in cui ci si recava alla Bisognerà però attendere fino al località omonima per sorseggiare la 1853 per vedere stilata la scrittura

56 la toria S privata con cui si stabilì di applicare ad quantità di soldi distrettuali e ogni capo di bestiame transitato il comunali. corrispondente unitario di quattro Questa fu la prima causa centesimi. d’indebitamento a cui si aggiunse, nella Il 1859 introdusse inoltre la Valdidentro, l’obbligatoria costruzione normativa sulla viabilità che obbligava del cimitero in conformità alle vigenti la costruzione delle siepi di protezione discipline sanitarie, atte ad impedire gli alfine d’evitare lo sconfinamento del abusi nel seppellimento dei cadaveri. bestiame transumante sui pascoli di Il fatto portò a concludere al temine Pedenosso. del 1817 che, essendo il Comune composto da quattro cure parrocchiali, Le siepi e i muretti in sasso a secco oltre che sprovvisto di fondi necessari divennero d’allora un obbligo su tutto da investire, la soluzione migliore il territorio nazionale. sarebbe stata da ricercare nell’edificazione di una maggior quantità di immobili con dimensioni Tutte queste spese (bagni, acque, più ridotte, utilizzando la sola strade,T manutenzioni, etc.), volute e manodopera locale, parzialmente sostenute dalla Casa d’Austria, abituata gratuita. a “pensare in grande”, impegnarono senza possibilità di rinuncia, ingenti didascalia

57

la toria S

didascalia

Fra il 1834 e il 1837 si fabbricarono L’atteggiamento’ introdotto così tre dei quattro cimiteri di Valle, dall’autorità sovrana, che si basava sulla dislocati: nella Parrocchia di S. Gallo ( condivisioneL distrettuale dei vantaggi e per Premadio, Molina e Turripiano), in degli svantaggi e sulla gestione univoca quella di S. Martino ( per Pedenosso), dei beni, spesso si confondeva nel in quella di S. Abbondio (per Semogo) Bormiese con l’antica consuetudine e, nel 1818 con un impegno economico amministrativa dell’ex Contado. di 180 lire, nella Parrocchia di Maria Non fu quindi difficile attivare casi Nascente ad Isolaccia. di partecipazione nel Distretto, fra cui Anche la procedura per il si ritrovano il medico condotto e la seppellimento dei defunti che, fino al levatrice, entrambe figure di rilievo e 13 ottobre 1836, spettava per garanti di una sanità tutelata e competenza ai sacrestani remunerati preventiva, spesso minacciata da dai parenti del defunto, divenne da preoccupanti epidemie o anche solo da quel momento un impiego salariato a semplici malattie quali: il gozzo, la scrofola e il rachitismo; segnali certi garanzia di un maggior controllo sulla della mancanza di sale, igiene e luce. tumulazione. Fu inoltre merito della Valdidentro, Nacquero pertanto le figure dei seguita dall’intero circondario, seppellitori per ognuna delle l’immissione della clausola nel parrocchie di Valdidentro. Ad essi contratto stipulato con il medico spettava un salario prelevato delle casse consorziale Francesco Picchi (nel 1826), comunali, pari a tre lire per ogni con cui si impose ai “chirurghi” defunto in età adulta e a una lira per seguenti l’obbligo di curare, ogni bambino sino all’età di sei anni. gratuitamente e senza distinzione, sia ricchi che poveri.

59 aldidentro STORIA PAESI GENTE Questo cavillo, inserito contro le nullatenente) L. M. e all’inferma D. F. V superiori prescrizioni austriache che (entrambe di Semogo) s’istituirà il non gradivano implementare la primo servizio assistenziale comunale. retribuzione dei medici consorziali di nuova nomina, divenne comunque attivo. Se rigida era la direttiva che imponeva la condivisione delle scelte Sempre in campo sanitario è del 31 all’internoS dell’intero Distretto, si marzo 1829 la supplica rivolta dal tollerava comunque fra gli austriaci, veterinario Francesco Rotta al Distretto per decisioni poco complesse e non per ottenere un salario in cambio delle dispendiose, anche l’attivazione diretta proprie prestazioni, attivando in tal dei singoli Comuni, come accadde nel modo le corrette prescrizioni 1823 per la condotta, nella sola regolamentari governative; ed è dello Isolaccia, della levatrice Francesca stesso giorno la risposta negativa Peccedi stipendiata con 100 lire annue. fattagli pervenire, noncurante delle imposizioni superiori. L’anno seguente, ancora in autonomia, “il comizio” di Isolaccia a Si dovrà attendere fino al 1836 per cui appartenevano il commissario assistere alla copertura di tale incarico distrettuale, i tre deputati, l’agente da parte di Antonio Berbenni, con il comunale e tutti gli uomini della quale verrà istituita convenzionalmente frazione con più di 14 anni, si la figura del veterinario comunale riunirono nella chiesa parrocchiale per salariato nella Valdidentro, che ancora eleggere Giovanni Battista Zini di nel 1856 verrà destituita da “uomini Livigno, di soli 27 anni, quale parroco pratici abbastanza esperti”. della cura di Maria Nascente, L’anno seguente con il sussidio disponendo contemporaneamente che didascalia mensile “alla miserabile” (o questo avvenimento ottenesse la sanzione del Vescovo e che solo dopo tale adempimento potesse essere formulata la bolla di canonica istituzione. Anche la scolarizzazione operava singolarmente rispetto al Distretto, fatta eccezione per il ginnasio circondariale che, con sede a Bormio, ottenne in eredità i beni e il patrimonio dei Gesuiti, oltre alla donazione della nobildonna Caterina

60 la toria S Alberti del 1611; questi beni, furono venduti in più riprese per sanare le ingenti difficoltà economiche distrettuali (nel 1833 si dilapidò l’intero patrimonio che i Gesuiti possedevano a e nel 1839 tutti i restanti beni, fatta esclusione degli orti e dei caseggiati siti in Bormio, che tuttora sono dai quattro comuni sociali).

IL PIO ISTITUTO SCOLASTICO Il Pio Istituto scolastico rappresentò un fondo sicuro da cui l’Amministrazione distrettuale, quella mandamentale e di seguito i Comuni sociali, ottennero più volte una degna copertura economica. Chiamato in tal modo dai primi anni del 1800, esso divenne depositario dei beni confiscati ai Gesuiti dal Governatore di Valtellina Riedi nel 1775. A dare l’avvio all’ingente patrimonio accumulatosi nei tempi fu Caterina Alberti nel 1611, mediante la donazione dello stabile di sua proprietà al Contado, su cui però pendeva il vincolo “culturale” dell’attivazione di una scuola pubblica. Per rispettare l’impegno assunto con l’accettazione della donazione, la Comunità di Bormio invitò i Gesuiti ad insediarsi nel Contado per svolgere l’azione educativa richiesta. D’allora agli stessi furono donati dalla popolazione i fabbricati di casa Foliani, Sermondi, due mulini sull’agualar (corso d’acqua per l’irrigazione), oltre ai molti lasciti in denaro elargiti quali elemosine. Il patrimonio s’implementò ulteriormente per gli acquisti operati in prima persona dagli stessi Gesuiti che disposero di bilanci sempre attivi. Il 21 luglio 1773 fu soppressa da Papa Clemente XIV la Compagnia di Gesù e venne rimandata al Governatore di Valtellina Pietro Antonio De Riedi la scelta “sull’impero economico” gesuita. Tale scelta si attivò nella confisca dei beni per assegnarli alla Comunità di Bormio, mantenendo però inalterato il vincolo scolastico. Nacque in tal mondo il Pio Istituto di Bormio che non modificò l’istituzione iniziale del XVII secolo, facendo però susseguire all’amministrazione della “Communitas Burmii”, quella del Distretto di Bormio ( rappresentato dai cinque comuni di Bormio, Valdidentro, Valfurva, Valdisotto e Livigno) e, dopo il 1841, quella dei Comuni sociali che in virtù dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1859 divennero anche enti morali. 61 aldidentro STORIA PAESI GENTE Le restanti scuole elementari minori una missiva del 3 agosto 1846 chiedeva V di Valdidentro, erano invece localizzate al Consiglio di valle l’autorizzazione nelleL diverse parrocchie e venivano per attivare nella sua contrada una aperte grazie al contributo elargito scuola femminile, separata dalla dagli stessi studenti; nel caso di nullità maschile, sotto la direzione della dei concorsi comunali l’elezione dei maestra Barbara Marni. maestri avveniva d’ufficio, come si La scuola fu aperta seguendo verificò nel 1824 per: Lanfranchi Carlo l’esempio di quella di Pedenosso Giuseppe nella contrada di Semogo, inaugurata il 30 maggio 1846 e fu Lorenzo Schena in quella di Isolaccia, d’esempio per quella di Semogo che il curato Nicola Schena a Pedenosso e s’insediò nel novembre 1848. il cappellano Pietro Giacomo Vitale Tanta apertura mentale non la si nella frazione di Premadio. ritrovò però nella supplica rivolta dai Ad essi spettava il compito di vicini della frazione di Premadio provvedere al riscaldamento a legna all’Ispettore della scuola elementare del delle aule, oltre a garantire il Distretto di Bormio; essi infatti funzionamento delle scuole da asserirono, screditando l’insegnamento dicembre a maggio, percependo uno femminile, che mai avrebbero potuto stipendio di 300 lire a Pedenosso e accettare un unico insegnante per classi Premadio , e 390 a Semogo. femminili e maschili, o anche solo un Nell’istruzione, nonostante i pessimi insegnante maschio che potesse momenti che si stavano attraversando e cimentarsi “nel far di sarto… non le energie spese per reprimere l’ormai meno che di calzetta”. chiara intolleranza verso gli austriaci, si Precedentemente il 1866 la scuola introdusse il concetto, oggi tanto era pressoché facoltativa, ma dopo tale attuale, di “pari opportunità” per data, ai padri di famiglia o a coloro che volere del parroco di Isolaccia, che in ne facevano le veci, spettò l’obbligo

62 la toria S legislativo di provvedere affinché i figli, Ogni lavoro deliberato, sia compresi fra i sei e i dodici anni, Ocomunale che distrettuale, intrapreso frequentassero almeno le prime due in questa prima metà dell’Ottocento, classi elementari. doveva brutalmente scontrarsi con la grave povertà dei bilanci, che Solo dopo il 1867 l’istruzione s’indebolirono ulteriormente dopo pubblica divenne di completa spettanza l’eliminazione della stesura degli estimi di Province e Comuni. di Vicinanza. La redazione di questi volumi, spettava da sempre agli anziani di Valle, che con l’aiuto di scrupolosi e qualificati estimatori, redigevano le liste dei beni posseduti da ogni capo famiglia, su cui correttamente, di seguito, veniva applicata la tassa proporzionale. Venendo a mancare, per cambiamento amministrativo, l’istituzionalità di questi rappresentanti dell’Antico Regime, cadde conseguentemente anche la validità dei loro scritti e i deputati di Valle, preoccupati per l’assenza di introiti allora tanto necessari, si trovarono costretti a richiedere l’intervento del Commissario Distrettuale di Bormio al fine di ottenere la nomina di figure professionali complementari. Queste non vennero elette e gli estimi della Valdidentro furono destinati a divenire incartamenti del passato, come quelli di tutto l’ex Contado, terminando la loro esistenza fra il 1826 e il ’27, fatta eccezione per

63 aldidentro STORIA PAESI GENTE la sola Livigno, ultima fra le valli a V rassegnarsi, che ancora stese un suo registro nel 1834. L’assenza di questo strumento definì l’impossibilità di una corretta regolamentazione fiscale fintanto che la seguente burocrazia nazionale non ideò l’imposta sulla ricchezza mobile e quella sui fabbricati agli inizi degli anni ’60. Fino a tale momento fu devoluta alla sola redazione del nuovo catasto, attivo dal 1826, ogni possibile controllo tributario, utilizzando la rappresentazione grafica dell’intero territorio quale unico strumento per stabilire la rendita di ogni immobile e di ogni appezzamento terriero.

La gravosa condizione economica d’inizio XIX secolo non permise neppureL di accogliere degnamente il passaggio di Sua Maestà in didascalie Valdidentro, il 30 marzo 1825.

64 la toria S Per tale motivo la Valle si era rivolta anche al Distretto, costretto a negarle ogni possibilità d’aiuto, perché non all’altezza economica neppure per sostenere il salario di un’assistente ostetrica ( Marianna Appolini di Sondrio) allora tanto necessaria all’Ospizio e Luogo Pio di Santa Caterina. Questa povertà fu aggravata dalla scelta effettuata il 22 dicembre 1842 di concorrere alla spesa per la costruzione dei padiglioni dello stabilimento dell’acqua ferruginosa di Santa Caterina, che già nel 1849 si decise di alienare allo Stato (unitamente al complesso dei Bagni), utilizzando il progetto di vendita redatto da Domenico Paganoni. Nel 1850 la Valle era tanto indebitata da impedirle di ottenere il prestito volontario statale, possibile grazie alla vendita dei “viglietti del Tesoro” introdotti in forma legale con la notificazione del 16 aprile 1850. Il comune di Valdidentro si trovò infatti costretto a deliberare la propria impossibilità ad accettare, esprimendo tali parole: “spiace grandemente al Consiglio, a cui è noto quali vantaggi ne proverebbero nel concorrere a detto prestito, il non potervi aderire, essendovi inabilitato per assoluta mancanza di mezzi, non essendo ignota alla stessa Superiorità la triste posizione economica di questo sgraziato paese...forse il più sgraziato di ogni altro di questo Regno,…i cui fondi servono necessariamente e tutti per far fronte alle spese d’amministrazione ed a quelle ingenti che si sostengono pei militari qui acquartierati”.

65 aldidentro STORIA PAESI GENTE Nel 1841 infatti la guerra Stelvio (sul versante tirolese), strada che V d’indipendenza, allora detta “Guerra gli Austriaci avevano realizzato per Nitaliana”, gettò l’intero Distretto nel poter raggiungere con minor difficoltà i caos. territori dell’Alta Valle. Alle prime avvisaglie dei moti di Ma mentre il 5 agosto si concluse Milano, l’intera Valtellina si distinse con l’armistizio fra l’armata sarda e per coraggio attivando un forte quella austriaca il ritorno di Milano controllo sui passi e Bormio, il 23 all’Austria, sullo Stelvio noncuranti di marzo, nominò una Commissione di ciò che stava avvenendo si continuò a Pubblica Sicurezza e istituì la propria combattere vittoriosamente, ancora per Guardia civica o nazionale, a cui altri sei giorni. distribuì 100 fucili acquistati a Di seguito ai patrioti Bormiesi prezzo vantaggioso. delusi non restò che guardare al I militari, quasi tutti Piemonte quale unica possibilità per La milizia volontari, riuscirono in liberarsi dalla opprimente dominazione Se il Contado condizioni disperate a austriaca. possedeva un proprio bloccare il passaggio Questa insofferenza era tanto esercito con capitano eletto sulla strada dello evidente, che più volte costrinse in da un Consiglio di popolo Tribunale soggetti offesi dall’insulto di costituito da più di 400 persone (spesso oriundo della Vicinanza di spie austriache, come successe a Pietro Valdidentro), la Repubblica Cisalpina De Gaspari di Premadio beffeggiato da si avvalse invece nel Bormiese di una Domenico Martinelli detto Macchè di “milizia mercenaria” formata da reclute che Pedenosso. sovente disertavano. Dopo il 1816 la leva, detta “Coscrizione”, divenne obbligatoria e greve per il popolo, che la subì come soggiaceva al sovrano che l’aveva introdotta e che si preferiva disconoscere. Durante il Regno d’Italia (con il decreto del 4 marzo 1848) s’istituì un Corpo nazionale formato da battaglioni e legioni finanziate dall’Intendente, dai Prefetti e in primis dal Ministero dell’Interno, mentre susseguentemente alla costituzione del Mandamento, ovvero dopo il 1859, spettò ai Sottoprefetti il compito di corrispondere un contributo economico proporzionale al numero degli uomini che costituivano la Guardia nazionale dei Comuni, oltre che garantire la copertura di tutte le spese straordinarie sostenute per il corretto incarico degli stessi. Ai Sindaci ne era invece devoluta la sola, ma continua, sorveglianza.

66 la toria S In questo caldo e turbolento periodo storico, a complicare maggiormente le già pessime condizioni Bormiesi, intervenne anche la divisione dei beni sociali (voluta con ordinanza dell’8 gennaio 1840).

LA DIVISIONE DEI BENI DISTRETTUALI NEL 1841 ELENCO DEI BENI I beni sociali posseduti dai cinque comuni componenti il Distretto, didascalie consistevano “nelle alpi di Federia, del Gallo, del Braulio, nel Portico sociale (o Kuerc) e nella campana della parrocchiale di Bormio, nel vecchio stabilimento balneare di S. Martino, del nuovo stabilimento pure balneario, nella cascina e praderia di Santa Caterina, nella sorgente d’acqua acidula, nella decima o prestazioni annuali parte in segale, parte in denaro cioè staia 22,7, dovute dai proprietari delle tenute di Canisa, Clausura, Bugliolo, Tresenda ed Areite sul territorio di Bormio, di staia 44 dovute dai possessori di Fumarogo, Cepina, Santa Maria Maddalena sul territorio di Valdisotto, staia 29,3… quest’ultime tutte estinte per far fronte alle spese sostenute per la strada di Santa Caterina e lo stabilimento dei Bagni…” E DELLE PASSIVITÀ “Redatte pure le passività sociali che contano nel debito di lire 71581,87 verso l’Istituto scolastico sociale, lire 4117 verso l’Ospitale di Bormio…e ancora quelle per la manutenzione della strada distrettuale che mette al nuovo stabilimento dei Bagni sul territorio di Valdidentro e di quella di Santa Caterina ( parte sul territorio di Bormio e parte su quello di Valfurva) , la prima per annue lire 463,86 con durata fino al 1845 e la seconda di lire 985 con durata fino al 1847 e ancora di lire 77 annue… per la tratta di strada che porta da Semogo a Livigno, oltre che una quota da pagarsi nel 1841 all’affittuario degli stabilimenti balneari a prima tacitazione dei compensi accordati nella seduta del 6 giugno 1840”.

67 aldidentro STORIA PAESI GENTE A seguito della quale nell’agosto V 1841 ci si rivolse al Consiglio distrettuale per definire la corretta suddivisione dei beni e delle decime dei Comuni, utilizzando gli smessi estimi e l’antica divisione Sermondi. La realizzazione di questo progetto consisteva nel fatto che i beni concessi in uso ai diversi Comuni, sul documento sopracitato, avrebbero potuto divenire di loro proprietà, se essi in cambio avessero garantito la copertura dei debiti già contratti dal Distretto per l’edificazione dei Bagni e per la costruzione della strada di Santa Caterina. Livigno rifiutò questa proposta perdendo istantaneamente ogni diritto sui beni sociali, che vennero divisi con decreto dell’11 ottobre 1843, non senza difficoltà (soprattutto per le decime), fra i rimanenti quattro comuni. didascalie

68 la toria S

I boschi rappresentarono, fra tanta anche Dosso della Baita), pagando per didascalie povertà,I l’unica entrata sicura ma il questo 3075 lire. loro disboscamento, pur essendo Il legname sarebbe servito ad considerevole e utile, mai avrebbe alimentare e ripristinare la fucina dello dovuto contrastare con il regolamento stabilimento delle ferriere di Premadio, introdotto il 27 maggio 1811. carente di materia prima già nel Fu così che al legname utilizzato per febbraio 1822, quando bisognò ridurre il solo riscaldamento invernale, o in ferro malleabile la ghisa preparata ed impiegato nell’edilizia, o ancora esistente nell’allora forno di Fraele. adoperato nei forni di Fraele, si A tutela dei boschi, allora tanto aggiunse nel 1823 quello dovuto dal ambiti, il 23 maggio 1830 si elesse una Commissario distrettuale alla ditta guardia forestale aggiuntiva e, dieci “Belf e Compari”, che con una anni dopo, si acquistò una macchina scrittura privata aveva acquistato il idraulica per soffocare numerosi quantitativo di materiale legnoso necessario per ottenere 3000 bisacce di incendi. carbone di “otto quarte” ognuna, S’istituì parallelamente anche una impegnandosi a disboscare i soli “quadriglia volante” di sicurezza che appezzamenti di Motta e Solena ( detto doveva operare su tutta la Valdidentro

69 aldidentro STORIA PAESI GENTE e venne redatto il prospetto del V “patrimonio boschivo indiviso dei Comuni sociali di Bormio, Furva, Valdisotto e Valdidentro”, approvato il 13 settembre 1840. Di questo periodo fu anche la rivalutazione dei confini territoriali comunali che si accostavano agli appezzamenti privati; questa portò a ripristinare gli antichi limiti posti sul territorio; limiti segnalati da “termini” che spesso erano sassi su cui era scolpita una croce.

LA DIVISIONE DEI BOSCHI L’atto ottocentesco di maggior rilevanza per la divisione delle foreste dell’Alta Valle fu il “prospetto sinottico di stima dei boschi di proprietà promiscua dei Comuni sociali” redatto dal Sotto Ispettore ai boschi Stefanoni, per incarico del Distretto il 3 agosto 1852. Da questa prima divisione, ultimata il 24 settembre 1853, Bormio usciva beneficiata di un importo di stima pari a 9700,92 lire, Valdidentro di sole 997, 51 lire, Valfurva di 745, 51 lire e Valdisotto invece era privata di ben 11448,94 lire. La difficoltà d’accettazione di questo frazionamento soprattutto da parte della Valdisotto, danneggiata gravemente, e dalla Valfurva che si riteneva proprietaria del bosco dei Curti a lei non assegnato, portò il 18 agosto 1901 a riformulare la divisione che divenne attivata tre anni dopo, assegnando alla Valdidentro: 1) “ il Bosco di Cornaccia: dalla val Cancano alla valle Paolaccia, 2) il bosco Pontin: da Fraele ( bosco Scala) alla val Petin e val Pisella , 3) il bosco Arsicio: da Ferrarola al monte Scala in Fraele soprappassando Premadio , 4) il bosco Morzaglia e Rezzolungo: dalla valle di S. Martino alla val Foscagno , 5) il bosco Brettina e Arnoga: dal val Foscagno a val Satterona, 6) il bosco Campo: da val Satterona ai confini con Poschiavo in val Viola, la toria S

7) il bosco Peccedaccio: da valle Dosdè alla val Verva , didascalia 8) il bosco Belvedere: dal bosco del Conte alla val Vallia , 9) il bosco Pezzel: dalla val Vallia alla val Bociana , 10) il bosco Colombina: dalla val Bociana al confine territoriale con Valdisotto”. I lotti così composti furono trasmessi al catasto e condivisi da tutti i Comuni. Si lasciarono inoltre inalterate le servitù attive e passive pendenti su ognuno d’essi e si stabilì che eventuali sorgenti d’acqua termale o miniere, successivamente scoperte, continuassero ad essere di proprietà mandamentale. Per i boschi assegnati a Bormio, ma siti nel comune di Valdidentro, il diritto di pascolo dei residenti fu mantenuto, così come furono mantenuti quelli per gli affittuari dell’alpe Casina in Fraele e per Solena. Quello che sembrava un problema risolto si ripropose nuovamente nel 1907, per via di una convenzione stipulata il 2 settembre 1904 e approvata con deliberazioni dei diversi Consigli comunali, oltre che dalla Giunta provinciale, nel 1906. Il 13 luglio 1911 ancora si delimitarono le zone boscate in val Fraele, stralciando dalla zona comunale al di là di val Paolaccia e Valpisella il quantitativo di bosco assegnato con atto 12 febbraio 1907 al Comune di Bormio. Nel 1916 si riposizionarono alcuni termini di confine tra la Valdidentro e la Valdisotto che risultavano essere stati strappati dopo la verifica del 12 e 13 agosto 1902. Questo lavoro fu fatto soprattutto sui terreni che dalle Motte di Oga portavano a S. Colombano, servendosi degli antichi termini ancora in loco, uno dei quali era il “sasso Maro”, più conosciuto in valle come “crap del Marn” e l’altro posto più in alto (segnalato su una pietra con un’evidente croce) e distante 10, 60 m. dal “Sas del Martol”. Con l’atto Fay del 1 giugno 1926 la divisione dei boschi fu definitivamente conclusa.

71 aldidentro STORIA PAESI GENTE Il 6 febbraio 1843 sempre per Per evitare disordini si stabilì V problemi territoriali nacque la vertenza l’assunzione immediata della guardia fra Valdidentro e i fratelli Molinari che boschiva Bartolomeo Ponti, che vinse avevano trovato una vena ferrosa a la gara d’appalto su Pietro De Gasperi Fraele, su un terreno comunale, e se ne di Premadio e Martino Giacomelli. erano impossessati. Da questo momento, e per lungo Lo scavo fu confiscato e il materiale tempo a venire, le foreste della valle, trovato divenne di diritto comunale. provate nel 1840 dalla vendita delle “ultime piante deperenti a Massaniga, Premadio intanto si stava sopra Monte e nei pressi dei prati di preparando a subentrare, sostituendosi Zandilla” (fatta esclusione del bosco di definitivamente nel 1853, agli antichi Pezzel, già gravemente compromesso) , forni della val Fraele. furono decimate con cadenza regolare, Nel 1857 il lavoro della nuova fino alla chiusura della stessa ferriera fucina divenne tanto intenso da nel 1875. compromettere la stabilità del ponte L’increscioso problema della attiguo alla ferriera, provato dal suddivisione dei boschi si protrasse continuo transito di una quindicina di comunque per tutto l’Ottocento e “carratori” che quotidianamente solo con i due atti rogati dal conducevano allo stabilimento il notaio Ulisse Fay, il 12 didascalia carbone. febbraio 1907 e il primo giugno 1926, si giunse I FORNI alla ripartizione E LE FERRIERE tuttora vigente. OTTOCENTESCHE Si sciolse a S. Martino del 1834 la società costituita fra Bartolomeo Bels figlio di un certo Pietro morto in Francia, presumibilmente abitante a Parigi, e la ditta Pellegrino e Bonsignore costituitasi dopo che lo stesso ottenne il 12 maggio 1818, con atto notarile Moreschi Codelli rogato a Milano, “l’andamento dello stabilimento ferrarezza” . Questo atto lo vincolava al vitalizio di 2000 lire annue da elargire a Giuseppe David per la manodopera apportata alla manutenzione degli stabili e delle strade. Nacque così del tutto ingenuamente il debito che portò alla chiusura delle ferriere alla metà degli anni ‘50. Il 26 giugno 1835 Bels subaffittò il complesso per tre anni all’ingegner Francesco Mariani, abitante nella contrada di S. Antonio, il quale considerato il grave degrado in cui ancora si presentavano gli stabili decise, nel 1836, di sciogliere l’impegno assunto con il suo locatario, a beneficio di una scelta più idonea

72 la toria S

didascalia

in grado di risarcirlo delle 20000 lire utilizzate per il ripristino e l’ammodernamento dello stabile. Fu così che il 4 luglio dello stesso anno stipulò un contratto di subaffitto con Agostino Mari, il quale non riuscendo a sostenere le spese di riparazione dello stabile e non avendo fondi neppure per ripristinare le compromesse fucine, rese inoperoso il forno fino alla fine del 1837, data in cui sciolse l’impegno di locazione. Mariani riottenendo suo malgrado la locazione diretta della fucina, chiese ed ottenne dal Bels una locazione gratuita degli stabili per la durata di cinque anni, in virtù delle anticipazioni elargite per le riparazioni degli edifici, di cui ancora era creditore e contemporaneamente ottenendo la garanzia che lo stesso Bels avrebbe pagato entro gli anni suddetti il capitale mancante aumentato dell’ interesse del 5 % principiando dal 1835. A cauzione del detto debito sottopose inoltre ad ipoteca speciale l’intero complesso ferrifero. Dall’ispezione fatta agli stabili e ai relativi possedimenti annessi in occasione della stipula di tale ipoteca si dedusse come gli stessi ammontassero a: “cava del ferro nel monte Pedenoletto oltre le altre cave tutte aperte pei monti della Val Bruna e Val Pisella, … baita del pastore con i diritti derivanti dall’autorizzazione prefettizia del 14 ottobre 1809…, le strade carreggiabili da esso David formate che conducono dalle fornelle al forno di fusione, e ancora ripostigli, le fornelle di torrefazione e le casette de mineranti e torrefatori. Oltre al forno di fusione in Fraele nel comune di Premaglio, …con casa d’abitazione, carbonili, ripostigli, magazzeni diritti d’acqua delle sorgenti e del lago di Cornacchia. D’una fucina in Premaglio suddetta e tre fuochi a due magli con diritto d’acqua e rispettivi condotti, due carbonili, magazzini e casa d’abitazione, uniti al beneficio in privativa del taglio e godimento dei boschi comunali acquistati con investitura 3 novembre 1809 stipulata col comune di Bormio con superiore approvazione per la durata d’anni 25, con diritto di prelazione nel tempo successivo e per la quantità attualmente bastevole di legname…

73 aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Ed infine l’intera proprietà del monte Ramelino e Temelina, prativo e boschivo, popolato di più gembri, pini e larici, chiamato il bosco del Conte nelle adiacenze di Semogo” . Con atto rogato dal notaio Pietro Buzio Brambilla il 21 aprile 1838 si assistì però all’apertura del contenzioso fra l’affittuario e il subaffittuario, per la mancata parola del Bels sul pagamento delle 20000 lire dovute a Francesco Mariani e alla signora Antonia Sangiorgio vedova Carnelli, che fidandosi dello stesso ingegner Mariani, aveva contribuito elargendo la metà del dovuto per le necessarie riparazioni. Nel 1847 la ricerca di soluzione si ripresentò nuovamente, per la richiesta di restituzione dei liquidi (di complessive 3500 lire) fatta della vedova Carnelli che si trovava gravemente indebitata con Marietta Caffulli, figlia di Francesco Binaschi e domiciliata a Cordusio . Sprovvista di liquidi la vedova decise di cederle una parte di ciò che doveva riscuotere dal Bels. Si stipulò così l’atto del 17 novembre 1847 a rogito del notaio Francesco Triaca, per la cessione di una parte dei crediti dell’ormai defunto Bartolomeo Bels, acquisiti completamente dall’ingegner Francesco, a favore di questa nuova intervenuta. La cessione dei crediti, essendo crediti non garantiti, fu fatta in modo che la Cafulli ottenesse dalla Carnelli un impegno economico maggiore rispetto a ciò che realmente avrebbe dovuto ottenere. Fu in questo periodo che l’ingegner Francesco Mariani conobbe l’interdizione. La continuazione delle pratiche spettò quindi a Carlo Zanchi in qualità di suo curatore e egli subito richiese la “rinnovazione dell’ispezione ipotecaria”, originariamente assunta per Giuseppe David il 9 luglio 1818 e rinnovata poi, come già si è detto l’11 maggio 1839, per Francesco Mariani, a garanzia del pagamento delle 2000 lire austriache annuali dovute dal Bels prima a Giuseppe David e dopo la sua morte al fratello Pietro, per una somma che complessivamente nel 1847 raggiungeva ormai le 25000 lire italiane esclusi gli interessi.

74

aldidentro STORIA PAESI GENTE La vicenda si complicò ulteriormente e si definì solo con l’alienazione del bosco del V Conte “in asta giudiziaria a favore di Faustino Piani pel prezzo di 14150 lire austriache” depositate al Tribunale di Milano e con l’annullamento di alcune pretese rogate il 27 giugno 1850 sull’atto dagli avvocati Ferdinando Taure e Quadrio. Si era alla metà del 1800 e Mariani e Bels erano ormai entrambi deceduti. Come per un triste gioco del destino negli anni in cui si chiudeva tragicamente la “storia Bels”, nacque quella di un’altra figura molto importante per le ferriere di Premadio. Il 15 aprile 1848 infatti Luigi Cornelliani di Milano, orefice gioielliere, presentò domanda per ottenere l’investitura cinquantennale di quattro miniere del ferro esistenti sul comune di Valdidentro, situate due nella Val Fraele, la terza nel piano di Pedenolo vicino alla casa dei pastori e l’ultima sul monte Pedenoletto. Gli alti forni di Premadio videro la luce nel 1853. La siderurgia della valle stava per conoscere un periodo di altissimo sviluppo, interi boschi privati delle loro piante più deboli, delle radici, di tutto ciò che bruciava e che non era severamente sorvegliato, utilizzato quale combustibile per garantire il continuo lavoro dei forni che spesso richiedeva concessioni d’acqua ricavate dall’Adda. Tutto ciò si concluse nel fallimento del 1875, che chiuse definitivamente il tema del ferro nella Valdidentro.

didascalia

76 la toria S LA NAZIONE (DOPO IL 1859)

Dopo la seconda guerra Gli Austriaci, senza troppa fatica, d’indipendenza combattuta dai giunsero pertanto a Bormio il 2 luglio, Garibaldini nel 1859, il 24 giugno mentre un’altra colonna di militi 1866 iniziarono le ostilità fra Italia e s’insediava, valicando il Tonale, a Ponte Austria, che videro il Giogo dello di Legno. Stelvio protagonista dell’occupazione D’allora si può dire che il Bormiese austriaca. “rimase mobilitato in permanenza”, Allora la sola Guardia nazionale, fino alla conclusione del conflitto armata con fucili di seconda mano ed militare che sfociò nella costituzione equipaggiata con divise di panno blu dello Stato italiano. ricamate in argento (acquistate nel Solo a quel tempo la Guardia numero di 120 per la Valdidentro dalla nazionale, che seppe dare indubbie ditta Carlo Betti), fu lasciata, e quasi prove di sacrificio e di patriottismo, abbandonata, a difesa del passo; così divenne un’istituzione pacifica, come accadde anche alla IV servendo Sindaci, Prefetti e Sotto Cantoniera al gruppo comandato dal Prefetti, nelle rappresentazioni solenni, luogotenente, nonché segretario spesso ufficiate nel capoluogo del comunale, Pietro Pedranzini. Mandamento (termine nato per didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE definire giuridicamente il territorio principali, su lastre di marmo bianco V distrettuale, che geograficamente veniva che venivano esposte visibilmente nella invece detto Circoscrizione). piazza principale del capoluogo. Questo cambiamento nelle Il nuovo sistema metrico decimale misurazione segnò inevitabilmente, dei pesi e delle misure, introdotto nel anche nella provinciale Valdidentro , 1860,I sostituì le oltre trenta misure un nuovo tassello di confine fra applicate in Provincia in favore di una l’individualità antica e la nuova visione sola unità di misura riconosciuta statale. dall’intero Stato. In Valle il 23 luglio 1861 furono Esso venne pubblicato sui libri soggetti al cambiamento di tali misure scolastici per una più veloce e alla loro vidimazione periodica: i conoscenza, oltre che inciso dispensatori di sali e tabacchi di didascalie obbligatoriamente, nelle sue misure Isolaccia, il forno delle fucine del ferro

78 a Premadio ( a cui spetterà una vidimazione quinquennale ad iniziare dal 1870), i pizzicagnoli (due di Semogo e uno d’Isolaccia ) , gli albergatori dei Bagni, i cinque venditori di vino al minuto e i mugnai di cui due di Premadio, due di Semogo, uno d’Isolaccia e l’ultimo di Turripiano. A onor di cronaca si segnala inoltre che da dodici che risultavano i soggetti obbligati alla vidimazione nell’anno soprascritto, trentuno divennero gli esercizi nel 1874; segnale questo di un rallentato ma effettivo incremento commerciale ed economico. Da un mercuriale della Valdidentro di quegli anni si può desumere ancora come i generi coltivati e venduti maggiormente allora fossero: il frumento, la segale, l’orzo, il fieno, la legna, il formaggio, il burro, il lino, le patate, le uova, il carbone, la paglia e la carne.

didascalie aldidentro STORIA PAESI GENTE E se il prezzo al chilo del ferro si La produzione complessiva di calce V mantenne stabile nel tempo, il forte ottenuta dagli stessi nel 1870 frumento, la segale e l’orzo ebbero un corrispose a 66 metri cubi e a 300 notevole incremento nel 1874, la legna metri cubi quella prodotta nei cinque subì una minor contribuzione fra il anni successivi il 1866. 1879 e il 1888 e il lino, dopo essere calato di prezzo nel 1887, scomparve dai calmieri successivamente al 1902, Ma seppur le ferriere davano lavoro concludendo il monopolio del tessuto Ma molti, l’agricoltura e la pastorizia su tutti gli indumenti intimi e la restarono gli unici veri sostentamenti biancheria di casa a favore del cotone. per l’intera popolazione montana e quindi il Consiglio comunale si vide Per le fornaci di calce esistenti in più volte costretto a rivedere i propri Valdidentro ( di cui è rimasta la sola di confini di boschi e pascoli, che Turripiano), i dati statistici del 1877 quotidianamente subivano l’attacco di riportano l’impiego di otto lavoranti chi gradiva possedere più terreno di per 60 giorni lavorativi cadauno, con quello effettivamente avuto, o anche stipendio variabile fra le 450 e le 475 solo riottenere quello che didascalie lire annuali. ingiustamente gli era stato tolto, come successe a Fraele, a Giacomo e Margherita Martinelli che supplicarono le autorità per la restituzione di un terreno a loro appartenente secondo l’atto originale d’acquisto del 1795. Ancora il 20 luglio 1860 si deliberò di acquistare 140 piante, prelevate dai boschi di Fraele e di Muraglia, per costruire “le cornici” necessarie alla fabbrica della fontana di Turripiano, tanto bramata dai comunisti che ne assunsero la manutenzione. Spesso si trovarono a discutere fra loro anche i Comuni limitrofi, impegnati a determinare correttamente i legittimi confini, come accadde per il pascolo Dosdé, di ragione comunale della Valdisotto, confinante a mezzogiorno con il bosco di Peccedaccio (detto anche Orsa) al cui interno esisteva un lotto di terreno usufruito dai vicini di Semogo. Il 7 novembre 1862 per stabilire la corretta segnatura dei termini dello stesso, fu incaricato il perito agrimensore Eugenio Martinelli che, con il Sindaco e l’Assessore, Antonio e Gian Francesco Martinelli, stabilirono

80 la toria S la giusta dimensione del pascolo Il 30 maggio 1862 si stimarono in correggendo le mappe esistenti, al fine Consiglio comunale per la prima volta, di poter locare la montagna senza i contiI della fabbriceria di Isolaccia e incorrere nell’usurpazione di terreno quelli della chiesa parrocchiale di altrui. Premadio, riferiti al periodo fra il 1855 e il 1860. L’imminente pericolo di caduta della spalla settentrionale del ponte di Essi ottennero un astenuto nella Premadio invece portò a deliberare la votazione, nella persona dell’assessore necessaria manutenzione dello stesso, e Romani, contrariato per l’assenza delle pezze giustificative sui pagamenti con seduta straordinaria del 30 maggio elargiti. 1861 si impegnò una somma provvisoria in attesa di nominare una Fra le carte di quest’ultimo conto è “persona dell’arte”, ovvero da un evidente la scarsezza economica vigente esperto in grado di preventivare in quegli anni, che costrinse il Distretto correttamente l’impegno d’assumere. a vendere al Governo parte delle piante mature e deperenti del bosco di S. Nello stesso giorno si approvarono Gallo sotto le Motte, per sanare un le spese per la sistemazione delle casine debito di cassa di ben 3000 lire delle alpi di S. Colombano e Fraele, austriache, contratto fra il 1834 e il con importi corrispondenti a 112,34 e 1855, dopo aver provveduto alla 158,50 lire, di cui la seconda cifra più sistemazione dei tetti delle case e delle alta perché comprensiva del dovuto per chiese di Molina, S. Gallo, Maria l’ampliamento della costruzione ad Addolorata di Turripiano e S. opera di Giacomo Bradanini. Giacomo di Fraele, in virtù di un didascalie

81 aldidentro STORIA PAESI GENTE ordine impartito del Vescovo di Como ministeriale di Grazia, Giustizia e V in visita pastorale nel luglio 1834. Culto (del 1 novembre 1861) alla Giunta comunale spettava anche il Oltre all’approvazione dei bilanci compito d’eleggere ogni cinque anni i parrocchiali, secondo la circolare fabbriceri delle chiese esistenti sul didascalie proprio circondario, atti a garantire e redigere i sopraccitati conti economici ecclesiastici.

I FABBRICERI Con il termine fabbricere s’intende il magistrato che soprintende a tutto ciò che riguarda la costruzione delle chiese, la loro conservazione, l’amministrazione delle loro rendite e i necessari provvedimenti d’assumere, siano questi ordinari quanto straordinari. I primi fabbriceri della Valdidentro, che si sostituirono agli anziani di Vicinanza dell’Antico Regime, furono quelli eletti nel 1808. Ventinove anni dopo la fabbriceria divenne un organo governativo e con il decreto reale n. 27 del 16 ottobre 1861 venne di nuovo ridefinita. Secondo quest’ultima normativa il Comune non poteva intervenire sul regolamento della stessa in merito alle chiese parrocchiali, né assumere il ripristino di queste senza il consenso del Consiglio di fabbriceria; ma poteva in caso di nuove costruzioni “assegnare banchi” a chi aveva concorso economicamente alla fabbrica, sospendere il rilascio dei mandati di pagamento in favore di fabbriceri reputati non idonei e doveva obbligatoriamente vistare i bilanci parrocchiali. I primi fabbriceri eletti dal Consiglio comunale del 14 dicembre 1861, dopo l’avvenuta costituzione dello Stato nazionale, furono: per Isolaccia: Donati Pietro, Giacomelli Antonio, Illini Pietro, Trameri Lorenzo, Viviani Rocco, Ponti Giuseppe, Giacomelli Pietro, Gurini Giovanni; per Pedenosso: Bradanini Giuseppe, Bradanini Gervasio, Bradanini Giovanni, Romani Antonio, Bradanini Gian Pietro, Romani Giuseppe; per Semogo: Sosio Gervasio, Martinelli Pietro, Sosio Benedetto; per Premadio: Battista Franchi, Trabucchi Giuseppe e Degaspari Martino (fra cui gli ultimi due solo confermati, perché già eletti nel 1860). 82 la toria S Grazie a questi bilanci oggi si sa con sistemare il “tabbiato e la circonferenza certezza che fu proprio in quegli anni della casa di residenza del parroco”, che si rese necessario ripristinare parte oltre ad inargentare alcuni oggetti del muro caduto davanti al coro della bisognosi di restauro e aggiustarne i Chiesa parrocchiale d’Isolaccia, paramenti sacri.

83

aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE Si deliberarono inoltre le spese per segnalarono sole uscite ordinarie V riparare la casa parrocchiale di Molina dettate dalla necessità dell’acquisto di e per evitare il logoramento esagerato cera o di olio per le lampade e per i dei “voltapiano alle due piccole pagamenti di premi assicurativi sacrestie laterali al coro”, ancora una obbligatori sugli stabili parrocchiali; volta utilizzando gli introiti riscossi poche cose che però non dagli esagerati tagli effettuati nel bosco compromisero il positivo bilancio di S. Gallo. conclusivo. Per la fabbriceria di Pedenosso i conti dal 1854 al 1861 furono Se le fabbricerie elette per la prima approvati e venne stilato l’inventario volta dal Comune di Valdidentro fra il dei mobili che si depositò presso 1861S e il 1863 brillarono per conti l’archivio della stessa; per Semogo si economici positivi, non così favorevoli furono i bilanci comunali che per scarsezza di liquidi aumentarono le già salate multe sulle vendite abusive operate da un popolo affamato che vendeva legname raccolto su fondi comunali e quindi non solo suo. Per impedire che ciò continuasse si formulò la deliberazione del 4 novembre 1862, che impediva l’esportazione fuori dal territorio comunale di legna da riscaldamento, a garanzia del pregiato materiale che avrebbe dovuto bastare nei lunghi inverni ai 1470 cittadini residenti. Per evitare scorrettezze s’impose la vidimazione delle piante recise da parte di una guardia boschiva accompagnata da un membro della Giunta municipale e per i commercianti locali nacque l’obbligo di emettere ad ogni vendita effettuata, la rispettiva bolletta controfirmata da due membri della Giunta comunale e certificata dall’apposizione del timbro del Comune. Questo provvedimento disturbò chi del legname faceva

88 la toria S combustibile per fucine, e il signor Cornelliani, rappresentato da Carlo Berti, che dal lontano 1853 (anno dell’ apertura della ferriera di Premadio), non aveva mai trovato ostacoli alla fornitura di legname, si prodigò per ottenere dal Comune, e ancora senza grossi problemi vi riuscì, una vendita di “zembro…per formarvi depositi di materia presso la propria fucina ferriera”.

A garanzia dell’incolumità della popolazione di AValdidentro, aderendo alla circolare prefettizia del 12.12.1860, nacque anche il servizio di polizia urbana che ottenne il regolare visto d’approvazione con decreto reale nel 1864. Sul regolamento si stabilirono le norme per garantire la corretta igiene alimentare, attivando gli adempimenti a cui dovevano sottostare i panettieri, i fornai, i “vermicelli”, i mugnai e i macellai, senza però limitarne il numero; definendo inoltre gli spazi pubblici idonei da occupare con il mercato. selciati e dei canali di spurgo” limitrofi A questo organo di vigilanza alle proprie abitazioni, controllando spettava l’obbligo di provvedere alla che questi non fossero danneggiati pulizia dell’abitato, allo sgombero delle dalla circolazione dei carichi immondizie, alla pulizia di strade e ingombranti o dai “bisogni impellenti piazze e alla loro lavatura, alla di bestie nocive”. rimozione delle nevi, allo spurgo dei canali, alla mondezza delle fontane e Alla polizia rurale invece, istituita d’ogni acqua destinata ad uso pubblico, con la stessa delibera consigliare, oltre che impegnarsi ad ordinare ai toccava il compito di impedire i privati cittadini la manutenzione delle passaggi abusivi nei campi o sulla proprie case “minaccianti rovina e la proprietà privata, prevenire i furti nelle costruzione o la compensazione dei campagne, garantire il corretto uso dell’acqua ai Consorzi, segnalare le

89

la toria S

didascalie modalità per liberarsi dagli insetti, riscaldamento invernale, recuperare proibire i pascoli sui terreni tutelati e legna governativa solo in difficoltà occuparsi della gestione agricola dei momentanea e fuori dalla propria beni comunali. frazione, segnalare obbligatoriamente I due regolamenti furono rivisitati il alla Giunta municipale l’intendimento 31 maggio 1867 con l’aggiunta di voler vendere legna di un proprio dell’imposizione di ottenere licenza fondo servendosi della regolare prima di aprire un qualsiasi esercizio bolletta, mantenere le strade comunali, pubblico, ristabilire l’irrigazione con non deteriorare le condotte primarie e nuovi corsi d’acqua a Piandelvino e secondarie per l’irrigazione, garantendo Pecè, non alterare alimenti, purgare e infine le dovute ore d’acqua per ogni macinare correttamente, correggere fondo agricolo, senza incorrere in pesi e misure, utilizzare quali utensili sottrazioni furtive. nei negozi solo quelli di rame stagnato, non abbandonare animali legati sulla Un altro intervento rilevante lo si piazza, non servirsi di fontane atte ebbe con l’introduzione della legge 20 all’abbeveraggio degli animali per Umarzo 1865 che vincolò i comuni ad lavare, non far circolare per la strada occuparsi di strade, e con la successiva bambini al di sotto dei sette anni, datata 30 agosto 1868 con cui il richiedere entro aprile d’ogni anno Governo sorvegliava e incentivava il l’autorizzazione per far pascolare su lavoro dei Sindaci a tale proposito. fondi comunali il proprio bestiame, istituire regolare registro su cui L’attenzione concessa alla viabilità annotare il bestiame forestiero, era dettata dal fatto che si considerava impedire il pascolo notturno, impossibile ottenere “civiltà ed sorvegliare i camminamenti dei greggi economia” senza occuparsi di sulle strade comunali, occuparsi della “comunicazione”, oltre ad essere giusta raccolta di legna per il consapevoli di come “la miseria di un

91 aldidentro STORIA PAESI GENTE luogo aggravasse quella di altri posti cui comparivano: la strada che V nelle sue vicinanze”. immetteva a Bormio, la strada di Così spinti dal fatto che Comuni Pedenosso, quella di Semogo, il ponte posti fuori dalla via del commercio di Sughet e la strada dei Dossi. paralizzavano il naturale sviluppo della Attivando le imposizioni ricevute si ricchezza nazionale, anche la procedette inoltre alla progettazione Valdidentro fu invitata ad (del 1 settembre 1871 ad opera adempiere ai propri obblighi dell’ingegner Antonio Rossati) della e il 15 marzo 1869 il continuazione della strada iniziata nel primo cittadino Rocca 1814 che da S. Gallo portava a Semogo, aggiungendovi il nuovo LE STRADE COMUNALI fece stilare l’elenco delle strade tronco Semogo - Foscagno , che doveva NEL 1869 comunali, fra risultare a “forma inclinata verso il mezzo, Compiti primari del Municipio con pendenza massima di un trentesimo” dopo il 1864 furono il riordino per permettere lo scolo dell’acqua dell’archivio comunale, l’arruolamento piovana. Tutto il percorso doveva delle Guardie nazionali e la costruzione o la inoltre essere sostenuto da un manutenzione delle strade comunali. imponente muro a secco riboccato a Strade che dovevano obbligatoriamente avere calce. “siepi vive” per assicurare che lo sconfinamento degli animali al pascolo non danneggiasse i coltivi o i prati. Non dovevano inoltre mai essere alterate nella forma e possedere scoli d’acqua a servizio di fondi attigui. Il trascinamento del legname, che procurava guasti, era a solo carico del negligente, così come ad esso spettava l’apporre ripari in caso di lavori da compiersi nelle prossime vicinanze.

92 la toria S

Al Sindaco competeva invece il segnalare annualmente i vari lavori da svolgere sulle vie vicinali e chiaramente su quelle comunali, che per la Valdidentro furono: “La strada comunale per Bormio”: con i propri termini al ponte di Cadangola a Semogo e alla “via dei morti” prima di Bormio. Essa risultava completamente carreggiabile e transitante per Semogo, Isolaccia, Turripiano e Premadio, e con lunghezza di 10000 m. e larghezza (allora non più reputata sufficiente) di 2,34 m. Aveva sul percorso cinque ponti in legno e uno in muro. “La strada comunale di Pedenosso”: con termini a Isolaccia e alla Madonna di Pietà. Essa era totalmente carreggiabile e aveva una lunghezza di 3790 m. e una larghezza di 2,34 m. “La strada di Semogo”: con termini alla chiesa parrocchiale di Semogo e alle seghe e mulini delle Ponti. Era carreggiabile, con lunghezza pari a 500 metri e larghezza solita di 2,34 m. “Il ponte di Sughet”: con termini a Sughet e al ponte. Totalmente carreggiabile, con lunghezza di 50 m. e larghezza di 2,34 m. e “La strada dei Dossi”: con termini al lago di Foscagno (confine di Livigno) e al ponte di Cadangola. Perfettamente “pedonabile e cavalcabile”, per l’intera lunghezza corrispondente a 15000 m.

93 aldidentro STORIA PAESI GENTE Ancora di tal periodo furono il sostenute dal Comune, e nel maggio V progetto del ponte sul torrente 1899 ben 3000 lire furono impegnate Spigolone, la costruzione del tronco di per ripristinare il ponte di “Pradella ed strada fra il ponte di Premadio e la altri tre ponti in valle”. Chiesa di Turripiano (che Giuseppe Martinelli volle diversa dal progetto proposto dall’ingegner Rossati, che la Nel 1867 il nuovo regolamento preferiva transitante sui campi di “Isca Nigienico di Valdidentro prese forma Giot”) e il considerevole aumento di migliorando il precedente deliberato manutenzioni annuali di strade e soli due anni prima. ponti, appaltate nel 1882 a Pietro Martinelli di Isolaccia per 109 lire In esso furono definite le necessità complessive. d’intervento della popolazione nello Anche il contratto per lo sgombero spegnimento degli incendi, il delle nevi assunse maggior rilievo regolamento di latrine, vasche e rispetto agli inizi del secolo e per cisterne, la proibizione di gettare dalle evitare l’inoperosità questo venne finestre oggetti vari, l’impedimento di conferito cumulativamente agli stessi andare nei fienili con candele, la rotteri (stradini) per l’intero periodo necessità di denunciare ogni malattia compreso fra il 1881 e il 1893. contagiosa dell’uomo e dell’animale, Le inondazioni, violente e l’obbligo di non smerciare alimenti imprevedibili, furono un’ulteriore avariati e la custodia assoluta dei cani didascalia causa di ingenti spese straordinarie ringhiosi.

94 la toria S Anche la condotta ostetrica (obbligatoria dal 1859) fu sottoposta all’attenzione del Consiglio comunale e nel 1863, dopo la rinuncia presentata da Teresa Martinelli, si giunse a proporre l’elezione di Domenica Martinelli di Pedenosso, in possesso del diploma con sigillo rilasciato il 9 novembre 1857 dalla Regia Scuola Ostetrica. Questa venne successivamente scartata perché sposata e con un figlio di pochi giorni, nonché maestra elementare di Pedenosso e soprattutto non abitante ad Isolaccia, considerata ormai ad allora il centro della Valle. Si dovrà attendere fino al 1865 per veder introdotto definitivamente, anche nella Valdidentro, un vero regolamento delle levatrici condotte, con durata di tre anni rinnovabili, come richiesto dalla legislazione corrente, che stabiliva per ogni settembre 1889 da Ulderico didascalia incaricata: la residenza nel luogo di Giacomoni di Ponte, che vinse lavoro, l’esposizione di un cartello sulla l’incarico su Schiantarelli Eugenio di propria abitazione su cui erano Tirano, Vincenti Catullo di Parma, segnalati i dati personali, la Perlasca Ferruccio di Como e Natalucci disponibilità giorno e notte per recarsi Giuseppe di Recanati. dalle partorienti site nell’intero Ai medici spettava il compito di circondario, l’assistenza alle povere con sanare la popolazione, garantendo i la sola retribuzione del salario sopralluoghi ai cimiteri, la tutela comunale, la tenuta del registro delle sanitaria per il controllo di malattie nascite con l’indicazione dei parti contagiose sul territorio ( fra cui il infelici e la loro causa apparente, il colera asiatico che nel 1884 inquietava controllo sulle donne gravide al fine di enormemente), l’ispezione ai servizi evitare aborti o parti furtivi e la collaborazione con i “chirurghi” se igienici (come nel caso della caserma fosse stato necessario un “sussidio delle guardia di finanza di Semogo), le artificiale o strumentale” o anche solo verifica mensile alle carceri, oltre una prescrizione medicinale. chiaramente ad effettuare qualsiasi operazione chirurgica necessaria e, in Anche la condotta medica caso di avvenuta morte, attivare le consorziale fu severamente regolata e, adempienze previste dalla notificazione dalla morte di Gaspare Bracchi governativa del 20 ottobre 1838. avvenuta il 16 dicembre 1866, si venne all’elezione del dottor Ruggero La legge in vigore nel 1859, che non Lambertenghi sostituito nel 1869 da disapprovava le istruzioni organiche del Albino Schena, Fausto Corvi e il 15 12 aprile 1816, prevedeva per ogni

95 aldidentro STORIA PAESI GENTE Distretto l’esistenza di un medico detto A seguito della chiusura dei forni di V appunto “medico chirurgo comunale”, APremadio e dell’emissione della legge eletto con concorso pubblico dopo nazionale 20 giugno 1877, la aver superato il periodo di prova di sei Valdidentro fu obbligata a stendere anni e ottenuto l’attestato l’elenco dei propri boschi e dei terreni d’autorizzazione ad esercitare. che necessariamente avrebbero dovuto risultare vincolati e, attenendosi A lui spettava anche il compito di scrupolosamente alle normative, l’anno garantire la totale igiene territoriale. seguente procedette senza risultato a I medici distrettuali dal canto loro rimboschire i terreni incolti sotto la sorvegliavano e soprastavano ai medici strada che da Premadio portava a comunali, in cambio di uno stipendio, Turripiano. devoluto da tutti i comuni del mandamento, di 100-160 fiorini austriaci a seconda dell’ampiezza del territorio da sorvegliare. Fu compito di questi ultimi richiedere l’idoneità dei cimiteri di Pedenosso e Semogo che il 27 luglio 1889 vennero considerati adeguati TERRENI didascalia dall’autorità provinciale di Sondrio. DA VINCOLARSI IN VALDIDENTRO NEL 1877 Fra questi terreni da vincolare ( al fine di permettere la ricrescita dei boschi abbattuti indiscriminatamente per favorire il lavoro nelle ferriere o anche solo per porre in scurezza i territori da imminenti pericoli naturali) comparvero i mappali siti sulle pendici del monte S. Colombano, Cardonè, Dosdè, Foscagno, Ferrarola, Braulio e Fraele. Ognuna di queste località era legata ad un proprio raggruppamento, così come di seguito: * primo sottogruppo: Palancana, Motta, Costaccia, Corva, Fusinaccia, Pezzel, Prei, Cardonè * secondo sottogruppo: Belvere e il Bosco del Conte * terzo sottogruppo: Predaccio, Minestra e Stablogimelli * quarto sottogruppo: Arsure, Arnoga alta, Arnoga bassa, Presura, Pozzagliera, Rosseggio, Vezzola, Cadangola, Plator, Clausura * quinto sottogruppo: Arsiccio * sesto sottogruppo: Bosco piano, Solena *settimo sottogruppo: Cornacchia, Piano dei Muffi, Pontini di Fraele, Scopa, Fraele, Bosco Grosso, Bosco alla Casina e Bosco al Gallo.

96 la toria S

Diversi accorgimenti furono dettati ripropose, per la seconda volta nello didascalia dall’Ispettore forestale con l’ausilio di stesso secolo, il fenomeno Evaristo Martinelli per ripristinare i dell’emigrazione. danni che i forni avevano operato Emigrazione regolata, questa volta rendendo il territorio sterile e “quasi però, da normative che introdussero lunare” e soprattutto per conformarsi nell’amministrazione l’obbligo della alla legge Torelli che non ammetteva compilazione dei registri di fondi comunali incolti e obbligava al popolazione, fino ad allora monopolio necessario rimboschimento o alla della Chiesa che redigeva invece “stati dovuta vendita degli stessi. d’anime”; su questi nuovi registri, La nuova povertà che si andò ordinatamente disposti su fogli divisi creando fu uno dei motivi che per vie e piazze, dovevano comparire: il

97 aldidentro STORIA PAESI GENTE numero delle famiglie esistenti nel V comune o che avevano residenza stabile in esso, il complesso degli individui esistenti in “ogni fuoco” (compresi i domestici, ma non gli esposti che nella Valdidentro del XIX secolo risultarono essere solo due), il numero civico, il nome della strada e chiaramente gli spostamenti effettuati da ogni singola persona. Anche il censimento della popolazione, effettuato per la prima volta il 31 dicembre 1861, aiutò a misurare il flusso migratorio dei comuni e così nella Valdidentro si ebbe l’annotazione di molte GLI ESPOSTI persone emigrate nel Canton Grigione, Per gli esposti (bimbi abbandonati) vennero compilati in Valdidentro il regolamento comunale del 20 come l’agricoltore Cristoforo settembre 1882 ed il successivo Pronfoghel domiciliato a Premadio che del 1897. nel 1861, alla veneranda età di 62 anni, In questi si stabiliva di attribuire la fu costretto a cercar lavoro lontano da spesa per il mantenimento dei minori ai casa, o Romani Agostino di 38 anni, bilanci comunali, che ottenevano di seguito Tommaso Pradella di Semogo di 29 e il risarcimento da parte della Prefettura, a cui Nicolò Bradanini di 16, che si spinsero competeva l’effettivo obbligo di curarsi dei bimbi in Svizzera e in Austria per lavorare fino all’età di 15 anni. come calzolai, o ancora i fratelli Per ognuno dei ragazzi veniva quindi staccato un Giuseppe ed Elia Bellotti che, pur assegno che poteva risultare: mensile, trimestrale o non possedendo un proprio semestrale e che variava a seconda dell’età del beneficiari (10 mestiere, tentavano la fortuna lire per i più piccoli e 2 lire per i più grandi). fuori dal territorio Gli esposti venivano inoltre schedati dall’Amministrazione valtellinese. comunale in “da latte” o “da pane” (a seconda che fossero stati svezzati oppure no); ad essi veniva inoltre cambiato il nome, assegnata una nutrice, definito un corredo, applicata una medaglietta al collo su cui compariva un numero identificativo e l’anno di nascita ( che doveva essere restituita al Comune in caso di morte del bambino per concludere la remunerazione prefettizia alla famiglia) e redatto un apposito libretto chiamato“libro di scorta” su cui venivano annotati i doveri dei nuovi genitori. Al Sindaco, prima di accettare l’esposto, competeva l’obbligo di utilizzare i registri di stato civile per cercare d’identificare la famiglia d’origine. Ogni Comune aveva una Commissione di Patronato (composta dal Sindaco, dal Parroco e dal medico condotto) per sorvegliare il buon mantenimento e la buona crescita degli esposti. L’eventuale adozione del bimbo faceva istantaneamente cessare l’ingerenza dell’Amministrazione provinciale e la somministrazione del corrispettivo economico.

98 la toria S

Ognuno di questi emigranti fu Se prima del 1869 si espatriava in vincolato a richiedere, prima di lasciare Svizzera e Austria, dopo tale periodo si la propria patria, il passaporto al aggiunse fra le mete anche l’America, Governatore provinciale (e più tardi al come ci ricorda il calzolaio di Pedenosso Giovanni Berbenni, già delegato di pubblica sicurezza della vedovo all’età di 26 anni, o ancora la Prefettura di Sondrio), sul quale ricerca effettuata dal Comune di compariva: “passaporto rilasciato a… di Valdidentro per ritrovare, a nome dei professione… nato a…domiciliato parenti, un certo Marco Bellotti, a…per recarsi in…con motivazione di emigrato il 3 dicembre 1873 in viaggio per ……” a cui seguiva compagnia di Pietro suo omonimo di l’elencazione dei connotati personali, Pedenosso, mai più rintracciato. ovvero: età, statura media, viso, capelli, Anche l’Argentina divenne un luogo ciglia, occhi, naso, bocca, fronte e segni ambito per trovare lavoro, fatta particolari (dette “marche visibili”). eccezione per il solo anno 1885,

99 aldidentro STORIA PAESI GENTE quando risultava essere, su un d’origine e nel 1872 trentuno di V dispaccio emesso della Provincia di diressero in Svizzera. Sondrio, in precarie condizioni per Disperata si fece la situazione nel sostenere altre bocche da sfamare. 1884 in cui lasciarono la Valle ben Fu così che da un 1868 quaranta persone rivolte a Buenos caratterizzato da soli tre emigranti, Aires, Montevideo e nell’America del calzolai e cantonieri, si passò ad un nord. 1869 con ben undici partenze di sarti, Ognuno dei partenti era agricoltore agricoltori, “legnamai”, fra cui l’intera e bracciante (allora comunemente famiglia di Gabriele Canclini. detto giornaliero), e fra questi, diciannove erano proprietari terrieri, Nel 1870 emigrarono in nove, tutti dodici dei quali , alla disperazione, agricoltori (evidentemente la terra non ipotecarono ogni loro possedimento bastava più a sostentare la per ottenere i soldi necessari per il popolazione); nel 1871 ben viaggio. ventiquattro fra domestiche, contadini didascalia e calzolai si allontanarono dal paese Chi si tratteneva in patria spesso arrotondava le proprie entrate con il Ccontrabbando e molti furono per questo gli interventi della Pretura e del Tribunale di Sondrio in quel periodo. Chi invece evitava di andare contro la legge doveva trovare nuovi lavori e, alla ditta Bernina che gestiva esemplarmente lo stabilimento balneare dei Bagni Vecchi e Nuovi (con una licenza rilasciata il 1 giugno 1869), si affiancarono a servizio della popolazione locale, e non solo, l’osteria di Isolaccia gestita da Gervasio Martinelli, le due di Semogo di Eugenia Martinelli e Antonio Gurini, le quattro di Premadio di Arcangelo Romani, Martino Peccedi, Marianna Cola e Giovanni Bellotti , la III e IV Cantoniera rispettivamente di Leonardo Manfredi e Carlo Gobbi e l’osteria di Fraele di Haffer Elisabetta, tutte licenziate nuovamente a far data dal 26 luglio 1868. Questi furono i primi segni tangibili di un “rudimentale

100 la toria S

didascalie turismo” che si consolidò con pienezza solo a metà del XX secolo. Negli Hotel di prestigio dei Bagni furono permessi i giochi d’azzardo, fra i quali si preferivano il “tresette, i tarocchi, la briscola, la bazzica, il gioco delle palle e quello della mora”; tutti intrattenimenti atti a rendere più piacevole il soggiorno dell’elegante clientela che li stanziava. Necessitava inoltre, per garantire la quiete del luogo, che gli esercenti nel tempo massimo di ventiquattro ore denunciassero gli ospiti che potevano risultare sgraditi alle autorità di pubblica sicurezza, presentando idonee schede di notifica su cui comparivano: nome e cognome del forestiere, patria, età, professione, provenienza o direzione, carte di cui esso era munito ed eventuali osservazioni in merito. Sovente infatti la gestione dei luoghi di ricovero era minacciata da incursioni di bande armate, come nel caso del 9 giugno 1870 in cui fu

101 aldidentro STORIA PAESI GENTE richiesta alla Pretura del Mandamento Vennero pertanto incaricati: V una maggior protezione per il transito Giuseppe Alschenert , Luigi Valgoi e notturno di alcune losche figure, che Engenio Martinelli di Semogo e dopo aver percorso il territorio di Gervasio Martinelli, suo figlio Livigno, attraverso la torri di Fraele, Giovanni e Pietro Martinelli giunsero proprio nella Valdidentro. d’Isolaccia, quali “scrupolosi custodi sempre provvisti d’arma da fuoco”. didascalia Altro pericolo per la sicurezza Già a partire dal 1849 gli animali pubblica era rappresentato dalle bestie Aferoci fra cui lupi, volpi, avvoltoi, pericolosi costituivano però un aquile e orsi, che vivevano indisturbati problema, tanto che parte del bosco di in zona; a tale proposito il 13 luglio Arnoga bruciò per il fuoco acceso da 1872 la Prefettura di Sondrio autorizzò un pastorello nel tentativo di tener il Sindaco di Isolaccia ad effettuare e lontano l’orso dal suo gregge. dirigere la caccia all’orso sul I PASCOLI proprio territorio, caccia che E GLI ALPEGGI doveva servire a garantire ogni pascolo e alpeggio Consapevoli del fatto che ogni cambiamento comunale. amministrativo si basa inevitabilmente sulla rivisitazione e la definizione dei propri beni, che definiscono il patrimonio disponibile di cui avvalersi per ogni intervento sanitario, culturale ed edilizio del territorio, anche la Valdidentro si occupò di locare “a corpo e non a misura” i propri alpeggi (la montagna doveva cioè venir “locata entro i confini in cui si trova attualmente nel Comune”) affidandosi alla divisione introdotta da Leoprando Sermondi nel 1605 e successivamente, con piccoli cambiamenti, confermata nel 1613. Il primo alpeggio ad essere locato nel XIX secolo in Valdidentro fu quello “pascolivo di Fraele“ (spettante anticamente ai frazionisti di Premadio, Molina e Turripiano che potevano beneficiare del pascolo previo pagamento al locatore di una somma definita dallo stesso) che iniziò il suo affitto con un “patto informale” ad Andrea Cappelli il 22 agosto 1813. Ad esso seguì un regolare contratto, per il periodo 1815- 1823, che apportava all’esattoria comunale un fitto annuo di 281 lire e 210 centesimi, da ottenere in monete d’oro e d’argento, come indicava la normativa del 18 aprile 1816. Altro alpeggio su cui la Valle poteva contare era quello di Verva, che l’asta dell’agosto 1821 (fatta attenendosi alle norme stabilite dal decreto 1 maggio 1807) attribuì a Giovanni Baggi di Piangaverina nella Provincia di Bergamo per il novennio 1822-1830, al fitto annuo di 221 lire, vincolate alla modalità contrattuale detta “a rose e spine” ovvero “a tutto comodo o incomodo del conduttore dell’alpe” che non poteva rivalersi sul Comune, o recedere dal contratto, anche durante i momenti spiacevoli che esso avrebbe malauguratamente incontrato. Le locazioni seguenti per tal alpe furono quella del 17 giugno 1830 a Giacomo Scardi di Bergamo, e ancora quelle del 1840- 1848, 1858-1866 , 1867-1868, 1869-1877, 1883-1886, 1886-1888, 1893-1895 e 1896-1898.

102 la toria S Terzo alpeggio piuttosto remunerativo per il Comune era quello di Resaccio, di cui si conoscono i soli capitoli del contratto stipulato per il periodo fra 1847 e il 1855, senza purtroppo conoscere l’indicazione del locatario. Questo poteva stanziarsi in alpe dopo il deposito di 40 lire di cauzione nelle casse erariali e l’accettazione da parte della Deputazione comunale di una fidejussione presentata da chi gli donava sicurtà (garanzia); ad esso spettava obbligatoriamente anche la discesa a valle entro il 10 di settembre di ogni anno, con tutto il bestiame. La locazione sopraccitata escludeva però i pascoli del Bosco di Pettino che spettavano di competenza ai comunisti di Pedenosso. Il 28 maggio 1861, in riferimento alla supplica rivolta dai vicini di Semogo alla Giunta municipale di Valdidentro per la scarsità di pascoli appartenenti alla stessa frazione, si ridefinirono i fitti annui degli alpeggi comunali di Arnoga, Foscagno, Stablogimelli e Formesana locati, per nove anni consecutivi, a Luigi Valgoi e Giovanni Rocca in cambio di un fitto annuo di sole 402 lire italiane, anziché le 484 austriache richieste nella precedente affittanza del 14 novembre 1851 allo stesso Rocca e a Cristoforo Anzi, padre del botanico Martino. Il 27 febbraio 1878 si ridefinirono i contratti novennali degli alpeggi di Verva, Resaccio e Fraele e si determinò che l’affittuario dell’alpe Resaccio fosse esentato dal costruire la cascina come precedentemente gli era stato richiesto. Con l’alpe Verva s’intendeva affittato anche gran parte del bosco del Conte, che più volte fu identificato e confuso con la denominazione dell’alpeggio stesso. didascalia

103 aldidentro STORIA PAESI GENTE Nel 1874 il Ministero La caccia all’orso in Valdidentro si V dell’Agricoltura, Industria e concluse con l’ultimo segnalato ed Commercio sovente fu interpellato per ucciso nel 1913. elargire premi in denaro ai valorosi Per garantire infine la possibilità cacciatori, come nel caso delle 24,70 d’esercitarsi con le armi da fuoco, Luigi lire consegnate a Giuseppe Krapacher Zazzi, presidente della Società per l’uccisione di una piccola orsa. Mandamentale Bormiese del Tiro a Ancora il 13 giugno 1875 si Segno Nazionale, istituì nella località nominarono appositi incaricati per Fossoir, proprio sul Comune di tutelare le greggi, eleggendo Giacomo Valdidentro, un deposito di cartucce Mazzoni fu Giovanni Maria ed altri da per l’esercizio del tiro a segno che lui scelti, e concedendo la possibilità di ottenne la regolare autorizzazione il 29 detenere armi nelle malghe se fossero maggio 1892. state minacciate dall’imminente pericolo, come avvenne per il pastore Giovanni Donati. Ancora Krapacher aiutato da Celso Pienzi e Domenico Martinelli furono premiati nel 1875 per l’uccisione di un’ orsa, il 26 gennaio 1876 per una successiva e il 10 agosto dello stesso anno “per il buon lavoro su due maschi adulti”. la toria S GLI INIZI DEL 1900

Siamo agli inizi del ventesimo Sulla Cima del Monte Scale invece, secolo. La Valdidentro come tutti gli a 2.500 metri di quota, era stato altri Comuni dell’Alta Valtellina, e realizzato un Forte, ora restaurato e come tutti i Comuni d’Italia, si avvia a visitabile. Esso serviva da integrazione diventare il moderno comune di oggi. ed appoggio al Forte di Oga e fu Arriva la luce nei paesi e nelle case, costruito negli anni 1911-1912. arrivano le prime, sbuffanti, automobili. Ma due fatti caratterizzano Per realizzarlo fu portata a termine in modo particolare questo inizio in tempi molto brevi l'agevole secolo: la Grande Guerra 1915-1918 e mulattiera che si stacca nei pressi delle l’inizio dello strettissimo connubio che Torri di Fraéle, a1.941 metri di quota. esiste tuttora tra il territorio della Essa servì pure per trasportare i Valdidentro e l’Azienda Energetica di cannoni da posizione e le munizioni Milano anzi, come si chiamava allora, pesanti con le quali il Forte Ricovero l’Azienda Elettrica Milanese. Le montagne dell'Alta Valtellina furono teatro, dal maggio del 1915 al novembre del 1918, di eccezionali avvenimenti legati alla I Guerra Mondiale. La Guerra Bianca, il fronte della Prima guerra mondiale che vide come protagoniste le vette e le nevi di queste montagne, costringeva i soldati di entrambe le parti a dover combattere, prima ancora che col nemico, con condizioni di vita e atmosferiche ai limiti dell'impossibile. La Valdidentro ha dato molto in termini di territorio e di strategia militare e sono in particolare tre gli elementi importanti da ricordare a questo proposito: lo stabile dei Bagni Nuovi, la cima del Monte Scale e l’alta Val Forcola. Il Grande Albergo Bagni Nuovi, divenne la sede stabile del Comando dell’intera area militare dell’alta Valtellina: tutti gli ordini, contrordini, tutte le strategie, giuste o errate, partivano da qui.

105

aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Vetta di Monte delle Scale - come era Il 1900 è un secolo in cui la storia e chiamato - fu man mano equipaggiato. lo sviluppo di una valle si intrecciano in modo inscindibile con gli impianti L'importanza difensiva di questo dell’Aem: in Alta Valtellina, è Forte, nel caso di un'invasione simboleggiato infatti dalle grandi austriaca dalla parte dello Stelvio o costruzioni idroelettriche. dalla parte dei neutrali territori svizzeri L’Azienda Elettrica Municipale di a nord della Valle di Fraéle, sarebbe Milano nacque l’8 dicembre del 1910 stata molto grande. Il 20 luglio 1917 il dopo che il 10 aprile dello stesso anno re Vittorio Emanuele III in persona, a un referendum popolare aveva sancito confermare la forte considerazione la municipalizzazione dell’energia tattico-militare di cui godeva il Monte elettrica. I votanti furono 16.562 dei Scale, visitò il suo Forte, percorrendo quali ben 15.059 si schierarono in su di un camioncino "Itala" detto senso favorevole. L’Azienda iniziò così Muletta la mulattiera delle Torri di la sua attività il 1° gennaio del 1911: Fraéle e di lì proseguendo poi a piedi il Comune di Milano trasferì all’AEM sino alla vetta. tutti gli impianti costruiti negli anni precedenti, fra i quali anche la Anche la zona del Passo della struttura di Grosotto entrata in Forcola fu molto importante funzione il 16 ottobre del 1910. strategicamente, in quanto dominava il La domanda di energia elettrica crebbe Passo dello Stelvio ove erano attestati in modo esponenziale nel secondo gli austro-ungarici. Lì fu costruita una decennio del Novecento: le esigenze grande Caserma militare. della produzione nel periodo della

110 la toria S un salto di 513 metri, l’acqua raccolta dal canale Viola raggiungeva le turbine della centrale ubicata a Rasìn. Anche negli anni del fascismo la presenza dell’Aem si caratterizzò per un periodo di crescita. Come obbiettivi primari, infatti, non solo il guerra, il divario notevole tra le portate potenziamento degli impianti già estive e quelle invernali dei fiumi realizzati ma anche la costruzione ex richiese costanti investimenti novo di strutture fondamentali per un all’Azienda, che non riusciva più, a far servizio di trasmissione più rapido e fronte alle richieste. Nel 1922 i tecnici sicuro. Nel 1939 l’Aem iniziò la predisposero un progetto per costruzione di un secondo grande immagazzinare l’acqua in quota al fine invaso a Cancano, la diga di San di arginare i perenni pericoli di black Giacomo, ubicata a monte di quella di out: in programma la costruzione di un Cancano, opera che sarà continuata, imponente serbatoio, da costruirsi in pur con qualche logico ritardo, anche val Fraele. Un intervento che alla fine durante la seconda guerra mondiale. si concretizzò nella realizzazione di un Proprio la difesa di questi due invaso di circa 24,5 milioni di metri sbarramenti, data la loro importanza cubi, alto ben 43 metri, impianto strategica ed economica per l’intera ultimato nel 1928. Quest’opera, il Regione, costituì il principale serbatoio soprannominato “Cancano obbiettivo delle brigate partigiane della I”, sancì l’inizio della presenza zona. La distruzione delle dighe dell’Azienda in val Fraele: da qui, con avrebbe infatti comportato anche

111

aldidentro STORIA PAESI GENTE l’allagamento di gran parte della valle: V su molte case, in quegli anni, fu dipinto un segnale per indicare il didascalie livello al quale sarebbe arrivata l’acqua in caso di cedimento dei laghi artificiali, oltre all’illustrazione delle possibili vie di fuga. A Cancano per molte persone, quali operai, dirigenti di Aem e partigiani, quelli furono gli anni di “Digapoli”, il villaggio costruito ai piedi della diga di San Giacomo successivamente sommerso dalle acque, per molto tempo la casa di tanti lavoratori. Da ricordare che per la realizzazione della diga di San Giacomo venne costruita una linea filoviaria di 60 chilometri con pali di cemento armato caratterizzata dai famosi “filocar”, che trasportavano i materiali dalla stazione ferroviaria di Tirano alla Prima Cantoniera dello Stelvio. Da qui il cemento proseguiva per ulteriori 7,5 chilometri per via aerea, attraverso una teleferica, fino a raggiungere quota 1950 metri in val Fraele. Al termine della II Guerra Mondiale l’Azienda riprese la propria attività e portò a termine la costruzione della diga di San Giacomo. 64 milioni di metri cubi d’acqua, un’altezza massima di quasi cento metri, una nuova struttura che funzionò da subito anche come centrale di pompaggio: pochi dati per descrivere l’invaso di San Giacomo, che all’epoca fu annoverato come il più grande sbarramento europeo per volume di calcestruzzo, intervento inaugurato il 27 agosto del 1950. All’inizio del 1952 fu inoltre dato avvio ai lavori per la costruzione della centrale di Premadio e della nuova diga di Cancano, la “Cancano II” che, ultimata nel 1956, andò a sommergere la preesistente con il suo invaso che raggiunge una capienza di 123 milioni di metri cubi.

114 L’acqua, una grande risorsa di cui la Valdidentro è prodiga. Acqua che d’inverno si trasforma in neve, neve I GHIACCIAI DELLA VALDIDENTRO che si trasforma in ghiaccio. E la Durante l’ultima grande avanzata dell’era glaciale, la storia della Valdidentro vuole glaciazione Wurmiana, le Alpi erano pressoché ricoperte concludersi così, con un pezzettino da ghiacci. In particolare l’esteso ghiacciaio dell’Adda, che di storia di coloro che sono stati scendeva dalla Valtellina, occupava l’intera area del Comasco gli artefici della costruzione di e della Brianza fino a lambire il limite settentrionale della questa bellissima valle: i suoi Pianura Padana. In seguito al miglioramento delle condizioni ghiacciai. Sono loro che per climatiche, i ghiacciai alpini iniziarono a ritirarsi. L’intervallo millenni hanno scolpito i comprensivo delle ultime fasi dell’ultima glaciazione viene suoi fianchi, dalla Val Viola designato con il termine "Tardiglaciale". Il ritiro delle masse glaciali e dalla Val Dosdè, dalla e la conseguente colonizzazione della vegetazione delle aree Val Verva alla Cima deglaciate non procedettero in modo continuo e graduale bensì in modo irregolare, con interruzioni e talora riavanzate glaciali Piazzi, tuttora regina momentanee. L’intervallo di tempo nel quale si verificarono i incotrastata della miglioramenti climatici responsabili del ritiro dei ghiacci nelle valli più Valdidentro. interne, si può datare circa 15.000 anni fa e la sua durata complessiva in 5.000 anni. La fine di tale intervallo è fatta coincidere con il limite "Pleistocene- Olocene", come lo chiamano gli studiosi del settore, posto a 10.000 anni fa. Nella Val Viola Bormina all’inizio del Tardiglaciale sussisteva un’unica grossa massa glaciale che comunicava a Nord (attraverso il Passo del Foscagno e quello di Trela) con il ghiacciaio di Livigno, verso Ovest (tramite il Passo Viola) la colata stabiliva un collegamento con il complesso glaciale di Campo, in Svizzera. In tale epoca il ghiacciaio congiunto Viola-Adda-Frodolfo si estendeva sino nei pressi di Zola (Valdisotto 1140 m) e lo spessore che presentava lo si può ricostruire idealmente tracciando una linea che va da S.Pietro alle Motte d’Oga. L’Olocene sulle Alpi fu caratterizzato da ripetute fasi di avanzata, articolate a loro volta, in un numero di fluttazioni minori. Il grado di estensione di queste avanzate è comparabile a quello della Piccola Età Glaciale, la fase di avanzata glaciale culminata tra il 1600 e il 1850. Ne sono testimonianza la deposizione di caratteristici accumuli di materiale morenico ancora oggi scarsamente vegetati e ben distinti da quelli più esterni di età tardiglaciale. Un'avanzata di entità minore è avvenuta anche intorno al 1920; dopo tale data si assiste ad un accentuato ritiro, interrotto soltanto da una modesta inversione di tendenza nel decennio 1970-1980 esauritasi già negli anni intorno al 1990. Merita di essere descritto il fenomeno di deviazione glaciale avvenuta nel bormiese nell’Olocene e per la prima volta proposta negli anni ’30 del secolo scorso dal Prof. Giuseppe Nangeroni, emerito studioso di glaciologia dell’Università Cattolica di Milano, come ipotesi e in seguito consolidata da ritrovamenti rocciosi dal Prof. Italo Bellotti, nativo di Isolaccia, professore di lettere e poi preside della scuola media Martino Anzi di Bormio e operatore glaciologico dal 1953. Il prof. Nangeroni sosteneva che la colata glaciale alimentata dai ghiacciai del Viola-Dosdé- Piazzi giunta alle Motte d’Oga non poteva, se non in minima parte, proseguire verso la Valtellina perché contrastata dalla spinta ben maggiore delle colate provenienti dallo Stelvio e dalla Valfurva. La maggior parte della massa glaciale rigurgitava indietro innalzando sempre più il ghiacciaio al punto di farlo tracimare verso la Val Vezzola-Trela-Val Fraele per procedere poi verso la Val del Gallo. Conferma di quell’ipotesi sono le evidenti striature causate dall’abrasione glaciale tuttora osservabili su un masso roccioso in Alpe Trela completamente levigato dal passaggio di un antico ghiacciaio le cui direzioni sono rivolte a Nord verso la Valle di Fraele. Negli anni successivi il Prof. Bellotti continuò il lavoro di misurazione dei ghiacciai del gruppo Piazzi-

115

la toria S Dosdè e Campo nel livignasco, iniziato nel 1932 dal già citato Prof. Nangeroni. Durante una campagna glaciologica trovò sulle montagne che coronano la Cima Piazzi verso la Val Verva numerosi massi di una roccia di notevole bellezza per la sua particolare cristallizzazione. Si tratta di una diorite anfibolica, più dura del granito. La stessa roccia la rinvenne anni più tardi in Val Fraele poco sopra la chiesetta di S. Giacomo, anch’essa appare completamente levigata ad opera di un ghiacciaio. L’appartenenza di una roccia di tale tipologia alla Val Fraele, zona geologicamente dominata dalla formazione calcarea, appare improbabile; la roccia è quasi sicuramente originaria del Gruppo Montuoso Piazzi e qui trasportata nei millenni dall’imponente ghiacciaio, confermando l’ipotesi espressa dal prof. didascalie Nangeroni e poi dal prof. Bellotti. Quest’ultimo ha coltivato per lungo tempo, circa quarant’anni, e con grande cura la sua passione, tra le altre, inerente lo studio dei ghiacciai e le relative misurazioni. Nel tracciare la storia recente del ghiacciaio Piazzi e del ghiacciaio Dosdé non si può prescindere dalle osservazioni e dai dati da lui raccolti con costanza in ogni campagna glaciologica. I rilevamenti, iniziati nel lontano 1953, si avvalevano di una strumentazione semplice e forse poco precisa se paragonata ai moderni apparecchi tecnologici. Nello zaino metteva una corda lunga circa 70 metri, arrotolata su un bastoncino, che serviva per misurare la fronte del ghiacciaio tramite appositi segnali (contrassegni con vernice al minio, che ha la proprietà di resistere nel tempo agli agenti atmosferici) collocati su enormi massi stabili che si trovavano lungo il perimetro frontale dell’apparato stesso. Vi era sempre, poi, la macchina fotografica per documentare lo stato del ghiacciaio: la ripresa avveniva ogni anno dal medesimo punto identificato da un masso roccioso con la scritta SF (stazione fotografica) e un taccuino, per segnare i dati e le osservazioni relative alla massa glaciale compiute sul campo. Le attività principali per lo studio dei ghiacciai sono, infatti, la misurazione dell’arretramento della fronte, la determinazione della velocità d’avanzamento della colata e della profondità della colata stessa. A volte procedeva alla misurazione della velocità di flusso del ghiacciaio, cioè allo studio della dinamica del suo movimento verso valle. Il metodo utilizzato era molto semplice: vengono fissati due punti di riferimento ai lati della colata glaciale e viene quindi tesa una corda lungo la quale si introduce una serie di paline di legno equamente distanziate, che rimangono in loco. L’anno successivo si può osservare che le paline sistemate in linea retta appaiono disposte a festone, cioè più avanzate quelle centrali e più arretrate quelle laterali. Non sempre questo metodo di lavoro dava i risultati sperati, perché le paline spesso da un anno all’altro non si trovavano più e ciò vanificava il lavoro svolto. Tutto era annotato e registrato su apposite schede, che venivano periodicamente inviate al Comitato Glaciologico a Torino. I dati raccolti e la relativa documentazione fotografica riferita ad un numero di 53 apparati glaciali, sono stati raccolti e catalogati dal prof. Belletti in fascicoli che oggi rappresentano una storica documentazione. Tutto questo rileva una profonda passione per le sue montagne, vissuta in prima persona, condivisa con la famiglia, raccontata ai suoi alunni e insegnanti per tanti anni e viva e sempre presente nei ricordi delle lunghe passeggiate per raggiungere la meta, con rientro all’imbrunire.

i aesi La cultura e la spiritualità

La Valdidentro, la valle più estesa dell’alta Valtellina, è formata da paesi e frazioni, nuclei abitativi che sin da epoche remote hanno contraddistinto la valle. Si tratta in molti casi,P di un pugno di case disposte attorno ad una chiesa, ad una fontana, ad una scuola, ossia a quegli elementi che anticamente, a causa di difficoltà materiali e della penuria diffusa, costituivano i principi portanti sia della vita materiale che di quella spirituale, al fine di rendere la vita meno gravosa. Soprattutto le chiese testimoniano fermamente la vita di questi nuclei abitativi. Le chiese, attraverso il loro evolversi e modificarsi, ci raccontano la storia, la cultura, la spiritualità e la devozione della comunità. Guerre, epidemie, difficoltà hanno fortemente lasciato il segno negli abitanti delle vicinanze, che si rivolgevano alla sfera del sacro per ottenere sostegno. La gratitudine di queste vicinanze veniva poi spesso espressa direttamente nelle loro chiese di riferimento, che ancor’oggi ci testimoniano la vita e la storia di un’intera collettività. aldidentro STORIA PAESI GENTE V

120 i aesi P Le chiese della Valdidentro

SAN GIOVANNI A MOLINA

Lungo la via di transito usata un tempo per raggiungere il passo dell’Umbrail si trova la chiesa dedicata a S. Giovanni Battista. Si tratta di una piccola chiesetta ad aula unica con loggiato e pianta rettangolare, attestata sin dal 1402. La chiesa un tempo era mantenuta dalla vicinanza di Molina e faceva capo alla parrocchia di S. Gallo. La parte esterna, rimaneggiata nel corso degli anni, conserva sulla facciata sud i frammenti di un affresco raffigurante il “grande S. Cristoforo”. Purtroppo l’aggiunta del campanile nel 1540, di cui era sprovvista la chiesa primitiva, comportò la mutilazione del grande santo che regge il bambino Gesù sulle spalle e alla cui immagine la credenza popolare antica attribuiva la capacità di evitare la morte improvvisa. Il santo raffigurato nel frammento era molto venerato nel bormiese, tanto cha la sua immagine gigantesca era effigiata su facciate e navate di molte chiese del bormiese. L’affresco, per la limitata gamma dei colori usati e per la staticità dei personaggi, sembrerebbe riconducibile a mano di artista valtellinese del XV secolo. La chiesa delle origini era più piccola dell’attuale; il tetto aveva spioventi molto più accentuati con capriate a vista sostituite dall’attuale volta nel 1553. Il coro era di dimensioni ridotte ed affrescato; nulla rimane di queste pitture, andate perse a seguito del rifacimento della parte absidale alla fine del XVII secolo. Elemento di pregio e opera d’arte significativa della chiesa è la piccola aldidentro STORIA PAESI GENTE ancona lignea che adotta la V forma del Flügelaltar, rispettando un modello in auge nella zona tra il 1400 ed il 1500. La piccola ancona o “trittico”, riconducibile alla fine del XVI o inizio del XVII secolo, è costituita da una parte centrale dotata di antine richiudibili su se stesse. La funzione di questi piccoli altari, caratteristici di tutte le chiese locali antiche, era quella di creare un effetto “scenografico”; l’altare veniva aperto in occasione di particolari festività e conferiva “teatralità” e significato alla liturgia in essere, quasi a voler inscenare una piccola sacra rappresentazione. L’altare, aperto in occasione di ricorrenze particolari, quali la festa dei santi titolari, rimaneva poi chiuso per la restante parte didascalia dell’anno.

122 i aesi P Ad ante chiuse l’ancona della chiesa all’area o ad artista di provenienza di Molina ci mostra le immagini di nordica, l’insieme è indubbiamente santi molto venerati in loco: San Carlo apprezzabile per la ricchezza delle Borromeo, il santo sostenitore dei decorazioni e per i particolari dati dai principi della controriforma ed motivi vegetali e a racemi che decorano invocato in aiuto contro la peste, e San l’insieme, per la buona resa della Filippo Neri, patrono dei giovani. Le doratura e per la genuinità delle figure figure dei due santi, dipinte su tela, realizzate. vennero applicate successivamente sugli Nella chiesa si conservano inoltre tre sportelli lignei dell’ancona. Ad ante interessanti acquasantiere a muro, aperte l’altare ci mostra al centro testimonianti l’opera di qualificati l’immagine della Vergine Maria con il lapicidi che operarono nelle nostre Bambino in braccio ed ai lati i due valli. In prossimità della porta di Giovanni: il Battista, come di consueto ingresso la grande acquasantiera è vestito di pelli, e l’Evangelista, che modellata con motivi a squame, regge il calice contenente la vipera, suo elemento decorativo raramente tipico attributo iconografico. La vipera utilizzato nel bormiese, mentre quella vuole ricordare un miracolo che fissata sul loggiato è sagomata a foggia occorse a S. Giovanni il quale, avendo di elegante e raffinata conchiglia. bevuto da un calice contente del Degna di nota è pure la casa di veleno, rimase immune e resuscitò colore rosato posta di fronte alla chiesa pure le due persone che, avendo di S. Giovanni. La casa è conosciuta bevuto dallo stesso calice prima di lui, come “casa del Monico”. L’edificio, di furono colpite da morte improvvisa. pertinenza un tempo della chiesa di Sulle ante aperte vi sono le San Giovanni, era tradizionalmente immagini scolpite a bassorilievo di San abitato dal sagrestano addetto alla Giacomo Maggiore patrono dei custodia della chiesa. pellegrini ed un altro santo didascalia comunemente ritenuto San Gallo, pur se non accompagnato da sufficienti attributi iconografici tali da poter confermare la precisa identità dello stesso. L’ancona conserva inoltre nella parte centrale la testa decollata del Battista ed al culmine la Crocefissione raffigurata secondo il canone classico, dove a lato della croce si trovano la Madonna e l’apostolo più caro a Gesù, San Giovanni apostolo. L’ancona, databile intorno alla fine del 1500, rappresenta un’opera di pregio artistico e storico ben radicato nel territorio locale. Nonostante le statue siano tozze e rigide nei loro atteggiamenti, elementi che ci consentono di avvicinare l’ancona

123 124 i aesi P SAN GALLO

Isolata nella campagna della piana l’edificio originario si dimostrò ben che dalla chiesa prende il nome, con presto insufficiente per le nuove uno svettante campanile che cosí competenze che il piccolo edificio si fortemente caratterizza l’ambiente trovava a svolgere. Si rese dunque circostante, la chiesa di S. Gallo è ricca necessario adattare la chiesa alle di storia e di arte. Le antiche origini esigenze che il nuovo titolo implicava, rimangono ancora avvolte nel mistero. così che nel 1478 le tre vicinanze Non ci è dato conoscere la sua esatta diedero inizio all’ampliamento data di fondazione, pur se è uso locale dell’edificio. Della costruzione ricondurre l’esistenza della chiesa ad preesistente fu mantenuta la sola parete un’età remota nella quale si suppone sud mentre i restanti lati furono estesi che si trovava presso la chiesa forse un e venne aggiunto pure il loggiato fortilizio, oppure un ricovero per interno che tanto qualifica l’edificio, pellegrini o forse ancora un antico grazie anche al gioco di nervature monastero. Di tutte queste congetture, eseguite sull’arco di sostegno dello nulla appare negli antichi documenti. stesso. I lavori procedettero La prima citazione certa della chiesa speditamente tanto da rendere risale al 1243, epoca in cui la chiesa era possibile la consacrazione della chiesa diversa rispetto all’attuale. I recenti già nel 1480. Espediente di successo restauri e scavi archeologici hanno per l’arredo e la decorazione interna permesso di constatare che la chiesa dell’edificio fu la concessione da parte primitiva si limitava ad una superficie del vescovo Branda Castiglioni di di poche decine di metri quadrati, particolari indulgenze a tutti coloro che addossati alla parete meridionale avessero devoluto alla chiesa lasciti e dell’attuale edificio. donazioni. didascalie Dall’epoca della sua fondazione, S. Gallo fungeva da chiesa di riferimento per le contrade di Molina, Turripiano e Premadio, pur se i sacramenti venivano impartiti solamente nella chiesa Collegiata dei santi Gervasio e Protasio di Bormio. Proprio la lontananza da Bormio, ed un inverno particolarmente rigido che rese malagevoli gli spostamenti verso Bormio stessa, indussero gli abitanti delle tre vicinanze a richiedere al capitolo di Bormio la possibilità di elevare San Gallo a parrocchia indipendente. L’autonomia a S. Gallo venne concessa nel 1467 con soddisfazione delle tre vicinanze. La nuova dignità di parrocchiale comportó una maggiore frequentazione della chiesa, tanto che

125 aldidentro STORIA PAESI GENTE I parrocchiani si dimostrarono dalle tinte di terra delicate. Entro V nell’occasione particolarmente solerti, queste aree sono dipinte le immagini di così che S. Gallo venne adeguatamente quei santi che tanto cari dovevano arredata, vennero affrescate le pareti e apparire alla popolazione dell’epoca. fu fatto realizzare il pregevole trittico Sulla parete di sinistra si trova un attualmente conservato nella chiesa Sant’Antonio dal volto espressivo e parrocchiale di Premadio. bonario, con abito scuro dal panneggio Notevole è la qualità artistica degli morbido; il santo è raffigurato con i affreschi parietali, dei quali ci è ignoto suoi classici attributi: il bastone, il il nome dell’artista che li realizzó nel libro, il campanellino. Ai suoi piedi si 1482. Si tratta di alcune figure di santi trova uno sgraziato maialino. eseguiti a grandezza reale, dai colori Accanto a lui, mutilato da un varco molto vivaci, racchiusi entro cornici aperto successivamente, si trova un santo vescovo non meglio identificato. Anche questo personaggio, come Sant’Antonio, ha un’espressione molto intensa e il viso finemente delineato; in mano regge un libro ed in testa ha il pastorale. Al di sopra di queste figure, sta una pregevole e raffinata figura femminile in trono, probabilmente raffigurazione della Vergine o forse di una santa incoronata. Purtroppo il restauro ci ha restituito questa immagine solo in parte e da quel poco che ci rimane si percepisce il lavoro di un artista di rilievo, con sapienti capacità tecniche e capace ed efficace uso del colore. Sempre il lato destro della chiesa didascalia conserva una nicchia successivamente aperta con funzione di battistero. Nella parte alta si conservano ancora tracce di un dipinto raffigurante San Giovanni che battezza Gesù (1717); autore di questi dipinti fu il Noalino, artista attivo pure alla chiesa della Madonna della Pietà di Turripiano. Pregevole è pure il battistero a

126 forma di cupola qui conservato, risalente al XVIII secolo. Di grande interesse iconografico appaiono i dipinti conservati lungo la parete sinistra della chiesa, riconducibili anch’essi alla fine del Quattrocento e racchiusi come quelli della parete opposta, entro ben dettagliati spazi. Accanto ad un frate francescano non identificabile, ci sorprende la figura di un bambino ignudo, legato, steso su una tavolozza di legno, con un cappio al collo e con spilloni e altri strumenti di tortura posti accanto al corpicino. Si tratta di San Simonino martire, il bambino brutalmente ucciso nel 1475 e del quale si conobbe nel bormiese una presta e sentita venerazione, tant’è che la sua immagine venne riprodotta pure sulle pareti della chiesa di S. Spirito e su quella dei Santi Gervasio e Protasio in Bormio. Sull’arco trionfante si conserva la figura di San Sebastiano, raffigurato come di consueto nudo con il corpo trafitto da frecce; il santo veniva invocato contro il morbo pestilenziale. La chiesa di San Gallo ha subito numerose modifiche nel corso della sua lunga storia; sono ancora chiaramente percepibili le tracce di aperture, di tamponamenti e di modifiche effettuate nel corso dei secoli per assecondare l’edificio sia alle esigenze ecclesiastiche che al gusto architettonico delle diverse epoche. Un tempo la chiesa era dotata di due altari laterali dedicati uno alla Beata Vergine ed uno a San Carlo Borromeo (sostituito poi con quello della confraternita del Disciplini). Gli altari vennero demoliti in seguito all’ordine ricevuto dal visitatore apostolico Feliciano Ninguarda (1614 - aldidentro STORIA PAESI GENTE 1615). Grandioso doveva essere pure il maggiore raffigurante San Gallo V ciborio ligneo dorato (XVII secolo) accompagnato dall’orso, suo classico posto sull’altare maggiore, del quale attributo iconografico. rimangono solo poche sbiadite immagini. Si trattava di un altare di La parte absidale che ammiriamo grande pregio, realizzato a più piani, ancor oggi, è frutto di una arricchito da colonnine, racemi, statue ricostruzione assegnabile al 1631. In di santi e terminante con una vistosa quest’anno venne infatti demolito il statua del Redentore. Purtroppo la preesistente coro a volta e sostituito noncuranza e la trascuratezza che la chiesa di San Gallo ha conosciuto con l’attuale, definito nella parte dopo il suo abbandono a seguito della mediana con un cornicione dentellato, perdita della dignità parrocchiale decorazione caratteristica del gusto (1833), ha fatto sì che questa antica e barocco dell’epoca. preziosa opera d’arte andasse persa. Quanto non fu rubato venne Degna di nota è pure la struttura purtroppo vandalicamente incendiato architettonica esterna della chiesa, con negli anni 1980. Di tutta questa facciata a capanna, rosone e tetto monumentale opera si conserva ora fortemente a spiovente. Lo svettante solamente la predella che funge da campanile definito nella parte angolare sostegno per la statua dell’altare didascalia da decorazioni geometriche ?????????

128 i aesi P SAN CRISTOFORO A PREMADIO

Come tutte le chiese della zona, molte delle nostre chiese - San anche la chiesa di San Cristoforo ha Giovanni a Molina per ricordarne una conosciuto, nel corso dei secoli, una - ma grande doveva essere la sua lunga storia fatta di rifacimenti e venerazione se l’immagine del santo è modifiche sino al totale e definitivo effigiata pure spesso anche all’interno abbandono dell’edificio avvenuto nel di edifici sacri. Cristoforo è un santo 1972 a seguito della realizzazione della asiatico del III secolo. Reprobo, questo nuova e più capiente chiesa, che meglio il suo nome originario, era di statura si prestava ad ospitare la popolazione molto grande. Suo desiderio era quello di Premadio e frazioni, ormai molto aumentata di numero, per la quale di lavorare per l’essere più potente l’antica chiesa era ormai totalmente della terra: dopo aver prestato servizio insufficiente. e successivamente abbandonato un grande re e per il demonio perché non La chiesa di San Cristoforo compare sufficientemente potenti, si mise a per la prima volta in una citazione del 19 ottobre 1397, secondo cui la chiesa doveva esistere a quell’epoca già da alcuni anni. L’edificio era certamente molto più piccolo dell’attuale ed era utilizzato dalla sola comunità di Premadio in occasione di particolari festività e celebrazioni, essendo chiesa parrocchiale di riferimento, per Premadio, dapprima la chiesa dei SS. Gervasio e Protasio di Bormio e dal 1467 la chiesa di S. Gallo. E’ probabile che la piccola chiesa delle origini fosse affrescata sia all’esterno che all’interno, ma di cio’ non ne rimane traccia alcuna. Il loggiato che ancor oggi corre tutt’attorno alla chiesa, sebbene rifatto in muratura agli inizi del 1900 in sostituzione di quello ligneo, caratterizzava già la chiesa primitiva. Di impatto risulta pure il campanile della chiesa, innalzato nel 1690, terminante con una bella cuspide slanciata. Curiosa e interessante è la dedicazione della chiesa a San Cristoforo, santo molto venerato in tutto il bormiese, ed invocato contro la morte improvvisa. La sua immagine gigante compariva sulla facciata di

129 aldidentro STORIA PAESI GENTE traghettare dei pellegrini da una parte riconosciuta di Giovan Pietro Rocca, V all’altra di un grosso fiume. Un giorno, abile artista del legno originario di trasportando in spalla un bambino, si Oga, è costituita da due colonne che accorse del suo enorme peso, tanto che recano delle teste di angeli e a Reprobo sembrava di trasportare il decorazioni laterali a ornamenti ed mondo intero: il bimbo si rivelò essere angioletti; la parte terminale Gesù e da allora Reprobo assunse il dell’anconetta propone motivi nome di Cristoforo, ossia “Portatore di geometrici e termina con due grandi Cristo”. Da quel giorno Cristoforo si volute che si riuniscono nella parte mise al servizio di Cristo, predicando la centrale con motivi a racemi. sua parola. D’interesse è la tela (XVII secolo) L’interno della chiesa che si racchiusa nell’altare. Al centro, entro conserva attualmente è frutto di un raggi dorati, appare la figura della rifacimento ottocentesco. L’edificio si Vergine con il Bambino in braccio. presenta con un’aula unica, due piccoli Tutt’attorno sono raffigurati i 15 altari laterali e un’ampia abside. misteri del rosario, mentre in basso vi sono San Domenico, il santo molto Nella chiesa si trovano parecchie devoto alla Vergine che tanto si opere di degno interesse artistico, quali prodigò per la diffusione della pratica una piccola acquasantiera realizzata in del rosario, e Santa Rosa, in abito marmo bianco sulla quale è finemente domenicano. scolpito un grazioso angioletto, l’altare maggiore composto da marmi colorati La chiesa di San Cristoforo, sebbene e le due ancone conservate entro gli inizialmente utilizzata dai penèglia solo altari laterali. per particolari funzioni religiose, essendo San Gallo la parrocchiale di L’altare di destra custodisce riferimento per Premadio, su un’elegante opera lignea, proveniente concessione del visitatore apostolico probabilmente dalla chiesa di S. Maria Federico Borromeo del 1664 venne Nascente di Isolaccia. L’altare, usata per le celebrazioni quotidiane riconducibile al 1708, per carattere e durante i rigidi mesi invernali, quando tipologia sembrerebbe opera dello gravoso doveva essere spostarsi sino a scultore della Valdidentro Gian Maria San Gallo. Dopo un pressochè totale Donati. L’insieme è costituito da un rifacimento avvenuto nel 1842, impianto formato da due colonne Premadio ottiene la dignità decorate con motivi vegetali che si parrocchiale nel 1844, con il definitivo innalzano con delle spirali e abbandono della chiesa di San Gallo. terminante con un timpano spezzato, recante al centro la statua di San Michele. L’altare, mancante di due Tra le opere d’arte conservate a statue che dovevano essere fissate sulle Premadio, degna di nota è la piccola mensoline rette da angeli cariatidi posti ancona lignea, voluta dalla a lato delle colonne, racchiude una tela confraternita della Beata Vergine Maria dal forte cromatismo, raffigurante la per la chiesa di San Gallo, trasferita poi Natività della Vergine attorniata da nella chiesa di San Cristoforo e numerosi personaggi. custodita attualmente nella cappella Raffinato è pure nel complesso “invernale” dell’attuale chiesa l’altare di sinistra. L’ancona, opera parrocchiale. Si tratta ancora una volta di un trittico, che tanta teatralità

130

aldidentro STORIA PAESI GENTE conferiva alla liturgia quando, in semplice presepe, dove il Bambino V occasione di particolari funzioni Gesù è adagiato sul velo della Vergine. religiose, veniva aperto dando vita ad Pure la scena della Natività è dotata di una rappresentazione sacra, riccamente antine richiudibili che presentano nella scenografica, che il popolo tutto poteva parte interna due sante regine e in venerare ed ammirare. quella esterna i dipinti dei santi Rocco L’ancona in questione, nonostante e Sebastiano invocati contro il morbo la perdita di una statuina e di alcuni pestilenziale. I santi Floriano e Fedele parti decorate che coronavano sono raffigurati nella parte estrema l’insieme (perdita subita a seguito di un della predella. Nel complesso sembra furto negli anni settanta del 1900) è possibile assegnare l’ancona di ancora ben conservata. Al centro la Premadio alla metà del XV secolo. statua della Vergine con il Bambino e L’opera conserva tratti tipicamente alla destra San Giovanni Battista nordici, da cui si deduce la provenienza vestito di pelli. La parte interna delle o quantomeno la realizzazione da parte antine presenta da un lato l’allegoria di artista formatosi nelle regioni di della fede e dall’altro quella della lingua tedesca. Le statue appaiono Carità, entrambe raffigurate ad alto statiche e inespressive, indossano abiti rilievo su uno sfondo dorato decorato dai panneggi secchi e duri; da raffinati motivi vegetali. Le ante particolarmente raffinato si presenta esterne riproducono San Martino di invece il fregio di gusto gotico che Tours accompagnato dall’oca, suo decora l’intera anconetta, mentre la attributo, e Sant’Antonio abate, scena del presepe conferisce a tutto raffigurato con il maialino ai piedi. Al l’insieme un tocco di dolcezza e di centro della predella si trova un vivace narrazione popolare. i aesi P SAN MARTINO AI BAGNI

Sin dal basso medioevo esisteva nella località conosciuta come i “Bagni di Bormio” un nucleo abitativo composto dall’ospizio per i viandanti, dai bagni, dalle fortezze poste a tutela dell’intero Contado e dalla chiesetta dedicata a San Martino, il santo soldato deputato alla salvaguardia del luogo. Incerte sono le origini della chiesa, pur se alcuni storici locali la ritengono di probabili origini carolinge, mentre altri ancora fanno risalire la sua fondazione al 1093, quando il vescovo Artico in visita a Bormio dotò una cappella ai Bagni dedicandola al santo di Tour. In realtà la prima citazione archivistica che ci informa dell’esistenza della chiesa risale al 1201, quando la chiesa è citata nell’ambito del trattato di pace stipulato fra Como e Bormio, trattato che impose a Bormio la demolizione che dà sulla navata ed una che dà sul Pagina a fronte: delle fortezze costruite da poco, ma che loggiato interno, utilizzato un tempo, Isolaccia a inizio risparmiò la chiesa e gli edifici legati ai come consuetudine in loco, dai soli 1900, con la chiesa del ‘500 abbattuta e Bagni. Dopo il 1201 i documenti uomini. ricostruita con diverso relativi a San Martino tacciono sino al Certamente la facciata nord, dove si orientamento nel XVI secolo, epoca i cui la chiesa venne trova la porta d’accesso, doveva essere 1938. parzialmente ricostruita. A quell’epoca affrescata, come testimoniato da alcuni l’edificio disponeva di un porticato saggi liberati dall’intonaco sovrastante e esterno che le correva tutt’attorno, di che solamente un restauro non più ossario e cimitero, elementi tipici rimandabile potrà svelarci. dell’architettura ecclesiastica della Pure le pareti interne erano Valdidentro, che furono purtroppo completamente affrescate; di queste eliminati a San Martino nel corso di pitture alcune sono ancora un pesante rifacimento eseguito nel XX sufficientemente leggibili, mentre altre secolo. sono state ricoperte o sono solo Come ci appare ora San Martino è malamente intuibili. Sulla parete di un minuto tempio ad aula unica, destra si conserva un affresco dai colori arroccato sul pendio e sostenuto nella di terra e dai tratti molto marcati, che parte absidale da una grande arcata. reca al centro la Vergine con il L’esterno è semplice, la struttura è Bambino affiancata da S. Barbara con aggraziata da un piccolo campanile, da il calice e l’ostia e da altre tre Sante. Il un giardino-sagrato (l’antico cimitero) e dipinto è realizzato usando una gamma dispone di due porte d’ingresso, una di limitati colori di terra. Il forte

133

aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE linearismo, il grafismo accentuato e la tortiglione lasciano intuire parte di una V presenza di alcuni elementi ricorrenti Crocifissione. Pure il catino absidale nelle opere dell’artista, hanno era un tempo completamente dipinto. consentito di attribuire il dipinto alla L’artista che si occupò di questa mano dell’artista conosciuto come decorazione, eseguita nel 1564, fu Giovannino da Sondalo (in realtà il Cipiano Valorosa, il longevo pittore di pittore – che forse non si chiamava Grosio che con la sua bottega fu nemmeno Giovannino - era originario particolarmente attivo in tutta la di Grosotto), l’artista valtellinese Valtellina. Dell’opera dell’artista maggiormente attivo in alta valle a grosino è ora visibile la sola immagine cavallo fra il XV e il XVI secolo. E’ di San Martino che divide il possibile individuare la mano dello con il povero, mentre l’intero catino stesso artista pure a ridosso del absidale è stato ricoperto da scialbature loggiato, sulla parete di sinistra, dove e la parte bassa è stata rivestita da un dei resti di pitture inquadrati entro devastante assito di legno. didascalia spazi definiti da un motivo decorativo a L’abside custodiva un tempo pure un’interessante pala d’altare, dipinta dallo stravagante pittore bormino Carlo Marni nel 1640. La pala, persa a seguito di furto nel 1976, raffigurava San Martino a cavallo in atto di dividere il mantello con il povero. Nulla rimane degli arredi della chiesa che dovevano essere copiosi se consideriamo che la chiesa era regolarmente officiata soprattutto nei mesi estivi. La chiesetta conserva ancora due acquasantiere infisse nel muro, una delle quali, quella sul loggiato, riporta la data 1685. Nei secoli XVIII e XIX la chiesa ha subìto danni e devastazioni, pur se le più pesanti e sconvolgenti trasformazioni dell’edificio originario sono da riferirsi al secolo scorso quando oltre alla demolizione del porticato esterno fu sostituita l’antica pavimentazione in lastre di pietra con quella attuale a piastrelle. Nonostante questi infelici e recenti interventi di sistemazione, San Martino, per la posizione che occupa e per quanto ancora cela, rimane un vero gioiello della storia e dell’arte della Valdidentro che solamente un restauro cosciente potrà restituirci al meglio. i aesi P SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA PIETÀ

Posta a Fiordalpe lungo la via per femminile, visibile poco al di sopra Fraele, percorso un tempo molto della sacrestia: si tratta di Barbara trafficato per scambi di merci e di idee, Sgritta, una donna che prestò il suo la chiesa architettonicamente propone servizio alla costruzione della chiesa, uno stile nuovo per la Valdidentro: si trasportando su e giù dai ponteggi la tratta infatti di uno dei primi esempi di malta con la bolgia sulle spalle: la arte barocca presente in valle. La chiesa donna cadde rovinosamente dalle fu costruita a partire dal 1674 in impalcature, ma ebbe salva la vita e, seguito ad un voto seguito alla peste del forse proprio a ringraziamento di ciò, didascalia 1636. Era, allora, arciprete di Bormio Cristoforo Peccedi, originario di Premadio, il quale si attivò per la costruzione della chiesa e la dotò di un beneficio. Solamente qualche anno più tardi ebbe inizio l’effettiva costruzione della chiesa che venne intitolata alla Vergine Addolorata. E’ probabile che il titolo della chiesa sia stato suggerito dal gesuita Paolo Sfondato, all’epoca predicatore delle missioni nel bormiese, grande devoto dei dolori della Madonna e della Passione di Cristo. All’esterno la chiesa appare architettonicamente equilibrata e ben proporzionata, l’ingresso è protetto da una tribuna; il campanile a bulbo, terminato nel 1733, conserva dei fregi raffinati, dipinti a tinte calde e delicate; la facciata, terminata nel 1702, fu decorata da Giovanni Noale e da suo figlio conosciuto come “Nolano”, artisti che si occuparono pure della decorazione interna della chiesa dove, sul soffitto entro spazi definiti da cornici, realizzarono l’immagine dell’Addolorata trafitta dalle sette spade che simbolicamente raffigurano i sette dolori della Madonna, degli angioletti che recano una corona, di San Michele arcangelo che sconfisse il diavolo e della Vergine in gloria. Tornando all’esterno della chiesa, curiosità ed interesse suscita una figura

139 aldidentro STORIA PAESI GENTE volle legare la sua immagine alla chiesa Sull’altare maggiore si trova una V dell’Addolorata. grande ancona lignea riportante la data L’interno, sufficientemente ampio e 1706 e la firma dell’artista esecutore luminoso, è definito da una navata della stessa Gioan Maria Donati. La centrale terminante con abside e due famiglia Donati, originaria di Isolaccia, altari laterali. Una piccola sagrestia si gestiva una bottega artigiana per la apre a sinistra dell’altare maggiore. lavorazione del legno. Il padre Vitale Purtroppo la pavimentazione originale alla sua morte lasciò il laboratorio nelle in lastre di pietra è stata sostituita con mani dei due figli Bernardo e Giovan l’attuale di discutibile gusto. Pure il Maria, che si imposero per i pregevoli fregio parietale che corre tutt’attorno la lavori ad intaglio che seppero realizzare navata al di sotto delle finestre e delle per parecchie chiese dell’alta Valtellina. finte finestre è stato pesantemente L’ancona custodita nella chiesa di ridipinto durante un intervento di Fiordalpe è un’opera raffinata e restauro dei primi decenni del XX monumentale, di grande effetto. Due secolo. colonne finemente intagliate con motivi vegetali e teste di cherubini didascalia sono congiunte al sommo da un fastigio spezzato. A lato ed al vertice dell’ancona si trovano delle statue lignee che riassumono concettualmente i dolori della Vergine: la statua di San Giuseppe ricorda i primi tre dolori, ossia la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto e la Disputa con i dottori; gli angeli che reggono gli strumenti della passione ricordano la salita al Calvario, la crocifissione e la deposizione. La statua di San Giovanni ricorda la separazione di Gesù dalla Madre. L’ancona lignea custodisce una grande tela raffigurante il Compianto sul Cristo morto. La scena ritrae Gesù morto tenuto in grembo dalla Madre, tutt’attorno le pie donne, Giovanni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Si tratta di un’opera di grande qualità artistica, i personaggi riprodotti con vesti scure, nei volti illuminati e nei tratti anatomici ben evidenziati trasmettono tutta la disperazione e il dolore della scena. Sullo sfondo il sepolcro e un paesaggio montano incutono desolazione all’insieme; un grande angelo dall’alto domina tutta la scena. Altro pregevole elemento custodito sull’altare è il paliotto in scagliola che

140 i aesi P

didascalia orna la parte anteriore della mensa d’altare. Il paliotto, a fondo nero molto lucido, è decorato con motivi vegetali, fiori e raffinati uccellini. Dei due altari laterali, quello di destra è intitolato a Sant’Anna, mentre quello di sinistra è dedicato a San Pietro. E’ probabile che l’ancona di destra si trovasse in origine sull’altare maggiore. L’altare di Sant’Anna è costituito da un impianto ligneo policromato, parzialmente mutilo, contenente una tela di mediocre qualità raffigurante il Cristo crocifisso, la Vergine, San Giovanni e la Maddalena ai piedi della Croce. Due angioletti reggono dei cartigli che recano le parole del vangelo di Giovanni secondo le quali l’apostolo più caro di Gesù accoglie Maria come madre e Maria lo riceve come figlio. L’altare di sinistra è dedicato a San Pietro. Fu eseguito da G. Antonio Fonstoner di Loeg nel 1760. Ai lati dall’altare ligneo dipinto a finto marmo ed arricchito da decorazioni si trovano due tozze statue che

141 aldidentro STORIA PAESI GENTE raffigurano un probabile Sant’Antonio Seicento ed in Valdidentro si distinse V da Padova e San Francesco d’Assisi. per la decorazione della chiesa dei L’ancona racchiude un dipinto che Santi Martino ed Urbano di ritrae la Vergine con il volto severo e Pedenosso. brusco che regge un Bambino ormai E’ opportuno menzionare pure la grandicello, pure lui delineato con bella acquasantiera sostenuta da tratti grossolani e rustici. San Giuseppe colonna che ancora qui si conserva, e due paffuti angioletti completano la quale frutto di tutte quelle abili scena. La tela reca la firma dell’artista maestranze che con sapienza ed abilità tirolese G. Giorgio Telser, che la eseguì artigiana tanto finemente seppero nel 1671. Il Telser lavorò molto in tutto lavorare la pietra. L’acquasantiera il bormiese nella seconda metà del riporta la data 1694.

Didascalia

142 i aesi P CHIESA DELLA SS. TRINITÀ DI TURRIPIANO

La piccola chiesa passa quasi entro spicchi suddivisi da nervature. I inosservata da quanti le transitano dipinti, ben proporzionati, furono accanto in località Turripiano lungo la realizzati nel 1609 da un probabile strada statale per Isolaccia: si tratta modesto scolaro di Cipriano Valorosa. infatti di una chiesa semplice e sobria Gli spazi ben definiti illustrano nell’aspetto, ma intensamente l’Annunciazione, la Nascita di Gesù, significativa per quanto riguarda la l’Incoronazione della Vergine, il storia e l’arte del XVI secolo. Più di Battesimo di Gesù e la Trasfigurazione. qualsiasi altra chiesa dell’alta valle, la L’intento delle immagini proposte è chiesetta di Turripiano rispetta infatti i dunque volutamente didattico in senso dettami impartiti dal concilio di anti-protestante. Il ciclo proposto Trento, dettami e regole che vennero annuncia un evidente messaggio letteralmente applicati all’architettura, formativo e dottrinale, insistente sulla ma soprattutto alla decorazione divinità di Cristo e sulla figura della pittorica della chiesa. Vergine che svolge qui un ruolo di prim’ordine. I dipinti si rivelano La costruzione dell’edificio è da dunque quali efficaci strumenti di ricondurre all’anno 1590. Furono comunicazione che rappresentano, per proprio gli abitanti di Turripiano a immagini, importanti contenuti di volere fortemente la chiesa al fine di fede. evitare, almeno nel periodo invernale, lo scomodo trasferimento sino alla Nel sottarco la chiesa un tempo chiesa madre di San Gallo. riproduceva gli apostoli, mentre le vele della volta erano completate dalle L’esterno dell’edificio è caratterizzato immagini degli Evangelisti e da angeli da un tetto a spiovente rivestito dalla musicanti. Purtroppo tutti i dipinti da tipica copertura a scandole di legno e riferire alla costruzione primitiva della da un cavaliere dotato di due finestrelle chiesa ci sono pervenuti in pessime arcuate che ospitano le campane. La condizioni. Alcuni dei dipinti furono facciata è spoglia e priva di qualsiasi addirittura dapprima alienati e solo decorazione, eccezion fatta per una successivamente restituiti alla chiesa. piccola nicchia sulla facciata che Durante lo stacco alcuni degli affreschi custodisce un dipinto a fresco subirono lacerazioni e gravi perdite, raffigurante l’Incoronazione della non più recuperabili. Vergine Maria. Alla chiesa primitiva, sobria ed L’interno ha unica navata, con pareti essenziale in quanto realizzata spoglie e abside decorata da un ciclo di seguendo le più rigorose disposizioni affreschi che si attengono fortemente post-tridentine, che vietavano la all’iconografia proposta dai dettami riproduzione di immagini lungo le conciliari, miranti a rafforzare quei pareti della chiesa per non distrarre principi cattolici che i vicini protestanti l’attenzione dei fedeli dalle cerimonie così duramente contestavano alla religiose, nel 1743 venne aggiunto un chiesa di Roma. altare dedicato a Sant’Antonio: la Le pitture a fresco proposte nel cappella venne edificata a seguito di catino dell’abside sono rappresentate una malattia del bestiame che in

143 aldidentro STORIA PAESI GENTE quell’anno colpì la zona. Sant’Antonio gli affreschi un tempo alienati sono V veniva infatti venerato quale protettore stati nuovamente recuperati ed lameno degli animali domestici, e fu dunque in parte ricollocati nella chiesa, spontaneo per gli abitanti del luogo, consentendo di valorizzare al meglio ed fortemente dipendenti per la loro integralmente il profondo contenuto sopravvivenza agli animali domestici, dottrinale che la chiesa della SS. rivolgersi per soccorso a quel santo. Trinità ha per anni proposto alla L’altare, realizzato in marmo, custodiva comunità della Valdidentro. una tela raffigurante Sant’Antonio abate con Sant’Antonio da Padova e la Vergine Maria. L’altare venne poi abbandonato e l’ancona, attualmente in cattive condizioni, potrà essere nuovamente collocata nella chiesa a seguito di adeguato restauro. La chiesa è stata recentemente ristrutturata grazie ai fondi ottenuti con la legge Valtellina, che ha consentito di recuperare al meglio l’edificio sacro; grazie alla sensibilità di Didascalia della alcuni cultori d’arte e dei proprietari, foto qui sotto

144 i aesi P SANTA MARIA NASCENTE A ISOLACCIA

Grazie ad una breve descrizione custodiva sull’altare maggiore lasciata dallo studioso locale Tullio un’ancona lignea realizzata nel 1708 Urangia Tazzoli, autore della dallo scultore di Isolaccia Giovanni quadrilogia “La Contea di Bormio”, Maria Donati: si tratta molto Didascalia della nel volume dedicato all’arte edito nel probabilmente dell’ancona attualmente foto qui sotto 1933, abbiamo una illustrazione della vecchia chiesa di Isolaccia. Questa chiesa era dedicata a S. Maria Nascente e ai Santi Rocco e Sebastiano e ci viene descritta come una “chiesa infelice, bassa e scura, a volta… ha sulla facciata un pronao a pilastri… tribuna sulla porta principale d’entrata… campanile sul tipo di quello della parrocchiale di Premadio”. La descrizione ci aiuta a capire come doveva essere l’antica chiesa di Isolaccia, opera di cui non ci sono d’aiuto come al solito i documenti essendo tutto l’archivio della parrocchia andato perso durante il disastroso incendio di Isolaccia che distrusse, oltre a buona parte del paese, anche la casa parrocchiale. La chiesa originaria era stata edificata su di un terreno, lasciato da una coppia di Isolaccia, in località “Closura”. La costruzione ebbe inizio nel 1521 dopo che una spaventosa epidemia pestilenziale aveva duramente colpito il paese. Per questo si stabilì di dedicare la nuova chiesa a Maria Nascente ed ai Santi Rocco e Sebastiano, quale atto di riconoscenza dei parrocchiani per il soccorso ottenuto da quei santi nel mettere fine alla tremenda peste. La chiesa di S. Maria Nascente in origine dipendeva dalla parrocchia di Pedenosso e solamente nel 1754, in seguito ad aspre e lunghe trattative, Isolaccia ottenne l’agognata autonomia dalla chiesa madre. Le scarse notizie reperite consentono di affermare che la chiesa delle origini

145 aldidentro STORIA PAESI GENTE conservata sull’altare di destra della lignea della Madonna, accanto alla V chiesa di S. Cristoforo in Premadio. quale sarebbero state ritrovate pure le Altro elemento di valore religioso ed due statue dei Santi Rocco e artistico che la chiesa primitiva Sebastiano. Le vetrate, entro spazi ben gelosamente custodiva e che ancor oggi definiti da arcate, con vivacità narrativa la chiesa di Isolaccia altrettanto e forte cromatismo raccontano la gelosamente custodisce, è la cosiddetta sequenza dei fatti che videro testimoni statua della “Madonna dell’Acqua”. Si i membri della famiglia Ponti che, a tratta di una statua raffigurante la causa di una persistente siccità e Vergine Maria, di evidente fattura conseguente penuria, erano stati nordica, particolarmente venerata un costretti a lasciare la nativa Isolaccia tempo in quanto, per intercessione per recarsi in cerca di fortuna nella della stessa, si otteneva la pioggia vicina Engadina. Le scene mostrano il quando la persistente siccità gruppo familiare affiancato dalle due minacciava i raccolti. vacche, la loro unica ricchezza, nell’atto La leggenda relativa alla Madonna di individuare le statue accatastate con dell’Acqua, accompagnata dalle due la legna nell’abitazione dei contadini statue dei Santi Rocco e Sebastiano, è protestanti che avevano accordato loro vivacemente narrata per immagini nelle ospitalità per la notte. La scena due vetrate sovrastanti le porte laterali seguente vede i Ponti inerpicarsi lungo dell’attuale chiesa di S. Maria il cammino dell’Umbrail, avvolti entro Didascalia della Nascente. Le immagini ci narrano le ampi manti sotto i quali tengono foto qui sotto vicende del rinvenimento della statua nascoste le statue. i aesi P Le vetrate del lato opposto presentano nella parte alta i protestanti che buttano le statue nel torrente, mentre in basso ci sono da un lato la Vergine che giace tranquilla, ritta al di sopra delle acque; dall’altra parte sono raffigurate le statue che entrano processionalemente in Isolaccia, rette da devoti e riparate sotto un baldacchino rosso. Queste due vetrate, assieme a tutte quelle che danno luce alla navata, sono state realizzate recentemente dall’artista di Meda Alberto Creppi. In un ritmico susseguirsi, narrano della nascita di personaggi biblici e illustrano continui rimandi alla figura di Maria. La nuova chiesa, costruita a partire dal 1935 e consacrata nel 1938, custodisce, oltre alla famosa statua della Madonna dell’Acqua e dei santi Rocco e Sebastiano, un interessante Didascalia della foto qui sotto altare posto nella cappella di destra. L’opera lignea, formata da quattro colonne riccamente intagliate e raccordate da un fastigio spezzato, venne eseguita dall’abile maestro intagliatore Cesare Rini di Bormio, il quale creava le sue opere ripetendo con straordinaria precisione e perfezione interessanti opere antiche. La parte absidale, vede sullo sfondo l’Ascensione al Cielo di Maria Vergine ed ai lati si trovano al Natività e la Discesa dello Spirito santo sugli apostoli, affiancati dalle figure degi Evangelisti accompaganti dai loro simboli. Questi dipinti vennero eseguiti dall’artista Turoldo Conconi nella prima metà del Novecento.

147 aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalia

148 i aesi P SANT ABBONDIO A SEMOGO

Al 1328 risalgono le prime notizie giorni che il visitatore apostolico relative alla chiesa delle origini di S. Giacomo de’Mansueti per conto di Abbondio di Semogo, una chiesa che Lazzaro Carafino concesse a coloro che già dagli inizi risulta essere dotata di avessero visitato o fatto doni alla chiesa molti beni. Nessuna nota descrive la di S. Abbondio .Consistente dovette chiesa delle origini, che venne essere pure il rifacimento eseguito a restaurata nel 1490 a seguito molto seguito della raggiunta autonomia e probabilmente di un’indulgenza di 40 rifatta in buona parte a seguito della

149 aldidentro STORIA PAESI GENTE del Buon Consiglio. La venerazione V della B.V. del Buon Consiglio ha inizio nel 1467, quando nei pressi di Roma su di un’antica chiesa appare miracolosamente un’immagine della Madonna che la tradizione afferma essersi staccata da una chiesa di Scutari in Albania all’arrivo in quella terra dei mussulmani. L’immagine a seguito di questo evento venne fortemente venerata ed il suo culto si diffuse pure in Valtellina. La chiesa di Semogo in un inventario del 1796 viene descritta essere “ … in condizioni cattive, di disegno antico eccetto il coro qual’è fatto di fresco”. La chiesa era inoltre insufficiente ad ospitare la popolazione di Semogo per cui si decise di ampliarla. Nel 1832 si didascalia autonomia ottenuta da Pedenosso nel diede inizi alla costruzione della nuova 1624. I lavori di miglioria eseguiti chiesa mantenendo della vecchia solo il intorno alla metä del XVII secolo, coro e parte di un muro. L’edificio provvidero ad innalzare ed intonacare i completamente rifatto servi’ per pochi muri, a rifare la pavimentazione e anni. All’inizi nel XX secolo si decise la venne pure eseguita la loggia interna. costruzione di un nuovo edificio che Molti arredi ed ornamenti eseguiti in doveva essere piu’ ampio del questo periodo provvidero ad arricchire precedente. la chiesa, e fra questi degni di nota sono i due altari lignei, che ancor oggi Nel 1930 si diede inizio alla sono custoditi negli altari laterali della costruzione della nuova chiesa su chiesa. L’ancona della Beata Vergine progetto Moioli-Zanchetta di Milano. Maria fu eseguita da Giovan Battista Nonostante fosse ferma intenzione dei Scher, artista trentino che realizzo’ Semoghini mantenere il vecchio l’opera nel 1724. Attualmente l’ancona, campanile, la precaria stabilità ne a forma di tempietto, nella nicchia decreto la demolizione. Forse fu centrale ospita la statua del Sacro proprio questo fatto a dar vita alla Cuore ed ai lati su di una mensola leggenda della sparizione del campanile stano le statue di S. Antonio abate e di di Semogo. S. Luigi Gonzaga. Al 1765 risale l’ancona della Beata Tra le espressione di devozione a Vergine del buon Consiglio, opera del Semogo è interessante ricordare tirolese Mathias Peder ed indorata dal cosiddetti “Santi del Sole”. Purtroppo bormino Fogaroli. L’altare, composto la venerazione ed il culto degli stessi è da pilastri e colonnine tortili, presenta oggigiorno svanita, ma un tempo, ornamenti raffinati e al centro quando l’andamento climatico conserva la statua della Beata Vergine determinava la sopravvivenza della

150 i aesi P comunità, il culto di questi santi era di Di pertinenza della parrocchia di aiuto, quantomeno spirituale. Semogo è la chiesa di Maria Assunta Arnoga, realizzata ad uso del seminario I “Santi del Sole” sono le reliquie di Como che ad Arroga dispone di una dei Martiri Urbana, Modesto, Paziente casa per le vacanze. Sebbene l’edificio e Celestino, donati alla parrocchia di non presenta caratteri artistici di nota, Semogo nel 1736 dal sacerdote Giorgio è bene ricordare che ü qui custodita di San Bernardo. Le reliquie di questi l’ancona proveniente dalla chiesa dei SS. Martino ed Urbano di Pedenosso. santi, custodite in 4 urne di legno L’ancona opera dell’artista trentino intagliato e dorato, venivano portate in Giovan Battista del Piay, collocata nella processione e venerate quando il chiesa nel 1955, risale alla prima metä persistente maltempo minacciava i XVIII secolo. ü realizzata in legno, raccolti e la necessità di sole e caldo era dorato , realizzato. L’insieme, sia nella indispensabile per il buon andamento parte decorativa che nelle statue della Vergine che di S. Antonioe di una dell’attività agricola. santa, ü armonico e ben proporzionato.

Didascalia

151

i aesi P SAN CARLO

La bella chiesa dedicata a San Carlo S. Rocco nacque a Mintpellier in Borromeo in località Arnoga venne Francia nel XIV secolo. Mentre si costruita a seguito di un voto fatto trovava in pellegrinaggio verso Roma dalla popolazione al fine di contrastare scoppio’ una spaventosa epidemia una brutale epidemia di peste che pestilenziale. Rocco non si intimori’ e all’epoca infieriva nella Valdidentro. A lungo il suo cammino presto’ soccorso seguito del voto fatto, si diede inizio agli ammalati diffondendo cosi’ la sua alla costruzione dalla chiesa nel 1636, fama di taumaturgo. Egli stesso colpito intitolandola a S. Carlo Borromeo, dalla peste, venne curato da un angelo santo invocato contro la peste insieme mentre un cane quotidianamente gli con S. Rocco e S. Sebastiano, santi portava del pane. Il santo, raffigurato contitolari della chiesa. I tre santi tipicamente negli abiti da pellegrino, godettero di grande venerazione in con la tipica mantellina che da lui tutto il bormiese, a motivo di questo prende il nome, la sanrocchina, mostra basta pensare alle numerose chiese ed la piaga pestilenziale sulla gamba, ed è altari che in tutta l’alta valle troviamo spesso accompagnato dal cane che loro dedicati! tiene in bocca un pezzo di pane. S. Carlo Borromeo (1538-1584) fu Originariamente sulla facciata della arcivescovo di Milano e grande chiesa si trovavano le effigi di S. Rocco sostenitore dell’attuazione dei decreti e di S. Sebastiano, dei quali dipinti tridentini. Persona pia e devota, non si conserva piu’ alcuna traccia. ricordata per i suoi digiuni, per la carità verso i poveri, per l’ordine che didascalia riporto’ nella chiesa, fu invocato soprattutto contro il morbo pestilenziale. Memorabile fu infatti l’opera da lui svolta ed il soccorso da lui prestato in occasione della peste di Milano degli anni 1576-77, tuttora detta “peste di S. Carlo”. L’arcivescovo quotidianamente visitava il lazzaretto e provvedeva ai bisogni degli appestati. Rimanendo S. Carlo immune dal contagio, nonostante la diretta esposizione al morbo, il Santo venne in seguito invocato contro la peste. S. Sebastiano visse tra il III e IV secolo e subi’ il martirio all’epoca di Diocleziano. Sottoposto al supplizio delle frecce ne usci’ vivo. La credenza popolare associo’ le frecce alla peste invocando il santo che aveva sconfitto quel male ogniqualvolta un’epidemia minacciava il popolo.

153 aldidentro STORIA PAESI GENTE I lavori di costruzione della chiesa di Scher attivo all’epoca in vari cantieri V S. Carlo furono piuttosto lunghi e la dell’alta valle. Quattro eleganti chiesa venne ultimata solamente colonne, due delle quali tortili, sono intorno al 1660; nel 1688 venne raccordate al sommo da un mensolone realizzata la sagrestia, mentre l’elegante sovrastato da due angioletti tra i quali torre campanaria venne ultimata si trova la statua della Vergine. Ai lati intorno al 1675. delle colonne, su di una mensolina, L’esterno della chiesa è semplice, ma sono state recentemente aggiunte le raffinato ed il campanile terminante due statue, di buona qualità artistica, con una cupola ottagonale, conferisce raffiguranti S. Rocco che mostra il all’edificio un carattere bubbone pestilenziale, e S. Sebastiano baroccheggainte. colpito dalle frecce. L’interno è ad aula unica e la navata L’ancona custodisce al centro una è delineata al di sotto dei finestroni da pregevole tela raffigurante S. Carlo con un cornicione in stucco dentellato. la Vergine, tela che in origine si trovava Elemento di pregio di tutta la chiesa è nell’altare di S. Antonio della chiesa di indubbiamente la grande ancona lignea S. Abbondio di Semogo. Il quadro che domina l’altare maggiore. L’opera ritrae S. Carlo come di consueto con la fu realizzata dall’intagliatore tirolese, mantellina cardinalizia rossa. La sua fisionomia è caratterizzata da un naso didascalia abitante a Bormio, Giovan Battista aquilino importante. Il santo è inginocchiato e davanti a se’ ci sono i tipici attribuiti iconografici che lo accompagnano: il libro per la meditazione, il teschio, il crocefisso quale segno della devozione che S. Carlo promosse a Cristo crocefisso, ed il pastorale. Al culmine della tela un’arcata inquadra la Vergine che, poggiando su nubi, amorosamente regge il Bambino. Tutt’attorno angioletti e testine di cherubini. Ignoto è il nome dell’autore della tela. i aesi P SANTI MARTINO E URBANO A PEDENOSSO

Ricca di fascino appare al visitatore tutta la Valdidentro, un tempo detta la chiesa dedicata ai santi Martino ed “val de Pedenos”. (per grafia dialettale Urbano di Pedenosso. Il fascino di esatta sentire Marcello) E’ proprio nel questo luogo del sacro è garantito non 1453 che S. Martino diventa soltanto dall’ambiente suggestivo parrocchia autonoma, staccandosi dalla circostante la chiesa, ma pure dalle chiesa madre dei santi Gervasio e vicende storiche e dalle incognite Protasio. Anche per Pedenosso, come relative alle origini dell’edificio. Molti per altri centri di rilievo della storici, considerando la particolare Valdidentro, l’autonomia da Bormio posizione che la chiesa occupa al di appare una richiesta piu’ che legittima sopra di uno sperone roccioso a se consideriamo la distanza che separa i guardia di tutta la valle, hanno due centri, il clima rigido invernale che supposto per S. Martino un’origine di rendeva difficoltosi gli spostamenti, la “fortezza militare”. Molte sono le penuria di mezzi e tutte quelle ipotesi che fanno supporre ad un difficoltà materiali che si incontravano originario fortilizio. Innanzitutto la nello spostarsi a quell’epoca sino a dedicazione a S. Martino, santo soldato Bormio. Sebbene la prima separazione tanto caro nel medioevo, deputato al avvenne alla metà del XV secolo, il controllo ed alla tutela dell’intera valle. riconoscimento di autonomia totale fu Pure la presenza della possente cinta confermato nel 1571 e il titolo muraria che attornia l’intera chiesa definitivo arrivo’ solamente nel 1624. lascia pensare ad una vera e propria L’agognata indipendenza da Bormio fortezza. Da ultimo va considerata la si ottiene in un periodo posizione dell’edificio, particolarmente difficile della storia di significativamente posta a lato di quella S. Martino. I primi anni del XVII che un tempo era la via per la val secolo furono infatti sconvolgenti e didascalia Fraele, ch conduceva verso l’Engadina, percorso molto trafficato sin dall’epoca medievale per transiti di merci, di persone e di idee. Dunque S. Martino presenta e riassume in sé molti degli elementi tipici delle fortezze medievali. Comunque siano le origini, i documenti archivistici dicono che la prima citazione della chiesa sia da ricondurre al 1334, quando negli statuti bormini si accenna al trasporto della santa Croce. S. Martino è inoltre citata in alcuni altri documenti trecenteschi, per poi essere nuovamente ricordata nel 1453. Questa data rappresenta una tappa fondamentale per l’intera comunita’ di Pedenosso, allora centro principale di

155

aldidentro STORIA PAESI GENTE V

didascalia aldidentro STORIA PAESI GENTE devastanti a seguito delle guerre di meglio si adattava alle esigenze di culto V religione che avevano duramente e di gusto dell’epoca. colpito la Valtellina. Le guerre Il frutto di tutti quei lavori è ciò che Seicentesche, laceranti, unite alle noi possiamo ammirare oggigiorno: epidemie pestilenziali, provocarono grazie soprattutto ad un recente immensi danni a cose e persone e non restauro che ha saputo abilmente e risparmiarono neppure la chiesa di S. coscientemente recuperare l’antica Martino. Questa venne utilizzata chiesa, godiamo ora a S. Martino di un addirittura quale stalla per il ricovero insieme armonioso, che invita alla dei soldati e dei cavalli! Come consueto spiritualità, al raccoglimento. Molte la guerra lasciò dietro di sè distruzione e penuria di ogni genere tanto che il furono le maestranze attive dopo la parroco Viviani, che resse la parrocchia metà del seicento per il recupero della di S. Martino a partire dal 1665, si chiesa. Fra questi è doveroso ricordare i trovò sconfortato davanti a tanta fratelli Michele e Melchiorre Cogoli, devastazione. Fortunatamente in breve abili intagliatori del legno, provenienti tempo la popolazione di Pedenosso, dalla Val di Non dove ricevettero la con la tenacia e la fermezza che loro formazione artistica. I due nel caratterizza la gente di montagna, si 1666 lavorarono all’ancona per l’altare attivò per la ricostruzione di S.Martino dedicato alla Vergine del Rosario, la e per riportare la chiesa al meritato loro prima opera nota, indorata lustro e decoro. La chiesa tutta venne sucecssivamente dal bormino Giovan consolidata, vennero rifatti il tetto, la Pietro Fogarolli. Si tratta di un altare sagrestia, il cimitero; l’antica chiesa fu ligneo riccamente decorato formato da quasi completamente rinnovata due colonne tortili con motivi vegetali conferendo alla nuova un aspetto che che racchiudono una nicchia all’interno della quale sono custodite le statue della Vergine con il Bambino, S.

160

aldidentro STORIA PAESI GENTE Caterina che riceve la corona del paliotto in scagliola raffigurante la V rosario da Gesu’, mentre la Madonna Vergine attorniata da due grandi ed ne porge una a S. Domenico. L’altare eleganti anfore colme di fiori eseguiti dorato è completato da un pregevole in modo preciso e raffinato. Ignoto è il nome degli artisti attivi all’altare di sinistra, dedicato al Sacro Cuore, pure se per tratti stilistici e raffinatezza parrebbe opera degli stessi Cogoli. Sulla parete di destra, tra le due cappelle laterali, si impone l’organo realizzato a partire dal 1898 (casa Organaria Mascioni ). La decorazione fu esegiota del cosiddetto Castrin, Gervasio Bradanini artiere di Pedenosso, che con maestria seppe conferire all’insieme grandiosità e raffinatezza al tempo stesso. Altro elemento di pregio che ancora S. Martino ci preserva è il raffinato soffitto a cassettoni, risalente al 1678; è questo un raro esempio di quella che un tempo era la soffittatura caratteristica di tutte le chiese della vallata, cosi’ come tipico era un tempo il loggiato che ancora si conserva a S.

didascalie

162 i aesi P Martino, utilizzato allora dai soli uomini. Se le navate della chiesa conservano opere d’arte raffinate e pregevoli, come la tela raffigurante S. Lucia con un gruppo di Disciplini, è la parte absidale che accorda all’insieme un senso di profonda armonia e pace. La parte absidale è completamente affrescata con dipinti dai colori caldi e raffinati. E’ questa opera di Giovanni Giorgio Telser di Sluderno, artista molto attivo in tutta l’alta Valtellina nella seconda metà del Settecento, autore pure del dipinto raffigurante S. Martino che divide il mantello con il povero raffigurato in facciata. A lui si devono le pitture absidali che tanto colpiscono lo spettatore. Il Telser, con le sue immagini di gusto schietto ed autentico ci racconta per immagini le vicende dei santi titolari e tale e tanta è la resa che il visitatore si sente parte degli eventi narrati. Sulle pareti sono ritratti i santi titolari della chiesa: S. Martino in agonia e S. Urbano – riconosciuto quale santo contitolare della chiesa in dopo il 1624 - in atto di battezzare quasi desertico dove la pianta con il didascalia Valeriano, marito di S. Cecilia. Sulla serpente avvinghiato occupa il centro volta sono ritratti S. Urbano, la Trinità, della scena. Sulla destra è ritratta Eva, S. Martino e la visione di S. Martino. con sguardo malizioso, in atto di La fronte ed i fianchi absidali assaggiare il frutto proibito, mentre a propongono i Padri della chiesa, sinistra un muscoloso Adamo dai tratti l’Annunciazione e la rivelazione rustici è colto nell’atto di carpire la dell’angelo a S. Giuseppe, mentre mela dall’albero. L’apprezzabile dipinto, sull’arco trionfale da un lato vi è riconducibile al XVI secolo, è un’allegoria della Fede a dall’altro attribuito all’artista locale Antonio Mosè con le tavole della legge. Canclini. L’ancona dell’altare maggiore Interessante è pure l’ancona posta nasconde completamente allo sull’altare maggiore che custodisce una spettatore un affresco rinvenuto a tela realizzata dal valtellinese seguito del recente restauro; si tratta di Giambattista Piccioli (1825). Il dipinto una raffigurazione di Adamo e d Eva ritrae uno dei miracoli di S. Martino, in atto di cogliere la mela proibita. I ossia l’incendio al trono due personaggi, dall’aspetto rustico e dell’imperatore Valentiniano avvenuto popolare, si trovano in un ambiente a seguito di un rifiuto dello stesso ad

163 aldidentro STORIA PAESI GENTE accogliere in udienza S. Martino. La V sena è ricca di colore e narratività e ben si integra nel complesso artistico dell’intera abside. Se l’interno della chiesa cattura lo spettatore per la raffinatezza e la grazia dell’insieme, l’esterno si presenta come altamente suggestivo: oltrepassata la scalinata d’accesso il visitatore si trova di fronte ad un antico loggiato coperto che domina l’intera valle, che un tempo fungeva da cimitero come ancora ci testimonia l’immagine scheletrica della morte qui affrescata. Tutt’attorno la chiesa corrono le stazioni della via crucis definite da semplici Croci, sanguinanti in corrispondenza delle braccia; un cartiglio specifica il numero della stazione ed il nome della famiglia che la fece eseguire.

164 i aesi P SAN ANTONIO DI SCIANNO, SAN ERASMO, SAN GIACOMO DI FRAELE Sin dal XIV secolo la “strada lunga costruita la chiesa dedicata a S. per Venosta”, ossia quella che verrà poi Antonio abate. Si tratta di una designata quale strada regia e più tardi semplice chiesa a navata unica alla ancora quale via Imperiale d’Alemagna, quale è stato aggiunto un corpo da Bormio raggiungeva la Valdidentro laterale. La chiesa ha il carattere tipico passando accanto a molti edifici sacri, alpino, con tetto a spiovente, facciata per spingersi verso la valle di Fraele e con portale d’ingresso intagliato, raggiungere gli insediamenti sovrastato da un finestrone, mentre transalpini. Lasciata la chiesa altre due finestre affiancano la porta. seicentesca dell’Addolorata, la strada La chiesa non ha campanile, ma una giungeva presso l’antica chiesa dei santi campana è retta da un modesto Martino ed Urbano di Pedenosso per inerpicarsi verso la valle di Fraele. Una deviazione del cammino verso ovest, conduceva alla contrada di Scianno, dove si trova ancor’oggi la chiesa dedicata a S. Antonio (XVII secolo). Secondo la leggenda ricordata nelle “Memorie per servire alla storia ecclesistica di Bormio” dello storico Iganzio Bardea, nel 487 S. Antonio Levinese provenendo dalla Germania verso il bormise, passò dalla strada di Fraele ed in memoria del santo fu

didascalie

165 aldidentro STORIA PAESI GENTE cavaliere. L’interno è semplice, la parte XIX secolo e dedicata a S. Antonio da V absidale presenta sulla volta i dipinti Padova. La dedicazione allo stesso S. affrescati dei 4 Evangelisti e alcuni Antonio da Padova è stata assegnata angioletti. Un’ancona di gusto barocco alla nuova chiesa dall’impianto composta da due colonne tortili architettonico di gusto moderno colorate e timpano, predispongono lo recentemente realizzata in località spazio per alloggiare, entro una nicchia, ?????????????????. la statua raffigurante S. Antonio abate. Oltrepassato il lago di Scale Tornando verso il cammino per anticamente lo spettacolo che si Freale la strada raggiunge poi le torri presentava al viandante doveva essere omonime. Anticamente il cammino davvero grandioso: un’estesa vallata saliva dalla vallata in corrispondenza ricca di pascoli, circondata da monti dei due fortilizi e l’impervio burrone veniva oltrepassato grazie alle ricchi di ferro. Questa valle è stata cosiddette “Scale di Fraele”. Le torri, completamente sommersa dalle due massicce ed imponenti guardie della dighe, quella di S. Giacomo (terminata Valle, vennero erette nel 1391 con nel 1950) e successivamente da quella evidente scopo difensivo. di Cancano (1956). Prima di raggiungere il lago di Scale didascalia si trovava sino a pochi decenni or sono la piccola chiesa costruita all’inizio del i aesi P

167 aldidentro STORIA PAESI GENTE Anticamente la valle era abitata e Dell’antica chiesa non rimane nulla, se V frequentata da viandanti e non gli scheletrici resti del campanile commercianti diretti verso la Val che è ancora visibile quando l’invaso di Monastero e l’Engadina, i quali S. Giacomo è asciutto. L’antica chiesa, potevano trovare ristoro e conforto importante fulcro dell’assistenza nell’insediamento di S. Giacomo, dove spirituale dei viandanti, è stata si trovavano, oltre alla chiesa, sostituita con l’attuale chiesa di S. l’”hospitale” detto anche “Hostaria” ed Giacomo, edificata negli anni un gruppo di abitazioni. L’osteria era Cinquanta in prossimità del passo di deputata ad accogliere e ristorare i Fraele, dall’AEM. La stessa AEM numerosi viandanti e pellegrini che realizzo’ nel 1934 la prima chiesa preferivano questa via di transito al dedicata a S. Erasmo, a sostegno cammino dell’Umbrail, piu’ breve, ma spirituale di quanti si trovavano certamente piu’ difficoltoso da impegnati nei lavori di costruzione percorrere. Il nucleo risulta esistente dell’erigenda diga di S. Giacomo. A sin dal XIII secolo. seguito della realizzazione della diga di Da antiche fotografie apprendiamo Cancano la piccola chiesa fu che la chiesa dedicata a S. Giacomo era letteralmente smontata ed esattamente ad aula unica, con tetto fortemente a ricostruita pietra per pietra, in località spiovente, svettante campanile e Solena. (?) La chiesa si impone allo loggiato interno definito nella volta di spettatore per la ricca cancellata in sostegno da accentuate nervature, ferro battuto, interrotta da gruppi di 4 elemento stilistico che si ritrova pure a colonnine tortili. L’unico spiovente S. Gallo e a S. Giovanni di Molina. dell’edificio termina al culmine con un didascalia cavaliere che funge da torre campanaria. L’interno ha unica navata, con catino absidale impreziosito dal dipinto raffigurante l’ultima cena, sovrastata da Cristo Buon Pastore. La chiesa custodisce il quadro dedicato alla “Madonna dei Cantieri”, raffigurante la Vergine con il Bambino in braccio in atto di benedire, S. Giuseppe ed una Santa. Sebbene recentemente realizzate, le due chiese della val Fraele rappresentano simbolicamente la memoria della vallata, ci ricordano le fiorenti attività che sin dal medioevo caratterizzavano la valle e sembrano parlarci di ricchi eventi storici, di battaglie, di transiti, di attività artigiane, insomma di tutta un’intera civiltà che il luogo, nonostante i suoi quasi 2.000 metri di altitudine, seppe tenacemente coltivare e mantenere a beneficio dell’intero Contado di Bormio.

168

la ente Usi e costumi della Valdidentro

Il carattere

Dopo aver attraversato la val di Di più difficile interpretazione e Pagina a fronte: Campello, confine sovrano del risalente a chissà quale epoca sono le Isolaccia a inizio Gdenominazioni accollate alle due 1900, con la chiesa territorio di Bormio, ci si inoltra nella del ‘500 abbattuta e Valdidentro e poco a monte dello piccole frazioni che si incontrano sul piano dopo aver superato l’ascesa di ricostruita con diverso svettante campanile della chiesa di san orientamento nel Premadio: i grép (i cani) di Turripiano e Gallo, ci si imbatte nel primo piccolo 1938. aggregato della vallata: Molina. I suoi i cazét (i mestoli) de Palancàn (praticamente gli abitanti di Sughét). abitanti sono ancor oggi da qualcuno nominati i Sg’birài o i Sg’biràglia ossia gli Gli abitanti di Pedenosso o sbirri. Il termine è secondo il volgo pedenosseri, presentano due diversi collegato a un fatto storico. Si racconta appellativi: Sg’dreción o straccioni e che durante le guerre ottocentesche platòr, toponimo che indica una località d’indipendenza gli stranieri (gli sbirri) sopra il Sasso di Scianno. furono subdolamente allietati e Quelli di Isolaccia sono detti cozìn e intrattenuti dalle belle fanciulle del presentano il nomignolo più curioso in posto. L’espediente servì per vincere la quanto a significato. Secondo alcuni battaglia e agli abitanti di Molina l’appellativo trarrebbe origini da certi rimase accollato lo strano nome nomi antichi; la versione del volgo è richiamante gli sbirri che furono certamente più colorita e anche la più cristallizzata tra le genti della vallata. gabbati. Gli avi raccontavano che gli abitanti di Il soprannome che contraddistingue Isolaccia erano negativamente famosi i premaiotti (quelli di Premadio) è i per possedere vacche che producevano penèglia perché si dice fossero abili poco latte ossia vaca cóza, mucche che si lavoratori di zangola (la penèglia), possono mungere da una sola attrezzo per la produzione del burro. mammella. Gli abitanti dei Premadio è sempre stato considerato il paesi vicini, riscontrando in paese rosso della Valdidentro, per i più di una donna di Isolaccia suoi atteggiamenti libertini e anche un la presenza di un seno poco po’ anticlericali. Quando c’era prosperoso (fömena plata cóme sc’càndola, donne piatte come l’occasione di organizzare una festa tra assicelle per i tetti), amici o coscritti ci si ritrovava in traslarono il termine dagli Premadio dove tutto era concesso… aldidentro STORIA PAESI GENTE animali alle femmine. La conseguenza offensivi, sono la chiara espressione di V inevitabile fu che il nomignolo fu caratteri estremamente diversi e accollato a tutti quelli del paese, rivelano la presenza di profonde indifferentemente dal sesso. divergenze e contrasti tra i vari villaggi. I semoghini sono invece conosciuti Mai nessun semoghino avrebbe, fino a con due soprannomi: i buSgiàdri, i non molti anni fa, sposato una cozìna e bugiardi, o i cögliòla o chigliòla. viceversa. Ancor oggi gli abitanti dei Quest’ultimo termine trae forse origine due villaggi si rinfacciano da cöglia o chéglia, supporti tra i pattini reciprocamente la frase: I cozìn (o i e la base d’appoggio della slitta (la semoghìn) i én prèt o asciascìn. Gli lölZa); i semoghini erano infatti abitanti di Isolaccia (o i semoghini) orgogliosi di essere tra i migliori sono preti o assassini. costruttori di slitte di tutta la Gli abitanti di Pedenosso Valdidentro. mantengono certi atteggiamenti di La presenza di tutti gli appellativi superiorità nei confronti dei cozìn solo didasclia sopra citati, spesso anche con risvolti per il fatto che la parrocchiale di san Martino e Urbano ebbe per più di un secolo il sopravvento sotto il punto di vista ecclesiastico sulla chiesa di Isolaccia. Ancor oggi alcuni anziani raccontano con orgoglio e una sottile ironia: I cozìn i vegnìen su ne la géSa de Pedenòs a tör i sc’tendàrt per fér li proscisción... Gli abitanti di Isolaccia venivano su nella chiesa di Pedenosso a prendere gli stendardi per fare le processioni... Il campanilismo esistente tra i vari villaggi si estrinseca anche in certe espressioni dialettali che divengono oggetto di derisione. I cozìn ridono quando sentono pronunciare dai semoghini il termine puSgiöl per indicare il balcone e lo stesso fanno i semoghini sentendo nominare al pontì dagli abitanti di Isolaccia. Altri termini sono causa di sberleffo: al neót, li ghilìna e al camp sostantivi usati in Isolaccia diventano al naót, li galìna e al chèmp e in Semogo. Sotto il punto di vista dialettale i premaiotti si scostano parzialmente dalla tipologia della vallata riflettendo in parte il dialetto di Oga e della Valdisotto per quel chiglià (che significa qui) ormai scomparso e che pochi ancora utilizzano.

174

aldidentro STORIA PAESI GENTE La Valdidentro ha conservato, fino a La cristallizzazione dell’antica forma V non molti decenni fa, l’arcaicità del suo dialettale si riscontra più facilmente, se dialetto, caratterizzato da una non in qualche anziano, nelle persone pronuncia stretta e dalla presenza di che sono emigrate da parecchi anni in una ridondante erre rutilante. Il passare luoghi lontani dal loro paese natìo. del tempo, il mescolamento delle razze Colloquiando con loro in occasione di e la progressiva tendenza ritorno ai propri luoghi d’origine all’italianizzazione sono fattori che magari per soggiorni vacanzieri, è hanno concorso alla perdita progressiva possibile riscontrare che il dialetto non didascalia di queste caratteristiche. ha subito alcuna corruzione.

176 la ente G Il ciclo della vita

La nascita e l’infanzia la donna si riteneva impura e per questo aveva influssi negativi su molte cose. Non doveva toccare piante o fiori Prima della nascita. perché altrimenti sarebbero rinsecchiti, LeP donne della Valdidentro non doveva entrare nell’orto a diventavano e diventano potenziali raccogliere l’insalata perché sarebbe madri all’età di 14 o 15 anni, e la appassita e non poteva, all’uccisione comparsa del primo ciclo era, fino a del maiale, insaccare e toccare i salamét, qualche decennio fa, un dramma per la sedenò i diventàan caf, ossia si sarebbero giovane fanciulla. La madre diceva svuotati all’interno e quindi andati a semplicemente alla figlia spaventata: male. didascalia Ésa t’ésc fömena. Adesso sei donna. Sc’tremìscet mìga, che te vedrèsc, al te sucederè tüc’ i més. Non spaventarti, perché ti accadrà tutti i mesi. L’evento veniva di solito nascosto alla madre, con la quale la figlia non aveva alcun tipo di confidenza. Rosina d’Isolaccia, parlando di questa scarsità di dialogo che intercorreva tra madre e figlia, diceva: La mìa mama la m’è mài sc’pieghè gnént, la me diSgéa nóma: Avé al sant timór de Dìo! Mia madre non mi ha mai spiegato nulla, mi diceva soltanto: Abbiate il santo timore di Dio! La madre raccomandava alle figlie ormai già cresciute de miga parlèr de quìli bruta ròba gliè, di non parlare di quelle brutte cose. Le mestruazioni non venivano mai chiamate con il loro nome scientifico, ma si usava un gergo speciale, formato da sostituti e eufemismi, per nascondere quell’evento ritenuto quasi vergognoso: Al gh’é vegnì li sóa ròba, i séi lór, al marchés, i séi córz, i séi mesc’téir, i séi afàri, al meSìn. Questo costume di celare sotto varie locuzioni un fenomeno naturale e la vergogna che prendeva le giovani fanciulle nel constatarlo trova la sua origine nel concetto di impurità da cui era circondata la donna mestruante fin dai tempi biblici. Nel periodo del catamenio e in quello della gestazione

177 didascalia La fecondità era ritenuta una grazia talmente esaudito che sua moglie in della “provvidenza” mentre al seguito portò alla luce ben sei pargoli. contrario, la sterilità, era simbolo di Tra le molte anche una coppia di punizione. Emblematico il commento Isolaccia che non aveva figli si spinse, maligno della gente del villaggio di sempre a piedi scalzi, dal piccolo Semogo, a proposito una donna non paesino della Valdidentro fino a San dava alla luce dei figli: Al vòl dir che al Colombano per chiedere la grazia. Signór al vòl gnènca laghér la raza. Un’altra donna di Isolaccia, dopo Significa che Dio non vuole che di essersi recata fino alla chiesa partendo quella famiglia si formi discendenza. In a piedi scalzi da Sughét (frazione tra senso dispregiativo, una donna che Premadio e Isolaccia), ricevette la grazia non aveva figli era definita sc’tèrla, ossia riuscendo a partorire otto figli. Questa sterile, mentre l’uomo era marchiato diceva scherzosamente in giro, che era col termine sc’terlùch. L’impossibilità di pronta a ripartire verso la cima della avere figli veniva combattuta anche con montagna per chiedere una seconda la preghiera e la devozione a San grazia, quella che fosse interrotta la Colombano. Le coppie che avevano magnanimità di san Colombano. difficoltà a procreare si recavano in Varie erano le locuzioni che nella pellegrinaggio fino alla sperduta Valdidentro esprimevano la gravidanza. chiesetta in cima alla montagna, A Premadio in base alla presenza di dedicata al santo monaco irlandese. Si una certa peluria che cresce sul viso racconta che un abitante di Premadio, della donna, correva il detto: Quéla lì la per avere figli, si recò pregando e a bùta al pél. A Isolaccia una donna che piedi scalzi dal suo villaggio alla soglia diveniva panulénta, lentigginosa, di quella chiesa e il suo desiderio fu secondo la credenza popolare faceva

178 la ente G sicuramente trasparire la sua gravidanza. Quéla fömena l’é in càmpo o l’é iglieré, si aggira nei pressi, era un modo di dire dei cozzini (abitanti di Isolaccia) per indicare una futura madre. A Pedenosso si diceva l’é iè dré. La fömena in crómpa, la donna incinta, era oggetto di particolari attenzioni e prescrizioni. Tra i vari accorgimenti i diSgiön a li fömena in crómpa de mìga de ir su la dìa del fégn cór che 'l còsc, dicevano alle donne gravide di non salire sopra la stipa del fieno mentre questo stava fermentando. Il fieno in queste condizioni avrebbe potuto esalare vapori malefici per il feto. Inoltre si raccomandava de miga indiér al fégn e de mìga Sg’longhér su i brèc’ a sc’ténder, di non accatastare il fieno con il tridente nel fienile e di non allungare le braccia a stendere i panni. La donna gravida doveva porre attenzione de miga sc’pazér al còrch de li béscia, di non introdursi a pulire il recinto nella stalla riservato alle pecore, didascalia

179 aldidentro STORIA PAESI GENTE perché l’odore dello sterco poteva colorito e la sua forma, avrebbe V causare danni al nascituro. La donna rappresentato, benché vagamente, la gravida non doveva assolutamente cosa che la madre aveva desiderato. uscire di casa dopo il suono dell’Ave Inoltre alle donne gravide era vietato Maria della sera. Si diceva che il assistere all’uccisione del maiale per nascituro avrebbe subìto l’influsso due motivi: sia per non condividere in malefico delle megere vagolanti qualche modo l’atto cruento, sia per nell’aria e sarebbe potuto diventare non veder scorrere il sangue. Era anch’esso, a seconda del sesso, strega o vietato alla futura madre vedere stregone. La donna non doveva vedere incendi, perché altrimenti il figlio persone o animali deformi dai quali sarebbe nato con il viso cosparso di potesse esserne negativamente macchie color fiamma (li vöglia). suggestionata. Perciò una donna Doveva porre particolari attenzioni a incinta non doveva soffrire la vista di non incontrare persone deformi, gobbi, storpi, assistere moribondi e perché tali deformità sarebbero visitare morti, per non rischiare di ricadute sul nascituro. La credenza si partorire un bambino gobbo, mutilato basava sul fatto che se le donne o affetto da pallore cadaverico. Si gravide, qualora fossero state prese da affermava inoltre che, se la donna sc’felént, desiderio di qualcosa, si gravida avesse portato al collo matasse fossero toccate, avrebbero potuto di cotone, di fili, di lana annodata, segnare come per riverbero il bambino collane o catenine, avrebbe dato alla che portavano in grembo: questo luce un bambino con il cordone sarebbe cioè nato portando sul corpo una traccia (voglia) che, per il suo ombelicale attorcigliato intorno al collo.

didascalia

180 didascalia Spontaneo nelle donne della previsioni venivano anche tratte dalle Valdidentro era il desiderio di caratteristiche del viso, che, se conoscere il sesso del nascituro. Le diventava scuro, con macchie marroni previsioni del sesso si ricavano ancor o cosparso di lentiggini (maschera oggi dalla forma del grembo materno: gravidica), allora si pensava a una se la madre presenta il ventre gonfio bimba. Se invece il viso conservava il verso l’alto e con rotondità omogenea sarà un maschio, se invece presenta il suo aspetto naturale, significava che la ventre «in punta» verso il basso sarà donna avrebbe dato alla luce un una femmina. Infatti correva il detto: maschio. Una credenza piuttosto BòSgia guza la và miga in guèra. Pancia semplicistica intorno al sesso del aguzza non va in guerra, non sarà nascituro si riassumeva nel pronostico: chiamata alle armi. Si diceva anche Se la luna l’é blanca l’é ómen, se la luna l’é che, se la pancia era «pendula», néira l’é fömena. Se la luna è bianca sarà cadente, sarebbe nata una femmina, se maschio, se nera sarà femmina. era invece compatta, sarebbe stato un maschio. Anche certi fenomeni fisiologici erano indici validi per scoprire il sesso: se la madre era soggetta a vomiti e nausee si preannunciava un maschietto. Le

181 aldidentro STORIA PAESI GENTE La nascita. In questa vallata circolava una V A Isolaccia l’imminenza della nascita di curiosa credenza sul prolungamento unL nuovo piccolo era annunciata al della gravidanza. La donna rimaneva padre in questo modo: Van, perché al gravida fino a dieci lune (dieci o undici cròda la pigna. Va’ in fretta (a casa dalla mesi) se passava sotto la testa di un moglie), perché sta crollando la stufa. cavallo. Un detto ancor più antico era al cròda Le madri spaventavano con i loro l’invòlt, crolla l’involto. Più racconti le figlie primipare descrivendo grossolanamente a una donna che il parto come un evento dolorosissimo. rischiava di abortire si diceva: Mét al A Semogo si diceva che alla nascita del cögn, che al salta ó l’invòlt. Metti il figlio al giràa sèt sc’tùa, giravano sette cuneo, che sta cadendo la volta. Si stanze. Il parto avveniva sempre tratta di una serie di metafore che nell’abitazione della gestante e il collegano tutte queste strutture medico raramente lo assisteva, se non aggettanti e rotonde come la pancia di in casi di estrema gravità. Per favorire una mamma in attesa. A Pedenosso si un buon parto si consigliava di usava anche ripetere: Quàn che l’é assumere costantemente l’òli de linóSa. madùr, al cròda al formént. Quando il L’uso di somministrare olio di semi di frumento è maturo, casca. In generale lino si ricollega all’antica credenza che in tutta la Valdidentro quando le l’azione del liquido emolliente potesse donne partorivano si diceva che li rimediare a un parto asciutto e che Sg’vöidàan al sach, svuotavano il sacco. l’olio facilitasse lo scivolamento del Didascalia nascituro. Per accelerare le doglie

182

aldidentro STORIA PAESI GENTE veniva utilizzato un metodo piuttosto nostrani e dolci casalinghi. Prima degli V grossolano. Veniva preparata una otto giorni di letto raccomandati dalla pappa densa di vino e zucchero che si levatrice, la puerpera cominciava già ad somministrava a cucchiai alle attendere alle faccende domestiche, ma partorienti. Spettava all’ostetrica (la non partecipava mai al battesimo dei fömena) e ai familiari assistere la donna figli e, non appena fosse potuta uscire e procurare il necessario affinché tutto di casa, si recava in chiesa a purifichès co si svolgesse senza problemi. l’àqua santa, secondo il rito cristiano La nascita era legata a una serie di che si richiama alla purificazione della credenze con carattere magico e Vergine, celebrato per la Candelora e devozionale. Si credeva fosse che, sul piano demologico, sancisce il particolarmente fortunato quel bimbo legittimo reingresso della donna nel che nasceva avvolto nel velo del liquido cerchio della comunità. amniotico e si soleva dire: L’é nesciù co la camìSgia, l’é nesciù visc’tì, l’é nesciù sóta Il battesimo. bóna luna, sóta bóna sc’tèla. È nato con Nella Valdidentro come in tutto il la camicia, è nato vestito, è nato sotto I buona luna, sotto buona stella. Il velo Contado di Bormio la prima amniotico veniva chiamato la capùcia de preoccupazione, alla nascita di un la fortùna. A Isolaccia e a Semogo la nuovo bambino, era quella di placenta veniva bruciata nel fuoco battezzare il piccolo il più presto subito dopo il parto, perché era possibile, perché correva l’opinione ritenuta una cosa santa e, che, morendo prima del sacramento sotterrandola, poteva diventare preda dell’iniziazione (la mortalità infantile a dei selvàdich (degli animali selvatici) e, quei tempi era elevatissima), sarebbe in tempi passati, delle streghe che la rimasto luterano o protestante (lùter), utilizzavano per comporre i loro cioè escluso dalla chiesa. Il bambino, unguenti infernali. data l’assenza della madre obbligata a stare a letto per ben otto giorni, veniva Avvenuto il lieto evento, si portato al fonte battesimale oltre che aspettavano un paio d’ore (per il dal padrino (al gudèz), dalla madrina (la pericolo di emorragie), e poi era gudèza) e dal padre, anche dalla grande festa. A Isolaccia era usanza levatrice, che in qualche misura si portare del marsala o del vino con i sostituiva alla mamma. Il battesimo era savoiardi o bisc’cotìn per rinvigorire la puerpera. Tutti i presenti facevano un momento pregno di superstizioni: copiosi spuntini a base di salumi ai padrini e alle madrine non era didascalia consentito commettere alcun errore la ente G nella recita del Crédo, altrimenti la povera creatura sarebbe stata per tutta la vita tormentata dalle streghe. Sempre per proteggere i neonati dall’influsso malefico delle streghe, si usava nel nostro Contado appendere al loro collo un piccolo ciondolo osseo raffigurante sant’Antonio, segnandoli sera e mattina con la “croce nera”. Fino a qualche anno fa vigeva l’usanza curiosa che la famiglia del primo battezzato con l’acqua nuova, benedetta durante la vigilia pasquale, doveva donare un capretto al parroco del paese. A Semogo questa usanza era Didascalia definita del bechìn. A Pedenosso vigeva I giochi. l’usanza curiosa di “agghindare” il I giochi dei ragazzi di un tempo erano capretto come un bambino: gli diI una semplicità estrema, anche mettevano la berretta e gli perché la povertà non permetteva di abbottonavano il grembiule senza acquistare cose inutili: erano trastulli maniche sotto il ventre. Poi lo fatti con poche cose. I giochi delle portavano in chiesa, lasciandolo libero bambine non erano altro che sul sagrato. A cerimonia conclusa, il un’iniziazione ai lavori domestici: cuSìr sacerdote si prendeva il capretto. e fér calza, cucire e fare la calza. Li Quando i neonati morivano prima marcìna li fàan su li pópa de pèza. Le d’aver ricevuto il sacramento del bambine si costruivano da sole delle battesimo, si diceva che scendessero al rudimentali bambole fatte di stracci. I limbo. Non veniva svolta per loro padri e i nonni, nei pochi ritagli di alcuna cerimonia funebre e, portato il tempo, si ingegnavano a costruire con cadavere al cimitero, si procedeva a una pezzetti di legno gli animali domestici fugace benedizione. La cerimonia si della casa o della stalla: li vàca, li béscia, svolgeva la mattina presto o la sera i porcéi, i ghèt, le mucche, le pecore, i tardi e il corpicino esanime veniva maiali, i gatti, eccetera. La mancanza di inumato in terra sconsacrata. denaro aguzzava l’ingegno e i ragazzi mettendo in moto la loro fantasia realizzavano giochi alquanto curiosi. In riva al fiume bastavano due rametti biforcuti infissi nel terreno e un legnetto munito di pale di legno disposto trasversalmente per costruire dei bellissimi mulini ad acqua. Là, dove i prati si facevano scoscesi, un’escìna, una piccola tavola, o una sc’càndola, assicella di larice utilizzata come tegola per i tetti, poteva essere sufficiente per organizzare lunghe e pericolose

185 aldidentro STORIA PAESI GENTE V

Pagina a fronte: Isolaccia a inizio 1900, con la chiesa del ‘500 abbattuta e ricostruita con diverso orientamento nel 1938.

scivolate lungo il pendio (li Sg’litaròla). I buco degli avversari. Vi era un vero e maschi si divertivano a costruire con le proprio campo da gioco con buche già proprie mani le fionde (i tirasàsc, a predisposte a Póz de Bèta (zona prativa Premadio i tiracùch) e gli archi, sopra Isolaccia prospiciente le baite di passando magari la giornata intera alla Pézel). ricerca del ramo che presentasse la Altro gioco diffuso nella biforcazione più adatta e quello più Valdidentro era quello dei fiori della flessibile. I proiettili preferiti bardana che si basava sul fatto che alle consistevano in temelìn, brumolìn e loro estremità presentano dei fròSula, cioè le bacche rosse del sorbo microscopici uncini, i quali degli uccellatori, le piccole prugne conferiscono ai capolini la possibilità selvatiche e il frutto della rosa canina, di appiccicarsi a qualsiasi superficie oltre ai comuni sassi, ritenuti pelosa. Questi fiori venivano chiamati giustamente più pericolosi. In a Isolaccia li grignàpola e venivano primavera, quando spuntava la foglia utilizzati dai ragazzi per giocare e fare sui rami e questi erano ricchi di linfa, i dispetti. Se ne raccoglievano un buon bambini costruivano gli zufoli (i sciblöl) numero, tanto da formarne un blocco, utilizzando il legno dei piccoli salici di che veniva appiccicato sul petto alla fiume. maglia. I capolini tondeggianti A Isolaccia si giocava alla pòrcola (a venivano lanciati a uno a uno Premadio il gioco veniva chiamato la organizzando delle vere e proprie còna). I ragazzi dovevano colpire con i guerre e cercando di colpire la parte loro bastoni una palla di legno di più vulnerabile del corpo degli betulla e farla entrare in una buca nel avversari: i capelli. Le bambine dalla terreno. A ogni concorrente era chioma folta erano le più bersagliate. assegnata la sua buca, e compito di D’inverno l’arrivo della neve ciascuno era anche quello di impedire permetteva una serie di altri giochi con la mazza che la palla entrasse nel artigianali. La stessa cartella di legno,

186 foggiata a forma di cassetta, veniva usata come slittino là dove le scuole dei villaggi erano abbarbicate sui pendii, come Semogo e Pedenosso. I bambini di Pedenosso costruivano rudimentali pattini di legno, i Sg’lìper, che legavano alle scarpe con filo di ferro per discendere velocemente lungo il pendio che portava a Isolaccia. Quando poi si andava in bolgésc, ossia sulle bàite di montagna per trascinare a valle con la lölZa, la slitta grande, il fieno o la legna, i ragazzi ne approfittavano trascinandosi dietro i loro slittini. La salita costava molto sudore, ma ne valeva la pena, perché la discesa in mezzo al bosco non finiva mai e si trasformava in una prova ufficiale per saggiare le qualità di provetto guidatore di slittino.

Pagina a fronte: Isolaccia a inizio 1900, con la chiesa del ‘500 abbattuta e ricostruita con diverso orientamento nel 1938.

la ente G Il fidanzamento e le nozze

La difficoltà degli incontri. femminili, cosa piuttosto difficile a Le prime conoscenze amorose tra i quei tempi. Gli stellari potevano così giovaniL comportavano una serie di dimostrare i loro amori attraverso il difficoltà. La paura del peccato, la canto soffermandosi più tempo nella rigidità della chiesa, l’impedimento dei dimora dell’amorosa. Là infatti dove la genitori e le poche possibilità di uscire ragazza era più simpatica, di casa da sola, portavano la donna a l’intrattenimento si prolungava ad arte essere timorosa, schiva, a concedersi intercalandone il nome nel canto. La molto poco e a sfuggire in modo chiamata alla leva poteva essere altra assoluto i rapporti sessuali clandestini. occasione di approccio tra i giovani dei Chiusa tra le mura domestiche la differenti sessi. Infatti spettava alle fanciulla passava il tempo fra preghiere giovani dei villaggi della Valdidentro e lavoro con vestiti accollati, gonne confezionare i fiori di carta da donare lunghissime e i capelli raccolti nel redìn, ai coscritti da mettere all’occhiello sulla retino, tanto da non concedere nulla giacca e come ornamento delle fronde allo sguardo maschile. d’abete che costituivano la volta del Al suono dell’Avemaria, quando carro utilizzato dai coscritti stessi. cominciava a imbrunire, qualsiasi fanciulla doveva ritirarsi nella sua Campanilismo e fidanzamento dimora. Il parroco di Semogo, in ufficiale. Un ragazzo che andava ad relazione alla possibilità degli incontri Camoreggiare con le ragazze di un altro che potevano verificarsi tra i pastorelli paese era mal visto e i suoi incontri dei due sessi, definì la stagione estiva con l’amorosa erano spesso osteggiati. come “la vendemmia del diavolo”. Gli Rarissimi erano i matrimoni tra sposi incontri avvenivano sempre de sc’fodìgn, dei diversi paesi della Valdidentro. Per di nascosto, lontano da occhi questo gli abitanti di ogni villaggio indiscreti. La conoscenza tra i giovani mantenevano le loro caratteristiche era piuttosto limitata: ci si incontrava fisionomie. De ISolècia a Semòch l’é con sguardi sfuggevoli durante il lavoro mai comparì su ‘na màrcia e l’é pasè sui campi, in chiesa o dopo i vespri. I cént ègn prima che un semoghìn l’é gì primi approcci potevano avvenire in occasione di certe feste particolari. Una a tör una màrcia a ISolècia. Fino a tra queste feste era il giro della stella qualche decennio fa nessuna ragazza nel periodo natalizio o nel dì cozzina si sarebbe sposata con un dell’Epifania, che rievoca il leggendario giovane di Semogo e altrettanto nessun viaggio dei Magi guidati dalla Cometa semoghino avrebbe preso per moglie alla grotta di Betlemme per onorare la una fanciulla di Isolaccia. nascita di Gesù Bambino. Il giro era La scoperta anticipata di una lungo perché tante erano le case da relazione, prima del fidanzamento visitare e perché venivano concesse ufficiale, era oggetto di derisione da molte repliche. In questo lungo parte dei giovani del paese. Questi peregrinare di casa in casa dei giovani ultimi erano soliti congiungere, nel più vestiti da pastori, gli stellari (così profondo della notte, le case dei due venivano chiamati) c’era anche innamorati, con una striscia di segatura Didascalia della foto l’occasione di approfondire conoscenze di legno. La preoccupazione di non qui sotto

191 aldidentro STORIA PAESI GENTE lasciar trasparire alla gente i propri battesimo, si dirigeva verso la casa della V sentimenti portava a scoprire il sposa. La sposa, nel frattempo, si fidanzamento solamente il giorno del vestiva e poi veniva nascosta consenso, quando il parroco esponeva nell’angolo più recondito della casa, al popolo le pubblicazioni in chiesa. In mentre i parenti della fanciulla si tutta la Valdidentro i futuri sposi preoccupavano di sbarrare porte e difficilmente si presentavano in chiesa finestre nel miglior modo possibile, per in occasione delle pubblicazioni, per segregare quanto più a lungo si fosse sottrarsi alla vergogna di rivelare la loro riusciti il loro splendido fiore, che stava relazione in pubblico. per essere rapito. Nel frattempo allo sposo, che trovava l’uscio sbarrato, Le dispute nuziali e l’occultamento venivano proposte dalla finestra le della sposa. Il giorno delle nozze lo donne più goffe, più vecchie e più sposoL partiva di buon mattino dalla brutte del paese. L’uso di presentare la sua abitazione, ricevendo la “falsa sposa”, non è che un rito di Didascalia della foto benedizione con l’acqua santa dai trapasso, strutturalmente analogo a qui sotto genitori. Il corteo, con in testa lo quello che si riscontra in altre zone sposo, affiancato dai padrini di d’Italia e d’Europa. la ente G

In chiesa e le dispute sul sagrato. Naturalmente agli sposi spettavano i Dopo le dispute e il ritrovamento della due fiori bianchi più belli e Didascalia della foto sposaI veniva consumata nella casa della voluminosi. qui sotto sposa una abbondante colazione: la Il corteo normalmente arrivava con culizión. Nell’attesa che giungesse il largo anticipo sull’orario stabilito dal tempo di avviarsi alla chiesa, a Isolaccia parroco: gli sposi si disponevano nel e Semogo, la sposa distribuiva a tutti banco centrale, appositamente gli invitati, secondo una gentile usanza, addobbato per loro, quindi durante la dei fiori di carta da mettere messa si svolgeva la cerimonia nuziale all’occhiello. I fiori erano di due colori: secondo il rito romano. bianchi da consegnare a tutte le persone illibate (sia maschi, sia femmine), rossi da donare agli sposati.

193 aldidentro STORIA PAESI GENTE Fuori dalla chiesa. All’uscita dalla In casa dello sposo e il pranzo V chiesa si susseguivano una serie di nuziale. Terminata la scena sul sagrato, festeggiamenti;F alcuni amici e parenti tuttoI il corteo si avviava verso la casa degli sposi si nascondevano tra i vicoli paterna dello sposo, dove sarebbe e gli angoli delle case in attesa del iniziato il gran pranzo nuziale. Prima corteo nuziale, per sorprenderlo con che la sposa varcasse la soglia, si spari a salve di fucile e pistola. L’uscita recitava la significativa scenetta degli sposi dalla chiesa era salutata da dell’incontro con la suocera. una serie di evìva i sc’pós e dalla Quest’ultima si presentava sulla porta, tradizionale richiesta del bacio. I bambini attendevano con trepidazione tenendo in una mano le chiavi di casa il lancio dei minuscoli confetti che la e nell’altra una cesta di calze da sposa stessa era solita lasciar cadere sul rammendare e ciò stava a significare sagrato della chiesa. La sposa, in tempi che la nuora sarebbe diventata la nuova più remoti, all’uscita della chiesa, padrona di casa ma che le sarebbero fingeva di scappare e, invece di seguire spettate anche tutte le incombenze il marito, tentava di ritornare alla relative alla vita domestica. A Premadio propria casa. Era tutta una scena, la suocera dava la chiave alla nuora e il perché inseguita da quelli che già giorno seguente si recava in chiesa a sapevano della sua falsa fuga, veniva insegnèghi al banch, ad assegnarle il con dolce violenza ricondotta in testa posto dove avrebbe dovuto sedersi al corteo. La scena richiamava antiche accanto a lei durante tutte le funzioni costumanze lombarde che religiose. Il pranzo di nozze era rappresentavano un ritorno in forma preparato in casa da un cuoco o da una solenne della sposa nella casa paterna cuoca e consisteva in poca cosa: risotto Didascalia della foto dopo i primi giorni passati col marito. qui sotto giallo come primo piatto e un poco di

194 la ente G carne lessata come secondo (al bòt o montone castrato). Terminato il pranzo, la sposa girava tra gli invitati con una grossa bièla, marmitta di terracotta o porcellana, ripiena di benìsc, confetti, e con un cucchiaio ne distribuiva tre o cinque nelle mani degli ospiti (sempre in numero dispari). Erano i confetti più prelibati: quelli bianchi con le mandorle.

Nozze con riti speciali: la serra. Se lo sposo non pagava lo scotto Quando una giovane di un paese della della serra, si sarebbero verificati Didascalia della foto NValdidentro si sposava con un dispetti a non finire nei confronti degli qui sopra forestiero (considerato tale l’abitante di sposi. Per fare un esempio dei soprusi un qualsiasi altro paese, anche della ai quali potevano andare incontro gli vallata), costui era costretto a pagare sposi nel caso di mancato pagamento, alla Gioventù la cosiddetta serra. si cita uno degli articoli del codice Attraverso la via percorsa dalla donna della Gioventù di Pedenosso: «Nella che si recava agli sponsali, veniva teso dolorosa, triste, lacrimosa evenientia un bel nastro che sbarrava la strada ai che il sopradetto richiedente dia futuri sposi. Il nastro poteva essere pertinace rifiuto dopo legale monizione reciso solo se il “forestiero” avesse del Consiglio, li Giovani della pagato la tassa ai giovani del paese. Un Magnifica Terra, licite et legaliter, tempo al fianco degli addetti che potranno per anni uno e giorni trenta, tenevano il nastro, si piazzavano due con principio dalle nozze, fare ragazzi con gli schioppi (scarichi), continua, feroce, triste, dolorosa, pronti a simulare una sparatoria, tormentosa et dispettosa guerra con qualora lo sposo si fosse rifiutato di qualsivoglia mezzo, modo, maniera, pagare la serra. A Semogo la serra forma et macchinazione di nota et veniva allestita per tutti, anche per gli possibile invenzione et in esempio: sposi non forestieri. Venivano fatte irrisioni con accompagnamenti di delle vere e proprie barricate che animali vari, praesertim cum asino chiudevano la strada, in vicinanza (specialmente con l’asino), ostacoli, dell’abitazione della sposa. Spettava ai sbarramenti, seminazioni parenti dello sposo il liberare la via, escrementizie, sonagliamenti cum tolis mentre quelli della sposa assistevano et cornis et similia (scatole, corni et senza muovere un dito. Più la barricata altri arnesi rumorosi), lavaggi et era imponente, più la sposa era sbroffamenti in cinere, pulvino, in ritenuta importante e stimata da parte calido et frigido et in extremis etiam in dei membri della Gioventù. bagnarola (con cenere, pula, a caldo e a

195 freddo e in casi estremi anche con immersioni in bagno). E altre simili segrete, orribili, diaboliche macchinazioni et invenzioni, secondo quanto prescritto nell’articolo occulto del Codex Poenarum dove si dà specifica et clara (specifica e chiara) notizia delle pene, penitenze, castighi contro li ostinati, pertinaci et contumaci». Si poteva arrivare addirittura allo scoperchiamento del tetto della casa degli sposi. Ancor oggi gli anziani ricordano di uno sposo di Isolaccia che, non avendo pagato la serra alla Gioventù di Pedenosso, fu preceduto da un carretto trainato da un mulo dal quale i giovani del paese scaricavano continuamente sterco accompagnato da segatura che veniva eruttata da un ventilabro. Oppure ancora si rammenta la giornata tormentata di quello sposo di Sughét che non volle pagare la serra ai giovani di Premadio. I futuri sposi nel giorno del loro matrimonio si ritrovarono la strada cosparsa di letame e accolti da quelli della Gioventù muniti di fischietti, trombe e corni. Due latte di spurgo del pozzo nero furono rovesciate ad arte proprio davanti agli sposi e allo stesso modo furono gettate una dozzina di uove putrefatte. Per completare l’opera uno dei più scatenati componenti della Gioventù calò i calzoni proprio davanti agli sposi mostrando loro il fondoschiena. Gli appartenenti a quel gruppo giovanile scrissero a conclusione della movimentata giornata: «Passando pel paese tutti ci acclamarono e ci davano ragione. Arrivati alla tabacchina ancora un bicchiere e poi la compagnia si sfece, contenti di aver sostenuto le usanze tanto care e tradizioni».

didascalia la ente G La morte mezzora, se la defunta era femmina il suono durava solo un quarto d’ora. A morte avvenuta il defunto veniva Agonia e decesso. composto nel letto con un lungo ALa morte ha ben poco di pauroso per camicione bianco e poi, in tempi gli abitanti della Valdidentro e viene successivi, con il suo abito migliore. Il accettata con la più serena morto non veniva mai lasciato solo ed rassegnazione. Alla morte di un era vegliato giorno e notte da parenti e bambino commentavano: Ésa che l’é vicini di casa. Vi erano delle donne che mòrt m’arè un altro angelìn in cél. Ora avevano il compito di leggere le 70 che è morto avremo un altro angioletto offerte dei morti e che venivano pagate in cielo. venti centesimi per il giorno e venti per L’agonia veniva annunciata secondo la notte. La sera la gente del paese si un rituale che prevedeva venissero recava in chiesa a scandire le orazioni suonati i bòt de l’angonìa. I rintocchi si del rosario con il parroco. Al termine differenziavano a seconda della funzione, fuori della porta di dell’individuo: se il moribondo era una chiesa, due uomini (generalmente parenti del defunto) con due grossi cesti donna i rintocchi erano quattro, se era o sacchi erano incaricati di distribuire un uomo le campane suonavano per un’elemosina di pane e di sale. cinque volte. Anche la morte era annunciata in modo differente. Poco prima dell’inizio del funerale il Quando moriva un infante, le morto veniva deposto nella bara che campane suonavano a festa (al sonàa era costituita da rozze tavole di legno, l’alegréza). In morte di un adulto, se costruita direttamente dai falegnami uomo, la campana suonava per del posto.

didascalia

197 aldidentro STORIA PAESI GENTE Il funerale. manifestazioni del lutto variavano da V Il corteo funebre in tutti i paesi della sei mesi fino addirittura a tre anni in ValdidentroI si differenziava a seconda casi eccezionali. I parenti più stretti di dell’età del defunto. Se si trattava di un sesso maschile erano coloro i quali bambino appena nato, il feretro veniva dovevano seguire più scrupolosamente portato a braccia dal suo padrino, se il tradizionale uso del capòt, ossia invece era più grandicello veniva indossare un pesante mantello nero costruita una piccola barella con i anche nel periodo estivo; le donne si manici in modo che la portassero i coprivano di uno spesso scialle nero. Il coetanei. Nei funerali degli adulti la lutto era manifestato anche da certi salma era portata dai confratelli del comportamenti che vietavano la Santissimo Sacramento vestiti di tunica partecipazione a qualsiasi bianca. La cassa coperta da un grande festeggiamento e alla frequentazione di telo nero con iscrizioni e ricami certi ambienti pubblici. bianchi, era depositata e trasportata su una portantina. Elemosine per i morti. Una delle elemosine più comuni della Il lutto. EValdidentro era la cosiddetta elemosina GrandeI importanza rivestivano fino a di fieno che consisteva in donazioni qualche decennio fa i segni del lutto in alla chiesa, da parte dei contadini, di memoria del defunto. Il lutto si certi quantitativi di foraggio più o differenziava a seconda del grado di meno cospicui. Questo fieno sarebbe parentela. In tutta la Valdidentro le didascalia poi andato all’asta e con il ricavato si sarebbero celebrate messe e funzioni in favore delle anime dei defunti. I deputati alla raccolta del fieno erano chiamati in Isolaccia i cercòt. Il fieno veniva raccolto all’interno di un apposito fienile denominato al taulà di mòrt e messo all’asta in primavera al miglior offerente. A Isolaccia accanto ai cercòt vi erano li menögliéira ossia delle giovani del paese addette alla raccolta della segale per i morti. Anche in questo caso dopo la raccolta si procedeva a un’asta.

Il 2 novembre: i morti ritornano dall’aldilà. Il 2 novembre l’usanza di rifocillareI il morto era comune a molte zone della Valdidentro. Vi era infatti la credenza che in quel giorno i morti ritornassero sulla terra, ciascuno alla propria casa. Si raccontava che i defunti, stanchi dal lungo viaggio, avevano bisogno di riprendersi e per

198

aldidentro STORIA PAESI GENTE questo obbligavano quelli di casa ad Un detto a carattere meteorologico V alzarsi prestissimo per lasciare loro il legato a quel giorno era quello citato in letto. I casigliani dovevano poi Semogo: Quàndo i rìven i sant coi pè sciùt preparare un secchio d’acqua e i én cé i mòrt coi pè bagnéi. Quando qualcosa da mangiare per rifocillare i arrivano i santi con i piedi asciutti, “loro morti” dal lungo viaggio giungono i morti con i piedi bagnati, compiuto dall’aldilà. ossia se il primo novembre farà bel didascalia tempo, sicuramente pioverà il giorno 2. la ente G Feste e usanze del ciclo annuale

Gabinèt

Da tempi immemorabili si perpetua in Valdidentro, come in tutto il Contado di Bormio, l’antica usanza del Gabinèt. Dal tocco della campana del Gloria in Excelsis o dei vespri (in poche parole verso le tre del pomeriggio) della vigilia dell’Epifania (il 5 gennaio) fino alla stessa ora del giorno seguente, amici, parenti, conoscenti, in un incrociarsi di saluti e di sorrisi, cercano di prevenirsi nel gridare: Gabinèt, Gabinèt e vincere così dolci o doni a chi s’è lasciato sorprendere. Il Gabinèt secondo il suo stesso valore etimologico, cioè Gabe “dono” e Nacht “notte”, consisterebbe nella cosiddetta notte dei doni. La tradizione purtroppo ormai si è ridotta a poca cosa ed è semplificata ad una risorsa per i ragazzi, i quali ottengono di sicuro, in tale occasione, qualche dono dai parenti o qualche frutto dai vicini di casa e dai padrini di battesimo. Bisogna risalire alla metà del 1900 per trovare in vigore le industrie e gli accorgimenti cui si ricorreva, fra gente d’ogni età, per riuscire vincitori. Erano strani e geniali appostamenti, false malattie, travestimenti nei pittoreschi costumi delle vallate e perfino simulati incendi. Si facevano anche importanti scommesse e si arrivavano a vincere addirittura appezzamenti di terreno. Il pagamento del Gabinèt poteva essere corrisposto cita un episodio occorso tra due didascalia entro e non oltre il giorno di sacerdoti più di un secolo fa in Sant’Antonio abate, giorno della Isolaccia e già citato in parte da benedizione degli animali e inizio del Glicerio Longa nella sua raccolta di carnevale. tradizioni «Usi e costumi del Bormiese» Per ben caratterizzare l’importanza del 1912. che si dava alla tradizione del Gabinèt si

201

aldidentro STORIA PAESI GENTE «Al g’àra un òlta döi bón prèt: al - Me dèt ‘na man a sc’carghér al gèrlo? Sc’chenìn che l’àra un cozìn e un silighét de V Ma péna al don Doménich l’àa ciapè su un lór e al Doménich che l’àra un al gèrlo, la quèrta l’àra saltéda ìa e l’àra legnàsc’ch e l’àra anca un gran boldrón. I sc’prizè fór la crapa Sg’bèrtola del don àren tüc’ döi béi guz e di gran sc’cherzón. I Sc’chenìn che al g’àa oSgè: sc’tàan aprös de bàita e i àren di gran sòci. Al dì del séisc de genéir al don Doménich al - Gabinèt! s’àra inviè vèrs la géSgia per celebrér la - Sc’tòlta te me l’èsc féita, ma te me la mésa granda. L’àra amó debòt e al g’àra in pagherèsc cara e saléda! giro gnigùn, ma al don Doménich al continuàa a voltès perché l’àa pöira che Al dì de Gabinèt de l’an aprös al don vergùn al ghe vengés al Gabinèt. Dré a la Sc’chenìn i l’àan ciamè al léc’ de una vìa Càpole al g’àra nóma un ómen che al fömena che l’àra in angonìa perché l’àa ù giolö de ónda. L’àa su su li sc’pala un gèrlo de li tribulazión cór che al g’àra crodè ó la plachè ó de un quèrta. Péna al don pigna. Al Sc’chenìn tót de ónda l’àa ciapè Doménich al gh’àra rivè dré al g’àa oSgè: su i òli sant e l’àra gì a la bàita de la pòra - Gabinèt. fömena. Tüc’ i parént i àren intórn del léc’ e al don Sc’chenìn: - Me l’èt pròpi vengiù… Gh’éi però tót al témp de paghèfel. - Tirédof ìa e fédom vedér! Intànt i àren rivéi in plaza a la sc’trinta Ma de sóta la quèrta tót de cólp l’àra di Màrtol indóe al g’àra la pòrta èrta che saltè fór la crapa bèla rósa del don la dàa sul segrà e indóe se pasàa int de Doménich che con un gran gusc’t l’àa dit in sagresc’tìa. L’ómen tót sc’trach, al g’àa dit dialèt legnàsc’ch: al prèt: didascalia - Ghibinèt, te l’éi féita… C’erano una volta due bravi sagrato e indi alla porta della sagrestia. didascalia sacerdoti: un certo Schena di Isolaccia, L’uomo, affaticato, disse al sacerdote: un uomo mingherlino e don - Mi dareste una mano a scaricare la Domenico di Livigno che al contrario gerla? era piuttosto corpulento. Erano Ma appena don Domenico afferrò la entrambi molto furbi e dei gerla, la coperta si scostò facendo giocherelloni. Abitavano vicino ed apparire il capo brizzolato del don erano grandi amici. Il 6 di gennaio di Schenino che gridò: quell’anno, don Domenico si era avviato verso la chiesa per celebrare la - Gabinèt! messa grande. Era ancora presto e non - Questa volta me l’hai fatta, ma me c’era in giro nessuno, ma, nonostante la pagherai cara e salata! ciò, don Domenico continuava a Il giorno dell’Epifania dell’anno volgersi freneticamente perché aveva successivo don Schenino fu chiamato paura che qualcuno gli vincesse il al capezzale di una donna che era Gabinèt. La via Càpole era agonizzante in seguito a difficoltà praticamente deserta all’infuori di un occorse durante il parto. Il sacerdote in uomo che camminava speditamente. fretta e furia prese gli oli santi e si Quest’ultimo portava sulle spalle una avviò verso la casa della poveretta. Tutti gerla celata nella sua sommità da una i parenti erano intorno al letto. A quel coperta. Quando don Domenico punto il sacerdote disse: raggiunse l’uomo, gli gridò: - Scostatevi e fatemi vedere! - Gabinèt! Ma improvvisamente, da sotto la - Me l’avete proprio vinto… Ho però coperta ecco apparire la faccia colorita tutto il tempo per pagarvelo. del don Domenico che con grande Nel frattempo i due erano arrivati in soddisfazione disse in dialetto piazza nella strettoia dei Màrtol dove livignasco: c’era l’apertura che dava accesso al - Ghibinèt, te l’ho fatta… ».

205 aldidentro STORIA PAESI GENTE Il carnevale Nei giorni del Carneval vecchio, i V ragazzi bruciavano dei fasci di paglia e di ramoscelli in modo da costituire un Scriveva il Tazzoli, etnografo e gran falò. Era questo un rito cruento di storico locale, nel 19...... : «Il periodo eliminazione con l’augurio di lasciarsi della Quaresima che dovrebbe essere alle spalle la stagione fredda e auspicare quello del raccoglimento, del lavoro e la produttività della nuova stagione. del digiuno quasi a preparazione Durante il Carnevale vecchio era spirituale delle anime alla celebrazione usanza cucinare li manZòla, sottili religiosa della Risurrezione almeno ne’ suoi primi giorni non è tale nel schiacciate o frittelle di fiore di farina Bormiese. Vigono e vigevano impastate con uova, burro e liquore specialmente in passato costumi ed spiritoso e cotte nel burro ed usanze che non sono punto di inzuccherate. L’usanza da parte delle astinenza continuandosi, in certo qual ragazze di offrire le manZòle ai giovani modo, la allegria tradizionale loro più simpatici è antichissima. Ciò è carnascialesca cessata e purificata quasi comprovato per esempio dal processo dai fuochi e dai canti dell’ultimo del 27 febbraio 1624 contro Messer giorno di Carnevale». Gervasio de Leonardo Caligaro di Molina (Quat...... Inq...... ) nella cui Era ed è quello che si chiama testimonianza dice: «...siando io la sera Carnevale vecchio o Carnevàl véc’ o végl avanti il carnaval vecchio la dentro in che come nel rito ambrosiano si Jsolacia ... la moglie di messer Martino protrae oltre il mercoledì delle Ceneri. Raglione mi invitò à venir la sera di La differenza da notare è che mentre il Carnaval vecchio à mangiar manzole carnevalone milanese termina il sabato con la giovine se mi contentava...». grasso, nella Valdidentro, a Isolaccia e Semogo, i divertimenti continuano Il sabato (quello precedente la prima fino alla prima domenica di domenica di quaresima) c’era l’usanza Quaresima. da parte della gioventù del paese di festeggiare al sàbet di mat, il sabato dei matti, giorno dedicato esclusivamente al divertimento. L’usanza richiama gli antichi festeggiamenti della Compagnia dei Matti di Bormio che con il loro Podestà si recava anche in quella vallata a costituire un luogotenente. Si costituivano bande di giovani mascherati che peregrinando di casa in casa si divertivano a propinare una serie di scherzi molesti ai padroni delle abitazioni.

206 la ente G La settimana santa e la simbolicamente legate le campane e i Pasqua fanciulli facevano rumore in sostituzione di queste con li ghèa o i trich-trach e li taoléta. La ghèa era uno Al termine del lungo periodo di strumento formato da una stecca di purificazione rappresentato dalla legno contro un’estremità della quale quaresima, inizia la grande festa della una ruota dentata, anch’essa di legno, Pasqua trasmessaci dalla religione girando, emetteva un suono che ebraica. I festeggiamenti per la richiamava il verso delle raganelle o il Risurrezione sono scanditi da classici gracchiare delle gazze. Qualcuno riti di purificazione che iniziano con la portava con sé anche la taoléta, uno domenica delle palme, quando i vecchi strumento di legno a forma di cassetta rami d’ulivo benedetti vengono con foro sottostante, che faceva da bruciati nel fuoco e sostituiti con quelli cassa armonica. Sulla parte superiore nuovi. I riti di purificazione si battevano due martelli pure di legno, contemplano anche nelle cosiddette alternati da due stecche. La taoléta pulizie di Pasqua caratteristiche della veniva appesa al collo e azionata settimana santa che si verificavano in mediante una manovella che faceva chiesa, nelle case e nelle strade. girare una ruota dentata, mettendo in Durante la settimana santa venivano movimento le stecche e i martelli che aldidentro STORIA PAESI GENTE producevano un rumore assordante. A V Isolaccia veniva usato anche al tich tòch, tavola lignea quadrata di circa 20 centimetri, al centro della quale era innestato un pezzo di legno che nella sua parte inferiore serviva da impugnatura, mentre in quella superiore era praticata una scanalatura nella quale si inseriva il manico di un martello ancorato con un chiodo che veniva fatto ruotare e battere da una parte all’altra della tavola. Il Venerdì santo era il giorno della più grande e imponente processione dell’anno. A Pedenosso accanto alla grande Croce del Cristo morto si usa, fin dalla fine dell’Ottocento, portare in processione la statua della Madonna Addolorata ossia la statua della Madonna con ai piedi il Cristo morto. A Semogo anticamente veniva portata didascalia in processione fin dai tempi che furono, una pesante croce con il Cristo che veniva caricata a turno sulla spalla dei giovani più robusti del paese. Nel villaggio di Premadio, durante la processione, accanto alla statua del Cristo morto, sfilava un gruppo di ragazzi ai quali spettava il compito di portare durante il corteo religioso i simboli della passione di Cristo. Le case erano graziosamente decorate e pendevano tessuti vari a guisa di paramenti. Curiosamente la processione del Venerdì santo non era consuetudine del paese di Isolaccia e fu istituita solo a partire dagli ultimi decenni del 1900.

208 la ente Il Corpus Domini G

Fin dall’antichità il Corpus Domini era considerata sotto il punto di vista religioso come una delle ricorrenze più importanti dell’anno. Tutta la popolazione partecipava con grande fervore alla preparazione della processione: le strade venivano addobbate intrecciando lunghi rami di betulla, di alno montano, di nocciolo, d’abete e d’ontano selvatico. Con quelle fronde si predisponevano addirittura pergolati e gallerie sotto i quali passasse il corteo. Ogni balcone, ogni finestra erano graziosamente ornati con i drappi e la biancheria migliore che si possedeva in casa. A ogni angolo della strada venivano allestiti piccoli altari nei quali brillavano lumini ardenti alla base di simulacri di legno e di quadretti raffiguranti le immagini dei Santi e della Madonna. Tutto il paese partecipava alla processione, chi con la divisa della confraternita d’appartenenza, chi con il lungo velo didascalia bianco delle Figlie di Maria, chi reggendo il baldacchino che proteggeva il parroco con il Corpo del Signore, chi portando croci e stendardi. C’era, e in parte ancor oggi sopravvive, l’usanza gentile dell’infiorata. I prati, gli orti e i giardini venivano spogliati di tutti i fiori, per farne morbido tappeto al Santissimo. Alle bambine biancovestite che avevano da poco ricevuto la Prima Comunione, spettava il compito, con cesti pieni di fiori, di spargere petali lungo la strada.

209

la ente La Madonna dell’acqua di Isolaccia G

A Isolaccia viene tramandata fin da fréit e de l’àqua. Iglióra i àan domandè in tempi antichi una bellissima storia in un bàit se i podön posér un àmen e bilico tra la realtà e la leggenda ma che sc’caldès viSgìn al föch. Quì del bàit i àren rivela la profonda fede e religiosità tanto sài e i gh’èn dit: degli abitanti del paese. È la leggenda - Mangé un bocón e dòpo fermédof a che avvolge nel mistero l’origine di tre posér sc’tanöc’. belle statue lignee che sono conservate Un di döi l’àa péna finì de blasér su nella parrocchiale di Isolaccia. Si tratta l’ùltim cucér de menèsc’tra, che l’àra resc’tè di Maria Santissima col Bambino fra le igliè, a vedér pichè iè nel cantón, inséma a braccia e delle statue di san Rocco e di dei boréi, tré sc’tàtua de sant. Col gómbet san Sebastiano. La statua della l’è pichè sul fiànch del sòci e al gh’è dit: Madonna fu sempre venerata sotto il titolo di “Madonna dell’acqua”. La - Ma al te par! …‘na profanazión del leggenda di quella statua, tramandata géner! oralmente da padre in figlio, fu - M’è de fér vergóta! Perché an raccontata alcuni anni orsono da desc’càmbia miga li nòsa vaca co li un’anziana del paese. Questo a grandi sc’tàtua? linee il suo racconto: - Scì me li porterè a NiSolècia e sc’perém «L’àra ténc’ ègn fè e al g’àra döi ómen che ‘l Signór al me giuterè… de NiSolècia, séi miga se di Ciósc’ch o di Quì del bàit i àren bén contént de fér Barón, ch’i àren di pòr diàol e i àan de quél afàre e i gh’èn de ónda déit li tré beSögn de un pó de plözer per ir inànz co la sc’tàtua ai döi cozìn. Al dì aprós, péna baràca. I àan decidù iglióra de magliér fór l’àra gnu céir i àan saludè e i s’àren inviéi li dóa vaca ch’i àan ó in sc’tala. L’àra tròp vèrs bàita. Rivéi su un pónt, un quài lùter debòt per la féira de Bórm e iscì i àan rabiós ch’i àan cé quìli ròba santa, i li àan decidù de ir int di zuchìn a Santa Marìa ferméi e i li àan oblighéi a Sg’lanzér ó ne sùbit de lèi de Sc’télvi. Ma intànt ch’i àren l’àqua li tré sc’tàtua. Ma, miràcol! I tré dré a ir dré al tröi, al s’àra metù a plòer che töch de légn i s’àren ferméi a gala in mèz a Dìo al la mandàa e i àren Sg’lózi cóme di l’àqua e i àren miga sc’téit tiréi dré in di poglìn. I àren rivéi ó in paés mèz mòrt del sc’flónf. Tré lusc santa i parön gnuda fór de

didascalie

211 didascalia l’àqua. I zuchìn, tót sc’trémi, i àan féit la violento acquazzone e si ritrovarono fin de quél de li cót. I döi cozìn, recuperéda inzuppati come dei pulcini. Arrivarono li sc’tàtua miracolóSa, i àren tornéi a alla meta tutti bagnati e mezzi morti NiSolècia. De quél dì la sc’tàtua de la dal freddo. Chiesero ricovero in una Madòna de l’àqua (che l’àra sc’téita iscì casa del luogo per potersi riposare un ciaméda per quél miràcol), de san Ròch e de poco e scaldarsi vicino al fuoco. I san Basc’tiàn i én sémpre sc’téit veneréi dei padroni di casa erano brave persone e cozìn cóme vergót portè del cél. dissero ai due viandanti: Molti anni fa due uomini di - Mangiate un boccone e fermatevi Isolaccia, non so se appartenenti alla pure a riposare questa notte. famiglia dei Ciósc’ch o dei Barón Uno dei due aveva appena finito di (soprannomi relativi alle famiglie gustare l’ultimo cucchiaio di minestra, Ponti), necessitavano di denaro per quando fu attratto dalla presenza di tre sobbarcare il lunario essendo caduti in statue in un angolo della casa, una situazione di estrema miseria. accatastate confusamente insieme a dei Decisero allora di sbarazzarsi delle due tronchi. Col gomito urtò il fianco mucche che c’erano in stalla. Era dell’amico, dicendogli: troppo presto per la fiera degli animali che si svolgeva in Bormio cosicchè - Ma ti pare! …una profanazione del decisero di recarsi al di là dallo Stelvio genere! a Santa Maria, in territorio svizzero. - Dobbiamo fare qualcosa! Perché Mentre stavano percorrendo l’impervio non barattiamo le nostre mucche con sentiero, furono sorpresi da un le statue?

212 la ente G - Sì, le porteremo a Isolaccia e Santa Lucia speriamo che il Signore ci aiuti…

Quelli della casa ben contenti di Nel territorio della Valdidentro che quello scambio favorevole, si va da Premadio a Isolaccia i bambini sbarazzarono ben presto delle statue in festeggiano nella serata del 13 dicembre favore dei due viandanti di Isolaccia. Il l’arrivo di Santa Lucia. La santa giorno seguente, ai primi chiarori, i impersonificata da personaggi del luogo due salutarono coloro i quali li avevano gira ancor oggi di casa in casa vestita di ospitati e si incamminarono verso casa. bianco con il suo asinello richiamando Giunti su un ponte, furono fermati da i bambini con un campanello per la un gruppo di protestanti che contrari distribuzione dei doni. I marmocchi al fatto che i due viandanti portassero usano mettere una scarpa per contenere quelle statue, fecero buttare le stesse i doni fuori dalla porta o dalla finestra, nell’acqua impetuosa del fiume. Ma, accanto a un mannello di fieno e di miracolo! I tre pezzi di legno intagliato sale per rifocillare l’asinello. Un tempo si erano fermati in mezzo all’acqua e i regali consistevano in poca cosa: castagne secche, mandarini, arance, non erano stati travolti dai vorticosi frutta secca e qualche volta anche dei mulinelli della corrente. Tre luci sacre dolciumi. A Isolaccia la festa era ed è sembravano ergersi dall’acqua. Gli sentita in modo eguale al Santo Natale. svizzeri infedeli, terrorizzati dall’accaduto, se la diedero a gambe. I A Semogo la festività non viene due cozzini, dopo aver recuperato celebrata e la spiegazione puerile che viene fornita ai piccini del paese è che nell’acqua le statue miracolose, la santa tralasci quel villaggio per ritornarono in Isolaccia. Da quel evitare la fatica di raggiungerlo, essendo giorno la statua della Madonna questo abbarbicato sul pendio. didascalia dell’acqua (così chiamata grazie a quell’evento prodigioso), di san Rocco e di san Sebastiano furono sempre venerate dagli abitanti di Isolaccia come un qualcosa portato dal cielo». Il fatto miracoloso avvenne in tempi remoti, non si sa precisamente quando. La prima processione di cui si ha documentazione risale al 1852. Da allora, la popolazione cominciò a venerare la Madonna che divenne la “protettrice della pioggia”, per cui in occasione di periodi di importante siccità si ricorreva a lei per chiedere la sospirata acqua dal cielo. Il volgo racconta che ogni qual volta si estraeva dalla sua nicchia la Madonna dell’acqua per portarla in processione la pioggia come per incanto cominciava a scendere!

213 aldidentro STORIA PAESI GENTE La stella alto bastone, portata da uno dei V villerecci Re Magi, fiancheggiata dagli altri due, si muove ancor oggi Ancor oggi in alcuni villaggi della lentissima al ritmo di ninna-nanna, Valdidentro (Premadio, Isolaccia e proprio come un rutilante Ostensorio». Semogo) si perpetua l’antica usanza del Un tempo il canto all’interno delle giro della stella. Tre giovani (a Isolaccia i coscritti che hanno compiuto il abitazioni seguiva sempre lo stesso diciottesimo anno d’età) vestiti da Re rituale suggestivo: si spegnevano le luci Magi girano di casa in casa cantando in modo che solo la stella rischiarasse delle litanie natalizie. Uno di questi l’ambiente, tutta la famiglia si alzava in regge un’asta che sostiene una stella piedi e cantava accompagnando le formata da un’armatura sulle cui nenie natalizie mentre il portatore con sfaccettature sono tese carte di vari lenti colpi faceva rutilare la stella in colori, rischiarate dall’interno da una modo che si vedessero distintamente luce artificiale. La stella è messa in tutti i suoi colori. Molte erano le nenie movimento mediante una cordicella o natalizie che allietavano le case visitate più artigianalmente da un solo colpo dagli stellari; fra queste la più cantata dato col palmo della mano. In ogni abitazione gli stellari raccolgono denari era quella intitolata Deh! sorgi amica a favore della chiesa. Con il «giro della stella, che qui viene riportata. stella» si vuole rievocare il leggendario viaggio dei Magi guidati dalla Cometa alla grotta di Betlemme per onorare la Deh! sorgi amica stella, nascita di Gesù Bambino. Così la pace ad annunziar. descrive la stella Lina Rini Lombardini Co’ raggi tuoi lucenti nel ...... : «una volta la Stella dei Re de' popoli devoti Magi iniziava il suo viaggio nella Notte i pianti, i mesti voti, Santa. A tre o cinque punte, alta su deh! sorgi a consolar.

214 la ente G A’ rai del tuo bel lume gran stella di carta colorata e con essa il ciel si fa giocondo, vanno nelle case a far la questua... Poi, il mar, la terra, il mondo, scesa la notte, i giovani vanno in cerca ritorna a giubilar. delle giovani e insieme salgono ai vicini Bagni Nuovi, nel cui salone - Dall’isole remote disoccupato per l’assenza invernale dei si pongono in cammino forestieri - improvvisano una gran festa il Redentor Divino, da ballo, che dura fino all’alba del 27. tre Magi ad adorar. Ben presto il sacro cede il posto... al Deh! sorgi amica stella, profano, ben presto i giovani la pace ad annunziar. dimenticano in un canto la stella di carta per altre stelle... vive; scorre il vino e da tutti si beve, si ride, si vocia Terminato il canto inizia la questua attorno alle tavole imbandite; le che un tempo consisteva in generi fisarmoniche non più ora alimentari come segale e uova, che poi accompagnano lente nenie liturgiche: i venivano messi all’incanto al maggior canti che rompono il bianco e infinito offerente. Il parroco come ricompensa silenzio alpino son canti d’amore!». del lavoro eseguito dagli stellari doveva pagare loro una abbondante cena. A proposito dei festeggiamenti degli stellari di Premadio annota il Longa nel suo citato indimenticabile lavoro del lontano 1912: «La sera del 26 dicembre perdura nelle valli (Premadio, Valfurva, Cepina) l’usanza di portare in giro su un bastone una stella rischiarata da un cero... I giovani premajotti, ad esempio, preparano per questa sera una

215