GIOVANNI ARTERO

FIGURE DEL SOCIALISMO RIFORMISTA TRA LOMBARDIA E PIEMONTE

1 Stampa: Youcanprint, aprile 2015

Editing: Loredana Spairani

Memoriediclasse Buccinasco (MI) [email protected]

2 La tradizione del socialismo riformista, corrente che occupa nel Partito socialista italiano, dalla fondazione nel 1892 al 1912, un posto centrale che ne fissa i caratteri fondamentali 1 è il filo che lega questi personaggi2 che appartengono a generazioni diverse. All'accusa di "opportunismo", di "trascurare la propaganda e la formazione della coscienza socialista", di caratterizzarsi solo in iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti contrappongono

1 F. Manzotti Il socialismo riformista in Italia, Firenze, 1965; O. Pugliese (a c.) Il riformismo socialista italiano Venezia, 1981-1982 8 volumi; T. Detti Il socialismo riformista in Italia Milano, 1981; A. Riosa (a c.) Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo / Milano, 1981; Scuola e societa nel socialismo riformista (1891-1926) : Battaglie per l'istruzione popolare e dibattito sulla "questione femminile" Firenze, 1982; P. Favilli Riformismo e sindacalismo : una teoria economica del movimento operaio: tra Turati e Graziadei Milano, 1984; N. Dell'Erba Storiografia e socialismo riformista in Il socialismo riformista tra politica e cultura, Milano, 1990; P. Favilli Marxismo e riformismo nell'Italia del primo '90 in “Alessandro Schiavi : indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo '900”, 1994; G. B. Furiozzi Il partito del lavoro : un progetto laburista nell'Italia giolittiana, 1997; M. Salvitti (a c.), Il socialismo riformista: atti del convegno, 2002; M. Gervasoni (a c.) Riformismo socialista e Italia repubblicana Milano, 2005: P. Mattera Le radici del riformismo sindacale : società di massa e proletariato alle origini della CGdL, 1901-1914, Roma, 2007; F. Colucci (a c.) Nella democrazia con il riformismo socialista : antologia del riformismo socialista 2005 e 2010 2 Due biografie sono già pubblicate: Dino Rondani “commesso viaggiatore” del socialismo in “Apostoli del socialismo nell’Italia nordoccidentale”, 2009 Fausto Pagliari tracce per una biografia politica, in “L’albero e le fronde”, 2013 3 esperienze come quella reggiano-emiliana3 e quella genovese4, presentate come un modello, dove i dibattiti ideologici, "ampolle di alchimia politica così cara agli anarcoidi senza oriente", non intaccavano l'attività di organizzazione e l'incremento costante delle istituzioni di classe, un modello di crescita civile non faziosa o turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di "quello scarso socialismo catastrofico" che trova la sua origine nel "mezzogiorno

3 Si veda: Prampolini e il socialismo riformista : atti del Convegno di Reggio Emilia, ottobre 1978; F. Casadei Socialisti e social riformisti nell’area mantovano-reggiana “Rassegna di storia” dell’Istituto di storia del movimen-to di liberazione di Modena, nov. 1991; M. Vaini, L'azione politica di Ivanoe Bonomi nel Mantovano dal 1912 a1 1921, “Movimento operaio e socialista”, apr.-set. 1963; F. Montella Confucio Basaglia e il socialismo riformista modenese, Modena, 2012; F. Achilli, Socialismo riformista e movimento operaio a Piacenza : 1890-1905, Venezia, 1982; L. Gualtieri, Romeo Romei fra democrazia, socialismo riformista ed associazionismo operaio, 1998 4 M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione nell’età giolittiana: cultura di lotta e impresa nell’ associazionismo ligure, in L. Borzani “Tra solidarietà e impresa: aspetti del movimento cooperativo in Liguria 1893- 1914”Genova, 1993"Nell'abito della svolta liberale...prese corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga fortuna non solo localmente.....esso trovò ampia sperimentazione in forme di interrelazione tra l'istanza mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema riformista che per la sua rilevanza ebbe analogie con il polo riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe Canepa e Pietro Chiesa, nel movimento associativo Ludovico Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si strutturò organizzativamente dando vita all'Unione regionale ligure fra le associazioni di resistenza, mutualità e cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala 4 feudale..dove non resta che giocare un terno al lotto della rivoluzione e aspettare"5.. Dino Rondani “commesso viaggiatore” del socialismo

Turati lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene quattro conferenze al giorno ed è fresco come una rosa!”6 un corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se l’abbia a male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei conferenzieri socialisti. Il suo facile eloquio è tutto infiorato di osservazioni argute, di facezie brillantissime”7 e così Morgari ne schizzava il ritratto: "sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento perpetuo"8 tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso nazionale della cosiddetta Triplice del lavoro, all'indomani della fondazione della CGdL (1906)". Anche M. Bettinotti, “Vent'anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa, Giuseppe Canepa, Lodovico Calda”, Milano, 1932 5 Ma c'e qui anche un pregiudizio antimeridionale esistendo anche esperienze riformiste nel Mezzogiorno: L. Nieddu Le origini del socialismo riformista in provincia di Sassari; Sassari, 1992; F. Manconi , Angelo Corsi: L'esperienza del socialismo riformista in Sardegna e in Abruzzo “Rivista abruzzese di studi storici dal fascismo alla Resistenza” 1986, n. 3; D. Sacco. Socialismo riformista e Mezzogiorno : questione agraria, istruzione e sviluppo urbano in Basilicata in età giolittiana, Manduria 1987; G. de Gennaro, S. Merli Una scelta storica : Eugenio Laricchiuta e il socialismo riformista in terra di Bari; Bari, 1993; P. Amato, M. D'Angelo Radici del socialismo riformista a Messina, Messina, 1982 6 Democrazia e socialismo nei carteggi di N. Colajanni, Milano, 1959, p.243 7 Dalla laguna la conferenza di Dino Rondani "Avanti!", 20.10.1900 8 O.Morgari, Fiori di maggio, 1905, p.28. Id. L'Europa vista a volo di ...Rondani, "Avanti!", 16.9.1900 "parla come lavora: v'accenna cento cose in un istante sottintendendo metà delle parole. Non ama fermarsi su un argomento più di due minuti, nè star seduto più di quattro. Parla come lavora e come si diverte: 5 viaggiatore del socialismo9 Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era temperamento di sedentario e uomo di penna. Ingegno brillantissimo e organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le dottrine e le polemiche”10. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui particolare rilevanza: ammirava il grandioso slancio creatore del progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro individuale al contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà. Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di trasferire sul piano ideologico o in scritti di qualche respiro la sua con poco ordine ma brillantemente e con intensità. Ha seminato il suo collegio, il novarese. la Lombardia, l'Italia, l'estero di un numero favoloso di conferenze. Egli è il moto perpetui ed ha il dono dell'ubiquità. Sotto i suoi passi i circoli, le leghe e comitati, le cooperative, i giornali crescono come la gramigna. Con ciò non posa a seminatore mistico...perchè di preferenza semina le barzellette. Parla a saltelli facendo ridere...ha un grande senso della praticità. Disorienta la gente compassata fa crepare le bolle dell'ampollosità e ai retori. E' interessante la sua teoria degli uomini illustri: Evitare i grandi nomi, ci vuole gente media che lavori. Schiacciano tutto...Non è uno stinco di santo. Non posa a martire...Ai nostri occhi è un uomo completo, sano nello spirito e nel corpo, forte di muscoli e nervi, che perciò ha bandito la melanconia e ama vivere in tutte le direzioni sia coi sensi che con la mente e col cuore, beneficiando gli altri senza pregiudizio per sè. Tipo raccomandabile come uomo moderno e felice. [viaggia] sempre in terza classe per due ottime ragioni: che i viaggiatori di prima si mostrano annoiati, stupidi, presuntuosi sotto tutte le latitudini..e anche un po' per economia" 9 G.Manfrin, Rondani Dino: Il commesso viaggiatore del socialismo, "Avanti! della Domenica", 22.12.2002 10 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit. 6 vasta esperienza umana e sociale.11 Per la sua avversione alle lotte di tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come chiacchiere inconcludenti, non ebbe ruoli di protagonista nei Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale. Tutto questo spiega, anche se non giustifica, l'oblio di questo pioniere del socialismo italiano.

1. Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone, nella Romagna culla dei partiti sovversivi, dal repubblicano12 all’anarco- internazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di Andrea Costa,13 in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina Bravetta era figlia di Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure degli stati preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia14. Egli restò sempre molto legato alle sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però prematuramente nel giro di pochi anni: nel 1908 morì sua sorella Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina15

11Si ricorda solo l'opuscolo anticlericale "Le massime di S. Ambrogio", del 1897. in risposta ai festeggiamenti per il 15. centenario della morte. 12 M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895) Milano, 1990 13 V. Evangelisti, E. Zucchini Storia del partito socialista rivoluzionario 1881-1893; Bologna, 1981 14 R. Caddeo, Le Edizioni di Capolago. Storia e critica.storia e critica : bibliografia ragionata, nuovi studi sulla tipografia elvetica, il Risorgimento italiano e il Canton Ticino : documenti inediti, Milano, 1934; F. Bernasconi Per un catalogo delle edizioni di Capolago - Bellinzona - 1984 15 "Corriere Biellese", 8.1.1909, Dino Ròndani a Messina; Id. 7.11.1913, Egidio Rondoni è morto, 15.4.1914, Un nuovo lutto dell'on. Rondoni', "Avanti"!, 24.8.1915 7 Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo spiega i frequenti spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino frequenta il liceo Carlo Alberto e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi alla repubblicana Società democratica di Novara. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800 uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico oltre che del “socialismo dei professori“ Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a Milano, negli anni a cavallo tra '800 e '900 il maggior centro economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato che si andava organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo soccorso, Cooperative di consumo e di lavoro, Camere del lavoro. In questo periodo si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere esclusivamente classista, che contese ai radicali la rappresentanza politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato operaio e dando vita al Partito Operaio Italiano (1885)16. La fusione con la Lega socialista di Turati, composta da intellettuali di provenienza repubblicana e "scapigliata", e la fondazione del Partito Socialista su base nazionale a Genova nel 1892 diede all'organizzazione più ampio respiro ma fu anche l'inizio di una lotta per l’egemonia con alterne vicende tra rivoluzionari e riformisti, i quali disponevano della rivista “” cui collaboravano professionisti e studiosi di spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi17, Fausto

16 M.G.Meriggi Il partito operaio italiano : attività rivendicativa, formazione e cultura dei militanti in Lombardia, 1880-1890 Milano - c1985 17 M. Ridolfi, Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradi-zione socialista nel primo '900, Cesena, 1994; Q. Versari, Un riforma-tore: Alessandro Schiavi nella storia del socialismo italiano, Bologna, 1986; G. Silei Alessandro Schiavi : il socialista riformista Manduria, 2006 8 Pagliari18, Luigi Montemartini19 di impronta più radical-democratica che marxista. A Milano inizia la sua attività politica20 nel circolo di Dario Papa, repubblicano “avanzato” e disponibile alla collaborazione col socialismo, ma nel 1890 incontra Turati e si iscrive alla sua Lega socialista milanese21 e per la sua rivista scrive un articolo “dottrinario” piuttosto schematico22.Nel 1891 è al centro delle diffidenze degli ambienti del Partito Operaio non ancora superate per gli «avvocati e i dottori»23 e nel 1892 partecipa al congresso costitutivo del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti della provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente segretario della Lega Cooperative, consigliere del circolo socialista di Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della “Lotta di classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri propagandistici tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del

18 G. Artero F. Pagliari: tracce per una biografia politica, in “L’albero e le fronde” , 2013 e in questo volume. 19 A. Magnani, Luigi Montemartini nella storia del riformismo italiano Firenze, 1990; La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini: atti del Seminario, Pavia 15 dicembre 1984 - Pavia 1986 20 D.Rondani Ancora, ancora. Ricordi di propaganda in "La lotta di classe", 14-15.1.1899 21 G.Cervo, in A. Riosa, Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo Milano, 1981, pag.35, A. Nascimbene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneità e organizzazione : (1860-1890), Milano, 1976 , pag.394 22 D.Rondani, Un pane socialista, "Critica sociale", n.15, 1891 (è l'unico che pubblica su questa rivista) Pubblica anche "I ferrovieri inglesi e l'organizza-zione" in "Rivista popolare di politica, letteratura e scienze" 1888-89. 23 Lettera di Angelo Cabrini all'operaista A. Casati in cui gli chiede se intende escludere il gruppo Rondani (e intellettuali) del futuro partito. In Manacorda, cit., p. 427 9 partito e di proselitismo: nell’autunno 1892 inaugura due circoli a Voghera24 e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi25. Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa” viene denunciato e subisce una condanna a 29 giorni emessa dal pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi in un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu colpito con 5 mesi di confino a Domodossola26 utilizzando questo periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e propagandista del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità27 Nel luglio 1895 da Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno Micca dopo aver scontati i sei mesi di confino. Di lì si recò a Biella con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla “Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese andò oltre e quel viaggio fu determinante anche per lo sviluppo del movimento socialista della zona28

2. Le origini del movimento operaio e socialista biellese La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contem- poranea da una forte influenza dell’istituto comunitario, dall’economia

24 "La lotta di classe", 8-9 ottobre e 4-5 novembre 1892 25 ACS, CPC, b. 4405 26 " La lotta di classe", 5-6.1.1895 27 "la condotta del Rondani fu scorrrettissima.Appena qui arrivato trovò modo di infiltrarsi presso la parte meno rispettabile della popolazionee stringe intima amicizia con diversi giovani che professano idee esaltate...si diede anima e corpo alla propagazione delle dottrine socialiste riuscendo persino a costituire un circolo socialista di cui fanno parte 30 associati. Dal Presidente del Tribunale venne ammonito a meglio comportarsi e di non dar luogo a nuovi rimarchi, ma tutto risultò inutile" relazione del sottoprefetto di Domodossola 11.4.1895, in ACS CPC, b.4405 28 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit., p. 137-9. 10 mista di “terra e telaio”,29 da una costante emigrazione verso l’estero, entrò con la prima metà dell’800 nel pieno della rivoluzione industriale. Forti di un loro antico potere che l’ordinamento cor- porativo aveva tutelato fino al 1845, i tessitori all’indomani dello Statuto Albertino che proibiva le “coalizioni” avevano ritrovato che le Società di Mutuo Soccorso composte su base di mestiere erano la formula con cui ridare istituzionalità al loro forte statuto professionale. Tra il 1864 e il 1865 e poi tra il 1877 e il ‘78 i tessitori scesero in sciopero in Valle Mosso, nel Triverese e nella Valle dell’Elvo. Nel 1884 diffuse in 42 dei 95 comuni biellesi si contavano 64 SOMS con 9789 iscritti (8972 maschi e 817 femmine). Delle più antiche sopravvivevano quelle di Biella (fondata nel 1851) di Bioglio (1852), di Cossato (1853), dei cappellai di Sagliano (1853) Nello stesso periodo 890 circoli vinicoli, frazionali e di fabbrica, e una quarantina di cooperative di consumo estendevano la loro rete di servizi. A differenza di altre zone d’Italia nel biellese30 fin dagli anni ‘60 i confronti più duri si accendevano sugli aspetti normativi dei regolamenti di fabbrica più che sulle questioni salariali. Per arginare gli scioperi le autorità governative ricorsero ai provvedimenti repressivi, dal confino per una settantina di operai allo stato d’assedio nella vallata allo scioglimento della “Società dei tessitori di Crocemosso” che, più volte soppressa e pù volte ricostruita, sfociava nel 1898 nella “Lega di resistenza tra i tessitori della Valle Strona e del

29 F.Ramella "Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese dellOttocento", Torino, 1983 30 M.Neiretti, G.Vachino "La lana e le pietre: il biellese nell'archeologia industriale", Biella, 1987; "Archeologia e storia industriale nel biellese: archivio e fonti, Biella, 1988; P.Secchia “Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d’Italia”, Roma, 1960; “L’altra storia. Sindacato e lotte nel biellese. 1901-1986”, Roma, 1987; R. Gremmo: "La repubblica di Sala Biellese del 1896: dalla rivolta popolare alle lotte di anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari e comunisti nei paesi della Serra", Biella, 1996; L.Moranino "Le donne socialiste nel biellese: 1900-1918", Vercelli, 1984; M.Neiretti "Le radici e il fondamento: dall’ opinione pubblica alla forma partito nel biellese di fine Ottocento" "L'impegno", 1993 n.3 = "Democratici e socialisti nel Piemonte di fine Ottocento", Milano, 1995 11 Ponzone”, che svolse un ruolo di guida31 Negli anni ‘80 si ha una trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale” poi, con il passaggio dall’aggregazione episodica delle associazioni locali alla costituzione di organismi stabili sia professionali che territoriali (di vallata), nel comprensorio dei 23 comuni biellesi in cui verso fine secolo erano concentrati circa 14.000 operai nel sistema di fabbrica. In campo mutualistico sono presenti nel circondario 47 SOMS di cui 6 nel capoluogo, 2 a Crocemosso, 2 a Cossila, 4 a Occhieppo, 2 a Sagliano, 2 a Andorno, 2 a Pollone, ecc.32 Dopo la parentesi della repressione di fine secolo, la Camera del lavoro venne fondata nel febbraio 1901, con l'adesione delle leghe locali che si erano collegate con quelle nazionali. Per alcuni mesi si tennero riunioni preparatorie, promotrici le Associazioni di miglioramento, Unioni pannilana, cotonieri, fonditori, metallurgici lavoratori del libro, che associavano oltre 1200 iscritti. La riunione di fondazione della Camera del lavoro ebbe luogo il 4 febbraio 1901 con una relazione introduttiva di Giulio Casalini33 e conferenza di Angiolo Cabrini.34 Notevole apporto lo diede Felice Quaglino con l’adesione della sezione edili forte di 300 iscritti. Alla fine di aprile gli associati erano ormai 2500. Il 2 giugno si celebrò l’inaugurazione ufficiale con corteo e discorso di Quirino Nofri. La domenica successiva si radunò a Biella un congresso delle leghe tessili per dar vita alla Federazione arti tessili35 A far da contraltare alla “riformista” CdL biellese, nel giugno 1902 si costituì la CdL di Cossato ad opera di socialisti rivoluzionari tra cui

31 P.Ferraris "Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese", Torino, 1972 32 L. Petrini "Le SOMS biellesi nel secolo scorso 1851-1872", Biella, 1996 33 I buoni artieri : Parte I Roma 1957 34 F.Fabbri Angiolo Cabrini (1869-1937): dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista. In “Cooperazione e società”, 1971, n. 1-2; F. Borrelli Angiolo Cabrini ; relatore E.R. Papa, Università di Torino Facolta di Scienze politiche, A.A. 1985-1986 ; E.Santarelli voce in: Dizionario biografico degli italiani, vol. 15 35 R.Rabaglio, I.Zamprotta “L'azione sociale, culturale e di educazione permanente dell'Università Popolare di Biella”, Biella, 1992, 12 spiccano i fratelli Mario e Oreste Mombello, con l’adesione dichiarata di associazioni che rappresentavano 2000 iscritti contro i 2600 biellesi svolgendo un’attività vertenziale modesta a differenza dell’intensa propaganda anti-sistema. Quirino Rosso segretario della CdL di Biella sfruttando le difficoltà organizzative dei rivoluzionari, svolgerà un paziente lavoro di recupero che culminerà nella unificazione nel 1905. Nel 1904 fu istituito su proposta della CdL e della Federazione edilizia il Segretariato dell’emigrazione36 Dopo la riforma elettorale del 1882 che aveva permesso a una parte della popolazione operaia di prendere parte alle competizioni elettorali la democrazia radicale divenuta protagonista della lotta politica biellese. I mazziniani favorivano il movimento cooperativo e si battevano per sganciare le società di mutuo soccorso dalla tutela degli industriali e dal 1881, per quattro anni, il settimanale “La Sveglia” contribuì alla diffusione di una coscienza nuova tra le classi popolari soprattutto artigiane37. Il loro scopo era di acquisire attraverso il controllo delle società operaie una solida base elettorale per il loro programma di riforme politiche, ed anche le società operaie avevano interesse a ricercare il loro appoggio, avendo la repressione dello sciopero dei tessitori del 1877 reso evidente che “per non esporsi più ai rischi di una repressione indiscriminata, dovevano battersi per il loro riconoscimento e la loro legittimazione con una campagna di agitazione politica che la sola democrazia radicale aveva allora le armi per svolgere”38. Nelle elezioni del 1882 i democratici biellesi presentarono una lista capeggiata da Agostino Bertani e da Luigi Guelpa39; nessuno dei due

36 P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Pie- monte dell'Ottocento", Milano, 1995. All’epoca ne erano stati istituiti già 13. 37 M. Nejrotti, La stampa operaia e socialista 1848-1914, in Storia del mo- vimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, Bari, 1975, vol. I, p. 412; R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio..., cit., p. 73. 38 G.Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei tessili in “Storia del movimento ..”., cit., p. 310. 39 Luigi Guelpa (1843-1911) avvocato mazziniano esponente della democra- zia biellese. Candidatesi per la prima volta nel 1882 contro Sella, fu eletto nel 13 fu eletto ma la contesa convogliò l’attenzione di molti operai che si affacciavano alla vita politica e che nel 1883 elessero per la prima volta un presidente di estrazione non borghese alla Società generale di mutuo soccorso di Biella40. Nel 1883, promosso dai cappellai, si celebrò a Biella il primo congresso operaio democratico seguito l’anno successivo dalla costituzione del Consolato Operaio. Nel febbraio 1884 si tenne un convegno di 34 società operaie che respinse il progetto di legge Berti sulla regolamentazione degli scioperi, secondo la linea del Partito operaio italiano. Nel biellese degli anni ottanta erano presenti associazioni politiche di varia appartenenza ma unificate dalla tematica della questione sociale, mentre l’emigrazione di ritorno diffondeva idee rivoluzionarie e di utopia sociale, rafforzando l’anticlericalismo militante (con battesimi, matrimoni, funerali “proletari”). In quella fase, schematizzando, i dirigenti provenivano in prevalenza dall'anarchismo approdando a posizioni più moderate, mentre l'elettorato di estrazione “democratica” si radicalizzava. Negli anni successivi la democrazia radicale condivise la guida del movimento operaio con il POI, cui aderirono diverse società del biellese e col socialismo anarchico propagandato da Luigi Galleani. Il movimento operaio era in continua crescita, e nelle amministrative del 1889 per la prima volta fu eletto un operaio nel consiglio comunale a Biella41, mentre in vari comuni vennero eletti sindaci della democrazia. Il primo maggio 1890 era stata convocata una grande manifestazione mondiale a sostegno delle otto ore lavorative e anche Biella rispose all’appello con un comizio in cui l’oratore di maggior successo fu l’anarchico Pietro Vigliani42 seguace di Galleani.

1990 e riconfermato nel 1892. Sconfitto tre anni dopo si ritirò dalla politica attiva. 40 P. Secchia, Capitalismo e classe operaia …, cit., Roma, 1960, p. 139 41 Il fonditore Camillo Gioggia, allora seguace di Guelpa, ma che all'inizio degli anni '90 aderì al socialismo, occupandosi in particolare del movimento cooperativo. Vedi Linee di storia del socialismo biellese, Biella, Federazione del PSI, 1962 14 I rappresentanti di ventidue società operaie si riunirono il 7 agosto 1892 a Biella in vista del Congresso di Genova che portò alla fondazione del PSI . Gli anarchici contestarono la partecipazione dell’onorevole Guelpa, e democratici, repubblicani, socialisti proseguirono il pre-congresso da soli nominando Luigi Fila43 e Luigi Sola44 delegati a Genova dove però entrambi si schierarono con gli anarchici. Ma un anno dopo nel biellese la guida del movimento socialista cadde nelle mani dei “marxisti”, che assorbirono nelle loro fila guelpisti, operaisti e anarchici, tra cui Rigola. Circoli anarchici sono diffusi nel Biellese negli anni novanta e nella pubblicistica locale anarchismo e socialismo non compaiono in antitesi. Nel luglio 1895, Dino Rondani, rilevò la singolarità: “Piuttosto vi dirò crudo che in nessuna regione d’Italia si sente correre per le vie la parola socialismo, socialista, anarchico anche, così facilmente come da voi, e corrispondervi spesso una sostanza di gran lunga diversa dal nome”. Altra evoluzione delle forme di organizzazione degli anni ottanta è data dalla trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale” L’organizzazione del partito venne impiantata secondo lo schema della socialdemocrazia tedesca, con statuto, tesseramento, sezioni di base, federazioni territoriali, congressi periodici. Nel 1893 il partito cominciò a organizzare nei centri maggiori le prime sezioni, senza trascurare iniziative collaterali, per dare una risposta anche ai bisogni sociali degli iscritti e della popolazione, quali cooperative di consumo, circoli ricreativi, iniziative culturali e istruzione professionale. Con il 1896 si avviò una campagna capillare per avere in ogni comune una sezione.

42 P.Vigliani, muratore autodidatta e apprezzatissimo oratore, fondatore della cooperazione e della lega muraria a Ponderano, fu il primo sindaco socialista di questo comune. .. Vedi Linee di storia del socialismo biellese, cit. 43 Operaio tessile, già al congresso di Reggio Emilia del 1893 si trovò su posizioni "marxiste". La "Lotta di classe" del 26-27 novembre 1892 pubblicò “Un 'inchiesta sulla tessitura nel Biellese", 44 Operaio meccanico, seguace di Guelpa, socio fondatore e presidente della Unione Cooperativa Biellese, all'inizio degli anni '90 abbracciò le idee socia- liste. Fu il primo socialista ad essere eletto al Consiglio comunale di Biella. 15 Il movimento socialista biellese, sviluppatosi dalle origini con caratteri di massa, affondava le radici in una società locale ad elevata integrazione comunitaria alimentata da una “ideologia del lavoro”. L’impronta di fondo si espresse sostanzialmente in termini riformisti e gradualisti. Nel 1893 al Congresso di Reggio Emilia l’adesione di Rinaldo Rigola (che verrà eletto consigliere comunale di Biella nel '95), attraverso gli operaisti di Angiolo Cabrini e Costantino Lazzari, rappresentò per il socialismo biellese una importante acquisizione. Alle elezioni del marzo 1895 il Partito socialista presentò al collegio di Biella Giuseppe De Felice in carcere per la sua partecipazione al movimento dei Fasci siciliani che raccolse 967 voti contro i 2.981 dei demo-liberali, mentre nel collegio di Cossato il liberale Giovanni Garlanda45 con 3.581 voti sconfisse Luigi Guelpa, (2.102) ed il socialista Nicolò Barbato, candidato di bandiera. In alcuni comuni i socialisti conquistarono la maggioranza. La sconfitta di Guelpa, che si era alienato le simpatie operaie appoggiando in un primo tempo Crispi, provava che nel biellese la democrazia radicale aveva fatto il suo tempo e che solo il partito socialista aveva le potenzialità per mobilitare la massa di operai ancora estranei alla vita politica, come capì lo stesso Guelpa secondo cui di lì a poco il collegio di Cossato sarebbe stato conquistato da un “giovane seguace di Carlo Marx”46 Infatti dopo il periodo della repressione il Partito socialista conquistò alle elezioni del 1900 entrambi i collegi biellesi.

3. La "conquista" del biellese A Biella Rondani conobbe i principali organizzatori locali del socialismo e tra questi Rinaldo Rigola47, che allora alternava ancora

45 Federico Garlanda (1867-1913), docente di inglese a Roma, dove fondò la rivista "Minerva". Eletto nel 1895 nel collegio di Cossato appoggiò il governo Crispi. Sconfitto nel 1897, si ricandidò nel 1909 a Biella ma fu sconfitto da Quaglino. 46 R.Rigola, Commemorazione di Luigi Guelpa Biella, 1912, p. 11. 47 C.Cartiglia “Rigola e il sindacalismo riformista in Italia”, Milano, 1976; R. Coriasso Rinaldo Rigola a Biella : storia di un apprendistato politico e di una città industriale tra '800 e '900, Biella, 2009 P. Mattera Rinaldo Rigola, 16 l’attività politica con la sua professione di ebanista e che trentacinque anni dopo tracciò questo ritratto del suo primo incontro: “Una mattina di luglio del 1895 venne nella mia bottega un amico in compagnia di un individuo a me ignoto vestito alla “touriste”, con cappello di paglia e “pince-nez” all’occhio. Lo sconosciuto mi viene presentato per il dottor Dino Rondani di Milano ... E’ un parlatore amabilissimo e briosissimo. Tra una arguzia ed un paradosso, ti snocciola tutto un rosario di piani e di progetti. E’ un visibilio. Perché non si farebbe questo? Perché non si farebbe quest’altro? A che punto siamo con le leggi protettive del lavoro? S’è mai tentato di dare esecuzione alla legge dei probiviri in vigore oramai da ben due anni? E se questa legge non si applica ai 40.000 operai delle industrie biellesi, a chi la si applicherebbe? C’è da fare tutta l’organizzazione di resistenza, c’è da fare la Camera del Lavoro. Abbiamo noi una conoscenza esatta della situazione industriale, delle condizioni economiche, igieniche e morali in cui versa la classe lavoratrice? S’è mai fatta un’inchiesta, dopo quella famosa sugli scioperi, per rilevare lo stato dei salari, degli orari, della disoccupazione nell’industria tessile, le cui maestranze sono oggi composte di donne in prevalenza? Sappiamo grosso modo che la degenerazione fisica è preoccupante, che su 3.000 coscritti dell’ultima leva, soltanto 300 furono dichiarati abili, e tutti gli altri riformati o dichiarati rivedibili per gracilità o deformazione scheletrica, ma siamo noi in grado di fare una diagnosi esatta di questa terrificante malattia sociale? Indagini positive ci vogliono. Non cadiamo negli errori della democrazia, la quale agiva dall’esterno, in base ad astratte ideologie, invece di far leva sui reali bisogni della classe, resa consapevole dei mali di cui soffre. Basta con la retorica. Ricordiamo il metodista inglese che predicava essere quello degli operai “un problema di coltello e di forchetta”. “Wery well”! ... “Prima bisogna fare il giornale ... il giornale locale è un’imprescindibile necessità”. 48 Questo ritratto mette in luce alcuni tratti caratteristici: una certa eccentricità nei modi e nel vestire, una vivacità di discorso e una biografia politica, Roma, 2011 48 R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio ..., cit, 17 soprattutto una propensione ad analizzare i problemi dal punto di vista delle possibili soluzioni per risolverli. Il suo è già il linguaggio dell’organizzatore, del sindacalista, ancora poco usato in una zona dove socialismo era stato sinonimo di anarchismo e quindi di un concetto di rivoluzione come atto unico e violento49. Egli era giunto a Biella nel pieno dell’ondata repressiva scatenata da Crispi, reduce dal domicilio coatto, istituto che paradossalmente si rivelò fondamentale per la diffusione del socialismo nelle zone periferiche, di cui egli si era reso conto: “[Rondani] ha scontato alcuni mesi di confino ... Sentenza provvidenziale, secondo lui perché ha il vantaggio di ovviare ai difetti della nostra ancor debole organizzazione, e di frustrare, al tempo stesso, gli scopi che il Governo si è proposto di raggiungere con la promulgazione delle leggi eccezionali.. Finché i socialisti godevano delle libertà comuni, la nostra propaganda nelle campagne quasi non arrivava; e ciò era dovuto in parte alla scarsità dei mezzi e in parte all’innata pigrizia dei compagni delle città. Con le leggi eccezionali il Governo si è proposto di distruggere i focolai di infezione già esistenti nei centri urbani, ma si inganna. I nostri non andavano fuori, il Governo provvede lui a mandarveli. Una cinquantina di compagni milanesi sono già stati processati e spediti in tutte le direzioni, con l’obbligo di risiedere per un certo tempo in comuni nei quali non c’era per ora speranza di farvi penetrare l’idea socialista. Quanto più uno è attivo propagandista, tanto più deve rimanere a Domodossola, a Biandrate, ad Ivrea od a Peretola, dove non esiste traccia di socialismo. Invece di isolare gli appestati nel lazzaretto, si sparpagliano nei centri tuttora immuni da contagio. Che cosa si potrebbe domandare di più?”50

49 Nel luglio 1951, commemorando Rondani appena scomparso, Rigola tornò su quel primo incontro e sulla rievocazione da lui fattane più di vent'anni prima: "[Era] un ritratto un po' caricaturale, il mio, del giovane lottatore che non sta nella pelle. Ma sta di fatto che egli mi parlava un linguaggio diverso dai soliti. Oggi lo chiamano linguaggio sindacalista. R.Rigola, “Dino Rondani nella commossa rievocazione dell'on. Rigola”, in "Tribuna Socialista", 14.7.1951 18 Rondani si presentò agli operai biellesi con una conferenza a Croce Mosso in cui puntò soprattutto a differenziare i socialisti dagli anarchici, dal momento che intorno a questi due termini si faceva ancora molta confusione: “Non siamo del parere delle legnate, né tanto meno delle revolverate o delle pugnalate, perché questo è il parere dei nostri avversari, e sono essi che hanno l’esercito, la polizia, la magistratura, le strade, le città, le manette, le carceri... La lotta è economica ed umana, le armi devono essere economiche ed umane. .. Se noi esercitiamo la scheda elettorale con tenacia, coraggio e vigore, noi contendiamo, senza crisi serie e senza procurare alcun massacro su di noi, palmo palmo il terreno ai nostri avversari”51. Per assicurarsi un’efficace capacità di penetrazione nelle masse era necessario disporre di un giornale, la cui fondazione era stata posta come prioritaria nel colloquio tra Rigola e Rondani Nonostante la difficoltà di riunire i socialisti del circondario in tempo di leggi eccezionali, il 15 agosto 1895 sulla vetta del monte Rubello, luogo mitico della ribellione nella memoria collettiva locale perché vi era stato catturato l’eretico Fra’ Dolcino, si radunarono 150 socialisti del biellese, valsesia e vercellese; la relazione svolta da Rondani sulla nascita di un settimanale circondariale fu approvata all’unanimità 52. Il raduno sul monte Rubello costò un nuovo processo in pretura concluso con l'assoluzione53 ma assunse nella memoria storica dei

50 R. Rigola, cit, pp. 136-137. Queste considerazioni non gli impedirono di firmare, nel settembre 1897, un manifesto di protesta promosso da Cavallotti contro il progetto governativo. Anche un altro protagonista del socialismo biellese arriva alle stesse conclusioni: "A Varallo si è incominciato a parlare di socialismo e di socialisti, perché con le leggi ec-cezionali di Crispi alcuni socialisti e anarchici erano stati mandati al confino lassù". (O.Mombello, Sessant 'anni di vita socialista, Biella, 1952, p. 6) 51 La conferenza di Dino Rondani in Croce Mosso"Il Corriere Biellese", 3.8. 1895; La prima pubblica conferenza di Dino Rondani "Il Corriere Biellese", 20.8.1920 52 Ibid, pp. 140-42; P. Secchia, Capitalismo e classe operaia cit., p. 162. Secchia indica per errore come data della riunione il 15 maggio 1895 53 lbid , Linee di storia del socialismo..., cit. 19 socialisti biellesi un’aura leggendaria e il raduno del 15 agosto divenne un punto di riferimento per le generazioni dei socialisti biellesi, rinverdito dalle “scampagnate” di rievocazione che si tennero negli anni successivi. L’avvocato repubblicano Giuseppe Ubertini54 che aveva pubblicato nel 1895 il settimanale “Il Corriere Biellese” in appoggio alla candidatura di Guelpa, cedette gratuitamente la testata ai socialisti 55 e il 9 febbraio 1896 uscì il primo numero del “Corriere Biellese”, diretto da Rigola, privo di esperienza giornalistica ma scelto per mancanza di alternative. Si era pensato a Rondani che era stato redattore della “Lotta di Classe” ed era il solo laureato, ma non risiedeva a Biella e avrebbe potuto offrire solo una collaborazione saltuaria. Rondani, la cui provenienza milanese e il suo essere a contatto coi maggiori esponenti del partito conferiva autorevolezza, per tutta l’estate girò il circondario destando la preoccupazione delle autorità che notarono che “dal luglio al settembre 1895, [Rondani] contribuì assai allo sviluppo del movimento socialista, che andò accentuandosi per opera specialmente di lui e di altri fanatici correligionari”56 e nel settembre 1895 sciolsero il Circolo Ricreativo del lavoratori di Biella denunciando i sette soci fondatori, tra cui Rigola e Ubertini. L’“attenzione” delle autorità verso i socialisti dopo l’arrivo di Rondani fu così commentata dal settimanale liberale “La Tribuna Biellese”:

54 Giuseppe Ubertini (1859-1916) avvocato e industriale, fu uno dei fondatori del movimento mazziniano di Biella; collaboratore della "Sveglia", fondò "Il Corriere Biellese". Fervente irredentista, a 57 anni si arruolò volontario quando l'Italia intervenne nella prima guerra mondiale, e sul fronte contrasse il tifo che lo portò alla morte. 55 Dopo l’avvio come supplemento del “Grido del Popolo” di Torino, il giornale, diretto da Rigola, ebbe vita propria, passò da settimanale a biset- timanale, raggiungendo ai tempi della prima guerra mondiale quindicimila copie di diffusione. Il giornale fu determinante nell’affermazione del partito e dell’azione sindacale, creando una rete di corrispondenti attraverso la quale si diffuse anche l’organizzazione del partito e si avvicinarono categorie di operatori culturali, in specie gli insegnanti 56 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 6, fasc. 54, Denuncia del Procuratore del Re contro Dino Rondani e altri 20 “tempo fa, quando le cose venivano dai socialisti fatte – diremo così – in famiglia, le autorità non si erano allarmate. In questi ultimi tempi, invece, venuto da Milano a passare l'estate fra noi – ad Andorno – il dott. Dino Rondani, ecco che le autorità riconoscono motivi di pericolo in questi pochi, rumorosi, ma punto pericolosi socialisti”57 Rondani comunque non lasciò più il biellese e pur continuando a vivere a Milano, prese a percorrere il circondario con assiduità 58 Partecipò alla costituzione del Circolo elettorale di S. Germano, l’11 agosto 1895, in occasione del 26. anniversario della Società operaia

57 “La Tribuna Biellese”, 26.9.1895, La repressione socialista a Biella. Il giornale liberale appoggiava in quegli anni il prof. Garlanda, ma fino al maggio 1898 mantenne verso i socialisti un’opposizione rispettosa. Era stato fondata nel 1891 da Alfredo Frassati (L. Frassati, Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati. Roma, 1978, p. 8). 58 Riportiamo questa testimonianza, anche se imprecisa e tendente al pittore- sco: “Nell’ultima decade del secolo scorso un giovane propagandista, preparato e buon oratore, agiva circospetto, ma con pertinacia e gran coraggio, nel mio paese ed in quelli appartenenti al collegio elettorale di Cossato...Veniva dalla Romagna, terra calda di sole e di fermenti politici. Appartenente a buona famiglia, l’aveva abbandonata per l’idea dandosi a una vita grama, randagia, braccato dai carabinieri, dimenticato dalla famiglia, dileggiato dagli avversari. Divideva un magro pane ed un piatto di minestra coi seguaci più intimi, modesti operai, e dormiva sovente nei fienili e nelle stalle al par d’un mendicante, ora in una borgata, ora in un’altra, cambiando di continuo per disperdere le tracce ai carabinieri che aveva ognora alle calcagna. Veniva spesso anche nella mia borgata, dove arrivava di notte e ripartiva prima dell’alba. Io ero bambino e ne sentivo parlare in casa e fuori, sottovoce. Non capivo; naturalmente. Teneva le sue riunioni nei boschi, su alture impervie, in gran segretezza. Un giorno mio padre, che non era dei suoi ... volle partecipare a titolo di curiosità ad una di dette riunioni ... Al ritorno raccontò ai vicini com’era andata “Sapete? Quell’ometto là non è mica uno stupido come qualcuno pensa. Io, vecchiotto, mi son trovato in mezzo ad una cinquantina di giovani e giovinetti che l’ascoltavano con grande attenzione. Parlava bene, bisogna riconoscerlo; diceva cose giuste, ma che a noi, anziani, non fanno molto effetto. Ai giovani, sì. Ed è appunto ai giovani che l’uomo si rivolge. Se li coltiva per il domani. Saranno essi, fatti elettori, a dargli il voto” G.Garlanda, “Biellese mio”, Biella, 1971, p. 61-63 21 dei contadini giornalieri; l’8 marzo del '96 fu fondato il “Circolo Popolare Vercellese”, con 33 iscritti, che Rondani inaugurò con una conferenza. Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara il primo Congresso provinciale, sotto la presidenza di Morgari, con delegati di 27 sezioni. Rondani, rappresentante di S. Germano tenne la relazione sul movimento provinciale degli ultimi tre anni: da 656 gli iscritti superavano ormai il migliaio, organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi elettorali, e la provincia era quella che in Piemonte vantava il maggior numero di adesioni. Il “Corriere Biellese”, nato da soli quattro mesi, diffondeva 1.700 copie e aveva 300 abbonati. Terminò dichiarando: “Avendo abbastanza bene sgobbato durante quest’ultimo anno ... è naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della tattica. .. Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro, lavoro. La peggiore è certamente quella che impiega più della metà del già scarso tempo consacrato al partito nel discutere sino alla noia di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà quali avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e tre quarti su trenta milioni non sanno ancora cosa realmente i socialisti vogliano”. Al termine dei lavori venne costituita la Federazione provinciale designando nel Comitato federale Rigola per il collegio di Biella e Oreste Mombello per quello di Cossato, mentre Rondani veniva nominato con Giuseppe Ballario nel Comitato regionale piemontese. Il terzo congresso dei socialisti biellesi (27 luglio 1897) nominò direttore del “Corriere” Umberto Savio (poi deputato di Santhià) ed amministratore Giulio Casalini. Nel 1897 venne eletto deputato59 nel collegio di Cossato (Biella) ma l’elezione fu annullata non avendo Rondani i trent’anni di età richiesti. Dopo due suffragi annullati nel 1897 e nel 1898, fu eletto deputato nel 1900 (con 3.192 voti, il doppio del candidato moderato) per tale collegio che lo riconfermò al primo scrutinio sia il 6 novembre 1904

59 Ernesto Bignami si congratulò in una lettera del 17.8.1897 della “STRE- PITOSA vittoria a Cossato che tu saprai certamente consolidare” in Fondo Rosselli, cit. da G.Carazzali, Enrico Bignami, Milano, 1992 22 che il 7 marzo 1909. Il 26 ottobre 1913 è rieletto per la quarta e ultima volta

4. La svolta reazionaria di fine secolo Nei difficili anni di repressione dal 1892 al 1900, libero da vincoli familiari e aiutato economicamente dai proventi dell’attività professionale, fu in prima fila ovunque: il suo gusto per l’azione dimostrativa, le sue doti di efficace parlatore, il suo desiderio di cimentarsi in prima persona potevano servire: conferenze e contraddittori in ogni grande e piccolo centro in Lombardia, in Liguria, in Toscana, manifestazioni per il 1° maggio, per i Fasci Siciliani, stampa clandestina di volantini, e come conseguenza ammonizioni arresti e condanne60. Collaborava al “Corriere Biellese” inviando interventi e articoli, e da uno di questi scaturì un duello giornalistico: l’articolo in questione uscì, anonimo, nel numero del 28 marzo 1896 con il titolo “Al Corriere di Novara“, un settimanale liberale da poco convertitosi al repubblicanesimo, che sullo stesso numero pubblicava un editoriale di complimenti all’onorevole Ferri per le dichiarazioni di “transigenza” verso le altre forze dell’estrema (radicali e repubblicani) espresse alla Camera e per la sua attenzione al problema istituzionale61 mentre un altro articolo, prendendo spunto dai numerosi casi di renitenza alla leva verificatisi dopo la sconfitta di Adua per timore di essere mandati in Africa, si scagliava con disprezzo verso i disertori, definendoli “anime di coniglio, cuori e cervelli malandati e vuoti”, non potendosi comprendere come “per un istinto di paura, che offende ogni civil

60 Nel 1898 il tribunale di Biella condannò Oddino Morgari a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cossato in appoggio alla candidatura di Dino Rondani. Nel 1998 partì per Palermo con Oddino Morgari per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di Crispi e che il 16 aprile li aggredì a colpi di rivoltella. 61 Buon sintomo, "II Corriere di Novara", 23.3.1896, 23 sentire, un essere, che non sia stolto o pusillo, possa attentare alla propria rovina”62 Rondani, commentati con una certa ironia i complimenti all’onorevole Ferri, denunciò il contrasto con l’articolo successivo dove “si svescia tutta la bolsa retorica propria di questo disgraziato periodo monarchico del nostro paese”. Dei disertori scrisse che erano “della gente di buon senso e di coraggio e valeva molto di più di tutti i bellicosi che se ne stan a casa a blaterare di guerra”, aggiungendo che se il mercenario ascaro, brutale e selvaggio, restava fino all’ultimo sotto il fuoco, lo stesso non si poteva chiedere al contadino “che sa di avere a casa dei vecchi che contano su di lui, dei bambini da allevare e da mantenere, e a cui nessuno degli eroi colla pelle degli altri penserà”63. Egli esprimeva il concetto che, a prescindere dal rifiuto opposto dai socialisti alla guerra in genere e a questa in particolare, era profondamente ingiusto scagliarsi in nome di concetti come il “sacrificio per la patria” contro individui che non conoscevano neanche il concetto di patria e che erano mandati a combattere una guerra che non comprendevano, mentre la loro partenza significava spesso per la famiglia la sconfitta nella battaglia giornaliera della fame. Nell’articolo del giornale repubblicano Rondani ritrovava quello che per lui era il limite dell’estrema sinistra borghese, ossia l’ostinazione ad applicare schemi astratti e irrealistici su un popolo che si preferiva idealizzare piuttosto che cercare di comprendere nelle sue reali necessità, che erano spesso di pura sopravvivenza. La polemica con il giornale novarese era poi l’occasione per esprimere la recisa opposizione al proseguimento della guerra in Africa, e già in un altro articolo era stato chiaro: "Ecco qui l' “Eco dell’industria”64 che pensa che l’Italia mostrerebbe non aver fibra, di non saper

62 Herreros, I disertori, "Il Corriere di Novara, 23.3.1896 63 Uno, Al Corriere di Novara “Corriere Biellese", 28.3.1896 64 Settimanale liberale biellese fondato nel 1872. Nel 1891 ne divenne pro- prietario l'industriale G.B. Serralunga che ne spostò a destra la linea politica rispetto al periodo precedente, in cui era stato redattore e comproprietario Alfredo Frassati. 24 ritemprarsi a nuova energia se accettasse l’eccitamento alla fuga e alla viltà ritirando le truppe dall’Africa, secondo la volontà di migliaia e migliaia di italiani. La causa è ingiusta, tutti lo sanno, è barbara e stolida, non importa, “le abbiamo prese”: è “coraggioso” ed “eroico” cercare di restituirle servendosi prima di tutto del tradimento, poi dei mezzi di guerra perfezionati" 65 Se quest’ultimo articolo non ebbe strascichi giudiziari, lo stesso non accadde per il precedente, nel quale il procuratore del Re ravvisò il reato di apologia della diserzione e processò con questa accusa il gerente del giornale, Fortunato Galletto, che fu condannato a quattro mesi e quindici giorni di reclusione; Rondani, inviato in Svizzera dal partito per un giro di conferenze non potè essere presente66. "Il Corriere di Novara” espresse il suo plauso per la condanna e irrise l’autore che, nascondendosi dietro l’anonimato, adottava la medesima filosofia dei disertori che aveva difeso, “risparmia la pancia per i fichi e lascia gli altri nelle panie a cui egli [aveva] fornito il ...vischio!”67 Ciò lo indusse a pubblicare un nuovo articolo dove dichiarò la sua responsabilità, senza rinnegare quanto scritto ma respingendo l’accusa di aver fatto un’apologia della diserzione68; una difesa che Rondani adottò anche al processo che inevitabilmente seguì la sua auto denuncia, in cui spiegò come intendesse solo difendere “le ragioni che militavano in favore di uomini che aveva visto in Svizzera lottare eroicamente colla vita per guadagnare un pezzo di pane per sé e pei loro congiunti”69. La corte lo condannò a sei mesi di reclusione e

65 D.R. Nel paese di Gasparone, "Corriere Biellese", 4.4.1896. 66 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32. 67 Herreros, Il Corriere di Novara causa involontaria della condanna del Corriere Biellese, "Il Corriere di Novara", 10.5.1896. Riportando brani dell'articolo di Rondani, Herreros gli attribuiva la frase: "è meglio salvare la pancia per i fichi e rinunciare alla gloria di combattere per l'onore del paese"; frase che in realtà il nostro non aveva mai scritto 68 Oh il repubblicano!, "Corriere Biellese", 16.5.1896, 69 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32, verbale di interrogatorio, 5.6.1896 25 cento lire di multa. La condanna venne confermata tre mesi dopo dalla corte d’appello di Torino e successivamente dalla Cassazione, e solo l’amnistia promulgata il 24 ottobre 1896 in occasione delle nozze del principe ereditario gli evitò di scontare la pena.

5. Il “novantotto” a Milano All'origine dei moti del maggio 1898 vi fu la congiuntura economica recessiva e un raccolto agricolo insufficiente aggravato dalla reintroduzione della tassa sul macinato che gravava soprattutto sui ceti proletari. I moti nacquero spontaneamente in vari centri: a Milano si mossero per primi i “barabba” cioè il sottoproletariato urbano che viveva di espedienti, a cui si mescolarono gli anarchici che tennero viva la tensione polemizzando con i consigli alla calma dei socialisti, i quali invece tendevano a ridimensionare i moti osservando che “le sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezioni chiamano alla superficie i bisognisti, gli affamati, la plebe che vive come vive, i poveri diavoli che crescono fra un furto e l'altro"70 riferendosi anche ai molti immigrati che non riuscivano a inserirsi nel tessuto operaio e simpatizzavano con gli anarchici più che coi socialisti, identificati con quelle "aristocrazie operaie" che si collocavano un gradino più in alto perché avevano un posto in fabbrica. Come scrisse il conservatore Pasquale Villari "Milano è divenuta una grande, forte, laboriosa e prospera città, la cui popolazione è enormemente cresciuta per la continua immigrazione di gente che viene d'ogni parte d'Italia a cercarvi lavoro. E così in essa si vanno accumulando tutto lo scontento, tutti i rancori, tutto l'odio di classe sparso nella Penisola. Il Romagnolo educato alle cospirazioni ed alle società segrete; il contadino veneto che lascia la sua lurida capanna di paglia e di fango; il contadino lombardo continuamente minacciato

70 ACS, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di PS, Ufficio riservato (1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Denuncia dei caporioni del movi- mento insurrezionale in Milano 19 maggio 1898; Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898); Relazione Bava; N Colajanni, L'Italia nel 1898: Tumulti e reazione, Milano-Lodi, 1898; E. Caldara, F. Ercole, A. Cabrini La storia di un delitto, Lugano, [1898?] 26 nelle risaie dalla febbre e dalla pellagra; la giovanetta che lascia in campagna la famiglia, e che già in parte esaltata, sovvertita da idee socialiste o anche anarchiche, si trova nella città, in mezzo a compagne più di lei esaltate, e sempre più s'esaltano, s'accendono fra loro nei convegni serali"71 Concordava il fondatore del Corriere della sera Eugenio Torelli Viollier: queste masse analfabete "non altro hanno capito se non che tutto ciò che i padroni possiedono è tolto agli operai, e che il giorno della spartizione è prossimo. Anche le campagnole immigrate s'infiammano la sera nei loro ritrovi con ogni sorta di fantasticherie comunistiche, e si preparano alla gran giornata, imparando la strategia: andare pacificamente davanti ai combattenti, non mostrare paura dei fucili né della cavalleria, sedere sui binari delle ferrovie per non lasciar partire i treni"72. La paura che la gerarchia sociale, i rapporti di proprietà fossero minacciati dai "barabba" che ritenevano venuto "el dì de spartì" è ben rappresenta dall'episodio dell'industriale Grondona così apostrofato da un operaio:"L'è vegnuda l'ora che nun lavorem pù, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa"73 Il 6 maggio 1898 i poliziotti arrestarono due giovani che distribuivano agli operai usciti dallo stabilimento Pirelli per consumare il pranzo un manifesto firmato "I socialisti milanesi" in cui erano denunciate le cause di fondo del rincaro del pane e si raccomandava la calma. La folla di operai presenti reclamò il rilascio degli arrestati, mentre il sindacalista Dell'Avalle cercava di ricondurre alla calma. Alla ripresa del lavoro il grosso rientrò in fabbrica, ma restò fuori dai cancelli una folla di donne e disoccupati, cui si mescolano anarchici che mantenne viva l'agitazione invitando gli operai ad abbandonare il lavoro, mentre Rondani venne con Turati a raccomandare la calma, interrotto da proteste, con la considerazione che non era ancora venuto il momento dello scontro frontale con la borghesia.

71 P. Villari, Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902 72 L.Villari, I fatti di Milano del 1898 ”Studi storici”, 1967 n.3, p. 541. 73 L'insurrezione a Milano.Nuovi particolari sulla giornata del 7 maggio.Ciò che si vuole! "L'Italia Reale," 9-10 maggio 1898 27 Quando Rondani annunciò all'uscita delle 18 degli operai della Pirelli il rilascio dell'arrestato e la soppressione del dazio sul pane, la protesta pareva terminata, ma un gruppo di dimostranti si scontrò con alcune guardie di PS che ripiegarono inseguite dalla folla verso la caserma e, dopo essersi barricate, uscirono sparando sui dimostranti mentre giungeva un reparto dell'esercito che a sua volta aprì il fuoco. Due operai rimasero sul terreno, con quattordici feriti gravi insieme a una guardia colpita dai commilitoni. I dimostranti issarono i corpi dei compagni morti su una carrozza tranviaria e attraversarono la città fino al Cimitero monumentale, in una protesta rabbiosa. La mattina seguente gli operai si presentarono al lavoro, ma la consorteria moderata insediata in municipio, fece imporre dall’autorità militare la chiusura degli stabilimenti, per spingere i lavoratori nelle strade e avere così un pretesto per la repressione. Gli operai messi in libertà si ritrovarono così nelle vie adiacenti le fabbriche a commentare gli avvenimenti e verso le dieci si formò un corteo impo- nente di migliaia di persone che si incamminò verso il centro. Mentre il corteo si avviava verso piazza Duomo, l'autorità politica passò le consegne dell'ordine pubblico al comandante del corpo d'armata che in un manifesto annunciò la proclamazione dello stato d'assedio, ma l'apparato repressivo militare era già pronto da tempo. In caso di tumulti era previsto un coordinamento tra questura e comando militare secondo un preciso disegno strategico: nella notte del 5, dodici ore prima dell'inizio della protesta, i comandi militari furono informati dal prefetto della possibilità di dimostrazioni popolari per il giorno seguente, e alle 4 di mattina del 6 maggio Bava comunicò che “ai soldati saranno distribuite cartucce a pallottola. Uscendo oggi, in servizio di pubblica sicurezza, al comando dato, la truppa farà fuoco. Gli ufficiali e i soldati siano preparati e ricordino che colui che non obbedisce sarà punito come dal codice penale militare”.74

74 ACS, Ministero Interno, Direzione Generale di PS, Uff. riservato (1879- 1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Relazioni della Autorità militare sulla som- mossa di Milano (6-9 maggio 1898), relazione Bava; relazione Del Majno; ACS, Ministero Real Casa, Uff. 1. Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fase. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma ministro della guerra al comandante 1. corpo d'armata, 7.5.1898 28 Per porre riparo alle cariche della cavalleria sorsero barricate improvvisate da gruppi di giovani75, mentre il grosso dei dimostranti si sparpagliava nelle strade laterali per poi ricomporsi in un tentativo più volte rinnovato fino a sera di giungere in piazza Duomo. Nuclei di dimostranti assalirono la caserma dei bersaglieri, entrarono nelle case prospicienti le barricate per bersagliare i soldati, invasero la stazione per impedire l'arrivo delle truppe mentre i macchinisti abbandonavano le locomotive per solidarietà. I militari concentrarono le forze in piazza Duomo e sospesero la circolazione tranviaria per consentire alla cavalleria un rapido movimento sulle direttrici che tramite i bastioni conducevano in periferia. Gli uffici pubblici e gran parte dei negozi chiusero, mentre dalle stazioni ferroviarie borghesi e aristocratici fuggivano per le residenze di campagna. Alle 23 del 7 ogni scontro cessò. Domenica 8 si registrarono ancora scontri e l'esercito ricorse al cannone. Restavano come focolai di protesta Porta Garibaldi e Porta Ticinese, dove l'arresto di studenti sconosciuti nel quartiere fece favoleggiare le gazzette dell'arrivo da Pavia, Bologna, Padova e Torino di universitari "in bicicletta" (sic!) armati di rivoltelle. Le truppe estesero l'occupazione fino alla linea delle porte, occupando i sobborghi per impedire qualsiasi tentativo d'irruzione in città, immaginando bande di saccheggiatori formate da "tutti gli elementi torbidi delle vicine campagne" muniti di un sacco e di un bastone venuti a Milano per riempire il sacco dopo aver bastonato i portinai76 mentre la polizia procedeva alla soppressioni dei giornali di opposizione e all'arresto dei redattori, alle perquisizioni e scioglimenti di circoli e associazioni, all'incarceramento degli esponenti socialisti e repubblicani. La giornata di lunedì 9 culminò nel cannoneggiamento del convento dei cappuccini di Porta Monforte, in cui si trovavano i frati e una

75 N.Colajanni, L'Italia nel 1898, cit., p. 75-6; P.Valera, La sanguinosa settimana del maggio '98, cit., p.172-3. 76 La situazione sempre grave a Milano "Gazzetta del Popolo" 10.5.1898; La giornata di ieri in Italia. La calma ritorna. "La Stampa" 12 .5.1898 29 quarantina di mendicanti in attesa della ciotola di minestra.77 Solo il 10 fu autorizzata la riapertura degli stabilimenti industriali.78 Nei giorni successivi si aggiunse il pattugliamento, ad opera di colonne mobili, nelle zone industriali col compito di arrestare sobillatori e "promotori di sciopero" Il bilancio delle giornate del '98, ufficialmente di 80 morti e 450 feriti, si può stimare in alcune centinaia di civili uccisi e in un migliaio di feriti; per contro il comando militare registrò una guardia di PS uccisa dal fuoco dei commilitoni e un solo soldato morto, con 22 feriti. Tra i rivoltosi uccisi vi furono bambini di 3, 9, 12 anni ammazzati in casa o cannoneggiati per aver fischiato i soldati, donne, vecchi di 60 e 70 anni freddati nell'atto di chiudere porte e finestre. Il Tribunale di guerra di Milano distribuì 1.435 anni e 8 mesi di galera in 129 processi contro 828 imputati di cui 688 condannati, un terzo dei quali minorenni.

6. Dall'esilio al ritorno nell'Italia giolittiana Rondani aveva compiuto un primo breve espatrio in Svizzera nel 1894. La sua popolarità tra i lavoratori delle vallate prealpine lombarde e piemontesi, costretti a emigrare nella vicina Confe- derazione, gli fu utile quando, dopo i moti di Milano del maggio ‘98 sfugge alla cattura saltando dal treno in corsa (mentre Turati e Morgari vengono arrestati) rifugiandosi nella repubblica elvetica dove svolse opera di propaganda per l’organizzazione sindacale e contro il crumiraggio come membro della commissione esecutiva dell’Unione socialista di lingua italiana e come collaboratore del suo organo, “Il Socialista”. Nonostante l’opera di pacificazione svolta con Turati e Carlo Dell’Avalle durante i moti, venne condannato in contumacia a sedici anni di reclusione dal Tribunale militare79.

77 P.Valera cit., pp. 284-346; dello stesso, L'assalto al convento, Milano 1899; L.Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio Torelli Viollier, cit., pp. 545-6. 78 ACS, Ministero Real Casa, Uff. Primo Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fasc. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma di Rudinì a Bava, 8.5.1898. 79 Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze di uomini d'ordine elvetici e italiani, si attenne alla versione delle “bande armate” del 30 Lasciata la Svizzera nel settembre 1898, intraprende un giro di otto mesi sotto falso nome, in cui tiene delle conferenze, comprendente Germania, Danimarca, Svezia. Nel maggio 1899 partecipa alle conferenze di Amsterdam e Bruxelles, preparatorie del Congresso dell'Internazionale socialista da svolgersi a Parigi. Trasferitosi in Inghilterra, il 15 giugno si imbarca per gli Stati Uniti sbarcando a New York il 21, invitato dal Partito Socialista Italiano della Pennsilvania consolato di Bellinzona, coinvolgendovi anche Rondani, Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano. Ved. F.Manzotti I rapporti italo-svizzeri e la crisi italiana del '90, in “Atti...acca- demia nazionale di scienze lettere e arti”, 1962) Sulla tentata invasione di bande armate dalla Svizzera, F. Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Per quanto riguarda le “bande armate” così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandona- no il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opi- nione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) Al Sempione poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordi- ne, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un lato, di "legittimare completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far risaltare con evidenza la connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, 31 che gli affida la direzione del “Proletario”, pubblicato a Paterson sotto la direzione di Paolo Mazzoli dal novembre 1896, cessando la pubblicazione nel 1987. Rondani risollevò le sorti del giornale80 che divenne il più diffuso settimanale italo-americano, appoggiandolo alla rete delle sezioni del Socialist Labor Party di Daniel De Leon e inquadrandolo in una prospettiva chiaramente anti-anarchica e unionista. Dopo l'elezione alla Camera nel collegio di Cossato (Biella) nel luglio 1900 tornò in Italia e, nonostante avesse subito a Paterson feroci attacchi dei gruppi anarchici, venne coinvolto nelle indagini per l’assassinio di Umberto I, con il pretesto che vi si era trovato contem- poraneamente a Bresci. Nella veste di deputato socialista svolse interpellanze ed interrogazioni sullo scioglimento di una pubblica riunione a Quistello (Mantova); sulle proibizioni di comizi a Biella e a Massa Carrara; sugli espulsi nel Transvaal; sull’afta epizootica, unendosi all’interrogazione di Bissolati, per chiedere al ministro dell’Agricoltura un’indennità per quei contadini che dalla legge sanitaria si trovavano espropriati del loro bestiame colpito, ma nonostante ciò venne attaccato, in quanto rappresentante di un gruppo parlamentare troppo transigente col governo, dagli ambienti operai del biellese e dal vecchio compagno emigrante Oreste Mombello. Continuò i suoi consueti giri di conferenze e nel febbraio 1901 lo troviamo in Puglia. «Parla come lavora, come si diverte: con poco il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla compe- tenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande armate, coin- volgendovi anche i principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano 80 A. M. Martellone Una little nell'Atene d'America : la comunità italiana di Boston dal 1880 al 1920, Napoli 1973 p.156-7; Id. La questione dell'immigrazione negli Stati Uniti, Bologna, 1980; G. Dore, La democrazia italiana e l'emigrazione in America Brescia, 1964. 32 ordine, ma brillantemente e con intensità», scriveva Morgari sul!’’Avanti!, in una intervista a Rondani sui suoi viaggi e sul «favoloso» numero di conferenze tenute, e ne citava la massima: «Evitare i grandi uomini... Regolarsi in modo come se la posterità non esistesse». Tiene un comizio a Cossato il 28 maggio 1907 di protesta per la condanna a tre mesi del sindaco che aveva fatto togliere i crocefissi dalle aule, ma affronta il problema della scuola in modo pragmatico e non dottrinario anticlericale: “bagni e docce, refezione, aule belle e sane, giardini, maestri ben pagati“ e polemizza con il nuovo direttore del ”Corriere Biellese” Mario Guarnieri per il taglio anticlericale e antimilitarista impresso al giornale. Se nell'ambito locale cresce la sua influenza e alle elezioni del maggio 1909 ottiene più del doppio dei voti dell'avversario (4790 contro 2279), invece declina la sua presenza ai vertici del Partito nazionale, che lo avevano visto eletto nell’esecutivo con Lazzari, Dell’Avalle, Enrico Bertini e Garzia Cassola al quarto congresso (Firenze 11-13 luglio 1896), e riconfermato al quinto (Bologna 18-20 settembre 1897) con Bertini e Dell’Avalle, segno di un suo defilarsi dalla lotta per il potere e anche delle lotte di corrente. All’8 congresso (Bologna 8-11 aprile 1904) è firmatario della mo- zione ”“intermedia” o di centrodestra, con Rigola, Morgari, Cabrini, Reina, Scaramuzzi, Lollini e Sacco. Nel 1910 all’interno della vasta maggioranza riformista si verifica una divaricazione tra Bissolati e Bonomi da un lato e Modigliani e Salvemini dall’altro. Con 5 voti contro 4 prevale l’OdG che rispetta l’autonomia del Gruppo Parlamentare, e Rondani si schiera con la maggioranza del GPS per l’appoggio al ministero Luzzatto che aveva promesso un allargamento dell’elettorato. Di fronte all’alternativa tra una riforma parziale ma immediatamente realizzabile e una campagna per il suffragio universale proposta da Salvemini che rischiava di rimanere testimonianza, si schiera con la prima, benchè due mesi prima avesse approvato l’OdG Canepa-Salvemini che negava l’appoggio a qualsiasi governo che non avesse nel programma il suffragio universale. Dietro l’incoerenza apparente c’era la ricerca delle riforme possibili, cui si aggiungeva la concezione del gruppo dirigente riformista 33 settentrionale dubbioso della maturità rispetto al voto della popolazione meridionale. Alla riunione del GPS del 7 aprile 1911 sul caso Bissolati si schiera coi destri, frenato nell'adesione alla loro linea perchè non condivideva l’intento di dissolvere il PSI in un Partito del lavoro. Interviene per l'ultima volta a un congresso nazionale a Reggio Emilia (7-10 luglio 1912) dove è relatore con Montemartini sull’attività del GPS, ed emblematicamente, col passaggio della guida del Partito dai riformisti agli “intransigenti”, resta testimone di un'altra epoca, anche se sarà rieletto nel 1913 e resterà fedele militante del socialismo fino all'ultimo.

7. “Ispettore “ dell'emigrazione Il fenomeno dell’emigrazione assunse in Italia caratteri di massa nel decennio 1880-90 per la crisi agraria innescata dall’arrivo del grano americano, divenuto competitivo sui mercati europei con l'introduzione della navigazione a vapore, e perdurò per la diffusa povertà di vaste zone dell’Italia fino alla grande guerra. Il primo provvedimento dello Stato in merito fu nel 1888 la legge n. 5877 del governo Crispi; con la legge n. 23 del 1901 fu poi istituito il Commissariato Generale dell’emigrazione, che si interessò prevalen- temente a quella transoceanica. Nel 1900 nasce con origine e finalità religiose81 l’ ”Opera di assistenza degli operai emigranti italiani in Europa e nel levante” (nota come Opera Bonomelli dal nome del vescovo di Cremona che la patrocinò). Lo stesso anno al sesto congresso del Partito Socialista (Roma 8-11 settembre) l’11. punto dell’OdG riguarda l’emigrazione e Rondani,

81 P. Borzomati Giovanni Battista Scalabrini : il vescovo degli emarginati, 1997; Centro studi emigrazione La societa italiana di fronte alle prime mi- grazioni di massa: il contributo di mons. Scalabrini e dei suoi collaboratori alla tutela degli emigranti, Roma 1968; S. Tomasi, Scalabriniani e mondo cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940) e G. Rosoli, L’emi- grazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), in “Gli italiani fuori d’Italia”, Milano, 1983. 34 propagandista tra i lavoratori italiani in Svizzera e in America negli anni dell’esilio, ne è il relatore con Cabrini e Majno. 82 Gli emigranti partivano ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe, affidandosi a speculatori o “caporali”: da ciò violazioni del contratto del lavoro, speculazioni sugli alloggi e i viveri, premi di assicurazione pagati dagli operai anziché dall’imprenditore e la frequente perdita dell’ indennità di infortunio, poiché l’operaio non poteva fermarsi fino alla conclusione di lunghe pratiche. Inoltre. nel settore edilizio vari scioperi in Svizzera e Germania si erano conclusi con un insuccesso a causa dell’intervento di crumiri italiani. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana non era quindi dettato solo da motivi umanitari ma anche da un impegno di solidarietà verso il movimento operaio europeo, con cui quello italiano poteva conservare i rapporti solo adoperandosi a debellare il crumiraggio. Per l’emigrazione temporanea in Europa le statistiche ufficiali davano la cifra di 222.725 83 unità nel 1902. Si trattava di un fenomeno in espansione, visto come positivo perché creava ricchezza e diminuiva la disoccupazione84 senza privare il paese di energie come invece accadeva per l’emigrazione permanente. I socialisti erano persuasi che non si poteva arrestare il fenomeno, ma si poteva disciplinarlo per farne un fattore di emancipazione e di progresso sociale e civile85.

82 Pedone I congressi del PSI, cit. 83 “Bollettino dell'emigrazione”, n. 8, 1903. Ma secondo Schiavi tali cifre andavano più che raddoppiate. Ved. F. Assante Il movimento migratorio italiano dall’Unita nazionale ai giorni nostri 1978 84 perchè “i lavori che offre il mercato dell'Europa continentale diventano come una fonte di reddito fisso e sul quale si fa conto, per una grande massa della nostra classe lavoratrice, così che, un fenomeno determinato da condizioni anormali, tende a diventare normale ed a entrare come fatto ordinario nella vita della nazione". G. Montemartini in Resoconto del 2. Congresso dell'Emigrazione temporanea tenutosi in Milano nei giorni 13 e 14 gennaio 1907 promosso dalla «Società Umanitaria», Milano, 1907 85 Era l'opinione dei socialisti, espressa nell' OdG votato al congresso di Firenze, che riprendeva la mozione Ellenbogen al congresso di Stoccarda del 1907 dell'Internazionale (10. congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22 35 Poiché il Commissariato Generale dell’emigrazione si occupava quasi esclusivamente di quella transoceanica, a sopperire alla mancanza di un’organica iniziativa dello Stato in materia di emigrazione temporanea continentale (in Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria), sorgono i Segretariati per l’assistenza all’emigrazione86 nelle località in cui era particolarmente rilevante, primo fra tutti nel 1990 quello di Udine87 fondato da Giovanni Cosattini,88 I Segretariati e sindacati di categoria come la “Federazione dell’edilizia” proposero di costituire un ufficio di coordinamento da affidare all’Umanitaria89, coinvolgendo studiosi e organizzatori del mondo socialista: Dino Rondani, Giovanni Montemartini, Angiolo Cabrini, Antonio Vergnanini, Felice Quaglino, Augusto Osimo, Alessandro Schiavi. Al 1. congresso nazionale dell’emigrazione temporanea, svoltosi il 22-23 settembre 1903, Osimo a nome dell’Umanitaria presentò il progetto di un Ufficio fondato sulle organizzazioni professionali locali e sui Segretariati invece che su personale stipendiato e della ricerca del concorso finanziario di altri enti e di un’intesa col Regio Commissariato dell’emigrazione. settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la politica dell'emigrazione. Angiolo Cabrini relatore. Roma. 1908). 86 D.Franchetti "Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (1904- 1924)" In "Emigrazione e territorio", Varese, 1999; P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", Milano, 1995 87 L'opera della Società Umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, I. maggio 1906, Milano, 1906, pp. 49-51. La provincia di Udine era alla testa dell'emi-grazione temporanea. Secondo stime ufficiali nel 1902 aveva dato 45.125 emigranti temporanei, su un totale di 222.725 (“Bollettino della emigrazione”, n. 8. 1903). 88 P. Alatri Giovanni Cosattini (1878-1954) : una vita per il socialismo e la libertà, Udine, 1994 89 M. Punzo La Società' Umanitaria e l'emigrazione. dagli inizi del secolo alla prima guerra mondiale, in A.Riosa “Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo”, Milano, 1981 36 Lo statuto fissava come scopo l'istituzione di uffici per l’emigrazione temporanea in Europa nei paesi da cui partiva l’emigrazione e in quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla propaganda da svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la legislazione sociale dei paesi di destinazione e per informarli della situazione del mercato del lavoro, onde evitare i luoghi in cui erano in corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le organizzazioni operaie dei paesi europei. Alla fine del 1903 il servizio in via sperimentale fu affidato all’Ufficio del lavoro dell'Umanitaria diretto da Alessandro Schiavi, che, disponendo di una somma appositamente stanziata, si valse dell’opera degli ispettori viaggiatori dell’Ufficio del lavoro Ernesto Piemonte, O.Schiassi, Nino Mazzoni, A.Toscani, M.Todeschini, A.Rivolta e Dino Rondani. Mentre Felice Quaglino, segretario della Federazione dell’edilizia, già aveva iniziato un’azione basata sulle campagne invernali nell’Ossola e lago Maggiore, nell’inverno tra il 1903 ed il 1904 furono visitati il Friuli e le provincie di Sondrio, Belluno, Padova, Parma, Bologna, Rovigo, Mantova. Il Consorzio tra l’Umanitaria, le province di Reggio Emilia, di Mantova (entrambe amministrate dai socialisti) e di Sondrio e i Segretariati per l’emigrazione venne istituito il 23 settembre 1904 presso l’Umanitaria per un periodo di cinque anni, diretto da un consiglio di nove membri90 Dino Rondani coadiuvato da Benedetto Giani fu assunto dal Consorzio che gli affidò come compito principale le ispezioni all’estero. I compiti degli ispettori, il cui numero era limitato a causa del bilancio di 15.000 lire annuali, erano immensi: in Italia avrebbero visitato durante l’inverno i centri di emigrazione per assumere le necessarie informazioni sul presunto esodo della stagione estiva e sulla sua destinazione91, diffondere notizie, fornire gli indirizzi

90 Comprendeva Giovanni Montemartini (presidente) Angiolo Cabrini ed era affiancato da un comitato in cui erano rappresentate le organizzazioni professionali. di cui facevano parte Cosattini e Quaglino. Le province ade- renti passarono da 3 a 11 ma il loro contributo fu assai scarso a confronto dell’impegno finanziario dell’Umanitaria. 91 Scrivendo a Rondani, che in quel momento si dedicava alla propaganda invernale in Italia, Schiavi sottolineava l'importanza delle statistiche: «A me 37 delle persone e delle organizzazioni cui fare riferimento nelle varie località, adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole professionali, cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero avrebbero dovuto occuparsi del collocamento e della tutela degli emigranti, assumendone anche il patrocinio Cabrini però riteneva che l’azione dovesse basarsi sulla rete di segretariati in Italia e di organismi analoghi all’estero e insisteva che «Il lavoro che si compie all’estero, forzatamente slegato, incerto, insufficiente, non vale quello compiuto nella stagione invernale, quando gli emigranti son tornati alle proprie case», consigliava di collaborare con le organizzazioni tedesche e proponeva che sull’azione del Consorzio vigilasse il Segretariato nazionale della resistenza (dal 1906 Confederazione generale del lavoro CgdL) 92 Sull’idea che l’azione del Consorzio dovesse basarsi «sul perno dell’organizzazione operaia» concordavano sia il presidente Giovanni Montemartini sia Alessandro Schiavi, che ne aveva avviato il funzionamento. Il lavoro del Consorzio rivolto all’estero, iniziato con la corrispondenza con le organizzazioni operaie svizzere, austriache, tedesche, proseguì nell’estate del 1904 con i viaggi di Cabrini in Germania, di Rivolta in Francia in Svizzera e di Rondani in Lussemburgo e in Germania, che consentirono di delineare una mappa dei problemi dell’emigrazione temporanea nei diversi paesi e di individuare gli interlocutori: erano pronti a collaborare i sindacati svizzeri, tedeschi e austriaci, a patto che parte italiana vi fosse l’impegno di favorire l’iscrizione alle federazioni di mestiere ma in Francia non fu possibile stabilire accordi con la Federazione delle borse del lavoro di Parigi. poi occorre avere per ogni centro che visiterai una inchiesta sommaria del numero degli emigranti abitualmente ogni anno, sul mestiere che fanno in patria e relativo salario, sul paese dove emigrano mestiere che vanno a fare, salario che percepiscono e pericoli che ordinariamente incontrano (Archivio Società Umanitaria (da ora ASU), f. 2 e., lettera in data 8.12.1903). 92 ASU, b. E XXVI11-3. f. 764. Seduta del Consorzio dell' 8 settembre 1904. 38 Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su quello svizzero-tedesco, con funzione sia di patronato che di statistica, per individuare i luoghi di destinazione; esse furono istituite a Basilea (gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del lavoro di Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di lingua italiana” che assunse una grande importanza per l’apertura del Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le tariffe preferenziali cui avevano diritto, fornendo loro informazioni e in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento, suscitando le diffidenze degli organizzatori operai. Nel 1906 col contributo del comune di Milano cominciò a funzionare presso la stazione centrale la Casa degli emigranti che offriva un ricovero gratuito, cucina, informazioni sugli itinerari e i mercati del lavoro con una media annua di 40-50 mila passaggi,, con punte di 90.000 nel 1911. A Fontaneto d’Agogna (Novara) fu organizzato un Congresso dell’emigrazione il 1 gennaio 1907, presieduto da Dino Rondani. Si discusse della partecipazione degli emigranti alle elezioni invernali, degli uffici di confine, dell’adesione alle organizzazioni economiche all’estero e dell’emigrazione interna. Il Congresso collegiale socialista di Borgomanero espresse voti per l’istituzione di un Segretariato d’emigrazione in collaborazione con l’Umanitaria e, nello stesso anno, sorse ad Arona il Segretariato d’emigrazione per il Lago Maggiore, L’Umanitaria all’inizio del 1906 costituì il Segretariato per l’emigrazione interna, per il collocamento e l’assistenza dei lavoratori dei campi durante i mesi di sosta dell’emigrazione europea, e nell’ottobre coordinò tra loro le attività dell’Ufficio dell’emigrazione interna, del Consorzio per l’emigrazione temporanea in Europa e dell’Ufficio di collocamento gestito assieme alla Camera del lavoro, affidandone la supervisione ad Angelo Cabrini. Rondani veniva a trovarsi in una posizione delicata, poiché l’Umanitaria assumeva di fatto la direzione del Consorzio e Cabrini

39 nella primavera del 1907 preparò un progetto93 che ne prevedeva lo scioglimento. I segretariati dell’emigrazione sarebbero passati al nuovo ufficio per diventare «una delle tante branche», con questi obiettivi: “Azione netta precisa concreta. Cardine dell’azione stessa sia questo concetto: l’Ufficio sorge a integrare l’azione delle organizzazioni proletarie in quella parte che riguarda l’emigrazione temporanea in Europa. L’Ufficio non deve pretendere di sostituirsi alla divina provvidenza per ridursi a sfarfalleggiare su mille questioni diverse e non esaminarne alcuna ... Le funzioni di «Croce Rossa» si lasci ad altri Istituti: è al mercato del lavoro che si deve tendere lo sguardo e dirigere l’opera. L’asilo-ricovero, la riduzione ferroviaria, l’assistenza infortuni siano funzioni accessorie: l’Ufficio si applichi a disciplinare il collocamento insieme con le organizzazioni di mestiere; a rimuovere le cause del crumiraggio; agevolare alle organizzazioni di mestiere la stipulazione di convenzioni internazionali; a promuovere nei diversi Stati accordi legislativi favorevoli agli emigranti”.L’ufficio di Milano compilò guide dei singoli paesi e un servizio di informazione sulle offerte di lavoro e sulle condizioni di vita delle singole località. Il 19 luglio 1907 Cabrini, Della Torre, Osimo, Pagliari, Schiavi e Samoggia decidevano, d’accordo con l’Umanitaria, di procedere allo scioglimento del Consorzio. Il Direttivo il 30 luglio 1907 della CGdL espresse parere favorevole e il 17 settembre era ratificava la decisione. Mentre si procedeva alla chiusura degli uffici di confine94, si svolse un’indagine. Rondani veniva accusato di privilegiare le funzioni ispettive a scapito di quelle direttive95 del Consorzio. I corrispondenti di Berna e di Basilea lo accusarono di avere svolto con le sue ispezioni un lavoro inconcludente, secondo quelli di Berna sarebbe stato meglio istituire nei centri principali della Svizzera degli uffici

93 ASU b. E XIV 1. f. Interrogatori a Milano, Reggio, Udine ecc. Rondani, Cabrini, Schiavi, Pagliari, Ciani, Mazzoni, Quaglino, Vergnanini, Cosattini, relazione e proposta di Cabrini. 94 Continuarono a funzionare l'ufficio di Chiasso e la Casa degli emigranti di Milano. Nel novembre 1908 venne aperto anche un ufficio a Pontebba dal Segretariato di Udine. 95 ASU, b. E XXVI11-3 f. 764, seduta del Consorzio 12 gennaio 1907. 40 con personale fisso, ciò avrebbe permesso di affrontare con maggiore serietà anche il collocamento, che veniva considerato la funzione più difficile. Da un altro lato giungeva l'accusa di Serrati di interventi assistenziali non classisti e dell'assenza degli emigranti al convegno organizzato dalla Camera del Lavoro con l’Umanitaria. Per Rondani queste parole sono il frutto di un temperamento critico e ingiusto, che lo portava “a commettere delle azioni che per un nemico sarebbero delle bricconate letterari e per un amico delle bricconate autentiche”96 Rondani protestò per il licenziamento da direttore ma accettò di collaborare svolgendo il compito, per cui veniva ritenuto più adatto, di ispettore97 e l’Ufficio dell’emigrazione dell’Umanitaria, sotto la direzione di Osimo e di Cabrini98, proseguì il lavoro in precedenza svolto dal Consorzio senza spezzarne la continuità. 99 Le ispezioni di Rondani costituirono nel corso del 1908 e 1909 un’attività fondamentale del nuovo ufficio.100 Il loro scopo doveva essere quello di organizzare in Italia uffici e segretariati per l’emi- grazione e il collocamento dei contadini, in collaborazione con l’Ufficio agrario, cooperando al buon andamento ed all’incremento degli uffici e dei segretariati già esistenti. Gli ispettori dovevano anche effettuare visite, sia in Italia sia all’estero, per importanti collocamenti di mano d’opera e per assumere notizie dirette sulle condizioni del mercato del lavoro. Non vi era quindi, a parte la collaborazione tra i vari uffici dell’Umanitaria che si occupavano di collocamento, nessuna sostanziale novità rispetto alle linee generali di azione del

96 D. Rondani, in ” L’Avvertire del lavoratore”, Lugano, 19.1.1907 97 ASU, b. E XIV-1, f. 1040, lettera di Rondani del 16 novembre al presiden-te dell'Umanitaria 98 Nel novembre 1906 Cabrini si era dimesso dal CdA del Consorzio, in seguito all'incarico affidategli dal consiglio dell'Umanitaria «per lo sviluppo dell'assistenza all'emigrazione per l'interno e l'estero» 99 Sull'ordinamento del nuovo ufficio, L'Umanitaria e la sua opera, p. 90; Note illustrative del Bilancio preventivo per l'esercizio 1908, s.d., « II nuovo ordinamento dei servizi di emigrazione ». 100 In ASU, b. E XIV-2 sono contenute le relazioni delle ispezioni di Rondani e altri nel 1907-08 41 Consorzio, segno che una volta eliminata la causa che ne aveva inceppato lo sviluppo, la sua opera veniva considerata nel complesso positiva. L’esperienza del Consorzio aveva consigliato di porre limiti precisi ai poteri d’intervento degli ispettori e di assicurare con una specificazione dei compiti l’organizzazione del servizio, al cui funzionamento doveva provvedere la Direzione cui spettava assegnare le zone di lavoro agli ispettori, che dovevano inviare giornalmente un rapporto dettagliato, la corrispondenza e le trattative con l’estero. Un accordo sulle competenze fu raggiunto l’11ottobre 1908 a Torino tra il Direttivo della CgdL, i Segretariati laici dell’emigrazione e l’Umanitaria, stabilendo “spettare alla CgdL e alle federazioni nazionali di mestiere la direzione della politica sindacale dell’emigrazione (organizzazione, tariffe, convenzioni internazionali, ecc.) e agli uffici e segretariati degli emigranti quell’opera di assistenza che si estrinseca con iniziative di istruzione popolare, di patrocinio legale, di rilievi statistici. Tali uffici e segretariati devono peraltro integrare l’azione dei sindacati di mestiere anche nel campo dell’organizzazione di classe, procedendo però sempre d’accordo con la Confederazione generale del lavoro e le federazioni interessate”. Questa formulazione rigida del principio di non scavalcare i sindacati concedeva in effetti ai segretariati e all’Umanitaria un margine di iniziativa una volta che si fossero dichiarati ligi alle loro direttive e in questo modo fu possibile che il collocamento, su cui la Federterra si era espressa in termini rigidi,101 divenisse poi il campo di un'iniziativa dell’ Ufficio emigrazione102, in collaborazione con il settore coope- rativo103.

101 3.Congresso nazionale lavoratori della terra, Reggio Emilia, 7-8-9 marzo 1908. I problemi dell'emigrazione e i lavoratori della terra. Angiolo Cabrini, relatore per l'Ufficio dell'Emigrazione dell'Umanitaria, Milano, 1908. 102 Società Umanitaria. Ufficio di emigrazione, IV Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano, 24 febbraio !911. Verbale del convegno e relazioni sommarie dei Segretariati aderenti per l'anno 1910, Milano, 1911, Relazione di Vaiar, pp. 17-19. 42 Al 3. Convegno degli uffici e segretariati dell’emigrazione104 l’Ufficio centrale poteva mostrare di aver superato il periodo iniziale della propria attività e di attraversare una fase di ulteriore espansione: erano ormai in funzione 21 tra segretariati e uffici locali dell’emigrazione, mentre si infittiva la rete dei corrispondenti all’estero105. Grande era anche la mole del lavoro di assistenza per infortunio, collocamento, vertenza coi padroni per salari, maltrattamenti e altre eventualità e per la compilazione di pratiche per cui vi era bisogno di un interprete106. A questo si aggiungeva il costante sforzo per costituire biblioteche per emigranti107 e quello per una legislazione a favore dell’emigrazione, per la quale si prodigò soprattutto Cabrini. Per sviluppare questo settore nel 1909 Cabrini fondò un ufficio romano per l’azione parlamentare e legislativa108. I segretariati laici dell’emigrazione continuavano a svilupparsi109 anche nel Sud. La propaganda invernale,

103 ASU. b. XIV 17, f. 548, lettera di Cabrini e C. De Michelis, regio addetto dell'emigrazione italiana in Svizzera, in data 15 ottobre 1908; f. 1038, pratiche di intesa colla Lega nazionale delle cooperative di Milano per un ser- vizio di ispezione alle cooperative di consumo italiane in Svizzera. 104 Società umanitaria. Ufficio dell'emigrazione, L'assistenza laica dell'E- migrazione temporanea in Italia e all' estero. Relazioni al 3. convegno degli Uffici e Segretariati dell'Emigrazione, Milano 15,11.1909, Udine, 1910. 105 ASU, b. E XIV-7 e 12. 106 ASU, b. XIII 1. 107 Già il Consorzio aveva istituito le biblioteche per gli emigranti “Edmon-do De Amicis”, finanziate con il concorso del regio commissariato dell'emi-grazione (L'Umanitaria e la sua opera, cit., p. 91). 108 Relazioni di Cabrini al IV (op. cit.. pp. 23-36) e al V congresso: Società umanitaria, Ufficio di emigrazione, V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano 3-4 dicembre 1911. Verbali del Convegno e relazioni annuali dei Segretariati aderenti, Milano, 1912, pp. 29-32 109 IV Convegno nazionale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 3- 23; V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 16-27; 40-49;64-65. ASU, b. R 111 1 f. 1912, VI convegno dei segretariati laici dell' emigrazione, Milano, 4-6 dicembre 1912; b. R III 2, f. 1914. deliberazioni del VII convegno dei segretariati laici di assistenza agli emigrati (Milano, 20-21- 22 dicembre 1913); b. R IV 1, f. 1914, relazione al regio commissario per 43 fulcro dell’attività dell’Ufficio, stava dando buoni risultati: gli italiani avevano finalmente perso la fama di crumiri, di cinesi d’Europa e di rompi-sciopero.

8. Tra impresa libica, grande guerra, dopoguerra L'impresa libica ebbe gravi ricadute sul socialismo italiano che al congresso di Reggio Emilia del 1912 espulse dal partito i riformisti di destra filotripolini, mentre i riformisti di centro (Turati) e di sinistra (Modigliani) furono colti di sorpresa e spiazzati da questa svolta della politica giolittiana che bloccava il loro avvicinamento al presidente del consiglio e finirono per adottare l'impostazione salveminiana e liberista dell'antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista inglese, e sulla stampa e nei comizi usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia». Solo la frazione intransigente si oppose all'impresa libica rivendicando la concezione dottrinaria del socialismo. Prima del congresso la guerra aveva provocato una momentanea scissione nel Gruppo Parlamentare (GPS) nel febbraio con la contrapposizione di due linee: mentre Pescetti proponeva di prendere la parola alla Camera per esprimere l’omaggio ai caduti, Turati sosteneva che si dovesse essere presenti senza però partecipare alla cerimonia di omaggio, e il suo OdG venne votato da Rondani, che votò anche, a differenza del resto del Gruppo Parlamentare, l'annessione della Tripolitania e della Cirenaica al Regno d'Italia.110 Con lo scoppio del conflitto mondiale la sua fedeltà al riformismo turatiano, sorretta dal legame con il movimento dei lavoratori socialisti, gli impedì le ambiguità interventiste del deputato socialista di Santhià Umberto Savio. Il suo impegno politico fu particolarmente rivolto ai doveri elettorali ed agli incarichi di natura sociale svolti per l’Umanitaria, e rivolti all’assistenza ai disoccupati e, a guerra finita, al rimpatrio dei profughi e dei prigionieri.

l'emigrazione sull'attività svolta nel 1913, in data 14 maggio 1914. 110 "perchè leggero" secondo Turati. Carteggio T.-Kuliscioff, Vol.3, p.680 e 703. 44 Dopo la guerra fu rieletto alla Camera dei deputati nel 1919 e 1921 non più per il collegio uninominale di Cossato ma, nelle prime elezioni a suffragio universale maschile con il sistema proporzionale, per il collegio della provincia di Novara. Nel febbraio 1920 si recò in Calabria presso la Lega di S.Giovanni in Fiore111 per verificare l’applicazione del decreto Visocchi112 a marzo in Svizzera per i renitenti e disertori lì rifugiati, poi a Trento e di nuovo a maggio in Sicilia e Calabria Fece parte della delegazione del PSI al II Congresso dell’Internazionale comunista (Mosca, luglio 1920) come rappresentante del gruppo parlamentare, ma la sua voce nei dibattiti interni del partito risuonava sempre meno: partecipò senza intervenire ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922). Al congresso di Milano aderisce alla mozione intermedia (tra Serrati e Turati) di Cesare Alessandri, a quello di Roma vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato Zaniboni.

9. Esilio a Nizza Il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926, attribuito al giovane Anteo Zamboni, fu utilizzato per deliberare il 5 novembre la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento dei partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale speciale per i reati contro il regime113. Come in occasione dei fatti del ‘98, quando era riuscito al espatriare in Svizzera prima dell’arresto saltando da un

111 “Corriere Biellese” 24.2.1920 112 Decreto Visocchi (2 settembre 1919) sulle concessioni di terreni incolti a cooperative da parte dei prefetti. 113 C.Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale 1994; A.Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978 45 treno in corsa, così ora evitò il confino inflitto a tutti gli antifascisti noti grazie alle sue doti di prudenza e preveggenza. Ad ottobre aveva richiesto un passaporto per Londra come esportatore e giusto in tempo prima dell'introduzione delle leggi eccezionali, evitando l’espatrio clandestino cui dovette ricorrere Turati, riparò a Nizza, dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collaborò alla ricostruzione del Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI). Il PSULI ha un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti e dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione) contro le sette massimaliste, ma poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL. Collabora, oltre che a ""Rinascita socialista" al «Corriere degli Italiani», fondato da ""popolare" Luigi Donati. Già nel 1927 divenne presidente per la regione delle Alpi marittime (Nizza) della ""Lega italiana dei diritti dell'uomo" (Lidu)114 fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, entrando quindi nella Concentrazione antifascista che, con il suo programma di propaganda e di assistenza, le sue radici liberal-massoniche, i suoi legami con Turati, Treves e Modigliani sembrava ricostituire l'ambiente della sua giovinezza di propagandista viaggiante e di esule politico: raccolta di sottoscrizioni per i giornali antifascisti, conferenze e feste familiari per il 1. maggio, per commemorare Garibaldi o Matteotti, aiuto ai connazionali e contemporaneamente una serie svariata di contatti e incontri dal 1927 al 1930 soprattutto con gli ambienti inglesi del Labour Party e del gabinetto di Ramsay Mac Donald, ma anche con il duca di Canterbury zio del re d'Inghilterra che villeggiava a St. Jean Cap Ferrat. Nel 1927, organizzò con il giovane Sandro Pertini, a Nizza, un ufficio di assistenza legale per gli emigrati e, insieme a Francesco Cicciotti, fu difensore dello stesso Pertini nel processo del 1929 per la radio clandestina.

114 Dove è attestata una sua conferenza il 24 giugno 1927 46 Fece parte del ""Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della ""Commissione per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris. E' delegato della sezione di Nizza al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio 1930, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) (segretario politico Ugo Coccia). Si occupò con alterna fortuna in traffici commerciali che, come membro dell’Alleanza cooperativa internazionale, agli inizi della stagione calda lo portavano regolarmente nel nord dell'Europa e in particolare a Londra. Vera Modigliani ne tracciò un ritratto:115 Dal 1931, dopo la proclamazione della Repubblica in Spagna, gli esuli italiani guardavano a Madrid, e molti vi si erano trasferiti, da Rosselli, Bassanesi, De Rosa, Tarchiani, al repubblicano Natoli, allo stesso Rondani 116 Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna. Il

115 Vera Modiglioni: Esilio. Milano, 1946 pag. 159-60 “Se il suo fisico vi si prestasse, se fosse, cioè, più alto e meno rotondetto, potrebbe passare per il «gentleman» inglese di cui ha tutto il modo di fare. Vissuto a lungo in Inghilterra (è, come Bocconi; un veterano dell’esilio: era già stato profugo nel ‘98) trova che tutto ciò che è inglese è buono e bello. Elegante, inappuntabile, per un difetto della vista porta spesso la caramella all’occhio, si ostina – e ci riesce! - a non voler invecchiare. Porta con disinvoltura la sua calvizie ed i suoi capelli grigi; sempre perfettamente raso, tiene appena due baffetti tagliati con arte sapiente. È un igienista: adora i frutti, i fiori, le lunghe camminate per le strade di montagna. Vive bene nel clima di Nizza non si è lasciato adescare da Parigi e fa vivere bene quelli che gli stanno intorno perché, non sprovvisto di mezzi, è generoso e buono. E siccome è anche in buona salute, si mantiene speranzoso e studia e fa studiare i problemi della ricostruzione italiana nel dopo fascismo e dopo guerra nella luce del proprio ottimismo” 116 E.Santarelli, , Torino, 1988, pag. 182 47 tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione. Al 22. Congresso, tenuto a Marsiglia nell'aprile 1933 non è presente ma invia un telegramma di adesione da Barcellona. Nel 1934, dopo il patto d'unità d’azione con i comunisti, quando si accende il dibattito sul pacifismo socialista, fa sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra. Al 23. congresso, tenuto a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937 è delegato, con Filippo Amedeo e Saragat, della Federazione del Sudest e Centro che conta più di 50 sezioni. Presenta un OdG che dice ""il congresso invita la Direzione a nominare un Comitato che prepari i materiali teorici e tecnici per lo studio dei problemi italiani e internazionali. Ed a pubblicare su questi problemi una serie di opuscoli per orientare il lavoro intellettuale del partito" 117 Amareggiato dalle discordie che dividevano i fuorusciti antifascisti, dopo il 1937, rallentò la sua attività: lasciò la Lidu per diventare presidente della sezione di Nizza della Unione popolare italiana, a cui aveva aderito anche Campolonghi. Alla fine del 1939 la direzione socialista emana un documento118 stila- to da Tasca, in cui l’URSS e i regimi fascisti sono accomunati dallo stesso carattere totalitario e dice Morgari in un suo documento 119 che la politica socialista è perciò compatibile con l’alleanza anglo-francese ma esclude per ciò stesso i comunisti dal campo antifascista. Nel 1940 quando il regime di Vichy sciolse d’autorità le autorizzazioni politi- che, era segretario della sezione socialista di Nizza. Ha 73 anni quando, il 7 dicembre 1940, spinto dalla sua compagna Dorina Segala si reca dal commissario di P.S., fa atto di sottomissione al regime e chiede di poter rientrare in Italia., ma non attua questo

117 Pedone, cit., vol 4, pag. 151 118 Il PSI e la situazione internazionale, “Il nuovo Avanti”, 23.12.1939 e “Libera stampa”, 2 e 4.1.1940 119 O.M., Criteri realisti di una politica dell'antifascismo italiano”, cit. in L.Rapone, Da Turati a Nenni, pag.282 48 proposito:“Prudentissimo ma dignitoso nel riaffermare i suoi ideali socialisti” lo ricordava Giorgio Amendola120 che lo conobbe a Nizza nel 1942. In risposta allo sbarco anglo-americano nell’Africa settentrionale, Hitler abolisce lo stato fantoccio di Vichy e lo occupa militarmente. Gli oppositori del fascismo vengono arrestati e consegnati alla polizia italiana. Con la medesima dignità attraversò alla fine dello stesso anno, settantacinquenne e semicieco, la durissima e umiliante prova della estradizione nell’Italia fascista, degli interrogatori, delle minacce, del carcere, del domicilio coatto. E’ catturato il 29 novembre di quell’anno; dopo 18 giorni nel carcere di Mentone è trasferito a Forlì dove, semicieco, scrive una domanda di grazia a Mussolini, senza pronunziare mortificanti abiure. Viene scarcerato il 27 dicembre con obbligo di residenza a Milano presso una parente. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1943, si trasferisce a Villaguardia (Como) e poi in una casa di cura di Como, sotto sorveglianza. Dimesso a febbraio riprende l’attività clandestina ed è arrestato a marzo e si salva dalla deportazione in Germania, liberato fortunosamente il 25 aprile.

10. Nel secondo dopoguerra Espatriato da Biella nell’ottobre 1926, poco prima che fossero emanate le leggi eccezionali, vi ritorna dopo un ventennio e si inserisce nella attività del Partito tenendo conferenze con Ernesto Carpano e Virgilio Luisetti in occasione delle elezioni per la Costituente. Torna poi però a Nizza, dove era stato nominato commissario per le opere assistenziali del Consolato italiano121 e dove presiede la “Società amici della Francia” E’ presente comunque al congresso straordinario del PSI tenuto a Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948, dopo la sconfitta elettorale del fronte popolare avvenuta il 18 aprile. Aderisce alla mozione “Per il socialismo” firmata da , secondo cui occorreva un partito socialista riunificato, autonomo e sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano possibili intese per la difesa delle libertà

120 G.Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973, pp 66 121 “Corriere Biellese”, 7.3.1946 49 democratiche, che ottiene il 26% dei voti, conto il 42% di “Riscossa socialista” e il 31% della Sinistra. Al successivo 28. Congresso di Firenze nel maggio 1949 la “Sinistra” conquistò la maggioranza e Rondani come gli altri seguaci della mozione di Romita che aveva ottenuto solo il 9% dei voti uscì dal PSI, confluendo dopo breve tempo nel PSDI di Saragat. Fu questa la sua ultima presenza attiva nel socialismo italiano. Ritiratosi definitivamente a Nizza, qui si spense il 24 giugno 1951, all'età di 83 anni122

122 Viene commemorato nella seduta di giovedì 28 giugno 1951 da Pirazzi Maffiola. Atti della Camera p. 29037 50 Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica

Nato a Cremona nel 1877, si forma negli ambienti della democrazia positivista lombarda; laureatosi in scienze economiche alla scuola superiore di commercio Ca’ Foscari di Venezia, si perfeziona a Vienna e nel 1902 Giovanni Montemartini123 lo chiama a Milano a collaborare all'Ufficio del lavoro della Società Umanitaria124. Nel 1905 vi costituisce l'Ufficio d'informazioni e traduzioni, poi cura gli Uffici di collocamento e la Cassa di sussidio alla disoccupazione, infine ne diventa Segretario nel 1911. Quasi giornalmente interviene con articoli, rubriche fisse, recensioni su “Critica Sociale” e la “Confederazione del Lavoro”. E’ questa imponente opera di documen- tazione sugli eventi e problemi del movimento operaio internazionale e italiano compiuta sulle riviste e i libri che pervenivano all’ Umanitaria, l’asse centrale della sua attività.

1. La Società Umanitaria e le riforme nella società industriale A cavallo tra XIX e XX secolo riformismo socialista, “scuole” universitarie di economia125 e alcuni innesti della burocrazia giolittiana 123A. Cardini Marginalismo, liberismo e socialismo: Giovanni Montemartini “Annali Feltrinelli, 1999; “La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini” atti Seminario, Milano, 1986 124 Fondata a Milano nel 1983 dal finanziere Mosè Loria, diede vita a iniziative come corsi professionali e quartieri modello di edilizia popolare; R. Bauer “La Società Umanitaria, Fondazione P. M. Loria” Milano, 1964;E. Decleva “Etica del lavoro, socialismo, cultura popolare: Augusto Osimo e laSocietà Umanitaria”, Milano, 1985. Il fascicolo personale di Pagliari è in ASU (Archivio Società Umanitaria), c. B. VII. 21 125 Specialmente a Torino: R. Marchionatti , G. Becchio “La scuola di economia di Torino: da Cognetti de Martiis a Einaudi”, Torino, 2005; M. Guidi, L. Michelini Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, 1870- 1925 “Annali Feltrinelli”, 1999. IlLaboratorio di Economia Politica, fondato nel 1893presso l’Università di Torino conduceva ricerche di economia applicata alle questioni del lavoro, dell’emigrazione, ecc. Allievi del Laboratorio furono tra gli altri Luigi Einaudi, Attilio Cabiati, Antonio 51 convergono nello sforzo di trasformare le istituzioni liberali in modo da farle convivere con la struttura conflittuale della società industriale, elaborando una teoria «aperta» del movimento operaio aperta ad una politica di riforme che includeva un certo tasso di conflittualità operaia. Attilio Cabiati126 era stato il primo direttore dell'Ufficio del Lavoro dell' Umanitaria e uno degli intellettuali della «Riforma Sociale» mentre Montemartini negli anni ’90, tenutosi ai margini dell’eclettismo metodologico dell'«economia sociale» italiana di Achilli Loria127aveva tentato il recupero della «lotta di classe» nella sfera delle «precondizioni» dell'equilibrio economico generale: «Far progredire la scienza con ricerche che delineano con sempre maggior precisione le 'leggi' dell'economica ed insieme agire politicamente per ridurre ed eliminare progressivamente gli squilibri causati dalle coalizioni d'interessi che stanno dietro ai diversi fattori di produzione, questo, secondo il giovane professore di Pavia, il compito per chi volesse essere, nella pienezza di tutti e due i termini, economista e socialista».128 Si instaurò una fattiva collaborazione tra Cabiati, Riccardo Bachi129 e Montemartini (che lo affiancò alla direzione dell' Ufficio del Lavoro del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio) anche sulla questione delle municipalizzazioni dei sevizi pubblici comunali130

Graziadei, Riccardo Bachi. Dal 1903 al 1932 fu diretto da Achille Loria. Gran parte delle ricerche del laboratorio furono pubblicate su “ La Riforma Sociale”, fondata nel 1894 da cui si affiancò dal 1901 Einaudi fino al 1935 quando la rivista cessò le pubblicazioni. 126G. Becchio Attilio Cabiati fra socialismo cooperativo e marginalismo in “Annali Feltrinelli”, 1999, p.137-150 127A. d'Orsi “Achille Loria”, Torino 2000 128 P. Favilli, “Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx” (1892- 1902), Napoli, 1980, p. 107. 129A. M. Ratti “Vita e opere di Riccardo Bachi” Milano, 1960 130A. Berselli, F. Della Peruta, A. Varni “La municipalizzazione nell'area Padana : storia ed esperienze a confronto”, Milano, 1987 52 Alessandro Schiavi131, che sostituì Cabiati alla direzione dell'Ufficio del Lavoro, curava una rubrica sindacale per «La Riforma Sociale» che come motivo portante aveva la regolamentazione legislativa dei conflitti tra capitale e lavoro.132 Nel progetto del 1902 per l'Ufficio del Lavoro dell’Umanitaria si prevedeva il coinvolgimento diretto delle organizzazioni operaie nel processo decisionale della ricerca, che avrebbe dovuto svilupparsi seguendo la linea della «modernizzazione» delle relazioni industriali. Lo sforzo per la penetrazione dell'elemento «lavoro» nell'ammini- strazione dello Stato, per la professionalizzazione degli strumenti di analisi del movimento operaio, per la creazione di una rete di rapporti ed istituzioni in grado di mettere il fattore lavoro su un piede di parità col fattore capitale, accomunarono ancora a lungo economisti liberali e socialisti.

2. Il salotto della signora Anna e il sindacato di Rigola Apprezzato da Anna Kuliscioff 133 si inserisce rapidamente nell'am- biente riformista milanese. Da Turati deriva la concezione del socia- lismo come umanità che si riscatta dalle tare della società borghese e come riorganizzazione della società sulla base della superiore capacità tecnica, politica e morale dei lavoratori. 131 M. Ridolfi “Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo '900”, Cesena, 1994; Q. Versari, “Un riforma-tore: Alessandro Schiavi nella storia del socialismo italiano”, Bologna, 1986; G. Silei “Alessandro Schiavi: il socialista riformista”, 2006 132 A. Schiavi, Due anni di agitazioni proletarie «La Riforma Sociale», 1902, p. 153-180; Lavoratori e padroni nel1902, ivi, 1903, p. 118-145/297- 319. 133Lettera a Turati del 28.7.1905: “Oggi venne Pagliari e più lo conosco, e più mi piace; mi pare un giovine di animo aperto, schietto e generalmente benevolo, perciò ottimista e molto socievole” Carteggio Turati-Kuliscioff, parte II, Tomo I, p. 279; M. Addis Saba “Anna Kuliscioff : vita privata e passione politica” Milano, 1993 53 Nella Confederazione del Lavoro (CGdL) diffuse le idee e le esperien- ze del laburismo e del fabianesimo e si adoperò perché la CGdL inter- venisse anche sul piano politico, diventando ispiratore tra il 1907 e il 1910 del progetto di un «partito del lavoro»134. Si richiamava a Bernstein, ai laburisti inglesi e anche a Sorel, rivendi- cando al sindacato il compito di socializzare la fabbrica e di democra- tizzare lo Stato e la società e di preparare quella aristocrazia operaia che, per capacità tecnico-professionali, fosse in gradö di dirigere il movimento socialista. Un sindacalismo che «ricostruisce la società su basi tecniche; sostituisce alla democrazia politica la democrazia professionale».135 Questo progetto testimoniava il carattere trasversale tra le tendenze revisionistiche di destra e di sinistra. All’inizio del 1907 si accese la polemica sul localismo delle Camere del lavoro, considerate frutto della «propaganda socialista» più che dello sviluppo industriale di un paese avanzato, organismi non riconducibili a funzioni economico-sociali e quindi passibili di far «degenerare degli organi del movimento di resistenza in organismi prevalentemente politici» 136. Da seguire era il modello tedesco che proprio quell'anno era riuscito a battere il sindacalismo rivoluzionario restringendo gli spazi del localismo camerale, in quanto anche autorevoli membri della SPD (Bebel) avevano appoggiato le posizioni dej sindacati, isolando l'ala intransigente (Kautsky). In Italia invece «la frazione intransigente del Partito guardò fino a ieri cotesti sindacalisti con occhio di profonda

134 «Il partito socialista deve diventare sempre più l'espressione e lo strumen-to politico della classe operaia organizzata ... Il partito, anziché voler essere un organismo più evoluto e superiore all'organizzazione, deve considerarsi, sempre più e in misura in cui l'organizzazione operaia si rafforza, come uno strumento dell'organizzazione perché nell'organizzazione operaia e nella sua politica è tutto quanto il socialismo e la forza socialista» F. Pagliari, Il partito socialista e l'organizzazione operaia, «Confederazione del Lavoro», 25.4.1908. 135 F. Pagliari Le organizzazioni dei funzionari e il sindacalismo riformista, «Critica Sociale », 1908, p. 216-218. 136 F. Pagliari, L'organizzazione di resistenza in Italia, «Critica Sociale», 1907, p. 124. 54 simpatia e li guarda ancora oggi come figli ribelli per esuberanza e generosa giovinezza. Sono tutt'al più, una esagerazione del movimento operaio e socialista. Ma la«Confederazione del Lavoro » però anch'essa - secondo quegli intransigenti - una esagerazione nel senso del trade unionismo »137. Perciò é difficile battere il sindaca- lismo in Italia, perciò la CGdL deve usare tutti i mezzi a sua dispo- sizione per rendere sterile il terreno ove può svilupparsi la pianta del rivoluzionarismo, perciò la centralizzazione deve essere integrale .138 La proposta del partito del lavoro nasceva da una analisi severa del PSI, considerato responsabile di sacrificare ai problemi del parlamen- tarismo e del ministerialismo la tutela e il consolidamento dell'orga- nizzazione di classe, sempre più «un movimento di bisogni incompo- sti, indisciplinati, mal definiti, di sentimentalità generose, di ribellioni violente e di vaghe ispirazioni messianiche139» e in una lettera a Salvemini del novembre 1909 lo giudicava «senza bussola ed ammalato di asineria e di mancanza assoluta di idee generali e speciali». Soprattutto il partito gli pareva inquinato da «intellettuali capi- popolo» viziati di «rivoluzionarismo acchiappanovole», incapaci di salvaguardare l'organizzazione di classe dai pericoli dell'indivi- dualismo anarchico e dalla tentazione del «grande colpo» insur- rezionale.

137 Id., La fine del sindacalismo in Germania. Annotazioni e confronti, «Critica Sociale», 1908, p. 79. 138 Pagliari, Oligarchia e democrazia nell'organizzazione operaia, « Critica Sociale », 1909, nega le tesi di Mosca, Pareto e Michels che centralizzazione e professionalizzazione del sindacato significassero necessariamente la formazione di un'oligarchia. 139Archivio Rigola, lettera di Pagliari a Rigola, 13.5.1908; Vedi anche P. Fa-villi Il sindacato riformista nelle lettere di Fausto Pagliari a Rinaldo Rigola, (1907-1911) in “Ricerche storiche”, mag.-ago.1983, p.437-92 55 Nel 1909 In polemica con Angiolo Cabrini140 si accostò a Salvemini, dichiarandosi contrario all'appoggio concesso dai deputati socialisti al ministero Luzzatti e polemizzò contro «le tendenze egoistiche» del cooperativismo in nome di un riformismo che facesse «opere reali, concrete, solide». Collocava i problemi in un'ottica rigidamente economicistica, ritenen- doli risolvibili attraverso l'organizzazione economica e all'interno delle strutture sindacali, ma fu tra i più solleciti a denunciare i pericoli di una trasformazione del sindacalismo riformista in senso democratico-radicale, con conseguente corpo-rativismo, opportunismo, subordinazione alla politica governativa del movimento operaio italiano, proprio nel momento in cui si accantonavano le riforme sociali per l’avventura libica.

3. Gli impiegati delle organizzazioni operaie Il riferimento teorico della sua dissertazione di laurea a Ca' Foscari e poi all'Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria era «La Produ- zione Capitalistica»141 di Antonio Graziadei142, un libro di rigorosa teoria a-marxista che proveniva dall'interno del socialismo italiano. Rielabora alcuni aspetti dell'analisi di Graziadei applicandoli alla funzione impiegatizia all'interno delle organizzazioni operaie: la «professionalizzazione» dei funzionari diventa condizione necessaria per la crescita e l'incidenza di un movimento operaio altrimenti con- dannato alla subalternità nei confronti della professionalità borghese e perciò indotto alla deriva rivoluzionaria.

140E. SantarelliAngiolo Cabrini in “Dizionario biografico degli italiani”; F. Fabbri Angiolo Cabrini. Dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista “Cooperazione e società”, N. 1-2 - gennaio-giugno 1972 141Torino : F.lli Bocca, 1899 142 Imola 1873-Nervi(GE) 1953. Docente di economia, partito da posizioni riformiste, dopo la guerra aderì al PCd’I. Espulso nel 1928 e reintegrato nel 1945, fece parte della Consulta. Pagliari in una lettera a Graziadei del 24-10- 49 continua sempre a considerarsi discepolo. Archivio Storico della Biblioteca Comunale d'Imola - carte Graziadei. 56 Personale specializzato per una lotta di classe che, superate le fasi pri- mitive, avrebbe assunto aspetti sempre più tecnici e meno politici. La «produttività» dal personale impiegatizio doveva anche essere stimolata con una politica retributiva ispirata alla teoria degli «alti salari».143 Progettò di utilizzare nel processo di professionalizzazione del sinda- cato la struttura dell’«Umanitaria»144 e, pur scontando i mezzi limitati e le incomprensioni interne, l'Ufficio del Lavoro e poi quello di Infor- mazioni e Traduzioni, costituito e diretto da Pagliari nel 1905, funzionarono come uffici «tecnici» della C.G.d.L. dalla sua fondazione. Nel 1907 la C.G.d.L. chiese a Turati, che appoggiò la proposta indi- cando Pagliari per l’attuazione, di poter contare su alcune strutture dell' Umanitaria,145 cosa essenziale nell'economia della Confedera- zione in quei suoi primi anni di esistenza data la pochezza di mezzi.

143 F. Pagliari, La Democrazie e gli impiegati, in « Critica Sociale », 1905, p. 68-70; ivi, 1 segretariati operai delle organizzazioni socialiste tedesche, pp. 57-59178-76186-88; ivi, Organizzaziöne e organizzatori: a proposito di un sindacato italiano fra gli addetti dell'organizzazione operaia, 1906, p. 176-178; ivi, Organizzatori e partito socialista: un problema urgente, 1907, p. 83-84; ivi, Le organizzazioni e i loro impiegati, ivi, 1908, p. 251. 144 E. Decleva, “Socialismo e etica del lavoro …” cit. 145 In una lettera del 2.11.1907 Rigola chiede a Turati di interessarsi presso l'Umanitaria «perché la Confederazione abbia l'appoggio e la collaborazione tecnica dej suoi uffici emigrazione, agrario e del lavoro, oltre a quello delle informazioni e traduzioni ». Turati risponde che « si pub contare su Pagliari col quale sono perfettamente all'unisono e che lavora nel nostro senso ». Cfr. Lettere di Rigola a Turati del 2.11.1907 e di Turati a Rigola del 24.11.1907 in G. Bosio, Nascita e sviluppo delta Confederazione Generale del Lavoro nel carteggio Turati-Rigola”, «Rivista Storica del Socialismo», 1958, p. 81-97. 57 Infatti su Rinaldo Rigola,146 a lungo funzionario centrale unico della C.G.d.L., ricadeva l'onere della direzione politica e organizzativa della Confederazione e la redazione del suo organo settimanale. In una lettera a D'Aragona, Rigola precisa i compiti del segretario-aggiunto: «il trait d'union, tra la nostra sede e le sezioni, tra noi e gli altri gruppi, l'uomo dej sopraluoghi, dell'intervento nej congressi e nei convegni e l'ispettore incaricato di invigilare e tenere in redini le organizzazioni. In media metà del tempo in viaggio e metà in ufficio dove mi coadiuveresti nel lavoro di concetto, nello studio delle leggi, nella redazione del giornale e mi sostituiresti in caso do assenza”147 All’evidente debolezza della Confederazione, rivelata da queste frasi, non si poteva che contrapporre una forte determinazione: l'organizza- zione é fine a sé finché non é riuscita a diventare una forza», e per diventare una forza occorreva che il processo di centralizzazione fosse sostenuto da una cassa alimentata da «alte quote» utilizzate per la creazione di una stabile burocrazia di tecnici ed esperti. Il rafforzamento dell'organizzazione è vista anche in funzione della sua autonomia, intesa come via maestra per la fondazione di un sindacalismo modellato sulle più avanzate esperienze europee: la fondazione della C.G.d.L. è vissuta a lungo come fatto precario, uscito quasi occasionalmente dal rivoluzionarismo del movimento operaio italiano e sempre passibile di essere rimessa in discussione. L'Umanitaria s'impegnò ad istituire corsi (che prevedevano nozioni di statistica, economia politica, legislazione sociale, storia del movimen- to operaio) destinati ad organizzatori sindacali, nella prospettiva della fondazione di una «università del lavoro» sul tipo del Ruskin College di Oxford. I corsi sul movimento operaio con particolare riferimento

146Biella 1868-Milano 1954. Operaio ebanista, segretario della CGd dal 1906 al 1918. R. Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese”, Bari, 1930; C. Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia” Milano, 1976;R. Coriasso, “Rinaldo Rigola a Biella : storia di un apprendistato politico e di una città industriale tra '800 e '900” Biella, 2009; P. Mattera “Rinaldo Rigola, una biografia politica”, Roma, 2011.

147 C. Cartiglia, “Rinaldo Rigola…”. cit, p. 70 58 ad un'analisi comparata dell'organizzazione in Europa vennero curati da Pagliari che riunì poi le lezioni in un volume.148 Disponeva di informazioni di prima mano conoscendo molte lingue straniere e coltivava interessi non provinciali: ciò fece di questo volume un utile strumento di conoscenza della realtà e delle radici del movimento operaio europeo. Intendeva però anche dimostrare che una sola ed obbligata era la via dello sviluppo per un moderno movimento operaio indipendentemente dal vari modelli sindacali: «Anzitutto il movimento sindacale dei lavoratori dell'industria, per quanto in tutti i paesi, all'infuori dell'Inghilterra, sia state promosso dalla propaganda socialista, non é il frutto di un'ideologia, ma bensì dell'evoluzione industriale ... Le organizzazioni operano, quindi, completamente all'unisono colle tendenze evolutive dell'economia quando, come fanno dappertutto, senza curarsi della frase fatta: abolizione del salariato, agiscono nel senso di conservare la forma salario, perfezionandola nella sua purezza e opponendosi al tentativi, diretti o meno, della partecipazione agli utili ecc., a cancellare i rapporti di salario. L'organizzazione operaia non deve maj dimenticare che essa é solo un ingranaggio nel grande organismo dell'economia generale, che il progresso é legato all'incremento della produzione, all'elevamento della produttività, al miglioramento del gusto».149 Nel 1911 un congresso confederale riconobbe ufficialmente il ruolo svolto da Pagliari e dagli uffici dell'Umanitaria e un paragrafo della relazione di apertura fu dedicato al problema dej funzionari delle organizzazioni operaie secondo le linee da lui elaborate150.

148 F. Pagliari, “L'organizzazione professionale operaia in Europa”, Milano, 1908 e 1909. (La prima edizione è di 218 pagine, la seconda di 534). 149 F. Pagliari, “L'organizzazione …” cit., p. 515-516. 150 R. Rigola, La Confederazione Generale del Lavoro nel triennio 1908- 1911, “Rapporto del consiglio direttivo all' VIII Congresso nazionale delle Societå di Resistenza aderenti alla Confederazione”, Torino, 1911, p. 51 e 11- 12 rispettivamente.

59 4. “Beneficenza rossa” Nel 1906 con tre articoli pubblicati sul giornale «Il Tempo»,151 apre un’aspra polemica con alcune istituzioni filantropiche milanesi, che non cita esplicitamente ma che sono l’Unione femminile152, l'Asilo Mariuccia153 e il Comitato contro la tratta delle bianche. Nel primo articolo accusa di bigottismo vetero-cattolico quella che definisce la «beneficenza rossa», accusa il «femminismo filantropico laico» che con la sua carica moralista conduce «una guerra di sterminio a tutte le cose illegittime, mogli illegittime, figli illegittimi», contraddistinto da «una concezione fosca, malinconica, piagnona, noiosa della vita; una caccia furibonda alle gioie … Questo bigottismo rosso, bacchettone, intransigente, fanatico, ridicolo, spesso anche cattivo, questa ingiuria continua alla personalità e dignità umana; questa propaganda francescana che invigliacchisce; questa prepotenza prepotente e cattolica nelle cose altrui; questa furia di Walkirie, sempre in cerca di nuove imprese benefiche, di nuove vittime da tormentare, di nuovi allori da mietere; questo esercito laico della salute! Chi ce ne libera? Chi beatifica queste sante laiche? Chi le pensiona e le rimanda alle oneste penombre, a biascicar rosarii e a far la calza, come le benefattrici nere? ... Niente donne benefiche. Via, all'inferno! al diavolo questa beneficenza rossa! Somiglia troppo a quella nera, che noi socialisti abbiamo mandato al diavolo da un pezzo ».154

151 “Il Tempo: giornale della democrazia italiana”. Fondato nel 1899 a Milano, è diretto da Claudio Treves dal 1902 al 1910, quando assume la direzione dell’ “Avanti!” 152 Fondata nel 1899 a Milano con il sostegno socialista. F. Imprenti “Alle origini dell'Unione femminile : idee, progetti e reti internazionali all'inizio del Novecento” Milano 2012; F. Pieroni Bortolotti, “Socialismo e questione femminile in Italia1892-1922”, Milano, 1974; S. Murari “L' idea più avanza- ta del secolo: Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano” Roma, 2008; 153A. Buttafuoco “Le Mariuccine : storia di un'istituzione laica : l'Asilo Mariuccia”, Milano 1998 154 F. Pagliari, Beneficenza rossa, «Il Tempo», 28.11.1906. 60 Due giorni dopo ribadisce le sue accuse di «bigottismo» utile solo alle «annoiate della vita», centrando l'attenzione sul trattamento del personale delle organizzazioni benefiche «scelto per la sua gratuità o per il suo basso costo, e non per le sue attitudini specifiche ad attendere all'opera alla quale è preposto» anzi «il personale è addirittura sfruttato, sottopagato in forme che non sarebbero mai tollerate - per altri lavoratori che non fossero propri dipendenti, beninteso - dagli stessi imprenditori delle "aziende benefiche"»155 Le istituzioni sotto accusa erano nate con un orientamento radical- socialista e laico-progressista e le osservazioni rivolte alle emanci- pazioniste avrebbero potuto esserlo alla stessa Società Umanitaria e in genere all'intero movimento socialista. La nuova morale socialista156«risulta in definitiva piuttosto povera: come sistema teorico essa mostra non poche incertezze e lacune, costruita.com'é con prestiti dal sistema kantiano degli imperativi morali cui si aggiungono dosi massicce di evoluzionismo di marca darwiniana e spenceriana »157 Gli interventi di Pagliari, col loro fondo di misoginia «di sinistra», non tenevano conto del valore del tentativo di costruire una identità

155 F. Pagliari, Gli impiegati e la beneficenza, «Il Tempo», 30.11.1906; Id. Per concludere sulla «Beneficenza rossa». Gli impiegati, ivi. 156 E. Decleva, Anticlericalismo e lotta politica nell'età giolittiana «Nuova rivista storica», 1968 e 1969; Id., Anticlericalismo e religiosità laica nel socia-lismo italiano, in “Prampolini e il socialismo riformista”, 1979; M. Sylvers, L'anticlericalismo nel socialismo italiano, «Movimento operaio e socialista», 2-3, 1970; Verucci, Anticlericalismo, libero pensiero e ateismo nel movimento operaio. e socialista italiano, in “Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Uni-tà”, Milano, 1997;P. Audenino, Etica laica e rappresentazione del futuro nella cultura socialista dej primi del Novecento « Societä e Storia» 18, 1982; Id., La cultura della classe operaia nell’età del decollo industriale, “Studi storici” n.4, 1981; M. Torrini, Religione e religiositå nej primi anni del '900, in “A.F. Formiggini, un editore del Novecento”; S. Pivato, L'anticlericali-smo « religioso » nel socialismo italiano tra Otto e Novecento, «Italia con-temporanea», 154, 1984 157 P. Audenino, Etica laica… , cit., p. 887. 61 della donna, in un processo di superamento dei condizionamenti culturali, psicologici, politici di cui le emancipazioniste stesse erano in larga misura portatrici. Nel 1907 un’ispezione degli Uffici Indicazioni e Assistenza, formato da Società umanitaria e Unione femminile, compiuta dalla delegata per l’Umanitaria Santa Volonteri158 (che nel 1910 lo sposerà) rimuove Pagliari dal Consorzio. L'isolamento in cui i socialisti lasciarono l'Asilo Mariuccia fu una del- le cause della sua deviazione dalle premesse teoriche: la ricerca di consensi portò ad accentuare i caratteri più specifici dell'assi- stenzialismo accantonando il lavoro di sperimentazione politico- pedagogica che in origine I'Asilo si era proposto. Dal canto suo Ersilia Majno159 interpretò l'attacco, che in una lettera definì ,”una coltellata in mezzo al cuore”,160 come una sconfessione dell'Unione femminile da parte di tutto il Partito socialista e cercò i consensi della borghesia progressista, disposta a dare in beneficenza il proprio denaro.

158 Santa Volonteri nasce nel 1876 e inizia giova-nissima a lavorare come cucitrice e sarta. Segretaria della “Lega sarte da donna” dal 1895 al 1903, dal 1900 al 1902 è nell’esecutivo della Camera del Lavoro di Milano, nel 1904 entra nel Collegio dei delegati dell’Umanitaria, nel 1905 è probiviro per l’industria del vestiario di Milano. Attiva nelle file riformiste del PSI, collabora a giornali e riviste sui temi del lavoro e della legislazione sociale. Nel 1907 diventa Ispettrice del lavoro (figura istituita dalla legge di tutela del lavoro femminile e minorile del 1902), inserendosi nella nascente burocrazia del lavoro di età giolittiana. Nel 1909 e 1910 è nel consiglio di amministrazione dell’Opera Pia Cucine Economiche di Milano., Ottiene nel 1912 l’istituzione della Cassa Nazionale di .Maternità. Emargina-ta dal fascismo, muore nel 1964. ww.enciclopediadelledonne.it 159 1859-1933 Fondatrice dell'Unione Femminile, moglie dell’avvocato socialista Luigi Majno. C. Demi “Ersilia Bronzini Majno : immaginario biografico di un'italiana tra ruolo pubblico e privato”, Bologna 2013 160 E.Majno a G.Montessi, 25.8.1907, Fondo Giuseppe Montessi, Cart. C,b,1/b 62 Un altro episodio delle frizioni tra emancipazioniste e movimento socialista ebbe protagonista Alessandrina Ravizza161 che nel 1906 aveva avuto dall’Umanitaria l'incarico di direttrice della Casa di lavoro (un istituto che offriva a bisognosi e disoccupati la possibilità di reinserirsi attraverso l'istruzione e il lavoro). La Ravizza dovette difendersi dagli attacchi di chi avrebbe voluto chiudere la Casa dimostrando 162 che era stato un investimento in attivo, valutando l'utilità sociale e non solo il profitto immediato, ma i dirigenti dell'Umanitaria e della Camera del lavoro seguivano una logica differente e nel 1913 la Casa di lavoro chiuse.

5. Il bolscevismo e i problemi del dopoguerra La guerra aveva generato una gigantesca “economia regolata” in tutti i paesi coinvolti e sottoposto la società civile e le strutture economi- che a una tremenda tensione, non ultima la disciplina di tipo militare a cui erano sottoposti i lavoratori impiegati nelle fabbriche di interesse strategico. La fine della guerra causò la smobilitazione dell’industria bellica con i licenziamenti e i conseguenti problemi politico-organizzativi che ebbero pesanti conseguenze per il movimento operaio. Pagliari concentrò il suo interesse sui problemi occupazionali e sala- riali della smobilitazione industriale e sulla salvaguardia della legisla- zione sociale. Sul modello delle Trade Unions propose l’introduzione di forme di controllo operaio, di «governo della produzione», che la guerra aveva messo all’ordine del giorno e che erano state alla base della proposta del partito del lavoro e del «concretismo riformista».

1611846-1915.Tra le prime donne laureate in medicina come Anna Kuliscioff aderì alla Lega femminile milanese e alla Società pro-suffragio, promosse l’Università Popolare e diresse la Casa del Lavoro per disoccupati fondata dalla Società Umanitaria. E. Scaramuzza Una filantropa di professione : Alessandrina Ravizza e la collaborazione con la Società umanitaria ”Storia in Lombardia” n. 3, 1986; Id. “La santa e la spudorata : Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo : amicizia, politica e scrittura”, Napoli 2004 162 A. Ravizza, “Sette anni di vita nella casa di lavoro”, Milano 1915 63 Nel 1926 pensava che la crisi postbellica poteva essere risolta con «la solidarietà europea come l'elemento di un futuro ordine economico internazionale». Nella serie di articoli sulla rivoluzione russa, che erano basati su una documentazione originale e inconsueta nel giornalismo italiano, dedi- cò particolare attenzione alle conseguenze economiche e sociali deter- minate dalla rivoluzione, ma sostanzialmente guardò ad essa come tradizionalmente i riformisti avevano fatto nei confronti degli anarco- sindacalisti e dei fautori della «grande ora». Sostanzialmente a loro si riferiva quando parlava del bolscevismo come dell'espressione del «governo giacobino» e del «socialismo dall'alto».

6. Bibliotecario all'Università Bocconi Nel 1924 l’Umanitaria è commissariata dal fascismo e Pagliari è licenziato. Allora l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, (fondata dall'imprenditore milanese Ferdinando Bocconi nel 1902) per interessamento di Carlo Rosselli e Piero Sraffa lo nomina direttore della Biblioteca universitaria. Questa, oggi con più di 600.000 volumi tra le più importanti d’Europa nel suo campo disciplinare, era nata per rispondere alle esigenze didattiche, ma anche per dotare l’Italia di un Centro che raccogliesse i documenti della attività scientifica nel campo delle dottrine economiche. Alla costituzione del patrimonio bibliografico, che comprende anche collezioni di pubblicazioni periodiche e statistiche internazionali, contribuirono con donazioni e suggerimenti studiosi come Luigi Einaudi. Al primo responsabile della Biblioteca, l’economista Ulisse Gobbi, subentrò Fausto Pagliari che mise a frutto l’esperienza maturata all’Umanitaria riorganizzando gli spazi e formando raccolte specia-lizzate. Riportiamo la testimonianza di studiosi che ebbero occasione di conoscerlo nel contesto della biblioteca: “Da quando, a fine 1949, divenni assistente sedevo nella mensa, a un tavolo con gli amici e i colleghi più cari; fra di essi era presente anche Fausto Pagliari …..L’oretta trascorsa al tavolo era meraviglio-sa. era anche un godimento intellettuale. Pagliari, che conosceva tutte le principali lingue, ma che eleggeva il milanese-cremonese a “lingua per gli

64 amici”, quando si ricordava di un libro che avrei dovuto consultare, cominciava: «Ti te düvereset vardà ...» (“Dovresti guardare ...”). Qualche volta, il sabato, quando lo vedevo avviarsi verso casa, con un fagottello di libri legati con una funicella a tracolla (da catalogare nel fine settimana: questo era il suo weekend), mi offrivo di accompagnarlo, per sollevarlo dal peso….»163. “Il secondo che incontrai [alla Bocconi] fu Fausto Pagliari. Anche la biblioteca vive per lui, il bibliotecario, che padrone di tutte le materie, scorre la bibliografia, dai cataloghi di antiquariato alle notizie delle riviste in tutte le lingue, e segnala volumi e articoli a ciascun insegnante. Con Pagliari, poi, chi abbia l’abbonamento con quell’agenzia di informazioni che procura tutti i ritagli delle recensioni delle opere, può risparmiare la spesa. Sa tutto, e quando capiti da lui ti fa trovare tutto pronto e magari copiato a macchina o a mano con la sua calligrafia netta e intelligente. Se sei in vacanza ti manda copie e riassunti fino a domicilio, e li accompagna con lettere piene di gusto umanistico, a parte la grande dottrina. È cremonese, parla in dialetto, e inciampa, direi meglio, accavalla le parole perché le idee si affollano troppo rapide … Memoria di ferro, per lui le schede sono un di più, e se si cerca qualche cosa si fa prima a chiedergliela che ad andare agli schedari: ti porta sul posto e ti trova anche il punto che ti fa comodo. Con me ha fatto lega forse più che con ogni altro, perché nato archi-vista, sono anche un po’ bibliotecario: nel senso che sento il valore e la funzione della biblioteca e il rispetto per il libro… »164 “l'Universitå Bocconi …[era] una specie d'oasi nella Milano del consenso, un'oasi dove, grazie a Fausto Pagliari, prevaleva invece il dissenso. Lo vedo ancora, come se fosse adesso, spuntare dietro una barricata di libri, mettersi con le gambe larghe e le mani in tasca, ed intrattenerci con il suo inconfondibile linguaggio, insieme dotto e

163L. Guatri Fausto Pagliari, un grande dell’Umanitaria in ”Li ho visti così: protagonisti di università, industria, banca, professione nell'ultimo mezzo secolo” Milano, 2009 164“Armando Sapori ricorda” vol.1: Mondo finito, Roma 1946, Varese 1971 65 popolaresco, fatto d'italiano e di cremonese, ma sostenuto da citazioni in tutte le lingue del mondo…. Da tempo l'esperienza l'aveva indotto ad annacquare l'austro-marxismo della sua giovinezza, quando studiava a Vienna, con abbondanti dosi di liberalismo. “165 Nel 1940 è arrestato e confinato ad Istonio, l'attuale Vasto.166 Dopo la liberazione aderisce all’appello per la ricostituzione della “Critica sociale” entrando a far parte del comitato di redazione e riprendendovi soprattutto i temi sulla rivoluzione russa trattati nel primo dopoguerra. Muore nell’estate 1960. Concludiamo con questo ricordo: “con quel suo acume che, persino nelle semplificazioni dialettali, sembrava confessarsi estemporaneo e accidentale, personificava le più severe meditazioni e gli scrupoli di una superiore responsabilità, di quella responsabilità tipica del maestro socialista, che non tanto vuol essere il mentore dei propri discepoli quanto la coscienza”167 Parole che fanno sorgere spontaneo un parallelo con un grande maestro socialista e bibliotecario francese: Lucien Herr 168

165 Libero Lenti Le radici nel tempo: passato al presente e futuro Milano, 1983, pag. 60-61 166 Rivedo pure Pagliari ed Oberdorfer alla stazione di Milano, nel '40, poco prima della dichiarazione di guerra, incatenati ed avviati al confino: uno a Vasto e l'altro a Lanciano. La Questura aveva operato in base ad un elenco di sovversivi di molti anni prima Ritornarono poco dopo poiché Mussolini, con i'invasione della Francia riteneva di aver già vinto la guerra, e -così Pagliari continuò a lavorare sino al."passaggio a livello" dei suoi "ottanta carnevali", e cioé, con socratica serenitå, sino all'ultimo. Lenti Le radici nel tempo, cit. 167A. Greppi,“La coscienza in pace: cinquant'anni di socialismo” ed,Avanti!, 1963, pag. 173 168 L. Herr (1864-1926) direttore della biblioteca della «École Normale Superieure» dal 1888, fu consigliere e guida di molte generazioni di studenti convertendo al socialismo personalità come Jean Jaures e Leon Blum. D. Lindenberg, P.-A. Meyer «Lucien Herr, le socialisme et son destin», Paris, 1977; C. Andler «Vie de Lucien Herr: 1864-1926» , Paris, 1932 e 1977 66 Bibliografia: R. Conte Contributo alla biografia di Fausto Pagliari. Tesi di Laurea. Univ.Mi 1986-87; F. Brambilla, A. Pagani Elementi per una bibliografia di Fausto Pagliari Bollettino del Centro per la ricerca operativa, Serie sociologica, 1960; F. Attore, Sindacato e Riformismo : un profilo biografico di Fausto Pagliari; tesi di laurea; Univ. Milano; Uno studioso del movimento proletario : Fausto Pagliari La Critica sociale 1958

Alberto Jacometti, vita di un socialista “scomodo”

Con l’aggettivo “scomodo” si è voluta indicare la coerenza delle scelte di vita di Alberto Jacometti, ispirate a principi etici e politici che prescindevano da opportunità personali: pur provenendo da una famiglia di affittuari della pianura padana, che come ceto appoggiarono il movimento fascista, sposò la causa dei lavoratori e, contrariamente alla maggior parte dei giovani socialisti della sua generazione, sposò il riformismo anziché il massimalismo e il 67 comunismo. Rinunziò agli affetti familiari e ad un lavoro interessante per non piegarsi al regime, affrontando i disagi e le difficoltà dell’emigrazione. Si caricò dell’ingrato compito di reggere la segreteria nazionale del PSI dopo la sconfitta del Fronte Popolare e, con una Direzione che comprendeva Riccardo Lombardi, Vittorio Foa, Ferdinando Santi, anticipò temi (l’alternativa democratica, la strategia delle riforme, la programmazione democratica) ripresi nel decennio successivo. Dopo la generazione dei pionieri (i Lazzari, Turati, Treves, Morgari, Prampolini...), dopo quella dei Matteotti, Serrati, Nenni, la terza generazione socialista ha espresso militanti, passati attraverso il carcere e l’esilio, della tempra di Pertini, Colorni, Mazzali, Basso, Morandi, e non ultimo Alberto Jacometti.

Gli anni della formazione (1902-26) 1 L’infanzia in cascina e l’influenza tolstoiana Alberto Jacometti nacque il 10 marzo 1902 alla Grampa, un cascinale del comune di S. Pietro Mosezzo, in mezzo alle risaie della Bassa novarese169, ultimo dei quattro figli di Giuseppe, già proprietario di una macelleria e allora affittuario di una grossa tenuta coltivata a riso di proprietà di una famiglia della nobiltà milanese, i marchesi Crivelli. Suoi compagni di gioco e di scuola nell’infanzia furono i figli dei salariati che lavoravano nell’azienda paterna, e proprio la constata- zione delle differenze tra la sua vita e quella dei suoi compagni, del comportamento ossequioso dei contadini nei confronti del padre - figura autoritaria con cui entra presto in conflitto nonostante l’affetto

169 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", Firenze, 1957 " una delle cascine più. pantanose e ranocchifere....Bella era la Grampa, ombrosa, per i grandi pioppi centenari che vi spiegavano i loro ombrelli davanti: un'isola avviluppata dai due bracci della Crosa; e di là delle rogge, di là del frutteto e degli orti, a est e a sud e a ovest, risaie a perdita d'occhio: con l'unica fuga dell'aie, a nord, che davano sulle marcite." 68 filiale - che si manifestarono in lui i primi dubbi, si imposero quelle domande a cui rispose aderendo al socialismo. L’adesione al socialismo è mediata dall’incontro con Tolstoj negli anni dell’adolescenza: quando aveva tredici anni il preside dell'Istituto tecnico da lui frequentato, che aveva l'abitudine il sabato di distribuire agli allievi i libri della biblioteca scolastica, gli diede da leggere "La vera vita"170: "Tolstoi mi sconvolse. Mi faceva ritornare al Cristo dei miei primi anni e nello stesso tempo mi slargava davanti orizzonti immensi, risolveva dubbi. Con gran sorpresa di amici, compagni, familiari, la mia vita cambiò da cima a fondo: smisi di bere vino, rinunciai a tutti gli oggetti d'oro, vestii dimessamente e non so che ancora. Feci un bagno d'umiltà. Ne nacquero spiegazioni difficili e situazioni assurde. Come tutti i neofiti cercavo l'assoluto. Una grande parola fiammeggiava nel mio cervello: amore. Sorsero i primi problemi concreti; ritornando a casa in campagna mi guardai attorno per la prima volta. I miei coetanei, quelli che avevano frequentato la scuola con me al paese, erano diventati contadini e manzolai: erano scarni, scamiciati, scalzi, avevan le dita dure come artigli. Perché io e non loro? Perché io ero vestito da «signore» e loro no, potevo continuare gli studi e loro no, avevo tre mesi di vacanza e non loro, mi sedevo, il mezzogiorno e la sera, accanto a una tavola con tovaglia di bucato e cibi svariati e copiosi, e loro trangugiavano una ciotola di minestra serrata tra i ginocchi sulla soglia di casa? Tra di noi, ero io che dovevo vergognarmi e curvare la fronte, il privilegiato. Si possono rifiutare molte cose, il privilegio te lo porti attaccato alla pelle come la rogna. Non restavano più, in cascina, [nel 1915] che vecchi e ragazzi, i miei fratelli, entrambi, erano al fronte, il camparo era stato mobilitato nella territoriale. Mio padre trascorsi appena pochi giorni [dalla fine della scuola] m'invitò a dargli una mano...D'altra parte, fin lì, m'era piaciuto l'andare nei campi con in mano il bastone di castagno, ch'è un po', da noi, lo scettro del comando. Avevo imparato a comandare naturalmente, come

170 La prima traduzione italiana è del 1902, pubblicata a Milano dalla casa editrice Treves, cui seguirono ristampe nel 1905 e 1911. E' su una di queste edizioni che fece la sua lettura. 69 naturalmente s'impara a bestemmiare e ad accarezzare le spalle alle ragazze. Adesso mi domandavo: perché? Che cosa, che meriti, che qualità, mi avevano messo a quel posto? La qualità di essere figlio di mio padre. Era poco. Era avvilente. Trovai una scappatoia che non era del tutto una viltà: non rifiutai, ma decisi di assumermi, anch'io, la mia parte di lavoro" 171

2 Lo sciopero agrario del 1920 La provincia di Novara (che allora comprendeva il vercellese) con 70.000 ettari coltivati a riso (con rese per quel tempo molto elevate di 30-40 quintali all’ettaro) forniva quasi metà della produzione nazionale. Nella pianura irrigua era quasi scomparsa la piccola proprietà, sostituita da aziende agricole intensive condotte dall'affittuario (figura corrispondente all’imprenditore industriale) con la formazione di un vasto proletariato composto da obbligati (residenti nelle cascine), giornalieri, stagionali assunti per la monda, mungitori, organizzatisi in società di mutuo soccorso e poi in leghe di resistenza. Nel novarese il rapporto città-campagna era vicino al modello classico delle zone bracciantili, nelle quali il capoluogo lungi dall'esprimere una vita culturale e politica in grado di influenzare il circondario, subiva il condizionamento di quest’ultimo. E’ nelle campagne che si svilupparono prima e più rigogliosamente le organizzazioni proletarie della cooperazione e delle leghe.172 Le tensioni accumulate durante la guerra, che si aggiunsero alla proletarizzazione delle campagne, fecero del novarese un epicentro della lotta di classe in cui alla conquista 171 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", cit,, pag. 34-35. Sull' inflenza di Tolstoi in quegli anni D. Mazzoni, La fortuna di Tolstoj nel movimento operaio italiano, «Movimento operaio e socialista», 1980, n. 2-3; "Una rondine fa primavera: scritti sulla società senza governo con i giudizi degli anarchici italiani (1894-1910)", S.Maria C.V., 2006.Ved.anche il socialista (classe 1894) Antonio Greppi in "La coscienza in pace", Milano,1963, pag.22. 172 G. Facchinetti La lotta di classe nelle zone risicole del novarese e del vercellese, in “Braccianti e contadini nella valle padana”, Roma, 1975. 70 socialista delle amministrazioni locali nel 1920 e soprattutto allo sciopero delle campagne, si contrappose uno squadrismo fascista che vide scontri feroci culminati nella battaglia di Novara”173 svoltasi dal 9 al 24 luglio 1922. "Con i soldati delle trincee traboccò nel paese la febbre … Si sostanziò di una serie di scioperi. Ci furono, per la prima volta da lunghissimi anni, gli scioperi della campagna, dei braccianti e dei salariati. I salariati e i braccianti si facevano, si costruivano una mentalità nuova, un nuovo modo di pensare; si mettevano probabilmente a pensare per la prima volta; si costruivano un nuovo aspetto fisico. Questa era forse la cosa piu inaspettata e curiosa: cambiavano come crisalidi: gli veniva una nuova luce negli occhi che si sprigionava, dal fondo degli occhi, gli veniva un nuovo modo di comportarsi, di salutare, d’ interloquire, di mantenersi diritti davanti al padrone; quand’erano davanti al padrone non facevano più girare il cappello nelle mani con gli occhi chini e il mento puntato sullo sterno; guardavano innanzi a sé, non il padrone, innanzi a sé, di là; cambiavano come gli adolescenti che si fanno uomini: gli veniva una voce più robusta, ancora selvaggia e indocile. Le loro donne avevano smesso di piagnucolare e di bazzicare per casa; .....la domenica, le giovani non andavano più a messa... Si sentiva ch’era giunta l’ora della maturazione, un’ora attesa da secoli. Obbedivano, ma senza dir nulla. Il carro, i buoi, il pungolo assumevano per loro un significato diverso e ancora oscuro. Erano circondati da cose oscure che si muovevano ed essi facevano sforzi per rappresentare la loro parte nel miglior modo possibile ... La Grampa era isolata, in mezzo alle risaie come una nave nel mare; quando la sera si chiudevano le porte, non c’era, tutt'intorno, che l’enorme gracidar delle rane, incrinato di

173 C.Bermani "La battaglia di Novara (9-24 luglio 1922)" Milano, 1972 ; D.Cuttai "Il prefetto Gasti a Novara" (1924-25)" in "Instrumenta", 1998, n.4; R.Muratore Il dopoguerra rosso e le origini del fascismo nel novarese, in “Rivista storica del socialismo” 1959, n.7-8; F. Omodeo Zorini, La “Provincia rossa” Organizzazione di classe e antifascismo nel novarese, in “Figure e centri dell’antifascismo in terra novarese”, 1992; C.Bermani Tutti o nessuno: lo sciopero agricolo dei cinquanta giorni e l'occupazione delle fabbriche nel biennio rosso a Novara (1919-1920) Milano, 2005 71 tanto in tanto da un grido d’uccello, dall’abbaiare di un cane o dal rintocco dell’ora. Tutto poteva succedere...... adesso la gente si coagulava, non agiva più individualmente, andava la domenica al circolo, tutt’insieme; certe volte ci andava anche di sera; ritornava tutta insieme e parlava; aveva imparato a parlare. Gli era come se da ogni persona fossero spuntati ciuffi di radichella che si mischiavano con i ciuffi dei vicini, s’intrecciavano e s’abbarbicavano. Quand’era tutt’insieme, non era più la gente di prima; era un’incognita che non si sapeva cosa pensasse e come, all’occasione, avrebbe agito... tutto poteva succedere: un’imboscata dietro una siepe, un colpo proditoriamente vibrato o, anche, il subito schiumeggiare d’una rabbia che non aveva confini né spazi, fatta di tante rabbie, dalla loro imprevedibile composizione, non più il cavallante, il camparo, il bifolco o il famiglio.....ma uno schiumare, un bollire, chi avrebbe potuto dire? un’irruzione nella grande cucina con i pugni nodosi e le mani armate di vanghe e di forche...Il temporale scoppiò nell’estate del ‘20. Lo sciopero assunse, fin dal principio, un’ampiezza mai vista. Bifolchi, cavallanti, tagliaerba, manzolai, campari, tutti come un sol uomo incrociarono le braccia, tutti eccettuati per il momento i famigli ch’erano autorizzati ad accudire al bestiame e a mungere. Squadre di sorveglianza composte per la maggior parte di giovani andavano da una cascina all’altra legandole come i nodi di una rete e per tutta la campagna della bassa, centinaia e centinaia di cascine, per tutta la pianura del riso dei prati e delle marcite, non si vedeva un salariato o un bracciante. Si vedevano soltanto, qua e là, nei trifogli o nelle marcite, gli agricol- tori, padroni o affittuari, con i loro figli e le loro donne, falciare. E caricare quel tanto d’erba che doveva servire a impedire il collasso del latte. Era un lavoro rabberciato alla meglio, in gran fretta, con una preoccupazione evidente. Ma la squadra, se sopraggiungeva in tale evenienza, si accontentava, per il momento, di fermarsi per qualche minuto in capo al filare di salici, d’individuare i presenti e far la conta e di voltare le spalle borbottando, senza creare incidenti...I salariati si sarebbe detto che fossero scomparsi, inghiottiti dal nulla, ché cosi come disertavano i campi, disertavano le cascine, gli orti, i porcili. Dov’erano? Sciamavano ogni giorno verso il villaggio, il 72 mattino prestissimo, con i ragazzi, le donne e i bambini e non ritornavano che a notte inoltrata. S’eran dovuti procurare la chiave di uno dei due portoni, la chiave di una porticina, dalla quale, silenziosi come congiurati, sgattaiolavano quando già i padroni dormivano. Ogni sera infatti mio padre si assicurava personalmente che i portoni fossero chiusi e ogni notte la presenza dei salariati era segnalata in cascina. È da pensare che mio padre, a dispetto di tutto, non volesse condurre le cose alle estreme conseguenze....Di lì a qualche giorno fu dato l’ordine ai famigli di partecipare allo sciopero....Le mucche incominciarono a mugghiare nelle stalle, piene di latte. Mio padre si rodeva il sangue, parlava di ammazzare tutte le bestie, di subaffittare e inveiva un po’ contro tutti, le sue parole bruciavano come pietre infuocate; con i famigli tentò di scendere a patteggiamenti, fece appello alla corruzione: quelli tennero duro. Si diceva che a S. Pietro, nel circolo, timbrassero loro le mani."174

3 L'impegno politico (1924-25) Quando il padre, a causa di questi avvenimenti e dell'età avanzata, aveva lasciato la cascina, la famiglia, da cui si era allontanata solo la sorella divenuta nel frattempo vedova di guerra, si era trasferita a Novara. Per volere del padre aveva dovuto frequentare le scuole tecniche ed iscriversi poi al Politecnico di Torino: studi che non si confacevano alla sua natura portata ad interessarsi agli uomini ed ai problemi sociali. Coltivava anche interessi letterari, che lo portarono a dare vita ad un cenacolo di giovani intellettuali novaresi raccolto attorno ad una rivista, Vita Nova, fermatasi al primo numero nel 1919

174 A.Jacometti "Mia madre", Milano, 1960, pag. 75-82 73 e iniziò quell'attività di scrittore che non abbandonò mai.175 Nel 1923 pubblicò il suo primo romanzo176. Abbandonato il Politecnico, si iscrisse alla Scuola superiore di Agricoltura di Milano dove si laureò nel 1924. "A Milano, fra gli studenti, parecchi erano i nuovi adepti [del fascismo]. Ma c'erano re- sistenze, soprattutto nella mia facoltà. Fu allora che mi professai, pubblicamente, socialista. Ce n'era un altro, nella mia classe....I fascisti venivano, generalmente, dalla campagna. Ostentavano, nelle soste del giardino e degli ambulacri, Il Popolo d'Italia, io l'Avanti!. Nel 1922 ci fu la costituzione del Sindacato, fui eletto segretario."177 Per preparare la tesi di laurea trascorse alcuni mesi nella primavera- estate 1924 a Cagliari, ospite dei fratelli Livio e Ennio Delogu, militanti del Partito sardo d'azione ma, pur avendolo cercato, non riuscì ad entrate in contatto con Emilio Lussu, che conoscerà poi nell'esilio parigino178 Contrariamente alla maggioranza della piccola borghesia (specialmente la componente costituita dagli affittuari della pianura padana, cui apparteneva per eredità familiare), che appoggiava il nascente movimento fascista, aveva sposato la causa dei lavoratori, e contrariamente alla maggioranza dei giovani socialisti della sua generazione, sposò le idee riformiste di Turati, rigettando il massimalismo di Serrati e l’ortodossia dei comunisti accusati di aver promosso la scissione di Livorno che "affondava le radici nelle rivalità personali"179 La spinta decisiva verso l'impegno politico fu la notizia del rapimento di Giacomo Matteotti. Nella primavera del 1924 a 23 anni si iscrisse al

175 U.Jacometti e A.Borrini “Le carte di Alberto Jacometti” in "Figure e centri dell'antifascismo in terra novarese" Fontaneto Po, 1992 "Accanto alle centinaia di articoli apparsi su varie testate, figurano romanzi, saggi, scritti autobiografici, opere teatrali, poesie…Di queste opere (una novantina circa) solo sedici sono state pubblicate, le altre, alcune delle quali ancora sotto forma di manoscritto, aspettano pazientemente nelle cartellette in cui egli le ha riposte”. 176 A. Jacometti, Fango nel sole, Bologna, 1923. 177 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag. 88 178 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", cit., pag. 59- 68 74 PSU con una scelta difficile a prendersi in un periodo in cui tale partito si stava svuotando (a Novara erano rimasti una quarantina di iscritti), un'adesione fortemente voluta in uno degli anni più tormentati del socialismo italiano: "...Ricordo ancora la scena:...un giorno....m'imbattei nel professor Bonfantini. Era stato sindaco socialista di Novara dal '15 al '22 e quindi defenestrato ed era stato mio professore di matematica per quattro anni. In bicicletta lui, in bicicletta io. La decisione sopravvenne fulmineamente: gli feci gesto di fermare e mi fermai. Un po' perplesso, il professor Bonfantini si fermò e là sulla piccola via si svolse un breve colloquio: «...ho deciso, d'iscrivermi al partito e vorrei che fosse lei ad appoggiare la mia domanda». «Al partito? Quale partito? lo adesso faccio parte del partito unitario »., «Quello di Turati, no? A quello mi voglio iscrivere». «È studente, lei?» «Si, a Milano» «Lo sa che in questo momento la gente se ne va dai nostri partiti anziché aderirvi?». «Lo so». «E lei vuole iscriversi? perché?». «Perché sono socialista». Mi guardò un momento, si cavò gli occhiali e si mise ad asciugarli: «Bene, lo dirò all'avvocato Porzio Giovanola che è nostro segretario. Lo conosce?». «No». «Vada da lui fra due o tre giorni». Ci guardammo ancora un momento poi ci stringemmo la mano"180 Nel 1925 ci fu a Novara l'incendio della "Tipografica". Era una cooperativa di tipografi socialisti che, controllati da Ugo Porzio Giovanola e guidati dal giovane Blangino, resistevano ancora e pub- blicavano fra l'altro i due settimanali socialisti del tempo: “Il Lavoratore” dei massimalisti e “La parola socialista” dei riformisti. "Una notte, non ricordo più in quale occasione, dopo una delle solite gazzarre, le squadre fasciste l'andarono ad incendiare. Ci ritrovammo che l'alba era appena spuntata sulle rovine delle macchine e nel fumo della carta bruciata, Porzio, Blangino, io e pochissimi altri. I fascisti, compiuta l'impresa, si erano squagliati. Gli agenti di pubblica sicurez- za e i carabinieri arrivati, come sempre, in ritardo avevano disposto i cordoni e guardavano di sottecchi. Era desolante, era triste, e

179 A. Jacometti "Dopo la mutilazione" «Il Lavoratore », 29.1.1921 180 A. Jacometti, “Mia madre”, cit. 75 sembrava la fine. Ma bisognava fare i conti con la tenacia e la risolutezza di Ugo Porzio Giovanola. Qualche settimana piu tardi «La Tipografica» era in piedi di nuovo e Il Lavoratore e La parola socialista riandavano, chi aveva il coraggio di comperarli, nelle mani della gente. Il federale fascista, Belloni, era furente".181 In questi mesi difficili raccolse attorno a sé un gruppo di operai e studenti che si impegnarono a pubblicare un giornale clandestino: "La tessera impegna. Bisogna dire ch'ero arso dal sacro fuoco. Dopo l'assassinio di Matteotti, le nostre riunioni avevano luogo or in casa dell'uno or in casa dell'altro, la domenica mattina, con uno in istrada a far da palo. Ci furono sedute movimentate come quando si scoprì, un giorno che c'eravamo tumulti alla Bicocca, che il vetturino che aveva condotto fin li il delegato della direzione, era un fascista. In generale, il punto principale all'ordine del giorno era l'inventario dei colpi ricevuti durante le ultime settimane. Ogni volta si manifestavano vuoti. Alle mie reiterate richieste di prendere una qualche iniziativa e di passare, nei limiti del possibile all'offensiva, si scuoteva la testa ...... Mi venne in mente di fondare un gruppo giovanile socialista, non legato né all'uno né all'altro partito, ma libero di arrischiare e di procedere per proprio conto. Mi ero laureato nel luglio di quell'anno 1924 e avevo davanti a me alcuni mesi prima di dovere andare a fare il soldato. In poche settimane il nucleo del movimento fu messo insieme e quando ci riunimmo la prima volta, in un'isoletta dell'Agogna, eravamo almeno due dozzine. La maggior parte operai, ma anche intellettuali, studenti, impiegati; con i miei ventidue anni ero uno dei più anziani, i più giovani essendo Camillo Pasquali182 e Corrado Bonfantini183, non ancora sedicenni. Si discuteva, si arzigogolava, ci si riscaldava: fare, agire, tutti ripetevamo fare, ma che cosa fare? Il fascismo imperava, duro, chiassoso, violento. Dopo 181 Ibid. 182 Primo sindaco di Novara dopo il '45. C. Bermani: Camillo Pasquali: tra arte e politica, Sizzano, 2006 183 "I Bonfantini : per un contributo alla conoscenza della cultura, della politica e dell'arte novarese tra il 1900 e gli anni '60 : atti del Convegno di studi del 23 novembre 1991", Novara, 1996 ; C. Bermani Il rosso libero : Corrado Bonfantini, organizzatore delle Brigate Matteotti , Milano, 1995 76 il 3 di gennaio, ogni resistenza pareva essere definitivamente scomparsa: la gente piegava il capo volente o nolente e accettava qualunque cosa: le sopraffazioni, l'imposizione, le botte, la viltà.....E noi, venticinque o trenta ragazzi, senza un soldo, senza un'arma, assolutamente privi d'esperienza, pensavamo, nelle nostre assemblee dei boschetti dell'Agogna, o delle fornaci Bottacci, a tener testa al fascismo. Un giorno qualcuno (il giovane Bonfantini, mi sembra: era quello che aveva le idee più estrose e balzane) venne a dirci di avere a propria disposizione un ciclostile. La cosa era vera; come ciò fosse avvenuto, non seppi mai. Allora fu deciso di pubblicare un foglietto, un foglietto nostro, quasi un giornale, scritto da noi, compilato da noi, ciclostilato e diffuso da noi, che si rivolgesse ai giovani e ai non giovani e dicesse quello che ci tormentava dentro. Il foglietto si chiamò: Basta! e vide la luce due o tre volte; era un fazzoletto, un po' più piccolo di un fazzoletto, a due facciate soltanto, ma vivo e ardente dell'orgoglio di venticinque o trenta ragazzi che si lanciavano nella lotta della vita con quella protesta. Furono fatte le coppie e assegnate le strade: mentre una coppia procedeva alla diffusione nelle cassette delle lettere, sotto gli androni e gli usci, gli altri due, l'uno di qua e l'altro di là, dovevano vigilare ai capi della strada" 184 Ma la sua chiamata alle armi come ufficiale di complemento a Bologna pose rapidamente la parola fine all'iniziativa. Al ritorno dal servizio militare, la sera dell'attentato di Lucetti contro Mussolini, subì la prima aggressione squadrista: "... nel settembre [1925] mi ritrovai sotto i portici con alcuni amici, verso le nove e mezzo o le dieci di sera. ... Qui stavano a bivacco i fascisti sulla trentina di giovanotti in camicia nera, e tutti gridavano o facevano roteare i manganelli o con gli stessi picchiavano sul piano dei tavolini o salivano, qualcuno sulle sedie a sbracciare e a inveire. Con alcuni altri avventori, sotto i portici, a un tavolino, stavano l' avvocato Porzio e Blangino. E contro di loro erano dirette le urla e le sfide. Gli altri clienti, intorno, guardavano ammutoliti o s'affrettavano a consumare e a pagare. Indaffarati i camerieri raccoglievano sedie e tavolini vuoti e li portavano dentro. Non ebbi neanche il tempo di riflettere ché la

184 A. Jacometti "Mia madre", cit. 77 decisione mi parve dettata: andai a sedermi fra Porzio e Blangino, il gesto sollevò un'ondata di clamori, non ch'io fossi comunque noto ai fascisti, ma il gesto in sé, quel sedermi di fianco al minacciato sotto i loro occhi furenti. E noi a fingere di discorrere pacatamente, con i gesti più naturali possibili, per dar l'impressione di non aver paura, di non essere affatto impressionati e di fare o non fare ciò che volevamo, non ciò che volevano loro. Era la prima volta che mi capitava di averli di fronte e sentivo in me fierezza e apprensione azzuffarsi. Venne da noi il padrone a pregarci di ritirarci. Di là, la canea aveva raggiunto un punto culminante: come se fossero in preda al ballo di San Vito, i fascisti s'alzavano, roteavano su se stessi, brandendo i manganelli e schiumando di rabbia e berciavano ogni specie di insulti....Ci alzammo finalmente e prendemmo per i portici verso il centro della città: si alzarono e ci furono a sei od otto metri di dietro... camminavamo posatamente, chiacchierando - o cosi ci davamo l'aria - del più e del meno. In verità l'uno diceva una cosa e l'altro un'altra senza che le frasi si legassero in un discorso articolato.... corse un fischio e uno del gruppo si lanciò, seguito dagli altri, fu alle spalle di Porzio, gli afferrò un lembo del cappello e cercò di strapparglielo; Porzio ebbe il tempo di voltarsi e di contenderglielo. Allora tutto il gruppo frullò e piovvero le botte: sulle braccia, sulle spalle, sul cranio, pugni, schiaffi, ma soprattutto colpi di manganello. Vidi l'amico prendere per il corso tirandosene dietro uno sciame con le braccia alzate sul cranio; poi non vidi più nulla. Ne avevo, dietro alle spalle, una mezza dozzina che intendeva, evidentemente, convincermi come certe solidarietà non fossero più affatto di moda. Percorsi, come potei, l'ultima parte dei portici. Non volevo darmi alla fuga. Mi raggiunsero, mi misero addosso le mani, mi fermarono. Pensai a mia madre: forse era ancora alzata, forse, di dietro le persiane, ascoltava, aspettandomi." Ma uno squadrista che conosceva il fratello Luigi lo salvò dalle manganellate. Se la sua attività cospirativa conobbe un forzato arresto, non così è per la sua attività di giornalista. Nel 1925 pubblicò una serie di articoli, firmandosi «Yack», sul settimanale del PSU novarese La parola socialista. Questi scritti sono interessanti perché rivelano come, in maniera graduale, stia approdando ad una critica delle posizioni 78 attendiste e rinunciatarie assunte dal movimento socialista nei confronti del fascismo. Se il primo articolo presenta quasi gli accenti di un manifesto che rivendica ai socialisti unitari il retaggio della tradizione di fronte al montare della reazione fascista 185, poi sembra prevalere lo scoramento: «La protesta non ha più valore alcuno ... ci si strappa tutte le conquiste e ci si contenta di sospirare» 186. Jacometti avverte dunque la sterilità di una resistenza passiva davanti al fascismo proprio nei giorni in cui l'opposizione dell'Aventino va sfilacciandosi, ma è ancora un socialriformista ortodosso e davanti alla minaccia fascista contro lo Stato liberale si schiera a difesa di quest'ultimo. Si rende tuttavia consapevole della novità rappresentata dal fascismo e della necessità di nuovi strumenti di lotta 187.

4 Da Barcellona a Torino (1926) L'aggressione squadrista lo spinse a lasciare per un certo tempo l'Italia: su consiglio di Arturo Farinelli188 che aveva avuto parole di lode per un suo romanzo manoscritto, si diresse a Barcellona 189 Tale soggiorno fu di breve durata: Mi ero laureato da un anno e mezzo e avevo finito di fare il servizio militare da poco. In Italia non ce la facevo più; non che non ci potessi più vivere: a Novara, è vero, si era incominciato a rendermi la vita difficile e non più di tre mesi innanzi la cosa si era concretata in un'aggressione in piena regola fattaci una sera alla fine di settembre, al compagno Porzio Giovanola e a me... ; ma Novara non è tutta l'Italia e mi sarebbe bastato trasportare i penati che so, a Milano, a Torino, perché la vita di ogni giorno 185 Yack, (A. Jacometti), Invincibilmente, «La parola socialista», 26.2.1925. 186 Id., A proposito di podestà, Ibid., 3 .9.1925. 187 Id., Della violenza, Ibid., 5.3.1925; Id., Il piacere dell'accattone, Ibid., 19.9.1925. 188 Intra 1867-Torino 1948, filologo, con la sua straordinaria erudizione inaugurò gli studi comparatistica tra le letterature d'Europa. Dal 1907 ebbe la cattedra di lingua e letteratura tedesca all'Università di Torino 189 A. Jacometti, Il filo di Arianna, cit., p. 79 e segg. 79 diventasse possibile; no, non era questo; era l'atmosfera; era quel non poter parlare, quel viscidume caldo in cui si viveva; quel vedere cose che facevano raggricciare la pelle e non poter intervenire; quell'assistere al capovolgimento dei più concreti valori; alla violenza, alla nequizia, alla sopraffazione, all'ipocrisia, alla falsità, alla vigliaccheria e non poter far nulla di nulla. Era quel diventare complici anche se involontari. Ma la debolezza non è già una colpa? quel non poter dire di no, quel non dire di no, ché c'erano gli occhi di tua made pesanti e tristi come lo sguardo di un condannato. E la vigliaccheria, mercè anche il tuo silenzio, conquistava tutto, infracidiva tutto. Le spie erano più frequenti delle mosche in una stalla d'estate; le avevi in ufficio, dal trattore, in iscuola, le avevi in casa ed era già molto se non le avevi in famiglia. Due cose soltanto si poteva fare: o cedere e allenarti a dire di sì, a pensare di sì, o preparare una bomba. O preparare una bomba, qualunque essa fosse, che ti nutrisse con la speranza della vendetta. Ero andato da Arturo Farinelli. Mi piaceva...Aveva quel fascino che seduce i giovani: alto, quasi gigantesco, quadrato, con quel viso tagliato in un ceppo di rovere e quei capelli ricciuti e incolti come un campo di stoppie, aveva un alcunché di forte e selvatico che piace a quella sorta di giovani com'ero io. Del fascismo parlava con parole roventi, con un disprezzo ineguagliato, come si potrebbe parlare di certe malattie, del vomito d'un ubriaco, e diceva: - La tessera? ma prendetela la tessera, che ve ne importa? non mettete la cravatta perché tutti la mettano? non mi metto io stesso la cravatta? Che ci sta a fare al collo questa specie di capestro? Eppure la mettiamo e la metto, come ci mettiamo i calzoni. Prendete la tessera e salvatevi l'anima. Poi accettò di far parte dell'Accademia d'Italia."190 "A Madrid c'era la dittatura di Primo de Rivera ma a Barcellona l'aria era ancora respirabile. Fu un mezzo fallimento, anzi fu un fallimento completo; vi restai, se non mi sbaglio, meno di tre mesi."191 Visse dando lezioni private e scrivendo novelle per le riviste letterarie “Lecturas” e “Rivista de oro” ed entrò in contatto con l'ambiente dei

190 Ibid., pag.77-89 191 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.98 80 separatisti catalani. Rientrato in Italia nell'aprile 1926, si stabilì a Torino quale tecnico della stazione chimico-agraria di tale città dove entrò in contatto con gli ambienti socialisti e strinse amicizia con Bruno Buozzi192 Leandro Allasia, Filippo Amedeo193: "noi giovani, ma anche i non più giovani, ci raccoglievamo oltrepò, in riva al fiume o sulle colline. Mi piaceva, Torino. Lavoravo alla Stazione Sperimentale chimica agraria, avevo un campo e una cascina a disposizione ed ero, insomma, re in casa mia, potevo, fino a un certo punto fare e disfare. E poi avevo ventiquattro anni e il mondo spalancato davanti....Nessuno mi conosceva a Torino e finché non m'avessero beccato in una delle tante riunioni, in casa di Allasia o di qualche altro o sulle rive del Po a tesser reti proibite, non c'era da stare con addosso il singulto. Il mio direttore, un professor Scurti occupato soltanto a far carriera, ascoltava con fare distratto le mie relazioni una volta la settimana e mi lasciava carta bianca"194. Ma l'impossibilità di agire contro i fascisti lo opprimeva. A Novara ritorna solo durante i fine settimana e subisce la seconda aggressione: "A Novara, dove capitavo tutte le settimane, reiterati attacchi del giornale fascista "La giovane Italia" mi avevano messo in evidenza e segnalato a chi di ragione. Il secondo incidente mi capitò a metà circa dell'anno in estate. Verso il tramonto le squadre fasciste incominciarono a muoversi da tutte le parti e a percorrere le strade

192 G. .Castagno Bruno Buozzi, Milano, 1955 e 1981; G.Epifani Bruno Buozzi : scritti e discorsi, Roma, 1975; Centro studi FIOM e Fondazione Brodolini Bruno Buozzi e l'organizzazione sindacale in Italia, Roma,1982; A.Forbice La forza tranquilla: B.Buozzi, sindacalista riformista, Milano, 1984; P.Cristoni, A.Ruini, Dal riformismo al riformismo. Bruno Buozzi : passato e presente del sindacato riformista italiano, Modena, 1990; A.Forbice Sindacato e riformismo: Bruno Buozzi, scritti e discorsi, Milano, 1994 193 Socialista torinese, esule in Francia durante il fascismo, morto nel 1946. 194 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.98 81 della città con gagliardetti neri e manganelli branditi che, all'occasione, scendevano sulle spalle della gente, ad accarezzargliele... Inavvertitamente m'ero lasciato tagliar fuori...dell'anello fascista che si muoveva intorno al centro, dov'era la mia casa: tentare di tagliare l'anello sarebbe stata l'impresa più goffa e rischiosa;.... avrei potuto forse chiedere l'ospitalità a un amico: non mi venne in mente; d'altra parte restare in istrada non era salutare; e, visto aperto il teatro mi vi ingolfai....Il primo atto si svolse normalmente: in piedi, in platea, pensavo a ciò che sarebbe avvenuto se, durante l'intermezzo, qualcuno m'avesse riconosciuto. L'atto finì, si fece la luce. Con le spalle appoggiate contro la convessità della parete e le braccia incrociate, non mi mossi. Il pericolo maggiore era lassù, nel loggione formicolante di teste. Niente. Bene. Il sipario si aprì sul secondo: e, non erano passati dieci minuti, e la strada si travasò nel teatro: voglio dire le squadre; occuparono ogni ordine di posti, palchi, gallerie, poltrone, e traboccarono sul palcoscenico, dove si fecero avanti e richiesero gli inni fascisti...[quando]....lo spettacolo finì....Lasciai sgorgare la mareggiata in camicia nera e presi dalla parte opposta. Mi accorsi del drappello, otto, dieci fascisti, quando l'ebbi quasi di fronte, dall'altra parte uno si staccò, seguito da altri due. Era un ex mio compagno di scuola. Mi fermò a un passo di distanza e m'interpellò brutalmente: Non credi che per uno come te sta meglio essere in casa in giorni come questi? "E perché?" Non mi lasciò finire, con .il pugno chiuso mi colpì tra la mascella e il naso...La pattuglia, quando di lì a pochi secondi mi ripresi, era già lontana."195 La nuova violenza e la svolta istituzionale dopo il gennaio 1925 che condurrà alla nascita della dittatura spingono Jacometti ad abbandonare nuovamente l'Italia. Il 26 dicembre lascia in treno Novara diretto a Parigi: è la scelta dell' esilio. “Un po' questo, un po' la convinzione (soprattutto dopo il novembre, quando; in seguito al cosiddetto attentato di Bologna, la stampa d'opposizione fu soppressa e i partiti proscritti) che, in Italia, non si cavava un ragno dal buco e che il problema della libertà e della tirannide aveva oramai valicato i

195 Ibid., pag. 100 82 confini e si era dilatato nel mondo, o almeno in quella penisola del mondo che è l'Europa, l'idea di andarmene davvero incominciò a frastornarmi il cervello: Amedeo se n'era andato. Buozzi se n'era andato. Se ne andò, in quel tempo, Turati. Porzio, da mesi, era stato pubblicamente bandito: L'eroico compagno aveva sloggiato ma per non più di cinque giorni; ritornato, a noi che lo circondavamo turbati, aveva dichiarato: «Non c'è nessuna legge che m'imponga di abbandonare la città. L'arbitrio è arbitrio. Chi l'accetta è colpevole quanto chi lo instaura. Facciano quello che vogliono, io rimango». E rimase, ma, da quel momento, pedinato, sorvegliato come il più pericoloso dei malfattori e senza poter svolgere la minima attività. “In fondo, ciò che mi decise, fu un fatto banale. Il professor Scurti, mio direttore, era andato a Roma al ministero, come soleva; ritornato l'antivigilia di Natale, ci fece pervenire, a tutti, una lettera in cui ci spiegava come, istruito del nostro patriottismo e alto senso nazionale, si era creduto autorizzato ad impegnarsi, in nome nostro, nell'acquisto di un certo numero di cartelle del prestito, che il governo (di Mussolini) in quei giorni emetteva, la ripartizione era stata fatta nel modo più equo e, a evitarci noie e perdita di tempo, il pagamento sarebbe stato effettuato con una trattenuta sul nostro stipendio la fine del mese. La cosa m'indignò. Scrissi una lettera furibonda e il 26 sera, il giorno di Santo Stefano, presi la via della Francia, l'indomani ero a Parigi"196

Nell'emigrazione (1927-1943) 1 Fuoruscito a Parigi (1927-1929) La scelta della Francia come terra d'esilio è frutto del «richiamo sentimentale» per la tradizionale ospitalità che la Repubblica ha offerto agli esuli, cui si aggiunge la certezza di trovare nella numerosa colonia italiana la trama su cui ritessere i legami politici 197 "Il luogo

196 Ibid. e Quando la storia macina, Novara, 1952, passim. . 197 P.Milza Les italiens en France de 1914 à 1940, Roma, 1987. A.Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953. S. Tombaccini, Storia dei fuorusciti italiani in Francia, Milano, 1988; L. Di Lembo, L'organizzazione dei socialisti italiani in Francia, in: G. 83 in cui ci si vedeva un po' tutti eran le conferenze culturali della "", l'associazione di giornalisti italiani presieduta da Turati. Fu lì che per la prima volta conobbi di persona Eugenio Chiesa, Cladio Treves, Alceste De Ambris, Luigi Campolonghi, Turati, Coccia, Giuseppe Bensi, Franco Clerici. Frequentava la "Giovanni Amendola" Bassanesi e vi conobbi Giuseppe Donati, ex direttore del «Popolo» di Roma; uno degli eroi dell'Aven-tino....Bisognava fare qualcosa. La Concentrazione era una vecchia sdentata che aveva portato in terra di Francia gli acciacchi e lo spirito dell' Aventino; bisognava rompere, spezzare, uscir fuori da quel cerchio fatato che spegneva ogni fiamma, bisognava andare avanti con un segno positivo, non vegetare con un segno negativo in fronte, essere, essere qualcosa, socialisti, anarchici, comunisti, repubblicani ma esser se stessi, piccoli o grandi, ed essendo se stessi incontrare il fascismo, non essere perchè era il fascismo, l'antitesi, l'antifascismo. L'ombra non va mai avanti. Idee. Idee che la sera accendevano gli angoli bui dei caffè o facevano sonare le nostre camere fino a tanto che un coinquilino non venisse ad aprire bestemmiando la porta o non facesse tremare la parete a colpi di tacco."198 In Francia, per i vuoti nelle classi in età lavorativa causati dalla guerra, l'abbondante domanda di lavoro esistente fino ai tardi anni '30 gli consentì di esercitare vari mestieri per sopravvivere: capogiardiniere, viaggiatore di commercio, correttore delle bozze del libro di Miglioli “Le village sovietique”, impiegato nella banca della massoneria (cui non fu mai affiliato e da cui venne assunto per un equivoco). Grazie ai contatti stabiliti nei primi giorni, iniziò una collaborazione al Corriere degli italiani, giornale fondato nel 1926 dal "popolare" Donati che, assumendo posizioni critiche verso gli ambienti del

Arfe L'emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo, 1926-1939, Firenze, 1982, p. 234. 198 Sul periodo parigino-belga fondamentale la rassegna analitica di R. Fiammetti Alberto Jacometti dal primo dopoguerra alla stagione del centrosinistra : la vita e l'impegno politico in “Il Politico” 4, 1991 84 fuoruscitismo, si prestò inconsapevolmente alla provocazione col ricevere finanziamenti dall'Ambasciata italiana. A Parigi la sua critica si fece aspra in particolare verso il proprio partito. Davanti alle forze politiche che si ricomponevano sul modello delle loro strutture quali erano state in Italia, dando poi vita nel marzo 1927 alla «Concentrazione d’azione antifascista», dovette prendere atto di una mentalità che si ostinava a negare l’irreversibilità degli eventi vissuti dal Paese. Ricorrendo all'ironia, chiamò in causa le oche capitoline paragonandole ai leaders della Concentrazione: ma se quelle salvarono Roma col loro grido d’allarme, il vuoto starnazzare in esilio si riduce ad un vacuo virtuosismo199 In un ambiente che ancora delegava al re e all’esercito il compito di scalzare Mussolini, indicava la strada della cospirazione, e mentre i socialisti unitari si facevano interpreti dell’illusione della crisi interna di regime, ribatteva che si doveva agire in Italia a fianco dei comunisti, gli unici ad aver compreso l’importanza dell’azione diretta in patria contro il fascismo e la monarchia200. e parlava di fondare un «movimento di riscossa e di rivoluzione» che superasse le vecchie divisioni partitiche201. Da un lato la priorità dell’azione in Italia, dall’altro una intesa privilegiata tra i partiti proletari per una azione rivoluzionaria mirata non solo contro il regime ma anche contro la monarchia.

2 "L'Iniziativa"(1928) “Verso la fine di quell’inverno mi capitò la fortuna per casa e mi capitò sotto forma di un assegno in franchi francesi – ottomila franchi francesi – che il compagno Ugo Porzio Giovanola aveva trovato il modo di farmi pervenire. Era il miracolo, era la grazia, era... era la possibilità d’incominciare a far qualche cosa sul serio, a parlare, a suggerire, a criticare, a proporre. Otto mila franchi! Messi in contatto con la realtà non erano molti... avanti, avanti! Da cosa nasce cosa.

199 A. Jacometti, Di talpe ed anatroccole, «Corriere degli italiani», 1.5.1927. 200 Id., Dove i comunisti vedono giusto, Ibid., 17.4.1927. 201 Id., Seppellire i morti, Ibid., 7.4.1927. 85 Nacque, un anno più tardi, la mia espulsione dalla Francia. Per il momento, dandomi un pochino da fare, riuscii a mettere insieme un comitato di redazione, una schiera di collaboratori, una tipografia disposta a stamparla e il titolo di una rivista, anzi, di una rassegna politica mensile: «L’Iniziativa». La collaborazione era la più ampia che si potesse, in quel tempo, comporre; a mezzo e al di sopra della etichetta andava al solido: agli elementi di contatto e di rinnovamento. Si spaziava dagli anarchici (Berneri), ai repubblicani (Volterra, Chiodini, Schiavetti, Schettini, Montasini), ai socialisti, ai franchi tiratori (BattistelIi), ai cattolici (Miglioli e Donati), ai comunisti. Nacque, la rassegna, di marzo – e aveva un buon odore d’inchiostro grasso, un buon odore che riempiva la mia camera e faceva sognare la notte. La mia camera era diventata la tenda comando: vi si faceva tutto: si scrivevano gli indirizzi, si incollavano le fascette, si piegavano i giornali, si appiccicavano i francobolli. I tre o quattro giorni che seguivano l’uscita del foglio erano fervidi di lavoro, di risa e di gioia. Si andava all’assalto dei pacchi come si va all’assalto di una bandiera. Durò circa un anno, “L'Iniziativa", e non ebbe vita molto florida: il terreno era duro, non dissodato; ho sempre pensato tuttavia che fu quel primo solco a permettere la fioritura, due o tre anni più tardi, dei «Problemi della Rivoluzione» e, dopo di essi, al concretarsi di parecchie altre imprese.”202. Sul suo periodico si sforza di dare alle proprie riflessioni un contenuto più compiuto, anche se uno dei suoi limiti fu sempre la difficoltà a superare l'ambito contingente dell'articolo fino a giungere alla stesura di un vero saggio teorico (con l'eccezione come si vedrà di "Italia socialista"). Riprende gli attacchi al PSULI accentuando la critica al gradualismo riformista mentre Nenni partendo dalla direzione opposta, cioè dal versante massimalista, cerca di ricucire le fila del socialismo italiano per arrivare nel 1930 alla fusione dei due tronconi del partito. Egli ai compagni di partito rivolge l'accusa di aver condotto la classe proletaria all'«abdicazione alla forma eroica e eminentemente educati-

202 A. Jacometti Quando la storia macina. cit.. P. 41. 86 va della rivolta, della conquista, della difesa» 203 cosa che è letta come un ostacolo all'avvicinamento dei due partiti socialisti204. Nonostante la sua apertura verso i comunisti (a cui rimprovera la cieca ortodossia) Jacometti resta un socialista, ma considera una intesa PSI-PCd'l basilare per caratterizzare in senso socialista la rivoluzione italiana e per cooptare sul terreno rivoluzionario i ceti medi205 E’ un progetto che va in direzione opposta a quello della Concentra- zione che nel settembre 1928 si pronuncia per la Repubblica democratica dei lavoratori italiani. Fernando Schiavetti, repubblicano, deplora il carattere moderato di questa definizione206, Jacometti non capisce come si sia scelta una «formula incerta e bisognevole di glosse quando per significare le stesse cose esiste la facile e chiarissima locuzione: Repubblica socialista dei lavoratori italiani»207 «Che essa sin dai suoi primi passi non ci appagò è cosa pacifica; che essa per questo vada distrutta risolutamente no»: convinto della necessità della dialettica nella democrazia, mantenne questa posizione "antiscissionista" anche nel dopoguerra. In polemica con Jacometti Nenni scrisse che il suo gruppo «non ha né niente da dire né niente da fare».208 “L'Iniziativa” dedicò al rapporto tra fascismo e monarchia e all'assetto istituzionale una attenzione particolare.209 Le sue riflessioni

203 Yack, (A. Jacomettl), Spiriti tormentatori, « L'Iniziativa », n. 2, aprile 1928. 204 Id., In tema di unità, Ibid.. 205 Id., Franche parole, «L'Iniziativa », n.5, luglio 1928 206 F. Schiavetti, Un anno e mezzo di Concentrazione, «L'Ini- ziativa »; n. 8, ottobre 1928. 207 A. Jacometti, Anticoncentrazionismo, «L'Iniziativa», 9/10, dic. 1928 208 lettera di Nenni in «L'Iniziativa », n. 6, agosto 1928 209 M. Bergamo, Inchiesta sulla monarchia, «L'Iniziativa», n. 3, maggio 1928. G. Donati, Monarchia e costituzione, Ibid., n. 5, luglio 1928. Id., Il re d'Italia e il fascismo, Ibid., n. 7, settembre 1928. L. Battistelli, Inchiesta sulla monarchia, Ibid., n. 8, ottobre 1928. 87 sono originali là dove fa cenno alle specificità fisiche ed economiche delle diverse Regioni italiane che comporteranno «organi periferici assolutamente diversi da quelli finora esistenti»210; è il primo abbozzo di un progetto federalista, cui non è estranea l'influenza di Camillo Berneri e che avrà sviluppi negli anni '40 col manifesto di Ventotene, come si vedrà meglio in seguito. Col numero del dicembre 1928 “L'Iniziativa” cessa definitivamente le pubblicazioni per mancanza di fondi,. Il 15 febbraio 1929 gli fu notificato un mandato di espulsione eseguito da un poliziotto che lo accompagnò a Bruxelles. Lo seguì dopo pochi giorni la donna che da alcuni mesi viveva con lui e che diventerà sua moglie, Geneviève Colette Clair.

3 L’emigrazione a Bruxelles (1929-1941) Dopo il 1922 parecchi socialisti italiani sbarcarono in Belgio dove trovarono l'appoggio dei loro compagni. Questa solidarietà era basata su una lunga tradizione di amicizia nata nell'Ottocento. Fin da quell'epoca vi erano stati numerosi contatti: Cèsar De Paepe fu in relazione con Andrea Costa, mentre Emile Vandervelde e Louis de Brouckère assistettero ai Congressi del PSI in rappresentanza del Partito Operaio Belga (P.O.B.) intrattenendo contatti personali con Ferri, Turati e altri esponenti. E all'Università di Bruxelles studiò Angelica Balabanoff, personaggio di primo piano nel P.S.I. di quegli anni.211 I primi socialisti italiani vittime della repressione politica arrivarono in Belgio alla fine dell'800 accolti dal P.O.B. che cercò di dar loro una sistemazione nella metallurgia di Charleroi e nell’artigianato brussellese, procurando lavoro agli intellettuali nell'Università Nuova, nella Scuola di Alti Studi, nei giornali del partito. Così diversi socialisti italiani che erano venuti in Belgio in seguito ai fatti del

210 A. Jacometti Del Parlamento “L'iniziativa”, n.3, maggio 1928 211 A. Landuyt “Il modello rimosso : pragmatismo, etica, solidarieta e principio federativo nelle interrelazioni fra socialismo belga e socialismo italiano”, Siena, 1993 88 1898, ritroveranno naturalmente la via di Bruxelles quando il fascismo li obbligherà a lasciare nuovamente il loro paese. La federazione belga, benché strettamente legata al P.O.B., vive nell'ombra del gruppo parigino. In Belgio i fuorusciti socialisti non eb- bero veri rapporti con l’emigrazione economica e rimasero sempre un gruppetto numericamente esiguo al contrario dei comunisti. Secondo Angelica Balabanoff in Belgio il partito socialista non aveva toccato la massa degli emigrati perché le idee erano “ostacolate da disposizioni di natura giuridica che venivano a limitare se non ad impedire del tutto ogni attività politica degli emigrati” 212. Dal 1927213 sia il P.S.I. che il P.S.U.L.I. furono presenti in Belgio. Il 4 maggio del 1929 Angelica Balabanoff riunì a Bruxelles i rappresentanti dei gruppi massimalisti dando indicazioni sulla lotta contro gli agenti provocatori e sull'organizzazione del lavoro tra gli emigrati e fornendo un quadro della situazione generale del P.S.I 214 All'origine della federazione belga del P.S.U.L.I. vi erano Saverio

212 A. Balabanoff, Ricordi di una socialista, Roma 1946, pp.355-356. 213 Rapporto della direzione del P.S.I. del novembre 1927, in previsione del congresso generale delle sezioni all'estero aderenti al PSI. (A.C.S.) e La Libertà,1.1.1928, cit. da L.Di Lembo, L'organizzazione dei socialisti italiani in Francia, in L’emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo”, Firenze, 1984, pp.231- 232. 214 Riunione del 4.5.1929 (A.C.S., P.S., sez.I, 1929, b26, K5, Belgio). Le notizie sulla vita interna del P.S.I. provengono dagli archivi della polizia italiana che ha un informatore nella sezione socialista di Bruxelles. 89 Roncoroni215 al quale si aggiunsero Arturo Labriola nel 1927216, Luigi Lazzarelli217 nel 1928 e Alberto Jacometti nel 1929. Dopo mesi di fame, riuscì a trovare lavoro come chimico all’Institut Meurice Chimie. Riprese l’attività politica militando nella sezione brussellese, collaborando sia all'Avanti che ad altri giornali socialisti, tra cui “Problemi della rivoluzione italiana”, e partecipando al dibattito politico con coraggiose ed autonome prese di posizione218.

215 Alberto Roncoroni nel 1905, condannato per anarchia e antimilitarismo, si rifugia in Belgio dove vende gelati fino al 1914. Rientrato in Italia dopo la guerra, diventa un dirigente socialista nella zona di Como, sua regione natale. Ritornato in Belgio in seguito a rappresaglie fasciste, è dapprima "terzinternazionalista" e poi comunista. È uno dei redattori della cronaca in italiano su Le Peuple e La Wallonie e nel 1927 viene escluso dal partito comunista e reintegrato nei ranghi socialisti e della L.I.D.U 216 D. Marucco, Arturo Labriola e il sindacalismo rivoluzionario in Italia, Torino, 1970 217 A.Jacometti “Quando la storia macina”, Novara, 1952. pag. 85-89. Luigi Lazzarelli, nato a Massa Carrara nel 1892, nel 1923 le sue idee socialiste lo obbligano a lasciare l'Italia, si rifugia in Francia e approda in Belgio nel 1928. Nel partito rappresenta i giovani socialisti, fa parte della Commissione sindacale del P.O.B., scrive articoli e durante la guerra di Spagna recluta volontari in Belgio. Nel 1937, nonostante il decreto di espulsione, riuscì a rimanere in Belgio dove nel maggio del 1940 fu arrestato perché in una lista di sospetti nazifascisti, inviato in Francia con un convoglio e fucilato durante il viaggio. 218 A. Morelli, Fascismo e antifascismo nell'emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Roma, 1983. Alla fine del 1932 si insinuò che a fornire i capitali per L'Iniziativa fosse stato la spia Menapace. Vedi anche: E.Signori- M.Tesoro, op. cit., p. 56 e segg. A. Jacometti, Quando la storia macina, cit., pp. 44-46; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, cit., pp. 52-61; S. Tombaccini, 90 Nel 1932 la maturazione di una nuova strategia antifascista procede a ritmi più rapidi. Comincia anche a precisarsi il progetto di un intervento economico-sociale sulla realtà italiana. Si prevedono una riforma agraria, che contemperi la proprietà collettiva della terra da parte della nazione e la sua concessione in usufrutto a cooperative agricole; una riforma del credito, che assicuri il controllo statale su di esse; la statizzazione dei. monopoli industriali, per affermare i diritti della collettività, "teoricamente incarnati dallo Stato", nei confronti dei complessi monopolistici. Alla fine del 1932 è varato uno Schema di programma generale del partito: "Fra lo Stato fascista e la Nazione solo la Rivoluzione può decidere. Di ciò convinto il Partito Socialista Italiano, in unione a tutte le forze che ad esso vorranno associarsi, conduce la lotta per l'instaurazione in Italia di una Repubblica democratica dei lavoratori che sia una forza energicamente propulsiva verso il socialismo. I capisaldi immediati di questa rivoluzione sono: la costituzione di un governo rivoluzionario provvisorio; l'organizzazione. della difesa della Rivoluzione; la socializzazione delle banche e delle grandi formazioni industriali e agrarie"219. Sul ricorso alla formula "Repubblica democratica dei lavoratori" ha buon gioco Jacometti a scorgere un segno di impaccio e di timidezza: "Che dico, Stato socialista! Lo schema non ha l'audacia d'andar fin là. Arzigogola, barbuglia, dice e non dice e disdice ma quando arriva a concepire !'instaurazione di una repubblica non è già quella socialista, bensì: una "repubblica democratica dei lavoratori che sia una forza energicamente propulsiva verso il socialismo". Ma che cosa significa? Ma che cosa significa, dico, questa repubblica che è una forza propulsiva, in lettere chiare, in parole povere, ma che cosa significa se cit., pp. 109-119. 219 Schema di programma generale del partito, "Avanti! (L'Avvenire del Lavoratore)", 12.11.1932. Lo schema fu elaborato da una commissione composta da Saragat, Francesco Buffoni e Franco Clerici e avrebbe dovuto essere discusso nel successivo congresso del PSI, cosa che però non avvenne: cfr. Il Partito Socialista Italiano nei suoi congressi, voI. V cit., p. 88. 91 non un voler nulla significare di preciso, un mettere la maschera là, dove si teme di far vedere il volto? Abbiamo dunque un volto cosi brutto da temere la luce del sole? O abbiamo paura di impaurire? Questo, piuttosto"220 In realtà si tratta di scrupoli che derivavano sia dalla preoccupazione di mantenere la distinzione fra il nuovo classismo del PSI e la formula comunista della dittatura del proletariato; sia quella di salvaguardare la continuità della politica unitaria in seno alla Concentrazione antifascista, di cui Jacometti gradirebbe l'archiviazione. Ma la contraddizione esploderà solo nei primi mesi del 1934. Frattanto le morti in rapida successione di Turati (marzo 1932), del segretario del partito Ugo Coccia (dicembre 1932), di Treves (giugno 1933) e di Franco Clerici (marzo 1934) rafforzarono il ruolo che Nenni si era già saputo conquistare con l'energica direzione dell' "Avanti!", sanzionato dal conferimento della carica di segretario del PSI. Il 1935 vede inoltre emergere nell'azione di Nenni il tema nuovo dell'unità proletaria e del rapporto con i comunisti. In precedenza Nenni aveva considerato l'intesa fra i due partiti di classe come una ipotesi teoricamente auspicabile, ma non suscettibile di realizzazione perchè sul tema del fronte unico "dal basso" Nenni oppone il principio di un rapporto "da Internazionale a Internazionale, da Partito a Partito, da organizzazione a organizzazione". Prese parte al 22° Congresso socialista a Marsiglia nell'aprile 1933 dove chiese un preciso impegno del PSI in Italia ma il partito ribadì l'adesione alla Concentrazione 221

220 A.Jacometti, Le sorti della rivoluzione, "Avanti! (L'Avvenire del Lavoratore)", 17.12.1932. 221L. Rapone, Il PSI tra Pietro Nenni ed Angelo Tasca, in E. Collotti, “L'Internazionale operaia e socialista tra le due guerre”, Milano, Annali Feltrinelli, 1983-1984, pp. 661-710. F. Pedone, 90 anni di pensiero ed azione socialista attraverso i Congressi del PSI, voI. II, Venezia, 1982, p. 368; A. Jacometti, Le sorti della rivoluzione italiana, «Avanti! », 17.12.1932; A. Jacometti, Il Congresso di Marsiglia «Problemi della rivoluzione italiana», n. 17-18, maggio 1933. G. Arfè, Il partito socialista italiano nei suoi congressi, vol.4°, I congressi dell'esilio, Avanti, Milano 1963, p.72-73. Al 22. Congresso (Marsiglia, 17-18 aprile 1933) Jacometti parlando per incarico 92 Gli avvenimenti del 1934, lo scioglimento della Concentrazione ed il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti222 sembrano aprire nuove prospettive. Archiviata l'esperienza della concentrazione, Jacometti vide nella creazione del Centro interno socialista una significativa svolta per il suo partito che sceglie finalmente di agire direttamente in Italia223 .

della Federazione del Belgio “deplora la mancanza di affiatamento fra il centro e la periferia. A questo si potrà ovviare o comprendendo nella nuova Direzione dei membri periferici o facendo funzionare il Consiglio Nazionale. Egli approva sostanzialmente la magnifica e appassionata relazione del compagno Nenni, ma ci trova una lacuna per quanto concerne i rapporti con « Giustizia e Libertà », ed ha alcune riserve da fare. Per quanto riguarda il giornale c'è mancanza di organicità che deriva dalla scarsa attività intellettuale del Partito. Il giornale ha sempre o quasi sempre un ottimo articolo di fondo e poi più niente di interessante. Per l'Internazionale il problema è formidabile. Il crollo tedesco è stato tremendo. Il possibile crollo austriaco sarebbe angoscioso perché l'Austria ci aveva dato il tipo di partito marxista modello. La Internazionale certo non, morrà, perché il socialismo è prima di tutto internazionalista. Ma bisogna sforzarsi di capire gli avvenimenti. In Germania la battaglia è stata perduta non nel 1933, ma nel 1918. Il socialismo non può essere creato che dalla rivoluzione. E' d'accordo con Nenni per quel che ha detto della dittatura del proletariato, ed evidentemente noi non abbiamo niente in comune con la concezione bolscevica. Ma quel che bisogna dire è che non c'è più grande democrazia, non c'è più legittimo suffragio universale, della rivoluzione che è un fiume che trascina tutto quel che tenta di resistere. Il problema della unità è molto complesso. I comunisti hanno delle tremende responsabilità, i socialisti non ne hanno di minori. La procedura è quella delle trattative da Internazionale a Internazionale. La proposta comunista costituisce certamente una volgare manovra. Ma perché non chiedere ai comunisti delle trattative dirette? Quanto al problema della Concentrazione Jacometti lo esamina da un altro punto di vista. Egli non si oppone a delle alleanze per fini determinati di propaganda e di azione. Ma non concepisce una alleanza in cui il Partito impegna l'avvenire. Il Partito deve proporsi di essere la rivoluzione, di animarla e di dirigerla. Potrà o non potrà. Ma deve volerlo se no si con- danna a sparire dietro altre formazioni. In ogni caso bisogna essere prima socialisti e poi concentrazionisti. Così per « Giustizia e Libertà ». Egli non dice 93 Il 21 giugno 1934 fu informato dal fratello Luigi224 che il padre Giuseppe era morente. Decise di ritornare immediatamente in Italia ma, sorvegliato, venne arrestato alla stazione di Chiasso. Incarcerato a Como e successivamente a Novara, accompagnò alla tomba il padre scortato da tre poliziotti. Dopo diciassette giorni di prigione venne rilasciato e poté ritornare in Belgio. L'arresto gli costò la sospensione per un anno (poi dimezzata) dalle cariche del partito per timore che fosse divenuto una spia, anche se nel comminare il provvedimento si riconobbe il significato umano del suo ritorno in Italia. Il fratello corruppe con una grossa somma i poliziotti, che lo rilasciarono, ma è stato ipotizzato da Aldo Garosci che l'avvicinamento al Corporativismo di esponenti socialisti riformisti che « G L » sia la borghesia. Capisce che si possa lavorare con «Giustizia e Libertà», ma non in «Giustizia e Libertà», perché questo movimento si è dato un programma che non è e non può essere il nostro.” 222S. Fedele, Storia della Concentrazione..., cit., p. 162. C. Cartiglia, Il partito socialista italiano 1892-1962, Torino, 1978, p. 293. 223 La fine dell'antifascismo (nostra intervista con Alberto Jacometti), «Problemi della Rivoluzione italiana», nn. 23-24, gennaio 1934; S.Merli, “Documenti inediti dell'archivio Angelo Tasca. La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo del 1934 al 1939”, Milano, Annali Fondazione Feltrinelli, 1963. 224 A.Jacometti “Mia madre”, cit., “saremmo andati in viaggio di nozze in Svizzera e lì avremmo incontrato mia madre e mio padre. Il 21 mattina ricevetti un telegramma di mio fratello….mio padre era moribondo. Erano otto anni che non lo vedevo…. alle cinque del mattino, la trombosi. Aveva settantasette anni. Partimmo, con Colette, il giorno stesso; l'indomani mat- tina otto poliziotti fascisti, parte dei quali m'avevano accompagnato in treno, m'arrestarono appena fuori dalla stazione di Chiasso. La telefonata era stata naturalmente intercettata. Mi portarono alle carceri di Como. Verso il tramonto vennero a prendermi: mio fratello aveva ottenuto di farmi trasportare alle carceri di Novara di grande urgenza; mio padre, era morto. Fu in quei giorni che conobbi mio fratello: corruppe i poliziotti, corruppe l'autorità di pubblica sicurezza, corruppe non so chi e quella sera, dopo diversi andirivieni tra casa e questura, dormii nel mio vecchio lettino, C'era un poliziotto nel corridoio e due giù in cortile…. Durante i funerali mi si avvicinò Porzio e m'abbracciò, al cospetto di tutti.” 94 come Rinaldo Rigola ed Emilio Caldara225 abbia avuto un ruolo in questo clima di distensione. L'arresto fu possibile in quanto l'attività di Jacometti all'estero era attentamente seguita dalla polizia italiana 226. Terminata la sospensione, all'inizio del 1935 divenne segretario della Federazione di Bruxelles227, carica che ricoprirà fino al 1937. Denunciò l'aggressione fascista all'Etiopia dalla tribuna del Congresso degli italiani all'estero, a Bruxelles, insieme a Louis De Broukère,

225 S. Merli Corporativismo fascista e illusioni riformistiche nei primi anni del regime: l'attivita dell' ANS - Problemi del lavoro nelle carte di Rinaldo Rigola. “Rivista storica del socialismo”, 1959, 5. 226 ACS.-CPC., fasc.2608; «Alberto Jacometti racconta la sua vita», dossier del Corriere di Novara, 3.5.1984. A. Garosci, Vita di Carlo Rosselli, VoI. I, Roma-Firenze, 1946, p. 66 e nota. L. Rapone, L'età dei fronti popolari e la guerra. A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.109 “Fu una faccenda che mi turbinò in testa per nove anni,fino a quando, nel 1943, ritornai dal confino: perché mi avevano rilasciato? Non era mai, ch'io sapessi, accaduto. I due interrogatori che avevo subito non erano idonei, per quanto poco me n'intendessi, a farmi apparire una colomba: Perché dunque m'avevano rilasciato? Si fecero molte supposizioni. Mussolini aveva ricevuto, alcuni giorni prima, il vecchio Caldara, ex sindaco di Milano. Si disse che la mia scarcerazione era un elemento di quell' atmosfera nuova che il dittatore (si era nel 1934) intendeva creare.. nei confronti dei socialisti e in preparazione della già baluginante avventura africana.. La verità, molto più rude, molto più sordida, la seppi, nel 1943.. Era accaduto questo, semplicemente, che mio fratello Luigi, tramite un alto gerarca della città, aveva con ventimila lire d'allora convinto un alto funzionario di Bocchini a sottrarre per mezza giornata il mio incartamento dagli scaffali della polizia politica.” 227 Un agente informa con nota 13.5.1936 (XIV E.F.), che la manifestazione del Primo maggio 1936 alla Maison du peuple, 95 presidente dell'Internazionale operaia e socialista228. Davanti alle avvisaglie di una nuova guerra spronò l'azione del partito riproponendo il suo programma del 1932 ed entrando, per questo, in polemica con lo stesso Nenni che criticava, fin dal Congresso di Marsiglia, il concetto di dittatura del proletariato inteso come dittatura di un partito con riferimento alla situazione interna dell'URSS. Jacometti replicò che la situazione sovietica non doveva essere generalizzata e che l'opzione federalista avrebbe garantito l'Italia dalla degenerazione burocratica. Nenni era però di parere contrario: «Individualismo ed antistatalismo sono antirivoluzionari» replica alle proposte di Jacometti 229

4 "Problemi della rivoluzione italiana"(1931-39) La rivista Problemi della rivoluzione italiana, che uscì in tre serie dal 1931 al 1939, espressione del gruppo dei repubblicani dissidenti raccolti intorno a Fernando Schiavetti, recuperò molte tematiche de L'Iniziativa, seppur con un diverso e maggiore spessore politico. All'apparire della rivista il vario universo del fuoruscitismo ha superato la frattura nel PSI, che risaliva al Congresso di Roma del 1922, e visto il sorgere del movimento di «Giustizia e Libertà» che ha vivificato gli ambienti dell'esilio con la sua forte carica dinamica 230 . Jacometti non faceva mistero della sua avversione per GL non presenti comunisti. socialisti e alcuni anarchici, è stata introdotta da un discorso di Jacometti sulla storia e significati della ricorrenza, "glorificazione di Mosca e della politica del fronte unico che ha dato risultati così lusinghieri a Madrid come a Parigi" In A.C.S-CPC, copia in I.S.R. Novara, Fondo Jacometti, busta 4 228 A. Morelli, cit., pp. 250-251. 229 A. Jacometti, Dello Stato proletario, “ Nuovo Avanti”, 13.6.1936; Risposta di Pietro Nenni, ibidem. 230 M.Tesoro Dal repubblicanesimo al socialismo. La rivista «Problemi della rivoluzione italiana», in “ L'emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo”, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 171-207. S. Fedele, Storia della Concentrazione..., cit., pp. 73-126. 96 condividendo le riserve di Rosselli nei confronti del marxismo231; egli, al contrario, rivalutava il carattere dialettico dei socialismo scientifico ed il ruolo centrale dell'uomo nella lotta di classe232 inserendosi nell'alveo genuinamente classista che il PSI si è scelto dopo la riunificazione. Ma il dato di fondo della sua ostilità è che Rosselli comprende nella definizione di «classe rivoluzionaria» anche la piccola e media borghesia, mentre Jacometti diffida di chi non ripone la propria fiducia esclusivamente nella classe proletaria, nel timore che a guidare la rivoluzione antifascista sia un partito moderato. «Il proletariato tende alla socializzazione, la piccola borghesia, invece, tende alla proprietà... La proprietà è egoismo e l'egoista è per la proprietà. L'abisso è incolmabile»233 . Esternò i propri dubbi allo stesso Rosselli che rispose giustificando la disorganicità del programma col suo carattere pragmatico234. Nel maggio dello stesso anno Jacometti pubblicò il saggio «Italia socialista»235. Sottolineando il carattere quasi purificatore della rivoluzione, teorizza il sorgere di un governo provvisorio che ponga mano alla socializzazione dei mezzi di produzione senza però giungere ad una dittatura bolscevica: lo scopo avrebbe dovuto essere l'instaurazione di una repubblica

231 C. Rosselli, Socialismo liberale, Torino, 1979. 232 A. Jacometti, Considerazioni, «Italia Libera», 10.5.1931. 233 A. Jacometti, A metà strada, «Problemi della rivoluzione italiana» n. 6, febbraio 1932. Critiche analoghe sono mosse da Nenni (Il programma di agitazione rivoluzionaria di Giustizia e Libertà “Avanti”!, 30.1.1932.) e Saragat, Il significato funzionale del programma,” Problemi della rivoluzione italiana”, n. 6, febbraio 1932. 234 Lettera di Jacometti a Rosselli del 30.1. 1932 e risposta di Rosselli del 23.2.1932 in: D. Zucaro, Socialismo e democrazia nella lotta antifascista 1927-1939, Milano, Annali Feltrinelli, 1986-1987, p. 158-162. 235 A. Jacometti, Italia socialista, «Problemi della rivoluzione italiana», n. 8-9, aprile-maggio 1932; A. Jacometti, Per un programma, in “Avanti- Avvenire del lavoratore”, 19.8.1931. 97 socialista, articolata su ampie autonomie con i poteri locali modellati in base alle realtà produttive (sindacati, cooperative o altro ancora): «lo penso che il socialismo ha bisogno di autonomie tali da rasentare la federazione». Solo sottraendo potere agli organi centrali, a cui Jacometti affida compiti di coordinamento delle realtà locali, si sarebbe preservata la rivoluzione antifascista dal veleno della burocrazia sclerotizzante e si sarebbe resa possibile una forma di democrazia diretta tramite il costante controllo dei rappresentanti sui rappresentati negli organi di potere locale. In tal modo, quando il governo provvisorio avrebbe convocato una Costituente per legiferare sull'assetto dello Stato, i nemici della rivoluzione sarebbero stati individuabili e facilmente sconfitti. L'unico pericolo per lui, che sembra quasi prevedere quello che effettivamente accadrà, è quello di una rivoluzione moderata che costringa i socialisti ad essere una delle tante forze del gioco parlamentare: le forze moderate «di sotto le ali della chioccia socialista coveranno il pulcino di una Costituente borghese». Come farà il partito socialista ad imporsi alle altre forze, conquistare per sé solo il governo del Paese e dare l'avvio alle riforme? La dittatura del proletariato, una volta instaurata, avrebbe portato alla Repubblica federale ma, per assicurarsi l'effettività del potere, sarebbe ricorsa necessariamente alla violenza: «La rivoluzione va difesa, non credo contro i nemici di fuori, certo, contro quelli di dentro... Il socialismo non è resistenza passiva o, peggio, non resi- stenza. È giustizia. La giustizia è armata». Nel saggio, che non a caso valse a Jacometti il plauso del giornale anarchico L'Adunata dei refrattari236 si nota una consonanza con l'idea di Berneri di istituire in Italia, in sostituzione del Parlamento, un «Consiglio del lavoro» a rappresentanza professionale237.

5 Il rapporto con Camillo Berneri (1935-36)

236 L. Battistelli, Inconvenienti di segnare il passo, « Problemi della ri- voluzione italiana », n. 11-12, luglio-agosto 1932; L'Orso, La Costituente, « L'adunata dei refrattari », 23.7.1932. 237 C.Berneri, Gli asini enciclopedici, «L'Iniziativa», n. 3, maggio 1928. C. Berneri, I moretti dei ministri, «L'Iniziativa» n. 5, luglio 1928. 98 Il rapporto, iniziato nel 1927-28 con la frequentazione degli ambienti dei fuorusciti a Parigi e con la collaborazione alla rivista "L'iniziativa", proseguì per via epistolare (di cui sono pervenute solo alcune lettere del 1935-36) dopo il trasferimento a Bruxelles 238 Non è qui il luogo per approfondire il pensiero del Berneri239, ne diamo solo alcuni cenni evidenziando i loro punti di contatto: egli individuava la burocrazia come strumento di oppressione dello stato sia borghese che sovietico, l'unica salvezza venendo dal federalismo

238 Ma la scomparsa di Camillo non interruppe i rapporti familiari. Ved. la lettera della figlia Giovanna Caleffi Berneri del 16.8.1957 che annunzia la morte della madre Adalgisa Fochi, in ISR Novara, Fondo Jacometti, busta 8, Sul contesto della sua morte, ad opera di agenti di Stalin, M. Baccianini, Lo stalinismo nella guerra civile spagnola e G.Zaccaria, Vittime italiane dello stalinismo, in « Mondoperaio », n. 4-5, 1988. 239 Lodi 1897- Barcellona 1937. Atti del Convegno di studi su Camillo Berneri (Milano, 9 ottobre 1977), Carrara, 1979; Francisco Madrid Santos "Camillo Berneri, un anarchico italiano (1897-1937): rivoluzione e controrivoluzione in Europa, 1917-1937" Pistoia, 1985; Camillo Berneri nel cinquantesimo della morte, Pistoia, 1986; C.De Maria "Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo", Milano, 2004. Sugli anarchici italiani in Francia G. Manfredonia, Les anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste, in: P. Milza, cit.. pp. 223-255 .Questa l'affettuosa rievocazione del suo sistema di lavoro fatta da Jacometti, in "Nuovo Avanti", Parigi, 22.5.1937 e "Guerra di classe", Barcellona, 23.6.1937 :«Cercatore d'istinto, era capace di rinchiudersi in biblioteca per giorni e giorni, a sfogliare, a leggere, a prender note. Ritagliava i giornali, sfaceva un libro per estrarne alcune pagine; quando non poteva sfarlo, copiava. Ripeto che s'interessava a tutto: dalle malattie dei bambini ai problemi delle razze, dai giocattoli alle ultime teorie sull'universo. E ogni annotazione era classificata. La sua biblioteca si componeva così, in gran parte, di un 99 derivato dalla rivoluzione sociale, che avrebbe prodotto comuni indipendenti liberamente federati in cui i gruppi corporativi avrebbero soppiantato le funzioni dell'organizzazione statale. Dal punto di vista economico riteneva si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individuali e collettivisti. La collettivizzazione veniva condannata se frutto di un'imposizione e non come libera scelta: l'anarchia non avrebbe portato ad una società dell'armonia assoluta, ma alla società della tolleranza. Utilizzando i suoi studi su Freud e sulla psicologia, analizzò l'antisemitismo in “Le Juif antisémite”240 in cui pose l'accento sulla lotta contro l'antisemitismo dello stesso ebreo che deve superare la propria condizione d'inferiorità psicologica. L'ebreo è un'entità storico-sociale, piuttosto che una razza, e i suoi limiti risiedono anche e soprattutto nell' “autocastrazione”. Gli ebrei, categoria di senza patria, sono i più adatti a gettare le basi della grande famiglia umana. Berneri inviò una copia di questo libro a Jacometti che gli rispose avanzando "....delle osservazioni...[che]..sono tutte riassunte nel tuo avant propos . Tu non hai fatto che impostare, inquadrare il fenomeno. Di qui una certa aridità. Hai messo lì lo scheletro e non l'hai rimpolpato. E', un po', il genere tuo che si ritrova in svariati tuoi articoli (seguo attentamente quelli dell' Adunata - bellissimi alcuni); il tuo lavoro di ricercatore è sovente troppo nudo. Per fare un paragone ti dirò che sei un po' come un minatore che trovato un diamante pronto te lo mette nelle mani. Ma di questo, ripeto, e almeno per quel che concerne il “Juif anti-semite” ne sei persuaso e lo enorme schedario e di fasci, di casse, di carta stampata o manoscritta. Chi non s'è rivolto a Berneri per un'informazione su questo o quel soggetto? La risposta era sempre la stessa: devo avere qualche cosa nelle mie carte, vedrò. E qualche giorno dopo t'arrivava con la busta di cuoio gonfia di documenti: tutto il lavoro di ricerca era fatto; l'aveva fatto lui, in anni e anni di fervido paziente operare. Date, rinvii, richiami, non mancava nulla». 240 C.Berneri, Le Juif antisémite, Paris, Éditions 'Vita', 1935. Tradotto col titolo "L' ebreo antisemita"; presentazione di Alberto Cavaglion, Roma, 1984 100 dichiari tu stesso. Altre piccole cose: alcune deduzioni mi paiono un po' forzate. (E' un difetto, mi pare, di tutto il freudismo). Per es. il capitolo VII: Complexe de castration. La virago n'aime pas san mari ... parce que insatisfaite au point de vue érotique. Ma è stata sua amante durante un lungo periodo, è da supporre! .., circoncis, donc demi-chatrè. Non ti pare arbitrario? quando molti medici sostengono che la circoncisione è una misura igienica? .. .Detto questo però, ti faccio le mie lodi per il tutto. Anche per il metodo, che mi pare ottimo. La migliore prova è che l'ho letto in due giorni, io lettore lentissimo ....241 Gli rispose Camillo: “..Scrivo un'infinità di lettere riguardanti il movimento; un'infinità di articoli; e quando sono nauseato della politica mi ingolfo nei miei studi preferiti: psichiatria e psicologia. Ha materiale per vari libri, ma non trovo mai il tempo per completare le ricerche e per scriverli. E tu? Se fossi qui ti prenderei a consigliere per uno scritto che ho cominciato ma che non va avanti perchè ho dubbi formidabili sulla sua opportunità. Si tratta di una cosa molto personale, che non riesco a definire. Une specie di lirica in prosa delirante, nella quale parlo del mio esilio, dicendo delle cose che soltanto io posso dire. Mi paralizza anche il fatto che non so quando nè come potrei pubblicare questo scritto che, per la natura sua, non può essere pubblicato fra dieci anni. E' una bomba contro tutti, me compreso. Se tu capitassi a Parigi te ne leggerei alcuni capi- toli e tu potresti consigliarmi. Con Bergamo242 non posso: mi darebbe del «grande scrittore». E so di non esserlo, pur sapendo di avere al- cune doti di scrittore: l'immediatezza, ad esempio. Ma sono molto ineguale, come tutti i nervosi-anemici. Bisognerebbe anche potessi scrivere senza continue interruzioni. Invece non dispongo mai di una

241 A.Jacometti a C.B., Bruxelles, 29.2.36, in C.Berneri "Epistolario inedito", Pistoia, 1980, 1. vol., pag.96; Jacometti aveva già accusato ricevuta del ricevimento del libro in una cartolina postale del 23, Ibid., pag.95 242 Fratelli antifascisti repubblicani veneti; L.Vanzetto L’anomalia laica. Biografia e autobiografia di Mario e Guido Bergamo,Verona, 1994 101 giornata intera e non posso lavorare la notte, che sarebbe per me ricca di ore fecondissime.243 A questa lettera Alberto replicò: "Da Bergamo (con il quale anch’io - e ho sofferto molto - non corrispondo più) avevo saputo, alcuni mesi fa, del tuo «Esilio». Credo che se potessi prenderne conoscenza – e ciò mi farebbe molto piacere – ti direi schiettamente il mio avviso. Come fare? né da quello che Bergamo mi disse, né dal suo accenno, non posso, naturalmente, farmi un’idea un po' esatta di che si tratta. Ma come fare? In Francia vorrei venire, per qualche giorno almeno; ma oltre al resto, mi pesa ancora sulle spalle l’espulsione. Vedrò e, al caso, te ne farò avvertito. Anch’io ho pensato a un «Esilio» che dovrebbe essere il 4° volume di «Nuova Tempra»244 - ma sotto forma di romanzo e che si chiamerebbe «Il pane altrui». I primi tre sono finiti, in italiano, e due, tradotti in francese. Non ho trovato, finora, editori. In italiano, non c’è da pensarci. La N.R.F. mi scrive testualmente: «Je crois qu’il ne serait pas bon pour vous que j’e me large des son sorti» dopo, bene inteso, anche letto i libri. Per il resto vivacchierò, facendo il chimico, a Bruxelles, tu lo sai, si è in piena provincia...... " 245 La corrispondenza riprende alla fine dello stesso 1936, quando la situazione politica è profondamente mutata con la vittoria del Fronte Popolare in Spagna e in Francia, che riaccende la speranza di rovesciare il regime fascista in Italia, presto delusa dal colpo di stato del generale Franco appoggiato da Mussolini e Hitler. A una proposta di Berneri di recarsi in Spagna per dirigere dal lato tecnico un'azienda agricola anarchica, gli risponde: ".. finora, pensando di venire in I[spagna], pensavo di venire come tanti altri (nè ho abbandonata l'idea). Questo per dirti che la tua proposta mi fa riflettere. Tanto più che io non ho bisogno di un posto. Le cose però

243 C.Berneri, lettera a Alberto Jacometti, 6.3.1936, riportata in “Pensieri e battaglie”, Paris, 1938, pag. 244 Così nel testo, probabilmente da leggere "Nova Tempora". Non si hanno notizie dei romanzi citati. 245 A. Jacometti, 10.3.1936, in C.Berneri "Epistolario inedito", cit., pag.98 102 cambierebbero completamente se i miei servizi potessero essere, comunque, utili alla rivoluzione. E allora ti devo francamente dire che: 1) se è vero che sono laureato in scienze agrarie; 2) che sono, per di più, figlio di agricoltore; 3) da dieci anni non mi occupo più professionalmente, d'agricoltura, da tre faccio il chimico (acciai, metalli, materiali di costruzione etc.); 4) e non conosco per niente l'agricoltura spagnola nè i suoi problemi specifici...".246 Più disponibile si mostra in una lettera di poco successiva: "...il compagno Bibbi247 mi scrive invitandomi a fare un viaggio di orientazione sul posto. Gli rispondo con la seguente lettera: va bene. E se veramente credi (credete) che non sia necessario di conoscere la . cultura degli agrumi che per sentito dire e che la mia opera possa essere veramente utile, allora scrivimi e dammi le istruzioni per il viaggio.Sono impiegato e mi occorrono quattro o cinque giorni di preavviso....." 248 Il viaggio viene effettivamente compiuto a gennaio e al ritorno così relaziona: "1- A Valenza incontrai Salvador e un rappresentante della Federa- zione contadini. Parlato lungamente con loro. Sono pieni di energia e vorrebbero fare grandi cose ma le loro idee sono estremamente confu- se. Mi parlano delle necessità d'un tecnico per gli agrumi, per il riso, per i frutti, mi parlano di concimi e della necessità di trovare una for- mula per combattere i parassiti dei frutti etc. Non sono ancora incamminati. Non riescono fino a adesso a disgiungere i problemi per tentarne la soluzione progressiva. Metto da parte, per il momento, i concimi e i prodotti di difesa in genere, per i quali conviene di continuare come per il passato, affidando al tecnico il compito di studio, di ricerca e di esperimento. Mi pare che ci sia la necessità

246 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 18.12.1936, in C.Berneri "Epistolario inedito", cit., pag.98. 247 Gino Bibbi, ingegnere anarchico, nel dopoguerra repubblicano, Carrara 1899-1999 248 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 2.1.1937, in C.Berneri "Epistolario inedito", cit., pag.98. 103 abbastanza urgente di un esperto in coltivazioni speciali. Ritornerò sull'argomento nella conclusione. 2- A Gandia, visto Cassana che si limita a presentarmi alla fabbrica. Visitata la fabbrica [che] ha possibilità grandissime. Parlato con i chimici e specialmente con Serred, il responsabile. Ho la netta im- pressione che questi sia all'altezza della situazione e veda le cose in faccia. E' più al contatto con i problemi pratici e quindi cerca di risolverli.249 249 Entrando in dettagli tecnici, così prosegue:"In grandi linee la questione della fabbrica Vital si può porre così: a) problema attuale urgente: lavorazione arance e degli agrumi in genere, per ottenere sugo, sugo concentrato, essenza, sotto prodotti quali citrato di calcio, polpe seccate, etc. Anche tecnicamente penso che il Serred possa sbrigarsela. Qui si pone, subito, il quesito di salvare il massimo raccolto in corso. Fatalmente, penso, l'esportazione di frutta fresca diminuirà. Bisogna che il non venduto passi attraverso la fabbrica la quale deve fare ogni sforzo per lavorarlo e metterlo in stato di conservazione. Ritengo necessario di fargli credito e di sostenerlo al massImo. Vicino al Iato tecnico di cui, ripeto, il Serred può assumersi la responsabilità, c'è il Iato teorico. Lo studio, cioè, in laboratorio, dei migliori sistemi di produzione, di sfruttamento, di conservazione, di miglioramento. Per ragioni evidenti i chimici attuali, se animati dalla migliore volontà, difficilmente riusciranno ad assolvere il compito. Necessità, quindi, di un chimico sperimentato e a conoscenza delle cose. b) problema economico: i prodotti della lavorazione devono essere venduti. In massima parte all'estero. Pare che già ci siano richieste importanti. Anche qui il Serred è ottimista. Occorre, però, secondo me, sviluppare il mercato: la produzione e la vendita marciando di pari passo, la conservazione essendo sempre limitata in ordine di tempo. Studiare il problema, la cui soluzione dipende da voi, come vedrete nella conclusione. c) problema d'avvenire. La produzione e quindi la lavorazione degli agrumi si svolge su circa quattro o cinque mesi all'anno. E' vero che, per quest'anno, ci sarà, dopo questi mesi in cui tutto lo sforzo deve tendere a 104 E conclude: "Per la fabbrica vi occorrerebbe, il più presto possibile, un chimico con queste qualità: conoscenza profonda della chimica organica, degli agrumi, delle essenze, gusto della ricerca, attitudine alla specializzazione. Qualità, purtroppo, che mi mancano. Mi ci vorrebbero, almeno, parecchi mesi di preparazione teorica. I libri sull'argomento sono scarsi, la specializzazione mi attrae pochissimo e altri problemi e altri gusti mi distraggono troppo. Sarei insomma - per quel posto- un pessimo acquisto...Per quanto mi riguarda non soltanto vi aiuterò in ogni modo ma non escludo a priori una collaborazione anche più vicina....250

6 Dalla guerra civile in Spagna all’invasione nazista (1936-1941) Scoppiata la guerra civile in Spagna, a rendersi conto dell'importanza del conflitto sono soprattutto gli italiani che accorrono a difendere la repubblica; l'Internazionale Socialista (IOS) evolve su posizioni moderate che Jacometti critica già nel 1935 quando, con amarezza, è costretto a prendere atto che solo i socialisti italiani e tedeschi, gli unici ad aver sperimentato direttamente un regime fascista, avvertono immagazzinare, a fare cioè lo stock, da risolvere il problema della lavorazione degli stock. (Vi dò un esempio: si può, al caso, mettere in barile il succo concentrato che, dopo, a seconda delle necessità del mercato, si può vendere come tale o ulteriormente trasformare). Ma, insomma, la fabbrica è attrezzata o può attrezzarsi per ben altre produzioni. Il Serred suggerisce e consiglia l'essenza di fiori, d'erbe aromatiche,etc. L'idea, a parer mio, è ottima. Il suolo deve prestarsi, il clima si presta, la lavorazione si può compiere. I prezzi delle essenze sono elevatissimi, i luoghi di produzione pochi. Cominciare con certa coltivazione. Lavorarla, venderla. Se la cosa va, aumentare la produzione etc. Concludo: C'è, secondo me, la necessità di un tecnico in coltivazioni speciali: frutti, agrumi, erbe d'essenze, fiori. … Il problema dello smercio dei prodotti della fabbrica Vital può essere risolto: o attraverso gli addetti commerciali all'estero o autonomamente. I vantaggi della prima soluzione sono evidenti. Se qualcosa ostacola, necessita trovare agenti sulle grandi piazze internazionali: Marsiglia, Anversa, Amsterdam ”

250 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 2 .2.1937, in C.Berneri "Epistolario inedito", cit., pag.98. 105 il grave pericolo del totalitarismo per l'intera Europa251. Nel gennaio 1937 anche Jacometti arriva in Spagna, per la missione "tecnica" di cui abbiamo già trattato. Dal 1936 al 1939 le attività dei socialisti italiani sono strettamente legate a quelle dell'Unione Popolare Italiana (U.P.I.). Si crea un movimento di solidarietà. unitaria in favore dei combattenti antifascisti in Spagna e viene appoggiata I'idea del Fronte Popolare Italiano e la collaborazione col P.C.I. sbocca in una nuova carta di unità d'azione firmata il 26 luglio 1937 dopo il Congresso di Parigi252,

251 A. Jacometti, Il partito ed il suo dovere, « Il nuovo Avanti », 1l.5.1935; M. Mancini, L'IOS dalla guerra di Spagna al patto nazi-sovietico, Milano, Annali della Fondazione Feltrinelli, 1983-1984, pp. 199-220. 252 “Il fronte popolare è un'alleanza e, come tutte le alleanze è un compromesso. È una risultante di forze. Soggetta quindi a spostarsi con lo spostarsi, il diminuire, 1'intensificarsi delle forze componenti. Direi, se me lo si permettesse,che è un equilibrio instabile. Di qui il suo carattere transitorio. Si può immaginare una politica di fronte popolare per un periodo, per certi scopi, per una data lotta, non si può far di questa politica una linea duratura. Le forze poderose della moderna società sono espresse dai partiti e solamente dai partiti…Persino nei momenti di fronte popolare totale, nei momenti cioè in cui la necessità, l'utilità del fronte popolare sono evidenti, tangibili, è necessario, è indispensabile che, a Iato, ma vivi, autonomi, efficaci, forti, a lato, più forti che mai, esistano i partiti». A.Jacometti: “Sul fronte popolare”, in «Nuovo Avanti», Parigi, 22 gennaio 1938. Jacometti è delegato con Lazzarelli dalla Fed. Belga al 23. Congresso (Parigi. 26-28 giugno 1937) “Pone la questione del programma. La rivoluzione di cui tanto si parla è una risultante di cui noi siamo una delle componenti. Dobbiamo quindi dare al Partito una fisionomia precisa. Qual è la nostra posizione dottrinale nei confronti della banca, della terra, dell'industria, del commercio? Che pensiamo del problema coloniale? Qual è lo Stato per il quale lottiamo, Stato autoritario e centralizzato, Stato federale e disarticolizzato? Parlamento o non Parlamento? Su tutti questi problemi bisogna avere idee chiare, l'improvvisazione essendo il peggiore dei mali. La elaborazione del programma ci aiuterà a risolvere il problema dell'unità organica coi comunisti (che deve essere una sintesi e non una somma) ed il problema dell'unità socialista. (I massimalisti sono mummificati ma sono 106 La linea politica assunta dal PSI nella seconda metà degli Anni trenta lo vede alquanto critico. Turbato per le notizie che giungono da Mosca sui processi contro gli oppositori di Stalin in lui i dubbi sulle alleanze sembrano prevalere sul favore con cui accoglie l'abbandono della linea politica del socialfascismo da parte dei comunisti. I timori di Jacometti si indirizzano sulla possibilità che il PSI si venga a trovare in una posizione di soggezione verso il PCd'I, soprattutto nell'UPI, anche se accetta di entrare nel Direttivo della Sezione belga dell'organizzazione nell'estate 1937253 In seguito al patto germano-sovietico dell'agosto 1939 i socialisti si ritirano dalle organizzazioni del Fronte e Nenni, messo in minoranza, viene sostituito da una segreteria collettiva composta da Saragat, Angelo Tasca e dal vecchio Oddino Morgari 254 Con lo scoppio della guerra i fuorusciti italiani, in quanto sudditi di un paese ostile, vengono fermati e inviati in campi di concentramento, anche se antifascisti255. Nella primavera del 1940 le truppe germaniche dilagano in Belgio e in Francia; la psicosi del tradimento in quei degli operai di sicura fede socialista. In « G L » ci sono fermenti di un grande interesse e di un grande dinamismo). Nel patto dell'unità d'azione ci deve essere questo pensiero: che sia il principio dell'unità organica. Il Partito unico non è forse per domani. Ma tutto va velocemente. Nel 1934 eravamo per i compagni comunisti dei social-fascisti. Oggi lavoriamo assieme. Il Partito, meglio, la Direzione, meglio ancora, Nenni, hanno avuto per le cose di Spagna una grande sensibilità. Perché? Perché è ormai acquisito per noi che non ci sono frontiere nazionali, ma di classe. E' d'accordo perché si crei l'atmosfera di un Fronte Popolare Italiano, ma su un programma chiaro. Quanto all'Unione Popolare, non è questione di essere prò o contro, ma di sapere cosa è. Quando ci siano delle garanzie potremo aderire. Ma la partita si gioca non qui, ma in Italia. Il problema organizzativo più importante è di collegarci meglio con il C.S.I. e di dare il massimo sviluppo al lavoro in Italia.” 253 A. Jacometti, Da Gide a Stalin, «Nuovo Avanti», 6 .8.1937; Id., Invito all'esame, «Problemi della Rivoluzione italiana», II serie, n. 2, gennaio 1938. 254 L. Rapone, Le alleanze politiche nella emigrazione italiana 1937-1940, «Storia contemporanea» 5, 1988. 255 A.Koestler "Schiuma della terra", Firenze, 1947, pag. 99 "In quei giorni.....una buona parte della popolazione del 107 tragici giorni della disfatta giunge al punto che il suo amico Lazzarelli, arrestato dalla polizia belga perché in una lista di sospetti comprendente agenti hitleriani e inviato in Francia con un convoglio, viene fucilato con altri ventuno durante il viaggio. Con l’occupazione hitleriana per gli antifascisti la situazione peggiora ancora: l'armistizio prevede la loro consegna all’Italia con conseguente condanna al carcere o al confino. Il 15 maggio 1940, per evitare la cattura, lasciata la moglie e la figlia Mirella nella capitale belga, con il muratore emiliano Guerrino Tirelli si dirige verso il confine francese, riuscendo a raggiungere Bordeaux e poi Tolosa dove prende contatto con Silvio Trentin, Giuseppe Emanuele Modigliani ed Aldo Garosci. Sfumata la possibilità di ottenere un imbarco per gli Stati Uniti, il 20 settembre rientrano a Bruxelles. Passano poche settimane ed il 24 novembre è arrestato dalla Gestapo e imprigionato nel carcere di St. Gilles. Ai primi di dicembre è fatto salire su di un camion con altri prigionieri e riportato in Italia attraverso la Germania. 256

Dalla guerra di liberazione al Fronte Popolare (1941-48) 1. Ventotene (1943) “....Il 16 dicembre, in una notte stellata e ghiacciata, con venti gradi sotto zero, arrivavamo a Vipiteno. In slitta…. Ricordo il colore fulvo- violetto della notte e la danza delle stelle, piccine, sulle groppe enormi dei monti, il canto dei ghiacciai in quella coppa cristallina e sonora e lo scalpitar dei cavalli e le groppe oleose e fumanti dei continente [europeo] s'era abituata all'idea di essere messa al bando della società. Poteva essere divisa in due categorie principali: gente condannata per l'accidente biologico della propria razza e gente condannata a causa del suo credo metafisico o delle convinzioni razionali riguardanti il modo migliore di organizzare il benessere umano. La seconda categoria includeva l'èlite progressista della intellighenzia, delle classi medie, e delle classi lavoratrici dell'Europa Centrale, Meridionale e Orientale 256 Jacometti, Quando la storia macina, cit., p. 109. 108 cavalli. E la manetta di ferro che mi stringeva il polso e non mi per- metteva di mettere in tasca la mano e la sensazione d'avere il ferro incollato alla pelle….Il 3 di gennaio, di notte, arrivavo a Novara. Vi stetti fino al 17 di marzo. E mia madre venne a trovarmi in prigione. …Per qualche settimana incombette su di me l'ombra del tribunale speciale. Per gli stessi capi d'accusa Sandro Pertini era stato condannato, una dozzina d'anni innanzi, a dieci anni di reclusione"257 Venne invece condannato a cinque anni di confino. La sua destinazione fu Ventotene, uno scoglio nell'arcipelago delle Pontine a sud di Ponza lungo 2700 metri e largo meno di un terzo, "una ciabatta in mare" secondo Camilla Ravera, nemmeno otto chilometri il perimetro costiero, d'inverno spazzata dai venti, d'agosto catino infuocato. Reggono agli uragani e alla lunga siccità estiva pochi ulivi, qualche gelso, l'agave, il fico d'India. Si fatica sulla vanga per cavarne patate, fave, lenticchie, orzo. Rari i vigneti. L'acqua potabile viene con navi-cisterna da Gaeta. Centrale punto di ritrovo piazza Castello, dove sorgono le palazzine dei maggiorenti, qualche negoziuccio, la farmacia. Due sole le strade, al cui incrocio, nel primo tratto a partire da piazza Castello, abita la gran parte dei ventotenesi, in caseine a un piano, il tetto senza tegole, fresche di calce, o in tinta, gialline, rosa. Non tutta l'isola è percorribile dai confinati, reticolati e garitte la sbar- rano a qualche centinaio di metri da piazza Castello. Inaccessibile anche l'area del porto e delle spiagge. A fare il giro completo della cinta confinaria, non sono neanche 800 metri. Nelle ore del passeggio è ressa, un formicaio. Quell'isola ospitò ottocento "confinati" sorvegliati da trecento- cinquanta fra militi e poliziotti, La metà dei confinati sono comunisti, ma vi è rappresentato ogni partito o corrente dell'antifascismo. Di Ventotene si parla nelle autobiografie di molti antifascisti qui confinati, e quella di Jacometti pubblicata nel 1946 e ristampata nel 1974 e 2004 con la prefazione di Umberto Terracini258 è parti-

257 A. Jacometti, "Mia madre", cit. 258 A. Jacometti, Ventotene, Roma, 1946; Padova, 1974; Genova, 2004; ved. anche: G.Aventi (G. Paganelll), Diario, di Ventotene, prefazione di S. Solmi, Milano I975; E. Rossi, 109 colarmente interessante per i vivaci schizzi con cui tratteggia i compagni di pena. Sotto la direzione di Scoccimarro e Longo i comunisti gestiscono sette grandi mense, una lavanderia, un podere con mucche per il latte e vitelli, polli, conigli. Studiano con metodo i classici del marxismo, le opere di Lenin e di Stalin: il confino è per loro l' «università proletaria». Li distingue anche la rigidezza con la quale osservano la linea di demarcazione dagli altri, un gruppo chiuso. Ma la svolta del 23 agosto 1939 - la firma del patto germano-sovietico - produce il dissenso di Camilla Ravera e Umberto Terracini. Jacometti, descrisse la coppia dei "reprobi": sembrano «venuti fuori da un libro di Thomas Mann. Guardateli venir giu, lei con quegli occhi luminosi del più puro, del più tenero azzurro, sull'esile corpo malato, lui lindo, netto, dai brevi gesti aggraziati. Si direbbero diretti a un concerto» E' uno dei rari socialisti di Ventotene, appena tre con Pertini e Colorni259. Al confino la vita d'alveare lo stressa per il chiasso, di giorno gli ingorghi, le voci sovrapposte, di notte nel camerone il cigolio delle brande, la deambulazione degli insonni, e chi russa, chi tossisce, chi scatarra, chi grida nel sonno, chi pesta gli zoccoli andando alla latrina; patisce la mancanza di solitudine, gli verrebbe da gridare: «Si, si, vi voglio bene, ho sposato tutti i vostri mali e le vostre

Miserie e splendori del confino ai polizia, introduzione di R.Bauer, Milano 1981; A.Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. lo, Ulisse, Bologna I984; C.Ravera, Diario di trent'anni, 1913-1943, Roma I973; R.Bauer, Quello che ho fatto. Trent'anni di lotte e di ricordi, in «Rivista milanese di economia», ottobre- dicembre I986; M.Sequino Verae, Camilla Ravera, Alberto Jacometti e i tanti confinati a Ponza e Ventotene, in «Il golfo» maggio-giugno I996 e 30 luglio I996; G. Braccialarghe "Nelle spire di Urlavento", 2005. Sulle condizioni dei confinati, S.Corvisieri "La villeggiatura di Mussolini : il confino da Bocchini a Berlusconi", Milano, 2004 259 Eugenio Colorni (Milano 1909-Roma 1944). Leo Solari Eugenio Colorni , Venezia, 1980 110 sofferenze, ho mescolato il mio destino con il vostro e non mi disdico, lotterò con voi, se necessario mi farò ammazzare al vostro fianco, ma fatemi il favore di andare cinque minuti al diavolo! » Anche del confinato Pertini, Jacometti ha lasciato un ritratto vivace e stupito. "Come fa Sandro", si chiede, "ad essere, su questo scoglio, così elegante?". Chic e pirotecnico: "un uomo- miccia". (in questo 1943 Pertini compie 47 anni, di cui 14 trascorsi tra carcere e confino, senza contare l’esilio). Un ruolo di rilievo lo svolgono, nonostante l'esiguità del numero, i futuri militanti del partito d'Azione. Fra questi, i più autorevoli sono Riccardo Bauer, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli: quest'ultimo, uscito da una lunga militanza comunista, arrestato a vent'anni, dieci nei penitenziari, al rifiuto delle purghe di Mosca, lo espellono, lo isolano. Da confinato si dedica alle attività più varie: orologiaio, contadino, allevatore di polli; così lo descrive Jacometti: «Alto, di larghe spalle, atletico. Quando cammina in su e in giù, i suoi affiancatori faticano a tenergli dietro: a ogni suo dietro-front fan la figura di mezze cicche nelle esercitazioni reggimentali. E' il cervello più completo che abbia incontrato al confino; conosce sette lingue e, seriamente, la matematica e la fisica, serissimamente la filosofia e l'economia. Aperto a tutte le manifestazioni artistiche [...] E' disordinato, incuran- te, indisciplinato e nel contempo capace di qualsiasi adattamento»260 E' a Ventotene che Rossi, nel dicembre del '39, ha la prima notte di nozze con sua moglie Ada, da lui sposata in carcere otto anni prima e mai incontrata nell'intimità. Fuori dell'uscio c'è un militare di guardia. "Dal letto udivamo i suoi sbadigli e quando si soffiava il naso." E tuttavia Ernesto scrive a sua sorella: "Passo questi giorni con l'Ada facendo una vita da pascià". Un esile pascià antifascista su uno scoglio d'Italia, nel fatale 1939. Altiero Spinelli proprio durante la permanenza sull'isola elabora, con Rossi, il Manifesto federalista. Ma ancor prima di varare il Manifesto, i due erano divenuti inseparabili: diversissimi, li univa un anticonformismo istintivo.

260 A. Jacometti, Ventotene, cit. 111 Il programma di Spinelli e Rossi è frutto di diverse stesure successive nelle quali il carattere volontarista originario va via via affievolendosi. Jacometti, invitato a dare il proprio contributo alla redazione del documento quando questo prevede ancora l'unità europea edificata da un dittatore illuminato, non può che rifiutare. Analogo è il comportamento di Riccardo Bauer anche se questi non è disposto a convenire con Jacometti sul ruolo primario da affidare alla classe proletaria nell'edificazione della nuova società europea 261 Nel disegnare l'ordinamento politico dell'Italia postfascista Jacometti propende per un assetto istituzionale di tipo repubblicano con autonomie locali così ampie «da rasentare la federazione». Che l'idea federalista non rappresenti per Jacometti un aspetto contingente lo si evince da uno dei suoi ultimi articoli comparso sulla stampa socialista mentre il Belgio viene invaso dai tedeschi262. In questo scritto egli fa apertamente cenno agli Stati Uniti d'Europa. Davanti al fallimento della Società delle Nazioni, incapace di arrestare l'espandersi del totalitarismo fascista, Jacometti tratteggia un'Europa dei popoli fondata sulla giustizia e non sulla forza degli eserciti. All'idea federali sta non sacrifica, peraltro, il primato del socialismo: «La guerra ha messo sullo stesso piano, quello dell'abbattimento del fascismo, i fini del socialismo e quelli di altre forze», scrive, «Ma il socialismo guarda ad una società nuova: alleanza, dunque, ma non confusione.. ». Il 26 luglio 1943 Pertini, Jacometti e Spinelli sono nella terrazza prossima a piazza Castello che domina sul mare; «Devono essere le 7 e un quarto o le 7 e 20 quando vediamo il repubblicano Buleghin venire verso di noi tutto affannato e gesticolante. Buleghin è un po' il gazzettino di Ventotene, il gazzettino serio e controllato [...] Il suo viso è rosso. Prima ancora di esserci vicino, alza le due mani all'altezza della fronte e dice: Mussolini è caduto, c'è un governo Badoglio, ...

261 A.Spinelli-E.Rossi "Il manifesto dei federalisti europei"; A.Spinelli, Il Manifesto di Ventotene, con un saggio di N.Bobbio, Bologna 1991. Id., Machiavelli nel secolo xx. Scritti del confino e della clandestinità' 194I-I944, Bologna 1993. P.Graglia, Altiero Spinelli Bologna, 2008 262 A.Jacometti, Prevedere per non prevedere, "Nuovo Avanti" 11.5.1940 112 Incapace di star fermo, se ne va a portare altrove la notizia formidabile». In paese, tutti a trastullarsi a fare ciò che sino al giorno avanti era proibito. «Entrano nei caffè e vi si siedono, domandano un mazzo e giocano a carte». Una mattinata di gioia infantile. «Nelle mense, cuochi e sotto cuochi si affaccendano intorno a piramidali pa- ste asciutte»...I confinati di Ventotene andranno via a scaglioni. 2 Nella Resistenza (1943-1945) Con Pertini sbarca sul continente, ma mentre quest'ultimo si dirige a Roma per partecipare alla riunione di ricostituzione del PSI263 la sua scelta di rientrare a Novara per riabbracciare dopo diciassette anni (tranne una breve visita a Bruxelles prima della guerra) la madre e la moglie che con la piccola Mirella che si era ricongiunte alla sua famiglia 264, rinunziando in quell'occasione al ruolo di primo piano a livello nazionale cui poteva aspirare, indica che per lui la dimensione politica era essenziale ma non al punto da anteporla agli affetti familiari, e probabilmente anche per il suo carattere schivo e più propenso ad operare in ambito locale. "Ero arrivato a Milano per il ferragosto….da Ventotene, il treno si era fermato a Lambrate. La città non aveva più né tranvai né tassì. Mi avevano detto che dalla stazione Centrale non partiva più alcun treno…[che].avrei forse potuto trovare alle Ferrovie Nord, dall’altra parte di Milano….fu così che dopo alcune ore, sudato, grondante, slegato in ogni articolazione, raggiunsi le Ferrovie Nord .... . Tolti i tre mesi di carcere, eran quasi diciassette anni che vi mancavo"265. Incominciò con i vecchi compagni ritrovati, Porzio, Ranza, Camillo Pasquali, con i nuovi venuti, a ricostruire il Partito: si trattava di legare le prime maglie, di trovare cioè un punto d'appoggio in ogni paese, qualcuno che si assumesse l'incarico d'avvicinare i simpatizzanti e di radunarli per un primo incontro con l'incaricato della città. L'ostacolo

263 Alla riunione (23-25 agosto in casa di Oreste Lizzadri) erano presenti Nenni, Romita, Vassalli, Basso, Buozzi, Pertini, Lizzadri, Basso, Luzzatto, Vecchietti, Zagari, ecc. (con Bonfatini, Acciartini, Andreoni e Ogliaro provenienti dal Piemonte) 264 A.Jacometti. Mia madre, cit. 265 Ibid. 113 più grosso era proprio il trovare la cerniera, il perno. "Porzio Giovanola faceva appello alla sua memoria: ci doveva essere ancora il vecchio... Ma che cosa aveva fatto durante il ventennio il vecchio? come si era comportato? aveva resistito? aveva piegato? domande che restavano troppo spesso senza risposta. Il meglio era d'andare a vedere. Ci andavo: in poco più di venti giorni riuscimmo a mettere insieme il nocciolo di quaranta sezioni. A Romagnano m'incontrai, per la prima volta, con Giancarlo Pajetta. Non Io conoscevo e sapevo ben poco di lui. Fu del resto il frutto di un errore. Avevo avvertito Mosconi, un vecchio fabbro ferraio, di promuovere la riunione e l'uomo s'era dato da fare. Il giorno convenuto una decina di persone erano riunite in una sua camera sopra la bottega e fra queste un giovane magro, dall'aria sofferente e dagli occhi vividi. Mosconi non m'aveva avvertito di nulla. Tenni la riunione, dissi le cose che dicevo un po' dappertutto e attesi. Fu allora che mi si avvertì che per errore o mala interpretazione della mia richiesta, erano stati invitati oltre che i socialisti anche i comunisti. Niente di male. Pajetta si scusò. Non c'era di che."266 L’8 settembre lo colse a Oleggio, dove la moglie era sfollata con la bambina: “L'indomani di primo mattino ero a Novara nello studio dell'avvocato Porzio. Nei quarantacinque giorni si erano costituiti i comitati dei cinque partiti e quella mattina nel suo studio convennero i delegati. La situazione si era andata schiarendo: ai tedeschi occorreva resistere. Come e con chi? Con l'esercito in primo luogo, c'era da sperarlo e poi con gli operai. Eravamo, noi socialisti, i meglio rappresentati, ma c'erano anche i democristiani, i liberali, gli azionisti. I comunisti avevano inviato due giovanetti ventenni. C'era nell'aria un'atmosfera di dramma e nei convenuti una buona dose di apprensione...... Si prospettava la necessità di prendere contatto con il generale Sorrentino, comandante della divisione di Novara....Fu deciso di procedere immediatamente all'arruolamento di tutti coloro che non si sarebbero accontentati di stare con le mani in mano e di aprire, all'uopo, tre centri di reclutamento....(...)... Fu inoltre deciso di

266 L’episodio è ricordato anche da Pajetta in “Ragazzo rosso”, Milano, 1983. 114 mandare, senza perder tempo, una diecina di noi all'uscita degli operai del mezzogiorno, a parlare davanti alle fabbriche.....Ci dirigemmo verso le officine che si trovano tutte alla periferia della città. Le strade erano percorse da un'agitazione occulta: gruppetti di persone si fermavano sui marciapiedi, davanti ai negozi, confabulavano un istante e si scioglievano per raggrupparsi di nuovo qualche diecina di metri più in là. La stessa agitazione di un alveare minacciato. Buon segno, buon segno. Sarebbe bastato dare un orientamento e la com- mozione si sarebbe incanalata e avrebbe fatto nodo e ariete.M'era toccato il settore di S. Agabio, il più fortemente industriale di Novara. M'era compagno il più giovane dei due comunisti, un ragazzo di diciottenni appena, biondo, esile, dalla dolce espressione femminea. Si chiamava Gaspare Pajetta. Era parente di Giancarlo? Si, era fratello. Mori pochi mesi più tardi, a Megolo, a lato e insieme con Filippo Beltrami ... e Antonio Di Dio. Non so come, ci procurammo un tavolino e ci mettemmo davanti alla Montecatini; la giornata era buona, soleggiata; piccole nubi bianche vagavano neghittosamente nel ciclo. Quando gli operai, chi in bicicletta, chi a piedi, incominciarono a uscire come la prima acqua di una chiusa che stia per cedere, salim- mo in piedi sul tavolino. Gli operai ci guardavano: qualcuno si fermava, un po' più lontano. I quarantacinque giorni badogliani erano stati, in certa guisa, un periodo di transizione, una specie di convalescenza dopo una lunga malattia. Non ci conoscevano, gli operai, a quel tempo, Pajetta perché troppo giovane, io, dopo diciassette anni di assenza. Facemmo cenni d'invito e un cerchio si fermò, sottile dapprima, via via più folto e compatto. Seguivano le no- stre parole con la testa un poco protesa e le palpebre calate a mezzo. Dovevano essere parole nuove, fabbricate di fresco, che appunto perché nuove e fabbricate di fresco, penetravano con difficoltà, di difficile assimilazione. Alla fine, tuttavia, si sollevò, un po' timido, un applauso. Ma nel pomeriggio non entrarono in fabbrica e incominciarono ad affluire, a diecine, a quei centri di arruolamento : la sera, se n'erano iscritti alcune centinaia. Verso sera arrivò una notizia disastrosa: Sorrentino che aveva nicchiato tutta la giornata fra il si e il no, rifiutava le armi. A questa se ne aggiunse subito un'altra; l'arrivo dei tedeschi era previsto per l'indomani 10 settembre. Fu deciso di 115 ordinare a tutti coloro che già s'erano arruolati o che intendevano farlo, di raggiungere Arona in bicicletta. Partimmo verso le otto del mattino a gruppetti di otto o di dieci.. Verso le tre eravamo ad Arona, una cinquantina [ma] per quanto ci dessimo d'attorno, non fu possibile trovare un albergo che ricoverasse tutta quella gente; andammo quindi a Meina, a tre chilometri più in su, sulla riva del lago...... Quanto poi all'andare in montagna facevamo i conti senza l'oste : le notizie di quella mattina, erano catastrofiche : a Milano il generale Ruggiero aveva, anche lui, rifiutato di consegnare le armi, preferendo consegnarle ai tedeschi, piuttosto che al popolo italiano.....Cosi finiva la nostra avventura, appena incominciata o almeno finiva provvisoriamente. Non avevamo, a quel momento, alcuna base, alcuna idea concreta, alcun modo di provvedere al sostentamento e all'armamento di quaranta o cinquanta uomini. Li chiamammo e li avvertimmo che da quel momento ognuno di noi riprendeva la propria libertà d'azione. Io, insieme con Rognoni e con Porzio, mi recai a Macugnaga, sul fondo della Vallanzasca, ai piedi del Rosa, ad attendere gli avvenimenti....Ma la sorpresa maggiore fu l'altra, fu quella che ci toccò l'indomani 13 verso il mezzodì. S'udì una voce: «Arrivano i tedeschi! arrivano i tedeschi!» e, di dietro la chiesa, vedemmo, sullo stradale, due macchinoni mimetizzati sovraccarichi di soldataglia nazista....anche a Macugnaga arrivavano i tedeschi e quarantott'ore appena dopo essersi messi in moto: salute e complimenti! Fu così che il giorno dopo 14, ritornai al piano. E fu così che l'indomani, 15, la Resistenza pubblicava, a Novara, il suo primo foglietto alla macchia; era firmato: Matteotti."267 267 A.Jacometti, Il filo d'Arianna, cit. . Mentre PCI e Pd'A fecero della resistenza armata l'obiettivo prioritario, i socialisti fino alla primavera del '44 sottovalutarono l'importanza dell'organizzazione militare di partito. La formazione delle "Matteotti" fu possibile per l'impegno di dirigenti che si erano attivati nei comitati militari del CLN specie in Piemonte: Corrado e Mario Bonfantini, R.Martorelli, L. Passoni. L. Cavalli, C. Strada “Nel nome di Matteotti : materiali per una storia delle Brigate Matteotti in Lombardia, 1943-45”, Milano, 116 Assunto il nome di battaglia di «Andrea», il 20 settembre con Carlo Torelli per i democristiani e Carlo Leonardi268 per il PCI fondò II Comitato di Liberazione nazionale della provincia di Novara, in cui fu delegato socialista fino alla Liberazione269 . Tra la fine del '43 e gli inizi del '44 vennero costituiti i primi gruppi armati guidati da Moscatelli e Beltrami. . In questo periodo si occupò anche di pubblicare il foglio clandestino Bandiera rossa. La lotta armata lo vide partecipe attivo sin dal primo momento, nonostante i rischi270 "Il giorno dopo di Natale [1943]...eravamo da Moscatelli, il 2 gennaio da Filippo Beltrami. In gennaio arrestarono Alfredo Di Dio e parve che dovesse essere fucilato da un momento all'altro; scapparono Porzio Giovanola e l'avvocato Torelli. Il 26 gennaio 1944, con gli altri due membri del CLN provinciale, Torelli e Leonardi, l'avvocato Ugo Porzio e due ufficiali del comando garibaldino, partecipa alla riunione a Campello Monti, presso la

1982 268 Nato nel 1893, nel 1921 aderisce al PCdI, da cui è espulso nell’ emigrazione per bordighismo; ripresi i contatti col partito nella Resistenza, è catturato e richiuso nel lager di Gusen dove muore nel gennaio 1945. 269 P. Secchia-C.Moscatelli, Il Monte Rosa è sceso a Milano, Torino, 1958; E.Massara, Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Novara, 1984. 270 La vis polemica giunse al punto da far scrivere a Corrado Bonfantini: "...coloro che mascherando...la fifa nè combattevano nè intendevano avere alcun "contatto" e se ne stavano quindi prudentemente nascosti, come l'on. Alberto Jacometti direttore del "Sempre Avanti" (C.B, Risposta a un mascalzone, “Mondo nuovo”, 13.7.1947). Nel gennaio 1948 fu nominato un giurì d'onore che diede del tutto soddisfazione a Jacometti. Inizia allora a delinearsi il rapporto conflittuale con il conterraneo Corrado Bonfantini, che li vide contrapposti nelle scelte politiche con quest'ultimo che partecipò alla fondazione del partito di Saragat. 117 formazione autonoma "Brigata patrioti Valstrona" comandata da Filippo Berltrami271 in previsione di un attacco; la riunione, che vede pareri discordi, si scioglie all'annuncio di un concentramento di forze nazifasciste all'imbocco della valle e i partecipanti riescono a filtrare a stnto attraverso i posti di blocco; il 13 febbraio si svolse la battaglia di Megolo con la morte di Beltrami e di Antonio Di Dio272. In marzo il Comitato di Liberazione si frantumava per la terza volta. Il 6 aprile, mentre c'era ancora nell'aria l'eco delle scariche del Martinetto, arrestarono Carletto Leonardi. Ci eravamo incontrati il mattino in un boschetto nei pressi di Cavaglio; lo portarono a Mauthausen di dove non fece ritorno. A Roasio ne impiccarono una dozzina, con l'uncino, come maiali. A Borgoticino ne fucilarono tredici, in piazza, con tutta la popolazione presente, tredici indicati nel mucchio, poi appiccarono il fuoco alle case. A Fondotoce ne fucilarono quarantadue, il quarantatree-simo essendo rimasto incòlume sotto i cadaveri. A Vignale, ai sette, fra cui due fratelli, fecero prima scavare la fossa...A Ghemme...Erano litanie che non finivano mai. In settembre il Comitato di Liberazione fu rifatto per la quarta volta..Il 7 settembre 1944 con Fornara partecipa ad Alzo all'inconto con i comandanti e commissari garibadini Gastone "Ciro", Moscatelli "Cino" e Coppo "Pippo", e con De Marchi "Justus" della Valdossola ed Enrico Massara della Valtoce, e dalla riunione esce un accordo per

271 Giuliana Gadola Beltrami "Il Comandante", Milano, 1964, toccante testimonianza della moglie. 272 “Il 26 a Campello Monti, ci comunicarono che la Valstrona era stata bloccata dalle truppe tedesche. La stessa notte Beltrami intraprese quella terribile e tragica scalata che lo portò, con la sua brigata, in Valgrande dove, il 13 febbraio cadeva a Megolo, circondato da tutte le parti, con Antonio Di Dio, Citteri, Gaspare Pajetta. Aveva diciott'anni, Pajetta, e il 9 settembre aveva parlato con me, davanti alla Montecatini, per incitare gli operai a prendere parte alla guerra contro i tedeschi”. 118 la costituzione di un comando unico e una spinta alla liberazione dell'Ossola. "[A novembre] arrestarono Piero Fornara. Per mesi, ogni giorno che capitavo a Novara, mi recavo da lui, prima nel suo studio, poi in un gabinetto della Casa di Cura o all'Ambulatorio di Pediatria e li incontravo gli amici e raccoglievo le informazioni. L'arresto di Piero Fornara mi lasciava cieco e privo di mani. Che fare? ....Fu un inverno terribile. La neve veniva giù senza sosta e assediava i partigiani sui monti. Per recarmi da Oleggio a Novara in bicicletta (17 chilometri) impiegavo più di due ore, arando la neve come il vomere dell'aratro la terra. La fortuna m'aveva preso per mano e non mi abbandonava ancora, una fortuna sfacciata. La cospirazione s'impara e s'intesse come una rete, ma per prudente, cauto, circospetto che sia, c'è sempre una maglia che sfugge e si rompe; la fortuna soltanto può riprenderla e fare il rammendo. Fu lei a tirarmi fuori il 26 gennaio dalla Valstrona, sotto il muso dei tedeschi, fu lei a frastornare l'attenzione delle guardie repubblichine di Borgoticino nel punto in cui passavo carico di stampa clandestina, fu lei a suggerirmi la via per uscire dalla stazione di Novara bloccata. Poi venne la primavera. Il comizio del 26 aprile riconsacrava la città e apriva le vie dell'avvenire. C'era la folla occhiuta e dalla bocca enorme, dalla quale passavano i tuoni; la folla del formicaio, indistinta, quella ch'era stata l'anima del sottosuolo, tremebonda e intrepida, vigliacca ed eroica; la folla che aveva tremato e sperato, che aveva arretrato come un'acqua davanti alla frana e poi, come un'acqua con i suoi mille tentacoli, con i suoi allacciamenti mortali, s'era infiltrata dappertutto, anonima, cieca, incosciente, scacciando i topi e gli scarafaggi. I suoi evviva eran boati. Era una folla che si assolveva e si acclamava, una folla che fugava con quel suo rombare, le paure pe- santi, le esitazioni, che staccava l'ombra da sé per non essere che crosta e spigoli e roccia. La vittoria era sua."273

3 Dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948. L’elezione alla Costituente Dopo la Liberazione segretario della federazione di Novara274, diresse dal 1945 al 1947 l'organo di stampa di quella federazione, Il

273 Ibidem 119 Lavoratore, e dal 1947 al 1948 il Sempre Avanti! di Torino. Fu eletto al Consiglio comunale di Novara dal 1946 al 1951. Al Consiglio nazionale tenuto a Roma dal 29 luglio al 1°agosto 1945 diede l'adesione alla mozione Pertini che prevalse con 340.000 voti su quella "unificata" (Silone, Bonfantini, Saragat , Vecchietti), che raccolse 156.000 voti delle minoranze antifusioniste di destra e sinistra. Jacometti fu eletto nella Direzione composta di 15 membri.

274 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000: “un giorno dell'agosto 1945 [andai ad iscrivermi al PSI]…Ebbi così modo di conoscere da vicino gli esponenti più in vista del partito, dei quali avevo già ascoltato i comizi. Primo fra tutti Alberto Jacometti… Camillo Pasquali, Sandro Bermani, Piero Fornara, Ugo Porzio Giovanola,... Mi accorsi, frequentandoli, che questi cinque uomini avevano in comune una grande onestà, la capacità di esprimere nel quotidiano la loro fede socialista, una totale disponibilità nei confronti dei più poveri. L'80 per cento delle cause patrocinate dall'avvocato Pasquali erano a parcella zero. Anche Fornara, che tutti conoscevano come "il medico dei bimbi", non si faceva mai pagare. Quando, quarantanni dopo, il PSI… fece la fine che tutti sappiamo, mi reputai fortunato di avere avuto come amici e maestri cinque galantuomini, cinque veri socialisti, il cui ricordo ed insegnamento ancora oggi mi stimolano e mi confortano. L'anno successivo alla mia iscrizione la federazione novarese del partito mi offrì l'incarico di capo- redattore del "Lavoratore", il settimanale socialista fondato a Novara nel 1895. Allora la mia frequentazione con i dirigenti del partito si trasformò in sodalizio, in modo particolare con Jacometti, Pasquali e Porzio Giovanola, che erano i più assidui collaboratori del settimanale. …Lasciai "II Lavoratore" e, più tardi, anche Novara, quando mi trasferii a Torino per lavorare alla "Gazzetta del Popolo". Non fu una separazione facile. Ed ebbe anche qualche strascico che non avevo previsto. Jacometti, in modo particolare, cercò di trattenermi promettendomi, a non lunga scadenza, un seggio di deputato. E quando, in una riunione del Comitato Centrale del PSI, Rodolfo Morandi chiese la mia espulsione dal partito perché entravo a far parte della redazione di un giornale "borghese", Jacometti difese la mia scelta precisando che l'ingresso di giornalisti socialisti nei grandi organi di informazione non era da ostacolare, caso mai era da favorire. Anche Nenni e Pertini presero le mie difese e dell'espulsione dal partito non si parlò più. Non so a quale funzione, a quale ruolo, alludesse Jaco- metti quando auspicava l'entrata di giornalisti socialisti nei quotidiani "borghesi”… non mi illudevo di poter influire sull'indirizzo politico del 120 Nel luglio 1945 la Direzione del PSI aveva indicato tra le condizioni di adesione al governo la confisca delle terre incolte e delle rendite terriere che non fossero reinvestite in migliorie, nonché l'avvio della riforma agraria col rendere permanente l'assegnazione delle terre prevista dal decreto Gullo e con la promozione di nuove assegnazioni con contributo statale. Jacometti elaborò per conto dell'Istituto di studi socialisti una proposta di riforma agraria ma lo schema approvato dal Comitato centrale nell'ottobre 1945275, impostato sul giornale e sapevo per certo che non sarei mai stato, al suo interno, una sorta di quinta colonna….Questo non significava che avrei rotto i ponti con il partito, come il "bolscevico" Morandi sospettava. Per altri trent'anni continuai a rinnovare la tessera del PSI e a tenere stretti contatti con Jacometti e a corrispondere con Pietro Nenni, Francesco De Martino, Lelio Basso, Aldo Aniasi e tanti altri.…per quanto io lavorassi in un giornale sempre più marcatamente democristiano, non ruppi mai i ponti con il PSI. Del resto, mi era impossibile, perché Alberto Jacometti intratteneva con me una fitta e intrigante corrispondenza, con la quale mi aggiornava sulle manovre interne del partito; sugli scontri con Lelio Basso, che poi sarà costretto nel 1964 a sospendere dal partito nella sua qualità di presidente del Collegio nazionale dei probiviri; sul destino sempre più precario dell'"Avanti!", al quale entrambi eravamo molto affezionati; sulla sua marginale attività di narratore sempre alla ricerca di un editore. Rileggendo le sue lettere, a distanza di tanti anni, ho scoperto un elemento che mi era sfuggito alla prima lettura: cioè una carica di affetto sincero assai insolita fra compagni di partito” 275 A.Jacometti La riforma agraria, Roma, 1945; lo schema fu curato da Giovanni Sampietro, commemorato così da Jacometti in occasione della scomparsa: "il professor Sampietro... era stato iscritto al partito [socialista] fin dal 1945 ed in Parlamento, nella prima e nella seconda legislatura, aveva portato un vivo interesse per i problemi agricoli…. Il suo nome è legato alla lotta per i patti agrari . Nel 1953 egli aveva fatto suo il disegno di legge Segni. Professore universitario, direttore della stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli, esperto di genetica vegetale. Esperto tra i più vivi, intelligenti ed aggiornati, aveva viaggiato in tutto il mondo , dagli Stati Uniti alla Cina, dall'Unione Sovietica all'India, e da ogni viaggio riportava una messe di fatti, di cognizioni nuove, di nuove esperienze . Soleva dire «Io insegno ai contadini, ma i contadini insegnano a me»…. Il riso era la sua passione, una passione quasi esclusiva ed i contadini del suo vercellese ricordano i formidabili attacchi che egli scagliò contro l'Ente risi…” “Atti 121 concetto di «unità aziendale» e ispirato al riformismo socializzante e produttivistico, fu ben presto scavalcato dagli eventi e accantonato (per riaffiorare solo in anni successivi, sotto la gestione centrista diJacometti-Lombardi, o addirittura ai prodromi del centro-sinistra). Con Rodolfo Morandi e con Foscolo Lombardi, segretario della federazione fiorentina vicino a Lelio Basso, nel periodo precongressuale prese posizione contro le divisioni nel Partito con una "Lettera aperta ai compagni"276 Al primo Congresso dopo la caduta del fascismo, tenuto a Firenze dall’11 al 17 aprile 1946, fu nominato nella Direzione "di compromesso" con Nenni presidente, con altri sei esponente della mozione di "Base" (Basso. Cacciatore, Pertini, Morandi, F. Lombardi, Chignoli) più i sette espressi da "Critica sociale" e "Iniziativa". Firmò il patto d’unità d’azione (il terzo dopo quelli del 1934 e del 1943) il 26 ottobre 1946 con Nenni, Pertini, Saragat, I.M.Lombardo, Foscolo Lombardi per il PSI e Togliatti, Longo e Scoccimarro per il PCI. Le elezioni per l’Assemblea Costituente vennero indette, contemporaneamente al referendum istituzionale, per il 2 giugno 1946 e ad esse parteciparono per la prima volta in Italia le donne. Fu tra i 115 socialisti eletti alla Assemblea Costituente, composta di 556 deputati e insediata il 25 giugno 1946. Il successivo congresso socialista (Roma, gennaio 1947, 25° della serie) fu quello della scissione di Palazzo Barberini con l’uscita dal PSI delle correnti riformista (“Critica sociale”) e anticomunista (“Iniziativa”) che diedero vita al partito socialdemocratico filo- occidentale capeggiato da Saragat. Jacometti polemizzò con gli scissionisti ricordando "come tutti gli atti del partito fossero stati approvati da Saragat. Concluse con un appassionato appello rivolto a

Parlamentari” Camera dei Deputati, iv legislatura, seduta dell'8 aprile 1965. 276 "Rassegna socialista", 1.3.1946 122 socialisti e comunisti di stringersi attorno al Patto d’unità d’azione”.277 Anche in questa occasione fu eletto nella Direzione. Tra la fine del 1946 e il 1947, anche come ripercussione della scis- sione di Palazzo Barberini, fu emarginata la leadership socialista riformista: così nella Lega nazionale delle cooperative (Canevari- Casalini278) come nella CGIL e nelle altre organizzazioni di massa. L'attenzione alla produttività e al mercato riscontrabile nella dettagliata mozione socialista per il primo congresso nazionale della CGIL lasciò il campo alla ricerca della rottura politica con la grande proprietà e con le organizzazioni delle forze intermedie della campagna, e alla assunzione delle istanze rivendicative del sindacalismo bracciantile e mezzadrile, egemonizzato dai comunisti. Le tematiche programmatiche furono sovrastate dalle questioni di carattere politico e ideologico (equilibri governativi, rapporti con il PCI). Del progetto di costruzione dello Stato sociale e democratico sancito con il programma varato dal Comitato centrale dell'ottobre 1945 si erano perse le tracce. Al congresso di Roma del gennaio 1948 (26°) “sottolineò i risultati positivi che il Partito aveva conseguito dopo l'ultimo Congresso, contribuendo a mettere l'intera classe operaia in linea per le future battaglie, estirpando quasi completamente l'anticomunismo dal Partito ed evitando che in Italia si producesse una situazione di tipo francese. Venendo a trattare delle imminenti elezioni egli accennò poi al problema dei ceti medi il cui agganciamento egli disse indispensabile per potere raggiungere la maggioranza insieme ai 6.000.000 di operai e ai 3.000.000 di contadini. Concludendo, egli si pronunciò per la presentazione di liste unitarie di Fronte perché 277 In provincia di Novara la scissione ebbe scarsi consensi alla base. Dei 149 comuni, 13 erano guidati dai socialisti da soli e 68 insieme con i comunisti, contro i 31 amministrati dalla DC. V.Rolla "La riorganizzazione del Partito socialista" in "Il dopoguerra nel novarese 1945-50", numero speciale di "Novara provincia", 1990 278 Emilio Canevari (Pavia 1880-Roma 1964) cooperativista e Giulio Casalini (Vigevano 1876- Torino 1956), medico, 123 unica è la strada per la vittoria delle classi lavoratrici che senza la vittoria del Partito socialista sarebbe una vittoria mutilata."279 Il 18 aprile 1948 la lista unitaria cui aveva dato, pur con qualche riserva, il suo consenso, è battuta e lui non è rieletto. In una atmosfera di costernazione si svolse tra il 24 e il 29 aprile 1948 la sessione della direzione per valutare i risultati. Man mano che i dati arrivavano dalle circoscrizioni, la sconfitta complessiva del Fronte popolare assumeva i contorni di una disfatta specialmente per il Psi. Il segretario Lelio Basso indicò nella «deficienza dei quadri del partito. Nessuna linea politica si realizza se non abbiamo dei buoni quadri. L’apparato non esiste purtroppo!» la causa che aveva determinato l’esito negativo del voto: Poco prima Guido Mazzali, nell’illustrare gli umori della base a Milano, raccontò di un clima di «grande irritazione» e di «critiche ... contro l’apparato», sottolineando il «pericolo della disgregazione». Luigi Cacciatore parlando della Campania commentò: «ci siamo troppo illusi sulla efficienza organizzativa del Partito». È significativo che, pure se con qualche contraddizione, gli interventi dei tre dirigenti ponessero l’accento più sulle inefficienze organizzative e meno sulla validità della linea politica. Ma in un altro passo Mazzali afferma: “La grande massa non crede nel Partito e soprattutto non crede nel Fronte”. La critica di militanti e iscritti tendeva a sovrapporre le responsabilità politiche dei dirigenti e le lacune dei funzionari. Lo spettro di una fronda interna che mirasse alla sostituzione di tutto il gruppo dirigente dominava le riunioni della direzione e provocò la du- rissima reazione di Basso all’apertura dei lavori, il 24 aprile: «E’ del parere di prendere posizione netta contro il Congresso, considerare il solo fatto che si chiede il Congresso un atto di sabotaggio. Quando ci si sofferma a far delle polemiche sul passato è il sistema peggiore per risolvere i problemi»’. L’ampiezza della sconfitta aveva prodotto una pressione dal basso troppo forte per essere dominata con soli provvedimenti disciplinari. Quando il dissenso interno assunse le dimensioni di una opposizione netta, Nenni respinse la linea dura di Basso e suggerì una tattica diversa, di passaggio morbido dei poteri ad

279 Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol.5, Roma-Milano, 1968 124 altri dirigenti fidati: “Bisogna essere noi a cercare, creare un gruppo di uomini a cui consegnare il Partito – affermò – Penso a Sandro Pertini, nonostante i suoi difetti”. Basso cercò ancora di resistere; trovandosi isolato, però, cedette e la direzione decise la convocazione di una assise straordinaria

Segretario nazionale del PSI (1948-49) 1 Il congresso di Genova (giugno 1948). L'elezione a segretario

Furono presentate tre liste: quella di "Sinistra", firmatari Nenni, Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri, favorevole alla riconferma della politica unitaria, cui si contrapponeva "Per il socialismo" di Romita, Calogero e alcuni sindacalisti. Vi era infine la posizione intermedia di "Riscossa", favorevole al mantenimento del Patto d'unità d'azione ma non al Fronte. Massimi esponenti erano Sandro Pertini, Alberto Jacometti, Fernando Santi280, Giovanni Pieraccini281 e due "azionisti" da poco confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa. Lelio Basso non aveva aderito a nessuna mozione. Il 27° congresso282, svoltosi a Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948, fu contrassegnato da un colpo di scena: salito sul palco, Pertini

280 Parma, 1902-1969; Sindacalista. Fernando Santi e il ruolo del sindacato nella democrazia italiana: seminario di studi CGIL Roma, 1980; F.Persio Fernando Santi : l'uomo, il sindacalista, il politico, Roma, 2005 ; R. Spocci Fernando Santi : un uomo, un'idea, Parma, 2002 281 Viareggio 1918. Ministro durante i primi governi di centro- sinistra, ex direttore dell'Avanti! 282 Al Congresso provinciale novarese tenuto ad Arona il 20 giugno le mozioni Riscossa e Politica socialista di Camillo Pasquali unite ottennero il 48% dei voti contro il 42% dei romitiani rappresentati dal pediatra Piero Fornara; il successivo congresso provinciale si tenne a Novara il 24 aprile e vide la riconferma di Riscossa alla guida della Federazione 125 abbandonò "Riscossa" nel timore che una caratterizzazione del Psi in senso anticomunista compromettesse l'unità di classe. Nel suo intervento Jacometti “attraverso un esame critico dei risultati elettorali del 18 aprile attribuì le cause della sconfitta all'estensione del Fronte suI terreno elettorale e al cedimento oltre che del ceto medio anche di una parte della classe lavoratrice che non aveva votato per il Fronte. La sconfitta elettorale sarebbe stata irreparabile se pagata con la perdita di ogni iniziativa. Quanto al problema deIl'unità .socialista, esso doveva essere risolto «facendo rientrare nel socialismo quel milione e 700.000 elettori che ne erano usciti» mediante una politica ancorata alla classe operaia. Il PSI doveva portare il proprio contributo al Comisco tenendo conto del fatto che in questo organismo erano presenti partiti socialisti come quelli inglese, belga, olandese e dei paesi scandinavi che raccoglievano la maggior parte dei lavoratori dei rispettivi Paese. Ma se al PSI fosse stata imposta la condizione della rottura coi comunisti e dell’entrata nel blocco occidentale, esso avrebbe dovuto apertamente rispondere di non essere disposto a subire queste condizioni” 283 "Riscossa socialista" ottenne il 42%, la Sinistra il 31% e Romita il 26%. Gli sconfitti, interpretando il risultato come uno sbalzo di umori della base dopo l'esito elettorale, decisero di autoescludersi dalla direzione e di lasciare ai vincitori l'ingrato compito di guidare il partito con la sola maggioranza eletta.284 Avendo defezionato Pertini, l'esponente più popolare della mozione, ed essendo Riccardo Lombardi entrato nel PSI da pochi mesi, fu eletto segretario Alberto Jacometti, fino ad allora poco noto alla base del partito 285. Ben presto si delinearono i primi problemi: "Nenni mi domandò se eravamo disposti ad accettare Pertini quale segretario; la

283 F.Pedone "Il socialismo italiano di questo dopoguerra", pag. 224-5 284 La Direzione risultò composta da: Adinolfi, Barbano, Borghese, Carli-Ballola, Dugoni, Fabbricotti, Fiorentino, Foa, Lombroso, Lupis, Manno, Matteotti (vicesegretario), Nitti, Pellanca, Perrotti, Pieraccini, Pierantoni e Santi (oltre a Jacometti e Lombardi) 126 sinistra subordinava a questa condizione la propri partecipazione alla Direzione. Risposi che no...... Un nucleo centrale c'era, duro, ossuto, che giorno per giorno trovava i modi d'incastrarsi e di solidificarsi. N'era uscito un esecutivo non del tutto da buttar dalla finestra. Se non che c'era Matteotti Giancarlo… Quando domandava la parola cominciava col fare qualche bonaria riserva, quindi sviluppava una tesi diametralmente opposta a quella da noi propugnata e so- stenuta….La maggior parte delle volte finiva per arrendersi accontentandosi di far mettere a verbale una riserva o una dichiarazione. Ma nessuno era mistificato, sapevamo bene tutti che il dissenso non portava su questa tesi o su quest'altra, ma sul fondo; convivevamo, ma noi eravamo di qui, lui era di là, la discriminante essendo, com'è naturale, la politica internazionale: mondo socialista e mondo capitalista, noi dicevamo; egli contestava al primo il diritto di chiamarsi socialista. Che fare? C'era ben poco da fare, la ragione insieme con la logica comandavano le sue dimissioni dalla carica di vice-segretario del Partito e più di una volta fu espresso dall'esecutivo parere in questo senso. Ciò che si doveva evitare era un nuovo scandalo politico. Il nome di Matteotti aveva un peso specifico; non era Giancarlo, ma il figlio del martire. La sua firma sotto la mozione di Riscossa è stata una di quelle che l'avevano portata alla vittoria, sia pure relativa. E noi dirigevamo il partito con il 42 per cento dei voti; un nuovo distacco, uno sgretolarsi di quella fragilissima maggioranza e tutto se ne sarebbe andato al diavolo. …. Con tutto ciò il partito non voleva morire; veniva anzi, con il passare dei mesi, dando segni di ripresa, di uscire lentamente dal torpore…"286

2 La lotta su due fronti. Frazionismo di destra e di sinistra. Nella relazione al ConsigIio Nazionale del 9 settembre, Jacometti, rilevato che il partito era di nuovo in fase di ascesa, specie nel

285 [I centristi] Non avevano uomini addestrati alla vita di partito. Le loro figure più rappresentative, i Lombardi e i Foa, erano da poco nel PSI. La stessa scelta del segretario, l’onestissimo Jacometti, dimostra come mancassero di personaggi di grande impatto agli occhi del partito. L.Basso, Il PSI negli anni del frontismo, “Mondo Operaio”, luglio-ag. 1977, n.7/8 286 A.Jacometti, "Il filo d'Arianna", cit 127 Mezzogiorno, dopo la grave crisi politico-organizzativa connessa alla scelta frontista, richiamava le direttive su cui si era mossa dopo Genova la Direzione: reciproca lealtà con il PCI nell'applicazione del patto di unità di azione; scioglimento del Fronte senza mettere in discussione l'azione unitaria della classe lavoratrice; lettera al Comisco nella linea espressa al Congresso; quanto al problema dell'unificazione socialista - la cui impostazione da parte della Direzione era già valsa a creare motivi di crisi nelle file degli scissionisti, avviando un processo di recupero - esso consisteva nella necessità di recuperare non Saragat ma un milione e ottocentomila lavoratori che, disorientati, avevano votato UdS287. Nella replica agli interventi di Cacciatore, Basso, Pertini, Morandi, Nenni della Sinistra, di Romita della destra e di Barbareschi e Lombardi per Riscossa, Jacometti fu piuttosto evasivo a proposito dell'alIeanza democratica, la cui preparazione, disse, era necessariamente lenta; cercò inoltre di smussare i motivi di contrasto con Nenni. Nuova alleanza democratica e opposizione all'ipotesi di riunificazione socialista furono quindi i motivi su cui maggiormente insistette l'opposizione di sinistra. Il Consiglio Nazionale si concluse comunque con un voto di fiducia, a maggioranza, alla Direzione. A metà ottobre l'Esecutivo, dopo aver aperto un'inchiesta su iniziative frazionistiche deferiva ai probiviri Carlo SpineIli per aver partecipato ad una manifestazione per l'unificazione socialista. L'iniziativa più rilevante fu però di Romita che il 3 novembre inviava alla Direzione un documento per l'unificazione socialista, redatto da lui stesso e da esponenti del PSLI, dell' UdSe indipendenti, indicandone le premesse nell'uscita dal governo di PSLI e UdS e nell'abbandono del patto di unità d'azione. Dopo aver respinto il documento e invitato Romita a dissociarsi, Jacometti rilevava che l'unificazione fatta su quella base avrebbe segnato la vittoria dei secessionisti e ribadiva che l'idea dell'unità socialista era stata presa per rafforzare il PSI, e quindi in una prospettiva di svuotamento delle forze scissioniste288, cioè di proselitismo nei confronti della base saragattiana.

287 Unione dei Socialisti, fondata nel febbraio 1948 da Ivan Matteo Lombardo 128 Il 19 dicembre l'Esecutivo, presa conoscenza che alcuni socialisti avevano inviato al Congresso di unificazione tra socialisti e comunisti polacchi un telegramma augurale, esprimeva deplorazione per la loro condotta. Sulla valutazione delle "unificazioni" nell' Europa dell'Est, c'era tra "centro" e "sinistra" un netto dissenso: la posizione della Direzione era: «Noi non presumiamo di giudicare i nostri compagni. Ci auguriamo solo che essi abbiano operato sotto la spinta della necessità storica (che coincide con la libertà) e non già di una coercizione: che cioè essi abbiano scelto e non subito». Dopo essere stata accusata, sul finire dell'anno, dall'organo ufficiale del Cominform di aver posto sullo stesso piano forze del campo imperialista e quelle del campo della pace, la Direzione centrista doveva fronteggiare a metà gennaio 1949, un nuovo attacco da sinistra, aperto dai rappresentanti di 52 delle 56 sezioni romane del PSI. Alla pressione interna si aggiunse una pressione esterna per ostacolare lo scioglimento del Fronte popolare: nella direzione del PCI all'emozione per l'attentato a Togliatti si aggiungeva l'allarme per la scissione sindacale e la repressione di Scelba, dando forma a presagi di isolamento e di involuzione autoritaria e in quest'ottica ogni allentamento del legame tra comunisti e socialisti appariva un attentato alla capacità di resistenza del proletariato. Il dibattito si sviluppò, quindi, intorno a due alternative: favorire un'ulteriore spaccatura del PSI, attaccando frontalmente la nuova direzione, o lavorare presso la base per favorire un cambio di maggioranza.289

288 A.Jacometti, Un forte partito, più che un grande partito, "Avanti!", 24.11.1948 289 A.Jacometti Il filo d'Arianna, cit., "Si era in piena discussione con i comunisti sulla faccenda dello scioglimento del Fronte. lo non sono mai stato contro il Fronte; era, in quella situazione politica, un tentativo da farsi; ero contro la tattica della cosiddetta lista di fronte…. Si può discutere all'infinito e sostenere che si poteva resistere. Certamente che si poteva resistere: vuoI dire che il carro della politica popolare sul quale viaggiava il partito e che si era impantanato cosi profondamente il 18 aprile, sarebbe stato inghiottito fino alle sale. Chi voleva disincagliare il partito e ridare respiro alla politica popolare doveva passare di là, ed avere il coraggio non di lasciar morire, ma di ammazzare, coram populo, il Fronte. Né si trattava, come è ben apparso, 129 3 La politica internazionale e l’opposizione al patto atlantico Ai primi di ottobre la Direzione emanava un documento di politica internazionale290 che pur riconoscendo che il contrasto fra i blocchi di potenze era un aspetto della lotta di classe, affermava che «il conflitto fra i due sistemi statali non esaurisce in sé i termini della lotta di classe» Primo compito dei socialisti era la difesa della neutralità assoluta «chiaramente rispetto agli Stati e non rispetto alle classi sociali in lotta». Un editoriale dell'«Avanti!» sottolineava che aIla «"politica estera" noi contrapponiamo la "politica internazionale"; alla lotta di potenza fra gli Stati, contrapponiamo la lotta fra le classi ed a quest'ultima, e non alla prima, affidiamo il compito di portare avanti la civiltà, cioè la libertà, cioè il socialismo. Il compito della classe operaia e delle classi lavoratrici non può esaurirsi nello Stato; il socialismo non è una dottrina statolatra; è al contrario, nei suoi motivi più profondi e originali, dottrina libertaria. Esso mira alla distruzione dello Stato, come organizzazione degli interessi di classe, e non al suo consolidamento» 291 Sviluppando tale impegno sulla tematica di politica internazionale, l'Esecutivo indisse per il 31 ottobre la «Giornata socialista per la pace e la neutralità»: in ogni capoluogo di provincia si sarebbero tenute manifestazioni in cui oratori socialisti avrebbero illustrato la allora e più tardi, di rimettere sul tappeto la politica unitaria del partito. La politica unitaria è una cosa, il Fronte era un vestito che la politica unitaria aveva indossato in quel dato momento. In quel vestito la politica unitaria, a mio parere, arrischiava di soffocare: necessario era dar dentro con le forbici e gettar il vestito. Per ciò che mi concerne, l'aver avuta la visione chiara del problema e il coraggio, in quella situazione, di affrontare difficoltà obiettive e soggettive, accuse, insulti, insinuazioni e fin la taccia di traditore, è una delle pochissime imprese di cui vado fiero. Per la verità non furono i comunisti a creare gli ostacoli maggiori….Gli ostacoli vennero. da due parti, dai faziosi e dai ciechi del partito che sarebbero andati a rompersi la testa contro il muro pur di non darcela vinta e dai rappresentanti degli «alleati», in modo speciale del cosiddetto movimento della sinistra cristiana, i Miglioli, i Montesi, l'Ada Alessandrini…." 290 "Avanti!", 3.10.1948 291 Classe e stato, "Avanti!", 7.10.1948 130 dichiarazione per la pace e la neutralità; ma l'iniziativa, cui aderiva anche il Partito cristiano-sociale di Gerardo Bruni, era criticata, con accentuazioni e argomenti diversi, sia dalla sinistra interna che dal PCI. Togliatti diceva di preferire alla parola d'ordine della neutralità quella della lotta per la pace contro gli imperialisti e per l'amicizia con l'URSS 292.Gli esponenti deIla sinistra socialista manifestarono il loro dissenso dall'impostazione neutralistica temendo che la neutralità po- tesse isolare il proletariato in una sorta di equidistanza nel momento in cui invece in caso di guerra occorreva schierarsi senza riserve e attiva- mente col blocco sovietico. Di qui le ragioni di un contrasto interno che si manifestò anche nella tormentata elaborazione della mozione socialista sulla politica estera presentata alla Camera a fine ottobre: la maggioranza dei gruppi parlamentari, infatti, riconoscendosi nelle posizioni della Sinistra, si opponeva a che nella mozione fosse inserito il concetto di neutralità, al quale invece la Direzione non poteva rinunciare, se non a prezzo di veder sconfessata la sua stessa ispirazione di politica internazionale293.

292 "L'Unità", 9.11.1948 293 A.Jacometti, "Il filo d'Arianna", cit. " Con il congresso di Genova si era creata una situazione non nuova per i socialisti, una situazione anzi quasi tradizionale: il dissidio fra direzione e gruppi parlamentari. Una direzione di Riscossa, un gruppo. parlamentare in maggioranza della Sinistra....Ora era avvenuto questo: che la direzione aveva deciso di promuovere una grossa campagna sulla parola d'ordine della pace e della neutralità, culminante il 3I ottobre con manifestazioni e comizi in tutto il paese e che il gruppo parlamentare doveva proporre in quel torno di tempo una mozione sullo stesso oggetto alla Camera dei Deputati. Ed era avvenuto che il gruppo parlamentare preparasse una mozione in cui non soltanto il concetto di neutralità non trovava ospitalità, ma neppure la parola…. La parola fu introdotta, ma a che prezzo !..Due anni più tardi.".. 131 Il neutralismo, che si riallacciava a uno dei filoni del socialismo innestando quindi il ripristino della peculiare fisionomia del PSI nel solco della tradizione, suscitò consensi anche fra quei socialdemocratici (Vassalli, Vigorelli, Pietra) che non erano dimentichi del patrimonio storico ed ideale del movimento socialista. Nel marzo 1949, nel dibattito in Parlamento sulla adesione al Patto Atlantico, la politica di neutralità proposta dalla Direzione centrista e inizialmente incompresa, divenne patrimonio di tutto il PSI da Nenni a Romita contribuendo a realizzare l’unità interna ed a presentarne un'immagine distinta rispetto al PCI, diffidente della politica di neutralità.

4 I convegni programmatici e organizzativi. La ripresa organizzativa del PSI, dopo l’effimero tentativo di Basso di modernizzare la struttura prefascista fondata su vaste sezioni comunali, in cui prevaleva un ceto di “bei parlatori”, imperniandola nei quartieri per avvicinare il partito alla base, ebbe le fondamenta, prima della gestione morandiana, durante la segreteria Jacometti,294. Il nuovo gruppo dirigente dispiegò il suo impegno soprattutto per do- tare il partito di una piattaforma programmatica, mobilitando energie e capacità presenti nel partito, per aggiornare i contenuti programmatici, precisando le proposte per vari settori della vita nazionale: tra il settembre 1948 e il marzo '49 vennero convocati ben nove convegni Il convegno sindacale socialista, svoltosi a Roma dal 5 al 7 settembre, volle essere conferma dell'importanza centrale data dal PSI all'azione sindacale: le relazioni di Santi e Foa sottolinearono in particolare l'impegno unitario dei socialisti nella CGIL, la necessità di sviluppare uno spirito di autentica democrazia e l'autonomia dai partiti, l'esigenza di perseguire una politica di classe e non di categoria, l'opposizione a qualsiasi limitazione deI diritto di sciopero. Nella corrente sindacale si riflettevano le divergenze esistenti nel partito: non mancavano infatti

294 E.Giovannini Lelio Basso e la rifondazione socialista del 1947 , Cosenza, 1980; S.Merli Il Partito nuovo di Lelio Basso : 1945-1946, Venezia, 1981 132 frizioni fra Santi e un gruppo facente capo a Viglianesi che portava sul terreno sindacale gli orientamenti di Romita, con aperture verso i socialdemocratici e non mancavano contrasti con la maggioranza comunista. Subito dopo, il giorno 8, si tenne sempre a Roma il primo convegno nazionale dei cooperatori socialisti; la mozione finale indicava come obiettivi principali del movimento la concessione di agevolazioni e sgravi fiscali, il riconoscimento dei diritti delle organizzazioni colpite dal fascismo, la moralizzazione del settore. Dal 15 al 17 ottobre si riunirono nel loro terzo convegno nazionale, a Mantova, i giovani socialisti: in esso si delineò un contrasto tra i favorevoli ad un più stretto collegamento con l'Alleanza Giovanile democratica e coloro che chiedevano una più netta caratterizzazione di partito del movimento giovanile socialista. Prevalse comunque l'orientamento per un impegno di lavoro negli organismi unitari. Il secondo convegno socialista sulla scuola, convocato a Roma, il 27- 28 novembre, per la prevalente iniziativa di Giuseppe Petronio, indicava come obiettivi il potenziamento della scuola statale, la pari dignità degli studi umanistici e tecnici, Ia difesa della scuola dalle influenze confessionali, un trattamento adeguato per gli insegnanti, assistenza agli studenti meritevoli e bisognosi. Dall'8 al 10 gennaio 1949 tecnici e sindacalisti si riunirono a Roma per il convegno socialista della terra per aggiornare la politica agraria del PSI, tradizionalmente di impronta massimalistica nella sua aspirazione ad una integrale collettivizzazione della terra. Le conclusioni del convegno, ispirate dall'impostazione di Giovanni Sampietro, agronomo di fama e segretario del PSI di Vercelli, investivano un arco assai ampio di problemi295

295 Il collocamento doveva essere esercitato tramite commissioni elette dai lavoratori; la riforma dei contratti agrari doveva favorire la stabilità del conduttore sul fondo; per i "terreni a piccola conduzione" si doveva passare «dalle forme inferiori di conduzione (parziarie) alle forme più alte (affitto-piccola proprietà)» inserendole in accordi cooperativi e con- sortili; le terre dei latifondi espropriate e attribuite ad un "Ente fondiario collettivo", che vi avrebbe promosso grandi e medie unità a conduzione collettiva; una legge di bonifica avrebbe affiancato la riforma fondiaria. 133 Dal 29 al 31 gennaio si tennero contemporaneamente a Bari due convegni: uno, introdotto da due relazioni di Lombardi e di Vittore Fiore, fu occasione di un primo approccio alla tematica meridionalista; l'altro dedicato ai problemi organizzativi del partito. Queste le direttive emerse dal convegno organizzativo: le giunte regionali, elette dai CD delle federazioni provinciali, avrebbero coordinato le attività delle federazioni, occupandosi dei problemi di carattere regionale; costituzione delle "zone" nell'ambito delle federazioni; suddivisione delle sezioni più numerose; organizzazione di corsi di cultura e preparazione politico-ideologica; immissione obbligatoria di "elementi femminili" nei CD sezionali e federali. Dopo il convegno di Pistoia del 10-13 marzo, che impegnò gli studenti socialisti per lo sviluppo della politica unitaria nell'ambito del "movimento universitario democratico", si tenne a Napoli, il 19 e 20 marzo, l'ultimo convegno organizzato dalla Direzione centrista, de- dicato alla problematica delle amministrazioni locali. Gli amministratori socialisti chiedevano l'istituzione per i Comuni di consigli tributar! e dell'anagrafe tributaria, nonché l'accrescimento dei loro poteri di accertamento fiscale dei redditi. Riguardo alle aziende municipalizzate è da rilevare l'invito ai lavoratori socialisti in esse impiegati alla massima produttività ed economicità, lavorando essi al servizio diretto della collettività

5 Problemi interni e rottura col Comisco. Con una base di iscritti in continua erosione, oberato dalle spese per la campagna elettorale del 1948, con una gestione dell'«Avanti!» nettamente deficitaria, non potendo più beneficiare di alcuni aiuti che, prima della scissione del 1947, gli erano venuti da Luigi Antonini, non essendo legato, sino alla metà del 1949, a nessuno dei due blocchi, la

Per le aziende industrializzate del centro-nord si chiedeva una legge che desse facoltà ad un apposito ente di assumere la conduzione dei fondi mediante "cooperative di produzione" di lavoratori e tecnici; alla proprietà sarebbe stato attribuito un equo affitto: il «possesso dei fondi da parte delle cooperative deriverà da un diritto a carattere forzoso». Tale riforma agraria avrebbe dovuto essere affiancata da analoghi interventi nei settori bancario e industriale per evitare una fuga di capitali dall'agricoltura. 134 situazione economica del PSI era, a metà 1948, drammatica. Quello di assicurare la sopravvivenza economica e il funzionamento delle strutture fondamentali del partito fu per il nuovo gruppo dirigente il problema più angoscioso cui far fronte. Fin da luglio Jacometti aveva lanciato sulle colonne dell'«Avanti!» un appello agli iscritti perché aderissero ad una sottoscrizione296; e il Consiglio Nazionale di settembre aveva impegnato tutti gli iscritti a versare cento lire ciascuno pro «Avanti!» Con l'autunno la situazione della stampa andò migliorando: mentre la sottoscrizione lanciata a luglio aveva superato l'obiettivo prefissato dei 20 milioni, l'edizione romana dell'« Avanti! », uscita per qualche tempo a due pagine, tornò col 28 ottobre a quattro. Essendo quindi riuscita, agli inizi del 1949, a promuovere la ripresa della pubblicazione di «Socialismo», rivista mensile ufficiale del PSI, sotto la direzione di Jacometti297, la Direzione autorizzò anche l’uscita delle tre riviste di corrente: «Mondo Operaio» che dopo il ritorno alla guida del partito della “Sinistra” divenne rivista ufficiale del PSI, «Panorama Socialista» quindicinale diretto da Romita, «Quarto Stato», periodico già diretto da Basso, che riprese le pubblicazioni Sulla stampa socialista una riflessione venne fatta al convegno orga- nizzativo del gennaio 1949: in quella sede Pieraccìni rilevò l'esistenza di una rete di oltre trenta settimanali socialisti locali, sottolineando tuttavia come i loro contenuti non fossero più adeguati ai tempi e riflettessero spesso una versione determinista e fatalista del marxismo. Il convegno raccomandò la pubblicazione di un settimanale o quindicinale di larga diffusione, di fondere i settimanali provinciali in un solo settimanale regionale, nonché la creazione di un settimanale meridionale.

296A.Jacometti «Avanti!», 13.7.1948. “Il filo d’Arianna”, cit “I momenti più tristi vennero a Roma, quando ci accorgemmo che mancava ogni cosa, che i telefoni erano stati tagliati e il giornalaio, non pagato, ci negava i giornali. La cassa, naturalmente, era vuota, disperatamente!....Sospendere la pubblicazione dell’ Avanti! ... avrebbe rappresentato la nostra sconfitta …..Lo riducemmo a un foglio solo, ma lo salvammo...” 297 Del comitato direttivo fecero parte G. Pieraccini, M. S. Giannini, G. Petronio, G. Sampietro, A. R. Cirese. 135 Verso la fine del 1948 perveniva al PSI una durissima risposta del Comisco alla lettera di luglio della Direzione del PSI: dopo aver rilevato che i dirigenti socialisti mostravano di non intendere «la fondamentale incompatibilità del socialismo democratico e del comunismo totalitario», chiedeva al PSI, con tono ultimativo, di fornire, entro la metà di marzo ‘49, la prova della sua volontà di unirsi con le altre forze socialiste italiane, sulla base di un programma accettabile all’Internazionale socialista; senza di che esso sarebbe stato espulso dall’organizzazione socialista internazionale. La Direzione rispose a gennaio 1949: il Comisco non voleva comprendere che la lotta politica in Italia non era polarizzata fra comunismo e anticomunismo, «ma fra conservatorismo clericale e opposizione operaia»; nonostante inconvenienti e pericoli l’unità d’azione col PCI realizzava la solidarietà dei lavoratori per la difesa della democrazia; denunciava poi la «politica coloniale oppressiva» del governo laburista inglese e di altri governi a guida socialista, ricordava la polemica col Cominform, rispetto al quale il PSI si era confermato totalmente indipendente, ribadiva le ragioni della politica del PSI. Di diverso avviso era invece la destra romitiana, la quale ribadiva che il PSI doveva cercare di rimanere nel Comisco a tutti i costi, pur rivendicando al suo interno uno spazio di autonomia critica. Il Comisco, definita insoddisfacente la risposta, accusava la Direzione di tradire sia il socialismo internazionale che i lavoratori italiani, che avevano bisogno di una organizzazione che rappresentasse i loro inte- ressi «senza riferimento alla strategia di una dittatura straniera». Se il PSI non avesse modificato entro il 20 marzo la sua politica «di sog- gezione al comunismo mondiale», sarebbe stato definitivamente espulso298. La replica del PSI era secca e orgogliosa: «Abbiamo l’onore di informarvi che il giorno 20 marzo il PSI non avrà mutato una linea politica che, sui punti da voi contestati, è approvata dalla stragrande maggioranza degli iscritti». L’ultimo atto si svolse al Congresso di Firenze: ad una nuova risoluzione del Comisco, che dichiarava che la maggioranza del PSI si era autoesclusa dall’organizzazione socialista internazionale e invitava i socialisti

298 «Avanti!» 8.3.1949. lettera di Morgan Philips, del Comisco, 136 italiani a ricongiungersi in un solo partito, libero da ogni legame col comunismo, Jacometti, a nome della Direzione uscente, rispondeva ribadendo la fedeltà alla politica unitaria.

6 Bilancio della Segreteria Jacometti Il periodo della Segreteria Jacometti è uno dei momenti della storia del PSI che meno sono stati oggetto di studi. È probabile che il carattere transitorio di quella segreteria abbia legittimato gli storici a considerarla come una parentesi della lunga leadership di Pietro Nenni, ma un'analisi più attenta mostrerebbe come proprio nel 1948-'49 vengono poste le basi per la svolta del 1955-'56, l'apertura al mondo cattolico ed il centrosinistra 299. Nenni e Jacometti hanno certamente qualità politiche differenti ma, alla metà degli anni cinquanta Nenni si trova ad agire in una situazione interna ed internazionale quale dieci anni prima non era possibile neppure immaginare 300 La vittoria della corrente centrista di Jacometti non è casuale. Durante il Congresso gli uomini di «Riscossa socialista» sono gli unici ad avere chiari i motivi della sconfitta elettorale. Nenni e Basso pongono l'accento sulla situazione interna ed internazionale in cui il voto è maturato, usando toni da crociata; anche Jacometti non si nasconde l'influenza che sul voto ha avuto il clima da guerra fredda ma addita la colpevole soggezione del PSI verso il PCI nelle strutture del Fronte come causa prima della sconfitta elettorale301 .

299 G. Muzzi Elezioni '48-Congresso '49. La politica del partito socialista, «Città & Regione», n. 10-11, e 12 1977; D.Ardia, Il partito socialista ed il patto atlantico, Milano 1976; P. Amato, Il PSI tra frontismo ed autonomia, Cosenza, 1978, G. Mughini, Gli anni del frontismo. Intervista con Alberto Jacometti, «Mondoperaio», n. 1, gennaio 1978. 300S. Fedele Fronte popolare. La sinistra e le elezioni del 18 aprile 1948, Milano, 1978; P.Moretti, I due socialismi. La scissione di palazzo Barberini e la nascita della socialdemocrazia, Milano, 1975; F. Taddei, Il socialismo italiano del dopoguerra. Correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Milano, 1984. 301 F. Pedone, Il socialismo italiano di questo dopoguerra. Il PSI nei suoi Congressi (1942-1955), voI. V, Milano, 1968, p. 206. Su Riccardo Lombardi, 137 Il ricambio del gruppo dirigente era quasi completo e sembravano esserci le condizioni di una svolta: la dirigenza eletta a Genova nutriva obiettivi molto ambiziosi e si proponeva una netta soluzione di conti- nuità. Si puntava ad un allentamento dei rapporti col PCI anche in tutta la rete degli organismi di base. Alleanze e organizzazione: l'intero orizzonte strategico del partito era oggetto di esplicita revisione. La sinistra interna conobbe un periodo di forte sbandamento, tuttavia, la sproporzione tra gli obiettivi e i mezzi era enorme, mentre il prestigio e la notorietà del gruppo dirigente non erano sufficienti per imporre la propria autorità. Lombardi, ex azionista, era appena arrivato e si trovava esposto alle critiche di debolezza ideologica o inesperienza pratica; Jacometti, mai emerso come figura di primo piano, era poco conosciuto. Cercando di destreggiarsi in una posizione mediana, la direzione consumò le proprie energie e, sottoposta alla pressione concentrica delle correnti, si trovò ben presto in difficoltà. Il socialdemocratico Giuseppe Faravelli confidava ad Angelo Tasca che il «centrismo» socialista aveva dato prova di «inconsistenza, opportunismo e viltà» per non aver rigettato in modo netto l’intesa socialcomunista.302 Al Congresso si posero le premesse per lo scioglimento del Fronte popolare ma non vennero meno le linee fondamentali della politica che legava i due partiti fin dal 1934.

M.Mafai, Lombardi, Milano, 1976. 302 P.Masini-S.Merli, Il socialismo al bivio. L'archivio di Giuseppe Faravelli 1945-1950, Milano, Annali Fondazione Feltrinelli, 1990, p. 344. P.Nenni “Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956”. Milano, 1981, pag. 458, in data 11 settembre 1948, riporta questa battuta di Silone “Il più nenniano dei segretari del partito è Jacometti. E tu dirigi il partito anche e soprattutto da fuori” con questo suo commento: E’ una boutade dettata dal dispetto e tuttavia in parte vera” 138 Jacometti303 insiste con successo perché si giunga rapidamente a porre fine all'esperienza frontista già nell'agosto, ma nei giorni dell'attentato a Togliatti si consuma anche la scissione del sindacato unitario su cui egli faceva affidamento per ricostruire l'unità d'intenti fra le masse cattoliche e quelle socialcomuniste venuta meno nel 1947304 anche se era difficile riproporre l'idea di un asse PSI - PCI che fosse richiamo per le forze democratiche dopo il fallimento delI'esperienza frontista ed il successo plebiscitario delIa DC305. Egli mantiene un fermo atteggiamento verso il Comisco che chiede la rottura dell'unità d'azione. Il suo irrigidimento di fronte agli ultimatum condurrà all'espulsione ma è il segnale che il PSI non è disposto a rinnegare la sua natura classista per seguire le orme di Saragat sul terreno della socialdemocrazia306 . L’unica possibilità concreta che si presentava alla direzione centrista per mutare la collocazione del partito sarebbe stata un’alleanza con la

303 A.Jacometti “Il filo d’Arianna”, cit. …..La direzione di Genova aveva nel proprio seno uomini che se una chiarificazione fosse avvenuta, sarebbero potuti chiamarsi di centro e forse con maggior ragione di destra; ma ciò che contava della direzione, ciò che realmente e praticamente contava, i Riccardo Lombardi, i Foa, i Pieraccini, i Santi, io stesso, eravamo uomini di sinistra e la nostra politica era e fu, in ogni momento, una politica di sinistra. Era un gruppo di uomini di sinistra che, a ragione o a torto, avevano pensato che fosse indispensabile, per la salvezza del partito, fare una certa operazione politica e se n'erano assunti personalmente l'assunto….in Riscossa convivevano uomini di sinistra, di centro e di destra”. 304 Atti del Convegno sindacale socialista tenuto a Roma dal 5 al 7 settembre 1948, «Orientamenti», n. 1, settembre 1948. 305 P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Milano, 1981, p. 458; E. Santarelli cit., p. 304.; G. Muzzi “Elezioni ’48-Congresso ’49: la politica del PSI”, “Città e regione”, n.11 e 12 1977 306 P. Sebastiani, Laburisti inglesi e socialisti italiani. Dalla ricostituzione del PS!(UP) alla scissione di palazzo Barberini: da Transport House a Downing Street (1943-1947), Quaderni della FIAP; D. Ardia, cit., pp. 209-219. A. Jacometti, Il filo d'Arianna, cit., pp. 134-137. 139 destra di Romita, mediante la saldatura su una piattaforma comune dell'opposizione politica contro il governo DC con l'opposizione ideologica contro il comunismo. I numeri, almeno stando al voto dei delegati del congresso di Genova, c'erano; ma la convergenza si arenò di fronte all'inclinazione di Lombardi verso l'opposizione politica alla DC e all'irrigidimento di Romita sull' opposizione ideologica. Rimasta scoperta a destra, la direzione si trovò cosi esposta all'attacco da sinistra. I filoni che confluivano nella Sinistra erano molteplici e la loro alleanza incorporava un carico di contrasti potenziali. Nei mesi a cavallo fra il 1948 e il 1949 però essi accantonarono progressivamente le divergenze per concentrarsi nella lotta contro la direzione di centro, sicché all'inizio del 1949 la stabilità del duo Jacometti-Lombardi era già notevolmente minata. Sull' onda di questo primo successo i dirigenti di sinistra ripresero una intensa attività di base con una serie di comizi e manifestazioni in cui si distinsero Nenni e Pertini, inutilmente inseguiti da Jacometti sullo stesso terreno. Nel febbraio del '49 la capacità della direzione di imporsi si era praticamente esaurita: alcune federazioni disattendevano abitualmente le direttive, mentre la sinistra, creando un proprio comitato nazionale, si muoveva del tutto autonomamente, fungendo da partito nel partito. I dirigenti vittoriosi a Genova nel giugno 1948, già limitati nell'azione dalla maggioranza relativa che li sosteneva, ulteriormente ostacolati dalla strenua opposizione della destra e della sinistra, non poterono dedicarsi al lavoro organizzativo e furono costretti a convocare un nuovo congresso meno di un anno dopo il proprio insediamento307. Era convocato il 28° Congresso a Firenze dall’11 al 15 maggio. Venivano perciò annullati i provvedimenti disciplinari, come quello nei confronti di Romita, inflitti per motivi di carattere morale.

Gli anni della politica unitaria (1949-58) 1 Il Congresso di Firenze del 1949 Un'attività febbrile coinvolse i protagonisti, mossi dalla convinzione che si stesse giocando la partita decisiva. Fu istituito il comitato di concentrazione della Sinistra che spedì una circolare per la formazione

307 «Avanti!» 26.2.1949 140 di «Comitati Provinciali [al fine di] dirigere il lavoro di preparazione» precongressuale inviando oratori preparati che intervenissero nelle assemblee di sezione, a cui la direzione uscente rispose effettuando controlli, anche con l'invio di ispettori, presso Federazioni notoriamente orientate a sinistra. La relazione del segretario uscente sottolineava la disastrosa si- tuazione organizzativa e finanziaria ereditata dal nuovo gruppo dirigente e illustrava l’impegno di lavoro profuso per rianimare il partito prostrato dalla sconfitta elettorale; affermava quindi che la linea su cui la Direzione si era mossa, cercando di conciliare i due concetti di autonomia e di unità di classe, era valida anche per il futuro. Il problema dell’unificazione socialista era chiuso, mentre era aperto quello del proselitismo. Il PSI era ora in netta ripresa24 . ll Congresso sarebbe stato caratterizzato dalle scelte di politica internazionale: in caso di vittoria della “Sinistra”, che pure accettava ora la politica di neutralità, il partito rischiava di essere risucchiato nel blocco orientale. Il PSI doveva certo rifiutare l’idea di una equidistanza fra mondo del socialismo e forze capitalistiche, riconoscendosi nel primo, quando però tale mondo trascendesse i confini di un blocco per comprendere, oltre all’URSS, alle Repubbliche popolari e ai partiti comunisti, tutte le forze socialiste anche dei paesi capitalistici e coloniali. Secondo la mozione di centro (”Per il partito e per la classe”) firmata da Lombardi, Santi, Jacometti, Pieraccini, Mariotti, Petronio, Fortini, Sebastiano Timpanaro, era ancora valido il binomio autonomia e unità di classe: la dissociazione di questi due elementi non poteva «che far precipitare nella socialdemocrazia o confondere nel comuni- smo». L’unità di azione doveva operare «nel pieno rispetto reciproco della individualità dei due partiti». La CGIL doveva «sollecitare una politica produttivistica per l’aumento del reddito nazionale, ottenuto con il massimo impiego delle forze di lavoro». Il PSI doveva indicare le linee di una politica meridionalista sulla traccia di Dorso e Gramsci e lottare per le riforme di struttura, contrapponendo l’alternativa socialista all’ inerzia DC. Il «controllo degli investimenti e la nazionalizzazione della industria elettrica» erano i problemi più urgenti. Ribadite la validità della tesi della neutralità e la fedeltà «al 141 principio che ogni evoluzione nasce dallo sviluppo delle energie autonome» di ogni paese, si consideravano chiusi il problema dell’unità socialista e quello dei rapporti con il Comisco. La mozione della “Sinistra”, firmata questa volta compattamente da Nenni, Morandi, Basso, Cacciatore, Lizzadri, Pertini, De Martino, Vecchietti, confermava l’unità d’azione col PCI, indicava la necessità del «rafforzamento della formazione ideologica» dei militanti, criticava “l’equivoco centrista” e sosteneva che la destra era ormai su posizioni «di aperta incompatibilità con la linea politica del partito». Il clima di aspro contrasto di classe e la logica della guerra fredda favorì la Sinistra; inoltre la nomina di Nenni a segretario dei Partigiani della pace permise all'aspirante segretario di riacquistare prestigio e ascendente. Secondo la mozione di destra (”Per il socialismo”) firmata da Romita, Carlo Spinelli, Luisetti, Lopardi, Orlandi, Passoni, Viglianesi, per rovesciare l’involuzione conservatrice in atto nel paese occorreva un partito socialista forte, e quindi riunificato con tutte le forze socialiste e autonomo; sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano possibili intese per la difesa delle libertà democratiche. La partecipazione al governo, non esclusa in via assoluta, lo era nella situazione parlamentare creata dai risultati del 18 aprile. L’unità sindacale andava difesa come unico baluardo contro l’offensiva conservatrice. Sul piano internazionale le scelte dovevano essere per la neutralità e il Comisco. Il 28. Congresso aprì i lavori a Firenze il 12 maggio 1949. Jacometti, nel suo intervento introduttivo,308 dopo aver ricordato diversi casi d

308 Nella seduta dell'11 maggio svolse la relazione politica in qualità di Segretario uscente. Dopo un saluto ai compagni sardi espresse l'augurio che «i compagni del Partito d'Azione di Lussu, compagni contadini, operai, pescatori, pastori [potessero] presto trovare nella casa del Partito socialista la loro casa comune»; mise in rilievo l’opera di ricostruzione compiuta dalla Direzione: «Abbiamo ricevuto a Genova un Partito. che si stava sfaldando, oggi riconsegniamo al Congresso un Partito in gran parte risanato che può cominciare a combattere sul serio in nome della classe lavoratrice» ricordò le circostanze che avevano portato gli aderenti a «Riscossa socialista» a costituire una Direzione monocolore: «Genova aveva affidato alla Direzione 142 incomprensione, quando non di vero e proprio boicottaggio, da parte di Federazioni o di settori dell’apparato del partito nei confronti della Direzione, passando ai problemi di linea politica, affermò che il PSI non era complementare rispetto al PCI. La linea del partito si era fondata su una sintesi fra l’istanza dell’autonomia e quella dell’unità di classe, mentre l’impostazione del problema dell’unità socialista aveva mirato a favorire un processo di recupero di settori due mandati, il primo dei quali andò sotto il nome di autonomia del Partito.. lo dichiaro di intendere il concetto di autonomia nel senso in cui credo lo intendesse il compagno Nenni: cioè l’autonomia della classe lavoratrice. È condannabile il ragionamento di quei compagni secondo cui la funzione del nostro Partito si ridurrebbe a quella di complementarietà con l'azione del Partito comunista per penetrare là dove ad esso riuscirebbe più difficile. Il PSI non vuole essere il doppione di nessun altro partito. Il PSI ha una storia, una tradizione che gli hanno dato una sua tipica fisionomia. Credo che l'espressione marxista della nostra autonomia consista nel darsi una propria vita esprimendo direttamente i bisogni e le aspirazioni del popolo. » Ricordò poi i convegni promossi dalla Direzione sottolineando la fedeltà del Partito alla CGIL che è «la nostra casa dalla quale non si esce a nessun patto». Passando a trattare dell'unificazione socialista si richiamò alla mozione di Genova, che escludeva «combinazioni diplomatiche ai vertici». Coerente era stato anche l'atteggiamento della Direzione nei confronti del Comisco in cui il Partito aveva sperato di poter restare per non perdere contatto coi partiti che rappresentavano la maggioranza dei lavoratori inglesi, belgi, olandesi e scandinavi, ma aveva contestato il diritto di giudicare il PSI. Passando al tema della neutralità, respinse l'accusa di terzaforzismo ricordando che tale neutralità doveva essere intesa «rispetto agli Stati e non rispetto alle classi sociali in lotta». A questo proposito deplorò l'atteggiamento di alcuni esponenti della Sinistra: «Oggi in tutta l'Italia circola una petizione che è firmata da milioni e milioni di persone, da socialisti, da comunisti, da cristiani, da tutti quelli che sono contrari alla guerra e che si ritrovano in questa grande idea. In questa mozione è scritto: pace e neutralità. Noi abbiamo fatto il primo passo, quello che è l’impostazione dei problemi: oggi dovremmo fare quello che è la politica, la risoluzione dei problemi... lo dissi a Genova che era necessario fare in modo che la caravella del Partito so- cialista riprendesse a navigare: oggi credo sia necessario fare in modo che la nave del Partito socialista possa essere lo strumento armato che serva alla classe lavoratrice. Tutto nel mondo sta muovendosi, dalla Cina alle 143 socialdemocratici di base: il documento di novembre di Romita aveva bloccato tale processo. Romita non era stato espulso perché con lui erano collegati numerosi sindacalisti che occupavano posizioni importanti nella CGIL, una parte dei quali poi recuperata al partito. Il PSI era nel mondo socialista contro quello capitalista, ma non s’identificava nello stato russo. Ricordò quindi il sabotaggio della politica di neutralità operato da Morandi e Pertini e l’opposizione ad essa dei gruppi parlamentari. Nella replica difese la funzione specifica del PSI e il lavoro della Direzione, criticando il pessimismo della “Sinistra” sulla situazione internazionale; accennò in prospettiva ad una “alternativa socialista. 309 Si delineò lo scenario di un partito fortemente diviso e ridotto nei numeri: a meno di un anno di Genova il numero dei votanti era sceso del 20%, 100.000 unità310. La mozione di centro, a parte Genova e Firenze, ebbe la maggioranza in piccole federazioni, registrò una netta prevalenza in una regione rossa come l’Umbria e un discreto repubbliche popolari dell'Europa orientale, che cercano la propria via per l'edificazione del socialismo. Noi siamo in una posizione speciale. Noi abbiamo la nostra posizione e nel mondo e nella storia. Noi abbiamo una missione da compiere». 309 Rispose ai rilievi mossi dai vari intervenuti: in particolare polemizzò con Romita al quale rimproverò di volere rompere il Patto di unità d’azione proprio in un momento di esasperata lotta sociale e con Nenni al quale disse che non era stata la Direzione uscente a riproporre i temi del 1946 ma la sconfitta del 18 aprile. «Oggi la parola è al Congresso, se ci riconfermerà la fiducia saremo degni di tale fiducia. Se non l’avremo, lavoreremo nel Partito rientrando nei ranghi, a patto solto che non si vaglia distruggere il Partito che, dato per morto parecchie volte, aveva dimostrato nel 60. anniversario della fondazione, di essere vivo e vitale. 310 Il calo di 100 mila iscritti fra Genova e Firenze, pari a quello dei consensi alla mozione di destra, è in gran parte da attribuire al mancato rinnovo dell’iscrizione da parte di costoro, e il rafforzamento della “Sinistra” di 60 mila voti ad un trasferimento di un ugual numero di consensi dal “centro”. Se ne ricava l’impressione di uno slittamento generale a sinistra degli umori della base socialista. 144 vantaggio in zone bianche come Triveneto e Liguria. La Sinistra vinse nelle Marche, Abruzzo, , Emilia-Romagna. Quanto alla destra di Romita, la sua influenza, in declino ovunque, si era ormai ridotta al solo Piemonte. Emerse uno spostamento degli iscritti verso sinistra di 60.000 voti, non sufficiente però per delineare un chiaro ribaltamento dei rapporti di forza e garantire la vittoria alla mozione di Nenni, Morandi e Basso. Nelle federazioni di Napoli, Bari e Catania i risultati non erano definitivi per contese sulle votazioni311. Si arrivò quindi al congresso con alcuni voti ancora da assegnare e l'esito finale ancora tutto da stabilire. Lombardi, forse per stanchezza e sfiducia, rinunciò ad aprire un nuovo fronte di polemica e non chiese un nuovo conteggio La “Sinistra” riuscì a conquistare la maggioranza assoluta col 51% dei voti contro il 41% del “centro” e il 9% della destra. Venne eletto il Comitato Centrale su base proporzionale; avendo poi voluto la “Sinistra” formare una Direzione monocolore, i delegati di centro si astennero nella votazione per la nuova Direzione, che eleggeva Nenni segretario e Pertini direttore dell’«Avanti!». Nel frattempo i seguaci di Romita su pressione dei sindacalisti decisero di uscire dal PSI. La scissione di Romita era l’ultimo atto traumatico di un processo di erosione della forza organizzata socialista che durava ininterrottamente dal ‘47. La base degli iscritti si era infatti ridotta dagli 860 mila del 1946 ai 531 mila del Congresso di Genova, fino ai 430 mila della metà del ’49, esattamente dimezzandosi in tre anni, in misura proporzionale all’andamento dei consensi elettorali. La vittoria della “Sinistra” segnò la vittoria della tendenza più in linea con il PCI ed ebbe quindi anche il significato di “normalizzazione” nei confronti di un partito che aveva una posizione eterodossa nella sinistra europea e che sarà, dalla metà del ‘49, forzosamente allineato alle esigenze della politica comunista.

2 Dal congresso di Bologna a quello di Venezia (1951-57)

311 Sulla regolarità dei congressi provinciali, che avvantaggiarono soprattutto la sinistra, espresse dubbi in una lettera del 9 aprile 1979, 145 In seguito alla sconfitta alle elezioni del 18 aprile 1948312, come molti altri parlamentari del Fronte popolare, soprattutto i socialisti che scesero da 115 a 87, non venne rieletto. Diresse allora la Federazione di Novara e il suo settimanale "Il Lavoratore", concentrando in loco il suo impegno: alle sezioni e ai circoli ricreativi socialisti, all'Istituto novarese di storia del movimento di liberazione, che aveva fondato, alla sezione dell’ANPI. Venne così a far parte di quella schiera di funzionari la cui “oscura epopea“ (la definizione è dello storico Gaetano Arfè) era fatta di sacrifici economici (e proprio allora era giunta la nascita della seconda figlia) e di massacrante impegno "Lo stipendio medio dei funzionari dei PSI oscillava tra un massimo di 45.000 e un minimo di 15.000 lire: un livello pari alle qualifiche operaie più basse. A fronte stava un orario di lavoro molto pesante, al ritmo di 10 ore al giorno compresa la domenica mattina”313 312 Circoscrizione: TORINO-NOVARA-VERCELLI DC 668 mila, 45,%, 13 Seggi; FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE 530 mila 36% 10 seggi. 313 P.Mattera “Il partito inquieto: organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico” Roma 2004, p.190 Fausto Bertinotti su “Il Ponte”2009/3 ha fornito la sua testimonianza: “Ho frequentato molto Jacometti nella prima parte della mia vita di militante politico-sindacale. È stato mio direttore all'epoca della collaborazione con «Il Lavoratore», giornale della federazione del Psi di Novara. L'ho conosciuto bene, era un uomo bello e affascinante, uno straordinario oratore, nel senso piú compiuto del termine. Penso che egli mi abbia trasmesso l'amore per il comizio, inteso come grande rappresentazione teatrale. Ricordo, in diverse piazze della "bassa novarese", la sua progressiva "svestizione" durante i comizi, motivata dal suo accalorarsi. Prima' il cappello, poi la sciarpa e il cappotto... Da questi gesti emergevano, insieme, la sua grande passione e, appunto, l'idea del comizio come rappresentazione. Aveva una dedizione totale al lavoro politico…. pur non avendo una cultura politica della raffinatezza di Foa o di Lombardi, si era ritagliato un suo spazio e, per noi giovani, rappresentava un riferimento fondamentale. Come scrisse in una stupenda pagina, proprio in uno dei suoi libri, in politica diffidava del dilettantismo e di coloro che erano "prestati" alla politica. Era, insomma, un totus 146 Al Congresso di Bologna del gennaio 1951, che inaugura l’epoca morandiana in cui i congressi non si svolgono più per mozioni contrapposte e che termina con quello di Venezia del 1957314, intervenne sulla ritrovata unità del Partito dicendo che "la risposta si chiama di volta in volta «assassinio di Melissa», «assassinio di Modena», «assassinio di Comacchio». L'unità del Partito si è fatta per questa ragione, in quanto uomini che hanno potuto divergere in certi momenti sulla tattica, su valutazioni della situazione, hanno sentito e sentono che la strada è solo una, quella degli interessi dell'umanità; per questo noi possiamo dire senza tema di sbagliare che il socialismo italiano oggi è in questa sala e chi non è qui oggi, non è socialista"315. Al Congresso di Milano del gennaio 1953 mise in rilievo i consensi crescenti per la politica di distensione del PSI, che aveva trovato nelle cose la sua validità. Al contrario il blocco guidato dalla Democrazia politicus 314 "L'involuzione interna del partito fu assai più grave della sconfitta elettorale. La ragione fu oscurata e cedette il passo all'ossequio e alla fedeltà, la ricerca del consenso fu sostituita dalla disciplina, dal rigore della gerarchia; alla tradizionale chiarezza dei rapporti fra compagni subentrò il clima inquisitorio del sospetto.....La vita del partito non consentiva alcuna elaborazione da parte della base. Tutto si ridusse a «organizzazione», cioè a funzionamento di apparato come custode di fedeltà ideologica; una quantità di giovani di valore furono come sterilizzati in una macchina che aveva il solo fine di rafforzare se stessa. L'organizzatore di questo apparato fu Rodolfo Morandi, uomo gentile ed educato che divenne quasi simbolo di durezza e disciplina ideologica. E i sostenitori dell' autonomia socialista, senza i complessi di un passato marxista- leninista e ancora pieni di amore per la libertà hanno però accettato senza reagire il «buio a mezzogiorno»". V.Foa "Il Cavallo e la Torre" Torino, 1991 (Il riferimento è al romanzo di Arthur Koestler) 315 Pedone “I congressi....", cit. 147 Cristiana si rifugiava nel tentativo di precostituirsi una maggioranza fittizia che potesse «negli anni critici della pace o della guerra» trasformare «il diritto del Parlamento italiano di decidere sull'entrata in guerra» in una «parata della macchina per votare». In questo modo i sostenitori di una legge di questo tipo non si preoccupavano di creare una frattura tra Paese legale e Paese reale e di acutizzare all'estremo i rapporti sociali sotto il peso della pressione americana spostatasi, dopo un'iniziale benevolenza per la socialdemocrazia, all'appoggio deciso ai movimenti clericali europei e ultimamente in via di ulteriore spostamento verso l'estrema destra fascista. Su questa via tuttavia la destra clericale e reazionaria aveva trovato l'ostacolo del Partito socialista che, dato per morto parecchie volte, aveva dimostrato nel sessantesimo anniversario della sua fondazione, di essere vivo e vitale.316 Rieletto alla Camera nel 1953, vi restò per tre legislature. Al Congresso di Torino del marzo 1955, incentrato sulla parola d'ordine del dialogo coi cattolici e dell'alternativa, intervene "attribuendo l'involuzione registratasi nella vita politica italiana alla struttura economica e sociale del Paese che, per l'asprezza dei contrasti di classe, rendeva impossibile una politica centrista non pencolante verso destra. Si dichiarò meno pessimista di Lussu circa la possibilità di evoluzione delle masse cattoliche, esprimendo il parere che non fosse possibile alla Democrazia Cristiana, per la volontà delle sue masse popolari, di sottrarsi alla scelta cui la chiamavano gli avvenimenti. Al Partito socialista spettava il grande compito di favorire l'incontro tra le masse cattoliche e quelle che seguivano l'ideologia marxista. Quanto alle condizioni di questo dialogo, non si poteva chiedere al Partito socialista di rompere l'unità della classe lavoratrice, ma soltanto di essere fedele alla Costituzione repubblicana.317 Un evento luttuoso chiuse il 1955: nel novembre la scomparsa della madre, cui era legato da un affetto reso più acuto dal rimpianto per i diciassette anni di separazione (tranne una sua visita a Bruxelles di

316 Ibid. 317 Ibid. 148 pochi giorni alla fine degli anni '30), gli fa scrivere il più toccante dei suoi libri318. Il 1956 fu l'anno, cruciale per i socialisti, del 20. Congresso del PCUS, del rapporto segreto di Kruscev e della rivolta ungherese: nel Comitato Centrale del marzo del 1956 affermò che "il Partito non ha mai accettato le teorie dello Stato guida e non ha quindi impacci nella

318 Pubblicato nel 1960 nella collana del Gallo delle Edizioni Avanti!: ”….Mia madre non fu un’eroina, fu una donna semplice come l’acqua e il pane, come ce ne sono milioni, come ce ne sono miliardi.... Di prima pochissimo so, quasi nulla. Il borgo - Trecate - un grande borgo già fin d'allora; tutto di contadini e di piccoli bottegai….Si fece lì, mia madre: la scuola, la chiesa, le compagne figlie di bifolchi e di cavallanti, lei di fittabili, ma frammischiata con loro senza che mai fumo d'orgoglio le ottenebrasse il cervello e lo spirito...... Il matrimonio venne dalla città, che non era ancora ventenne. Allora i matrimoni si facevan cosi. Mio padre, più vecchio di lei di dodici anni, ..mandò avanti un sensale di bestiame, in esplorazione. Parlò con il padre, e snocciolò la parentela, i legami, le origini, quindi illuminò, con un tocco, la figura dell'interessato: semplice, lavoratore, casalingo. Si addentrò forse, con circospezione, nei meandri degli interessi: ma c'era la bottega, esente da ipoteche, che garantiva e la cosa non dovette essere lunga. Mio nonno chiamò mia nonna ….e la visita fu conclusa con una bevuta. La sera chiamò mia madre. Non le chiese il suo parere, le comunicò che la domenica seguente avrebbero avuto la visita di colui che sarebbe potuto diventare il suo sposo…..Le visite furono una mezza dozzina. Nessuno ricordò di domandarle se era d'accordo; si sposarono l’otto di ottobre; tre giorni più tardi ella compiva i vent'anni. Povera mamma! come devono essere stati duri i suoi primi giorni con quell'uomo più vecchio di lei che aveva visto si e no cinque o sei volte; un estraneo in fondo ma legato per tutta la vita e indietro non si sarebbe mai più potuto ritornare per alcuna ragione…(.....)... Adesso….lei non accorrerà, perché non c'è più, né qui né altrove, neanche nella vecchia casa sotto la cupola. Quando entravi, appariva nel corridoio in penombra o la trovavi nella cucina intenta ad agucchiare o a far da cucina; il sabato, quando arrivavo da Roma; ogni mattina, quand'ero a Novara…È la prima volta che manca all'appuntamento, lei cosi fedele, non attende più colei che attese diciassette anni! Le dicevano che non sarei più tornato e scrollava la testa; le dicevano ch'ero un cervello 149 valutazione da dare, né per la parte positiva, né nella parte negativa"319. Al Congresso di Venezia del febbraio 1957 esordì sostenendo che “l’alternativa socialista non rappresenta solo un cambiamento di governo, ma anche il rovesciamento d’una politica, e potrebbe essere il principio di una nuova fase storica del nostro paese.... . Il rapporto segreto di Kruscev e il processo a Stalin hanno posto gravi interrogativi a tutti i lavoratori, costringendo a un ripensamento della democrazia che ha condotto i socialisti a conclusioni diverse da quelle dei compagni comunisti.” 320 balzano, una testa bruciata, e lei guardava la mia fotografia.…. Per la prima volta mi lascia senza soccorso e io, questo cinquantenne, si trova spaesato, straniero fra le pietre corrose della propria casa, straniero nella propria pelle...... …" 319 A.Jacometti "Avanti!", 28.3.1956 320 F.Pedone, cit. Così prosegue: "Il compito di allargare i margini della democrazia, e non più soltanto della democrazia parlamentare, spetta oggi in maniera propria ai socialisti. Ma è possibile in uno Stato come quello italiano, a sviluppo capitalistico avanzato e a democrazia in parte già realizzata, passare democraticamente dallo Stato capitalista allo Stato socialista? Gli unici, esempi di presa del potere socialista senza rivoluzione violenta, sono l’esperimento laburista e quello del Fronte popolare francese del 1936, sebbene l’uno e l’altro abbiano mancato lo scopo della trasformazione della società. Per evitare che il giorno in cui fossimo per assumere il potere la classe capitalista ce lo possa impedire, si impone una politica estera di solidarietà con i paesi che non sono più capitalisti, coi paesi della fascia neutrale e quelli dell’ Europa dell’Est In queste condizioni si pone il problema dell'unificazione so- cialista; la prima premessa, il superamento del frontismo, è stata da noi realizzata, mentre la socialdemocrazia non ha ancora rinunciato al superamento del centrismo, che è la seconda premessa. Vi sono anche tre condizioni: la democrazia 150 3 Il viaggio in URSS (1952) Jacometti non aveva aspettato il 1956 per esprimere sull'Unione Sovietica, che aveva visitato in compagnia di Nenni nel 1952321 , un giudizio che - seppur schematico alla luce delle attuali conoscenze - è comunque lontano dalle esaltazioni acritiche degli intellettuali "progressisti" che in quegli anni visitavano la Russia 322, tanto che poté ripubblicarlo dopo la destalinizzazione senza doverlo modificare. come valore permanente, il classismo e l'internazionalismo. Nel 1947 le due premesse non esistevano e le tre condizioni erano accettate da tutti, ma poiché il Partito si divise è evidente che le tre condizioni e le due premesse non sono sufficienti. La prima questione che ci sta di fronte è quella della nostra politica estera, che noi concepiamo in termini di lotta contro il colonialismo per una Europa solidale, principi che Saragat non ha pienamente accettato. Per quanto riguarda la nostra posizione nei confronti dei comunisti, specie nella valutazione dei fatti d'Ungheria, i comunisti sono su tre posizioni non conciliabili tra loro: via italiana al socialismo, approvazione della repressione in Ungheria e entusiasmo per la vittoria di Gomulka, e dobbiamo aiutarli a uscire da queste contraddizioni. Il patto di unità d'azione e quello di consultazione non esistono più, tuttavia non possiamo accettare che il problema dei rapporti col PCI si ponga in termini di rottura perpendicolare, così come vuole Saragat: per noi la politica unitaria rappresenta un patrimonio inalienabile e permanente, proprio perché essa passa attraverso i Comuni, le province, il Mezzogiorno e ogni luogo di lavoro. Concludendo, l'unificazione socialista non passa più in questo momento attraverso Saragat bensì attraverso la convergenza della base socialdemocratica sulla politica di rinnovamento democratico delle strutture del paese" 321 A.Jacometti "Un mese in Unione sovietica. Note di viaggio" Novara, 1952; poi in "Il filo di Arianna", cit. 151 Tre sono gli argomenti che sottolinea in questo “reportage”: la diversità tra dittatura fascista e comunista , la condizione della donna, la scomparsa della religione. Rispetto al primo tema e alla possibilità di essere utilizzati dalla propaganda di regime così argomenta: "anche da noi sotto il fascismo se uno straniero fosse capitato in Italia e si fosse mescolato alla gente, se avesse dovuto rispondere alla domanda: sono felici gli italiani del 1937, accettano o no Mussolini, che cosa avrebbe risposto? Se non che c'è qualche domanda da fare: Quante università ha costruito il fascismo? Quanti ospedali? Quante, case di riposo? Quante biblioteche? Quanti canali? C'è qualche paragone da mettere in evidenza: nei cinematografi russi si proiettano pellicole che inneggiano alla libertà, all' emancipazione del lavoro, alla liberazione degli uomini; avveniva la stessa cosa, in Italia, sotto il fascismo? .. In URSS trovi l'esaltazione della pace, nell'Italia fascista trovavi l'esaltazione dell'impero. Nella Germania nazista, la richiesta dello spazio vitale." Sulla condizione della donna in Unione Sovietica sostiene: "Ho constatato l'impossibilità, per la maggior parte della gente di com- prendere che cosa significhi, per una società, il mettere la donna in questa triplice situazione: di poter esercitare tutti, press'a poco, i mestieri offerti dalla complicazione della moderna società, e di essere pagate per uguale lavoro con lo stesso salario maschile; di sapere, con precisione matematica che, così come l'uomo, non resterà mai priva di lavoro; che potrà esercitare nella vita il lavoro che più le si confà. Una donna a cui siano date tutte queste cose, questa sicurezza, questa coscienza, non avrà più, davanti all'uomo, lo stesso atteggiamento di prima...... Ho interrogato parecchie donne di tutte le età e di cultura diversa. Una delle domande che più spesso tornava, "Ci sono, in U.R.S.S. matrimoni attraverso i quali la donna cerca una siste- mazione?" Non sempre la mia interlocutrice capisce subito: quand'è

322 P.Hollander Pellegrini politici : intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina e Cuba, Bologna, 1984; P.Spriano "Visita guidata in URSS", in "Le passioni di un decennio", Roma, 1992 152 compresa suscita il riso. Perché è inverosimile, è grottesco, un' aberrazione vera e propria, il pensiero che la donna ricerchi, attraverso il matrimonio, una sistemazione. Quale sistemazione? perché? Ha tutto ciò che le necessita in casa; se crede, va a vivere da sola, quale sistemazione dovrebbe ai ricercare? Da tener presente che in Unione Sovietica non ci sono più le grandi fortune e quindi neanche il miraggio dell'animale di lusso legalizzato. La prima conseguenza di tutto ciò è la morte definitiva, per mancanza di nutrimento, della prostituzione...... La seconda conseguenza della liberazione della donna, è quella di porre i sessi nella condizione di perfetta eguaglianza davanti al matrimonio.....In una società come la russa il «t'amo» e il «non ti amo» riprendono il loro significato genuino. Mettete ora di fronte la moglie e il marito: non ci sono disparità, servitù economiche, catene: tu guadagni e io guadagno, siamo uguali. Non ci sono interessi, incentivi a nascondere, a trafugare, questioni di soldi. La coppia è ristabilita sull'immenso, nudo, puro terreno delle affinità. Giudicate del cambiamento” Per quanto riguarda il terzo tema, il presente e il futuro della religione in URSS e nel mondo, sostiene "Dalla guerra in poi, la Chiesa ortodossa è più che tollerata, protetta. Ma la religione è in Unione Sovietica una sopravvivenza. Me lo fa capire Galina, [che] su questo argomento è di un'ignoranza crassa....per il resto, è invece coltissima. Conosce a memoria i poeti italiani del Rinascimento... Galina non sa rendersi conto se non per approssimazione di quello che è Dio. Un po' come succede per noi al riguardo, che so, di Osiris o anche semplice- mente di Giove e di Giunone. Quando le domando se crede in Dio, Galina si stupisce così come si stupirebbe uno di noi se gli doman- dassero se crede in Giove. Non ha dunque religione? No, non ne ha. E non ha mai sentito la mancanza di Dio, il bisogno di Dio, quella specie di vuoto, d'incompiuto, che gli atei, quasi sempre, portano in giro da noi? Non capisce. Devo farle altre domande, spiegare. Finalmente risponde, recisa: no, Dio per lei non è mai esistito, Dio è un po' come il corpo mummificato di un faraone; non ha mai fatto capolino da nessuna piega della sua coscienza perché non vi è, non ha mai sollecitato, non si è mai rivelato neppure come potrebbe fare un tarlo, rodendo o un verme, agitandosi. Dio è morto. Quando? Oh, molto 153 prima che lei nascesse! E' questo forse che noi non possiamo capire. Non esiste più, non esiste più neppure il ricordo, neppure la nostalgia, neppure la traccia nell'aria. Bisogno di Dio? e perché? E' sempre vissuta senza Dio e non ne ha mai sentito il bisogno; non lo conosce, quindi non le manca..... Ho l'impressione che la Russia sovietica stia confermando in pieno la predizione di Marx: Dio scomparirà con lo scomparire delle classi e la creazione della società socialista. Non capisco come nessuno si sia interessato a questo, che è certamente l' elemento più caratteristico delle trasformazioni di una società. Ci si interessa di sapere se sI pratIca o no, se si può o no praticare e non ci si disinteressa di sapere se Dio, in URSS è ancora vivo o no, se Dio può morire, se è vero e fatale che Dio muoia domani E' un punto capitale nella storia dell'uomo e nell'evolversi della civiltà. Ho veramente l'impressione che la Russia abbia già dato una risposta”

4 Attrazione del Sud. Comizi elettorali in Puglia e Sicilia (1949-53) “…piemontese di nascita e d’educazione, lombardo di schiatta senza neppure una ramificazione negli ultimi secoli al di là della Liguria e comunque settentrionale di tipo, di temperamento, di reazione e di modo di essere, non avendo oltrepassato Roma prima dei vent’anni, essendo vissuto quattordici anni nei paesi del Nord, non sono mai riuscito ad adattarmi completamente a Torino che pure ammiro, che trovo bella e seducente.. mentre mi basta fare un passo al di là di Latina per sentirmi di casa, a Napoli, a Reggio, a Catania, a Palermo, con dieci anni di meno, amico di tutti e il sangue in fermento...Colore, aria, azzurro del cielo, calore del sole, coloratura dei vecchi palazzi, patinatura del tempo – e quel senso di vita, quell’esplosione di vita, quella sensualità che si è appiccicata alle cose e le fa essere vive, vive, vive e calde e piene d’offerta”. Negli anni ‘50 si trova a percorrere l’Italia meridionale nel corso di giri di propaganda durante le campagne elettorali. Riportiamo alcuni brani su situazioni e ambienti del Sud, per la qualità della scrittura ancor più che per l’interesse storico. Nel gennaio 1949 si trova a Putignano, in Puglia: .”…Tutta la gente del paese c'era, al lume delle torce; tutti i ventri vuoti del paese, figure, in quella luce vacillante, che non sapevi dire s'erano state squadrate 154 con l'ascia o tirate fuori fumiganti da una colata di ghisa; tutti i ventri- vuoti del paese, tutti i terroni, tutti i braccianti del paese e non sapevi dire da che età venivano - e le donne, silenziose e mute come statue di pietra; tutti c'erano; e ci dissero, in versi, tutto il loro affanno con parole che non capivamo tutte e avevano strane risonanze ma che si spaccavano come vesciche piene di sangue…"323. Nel 1953 partecipa alla campagna per l’elezione della prima Assemblea Regionale Siciliana “…Era il mese di aprile…. in Sicilia, quando i giardini d'agrumi sono tutti fioriti e le pale dei fichi d'India s'ingentiliscono di quel ciuffetto di fiori di vario colore e i greggi somigliano a quelli dei presepi e il mare è tutto sonoro nelle cavità, nelle anfrattuosità fra le rocce…; una grande nave sul mare dove bruciano tutti i profumi del mondo. La battaglia era aspra, ma cavalleresca….Nessuno si curava d’appiccicare manifesti sui muri: a qualsiasi ora del pomeriggio o della serata, la piazza era piena. Sulla tribuna, costruita una volta per sempre, s’alternavano gli oratori; l’uditorio era sempre il medesimo, soltanto, con il cambiare dell’oratore, si facevano innanzi ad occupare le prime file i seguaci o i simpatizzanti a volta a volta dell’uno o dell’altro partito. Agli oratori del Fronte erano riservati i più ampi e ferventi successi che attingevano talora a forme commoventi. Che esplodevano, talora, in manifestazioni frenetiche e conturbanti. Era il contadino siciliano che si risvegliava da un sonno secolare. Non nascondo tuttavia che rimaneva in me una certa perplessità. Mi domandavo: quanta parte ha in tutto questo un residuo di quegli antichi culti magici che si sono così abbondantemente travasati nei riti cattolici? Un giorno mi mandarono non so più se a Vittoria o a Noto. Mi dicono: è un grosso borgo agricolo, del quale sappiamo assai poco. Le nostre sezioni sono deboli, gli avversari fortissimi. E’ possibile che non ti lascino neppure parlare; in bocca al lupo. Quando fummo a un chilometro o due dal paese vedemmo venirci incontro, nel polverone, una folla di gente. Ci siamo – dissi al compagno autista – altro che non lasciarci parlare! Mi ha tutta l’aria di chi non ci vuole neppure lasciare entrare. Venivano avanti, lentamente con l’andatura pesante di un gregge. Davanti c’era

323 A.Jacometti "Il filo di Arianna", cit. 155 una bandiera rossa. E c’era, frammischiata con l’altra gente, una fanfara d’ottoni che a un tratto si raccoglie in un gruppo e si mette a sonare. E quand’apro lo sportello della vettura e metto fuori la testa è uno scroscio d’applausi..... appena messo fuori i piedi vedo il cerchio stringersi, le bocche spalancarsi tutt’insieme e mi sento afferrare per le cosce e prima che me ne sia ben reso conto, issare sulle spalle di un erculeo giovinotto e portare innanzi e dietro tutto il codazzo della gente, urlante, schiamazzante, inneggiante. E quello che ti dicevano, e quello che gridavano ! Si, c’era un fondo di sortilegio in tutto quello, ma le parole erano calde, vere, che venivano su da una sofferenza presente, da una speranza enorme e presente che si chiamava terra. Io non ero che un simbolo, il rappresentante di una forza in cammino che veniva incontro alla loro sete. Era quella sete favolosa che si espri- meva con un’ immediatezza e un’ingenuità da far piangere. Ebbi voglia di piangere in quel momento e un po’ più tardi, quando, finito di parlare mi sentii gridare da uno che tendeva le braccia e l’anima: ma questo è il figlio di Garibaldi – e nessuno aveva riso...”324 Infine un comizio a Canosa, in Puglia: "La strada era tutta incorniciata di uliveti e di mandorleti; ed il sole era in quell'ora che precede di poco il tramonto e che si arrossa tutto e par un gran disco rovente; ma ...essendoci ancora il sole, la sera era visibilmente già acquattata sotto i mandorli e gli ulivi, densa e pronta a venir fuori, pronta a gonfiarsi, a espandersi, a rompere non appena egli se ne fosse andato. …Non appena egli fu sotto, la sera venne fuori, sinuosa, e il cielo fu tutto di rosa; ma non per nubi o per vapori, ma di luce rifratta; durò forse un minuto. .. I borghi che attraversavamo, S.Spirito, Giovinazzo, Molfetta, erano pieni di gente tranquilla e antica, più in là, verso Trani, incominciò la teoria delle carrettelle, prima qualcuna, rada; poi fitte fitte, una dietro l'altra, a decine, a centinaia, tutte quasi eguali, a ruote alte, a sponda bassa, con due, tre, quattro occupanti, trainate da muli alti e secchi che correvano a passi lunghi davanti alla notte incalzante…. Allora ho pensato che tutta la Puglia fosse così: tutta ricoperta, in quell'ora, di carrettelle scricchiolanti, a migliaia, tutta viva di muletti in corsa che fuggono la notte, di contadini affamati,

324 Ibid. 156 secchi come tralci di vite e com'essi nodosi, che tornano a casa dal lavoro. Oggi, ieri, da tempi immemorabili. E ripartono domattina, prima dell'alba. Secca la Puglia e dura e rossa per sesquiossido di ferro ma chissà che cosa darebbe, se la si potesse abbeverare! Già a grattarla casi guarda come verdeggiano le viti! ....A Gravina siamo già nel cuore del latifondo che si estende a nord e a ovest, nel cuore perciò del bracciantato. Agglomerati che non sai dire se paesoni o città, di quaranta, di sessanta, di novantamila abitanti come Andria, composti quasi esclusivamente di contadini poveri, piatti, bianchi, screpolati, ma con una gran piazza tutti, dove, ancora adesso, il mattino prima dell'alba, i fattori e i sensali vengono a ingaggiare i braccianti per una settimana o un giorno. Altro che uffici di collocamento! Altro che elenchi, che controlli, che non so quali altre diavolerie sindacali ! Qui si procede come cinquant'anni or sono. Vie ne il fattore e tasta i muscoli, prende o non prende, sceglie, fa un' offerta e qualche volta mercanteggia. ....Le sere sono fresche, e ventose, anche, per il vento che viene dal mare, e le stelle poche e grosse ma, a dispetto del vento e del freddo e della sveglia ultramattutina dell'indomani, i comizi anche se si protraggono fino a tarda ora, sono affollati fino all'inverosimile d'un pubblico tutto nero, cappello, giacca, occhi e visi abbrustoliti, in cui le donne, molte in generale, molto più che da noi, fanno da cornice rannicchiandosi contro i muri. Quando arrivi ti vengono incontro, ti seguono, ti circondano, riempiono la sezione e fanno circolo. Ti guardano con gli occhi luccicanti. Vogliono sapere se si può vincere a Roma, a Napoli, altrove. C'è speranza? Qui sì, forse ce la faremo. I blocchi sono tre o due; quando sono due, in generale, monarchici, democristiani, socialdemocratici, liberali si son messi tutti nello stesso calderone....Di qui noi, con gruppi d'intellettuali e di contadini. Stanno ad ascoltare per un'ora, per due, per tre, se è necessario, con un’attenzione che li fa più piccoli, quasi minuscoli in quella massa, inerti come statue. Perfino l'applauso passa come un ringhio. Non perdono una parola. E tuttavia ce ne sono di quelle che cadono su di loro come goccioloni d' olio bollente: l'alleanza fra i contadini del sud e gli operai del nord, per citarne una. Quando hai

157 finito, stanno ancora, un mezzo minuto, non ancora stanchi: poi si sfaldano come un argine che rovini."325

5 Il tempo libero: dall’ENAL all’ARCI (1953-1957) Nel clima politico seguito alle elezioni del 18 aprile 1948 l'Ente Nazionale Assistenza Lavoratori (ENAL)326 veniva utilizzato per reprimere i circoli ricreativi di sinistra posti sotto la sua autorità. Jacometti fu indotto ad occuparsi della questione dalla situazione particolarmente pesante nel novarese: a Prata di Vogogna si giunse a impedire anche solo l'entrata nel circolo dell' «Avanti!» e dell' «Unità», e al circolo di Pernate fu imposta la rimozione di tutti i quadri di dirigenti politici compreso quello dei caduti partigiani. Questura, stazione dei carabinieri e ENAL provinciale agivano quasi sempre «in piena armonia d'intenti e in formazione abbinata»327 Jacometti si domandava:«Perchè mai l'autorità di pubblica sicurezza e soprattutto gli ENAL provinciali che sono, dopo tutto, l'espressione dei circoli, il loro collegamento e per i quali l'esistenza dei circoli è la loro ragione d'essere, perchémai dovevano mettersi, nei loro confronti, in posizione di nemici? [...]Le questure, si sa, dipendevano da Scelba. L'ENAL e Malavasi dipendevano dalla presidenza del Consiglio. Gli incitamenti venivano, il più sovente, da Roma. Poi c'era l'atmosfera. Poi c'erano gli interventi delle democrazie cristiane locali, dei deputati

325 A.Jacometti "Il filo di Arianna", cit. 326 Nel settembre 1945 l’Opera Nazionale Dopolavoro (O.D.N.), fondata nel 1925 dal regime fascista fu trasformata in E.N.A.L. e posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’ente si distinse nell’organizzare mense, spacci di generi alimentari, soggiorni per lavoratori e colonie per i loro figli, facilitazioni commerciali, sanitarie, termali, cinematografiche, assicurazioni extra lavoro, buoni acquisto. Vanno inoltre ricordate le iniziative culturali, come la promozione di feste folkloristiche, campionati sportivi, concorsi canori e musicali 327 A.. Jacometti, L' ENAL : una bandita chiusa, Milano, 1956 158 democristiani locali. Poi c'erano i rapporti locali fra ENAL e questura e la pressione, dov'era necessario, di. quest'ultima e il vigliacco amore del quieto vivere. Ma perché i circoli dovevano essere presi di mira? [...] Nei circoli avevano trovato stanza, fin dal 1945, le sezioni dei partiti. [...] Soprattutto il circolo rappresentava e rappresenta il centro vivo del paese, il suo cuore. È lì che il paese vive collettivamente molto più che non al comune. Li che pensa, li che parla, li che fa politica. E per ammazzare i circoli o almeno per togliere loro l'amministrazione di sinistra, il colore politico, si escogitò ogni sorta di pretesti, di sopraffazioni, di soprusi, si inventarono cavilli degni d'un redivivo Azzeccagarbugli, si pretesero dagli amministratori, dai presidenti, dai banconieri, cose inaudite. [...]Lo strumento primo fu fornito dal vecchio statuto-regolamento tipo dei Cral in forza del suo articolo 2, dibattuto, a suo tempo, avversato ma mai soppresso e che, per qualche anno, era stato mantenuto in sordina. Figurarsi che bazza un simile atticolo nelle mani di certi prefetti, eli certi questori, di certi commissari di pubblica sicurezza! Era una chiave che apriva. tutte le porte, un vero e proprio grimaldello328 Ricordava ancora in un suo intervento alla Camera del 14 ottobre 1953: «Una sera i pattuglioni di polizia visitarono parecchi circoli: furono ritirate le licenze a quei circoli in cui non fu trovato il presidente e in cui il banconiere era sprovvisto di delega presidenziale. Le disposizioni riguardanti le deleghe rimontavano a pochissimi giorni

328 Si trattava dell'articolo che richiedeva al Cral l'assoluta apoliticità e sul modulo della questura all'esercizio di uno spaccio di bevande alcooliche nei locali di un circolo si leggeva che «il sopracitato Cral deve essere assolutamente apolitico come è tassativamente prescritto dall'art. 2 dello statuto- regolamento tipo dei Cral; e pertanto ove in esso venisse consentita o esplicata qualsiasi attività politica o sindacale - anche mediante affissione sulle pareti di manifesti, giornali politici e ritratti di esponenti di partito, sia nazionali che stranieri, la presente licenza di spaccio di bevande alcooliche sarà immediatamente revocata». 159 innanzi. [...] Con questi sistemi durante la campagna elettorale (giugno 1953) nella città di Novara e nei dintorni, furono chiusi dodici circoli. Si era in piena stagione di monda, nei nostri villaggi risicoli erano presenti migliaia di mondariso immigrate dall'Emilia, dalla Lombardia, dal Veneto. Il circolo fu chiuso, le mondariso messe in penitenza». In un altro intervento precisava che «il circolo di Granozzo è stato chiuso perché "vi si effettuava attività politica e ihdacale e perché il circolo stesso era frequentato da elementi di sinistra che l'avevano trasformato in vera e propria sede del loro partito". Ora, tutti sanno che nelle sedi di questi circoli vi erano quasi dappertutto sezioni del Partito comunista e del Partito socialista. [...] Se vi esistono le sedi di partito, è evidente che ci si debba riunire nei circoli. Un altro caso: il circolo di Gionzana è stato chiuso perché il presidente si è reso colpevole di attività politica nei locali del circolo stesso [...] Un altro caso, e credo sia il piu signifIcativo: a Cameriano, in frazione di Casalino, tale Fornaia Angelo, sindacalista, con il consenso del presidente del Circolo, ha tenuto una conferenza durante la quale è stata trattata la questione del caropane per gli addetti ai lavori dell'agricoltura. Anche per il caropane non si può usufruire del circolo, dunque!». I circoli avevano nei confronti dei partiti operai una funzione di vero e proprio polmone. Colpendo i circoli si paralizzava spesso anche l'attività sindacale e politica. L'ENAL e la questura reprimevano la vita dei circoli per tentare di riportarli a una disciplina di tipo dopolavoristico, per levare un retroterra ai partiti di sinistra . Notava ancora che «il circolo è il cuore del paese. Dove si possono leggere i giornali? Al circolo. Dove arriva la posta? AI circolo. Dove si fanno le feste, si comunica, si ride, si piange e ci si diverte insieme? Dove trova la festa nuziale il locale che la ospita? AI circolo. Dove si possono tenere le riunioni? AI circolo. C'è uno sciopero di contadini: naturalmente, spontaneamente, la gente confluisce al circolo: li si discute, si parla, si delibera, si concreta. [...] Un giorno il commissario straordinario dice: nel circolo non si possono tenere riunioni politiche, né sindacali, non si possono fare comizi. Era il solo modo di colpire a morte la vita del paese, la vita pubblica del paese [...] Le sezioni 160 democristiane possono emigrare, le nostre no. Se sono cacciate fuori dal circolo non trovano più una sede: la sezione corre il rischio di sfasciarsi». Altro strumento vessatorio era quello della somministrazione delle bevande alcooliche ai soli iscritti all'ENAL. Bastava che la questura trovasse nei locali del circolo una persona sprovvista della tessera dell'ENAL per revocare la licenza.Prima della campagna elettorale del 1953 il Circolo Operaio Agricolo della Bicocca,329 venne chiuso per 43 giorni, fino a dopo le elezioni per privare in campagna elettorale i partiti delle loro sedi nel rione, perchè a un controllo della polizia due avventori risultarono sprovvisti della tessera dell'ENAL . Entrato ad occuparsi della questione dei circoli ricreativi quasi per caso, si fece coinvolgere dalla tematica del “tempo libero”. Con Giuseppe Di Vittorio chiese ancora un dibattito parlamentare sui beni dell'Enal, i cui impianti e attrezzature, così come quelle del Commissariato della gioventù, venivano date in concessione solo alle organizzazioni del tempo libero dei cattolici e dei repubblicani (Acli, Endas, Giac). Alla risposta negativa del governo, i circoli socialisti e comunisti decisero di dar vita ad una associazione nazionale. Nel maggio 1957 a Firenze la Convenzione dei sodalizi di base di Bologna, Firenze, Novara, Pisa e Torino approvava lo statuto dell' ARCI, che oggi con oltre un milione di soci rappresenta una rete di migliaia di case del popolo, circoli culturali e centri sociali, di cui egli fu il primo presidente.330

329 C. Bermani Dalla grande associazione degli operai di Novara al Circolo operaio agricolo della Bicocca : un secolo e mezzo di associazionismo a Novara, Novara, 1983 330 A. Jacometti “L’ ARCI, il circolo, il,tempo libero”, Roma, 1959; Id. “Venti anni di vita dell’A.R.C.I., 1957-1977: le fasi più significative i documenti ufficiali” , Firenze, 1981. Nel 1956 l’Edizione Avanti collana ”l’Attualità” pubblica l’opuscolo di Alberto Jacometti dal titolo "l’ENAL una bandita chiusa" in cui sono messi allo scoperto arbitri e malefatte, ponendo gravi interrogativi su atti poco puliti, alienazioni controllate, deficit di bilancio, soldi ‘passati da una tasca all’altra’. Egli chiede come mai non sono stati presentati i bilanci in parlamento, perché i governi non hanno mai risposto alle interrogazioni parlamentari; chi impone la legge del silenzio e 161 6. Dal centrosinistra a Craxi (1957-1980) 1 Società italiana in trasformazione e alternativa socialista (1957- 64) Quello a cavallo dei due decenni è il periodo del “miracolo economico”, del passaggio da un’economia agricola a una industriale, del trasferimento di masse di braccianti dal Sud al triangolo industriale, in assenza d'una programmazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. Le conquiste tecnologiche e l'espansione dei consumi di beni durevoli (è il boom delle utilitarie e degli elettrodomestici) diffondevano un clima di euforia e ottimismo. Le lotte operaie nel quadro congiunturale favorevole del 1958-1963 migliorarono in modo sostanziale le condizioni della famiglia operaia soprattutto nel nord e ruppero il cosiddetto muro dei consumi proletari. Ora la quotidianità della vita di un operaio non era radicalmente diversa da quella del ceto medio.331 Nel 1957, intervenne al Convegno Agrario Nazionale del PSI (Roma, 25-27 novembre), articolato in sei gruppi di lavoro (riforma agraria, mezzadria, montagna, cooperazione e piccola proprietà, enti locali, protezione sociale), entrando del merito di ciascuno di questi punti e mettendo in luce le trasformazioni ormai avviate nel mondo agricolo “...il Governo non ha [una politica agraria].Se quest' anno si fossero quali omertà ci sono intorno all’ENAL. La pubblicazione diventa un forte detonatore per le iniziative politiche che puntano ad organizzare il movimento associativo democratico in modo e forme autonome alternative all’ente di stato. All’inizio del 1957 con la mozione Di Vittorio-Jacometti le sinistre aprono la questione a livello parlamentare. La mozione respinta dalla maggioranza parlamentare ed accelera la costituzione della nuova associazione. 331 V. Foa, Il cavallo e la torre, Torino, 1995, pag. "Al congresso della Cgil del 1960 si cercò di disegnare uno sviluppo diverso da quello dei consumi, incoraggiando i consumi collettivi e pubblici invece di quelli privati, promuovendo riflessione, formazione e cultura. Questa proposta fu rifiutata dalla grande maggioranza dei lavoratori con motivazioni di buon senso: perché rinunciare al grande sogno: auto e elettrodomestici? Quel modello di sviluppo era ormai radicato profondamente nella classe operaia". Sul contesto storico-politico: G.Tamburrano Storia e cronaca del centro- sinistra , Milano, 1971e 1990. A. Jacometti, Il governo Fanfani, in «Il Lavoratore», 28 febbraio 1962. 162 prodotti i 104 - 105 milioni di quintali di grano preventivati, ciò avrebbe significato - è stato scritto da Ernesto Rossi - un disastro nazionale. Continueremo a produrre grano e a mantenere alto il prezzo del pane? bisogna coraggiosamente intraprendere la strada della coltura specIalizzata e dell'allevamento del bestiame. Altro tema è la necessità di una riforma agraria generale. Ci si sta dimenticando che l'attuale è la riforma agraria democristiana. Stiamo creando una classe potenzialmente conservatrice, quella dei piccoli coltivatori diretti prodotti dall'appoderamento del latifondo smembrato. Non soltanto il Governo, ma anche noi stiamo dando l'impressione di avere dimenticato parecchie cose, vecchie di almeno un secolo; abbiamo dimenticato che una riforma agraria progressista postula la cooperativa e le forme associate, non la piccola proprietà individuale, se non là dove non si può far altro. E a chi ribatte che gli assegnatari delle zone riformate tendono verso i partiti di sinistra, non c'è che da rispondere: attendete qualche anno, quando sarà finito il periodo di transizione e l'assegnatario avrà tutti i titoli del piccolo proprietario. Sempre a proposito di piccoli proprietari: né in Piemonte, né in Lombardia e tanto meno nel Veneto abbiamo portato avanti, organicamente la cooperazione di servizi (macchine, bestiame da riproduzione); le forme solidaristiche di acquisto (concimi, sementi selezionate, anticrittogamici), di vendita comune dei prodotti, di trasformazione come le cantine sociali, le latterIe sociali; non abbiamo cioè creato intorno al coltivatore diretto quella rete di servizi comuni che dovrebbe essere il sillabario della nostra azione.332 332 Così continua: ".... il nostro Partito ha fatto introdurre nella Costituzione (art. 44) il concetto della ricostituzione dell'unità colturale. Che ne abbiamo fatto in dieci anni? La polverizzazione particellare è una piaga che si estende sempre più. Sul problema della montagna. Lo spopolamento è fatale ed è il frutto di parecchi fattori, alcuni incontrastabili e investe già anche la collina e la stessa pianura padana. È la fuga dalIa terra. Credere di arrestare il fenomeno creando un piccolo proprietario di altro tipo, permettendogli di vivere in modo più umano, è un'utopia. Il piccolo proprietario di montagna sarà 163 Al 33. Congresso del PSI, che si svolse a Napoli nel gennaio 1959, si presentarono tre liste: Sinistra (Vecchietti), che ottenne il 32% delle adesioni, Alternativa (Basso), con il 9%, e Autonomia (Nenni), che ottenne la maggioranza con il 58%; Jacometti, che diede la sua adesione a quest'ultima, fu rieletto nel Comitato Centrale e rientrò dopo dieci anni nella Direzione. Intervenendo il 17 gennaio disse: "... Tre vie possono condurre il socialismo al potere: la via insurrezionale, che noi tutti riteniamo sempre un diseredato: lasciatelo scomparire. Né io capisco perché noi socialisti dobbiamo preoccuparci di un fenomeno naturale di progresso. Il problema della montagna è un problema di rimboschimento, di prato stabile e di zootecnia. Sulle funzioni degli Enti locali in agricoltura (opere pie, ospedali, ecc.) che posseggono terreni a coltura intensiva. Si tratta di migliaia, di centinaia di migliaia di ettari: una cosa niente affatto trascurabile. È capitato che parecchi di tali Enti siano stati dalla Liberazione in poi amministrati da socialisti e comunisti. Nella maggior parte dei casi i nostri amministratori fanno come gli altri, affittano cioè il fondo a un imprenditore privato. Non è il caso di applicare noi stessi, là dove siamo amministratori, le idee che andiamo propugnando, arrivando fino alle forme cooperativistiche vere e proprie e magari colcosiane?….Potrebbe diventare un esperimento importantissimo sia dal punto di vista della realizzazione che dello studio. Sugli Enti economici: l'Ente Nazionale Risi, sapete qual’è la composizione dell'istituendo Consiglio d'amministrazione? Tredici agricoltori scelti dalla Confida, tredici coltivatori diretti scelti dalla bonomiana (con esclusione assoluta delle nostre associazioni) quattro industriali del riso, poi, in coda, due lavoratori agricoli (due!) designati dal ministro dell'Agricoltura. Che cosa abbiamo fatto per impedire che una tale enormità sia domani attuata? Un gruppo di deputati socialisti ha presentato una interpellanza e basta....I 164 oggi al di fuori delle condizioni storiche e politiche del nostro Paese. L'importazione del socialismo dall'estero, che noi tutti rifiutiamo perché il socialismo dobbiamo attuarcelo con le nostre forze. La via democratica. Ma la via democratica fin qui in nessun Paese, ha condotto al socialismo. La domanda ritorna: è possibile che la via democratica in Italia conduca al socialismo e si identifichi con la via italiana al socialismo? Io ritengo di sì, però a questa prima condizione: che la democrazia sia una conquista generale, che la via democratica non sia ristretta alle conquiste parlamentari, ma che le conquiste si facciano dappertutto, nel tessuto connettivo del Paese, e soprattutto nei luoghi di lavoro e soprattutto nelle officine e soprattutto nei campi. Il 25 maggio 1958 la D.C. si presentava da sola, isolata. E...aumenta[va] i propri voti di più di un milione e mezzo e ci domandiamo come sia possibile sgomberare il Paese da questo enorme cancro. Con tre sistemi, teoricamente: o con il fronte; o con la cosiddetta operazione Milazzo333, oppure con l'alternativa democratica...Come fare per impostare un' azione che possa condurci a questo capovolgimento? ...si tratta di orientare grandi masse popolari; di trovare degli alleati: i contadini, i tecnici, i piccoli produttori,gli artigiani,i professionisti, gl'intellettuali. E dobbiamo rispondere francamente che questi fino a ieri si trovavano in grande maggioranza nel partito democristiano e che l'hanno seguito.. Ed ecco che viene a proposito il colloquio con i cattolici. Come, in che modo, con quali forme si deve condurre avanti? …quella forma di proselitismo che abbiamo sempre praticato: convincere i cattolici che problemi dell'agricoltura sono i problemi del Partito. Il Partito pone la candidatura al Governo. Il Partito ha il dovere di indicare il più concretamente possibile le proprie soluzioni." In "Convegno Agrario Nazionale. Atti", Milano, 1958. Per un inquadramento storico Guido Crainz Padania : il mondo dei braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, 1994 333 Deputato regionale siciliano democristiano nel 1958 portò al governo dell'isola una coalizione che andava dal MSI al PCI. "Il milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo", Atti del Convegno, Messina, 1979 165 il Partito socialista rappresenta effettivamente i loro interessi lo abbiamo fatto e lo facciamo da 60 anni. Ora mi pare che dobbiamo andare più in là…La nostra analisi è vecchia di quindici anni, è l'analisi di Morandi al Congresso di Torino ed è sempre valida; la Democrazia cristiana è un insieme di interessi difformi, di gente che proviene da categorie sociali diverse.... noi dobbiamo agire nel senso di fare affiorare e di sviluppare le divergenze nel seno stesso della Democrazia cristiana per portarla alla rottura...puntando sugli interessi di classe....C'è oggi nelle campagne un brontolio ancora remoto ma già percettibile. Ci sono i contadini i quali assistono al crollo del prezzo del grano, e che entrano in ebollizione, che per la prima volta si rendono conto di essere stati traditi dalla politica della DC. A noi l'insinuarci in questa crisi. …E non è giusto criticare Nenni quando non si sa proporre un'altra via di uscita.....Avevo tentato di presentare alcuni punti nell'intento di spezzare i limiti che si erano formati sulle tre posizioni. Non ci sono riuscito... il Partito ha scelto. Ebbene, ho scelto anch'io la posizione dinamica, la posizione di marcia…Il moto si prova e si dimostra in un modo solo: camminando." Nel marzo 1961 si svolse a Milano il 34. Congresso del PSI. Nei due anni intercorsi da quello precedente erano accadute molte cose nella politica italiana: il tentativo di dar vita ad un'alleanza di centro-destra con l’inclusione del Movimento Sociale nella maggioranza (governo Tambroni) era fallito anche per le reazioni suscitate (i morti di Reggio Emilia, gli scontri di piazza De Ferrari a Genova dove i neofascisti avevano indetto il loro congresso) e la D.C. era tornata a guardare a sinistra. In Francia il governo “gollista” stava chiudendo la vicenda algerina e il clima di distensione si era andato rafforzando con l’elezione del nuovo presidente americano e con l’avvio del Concilio Vaticano. Al Congresso vennero ripresentano le stesse mozioni, ma al momento del voto la Sinistra e Alternativa presentarono un documento unificato che raccolse 205.000 voti contro i 270.000 di Autonomia. Venne rieletto nel C.C. ma non nella Direzione, questa volta collegiale. Intervenendo nella seduta del 17 marzo, dichiarò:"II PSI si richiama a tre postulati fondamentali e irriducibili: è un Partito classista, 166 internazionalista e democratico. Questi punti lo caratterizzano rispetto a qualsiasi altra formazione e in particolare della socialdemocrazia [che] accetta le strutture della società capitalistica [mentre] il PSI si batte per una modificazione rivoluzionaria della società italiana. L'obiettivo è la sostituzione di un governo orientato dalle forze economiche conservatrici con un governo che abbia «come bussola l'interesse del popolo lavoratore». L'autonomia del Partito è lo strumento di questa politica. Sull'autonomia esiste una fondamentale unanimità tra i compagni… Tuttavia molti compagni che a parole [la] esaltano in pratica hanno la preoccupazione di non discostare l'azione del PSI da quella, del PCI e ciò per non minare l'unità di classe. L'unità di classe non è una formula politica, ma una questione di fedeltà nella milizia, e quindi non possiamo passare sotto silenzio le ragioni che ci differenziano dal PCI. Oggi, fissati questi punti, ci troviamo di fronte alla domanda di fondo del Congresso: che fare nei prossimi due anni? I compagni delle minoranze parlano di una prosecuzione della lotta, ma parlare sempre e solo di lotta vuol dire nasconderei i reali problemi cui siamo di fronte. Il tema centrale è quello di rendere esplicita la vocazione di sinistra che è nelle forze popolari che ci sono all'interno della DC….i rapporti politici noi li intendiamo non come apertura, che significa accordo, ma come svolta che sottintende condizioni precise e una rottura aperta con la destra economica. Questa politica del Partito è stata chiara quando un anno fa si pose il problema di un governo di centro sinistra per il quale noi ponemmo condizioni precise: nazionalizzazione delle industrie energetiche, le regioni, la democratizzazione della scuola…. C'è la tendenza a svalutare i risultati ottenuti con le giunte a Milano, a Firenze e altrove. Ma la giunta a Milano si è fatta contro le forze della destra. Spesso si dice che episodi come la giunta di Milano s'inquadrano in una serie di cedimenti del Partito. Chi ragiona così non ha fiducia nel Partito, nella sua fedeltà alla classe"334 Nel frattempo, tra pause e ripartenze, procedeva la travagliata convergenza con DC e partiti laici (PSDI, PRI) per un governo di centrosinistra. Nella corrente autonomista attorno a Riccardo

334 F. Pedone, cit. 167 Lombardi erano tornati a radunarsi i suoi vecchi alleati del 1948-49 di Riscossa, Jacometti e Santi, a cui si aggiunsero da altre provenienze Antonio Giolitti (ex PCI), Codignola (ex Unità Popolare di Parri), che non si accontentavano del riformismo pragmatico di Nenni ma puntavano all’introduzione nel programma di riforme di struttura che, dislocando i poteri e le forze economiche, avrebbero dovuto mettere in moto una dinamica tesa al superamento del sistema. La divaricazione delle due linee si rivelò con drammaticità quando i lombardiani non accettarono la bozza di programma concordato da Nenni con la DC e al Comitato centrale del giugno 1963, la «notte di S. Gregorio», diventarono determinanti per la tenuta della maggioranza autonomista. Nenni, di fronte al blocco di Lombardi con la Sinistra, meditò le dimissioni, ma la dissidenza rientrò con l’intesa della convocazione del congresso ad ottobre. L’o.d.g. Jacometti che “ribadisce altresì la permanente validità della prospettiva di centro-sinistra, come unica alternativa reale, nell’attuale situazione politica interna e internazionale, atta a determinare uno sviluppo democratico della politica italiana” venne votato dalla maggioranza.335 Il 35. Congresso si svolse a Roma dal 25 al 29 ottobre 1963: Autonomia ottenne il 57% dei voti, la Sinistra (che comprendeva ora anche la corrente di Basso) il 39%. Jacometti venne eletto membro del Collegio dei probiviri.

335 Questa la critica alla mozione espressa da Lelio Basso in "Problemi del socialismo" 1963, giugno, n.6, "Affermare la prospettiva del centro-sinistra come unica alternativa reale, significa portare acqua al mulino di Nenni e soprattutto di Moro perché significa affermare che il PSI è senza via d’uscita e che esso crede soltanto in questa formula. Ed è chiaro che in questo modo quel che è il dato più importante della situazione politica italiana, l’avanzata della sinistra e il conseguente ‘stato di necessità’ che ha obbligato la DC a cercare nuove alleanze a sinistra, viene rovesciato a danno del PSI: non più la DC ma il PSI si presenta in stato di necessità, e quindi di debolezza 168 Il suo intervento nella seduta del 27 ottobre è uno dei più notevoli per l'ampio respiro. Tralasciate polemiche contingenti e correntizie, il suo ragionamento parte dalla presa d'atto dei mutamenti strutturali intervenuti nella società italiana dopo il "miracolo economico", senza per questo perdere di vista i fini ultimi (...verrà un momento in cui avremo bisogno di passare dalla società democratica a quella socialista. E allora avremo bisogno di quegli otto milioni di lavoratori che oggi hanno votato per il PCI”) solo deplorando i ritardi del partito ad aggiornarsi rispetto alla nuova situazione. Inizia colla constatazione che “il Partito è diventato vecchio nelle sue strutture e organizzazioni. Sono successi avvenimenti formidabili. Le migrazioni interne, lo spopolamento dei campi, il cambiare delle maestranze nelle fabbriche. Sono state fatte delle scoperte, sono entrati nell’impiego comune degli strumenti nuovi, e il Partito è andato avanti come andava avanti cinquanta anni fa. C’è stato un cambiamento di mentalità dei lavoratori, soprattutto dei giovani; nuove forme di vita associativa si stanno affermando. I circoli dei lavoratori sono in crisi. Le nostre Sezioni non sono più un organo vivo, un legame tra il Partito e le masse, l’interprete, il propulsore, la guida delle masse operaie, delle masse contadine, dei tecnici, dei professionisti. Il sindaco socialista fa quello che vuole senza che il Partito sia vicino a lui; e così potrei seguitare. A un certo momento sono nate le frazioni nel Partito e qui è stata veramente la depressione delle nostre assemblee, è subentrata una disciplina di frazione. La circolazione delle idee è stata arrestata, il muro contro muro è stato imposto, è nata la stampa di corrente, l’organizzazione di corrente, la disciplina di corrente. Noi, che si vada al governo o no, non siamo più un partito d’opposizione, siamo un partito che assume delle responsabilità di governo anche se non va al governo. Ed allora abbiamo gli strumenti, abbiamo i quadri per affrontare i problemi italiani di oggi? I problemi della vita italiana sono diventati complessi, molteplici; ci siamo mai interessati di sapere per esempio che cosa è il fenomeno dell’emigrazione interna? Quante centinaia di migliaia di lavoratori si sono spostati? Si è calcolato che in Italia si siano spostati un milione e mezzo di lavoratori; dove sono andati? Che cosa fanno? Come si fa a fare una politica quando si manca di questi 169 dati? E potrei continuare. Noi abbiamo dei gruppi parlamentari che hanno come strumento legislativo uno o due compagni funzionari, abbiamo la Direzione del Partito che manca di un centro-studi. La Direzione lavora con le Commissioni; ma il centro studi è un’altra cosa. Abbiamo bisogno di qualche cosa che metta a disposizione del Partito dei dati, delle cognizioni, delle statistiche, delle cose elaborate” Dopo questo appello, entra nel dibattito politico polemizzando con la sinistra che “non ha una politica[cioè] un programma che sia suscetti- bile di essere attuato in uno spazio di tempo abbastanza limitato. Il PSI ha una politica da settanta anni a questa parte, che tende a sostituire alla società capitalistica la società socialista. Ma quando diciamo che non avete una politica, vogliamo intendere che non esiste oggi la possibilità rivoluzionaria e che la politica per l’andata al potere della classe operaia oggi deve lavorare sulle conquiste interne dello Stato. Noi domandiamo che politica ci offrite. La DC deve cominciare con l’adempiere le cose concordate nel corso dell’esperimento Fanfani. Quindi le Regioni, quindi gli Enti di sviluppo….[quanto al]la delimitazione della maggioranza nessuno ha mai pensato di accettare una discriminazione politica. Però tutti hanno convenuto, e lo stesso Libertini, che un conto è la discriminazione, un conto invece è la fissazione di una maggioranza. E questa è una cosa che qualsiasi partito fa e qualsiasi partito ha il diritto di fare… con la DC noi possiamo risolvere alcuni problemi della democrazia nel nostro Paese, creare uno Stato moderno..." Nel gennaio 1964, come presidente del Collegio nazionale dei probiviri, commina la sospensione336 a Lelio Basso e ai parlamentari della Sinistra che non avevano votato la fiducia al primo governo di centrosinistra, rendendo ufficiale la nuova scissione del PSI337 Nacque

336 A. Jacometti, Salviamo il partito, «Il Lavoratore», 10.1.1964; P. Nenni Gli anni del centrosinistra. Diari 1957- 1966, Milano, 1982, pp.281-285. Nell'ottobre 1965, durante un viaggio a Budapest fu operato per sospetta occlusione intestinale. 337 Che diede vita al Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP), il quale ebbe un certo ruolo nelle lotte operaie e studentesche del ‘68, per sciogliersi 170 il Partito socialista di unità proletaria, che fu un aggregato di tendenze diverse. Il nucleo di attivisti costruito da Morandi in funzione organizzativa si divise fra quelli che seguirono Nenni nel suo nuovo corso e quelli che riaffermarono lo stretto rapporto coi comunisti. Si trattava di una replica speculare alla scelta di Nenni: si opponeva la scelta comunista a quella democristiana. Quello che mancava era una scelta socialista. Il Psiup non si sottrasse a questo vuoto di partenza che lo portò otto anni dopo a una malinconica fine.

2 Il Partito unificato. Presidente della Società editrice Avanti! (1965-1968) “Dopo la scissione del PSIUP, il PSI [ha] subito lo stesso processo di trasformazione del PSDI: sono diminuiti gli iscritti appartenenti alla classe operaia; sono aumentati quelli appartenenti ai ceti medi.. Senza decine di miglia di attivisti, senza una forte e organizzata presenza nel sindacato e nella cooperazione di tradizione socialista, è impensabile che il nuovo partito possa sviluppare una efficace concorrenza elettorale al PCI…Infine non dispone né di un grande quotidiano nazionale, né di una casa editrice, né di una gamma di riviste specializzate, mentre il PCI dispone di tutti questi strumenti” 338 La via dell’unificazione è imboccata al 36. Congresso (Roma, 10-14 novembre 1965) nel quale si forma attorno a Nenni De Martino e Mancini un'ampia maggioranza, ed avviene, sulla base di una “carta”, proprio alla vigilia di un vasto movimento collettivo politico e culturale che tale concezione mette in discussione, sotto il profilo sia di un rilancio del marxismo, sia della presa di coscienza – tramite il femminismo, l’ecologismo ecc. - delle implicazioni negative della razionalità occidentale. Il 7 luglio 1967 viene eletto presidente della Società editrice Avanti! che, dopo aver perso in occasione della scissione del PSIUP le collane ideate e dirette da Gianni Bosio339, si era ridotta al quotidiano del partito. in seguito alla sconfitta elettorale del 1972. 338 G. Galli “Il bipartitismo imperfetto”, Bologna, 1966, pag. 382-385 171 Come in tutte le strutture ed a ogni livello, in seguito all’unificazione la composizione è paritetica (a un ex PSI si affianca un ex PSDI) creando così organi direttivi pletorici. I direttori dell’Avanti sono addirittura tre mentre la redazione si impoverisce di validi professionisti. A Roma i giornalisti sono 35, mentre la redazione milanese è composta di 17 elementi (compresi due a Bologna che, contando più di 500 abbonati, dispone di una pagina locale). Il quotidiano è in caduta libera di vendite, come gli altri giornali di partito del resto, perché non è in grado di fornire tutte le notizie e le rubriche della stampa d’informazione, mentre sta cambiando la composizione sociale dei lettori e si sta estinguendo la figura del "diffusore". Jacometti cerca di sensibilizzare il partito inviando nell’aprile 1968 agli eletti negli enti locali ed ecomici, ai segretari di sezione e di federazione, ai membri di giunte ed ai parlamentari, una circolare per sollecitare la sottoscrizione dell’ abbonamento all’Avanti! ponendola come dovere anche morale dell'iscritto. In risposta giungono centinaia di lettere di compagni di base che testimoniano la componente popolare (dal ferroviere di Gioia del Colle al portalettere di Firenze) che formulano proposte, protestano, criticano oppure plaudono l'operato dei "compagni" delegati a rappresentare il partito nel governo nazionale, rivelando gli umori di un partito ancora "popolare" e vivace340. Ebbe in questo periodo frequenti scambi epistolari con Fidia Sassano, giornalista della redazione milanese dell'Avanti, con un lungo passato di militante (l'occupazione delle fabbriche a Sarzana, la scuola leninista di Mosca, il lavoro clandestino e il carcere, la rottura col PCI, l'internamento in Germania341 ) ed è proprio allora che avvenne l'ingresso del giovane Walter Tobagi in questa redazione.

339 Diventate "Edizioni del gallo". Su Gianni Bosio: Stefano Merli, L' altra storia : Bosio, Montaldi e le origini della nuova sinistra, Milano, 1977 340 In ISR Novara, Fondo Jacometti 341 Fidia Sassano (1904-1978) Un compagno difficile. Vita e scritti di un militante, Venezia, 1979 172 In un memoriale del 20 giugno sintetizza le cifre: la vendita in tre anni è calata del 38%, passando dalle 27.500 copie del 1965 (di cui 16.800 dell’edizione milanese e 10.700 di quella romana) alle 17.000 del 1968 (di cui 9.000 milanesi e 8.000 romane) con un calo più rilevante quindi al Nord. Per risollevare la situazione chiede una direzione unica ed efficiente e miglioramenti tecnici (offset e collegamento telefax tra le due redazioni)342.

342 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000 “Un'altra battaglia che conducemmo insieme fu quella per la sopravvivenza dell'"Avanti!"…Nel giugno del 1967 Jacometti consegnava a Nenni un mio promemoria sull'esodo dall'"Avanti!" dei migliori giornalisti e sulla incapacità del partito di utilizzare gli intellettuali che erano iscritti al PSI o che erano simpatizzanti. Il 27 giugno Nenni così mi rispondeva: "So purtroppo che noi per- diamo o non utilizziamo un'infinità di uomini di cultura, di professionisti, di specialisti, perché non abbiamo strutture adeguate a un moderno partito. Spero che ora il partito riparerà a questo grave inconveniente. Ma la situazione rimane penosa. Il giornale va perdendo i migliori elementi; i nostri uffici si basano su apporti volontari; il solo terreno in cui si è potuto fare qualcosa è quello dei posti amministrativi o delle collaborazioni nei gabinetti ministeriali. Ma è poco e circondato da molte difficoltà...Nel novembre del 1967, dopo un viaggio intercontinentale che avevo fatto per conto della Fondazione Agnelli, che finanziava una mia ricerca sui quotidiani nel mondo, inviavo a Jacometti un mio promemoria di venti cartelle che avevo intitolato Proposta per l'adozione dell'offset ali'"Avanti!". Ovviamente la mia proposta non si limitava allo svecchiamento tecnico del giornale, ma anche ad un cambiamento della sua formula. "Per mutare contenuto -scrivevo, fra l'altro - intendo soprattutto la rinuncia all'attuale formula ibrida, di compromesso. O l'"Avanti!" ha i quattrini per fare la concorrenza ai grandi giornali di informazione e allora fa un tipo di giornale come il laburista "The Sun", oppure rinuncia alla prospettiva delle alte tirature e torna ad essere un "foglio di idee", un foglio di polemiche e di battaglie. Le formule mediane non possono che alienare le simpatie sia di quelli che esigono un ricco notiziario sia di quelli che intendono invece "consumare" un abbondante materiale ideologico". Jacometti presentò il promemoria a Nenni e all'amministratore delI'"Avanti!" Talamona, ed ebbe risposte molto confortanti. Ma la sconfitta socialista alle elezioni del 19 maggio 1968 riportava la questione dell'"Avanti!" in secondo piano. Il partito aveva ben altri e più urgenti problemi da risolvere, in una confusione totale che lo avrebbe 173 Di fronte a risposte evasive343, nel novembre 1968 trae le conseguenze e si dimette da presidente. Il PSI sperimentò in quella fase un doppio insuccesso: per la sua debolezza nei governi di centrosinistra e per il fallimento dell'unificazione col partito di Saragat. Nel 1968 si svolsero le prime elezioni dopo l'unificazione. Nel collegio Torino-Novara-Vercelli per la Camera dei deputati il partito unificato ottenne 61.000 voti, che erano all'incirca quelli del solo PSI alle elezioni precedenti, con la perdita secca dei 24.000 voti del PSDI. Jacometti ottenne quasi 7.000 voti di preferenza, di cui 4.800 nel novarese e non venne rieletto, come già avvenuto vent'anni prima. In vista del 37. Congresso, che si tenne dal 23 al 30 ottobre 1968 si andarono formando nuove correnti: Autonomia (Nenni, Mancini, Ferri, Preti, Romita) col 37% dei voti, l'unica in cui confluivano entrambe le componenti, precedeva di poco Riscossa, guidata da De Martino, col 34%, comprendente solo militanti del vecchio PSI, in cui si collocò Jacometti. Seguivano la corrente ex socialdemocratica e le piccole pattuglie capeggiate da Lombardia e Giolitti.

3. Dalla nuova scissione alla segreteria Craxi (1969-1980) La delusione per l'insuccesso elettorale ebbe un ruolo nella nuova scissione che si consumò nel luglio 1969, ma la causa principale stava nel fatto che il PSI, che aveva rifiutato la mezzadria moderata del 1947 e subìto il freno moderato del 1964, rifiutò nel 1969 di essere la fragile ala sinistra del blocco d’ordine. Nenni lasciò allora la guida del partito che fu assunta da Francesco De Martino, la cui linea di «equilibri più avanzati», che tentava di ritagliare un ruolo di cerniera al PSI, fu vanificata dal dialogo diretto che si aprì nel 1973 tra DC e PCI col «compromesso storico». Iniziò negli anni '70 un ricambio generazionale, con l'ingresso a funzioni dirigenti di giovani che non avevano conosciuto la lotta antifascista nè quella partigiana, meno idealisti e più pragmatici, e il PSI con le sue

condotto, di lì a poco, ad una nuova scissione" 343 Lettera di P.Nenni 30.6.1968, in ISR Novara, busta 8 174 correnti interne iniziarono a entrare, negli enti locali ed economici, in una logica di spartizione. In provincia di Novara, a parte il quasi coetaneo (classe 1908) verbanese Francesco Albertini, alla Camera dal 1958, presidente di Commissioni e sottosegretario, una schiera di "emergenti" si fece avanti; tra gli altri Cornelio Masciadri344, allora sottosegretario ai traporti.345 L'esito elettorale deludente delle elezioni politiche del 1976 determinò una nuova svolta del PSI: alla segreteria fu eletto il giovane autonomista grazie a un accordo con i lombardiani, che tagliava fuori i vecchi capicorrente De Martino e Mancini, sulla base della linea dell’alternativa. L'elezione di Bettino Craxi, oltre al carattere «generazionale» con l'ascesa ai vertici dei «quarantenni», significò un rilancio dell' iniziativa socialista, un' iniezione di fiducia nelle proprie autonome capacità politiche, un rinnovato orgoglio di partito. La linea dell'alternativa però mal si sposava con l'esigenza di Craxi di avere le mani libere da ogni condizionamento e già al 41. Congresso, che si svolse a Torino nel marzo-aprile 1978 in una clima teso, influenzato dal sequestro di Moro da parte delle Brigate rosse, vennero avanzate cautele e riserve. Apparve per la prima volta il garofano in clinica: in un messaggio il vecchio leader avvertì «l'immediatezza del pericolo» rappresentato dalle Brigate rosse e indicò nell' unità di tutte le forze democratiche «l'arma che garantisce nel futuro immediato la possibilità di ricreare l'unità del popolo». Poi Moro venne assassinato dalle Brigate rosse e ciò scosse la coscienza del paese, che tuttavia appoggiò la tesi di non cedere ai ricatti delle 344 Insegnante e preside, sindaco di Novara e Stresa, deputato per due legislature, senatore per tre, vice presidente della Commissione Agricoltura, sottosegretario, membro del Consiglio Europeo e dell'Unione Europea . 345 In una lettera del 12 maggio 1973 a De Martino denunzia la formazione di un gruppo di potere capeggiato da Masciadri che conta sei voti su 31 nella Federazione provinciale del PSI. In ISR Novara, busta 1 175 forze eversive. Si aprì il capitolo Leone, chiacchierato presidente della Repubblica, costretto a dimettersi. L’8 giugno, dal Parlamento riunito in seduta comune, al sedicesimo scrutinio venne eletto presidente della Repubblica Sandro Pertini. Le innovazioni civili e sociali del decennio 1970-80, cui i socialisti dettero un grande contributo: il divorzio, la difesa della maternità volontaria, lo Statuto dei lavoratori, la riforma sanitaria, rappresentano un avanzamento civile prodotto della grande agitazione sociale degli anni precedenti. Alla fine degli anni 70 le formazioni di ispirazione socialista e marxista alla sinistra dei comunisti erano scomparse; quelli che avevano creduto nell'attualità storica di una rivoluzione erano ormai convinti dalla sua impraticabilità; i grandi partiti di sinistra erano entrati in una fase di incertezza. I comunisti constatavano il fallimento del compromesso storico e tentavano di tornare al passato, a un'ipotetica linea dura, ma la situazione non era più quella, gli operai erano indeboliti e avanzavano ecologisti e femministe, categorie estranee alla tradizione comunista. I socialisti, col loro nuovo segretario Bettino Craxi346, avevano ritrovato l'orgoglio di una autonoma identità ma non ne avevano ancora definito i contenuti. Ma nella seconda metà degli anni settanta si avvertiva che stavano vacillando le stesse categorie analitiche e interpretative. Jacometti si valse della sua vena letteraria per interpretare questo disagio in una creazione artistica. Abbiamo già detto che fin dalla giovinezza coltivava interessi letterari e che aveva pubblicato il primo romanzo a 21 anni. Ricordiamo ancora il dramma "II paese", scritto nel 1963, che vinse il premio Reggio Emilia come miglior lavoro teatrale sulla Resistenza347. Dopo che si era espresso fino ad allora in brevi racconti autobiografici, saggi, opere teatrali, poesie "che costituiscono le tappe della sua vita e che testimoniano la sua

346 P.Mieli, La crisi del centrosinistra. L'alternativa e il « nuovo corso» socialista, in G. Sabbatucci, cit., vol. VI, pp. 147-357 347 Verte sull'eccidio di Marzabotto e qui doveva essere rappresentato nel 1970 ma la somma stanziata da vari enti non fu sufficiente a coprire le spese. Il regista teatrale Giacomo Ricci nel 1974 lo rappresentò come opera propria, ma una perizia dell'Istituto del dramma italiano stabilì che quella del Ricci era una rielaborazione (ISR Novara, Fondo Jacometti, Busta 8 ) 176 evoluzione da giovane idealista, su cui si esercitava l'influenza degli scrittori a lui più cari e congeniali, a uomo maturo che pur nella delusione del presente manteneva viva la fiaccola della speranza, la fiducia nell'uomo e nei suoi valori"348 tra la fine del 1975 e l'inizio del 1976 si cimentò nella scrittura di un romanzo che aveva l'ambizione di tracciare un affresco sulla sua generazione. Appaiono, appena nascosti da pseudonimi, personaggi realmente esistenti (Lombroso = l'autore stesso, Vallarsa = Ernesto Rossi, ecc.) riconoscibili ma anche fortemente rielaborati dalla sua fantasia. Molti episodi riguardanti le vicende più antiche, del tempo dell'emigrazione e del confino, li aveva narrati in altri libri, e in questi brani si respira un clima più disteso, viene colto il lato umoristico anche nelle situazioni penose di quei tempi difficili; invece il romanzo prende una piega amara quando si avvicina all'attualità, quando l'autore si interroga sui fallimenti della sua generazione, anche alla luce della contestazione del '68, per farne un bilancio349

348 U.Jacometti, A.Borrini "Le carte di Alberto Jacometti in "Figure e centri dell'antifascismo in terra novarese" Fontaneto Po, 1992 "Delle opere (una novantina circa) solo sedici sono state pubblicate, le altre, alcune delle quali ancora sotto forma di manoscritto, aspettano pazientemente nelle cartel/ette in cui egli le ha riposte...Difficile una catalogaziene di tutto ciò che egli ha scrìtto, in quanto, nello studio da lui tanto amato rimangono, come egli le lasciò, le sue carte, gli scritti di argomento e natura vari, le lettere a carattere prevalentemente personale. Alcuni suoi scrìtti sono a Firenze e a Torino e costituiscono un fondo a suo nome. La sua corrispondenza con Bernerì è conservata nel fondo Berneri ma tutto il resto non ha ancora collocazione organica e per quanto esistano raggruppamenti da lui stesso effettuati tra articoli e manoscritti, è necessaria un'attenta opera di catalogazione che impedisca il disperdersi della testimonianza di un'epoca e di una vita consacrata alla lotta e quegli ideali che sempre l'accompagnarono" 349 A Jacometti "La fata Morgana e il pinguino; con il saluto di Pertini e una pagina di Nenni", Milano, 1981. Il titolo si presta a varie letture: Morgana è un personaggio della mitologia celtica che per la sua caratteristica di apparire sollevata dal suolo ha dato nome all'effetto ottico del miraggio, e il tema del miraggio è presente nel romanzo. Il pinguino potrebbe far riferimento a "L'isola dei pinguini" paradossale contro-utopia scritta nel 1908 da Anatole France, autore molto letto negli anni '20-'30, oggi dimenticato (ma 177 Gli anni '80 e gli ottanta anni II 31 dicembre 1979 colla morte di Nenni si chiuse un'epoca del socialismo italiano. Dopo il Congresso di Torino l'alleanza tra la corrente autonomista e la "sinistra" finì: Craxi estromise il vice- segretario Claudio Signorile, lombardiano, nominando al suo posto

ripubblicato nel 2006). Questo l'incipit: "....24 novembre 1975.... io mi accingo a incominciare il mio ottantottesimo libro...... Un romanzo perché? In primo luogo una sfida a me stesso: sono ancora in grado, a settantatré anni di intrecciare una storia, crear degli esseri vivi, di carne, di sangue, che siano un primo campione di quella umanità sbilenca ma «diversa» esplosa e pullulante in questi dieci o venti anni? Il tema dovrebbe essere la diversificazione venutasi a consumare in questi ultimi decenni nel modo di essere, di pensare e di reagire, di credere o di non credere, di fare o di non fare. L'uomo è stato tuffato in un clima nuovo, dove i vecchi valori sono stati fiaccati e i nuovi non ancora accettati, uno scompiglio alla ricerca di un equilibrio di là da venire....Incominciò, spenta la guerra, con la seconda rivoluzione industriale; fu allora che la vita incominciò a galoppare. Fino allora, aveva proceduto, per migliaia di secoli, con il tran tran di una vecchia locomotiva scassata, e anfanava per le nostre pianure alla guisa di scuri lombrichi o di bruchi. Le rivoluzioni di tanto in tanto la squassavano ma la pietrosa tavola della legge con qualche ammaccatura sopravviveva. E fu per migliaia di secoli un cammino aspro, impervio, senza soluzione di continuità, sul quale l'uomo barcollando avanzava con sulle spalle un misterioso sacco piombato e negli occhi un riflesso d'aurora boreale. La cosiddetta seconda rivoluzione industriale mandò tutto a carte quarantotto, l'uomo rimpicciolì, sballottato e le forze evocate s'impadronirono di lui. Poi venne ad affacciarsi sui confini dell'orizzonte il terzo mondo...... Poi ancora il Sessantotto: una rivoluzione fallita.. ..che s'inventava, priva di bandiera, di quartier generale, d'obiettivi; o con cento o con mille diversi, in contrasto; rompere, distruggere, una rivoluzione priva di stella polare, un ammutinamento di barboni letterati e evoluti, di chi aveva ascoltato la voce, le voci, e obbediva al grido che saliva, selvaggio, dalle caverne dell'essere. Fallita? Certamente, dal momento che non raggiunse alcun traguardo concreto e l'acque s'acquietarono e il mondo continuò a rotolare nella stessa (o parve) orbita. Ma... Una rivoluzione che iniettò nelle vene degli adami un veleno ad azione ritardata, come certe bombe... In sette anni ci siamo accorti 178 Claudio Martelli e Valdo Spini e diede vita a una ferrea alleanza con la destra democristiana350. Il PSI si ritrovò incondizionatamente legato all'eterno partito di maggioranza, che pagò il compenso per la fedeltà governativa in termini di potere economico e amministrativo: con meno di un sesto dei consensi il PSI ebbe più di un terzo del potere economico e amministrativo. Ciò incise sulle caratteristiche del partito, apportando modifiche così profonde nel modo stesso di «fare politica», da renderlo completamente diverso da quello che storicamente aveva operato nella società italiana. Il PSI si mostrò particolarmente attento ai movimenti sociali e alle battaglie per i diritti civili; curò la propria immagine attraverso i mass- media e non disdegnò la politica-spettacolo. Esaurito il tempo della d'avere assorbito un veleno non ancora individuato e trascritto, né catalogato, né sperimentato, né padroneggiato, con effetti che più il tempo passa e più stupiscono e frastornano... " 350 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000 “…cominciai a rendermi conto che il PSI di Craxi non era più il mio partito, non era lo stesso partito al quale mi ero iscritto nel 1945, a Novara, con cinque galantuomini come garanti dei valori laici e civili del PSI. Prima di lasciare il PSI feci, insieme a due amici novaresi, Enrico Massara e Vittorio Rolla, un ultimo, disperato quanto ingenuo tentativo di mobilitare i compagni (ed erano tanti), che non si riconoscevano nel partito di affari che Craxi stava costruendo. Ancora una volta, per questa difficile battaglia, pensai a Jacometti. All'uomo che, all'inizio degli anni '20, aveva subito due aggressioni squadristiche; che era stato in esilio per vent'anni e poi incarcerato a Ventotene; che il partito aveva eletto segretario al congresso straordinario di Genova. Pensai a Jacometti ...Era l'inizio del 1980 e già si intravedevano le manovre per la formazione di una coalizione anticraxiana costituita da lombardiani, demartiniani e manciniani. Era il momento più favorevole, ma Jacometti, ormai quasi ottantenne, non si sentì di alzare la bandiera della rivolta, anche se il suo attrito con Craxi era palese. Nel 1978, infatti, aveva rimproverato a Craxi di aver preso da solo la decisione di cambiare il simbolo del partito, adottando il garofano, e "al congresso di Torino criticò il serpeggiante anticomunismo che vedeva crescere all'interno del partito""*. La lettera, con la quale declinava il mio invito, si chiudeva, quasi a farsi perdonare, con parole affettuose che non aveva mai usato: "Ti abbraccio, caro Angelo, tuo Andrea". Andrea era il suo nome di battaglia durante la resistenza: era la prima volta che l'usava con me. 179 solidarietà nazionale, iniziò una campagna per la «governabilità» del paese, per il quale si richiedevano esecutivi stabili. Gli interventi del segretario assumono toni «decisionisti» (i politici devono curare l'aspetto della responsabilità come e più di quello della rappresentatività); la «grinta» di Craxi diventa fenomeno da imitare. All'inizio degli anni Ottanta, Craxi conquista definitivamente il partito; sarà sempre riconfermato alla segreteria con voto plebiscitario. Inizia la serie dei governi «pentapartito», che si distinguono dai governi di centrosinistra perché comprendono anche il PLI e, soprattutto, perché si costituiscono per uno stato di necessità perché altre maggioranze non sono possibili. Ciò spiega la continua litigiosità all’interno della compagine ministeriale; PSI e DC, in particolare, appaiono amici-nemici in costante competizione, soprattutto da quando il PSI mira ad occupare una posizione «centrale» nel sistema politico italiano. Nel frattempo il PSI non sconfessa la politica dell'alternativa, che utilizza come strumento di condizionamento della DC e per coprirsi a sinistra; la condiziona però a un ridimensionamento dei rapporti di forza tra i partiti storici della sinistra. Craxi si era posto due obiettivi: allargare lo spazio all'azione del PSI, eliminando gli ostacolo di carattere interno ed esterno al partito; aumentare la forza elettorale del PSI, mediante la «riconquista» di consensi alla sua sinistra e attraendone di nuovi alla sua destra, in modo da dare una base concreta alla richiesta di una maggiore considerazione del ruolo del PSI nella vita politica, economica e sociale della nazione. Il primo obiettivo fu pienamente raggiunto. Il ruolo autonomo del PSI nella politica italiana fu riaffermato in modo netto. Craxi operò la definitiva liquidazione di ogni complesso di inferiorità sollecitando l'orgoglio socialista come propulsore per il successo dell'iniziativa del partito. Fu l'autonomia, praticata con forza e senza remore o complessi, sia verso il PCI che verso la DC, che consentì al PSI di raggiungere risultati politici notevoli, assolutamente impensabili seguendo i vecchi canoni: la «pari dignità» nei rapporti tra i partiti del la maggioranza che sostiene il governo e il conseguente accesso del PSI alla presidenza del Consiglio. In questi anni l'area socialista fornì un contributo culturale importante, con una serie di 180 congressi e con la rivista Mondoperaio, sulla «crisi dei sistemi totalizzanti», nel rilancio di alcuni temi della tradizione liberaldemocratica, nella ripresa delle idee riformiste, con particolare riferimento al socialismo liberale di Carlo Rosselli. Intanto il PSI andava abbandonando ogni pregiudiziale ideologica. Se ancora verso la metà degli anni Settanta alcuni suoi dirigenti (Lombardi, De Martino) sostenevano una politica di alternativa al capitalismo e teorizzavano un possibile passaggio alla società socialista, il PSI degli anni Ottanta ha acquisito una posizione molto più pragmatica, sostenuta con la ripresa di tradizioni socialiste non marxiste e del riformismo e con l'apertura a teorie e temi provenienti da aree culturali di matrice «democratica» (Popper, Rawls). Negli anni Ottanta il PSI si è proclamato partito non dogmatico e «aperto», attento ai grandi movimenti di massa e sensibile alle dinamiche delle società complesse. Nell'agosto 1983 un socialista per la prima volta diventa capo di un governo che resta in carica tre anni e mezzo. Col favore di una congiuntura internazionale positiva si ha un rientro dall'inflazione, ma il debito pubblico continua pericolosamente a crescere. E’ il governo Craxi a firmare il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica. Jacometti dissentiva da questa linea e stava sempre più a disagio in un partito che sentiva estraneo anche per i metodi di gestione interni. In occasione del Congresso di Verona celebrato nel 1984 il Comitato Centrale venne sostituito da un'Assemblea di 400 membri, per un terzo composta da rappresentanti della "società civile". Nominato in essa, fu però escluso dalla Direzione (composta di 31 membri), a differenza degli altri ex segretari nazionali De Martino e Mancini. Questa ingratitudine per una persona "disumanamente dimenticata", come disse Sandro Pertini, si aggiunse al dissenso politico determinandolo alla sofferta decisione, che neppure il tentativo del vicesegretario Claudio Martelli valse a far recedere, di lasciare il par- tito dopo sessant'anni di militanza, partecipando a una diaspora che coinvolse importanti esponenti del socialismo (Antonio Giolitti,

181 Gaetano Arfé, Franco Bassanini, Federico Coen, Giorgio Strehler, Guido Rossi, ecc.).351 Si spense nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1985 a Novara. Al suo funerale civile, il 12 gennaio, furono gli amici ed i vecchi partigiani a rendere l'ultimo saluto al compagno "Andrea".

351 Si veda quanto dichiarato da Arfè all’ “Unità” il 7.5.1987: “Non ho più ripreso la tessera dal 1984, perché ho visto il PSI trasformarsi radicalmente. Al di là del mio dissenso politico, il distacco è nato sul modo di concepire e dirigere il partito, sulla vita interna, sulla cultura corrente, sulla selezione dei quadri, nel costume. Craxi ha avuto il problema di rinnovare il PSI, di dare basi solide all'autonomia socialista. E' riuscito bene nell'abbattere i ruderi di un asfissiante regime correntizio e un certo vecchiume culturale e dottrinale. Ha dato al PSI agilità di manovra. Ma ha prodotto uno svuotamento del partito: il "nuovo corso", man mano, si è deviato. Invece di cercare forme originali di cultura politica, si sono inseguite le sug- gestioni cangianti delle mode, a volte, mal suggerite da ideologi dilettanti: Proudhon al posto di Marx, Garibaldi al posto di Turati, poi il "lib lab", poi il "socialismo tricolore". Non si è fatta una revisione critica del marxismo, piuttosto un'opera di demolizione della tradizione socialista. Il PSI, soprattutto, è rimasto in questi anni schiavo della tattica del momento. Unico disegno si è rivelato, mi pare, quello di conquistare rapidamente posizioni di potere. E il bilancio politico sembra ora fallimentare: nell'orizzonte del penta- partito il PSI può sempre rientrare, se vuole, ma avrà un ruolo subalterno, sarà in una gabbia. Craxi ha creato sì dif- ficoltà alla DC, però in una contesa ristretta all'ambito del potere 182 SCHEDE BIOGRAFICHE

GIUSEPPE LIBOI Nasce nel 1863 a Besozzo (Varese); dopo la seconda elementare inizia a lavorare come muratore. Nel marzo 1901 per la Prefettura di Milano: “ aveva molto ascendente nel settore dei lavoratori edili nel partito … a Milano e nelle provincie limitrofe. Ha rapporti con Angiolo Cabrini e soprattutto con Silvio Cattaneo” con cui il 14 maggio 1898 ripara in Svizzera perché sospettato di essere fra i promotori dei moti di Milano: infatti fu spiccato mandato di cattura nei suoi confronti, poi decaduto per insufficienza di prove. Molto attivo nell'organizzazione della Federazione Italiana arti murarie e impegnato a costituire sezioni della "Associazione Mutua e miglioramento fra muratori", è “un efficiente propagandista anche se si esprime per lo più in dialetto lombardo" Nel 1896 tiene in molti paesi del circondario milanese delle conferenze di propaganda per l'Associazione e per far aderire quelle già esistenti alla Federazione Muraria e alla Camera del Lavoro. Nel 1900 con Silvio Cattaneo e Pietro Bellotti ricostruisce la Camera del Lavoro dopo lo scioglimento dandole indirizzo socialista rivoluzionario. Prende la parola ai comizi di esponenti socialisti fra cui Cabrini e Dino Rondani e nel 1902 è nominato delegato della Carnera del Lavoro per le arti edilizie. Nel 1905 cambia posizione e appoggia l'area riformista, con cui si presenta alle elezioni della Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro, ma non è eletto. Il 29-30 settembre 1906 partecipa al congresso della Resistenza a Milano che delibera di trasformare il Segretariato Nazionale della Resistenza nella Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) con sede a Torino e in cui è eletto componente del Comitato di Vigilanza. Nel 1907-8 è molto attivo e partecipa a conferenze e manifestazioni in tutta la Lombardia: a Como è presidente della commissione per la costituzione di due Leghe: delle arti tessili ed edilizie, nelle provincie di Como e Bergamo tiene conferenze in molti paesi a volte interrotte dagli organi di polizia presenti "per accenni vivaci ai conflitti tra operai e forza pubblica". A Como è eletto anche delegato della locale 183 “Società Umanitaria". Il 3 aprile 1910 interviene alla riunione degli scalpellini e marmisti di Viggiù in sciopero consigliando prudenza. Il 22 gennaio 1911 si presenta alle elezioni amministrative nella lista dei partiti popolari ma non è eletto; dal 1913 al 1917 vive a Milano lavorando come Segretario della Cooperativa muratori e tenendo qualche conferenza. FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale. www.umanitaria.it “voci di quartiere, storie di vita vissuta” p.3, 14; M. Antonioli, J. Torre Santos Riformisti e rivoluzionari : la C.d.L. di Milano dalle origini alla Grande guerra, 2006, pag. 145

MAFFIOLI Ugo Osvaldo Nasce nel 1871 a Castellanza. Operaio tessile, riesce a mettersi in proprio sino ad impiantare una piccola fabbrica di cravatte. Iscritto al partito socialista dalla fondazione e attivo propagandista nell'ambito della Camera del lavoro di Milano, massone e di tendenza riformista, al XIII Congresso nazionale del PSI (Reggio Emilia, 1912) si schiera con i riformisti di sinistra, vota il documento di Francesco Ciccotti sulla tattica elettorale e, sull'espulsione della destra riformista di Bissolati e Bonomi, interviene perché sia limitata e motivata individualmente. Alle elezioni politiche del 1913, nel terzo collegio di Milano, supera al ballottaggio il radicale Manfredini, con un'intensa campagna centrata sulla necessità che il proletariato scelga i propri rappresentanti nelle proprie fila, rifiutando i tradizionali legami con la borghesia più avanzata. Eletto nel giugno 1914 anche consigliere al comune di Milano, sull’intervento si pronuncia in un primo momento a favore delle posizioni di Mussolini interventista, ma rifiuta poi di seguirlo fuori dal partito, come ribadisce sia in una riunione con Majno e Caldara, sia in una assemblea di dirigenti del socialismo milanese (Turati, Caldara, Sarfatti, Ferrari, Allevi e Marangoni) in cui viene votato un documento di «simpatia» per le «democrazie occidentali». Come amministratore comunale propone la municipaliz- zazione dei servizi di approvvigionamento e distribuzione del carbone e del gas per battere la manovra speculativa conseguente all'intervento in guerra. Nel 1917 si allinea con Turati e Treves nell'auspicare l'ap- poggio del Gruppo Parlamentare Socialista al governo «nazionale» e 184 partecipa ad una delle «commissioni» create per sostenere lo sforzo bellico. Attaccato da Luigi Repossi per il suo «collaborazionismo» al XV Congressö nazionale del PSI (Roma, 1918), replica che solo grazie alla presenza socialista all'interno delle commissioni si erano evitate manovre antiproletarie e si erano potuti sapere particolari «altrimenti inconoscibili». In tale occasione appoggiala mozione di G.E. Modigliani favorevole al rinvio della discussione sulla adesione alla III Internazionale. Nel maggio 1919 compie un viaggio personale a Budapest e in un colloquio con Béla Kun dichiara che il programma del PSI ed i suoi dirigenti sono rivoluzionari solo a parole. A Costantino Lazzari che condanna sull'Avanti! la «leggerezza» di queste dichiarazioni strumentalizzate dalla stampa borghese, precisa il carattere strettamente personale dei giudizi espressi nel corso di una visita informale e presenta le dimissioni dal partito, che la sezione socialista milanese respinge a maggioranza. Ma “l'Avanti!” continua gli attacchi personali insinuando essersi in più occasioni servito del mandato parlamentare e delle relative agevolazioni, come la tessera ferroviaria, per i propri interessi privati di industriale manifatturiero. Il «caso», momentaneamente accantonato di fronte all'urgenza di altre scadenze, come il XVI Congresso del partito (che vi accenna solo di sfuggita) e le elezioni politiche del novembre 1919 (in cui non viene ripresentato), è risollevato nel gennaio 1920, quando in una riunione della sezione socialista milanese si ricorda che l'ex-deputato ha mantenuto un comportamento «corretto, da galantuomo» e da sette mesi aspetta una delibera definitiva. Nella successiva riunione del 17 febbraio Serrati ricorda che la stampa borghese ha sfruttato l'incidente per attribuire al caso il carattere di una sconfitta dell'”Avanti!” e di tutta la corrente massimalista, che pur essendo la maggioranza aveva «ceduto» alla volontà della destra riformista. Egli riconferma le proprie dimissioni ed esce dal partito ma rimane in contatto con i riformisti milanesi e alla loro espulsione al XIX Congresso nazionale del PSI (Roma, 1-5 ottobre 1922) si iscrive al Partito socialista unitario e viene candidato alle elezioni amministrative milanesi del 1922, riuscendo eletto consigliere comunale; carica che mantiene sino al 1925. Da quella data si perdono le sue tracce, con le leggi

185 eccezionali a giustificare il suo ritiro dalla vita politica. Muore a Ossuccio (Varese) nel luglio 1943). FONTI: Resoconto stenografico del XV Congresso nazionale del PSI, 1919, pp. 162-163 e 366-367; F. Pedone, Il P.S.I. nei suoi congressi, 1959-1968; L. Valiani, Il PSI nel periodo delta neutralità , 1962; S. Turone, Cronache del socialismo milanese, 1963; F. Andreucci, T. Detti Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico.

GALLI Alessandro Nato nel 1876 a Montirone da Giuseppe e da Giulia Luraghi. Trasferitosi con la famiglia a Sesto S. Giovanni (Milano), si avvicina giovanissimo agli ambienti anarchici milanesi e subisce i primi arresti, la vigilanza speciale e il domicilio coatto, pur lavorando come nastraio. Ne1l'apri1e 1893 la prima condanna; dopo pochi mesi uno scontro coi poliziotti lo riporta in tribunale dove è difeso con successo da Pietro Gori. Il 13 settembre 1894 è condannato a 15 mesi di domicilio coatto da cui è prosciolto il 4 marzo 1896. Chiamato alle armi nel 1897 a Vercelli, rimane in servizio fino all’ agosto 1900, trascorrendo l'ultimo periodo di leva al domicilio coatto. Tornato a Milano, riprende il lavoro di nastraio. E’ nominato segretario amministrativo al congresso costitutivo della Federazione dei Tessili (FIOT) tenuto a Milano nell’aprile 1901, al cui periodico «Le Arti tessili» collabora assiduamente. Nel febbraio del 1902 viene richiamato sotto le armi e assegnato al 23° Reggimento di stanza a Milano. Più volte incarcerato, inviato presso la compagnia di disciplina a Portoferraio, nonostante le vibrate proteste della Federazione, viene definitivamente congedato nell'autunno e può riprendere, all'inizio del 1903, il suo posto nel Comitato centrale della FIOT. Nel marzo 1904 al terzo congresso della FIOT a Pisa, in rappresentanza dei tintori milanesi e delle sezioni nastrai di Milano, Intra e Monza, osteggia l'aumento della quota e si oppone alla linea favorevole alla legislazione sociale: convinto che i lavoratori debbano “far da sé", senza inutili intermediazioni, ritiene gli scioperi parziali un utile esercizio in attesa della "grande lotta" finale. Il 23 aprile 1905 nel comizio in occasione della formazione dell'organizzazione dei Panettieri è richiamato dalla gendarmeria di Lugano per 186 l’atteggiamento troppo violento. Un eccidio proletario avvenuto a Torino il 6 maggio 1906 scatena una serie di scioperi di protesta in tutta Italia. A Milano il 10 il fratello Angelo muore accoltellato dal custode della fabbrica dove si è recato per controllare la presenza di crumiri. Nel comizio indetto dopo poche ore pronuncia un discorso incendiario che genera tumulti ed è denunciato per istigazione a delinquere e costretto a rifugiarsi a Lugano. (Il 13 maggio durante il funerale del fratello ha luogo un violento scontro tra anarchici e truppe a cavallo e il pittore Carlo Carrà, allora frequentatore del milieu anarchico, si trova nella mischia e trasferisce le sue emozioni su tela, in un famoso quadro ora al MOMA di New York.) Rientrato a Milano il mese dopo, riprende la sua attività di nastraio e di propagandista della FIOT. Dalla morte del fratello l'intransigenza lascia il posto alla mediazione e all’adesione all'area socialista riformista e in occasione dello sciopero del Verbano, nel 1906, si scontra con la combattività della CdL di Intra che lo critica per la sua "transigenza"; la sua estraneità al movimento anarchico è ormai evidente e nulla distingue le sue posizioni da quelle di Buozzi o Quaglino. A partire dal 1907 l'attività sindacale aumenta d’intensità:si sposta da una città all'altra in qualità di propagandista, interviene nelle vertenze dando prova di capacità di mediazione, collabora al giornale federale. Al congresso della FIOT nell’ottobre 1909 sostiene l'aumento della quota federale. Nell'agosto 1910 ne diventa segretario conservando anche l'incarico di propagandista. Dal maggio 1911 entra nel Direttivo della CGdL. Alla vigilia dello scoppio del conflitto europeo è condannato per aver condotto un lungo sciopero a Borgosesia. Nel novembre 1915 è richiamato alle armi e nel settembre 1917 ottiene l'esonero perché membro del Comitato Regionale di Mobilitazione Industriale. Sempre nel 1917 entra nell’Esecutivo della CdL di Milano e, con Nullo Baldini, Angiolo Cabrini e Ludovico D'Aragona,della Commissione incaricata di preparare un disegno di legge sull'assicurazione obbligatoria contro le malattie. Nella “biennio rosso”è una delle figure di spicco del movimento sindacale. Segretario della FIOT, si impegna nell'organizzazione delle lotte del settore tessile; in particolare dirige con Ernesto Schiavello e Giuseppe Reda, nel maggio-giugno 1919, lo sciopero dei tessili biellesi. Per questa battaglia sindacale è denunziato 187 sotto varie imputazioni con altre 86 persone. Nel 1920 partecipa ad Amsterdam al Convegno Internazionale dei Sindacati Operai, dal 15 al 30 ottobre al Congresso della Federazione internazionale dei Sindacati tessili a Londra e nel 1921 a Berlino al congresso internazionale come membro del Comitato centrale dell'internazionale Tessile. Fautore dell'autonomia del sindacato dal PSI si scontra, al Congresso della FIOT dell’ottobre 1920, con l'opposizione massimalista e .ordinovista, riuscendo sconfitto. Le sue dimissioni vengono tuttavia respinte anche dai massimalisti e rimane alla testa della Federazione, affrontando la crisi che porta all'affermazione del fascismo e firmando l'ultimo contratto nazionale a Palazzo Vidoni nell'ottobre 1925. Con la legge del 3 aprile 1926, che abolisce la libertà sindacale, abbandona ogni attività e si stabilisce ad Udine lavorando come cassiere presso il laboratorio di sartoria del genero. Il 2 marzo 1941 la prefettura di Udine propone la sua radiazione da novero dei sovversivi in quanto «non si accompagna ad elementi notoriamente sospetti in linea politica, e ... partecipa spesso, pur non essendo iscritto alle organizzazioni del partito, alle varie cerimonie patriottiche e fasciste» Muore a Udine nel 1950 FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale M. Antonioli Dizionario biografico degli anarchici italiani; A. Pepe, Storia della CGdL dalla guerra di Libia all'intervento, 1971; M. C. Cristofoli, M. Pozzobon I tessili milanesi, 1981; L.Marchetti, La Confederazione Generale del Lavoro negli atti, nei documenti, nei congressi, 1962;

GHEZZI Ernesto Nato nel 1878 a Milano da Giovanni e da Gaetana Ponciletti. Dopo le elementari e le scuole tecniche lavora come fonditore in bronzo. Da Milano (dove, scrive la Questura, è “poco ben visto pel suo carattere superbo e prepotente, ma che non erasi fatto notare come appartenente a partiti sovversivi”) si trasferisce nel 1898 a Venezia, la cui Prefettura nel cenno biografico lo descrive “Di mente alquanto esaltata, si iscrisse al circolo socialista e ben presto si fece notare per il suo fervore, per l'eccessività dei suoi propositi tendenti all'anarchia, pel suo zelo nella propaganda.... Si arrabbattò per riorganizzare la 188 Lega di resistenza tra operai metallurgici e prese parte a tutte le conferenze elettorali politiche, prendendovi quasi sempre la parola per esternarvi propositi violenti, per attaccare l'Autorità e le Istituzioni.” Nel luglio 1900 ritorna a Milano occupandosi presso una fonderia. Gradualmente abbandona gli originari ideali anarchici: scrive la Prefettura di Milano il 29 marzo 1902: “Riscuote in pubblico buona fama, di carattere mite, di discreta educazione, ha sufficiente intelligenza e cultura. E' affiliato al partito soc. delle cui teorie è attivo propagandista, quantunque in passato abbia accarezzato quelle anarchiche”. La Federazione socialista milanese lo delega nel giugno 1901 al Congresso nazionale Metallurgici a Livorno. Condannato ad ammenda per diffusione di manifesti sovversivi, nel settembre 1901 una denuncia per istigazione all'odio di classe è archiviata per inesistenza di reato. Segretario della Federazione provinciale delle Leghe fra i lavoratori della terra di Bologna da aprile a luglio 1902, a dicembre è eletto nell’Esecutivo della Camera del Lavoro di Milano e segretario della Federazione muratori. Schierato con i riformisti, nel 1905 è nominato nel Collegio dei Delegati della Società Umanitaria e candidato nelle elezioni amministrative di gennaio, ma con 16945 voti non è eletto; invece nelle elezioni del 19 giugno 1910 diventa Consigliere Provinciale. Nell’agosto 1911 tiene una serie di conferenze in Toscana per sostenere la lotta dei vetrai contro il trust delle Società vetrarie riunite, ma è soprattutto in Lombardia che svolge l’attività di propagandista: sono segnalate conferenze a Lecco nel 1908, nel febbraio 1912 a Vedano Olona. (Como) su "guerra e questione economica", nel marzo 1913 a Malnate e Comerio (Varese), a maggio a Varese su 'Politica operaia". Neutralista prima della guerra, nel 1918 è richiamato alle armi e assegnato alla territoriale in città. Nel 1919, congedato, continua a tenere conferenze di propaganda e in occasione dei moti per il caroviveri di luglio è nominato nella Commissione per l'applicazione del calmiere. Nel 1916 riconfermato nell’Esecutivo della Camera del lavoro, nel novembre 1919 è eletto deputato per il Collegio di Como nella lista socialista, ma non è riconfermato nelle elezioni del maggio 1921. Nel 1923 si iscrive al P.S.U. di Matteotti e Turati. Quale vicepresidente del Direttivo della Società Umanitaria e della sezione 2° per l'emigrazione, ottiene il 189 passaporto per gli stati europei per studiare le condizioni di lavoro in rapporto ai servizi dell'Umanitaria stessa per l'assistenza agli immigrati. Fa parte del Consiglio d'amministrazione dell’ "Unione Cooperativa di lavori pubblici all'Estero" con sede presso l'Umanitaria, composto da Luigi Della Torre, Felice Quaglino, Nullo Baldini. Il 23 novembre 1926 è assegnato al confino per un anno a Colobraro (Matera). In seguito a ricorso il provvedimento è tramutato in ammonizione per due anni da cui viene prosciolto a settembre. Nel 1928 intraprende il commercio di tessuti e nel 1930 è occupato come impiegato presso la ditta Pagani. “Mantiene ferme le sue idee ma non svolge alcuna attività politica”. Muore a Milano nel 1934. Ai funerali partecipano 200 persone tra cui gli ex deputati Bellotti, D'Aragona, Caldara, e Repossi. FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale L. Marchetti La CGdL negli ali, nei documenti, nei congressi, 1962; F. Andreucci-T. Detti Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, 1970-75

MARIO GUARNIERI Nasce a Ostiano, in provincia di Cremona nel 1886 da Giuseppe, sellaio. Nonostante le modeste condizioni della famiglia, frequenta le scuole tecniche terminate le quali si dedica all'attività politica e sindacale. Si iscrive nel 1902 al PSI diventando segretario della sezione di Ostiano e impiegato della federazione delle cooperative di Cremona. Collabora a “L'Avanguardia socialista” di Arturo Labriola eWalter Mocchi e a “L'Eco del popolo” di Cremona. Nel 1903 è segretario della sezione dei lavoratori della terra della Camera del lavoro di Cremona. Nel 1904 è delegato al congresso regionale socialista lombardo (Brescia, 14-15 febbraio) e al congresso provinciale dei contadini (Cremona, 27-28 marzo). Nel giugno 1903 si trasferisce a Corteolona (Pavia), dove organizza la sezione del PSI e appoggia la candidatura di Walter Mocchi; il 10 luglio fonda il periodico “La Parola dei poveri”. Dal settembre 1904 all’aprile 1906è segretario della CdL di Novara e dirige il settimanale socialista “Il Lavoratore.” Nel 1905 organizza gli scioperi dei ferrovieri e delle mondine, subendo un primo processo per "adunata sediziosa" da cuiè 190 assolto. Trasferitosi a Biella, dirige dal 9 aprile 1906 al 3 gennaio 1909 “Il Corriere biellese” dedicandovi largo spazio alle lotte dei tessitori al fine di rilanciare la Lega tessile come componente fondamentale della Camera del lavoro. Al IX Congresso nazionale del PSI (Roma, 7-10 ottobre 1906) tiene una relazione sui rapporti tra partito e sindacato. Processato per alcuni articoli antimilitaristi, il 19 febbraio 1908 è condannato a un anno di carcere ma si sottrae alla cattura riparando a Lugano. Il 7 febbraio 1909, ritornato a Biella, è arrestato, ma grazie a un indulto sconta solo 15 giorni di pena. A Biella conosce Buozzi, di cui condivide il "riformismo pratico", che lo invita a collaborare nel direttivo della FIOM e il 21 settembre 1911 si trasferisce a Torino, che qui aveva la sede centrale, come funzionario e direttore de “Il Metallurgico”,nonchè redattore del settimanale “La Battaglia sindacale”, sorto allo scopo di contrastare i sindacalisti rivoluzionari. Scoppiato il conflitto mondiale si impegna nella campagna dei socialisti torinesi contro la guerra e con Alfonso Leonetti scrive l'opuscolo “Torino rossa contro la guerra”. Il 13 settembre 1915 è nominato segretario della Camera del lavoro di Torino. Al Congresso nazionale della FIOM del 25 giugno 1916 entra con Buozzi e Emilio Colombino nella Segreteria dove sostiene la partecipazione operaia ai comitati di mobilitazione industriale. Entrato a farne parte a livello sia nazionale che regionale come rappresentante dei metallurgici vi opera per tutelare l'attività sindacale e pubblica sull'Avanti! (23, 26, 27 febbraio 1918).una serie di articoli per smentire la voce che gli operai metallurgici godessero di una situazione economica privilegiata. Il 23 aprile 1918 organizza uno sciopero alle officine FIAT per ottenere il “sabato inglese”, risultato raggiunto nel febbraio 1919. Nel corso del "biennio rosso" su “Il Metallurgico” e su quotidiani. cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo alle conquiste del sindacalismo riformista tentando di evitare il propagarsi della conflittualità, attirandosi violenti attacchi da Serrati che sull'Avanti!, lo accusa di tradire la causa della classe operaia favorendo comportamenti compromissori. In effetti non si oppone alla costituzione dei consigli di fabbrica ma cerca di smussarne le punte più eversive e di ricondurli nell'ambito del "controllo sindacale". Nel congresso straordinario della Camera del 191 lavoro di Torino del dicembre 1919il suo ordine del giorno ottiene 26.000 voti contro i 38.000 di Giovanni Boero. Nel 1920 Gramsci riprende su “L'Ordine nuovo” le critiche di Serrati e ne segue un'aspra polemica che si protrae per diversi mesi. Nel biennio 1920-21 oltre a guidare l'ufficio stampa della FIOM è direttore del “Grido del popolo”, e corrispondente del “Resto del Carlino” e dell' “Avanti!”. Si distingue per l'insistenza con cui cerca di salvaguardare le 8 ore lavorative, i minimi salariali e il riconoscimento delle commissioni interne. Al V congresso della CGdL di Livorno del 26 febbraio - 3 marzo 1921 critica i comunisti per la loro tendenza a subordinare la lotta sindacale alla politica. Dopo la scissione del PSI del 1922, aderisce al PSU riformista di Turati e Matteotti e per svolgere il compito di capo redattore del giornale di Partito “La Giustizia”, si trasferisce a Milano negli anni 1924-25. Nel maggio 1925 ritorna a Torino dove dirige l'ufficio stampa della FIAT e collabora a “La Stampa”. Costretto a lasciare anche questa collaborazione per il suo impegno antifascista, lavora prima come pubblicitario in una ditta di tessuti e poi come impiegato presso la fabbrica Wamar. Avendo abbandonato l'attività politica è radiato nel gennaio 1931 dal casellario politico. Dopo la caduta del fascismo e fino al 1973 è redattore di“Libertà economica”, giornale dell'Associazione commercianti torinesi. Muore a Torino nel 1974. FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale. F. Pedone Il PSI nei suoi congressi, vol.II, 1961, p. 55; P. Spriano, Torino operaia nella Grande Guerra, 1960; Id., Gramsci e l'Ordine nuovo, 1965, pp. 33, 90; Id., Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, 1972; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1965, pp. 629, 632; A. Leonetti, Da Andria contadina a Torino operaia, 1974, p. 173, 188; F. Andreucci, T. Detti Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico; M. Antonioli - B. Bezza, La FIOM dalle origini al fascismo 1978; Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, III, L'età giolittiana, la guerra e il dopoguerra, 1979. L. Moranino, Le donne socialiste nel Biellese, 1984, p.36,41,267, 268. Scheda di N. Dell’Erba in “Dizionario biografico degli italiani”

192 FRANCESCO MARIANI Nasce a Milano nel 1886. Il padre muore quando ha otto anni ed è affidato all’orfanotrofio «Martinitt» dove prosegue gli studi fino alla scuola tecnica. Testimone dei moti di Milano del 1898, solidarizza con i socialisti incorrendo in ammonizioni e viene assegnato alla «compagnia di disciplina» per avere partecipato ad una manifestazione contro gli eccidi proletari. Terminati gli studi si impiega come disegnatore nello stabilimento di arti grafiche Bertarelli. Iscritto dal 1902 alla Federazione Giovanile Socialista, svolge opera di organizzazione e proselitismo nelle campagne e in città. Il 3 settembre 1907 la Prefettura di Milano segnala che “...professa teorie socialiste-antimilitariste ed è membro del Consiglio Direttivo del locale Circolo giovanile socialista. Prende spesso la parola nei comizi ed è attivo propagandista, specie dei principi antimilitaristi". Con Corridoni fonda il periodico antimilitarista “Rompete le file!”. Arrestato nel 1909 per propaganda sovversiva, perde il lavoro. Nel 1910è nell'esecutivo della federazione socialista milanese. Emigrato in Svizzera alla ricerca di un impiego, viene diffidato e licenziato per motivi politici e rientra in Italia stabilendosi a Cremona, dove è segretario della Camera del lavoro e redattore de “L'Eco del popolo”, fondato da Bissolati. Nel 1913 è chiamato dalla Camera del lavoro di Milano di cui poi diventa segretario generale. Nel 1915 si occupa dei ferrovieri delle linee secondarle e dei tranvieri delle linee interprovinciali e intercomunali che si staccano dal Sindacato ferrovieri italiani (SFI) e si organizzano nel Sindacato nazionale dei Ferrovieri delle Secondarie con sede a Genova. Rimproverava ai dirigenti sindacali la mancanza di una coerente linea e l'incapacità di promuovere un processo di rinnovamento imposto dalla realtà sociale e politica del paese. Al consiglio nazionale del 16- 17 giugno 1914 lamenta la chiusura settaria nei confronti dei lavoratori non organizzati sostenendo che occorre avvicinarli e non respingerli. Allo scoppio della guerra promuove contro l'intervento manifestazioni pacifiste e organizza la difesa dell' “Avanti!” dalle 193 violenze dei nazionalisti. Critica i dirigenti sindacali per l’at- teggiamento incerto ed eccessivamente cauto e al consiglio nazionale della CGdL del 27-28 aprile 1915 contrasta la proposta del segretario Rigola di indire un referendum sull'opportunità dello sciopero generale in caso di mobilitazione invitandolo a precisare una strategia di lotta per opporsi alla guerra. Durante la guerra, esonerato dal servizio militare per artrosi, ricopre la carica di consigliere nei comuni di Milano e Cremona, nel Consorzio navigabile Milano-Venezia e nell'Università Popolare. Riguardo ai moti contro il carovita della primavera 1917, nell'incontro milanese del1'8-9 maggio tra Gruppo Parlamentare Socialista e direzioni di PSI e CGdL,si schiera per l’estensione delle agitazioni sotto la guida del partito. Nel 1918 inizia trattative con il Segretario dell'Unione Sindacale (USI) Edondo Rossoni per giungere alla fusione della Camera del Lavoro di Milano con l'Unione Sindacale Milanese. Terminata la guerra, si interessa del problema dei combattenti e si adopera per la costituzione della Lega proletaria tra mutilati, invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra. All’inizio degli anni ‘20 lascia le cariche politiche e sindacali per dedicarsi alla propria bottega di arte grafica. Dopo un breve soggiorno in Svizzera ritorna in Italia e, benché vigilato, riprende i contatti con gli antifascisti milanesi che si riuniscono nella farmacia del socialista Livio Agostini. Internato il 21 gennaio 1941 nel campo di concentramento di Fabriano, dopo la caduta del fascismo partecipa alla lotta clandestina e collabora alla redazione e diffusione dell'”Avanti!” milanese. Nel dopoguerra è designato dalla CGIL alla Consulta nazionale (commissione industria e commercio) e nel giugno 1946 è eletto deputato del PSIUP per il IV collegio di Milano. Senatore nella prima e seconda legislatura, fa parte della X commissione (lavoro, emigrazione e previdenza sociale) e della commissione d'inchiesta sulle condizioni dei lavoratori nelle fabbriche. Segretario della Camera del lavoro di Milano dopo la liberazione con il comunista Alberganti. Membro del Direttivo e dell'Esecutivo della CGIL per la corrente socialista, nel 1956 è segretario regionale della Lombardia. Negli interventi ai congressi del PSI e della CGIL e al Senato, si occupa soprattutto dei problemi

194 dell'emigrazione. Consigliere comunale a Milano e dal 1959 segretario regionale dell’ANPI. Muore a Milano nel 1976 FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale. La Consulta Nazionale, I deputati alla Costituente, La Navicella, 1987 GAMBINI Gaetano Nato nel 1894 a Milanoda Giuseppe e da Rosa Roncaglia. Operaio metallurgico. Dal 1910 lavora alla Ferriera Gregorini di Lovere (Bergamo) come meccanico e professa idee anarchiche (è abbonato al giornale "Germinal") che diffonde tra le lavoratrici tessili. Nel 1913 capeggia una manifestazione contro la guerra ed è costretto ad allontanarsi spostandosi a Milano dove lavora alla Isotta Fraschini e si sposa con una operaia. Nel giugno 1915 riprende il posto di lavoro alla Gregorini fino al 1921, quando è licenziato. Nel 1919 milita nel PSI, è segretario della sezione della FIOM, presidente del Circolo operaio e raccoglie i fondi per costruire una Casa del Popolo che accentri le organizzazioni operaie (tessili, murarie ecc.) del mandamento di Lovere. Per la Prefettura di Bergamo, il 21 marzo 1919, “non ha cultura ... Non e di facile parola e nelle conferenze che tiene agli operai non fa che ripetere espressioni imparate a memoria dai giornali ... E' anche un entusiasta del movimento bolscevico di Russia e preconizza con ostentazione un prossimo movimento di tal genere anche in Italia” Nel 1920 è condannato a due anni dì reclusione per diserzione ma beneficia dell’amnistia. A giugno è denunciato perchè, nel difendere la vertenza di tre operai della Ferriera Gregorini licenziati per indisciplina, invade gli uffici e proclama l’occupazione dello stabilimento. A novembre tiene una conferenza inneggiando alla Russia e nelle elezioni amministrative è eletto sindaco“grazie ai voti della massa operaia composta in maggioranza di forestieri”, ma la Prefettura non ne ratifica la nomina per la condanna del Tribunale militare. Nel febbraio 1921 rifiuta di eseguire l'ordine prefettizio di togliere la bandiera rossa inalberata per la vittoria nelle elezioni amministrative e in un comizio minaccia di togliere dal municipio la bandiera italiana. Denunciato per malversazione della cooperativa proletaria di Lovere di cui è direttore, si dimette da assessore e il 2 maggio 1923, munito di regolare passaporto, parte per la Francia con la moglie e il figlio Comunardo 195 nato nel 1920, per prendere lavoro presso le “Cableries d'Angers” a Angers (Loira). Nel 1926 risiede ad Argenteuil, nei pressi di Parigi e lavora nelle officine Citroen a Levallois. Inizia una nuova fase della sua vita, in cui l’originario estremismo si ammorbidisce: militante del Partito Socialista Unitario di Turati e Treves, collabora al "Corriere degli Italiani" e svolge attiva propaganda antifascista: i1 20 maggio 1927 promuove un comizio socialista con Modigliani, Treves, Di Vittorio, Nenni, cui intervengono 600/700 persone; partecipa al Congresso di Berna del 24 febbraio 1929, come fiduciario della Gioventù socialista italiana; il 24 marzo 1929 organizza ad Argenteuil una riunione per protestare contro il plebiscito in Italia e festeggiare il compleanno di Claudio Treves, a cui interviene Modigliani; al congresso della Concentrazione di quell’anno propone, affinché la gioventù emigrata sia sottratta all'azione dei Fasci all'Estero, di costituire un raggruppamento giovanile antifascista sportivo-ricreativo per Parigi e il dipartimento della Senna, studiando la possibilità di estenderlo agli altri centri di emigrazione in Francia, e si incarica di raccogliere le adesioni che, secondo gli informatori della polizia, ammonterebbero a circa 200 con a disposizione la somma di 3000 franchi per l'affitto di una sala e per le attrezzature. Si devono a lui anche altre iniziative:l'istituzione ad Argenteuil di una Università Popolare che tiene conferenze ogni 15 giorni; la proposta di inviare una cinquantina di figli di emigranti in una colonia marina francese; l’apertura in un locale della Concentrazione di un gabinetto di visite mediche gratuite; la raccolta di fotografie e di dati di personalità fasciste residenti in Francia; l’invio di un memoriale al Ministero degli Esteri sugli abusi e provocazioni delle autorità fasciste in contrasto con le convenzioni internazionali a danno degli emigranti non fascisti. Nel 1929 per la grave disoccupazione che affligge l’Italia, dietro sua richiesta fa giungere circa 170 operai di Lovere in maggioranza antifascisti e che in molti non torneranno più in Italia. Nel 1930 produce la pellicola "Il terrore fascista” accompagnando la proiezione con conferenze nei cinematografi popolari della regione. Questo attivismo allarma l'Ambasciata a Parigi che lo tiene sotto assidua sorveglianza: nel febbraio1930 comunica che invia clandestinamente opuscoli e giornali antifascisti in Italia e riceve fuorusciti nella sua 196 abitazione, il 2 agosto che "indice a Argenteuil riunioni periodiche culturali della Università Popolare alla quale appartengono giovani socialisti della regione”, i quali “il 29 giugno fecero una gita campestre a Fontainebleu”, che la sera del 18 settembre 1931 “la Sezione socialista francese e italiana in Argenteuil organizzarono un intrattenimento familiare per commemorare Jaures e Matteotti. Presenti un centinaio di socialisti francesi e italiani con le famiglie”, il 12 ottobre che “Ai giovani socialisti suole tenere delle conferenze in sale di piccoli cinematografi,prese in affitto nei quartieri operai nei giorni feriali, perché funzionano solo i festivi. Risulta che qualche volta illustra le conferenze con proiezioni luminose servendosi di materiale della Concentrazione, costituito da fotografie di incendi di sedi di organizzazioni sovversive e di alcuni episodi avvenuti in Italia all'avvento del Fascismo”. Dal 1933 è delegato della Federazione del dipartimento del Nord (Lille) della LIDU (Lega diritti dell’uomo), di cui è presidente Carlo Rosselli. Nel frattempo si è sistemato sul piano economico gestendo in società con altri un negozio di generi alimentari d'origine italiana. Nel 1938 cessano le segnalazioni della polizia sul suo conto. Torna a Lovere nel marzo 1946 per salutare i concittadini e invitarli a votare per la repubblica richiamandosi a Turati, Treves, Rosselli e Buozzi, poi rientra definitivamente ad Argenteuil dove muore nel 1979 FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale M.Franzinelli, Lotte operaie in un centro industriale lombardo : il proletariato loverese dal biennio rosso ai primi anni Cinquanta, 1987, p. 25-26

197 Indice

Dino Rondani “commesso viaggiatore” del socialismo Gli inizi dell'attività politica nel socialismo milanese, 6; Il movimento operaio e socialista biellese, 9; La “conquista” del biellese, 15; Nella svolta reazionaria di fine secolo, 22; Il ’98 a Milano, 25; Dall’esilio al ritorno nell'Italia giolittiana, 29; ”Ispettore” dell'emigrazione, 33; Tra impresa libica, Grande guerra, dopoguerra, 43; L’esilio a Nizza, 44; Nel secondo dopoguerra, 48

Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica L’”Umanitaria" e le riforme nella società industriale, 50; Il salotto della signora Anna e il sindacato di Rinaldo Rigola, 52; Gli impiegati delle organizzazioni operaie, 55; Beneficenza rossa, 58; Bolscevismo e problemi del dopoguerra, 61; Bibliotecario all’Università Bocconi, 62

Alberto Jacometti, vita di un socialista “scomodo” 1. Gli anni della formazione L’infanzia in cascina e l’influenza tolstoiana, 66; Lo sciopero agrario del 1920, 68; L'impegno politico (1924-25), 72; Da Barcellona a Torino (1926), 77 2.Nell'emigrazione Fuoruscito a Parigi (1927-1929),81; "L'Iniziativa" (1928), 83; L’emigrazione a Bruxelles (1929-1941),86; "Problemi della rivoluzione italiana"(1931-39), 93; Il rapporto con Camillo Berneri (1935-36), 95; Guerra civile in Spagna e invasione nazista (1936-41), 101 3. Dalla guerra di liberazione al Fronte popolare Ventotene (1941- 43),104; Nella Resistenza (1943-45), 109; Dal 25 aprile (1945) al 18 aprile (1948) e l’elezione alla Costituente, 115 4 Segretario nazionale del PSI Il congresso di Genova del 1948 e l'elezione a segretario, 120; La lotta su due fronti. Frazionismo di destra e di sinistra, 123; Politica internazionale e opposizione al patto 198 atlantico, 125; I convegni programmatici e organizzativi, 127; Problemi interni e rottura con il Comisco, 129; Bilancio della Segreteria Jacometti, 132 5. Gli anni della politica unitaria Il Congresso di Firenze del 1949, 135; Dal congresso di Bologna a quello di Venezia (1951-57), 140; Il viaggio in URSS (1952), 145; Attrazione del Sud. Comizi elettorali in Puglia e Sicilia (1949-53), 148; Il tempo libero: dall’ENAL all’ARCI (1953-1957), 152 6. Dal centrosinistra a Craxi La società italiana in trasformazione e l'alternativa socialista (1957-64), 156; Il Partito unificato. Presidente della Società editrice Avanti! (1965-1968), 164; Dalla nuova scissione alla segreteria Craxi(1969-80), 167 7. Gli anni ’80 e gli ottanta anni, 172

Schede biografiche Giuseppe Liboi, 176 Ugo Osvaldo Maffioli, 177 Galli Alessandro, 179 Ghezzi Ernesto, 181 Mario Guarnieri, 183 Francesco Mariani, 186 Gaetano Gambini, 188

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