ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in DISCIPLINE DELLE ARTI, DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO

ARTE ROBOTICA TRA AZIONE E CONTEMPLAZIONE

Tesi di laurea in TEORIE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA

Relatore Presentata da

Prof. PIER LUIGI CAPUCCI LAURA SANSAVINI

Sessione II Anno Accademico 2004 - 2005

«Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare.. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser... E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia»

Unità NEXUS6 Roy Batty N6MAA10816 Ment. LEV A, dal film Blade Runner, Ridley Scott, Usa 1982

Ringrazio tutte le persone che mi sono state vicine, con affetto, consigli, sostegno, o semplicemente con la loro presenza.

Un grazie anche a quanti, in questi tre anni universitari, mi hanno insegnato a guardare e conoscere il mondo e l’arte da nuove prospettive.

Questo lavoro, che considero in divenire, è la registrazione dell’attuale situazione italiana e internazionale sullo stato dell’arte robotica. Non ha pretese di universalità. Piuttosto vuole offrirsi come una sfaccettata descrizione all’interno di uno stato nascente dell’arte tecnologica, che oggi pulsa sotto i nostri occhi. Lo sforzo, non ancora sostenuto da un apparato bibliografico, non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di alcune importanti persone.

Tra queste il Prof. Pier Luigi Capucci, per la preziosa fiducia accordatami e il dialogo sempre ricco e aperto a nuovi orizzonti, il dott. Franco Torriani, per la sensibile e generosa disponibilità, e la presenza sincera e costante, l’ artista e teorico Luigi Pagliarini, per la gentile attenzione e collaborazione.

Indice

INTRODUZIONE…………………………………...... …... p. 9 L’anima pop di «uno di casa». Verso una consapevolezza robotica…………………...... p. 11

Capitolo 1 ORIGINI DI UN’ ARTE ROBOTICA

1.1 I termini per una creazione artistica ………...... …p. 15

1.2 Estetica robotica…………………………...…………….p. 27

1.2.1 Hardware, software, lifeware…..……………..p. 28

1.2.2 Corpi elettrici……………………………...... p. 33

1.3 Corporale+digitale.Punti di contatto tra forme d'arte...... p.45

Capitolo 2 TRACCE STORICHE

2.1 Per un vangelo cyberpunk...... p. 49

Capitolo 3 INSURREZIONE ROBOTICA

3.1 Pionieri di un nuovo 'ismo'?…………….………………..p. 57

3.2 Prototipi d'arte. Il CYSP di Shöffer e la pittura remote- control di Kanayama...... p. 61

3.3 Il k-456 di Paik e Abe………….…………………...…..p. 64

34. Shannon, tra interattività e ibrido…………………….....p. 66

3.5 Le ricerche di Ihnatowicz...... p. 70

3.6 Botanica robotica. Il Telegarden di Goldberg...... p. 73

3.7 Laboratori di sopravvivenza artificiale

3.7.1 Lo show robotizzato di Pauline e S.R.L...... p. 75

3.7.2 Stelarc, in equilibrio tra performance e corpo mutante...... p.82

3.8 Anni Novanta: nuove sperimentazioni, tra autonomia del corpo e telepresenza...... p. 89

Capitolo 4 RIVOLUZIONE ROBOTIKA

4.1 Congegni meccanici: Demerrs e Vorn………………… ... p. 98

4.1.2 Il LifeGrabber di Luigi Pagliarini………..p. 102

4.2 Marionette di un palcoscenico meccatronico: Antunez Roca…………………………………………....p. 107

4.3 Volere un corpo patchwork...... p. 111

4.4 Piattaforma italiana di sviluppo creativo, il Peam……………………...... p. 119

Capitolo 5 ROBOETICA E ROBOTICA

5.1 L'inevitabile e il desiderabile...... p. 121

5.2 Il ruolo dell'arte...... p. 127

5.3 Not about robot, but about us…………………..……....p. 131

ALLEGATI

1. La via ludico partecipativa al futuro digitale…………...... p. 133

2. Post human, post umanità. Come sarà l’umanità dopo l’uomo?...... p. 137

3. L’etica nell’età della tecnica……………………………...... p. 143

4. Il corpo interfaccia. Intervista con Stelarc…………… ...... p. 147

APPENDICE………………………………………………....p. 151

SITOGRAFIA………………………………………………...p. 159

BIBLIOGRAFIA……………………………………………..p. 163

«Il vecchio Rossum, grande filosofo, [...] si ficcò in testa che avrebbe fabbricato un normale vertebrato, addirittura l'uomo. [...]. Quel che fece era terribile. Ma dentro aveva tutto quello che ha un uomo. Davvero, un lavoro proprio da certosino. E allora venne l'ingegner Rossum, il nipote del vecchio. Una testa geniale. Appena vide quel che stava facendo il vecchio, disse: È assurdo fabbricare un uomo in dieci anni. Se non lo fabbricherai più rapidamente della natura, ce ne possiamo benissimo infischiare di tutta questa roba. [...] Gli bastò dare un'occhiata all'anatomia per capire subito che si trattava d'una cosa troppo complicata e che un buon ingegnere l'avrebbe realizzata in modo più semplice. [...] Quale operaio è migliore dal punto di vista pratico? È quello che costa meno. Quello che ha meno bisogni. Il giovane Rossum inventò l'operaio con il minor numero di bisogni. Dovette semplificarlo. Eliminò tutto quello che non serviva direttamente al lavoro. Insomma, eliminò l'uomo e fabbricò il Robot. »

K. ČAPEK, R.U.R., Einaudi, Torino 1971

Introduzione

L’anima pop di «uno di casa». Verso una consapevolezza robotica

C’erano una volta i robot, nel teatrino italiano delle 20.50. Nel Carosello (fig. 1), la popolare rubrica pubblicitaria, con la sua morale della favola, sia pure consumistica, ma in linea con le trasformazioni della società italiana di quegli anni, che andava in onda ogni sera per dieci minuti dalle 20.50 alle 21. E «poi tutti a nanna!», come si diceva ai bambini. Proprio qui, sul Programma Nazionale, nacquero reclame che divennero storiche e alcuni prodotti assunsero forme antropomorfe, generando singolari ibridi mitologici1 destinati a popolare l’universo fantastico degli Italiani per molti anni. Con il Carosello, fin dai primi anni ’60, tra innesti consumistici e pop, i robot entrano nelle case dalla porta principale, con uno degli slogan più famosi che pubblicizzava una casa di lavatrici ed elettrodomestici, «Candy: uno di casa», Forse proprio l’antropomorfismo, di cui si serviva artisticamente anche il carosello post-bellico

1 P. FAVARI, Televisione, Zanichelli, Bologna 2004, p.66

‘trasformando’ i suoi prodotti, è ciò che ha reso l’uomo a riferirsi in modo così riluttante a una moderna e complessa lavatrice come a un robot, tanto che dal poco che se ne sentiva parlare in questi termini, la storia fa presagire che quasi non esistessero ancora. Da allora a oggi, dagli anni ’60 alla massificazione tecnologica, il mondo ha assistito a una rivoluzione silenziosa dei robot, che hanno vissuto per più di quarant’anni la nostra stessa vita, quotidianamente, nelle più semplici operazioni. Oggi la ‘rivoluzione silenziosa’ ha preso parola e spazio, proiettandosi verso una collocazione futura sempre più vicina. Così Aibo (fig. 2) ha cominciato ad abbaiare. Il primo robodog commercializzato della casa elettronica giapponese Sony è nato nel 1999 e possiede qualità tecniche mai così avanzate. Aibo, che è un acronimo inglese che sta per Artificial Intelligence (Ai) e Robot (Bo), mentre in giapponese ha un significato proprio, legato alle sue caratteristiche di interazione affettiva. A seconda dell’umore abbaia, si muove, gioca con la palla, riconosce suoni e forme ed è in grado di memorizzare eventi in una memory stick2. Inoltre, nella pancia del migliore amico dell’uomo che è programmabile tramite sensori wi-fi, risiedono una telecamera a colori da 35mila pixel con sensori, microfoni stereo e diffusori.

2 carta di memoria non volatile, ma riscrivibile caratterizzata da FlashRAM

Poi venne Asimo (fig. 3), il robot umanoide creato nel 2000 dalla Honda, dopo vent’anni di ricerca, alto 120 centimetri, che pesa soli 52 chili e, camminando, raggiunge una velocità di 1,6 Km/h. La qualità del suo spostamento, migliore tra tutti i suoi concorrenti, grazie alla tecnologia Intelligent Walking Technology (IWT) gli consente di muoversi in ambienti diversi mantenendosi sempre in equilibrio. Ora è impegnato come guida per i visitatori in un padiglione del National Museum of Emerging Science and Innovation di Tokyo. Poi arrivò anche l’arte di costruire «il tuo robot» (fig. 4), con la raccolta a fascicoli così reclamizzata: «Isaac Asimov, padre della letteratura di fantascienza, aveva un sogno: quello di vedere un giorno i robot vivere in armonia con gli esseri umani. Oggi quel sogno è un po’ più vicino grazie a I-Droid 01, l’innovativo robot progettato sui modelli umanoidi più avanzati». L’alba di un nuovo giorno è in edicola. Nasce così un universo robotico consapevole e sotto gli occhi di tutti. I robot sono presenti – come lo erano allora – in tutti i campi della conoscenza umana. Così si avvera la profezia di Asimov.

Capitolo 1 Origini di un’arte robotica

«Nonostante sia così evidentemente inadeguato a descrivere la realta' artistica e culturale contemporanea, il concetto di medium continua ad esistere. Continua ad esistere per inerzia, ma anche perche' proporre un sistema concettuale migliore e piu' adeguato e' una cosa piu' facile da dire che da fare. Cosi', anziche' disfarsi in una volta sola di una tipologia di media, continuiamo ad aggiungere categorie sempre nuove, 'nuovi generi': installazione interattiva, arte interattiva, net art. Il problema di queste nuove categorie e' che seguono la vecchia tradizione di identificare distinte pratiche artistiche sulla base dei materiali che vengono usati, solo che ora sostituiamo ai vari materiali vari tipi di nuove tecnologie»3

1.1 I termini per una creazione artistica

All’interno del ricco panorama culturale in cui i media elettronici avanzano in modo sempre più dominante, avanza anche il ruolo di una robotica dell’arte, tra video, installazioni multimediali e interattive. Sul versante artistico non solo i linguaggi artistici tradizionali come la pittura, la scultura, la stampa, la fotografia, il cinema, sono stati trasformati dalle tecniche e dai media digitali, ma sono nate nuove riconosciute

3 L. MANOVICH, Un'estetica post-media, www.d-i-na.net/netculture/manovich1_p.html, tratto dall'intervento di T. BAZZICHELLI, Per un'arte in rete transmediale e comunitaria, all'interno del convegno "Making art on the web", Biella - Fondazione Pistoletto, novembre 2002, www.undo.net

pratiche artistiche come la net art, la software art, le installazioni digitali e gli ambienti di realtà virtuale. Come è stato anche per la storia della fotografia e del video, questi nuovi linguaggi sono stati percepiti spesso più come una minaccia dal sistema dell’arte istituzionale. «Oggi, la progressiva settorializzazione del sapere ha influenzato anche la divisione fra le arti, con il risultato di creare da una parte il tentativo di identificare determinate pratiche con un nome ben preciso - che poi non sempre trova d'accordo chi le pratiche le fa - dall'altra, una grande confusione per chi le pratiche le osserva. Questa proliferazione semantica, effettivamente nasconde un processo non irrilevante: molte opere di cosiddetta arte attuale e molte pratiche di networking, possono essere iscritte in un percorso che parte dalle neo-avanguardie degli anni '60-'70, o se vogliamo, dalle avanguardie degli anni '20 e '30 (il surrealismo, dadaismo, futurismo...). Semplificando un po', uno degli obiettivi 'forti' delle avanguardie e neo-avanguardie che ha sicuramente influenzato il fare artistico successivo, e' stato quello di provocare una dissacrante rottura del concetto di Arte con la 'a' maiuscola, per spostare l'attenzione alle pratiche, all'atto artistico riproducibile, contrario alla logica del prodotto artistico concepito da un 'genio'»4.

E’ necessario allora oggi capire quali forme possono essere intraprese dall’arte digitale, un linguaggio ancora in

4 T. BAZZICHELLI, Per un'arte in rete transmediale e comunitaria, all'interno del convegno "Making art on the web", Biella - Fondazione Pistoletto, novembre 2002, www.undo.net, op. cit. completa evoluzione e definizione, dai contorni sfuggenti e dinamici? Come ricorda Peter Eisenman, «il virtuale è sempre una molteplicità che viene attualizzata da scelte creative e libere», fatte dal visitatore, spettatore, utente. C’è chi, a testimoniare la difficoltà nel definire questo tipo di opere, ha coniato il termine «personal media»5; o chi invece preferisce parlare di «actual art» come Clara Alba6, affermando che: «L'arte attuale é quella che fa riflettere verso il suo tempo utilizzandone le specificità. In questi momento opere di arte e biologia o esperimenti di arte genetica sono arte attuale»7. E di arte e robotica, cibernetica e telepresenza, si potrebbe aggiungere. Non solo queste forme d’arte mostrano tra loro connessioni concettuali, ma sono commistionate ibridamente in molte opere. L’interazione così è spesso comune denominatore e flusso in continuo divenire che l’artista concepisce anche nella direzione di una narrazione spazio-temporale, più che con il semplice dato visivo. Così i cyborg, visual, o robotic artist, a seconda di come essi desiderano definirsi, usano la tecnologia come il pennello, creano ‘reti’ con il pubblico interagendo con essi, paragonandosi con esperti di altri campi

5 C. PAUL, curatrice di arte digitale per il “Whitney Musuem” di New York, Si veda: www.teknemedia.net/magazine/arte_digitale/

6 C. ALBA, direttrice della rivista spagnola Aminima

7 dall’intervista "Aminima: un filtro per l’arte digitale", su www.technemedia.net, 13 giugno 2005

apparentemente estranei, nella costruzione dell’idea e dell’opera. Robotica e corpo, cultura e natura, opera e sé. Ma anche mente e corpo, maschio e femmina, civile e primitivo, realtà e apparenza, dio e uomo, attivo e passivo, etc. Col cyborg nell’arte, gli opposti wölffliniani8 aprono nuove possibilità e nuovi sviluppi, mettendo in discussione la teoria della differenza e tutte le coppie categoriali che stanno alla base del nostro pensiero, non senza una radicale rivisitazione del femminismo. Ecco allora il fil rouge da seguire per una storia dell’arte robotica, che coglie caratteristiche dal Futurismo, dall’avventura del Novecento italiano degli anni ‘20, dei valori iconici della pop e della op art, senza dimenticare un omaggio alla body art, come nel caso di Stelarc. Così contro le ondate di forme ‘aperte’, secondo la sempre utile e illuminante formula del Wolfflin, non manca l’equilibrio delle fasi di segno opposto, volte a riaffermare le esigenze del ‘chiuso’. Per l’arte robotica questo aspetto di ritorno al ‘formato’ e al definito si allarga in un'ipotesi generale di rivisitazione sistematica dei dati accumulati in tutte le età precedenti. L’attenzione al corpo e al biotech, che nutrono il nascente concetto di ibrido, porta però nella direzione opposta, verso la necessità di riconoscersi in delle formule ‘aperte’ e di interazione. Uno degli aspetti forse più problematici dell’arte robotica sta nella definizione stessa di ‘robotico’.

8 H. WÖFFLIN, Concetti fondamentali della storia dell'arte, Neri Pozza, Vicenza 1998 Dal golem della tradizione ebraica ai robot di Isaac Asimov9, dalla creatura del dottor Frankestein agli androidi di Blade Runner: da secoli l’idea dell’essere inanimato che diventa vivo e autonomo affascina gli uomini e li angustia, facendoli oscillare tra deliri di onnipotenza e timori che l’‘artificio’ si rivolti contro di loro.

Nella narrativa, la preoccupazione che i robot potessero competere con l'uomo o addirittura sterminarlo è molto comune: nella serie di racconti Io, Robot, Isaac Asimov enunciò le “Tre leggi della robotica” nel tentativo di controllare la competizione fra robot ed esseri umani:

1. Un robot non può arrecare danno a un essere umano, o, per inazione, permettere che un essere umano subisca danno.

2. Un robot deve eseguire gli ordini che riceve dagli esseri umani, ma non quando tali ordini interferiscono con la Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere se stesso, finché la sua autodifesa non interferisce con la Prima o la Seconda Legge.

9 I. ASIMOV, Io Robot, Mondadori, Milano 2003

Petrovichi (Russia) 1920 - Manhattan 1992. Considerato il padre della robotica. Secondo l' Oxford English Dictionary la parola robot, traduzione italiana del termine inglese robotica, compare per la prima volta in un racconto di fantascienza dello scrittore Asimov intitolato Bugiardo! (Liar!, 1941). Sempre ad Asimov si deve anche l'invenzione delle famose Tre Leggi della Robotica enunciate interamente nel racconto Circolo vizioso (Runaround, 1942); entrambi i racconti fanno parte dell'antologia Io, Robot.

Purtroppo la soluzione del problema non è così semplice: Asimov stesso ha contraddetto nei suoi racconti l'applicabilità e sufficienza delle tre Leggi. Da una parte, le tradizioni mitologiche alle spalle degli uomini hanno generato creature fantastiche, come l’antico mito di Galatea, la statua in avorio trasformata in donna da Venere per soddisfare le preghiere di Pigmalione, lo scultore ormai completamente invaghito della sua opera, o la leggenda del golem, questo il nome della creatura della tradizione Yiddish, e ripresa da un noto racconto di Gustav Meyrink, in cui si parla di una creatura di argilla (il robot) creata dal il rabbino Loew (lo scienziato) che gli dà vita imprimendogli sulla fronte la parola. Dall’altra parte, le tradizione letteraria più recenti offrono diversi profili esemplari di robot, cyborg, androidi, telerobot e replicanti.

Se dunque gli artisti che hanno cominciato a interessarsi all’automatismo non possono ignorare le definizioni mitologico-artistico o industriali dei robot e delle forme artificiali di vita, è inoltre da allineare ciò che proliferò dal punto di vista letterario e cinematografico: automi, robot, cyborg, androidi, telerobot e replicanti. Gli esseri artificiali hanno affascinato l’immaginario universale: dal Frankenstein di Mary Shelley (1818), a Future Eve di Villiers de l'Isle-Adam's (1886), dalla versione del Golem di Gustav Meyrink (1915), ai robot di Karel. Così la mitologia e le tradizioni hanno generato nel tempo una lunga serie di creature sintetiche fantastiche, a cui gli artisti hanno attinto. Si pensi alle fontane “robotizzate” di epoca romana, spettacolari esempi di arte e urbanistica, o agli automi che cita Sheareman a proposito del Manierismo, stile cinquecentesco bizzarro “estremo” e vario:

“(…)Ma i tableaux di Pratolino avevano un altro e più serio aspetto, perché erano, ovviamente, automi. Come tali essi hanno un loro posto all’interno dell’ininterrotta storia dell’arte di corte, dagli imperatori romani e bizantini attraverso il periodo gotico. Nel XVI era più naturale dimenticare questa continuità attraverso le innominabili età oscure e ritenere gli automi come dirette riprese di una forma d’arte ellestica. Bernardino Baldi, nella prefazione alla sua edizione (1589) del Trattato sugli automi di Erone di Alessandria, stabilisce questo diretto collegamento fra gli esempi greci e quelli moderni, ed aggiungere che la dote principale di queste «macchine da diletto», e da maraviglia” è che esse non hanno uso pratico(…). Egli riconosceva, in altre parole, che non c’era maggiore intenzione di ingannare lo spettatore mediante un’illusione nel caso degli automi che in quello degli intermezzi. Gli automi del Buontalenti non sono, di fatto, del tipo gotico, ma sono, sorprendentemente, come delle celebri ricostruzioni dei celebri tableaux di Erone (…)”10.

10 J. SHEARMAN, Il Manierismo, (a cura di) Marco Collareta, S.P.E.S., Firenze 1983, pag. 101 Proprio da un artista ci giunge il primo progetto documentato di un robot umanoide che venne fatto da Leonardo da Vinci attorno al 1495 (figg. 5, 6). Degli appunti di Da Vinci, riscoperti negli anni '50, contengono disegni dettagliati per un cavaliere meccanico, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella. Il progetto era probabilmente basato sulle sue ricerche anatomiche registrate nell’ Uomo di Vitruvio. Non si sa se tentò o meno di costruire il robot. Il primo robot funzionante conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson, che fabbricò un androide che suonava il flauto (fig. 7), così come un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava. Nel racconto breve di E.T.A. Hoffmann L'uomo di sabbia (1817) compariva una donna meccanica a forma di bambola, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S. Ellis espresse l'affascinazione americana per l'industrializzazione. Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell' Uomo elettrico di Luis Senarens, nel 1885.

L’arte che riguarda la robotica allora può essere un Hal 9000 che teme di essere spento dall’astronauta di “Odissea nello spazio”, o il Pinocchio di A.I. alla scoperta della differenza (infine inesistente) fra sentimento umano e robotico. Ma può anche essere la ricerca di una diversità ‘macchina’, connessa, inestricabile dal corpo biologico. L’innesto, l’unione uomo-macchina, il cui simbolo è il “terzo braccio” di Stelarc. Così ogni artista esamina le modalità di ‘robotizzazione’, sviluppando le strategie che ibridano spesso i robot con altri mezzi, sistemi, contesti e forme di vita. Mentre continuano a spingere i limiti stessi dell'arte, definiti tradizionalmente dagli oggetti hand-made discreti ed inerti, introducono l'automatismo come nuovo mezzo nello stesso momento in cui sfidano la nostra comprensione dei robot, interrogandosi nel concepimento, nella costruzione e nell'impiego delle queste ‘creature elettroniche’. «I robot impiegano fascino sulla popolazione, hanno implicazioni sociali, politiche, emozionali inesplorate. Queste implicazioni devono essere inserite, se capite correttamente nel contesto contemporaneo di arte, con una nuova concezione estetica dell’opera, connessa all’aspetto comunicativo e interattivo. Come sottolinea l’artista e teorico Eduardo Kac, l’arte acquista valore con un l’‘aggiunta’ di elementi e tecnologie avanzate come la robotica e la genetica: «L’arte senza qualche tipo di tecnologie non esiste, dalla matita al forno per cuocere la ceramica, dai colori al computer. Oggi gli artisti lavorano con mezzi che vengono impiegati da tanti altri settori della società, come il video, il computer, internet. Trovo che ogni artista lavorando con la tecnologia possa intervenire direttamente nei contesti sociali più vasti11» Così l’arte può diventare un buon veicolo per la tecnologia, sotto certi aspetti anticipandola, per capire e indagare quali sono i sentimenti e la sensibilità umane verso le entità artificiali. Il punto di partenza allora, per avvicinarsi a un concetto arbitrario di arte robotica, è capire cosa si intende per “robot”, se stiamo parlando dell’androide dorato di “Star Wars”, impacciato e spocchioso, o di un Mazinga qualsiasi colorato che popola l’immaginario collettivo di chi ha trascorso l’infanzia negli anni Ottanta.

Se sull’origine del termine non vi sono dubbi , sul significato si è molto discusso.

Il termine robot deriva dal termine ceco robota, che significa ‘lavoro pesante’ o ‘lavoro forzato’. L'introduzione di questo termine si deve allo scrittore ceco Karel Čapek, il quale usò per la prima volta il termine nel 1920 nel suo romanzo R.U.R. (Rossum's Universal Robots). In realtà non fu il vero inventore della parola, la quale infatti gli venne suggerita dal fratello Josef, scrittore e pittore cubista, il quale aveva già affrontato il tema in un suo racconto del 1917, Opilec ("L'ubriacone"), nel quale però aveva usato il termine automat, ‘automa’. La diffusione del romanzo di Karel, molto popolare sin dalla sua uscita, servì a dare fama al termine robot.

11 S. CARNELOS, trad. dall'inglese di M. WALTON, "Bio arte: intervista a Eduardo Kac", originalmente pubblicata su Mind The Gap, n. 8, ottobre 2001, pp. 12-13. Vd. anche www.ekac.org Anche se i robot di Čapek erano uomini artificiali organici, la parola viene quasi sempre usata per indicare un uomo meccanico. Il termine androide (dal greco anèr, andròs, ‘uomo’, e che quindi può essere tradotto ‘a forma d'uomo’) può essere usato in entrambi i casi, mentre un cyborg ("organismo cibernetico" o "uomo bionico") indica una creatura che combina parti organiche e meccaniche. Dunque ora il problema resta chiarire che significato può assumere in ambito artistico.

1.2 Estetica robotica

Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, di una svolta. L’elettronica sta cambiando drasticamente il nostro concetto di arte e di estetica. E’ intuibile guardandoci attorno che ciò avverrà, meno chiaro il come, quando e perché di questa svolta orizzontale. Alcuni dei concetti messi in luce dall’elettronica danno un taglio alla tradizione con cui l’utente fino a oggi ha 'interfacciato'. Cresce, a pari passo con l’elettronica, una nuova estetica per l’arte. Il teorico e artista Luigi Pagliarini12 ha definito gli «electronic artists» che oggi operano nel rivoluzionato campo dell’arte anche «Alivers». L’ alive art è basata su una concezione dell' opera in cui il ruolo creativo e unico dell'artista non è sempre immediato e direttamente indotto dalla sua attività. L’elettronica, e più in generale la scienza, ha sempre avuto effetto sul pensiero dell’arte. Così anche ora può permettersi di ‘dettare nuove regole’, criteri di massima alla quale gli artisti che lavorano con la tecnologia decidono di rifarsi, più o meno consciamente.

1.2.1 Software, hardware, lifeware La nuova opera d’arte è immateriale, piuttosto che materiale, replicata, piuttosto che originale. Figlia della

12 Luigi Pagliarini, direttore dell'Associazione Artificialia ed insegnante dell'Accademia di Belle Arti di Roma. (Si veda anche in appendice) fotografia, o nipote, innanzitutto. E con un’anima interna, piuttosto che esterna. È come se le ‘macchine elettroniche’ di cui stiamo parlando avessero due identità separate, rispettivamente una interna e una esterna. Solo una di queste, quella esterna, è fisicamente accessibile. L’estetica qui riguarderà l’hardware (es. in un robot), mentre l’interno è dominato dal suo software (es. un programma a interfacce). Come Lev Manovich osserva, invece di soffermarsi sulle proprieta' fisiche di un particolare materiale e sulle sue capacita' di rappresentazione (sulla relazione fra segno e referente), appare piu' opportuno spostare il punto di vista dal medium (l'hardware) al contenuto (il software). Egli aggiunge: «Anziche' il concetto di medium, possiamo usare quello di software, chiedendoci cioe' quali tipi di operazioni sull'informazione disponibile al fruitore un particolare medium rende possibili». L'analisi va quindi spostata dal mezzo al messaggio, dalle definizioni e dai 'nomi' alle pratiche. Anche perche', se si pensa alle pratiche che la cosiddetta net art - così come la robotica - innesca, appare chiaro il suo carattere transmediale13. Queste pratiche, che non vivono unicamente nella rete, ma di essa si 'nutrono', vanno a toccare trasversalmente diversi media e diversi settori della nostra esistenza (la societa', l'economia, la politica, il sistema mass-mediatico, la nostra vita quotidiana).

13 L. MANOVICH, Un'estetica post-media, www.d-i-n-a.net/netculture/manovich1_p.html, tratto dall'intervento di T. BAZZICHELLI, Per un'arte in rete transmediale e comunitaria, all'interno

Oltre a software e hardware, Tommaso Tozzi, nel testo “Cotropia: lifeware e coevoluzione mutuale”14, introduce un altro termine: lifeware. Con esso sottolinea che un’opera d’arte nella sua forma oggettuale, è il risultato di uno stato d’animo dell’artista provocato da una serie di fattori, ognuno avente pari dignità nel determinare tale emozione interiore. Egli sostiene inoltre che il valore sta nell’oggetto solo in relazione a ciò che ha provocato il suddetto stato e al contesto in cui è inserito. Ma riportiamo le parole che Tozzi usa per parlare di lifeware:

«Lifeware è una parola composta da "life" e "ware", dove "ware" è quella parte che viene aggiunta ad "hard" e "soft" per formare le parole "hardware" e "software". In questo senso la parola "lifeware" vuole ricondurre ad una nuova tipologia di macchine. Una macchina che, attraverso il contributo dell'organico, superi tutta una serie di limiti che sono insiti nei principi matematici ed informatici attuali e nell'odierno funzionamento del computer. [...] Rispetto alla divisione che viene fatta attualmente fra "hardware" e "software", c'è la volontà di aggiungere un altro livello che è quello della presenza dell'organico nella macchina, per garantire uno stato di indeterminazione nel suo funzionamento. Penrose individua tali stati di indeterminazione quantististica nel del convegno "Making art on the web", Biella - Fondazione Pistoletto, novembre 2002, www.undo.net, op. cit 14 Si veda l'articolo Orizzontalità e coevoluzione dell'arte su www.arteonlinesob.altervista.org/coevoluzione.htm modo in cui è costituita la cellula del sistema neurale. In certe parti del citoscheletro avverrebbe la trasmissione delle informazioni attraverso stati quantistici. Questa modalità di trasmissione di informazioni non si realizzerebbe quindi secondo il modello di risposta binario altamente deterministico tipico della macchina di Turing e in ciò si distinguerebbe l'individuo per l’avere un comportamento che non potrebbe mai essere assimilabile a quello della macchina di Turing.

Utilizzando tutti questi concetti metaforicamente, il "lifeware" vuole concretizzare nell'ambito artistico l'ipotesi che possa esistere un sistema di relazioni sociali e in ciò una forma di estensione dell'opera d'arte, che non sia determinabile in modo certo, ma che si verifichi in base all'evolversi spontaneo delle relazioni fra soggetti. Quando io parlo di coevoluzione mutuale mi riferisco ad un sistema auto-organizzato in espansione, in cui vi sia un equilibrio per cui tutte le parti che appartengono al sistema traggano beneficio senza essere in alcun modo sussunte dalle altre parti».

Tutti questi discorsi vogliono intendere una forma d'arte che possa coevolvere mutualisticamente conseguentemente all'azione spontanea e totalmente libera proveniente dal basso e possa svilupparsi in maniera autogestita in base alle relazioni orizzontali instaurate dagli individui stessi che la originano. Quindi il profondo significato dell’opera non va ricercato nella sua manifestazione oggettuale, che ne costituisce solo

l’involucro, ma nelle reti di relazioni, nei processi collettivi, nelle componenti emozionali che hanno contribuito a forgiare la materia di ciò che sta dentro l’involucro e l’involucro stesso. L’opera d’arte ha in questo senso non solo un carattere collettivo, ma anche orizzontale, in cui le parti che formano il tutto, cooperano interattivamente determinando l’evoluzione del contesto globale, autogestendo la propria azione al fine di garantire il proprio beneficio locale in relazione al contesto più generale, che ne risulta ugualmente beneficiato.

L’opera d’arte quindi viene originata dall’azione spontanea e autonoma degli individui, che interfacciandosi e collaborando, danno vita ad un processo in corso, che si sviluppa come un organismo in divenire caotico e non casuale (il lifeware). Le reti devono quindi essere aperte a situazioni cooperative e coevolutive, come per esempio ai centri sociali, alle culture antagoniste, in generale a tutti quei movimenti ed individui che agiscono in vista di un uso spontaneo, collettivo, liberato e critico di esse. Di conseguenza artistico diventa ciò che è generato collettivamente e criticamente dal basso, l’insieme delle pratiche spontanee che utilizzano linguaggi molteplici e costituiscono autonomamente le norme relazionali reinventando e decostruendo quelle fatte proprie dalla cultura ufficiale, dando vita a comportamenti collettivi.

Si crea un nuovo concetto di opera d’arte che non vuole cancellare l’arte stessa, gli artisti, i musei, i critici d’arte, i collezionisti, il pubblico, ma che vuole farsi un paradigma aperto in cui tutte queste entità e la loro relazione, come la relazione di queste con gli altri elementi della vita quotidiana, siano da considerarsi parte dell’opera d’arte. Ognuna di queste categorie può infatti coevolvere secondo dinamiche orizzontali con le altre, aprendosi a tutte quelle situazioni che prevedono una crescita parallela di ogni ente inserito in un processo di coevoluzione mutuale.

1.2.2 Corpi elettrici

Il concetto di corporeità elettronica segue inevitabilmente all’interno di questa ricerca di principi chiave, è cioè un altro aspetto fondamentale all’interno dell’analisi di un’opera cyborg o robotica. Innanzitutto infatti qualora l’opera non abbia le forme antropomorfe di un androide, può apparire difficile considerare uno schermo di un PC come un’opera. In realtà lo schermo è molto più vicino a noi se pensato come a un occhio umano, che ci riflette la sua anima di metallo. L’immateriale, come non spazio, o meglio come ricerca di un infinito perché virtuale è un’altra caratteristica base dell’arte che stiamo considerando. Come l’opera costruita su invisibili connessioni sul web, proprio come la rivoluzione che fino a ieri ha portato avanti, o la performance di un robot che si muove tramite una rete di Internet. «Socialmente parlando la concezione di uno spazio virtuale diventerà parte della nostra vita. L’arte sta contribuendo alla costruzione di questo concetto»15. Come sottolinea Pagliarini, in "Toward Alive Art" ci sono troppi electronic artifacts che le persone non considerano arte. Da qui due ‘temi’ principali su cui focalizzare: l’automatismo robotico, e l’ibridazione neuro-informatica applicata al concetto di cyborg. A questo punto però per si tratta di sottolineare la differenza tra robot e macchina. Robot è infatti sì, una macchina, ma in grado di dare e ricevere input e output. Come sostiene lo studioso: «si può parlare di automa quando gli input sono molteplici e gli output hanno una variabilità e a seconda del ‘livello’ dell’automa, possiamo parlare anche l’intelligenza artificiale». «Per quanto riguarda l’arte, - sostiene lo studioso di psicologia robotica – il nodo cruciale sta nel riconoscere la differenza concettuale delle opere d’arte, ovvero ciò che sta all’origine della creazione artistica, cioè ciò che l’artista intende per robotica, automazione, etc.. nella specifica creazione. Necessario allora distinguere due

15 L. PAGLIARINI, C. LOCARDI, V. VUCIC, "Toward Alive Art. In Proceedings of Virtual Worlds 2000", in Proceedings. Second International Conference, J.C. Heudin (Ed.), Springer-Verlag Press (2000). Si veda inoltre "Alive Art", http://www.artificialia.com/AliveArt) elementi caratterizzanti le opere d’arte robotica16: l’estetica della scultura, cioè come la scultura appare; e l’estetica del comportamento, che a sua volta si può suddividere in extrarobotico e intrarobotico». L’opera extrarobotica potrà allora prevedere interazione con lo spettatore e mutazione, l’intraobotica a sua volta potrà elaborare algoritmi. Con l’introduzione del concetto di cyborg artistico è necessario un piccolo passo indietro. Il cyborg apre a nuove implicazioni e interpretazioni concettuali. Nell’idea stessa di cyborg convive il concetto di automazione, di natura umana, e di artificialità ripetuta all’infinito, possibile copia delle copie derivante da una matrice originaria che forse non è mai esistita. O forse sì, ma comunque poco importa. L’opera e la sua bellezza non deve essere unica e originale, ma replicata, riproducibile direbbe Benjamin. Divenire cioè un simulacro (cfr. Dick) un'immagine, più umano dell'umano, più finzionale della fiction. Sempre opera aperta ed immortale perché tutto l'immaginario del Novecento si nasconde nei suoi innesti e permette all'occhio della metafora di continuare a guardare. Dick e Scott hanno dato tanto alla fantascienza di oggi perchè hanno dato risalto a quel genere inaugurato da Gibson e Sterling di cui tutto il cyberpunk è debitore. I concetti di cyborg, di interfaccia tra uomo-macchina, di ‘mutazione’ molecolare dell'essere umano e di

16 Per comprendere il concetto di opera d’arte robotica che propone Luigi Pagliarini si veda anche cap. 3, Il lifegrubber di Luigi Pagliarini ridefinizione dell'idea stessa di ‘umanità’ sono già tutti in Dick. Nella fantascienza contemporanea così come nell’arte è impossibile scoprire cosa è vero e cosa è falso, cosa è umano e cosa è replicante (forse ormai i due ordini naturali si equivalgono e sono perfettamente commutabili o si superano per ottenere qualcosa di nuovo e intermedio). Il gioco dell’artista potrà allora essere proprio questo, cercare di mostrare, ma non troppo, ingannare l’occhio umano, ma mai fino in fondo, per lasciare sempre un alone di mistero e beffa insoluta. L’occhio del creatore (=artista) matura la consapevolezza di un utopico ruolo sociale sempre più importante, dal momento che si sta disgregando la concezione tipicamente occidentale di un alter ego dello scienziato, collocato in uno spazi mentale differente. Oggi la tecnè sta dando alla luce un nuovo genere di artista che è più vicino a una conoscenza tecnologica e scientifica, sul modello cinquecentesco di un Leonardo Da Vinci, che non ha riconosciuto separazione fra l'arte e la scienza. Come sostiene allora Derrick De Kerckhove nell'intervista "Il virtuale ha un'estetica che lo rende anche più umano": «si dovrebbe cominciare con il rendersi conto che la posta messa in gioco dal virtuale sul piano estetico, per le sue implicazioni epistemologiche fondamentali e rivoluzionarie, è anche, forse prima di tutto, una posta in gioco psicologica. Ma il progetto globale del virtuale, come hanno intravisto, non senza preoccupazione, Paul Virilio e Jean Baudrillard, è destinato a diffondersi quanto la televisione e a banalizzarsi e democratizzarsi quanto l'automobile. E' probabile che la macchina virtuale starà all'industria elettronica come l'automobile sta oggi all'industria meccanica, vale a dire come una necessità generalizzata già all'orizzonte delle economie mondiali. In queste condizioni, è all'arte, come al tempo del Rinascimento, che ritornerà il compito esaltante, e ingrato, di spiegare l'uomo all'uomo trasformato da cima a fondo dalle proprie invenzioni. Attendiamo un nuovo Rinascimento, non più destinato, come il primo, a installare in noi le strutture fondamentali della psicologia occidentale, ma a dotarci di una psicologia globale che includa il mondo intero nella nostra forza interiore, anziché escluderlo, come avveniva in passato. Il lavoro dell'arte sulla psicologia è di riassorbire i nostri poteri tecnologici all'interno stesso del nostro campo cognitivo personale».17

Come per osservarne l’opera, anche per capire "creatore" e "creato" possiamo identificare due figure principali: l’immateriale e il materiale. Ciò permette di distinguere, se non due generi differenti di artista, almeno due categorie differenti dell'atto artistico. Il primo è basato sull'idea astratta, il concetto, che si trova dietro un'opera d'arte; il secondo sul fenomeno: la traduzione materiale nel mondo fisico. L’arte richiede entrambi, ma mentre l’immateriale crea un processo mentale, in base a un’idea,

17 C. SOTTOCORONA, "Il virtuale ha un'estetica che lo rende anche più umano", Telema, autunno 1996 il secondo atteggiamento determina il linguaggio dell’opera stessa. L’arte robotica in un certo senso è più legata alla materialità della gestualità corporea (per esempio di un robot che danza indotto usando la parte periferica del sistema nervoso), fruibile attraverso la tecnologia.

Così mentre gli artisti sviluppano strumenti sempre più sofisticati da aggiungere alla "tavolozza di Frankenstein", paradossalmente ricercano la corporeità, la carne, il corpo vitale. Il lavoro spesso è proprio come quello di un’equipe di ‘topi da laboratorio’. Cioè stanno muovendosi lontano dal topos dell'artista che lavora solo e stanno avvicinandosi una concezione di lavoro di squadra. «Filosoficamente parlando, questo drasticamente cambia l'atteggiamento dell'artista; l'uso di materiale umano si trasforma in necessità. Politicamente questo può essere un vincolo», sottolinea Pagliarini. I materiali, che includono altri esseri umani, sono molto costosi. Per questo motivo molte di queste opere d'arte sono finanziate dalle aziende. Un buon esempio di tendenza simile è il cinema in cui il componente artistico è indebolito dalla necessità di generare il profitto. Ciò è un pericolo che dovremmo tenere chiaramente presente e che ci conduce a considerazioni supplementari. «Possiamo, nonostante ciò, tentare di descrivere questo rapporto. La storia dell’arte ci dice che stiamo seguendo un percorso verso l’immateriale. Così come gli artisti sono passati dalla pittura alla fotografia, dal cinema alla grafica, dall’Impressionismo verso il Futurismo. L’opera, ridotta ai minimi termini, si lega così alla concezione di Alive Art, cioè di un’arte che può prodursi da sé, attraverso, per esempio, un robot. È qualcosa che oggi, almeno parzialmente, sta già accadendo (LEGO già ha prodotto il primi robot musicisti e pittori)»18. Così, più gli artisti faranno uso dell'elettronica, più si avvicinano al concetto di Alive Art. Le tecniche utilizzate sono non sono poi molto lontane dalle tecnologie di A.I., che comprende dalla creazione di reti neurali e automazioni cellulari, alle tecniche da ingegneria elettronica quali i sensori, motori, circuiti integrati e laser, o persino tecniche biologiche. Così l’artista-alive si troverebbe a creare sia il corpo esterno che quello interno dell'opera, e di coloro che interagiscono con esso. Possiamo allora dire che la costruzione di un’estetica cyber-robotica nasce allora dal fondamentale concetto di corpo (artificiale), corporeità. Non stiamo più parlando di un corpo umano, dunque di antropocentrismo, ancora una volta. Ma di corpo. Chiaramente ciò che ci sta attorno favorisce uno di spunto di riflessione. La ricerca di una replicabilità infinita è in fondo, il bisogno agognato dell’uomo. Ma se questa riproducibilità –come sarà – non sarà fatta di carne e ossa?

18 L. PAGLIARINI, C. LOCARDI, V. VUCIC, "Toward Alive Art. In Proceedings of Virtual Worlds 2000", in Proceedings. Second International Conference, J.C. Heudin (Ed.), Springer-Verlag Press (2000). Si veda inoltre "Alive Art", http://www.artificialia.com/AliveArt)

Il teorico Antonio Caronia distingue tre linee di tendenza19: il corpo replicato, il corpo invaso, il corpo disseminato. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti il passo è breve.

L’autore come esempio del corpo replicato fa riferimento al tema classico dell’uomo artificiale, l'androide biologico di P. Dick e cita l’artista e performer Stelarc (Si veda anche cap. 3.7.2).

Stelarc, cipriota di nascita, australiano di adozione, è diventato uno strano connubio tra uomo e robot: si è innestato una protesi tecnologica sull’avambraccio, una terza mano di acciaio e micro-chip, dotata di un vago senso tattile, che ripete perfettamente i movimenti della seconda mano, ma che può muoversi anche automaticamente. Si fa cavia che sperimenta ingordamente su di sé nuove tecnologie, ingoia piccoli robot che gli scrutano gli intestini o si potenzia la vista con occhi laser.

Quella di Stelarc è una metamorfosi estetica e strutturale del corpo attraverso la mano del chirurgo (Capucci, Il corpo tecnologico, Bologna, Baskerville, 1994) con uno sguardo sul destino e la potenzialità del proprio corpo intesi come eventi o processi sottoposti a trasformazioni possibili. Altro esempio è la scultura per lo stomaco in cui Sterlac ingoia una capsula di acciaio al titanio, argento e oro collegata ad un meccanismo, che viene inghiottita molto

19 A. CARONIA, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio Editore, Padova, 1996 lentamente, mentre una macchina miniaturizzata trasmette le immagini del tubo digerente. Giunta nello stomaco la capsula si apre, mostrando una piccola scultura che emette luci e suoni: è la scoperta dell'estetica del corpo cavo. Il corpo vuoto viene infatti assunto simbolicamente e anche materialmente come ricettacolo ideale per i componenti tecnologici che sostituiscono gli organi biologici - considerati sistemi ridondanti e imperfetti. E' la trasformazione nel corpo invaso. L’ultimo, il corpo disseminato rappresenta forse l'ultima frontiera delle metamorfosi rese possibili dalla tecnologia. Le riflessioni dell'autore muovono dalle recenti possibilità offerte dalla realtà virtuale, che insieme ai brainframes (telefono, fax, televisione computer…) moltiplicano le possibilità del nostro normale sensorio espandendolo verso realtà difficilmente esplorabili. In fondo l'esperienza del corpo disseminato nasce già con il telefono: sperimentiamo quotidianamente l'esistenza di questa forma di spazio virtuale e immateriale in cui si realizza la comunicazione telefonica, poiché essa è strutturata in base alle caratteristiche dell'organo ricevente presente nel nostro cervello, decodificatore ultimo del messaggio vocale. La voce telefonica è quindi già una prima forma embrionale di disseminazione del corpo. Un altro esempio è dato dalla differenza ontologica tra l'occhio che vede e l'oggetto osservato, tradizionalmente marcata e sensibile, che oggi, nell'esperienza digitale, tende a divenire sempre più sfumata, come quello di una sonda su Marte, sorta di occhio virtuale sul pianeta, capace di cancellare l'enorme distanza siderale. La deriva dell’identità in questo mare più o meno corporale può essere latente, come facile può essere perdersi tra isole nella corrente virtuale. L’arte allora può essere denuncia di questo straniamento della realtà che questo impiego diffuso di tecnologia comporta. Televisione come condizionamento sociale, realtà virtuale come droga, internet come mezzo attraverso cui surrogare bisogni primari e che conduce prima o poi all'isolamento sociale. Sono interrogativi a cui è molto arduo dare una risposta esauriente. Certamente il corpo disseminato è un corpo fluttuante, caricato di una valenza collettiva, che perde sempre di più la sua dimensione sacrale e a partire dall'individuo che lo ha generato; il riferimento a un punto di origine precisa è sempre più labile (es. l’identità dei figli nati in provetta), forse non più adatto a sostenere un'identità forte e stabile, unica, personale e irripetibile. La finzione, l’arte, la provocazione e la realtà sono facce di una stessa medaglia. Il significato di "artificiale" è allora da intendersi in senso letterale di ‘fatto ad arte’ da un ‘artefice’, cioè un ‘creatore’, un ‘artista’, un ‘autore’.

Ma come suggerisce ‘artificiale’ anche come sinonimo di ‘meccanico’: una ‘macchina’ non naturale, dunque costruita dall’uomo. In senso esteso, ‘artificiale’ uguale ‘culturale’, ‘sociale’. Invenzioni, via via sempre più ricche di conoscenza e di tecnologia, fino a divenire impalpabili, virtuali, fino a far passare in secondo piano o nascondere la loro componente di hardware, come capita alla rete internet20.

Il corpo è allo stesso tempo terra di frontiera della scienza, ossessione dei mass media, protagonista assoluto dell’immaginario collettivo. Il robotizzar-si (sé, dunque come processo interno), o il robotizzare (altro da sé, come processo esterno, compiuto da una mano “creatrice”) sono i sintomi dei sogni e gli incubi che sono già tra noi. Recepiscono con lucida follia aberrante ciò che noi solo oscuramente temiamo, o desideriamo, e che ci viene presentato in modi addomesticati e tranquillizzanti dai canali ufficiali. Colgono l’accelerazione tecnologica vertiginosa della nostra epoca, tale da prefigurare un vero e proprio salto nella evoluzione della specie ad opera delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica: evoluzione che non sarà più frutto di millenni di faticose, impercettibili mutazioni alla cieca, guidate solo dalla selezione naturale, ma risultato progettato di pochi anni di lavoro scientifico e tecnologico. L’evoluzione subirebbe cioè una discontinuità dettata dalle regole della scienza, attraverso quelle del mercato, dell’etica, del bisogno, ma mediate da fattori sociali umani, e artificiali. Si può parlare di ‘esotismo’, come «tutto ciò che è altro, significa aprirsi all’estraneità dell’Altro e sentire se stessi, tra gli altri, rivestiti di un’estraneità inquietante». Niente di più vero nelle parole di Victor Segalen.

20 cfr. G. SAVOINI, Siamo tutti artificiali: esteticacyberpunk, su www.dvara.net/HK/siamoartificiali.asp

Tracciando questo profilo estetico a cui l’occhio umano potrebbe rifarsi alla ricerca di un bello artificiale, per molti aspetti già abbondantemente allenato anche dalle immagini della quotidianità, ci rendiamo conto di essere allo start di un passaggio culturale attraverso cui è inevitabile misurarsi con delle modificazioni psicologiche, e che le tecnologie digitali pongono come occasione evolutiva. L'ibridazione tra i sistemi delle arti e quelli delle tecnologie della comunicazione ed il fatto che possano coniugarsi, dando luogo ad una nuova natura espressiva come quella multimediale, è in tal senso da affrontare al di là di quelle sovrastrutture culturali che li hanno tenuti separati. La cultura occidentale è dopotutto il luogo delle dicotomie, si pensi solo alla separazione tra corpo e mente oltre a quella tra saperi umanistici e scientifici. Ma è ora di superare queste dicotomie. Cyborg, estetica, protesi, genetica, chirurgia plastica, non saranno che alcune delle parti di un discorso fatto da più parti, comunicanti, come una collezione di pezzi diversi e interrelati tra loro, patchwork, frutto di bricolage chirurgico, tagliato e cucito insieme, proprio come la migliore tradizione del cyberpunk vuole. Attraverso questa rivoluzione dell’analisi estetica un technocorpo (es. Orlan, Stealrc, Antunez Roca) non sarà così lontano da una bellezza patinata della copertina di “Glamour”, dal corpo sempre più simile a quello di un cybercowboy gibsoniano21.

21 William Gibson, considerato uno dei padri del cyberpunk e autore di numerosi libri tra cui il Neuromante del 1985, romanzo-culto che afferma la definizione cyberpunk per indicare una precisa tendenza della narrativa fantascientifica. Ipotizzando un futuro molto prossimo, Gibson fonde 1.3 Corporale+digitale. Punti di contatto tra forme d'arte

Inizialmente abbiamo considerato la mitologia, la letteratura, e la cinematografia, che nel tempo hanno contribuito a creare il concetto di cyborg. Poi, abbiamo cercato i tratti estetici di riferimento. Ora, prima di addentrarci in un'analisi a rebours nella storia artistica, alla ricerca dei principi che sorreggono quest'arte dai confini labili e cyberpunk, un'altra riflessione può nascere, senza nulla togliere alle considerazioni fin qui fatte, da un'analisi dell'attuale art on the net in relazione alla robotic art, ovvero dalla corporalità robotica più quella virtuale della net-art.

In Arte remota22 Pier Luigi Capucci sottolinea: « [...] Mediante la Rete la plasticità digitale si fa ubiqua, con la possibilità di coagulare e coinvolgere fattivamente intorno all'opera idee, teorie, comportamenti di natura etica, sociale, politica, culturale, che sono in grado di incidere sul reale. Dunque queste forme artistiche, liberate dai tempi, dalle resistenze e dall'inerzia della materia,

atmosfere noir e tecnologia hard, narrando le avventure di John Case, un cowboy della consolle, abilissimo nel muoversi all'interno dello spazio cibernetico, ma anche intenzionato a trarre profitti personali da questa sua dote. Case era il migliore nel suo campo, ma aveva perso la possibilità di navigare nel cyberspazio perché il suo sistema nervoso era stato danneggiato come ritorsione ad uno sgarro: quando i suoi furti cibernetici vengono in conflitto con gli interessi di forze economiche e criminali e potenti, per Case iniziano i problemi.

22 P. L. CAPUCCI, L'arte remota, in "Making art on the web", Biella - Fondazione Pistoletto, novembre 2002. www.undo.net potenziate dalla Rete, consentono opportunita' creative che non hanno riscontri negli ambiti dell'arte 'tradizionale'. E anche per il fatto che non sono ancora state inquadrate dentro schemi di natura estetica o critica, gli artisti possono essere assolutamente liberi di sperimentare, di cambiare strumenti, tecniche, tematiche, modalita' espressive, in maniera molto più accentuata che nell'arte tradizionale (dove invece spesso l'ecletticita' viene vista negativamente)». Forse questo uno dei punti di rottura con l'arte tradizionale e di contatto con quella attuale. L'ecletticità, l'ibrido. Questo uno dei punti di contatto tra le due "correnti artistiche". «Questa grande possibilità combinatoria rende da un lato le forme d'arte per la Rete estremamente vivaci, interessanti e innovative, ma nel contempo le rende anche sfuggenti e, al di fuori della cerchia ancora piuttosto ristretta degli addetti ai lavori, le fa considerare senza stile (nonostante che la riproducibilità, dunque la vocazione a 'ripetersi', sia uno dei cardini su cui poggiano)23». Anche in questo senso lo stesso vale per le ricerche dell'arte in senso robotico. «E gli elementi, che mascherano queste forme d'arte sottraendo loro riconoscibilità e che spesso le imparentano con le comunicazioni di massa, andrebbero riconosciuti come parti fondamentali della loro poetica. Ma, dopotutto, ha senso ricondurre queste forme all'ordine della lettera, al rigore del tempo e dunque della Storia? Ha senso cercare

23 Ibidem di contestualizzarle, storicizzandole e fagocitandole all'interno di ambiti con cui poco o nulla hanno a che fare, come quello dell'arte, forzando la loro natura imprevedibile, transeunte, impermanente, metamorfica, processuale? Ha senso confondere quest'arte remota con l'oggettualità, la persistenza e l'hic et nunc delle opere tradizionali? Non ha senso... ».24 In fondo, come conclude Capucci, il fascino della Rete non sta proprio in questa imprevedibilità? «Nel sottrarsi agli schemi e alle etichette, nel porre in discussione i dogmi della comunicazione? Non sta forse nella leggerezza e plasmabilita', nella ritrosia alle forme di ordine, nell'essere altrove? Godiamocele, ancora pure ed aliene, bizzarre e riottose, sfuggenti e primitive, prima che cambino per sempre!»25. Aliene, bizzarre e riottose, così vengono aggettivate le opere di net-art, proprio come si possono classificare le opere robotiche. Allora l'analisi estetica e la ricerca storica saranno solo riflessioni utili per cercare e comprendere nuove strade in cui trovare emozione e, in fondo, di capire meglio la nostra contemporaneità, noi stessi. Per tentare finalmente di scuotere l'ordine stantio dell'arte, la sua curiosa e forzata continuità, «[...] che mette insieme i vasi greci e le demoiselles di Picasso, i mosaici bizantini e l'arte surrealista, le fotografie di Atget e le installazioni di Paik, gli affreschi rinascimentali e i multipli numerati e firmati...».

24 Ibidem 25 Ibidem Soprattutto senza sottrarre nulla a queste forme, impoverendole, e cercando di non tenere i piedi piantati nella tradizione e lo sguardo rivolto al passato.

Capitolo 2 Tracce storiche

«Gli aeroplani si svolsero gradatamente in aquile, i piroscafi in balene, le locomotive in cavalli, le cattedrali in foreste [….]»

M. BONTEMPELLI, Stato di Grazia, Alberto Stock, Roma 1931, pag. 243

2.1 Per un vangelo cyberpunk

«In principio non era il ”caos”, o il “caso”, bensì il suo perfetto anagramma: la cosa, ben tornita e laccata, vera progenitrice del mondo odierno»26. Proprio in contrasto con le solite “litanie” di coloro che gridano di paura per l’avanzare inarrestabile di ciò che proviene dalla fattura umana, Massimo Bontempelli, letterato degli anni Venti che in un certo senso «rappresenta la risposta migliore, per reazione contraria, all’insegnamento futurista di Marinetti»27, nel 1931 sostiene che la natura umana in fondo sia la cosa più artificiale che esista28.

26 F. FABBRI, I due Novecento, Manni, San Cesario di Lecce 2003, pag. 41e ss.

27 Ibidem

28 Ibidem

Il presente cioè, secondo il letterato, si trova congiunto al passato arcaico, proprio perché: «Il presente svolgimento non è che un ritorno: un ritorno al carattere strettamente umano-meccanico del periodo primigenio. E per qualche tempo non saranno, sul mondo, altro che uomini, case, macchine e opere d’arte»29. Ovvero artefatti, come suggerisce Fabriano Fabbri, che sottolinea solidi punti di contatto tra queste parole e un filone artistico sviluppatosi proprio negli anni Venti «dall’anima pop del decennio, ovvero il secondo Futurismo, caratterizzato dai suoi robottini e le sue scenografie ipercolorate»30. E’ proprio attraverso uno sguardo al passato remoto della storia dell’arte, prima che attraverso uno più prossimo e vicino, che si può sostenere l’idea di un continuum e di una consapevolezza piano piano svelata di ciò che l’arte robotica, se così vogliamo definirla, rappresenta. In modo più diretto ed esemplificativo, «l’umanità senza umanità» che traspira dalle opere di Mario Sironi, non è certo lontana da quello che ritengo un nodo importante, non solo dal punto cinematografico, per la concezione di una nascente empatia verso la robotica. Ciò a cui mi riferisco è senza dubbio uno dei film di fantascienza più acclamati degli anni Ottanta, Blade Runner (fig. 9). La metafora dei soggetti pittorici sironiani, caratterizzati da città silenziose e quasi post- umane, con il capolavoro di Ridley Scott non è casuale31.

29 M. BONTEMPELLI, Stato di Grazia, Alberto Stock, Roma 1931, pp. 263-264

30 F. FABBRI, I due Novecento, Manni, San Cesario di Lecce 2003, cit.

31 Ibidem, pag. 126

Diventa proprio quel quid che apre il sipario alla rappresentazione, o forse meglio “alle danze”, proprio perché il termine “robot” con quello di “ballo” non è così lontano come si può pensare, anzi. Ma andiamo con ordine. Il film Blade Runner, esso racconta per immagini come dalla Tyrell Corporation escano umanoidi quasi perfettamente identici agli uomini, con la capacità di sviluppare delle percezioni emotive e di autonomizzazione caratteriale, fino alla rivolta. Il compito del protagonista, Rick Deckard, è proprio quello di individuare e poi eliminare i replicanti difettosi. Sironi pare aver “percepito” o forse meglio “intercettato” tali presenze. “Il camion” ( fig. 10) del 1914 ne è un forte esempio, che lo distingue e caratterizza dai suoi compagni e colleghi di “Novecento”, da quelle rappresentazioni imbambolate e sterili, prive di vita, se non proprio quelle di un automa dallo sguardo vitreo e fisso. Mi riferisco alle varie opere di Oppi, Funi, Casorati, lontane visivamente, ma non concettualmente, dalla fantascienza urbana e terrestre che ci restituisce un futuro metropolitano cyberpunk. Credo a questo punto di riuscire a tracciare per esempi, forse più che storicamente parlando, una vera e propria “arte robotica” che si è affacciata a partire quindi fin dai primi anni del Novecento. In realtà impressioni simili a quelle che ritroveremo poi nel concetto di arte robotica - si possono già accumunare nei soggetti pittorici di stampo espressionista, largamente drammatici e sovra-umani. Ma guardando il “robot” opera di Sironi o Depero (fig. 11), forse appare più immediato la stretta vicinanza a quelle colorate “anime di ferro” protagoniste di cartoni animati nati dalla mano dei disegnatori giapponesi. Non a caso chi oggi ha trenta, quarant’anni e si occupa di arte robotica, era bambino o ragazzino negli anni Settanta, proprio quando le serie giapponesi impazzavano sulle reti televisive. E se per Marinetti «Il tempo e lo spazio morirono ieri»32, e per Bergson, Husserl e Proust gli stessi soggetti furono ritrovati e sovvertiti, nello svolgersi del XXI secolo forse proprio quello spazio e quel tempo, così come nella concezione futura e ideale di robotica di Luigi Pagliarini, tenderanno all’infinito verso una produzione eternamente rinnovata. Torna qui il concetto dunque di una forma aperta, autentica, poetica, che non esclude lo scontro, chiaramente, con il suo contrario, come Wölfflin suggerisce. L’arcaismo, che vorrei sottolineare come caratteristica che ci proietterà verso il concetto in itinere di “arte robotica”, è caratteristica decisiva e intrinseca di umanità robotica agli albori, forse, di qualcosa che è già stato per l’uomo. Si è citato il Futurismo e i futuristi, ma, credo sia adeguato fare un salto molto più indietro e, anche solo per un attimo, richiamare dunque l’arte tribale, il totemismo, il simbolico fantoccio apotropaico “scacciaguai”. Senza allontanarsi troppo dal selciato, già un esempio è l’opera d’arte robotica e interattiva di Christian Laroche "Le

32 F. T. MARINETTI, Manifesto del Futurismo, Mondadori, Milano 1983, pp. 10-11 mime" (fig. 12), che sembra richiamare proprio questo aspetto. Umanità, congestionata forse, ma che sicuramente dialoga con una migrazione simbolica di aspetti primordiali dell’uomo.. Insomma, l'origine a cui il nome robot rimanda è proprio quanto l'artista Christian Laroche cerca di evitare alle sue creature, 'proteggendole' anche grazie a una carica di sensibilità di matrice tecnologica. Se robot sono, i suoi sono ipersensibili e sanno riconoscere il passante, dialogano, agiscono impercettibilmente o quasi, e così via. Il contrario della macchina che si ribella, o di quella “nata cattiva? , come quelle che appaiono in un film, Sky Captain.33 Gli antecedenti del lavoro del francese Laroche, ma anche di Mark Tilden, Stelarc, Ulrike Gabriel, Ken Goldberg, quelli che potremmo definire gli artisti conteporanei dell’arte robotica, forse, sono rintracciabili “a rebours” lungo il cammino della storia dell’arte. Un esempio sono le «macchine inutili» (fig. 11) che nel 1933 Bruno Munari espose per la prima volta: strutture da appendere, mobili nello spazio e quindi in continua trasformazione, formate da elementi geometrici, che saranno affiancate negli anni successivi da un intenso lavoro di progettazione di opere d’arte programmate, moltiplicabili e componibili. Il tema della macchina nell'opera di Munari (che influenzò Tinguely) va inteso come indagine psicologica

33 K. CONRAM, Sky Captain and the World of Tomorrow, Usa, Regno Unito, Italia, 2004

del movimento, come meccanismo che mette in moto un processo percettivo. L'arte così entra nella vita per sviluppare un nuovo rapporto con la conoscenza passando attraverso la convivenza degli opposti. L’arte cinetica34 è sicuramente da considerarsi un antecedente validissimo nella direzione di una costruzione dell’arte robotica. Il movimento, aspetto caratterizzante di quest’ultima, è aspetto fondante infatti delle ricerche di Lynn Chadwick, Kenneth Martina, Bruno Munari, ma soprattutto di Alexander Calder che rendeva il movimento casuale delle correnti d’aria o gli impulsi tattili degli spettatori motore dei suoi mobiles. (fig. 12 a) Opere quasi impalpabili, ma decisamente costruite, le creazioni di Calder non sono (ancora) animate dall’elettronica, ma da uno studio dei rapporti peso-forza. I mobiles hanno un’anima d’acciaio (come un robot) o ne sono del tutto costruiti, e hanno forme ‘vagamente’ atropo-zoomorfe. E come non citare le macchine autodistruttive di Jean Tinguely (figg. 13, 14), per le quali si può parlare, più che di un effettivo cinetismo, di una sorta di vera a propria

34 arte cinetica, o cinetismo nasce negli anni Sessanta in parte legata a osservazioni di tipo psicologico, comprende gli "oggetti in movimento" di Alexander Calder e Bruno Munari, gli esperimenti mediante "trucchi percettivi" di Victor Vasarely, il Gruppo T (T sta per tempo) con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi e in un secondo tempo Grazia Varisco, il Gruppo N (Alberto Biasi, Edoardo Landi, Toni Costa, Ennio Chiggio, Manfredo Massironi), dove il movimento è dato dallo spostamento dello spettatore e "oggetti che si lasciano muovere" o meglio, che acquistano particolari caratteristiche (Munari, Mari), grazie ad un intervento esterno. Tra i protagonisti di questo che diventerà un movimento artistico europeo, ancora: Julio Tinguely, Pol Bury, Jean Le Parc, Sol LeWitt, Joseph Kosuth, il gruppo Zero di Dusseldorf e quello del GRAV (Groupe de recherche d'art visuel) che nacque a Parigi nel luglio del 1960.

“umanizzazione” della macchina. E neppure le ricerche della op-art sono così distanti: la concezione optical basata sull’interazione psico-percettiva dell’opera, cioè l’opera d’arte come esperienza psicologica di valenza sociale, è un tema molto riconoscibile tra i contemporanei robot artists. La ricerca e l'interpretazione causticamente satirica, irrispettosa, ludica e spesso anche drammatica del macchinismo e, più in generale, della tecnologia e della sua onnipotente razionalità occupano la vita appassionata di Jean Tinguely fino dalla metà degli anni cinquanta del secolo scorso. Lui stesso diceva:

«[...]lo so [...] quello che faccio corrisponde a qualcosa che è nell'aria [...] l'assurdità totale, l'aspetto folle, autodistruttivo, ripetitivo, giocoso delle macchine condannate al loro vai - e - vieni [...] sento proprio di far parte di questa società [...]» In effetti siamo giunti a un punto di contatto, o forse meglio di effettiva partenza. Perché se si può parlare di riferimenti pescati nel passato della mitologia, dei simboli, dell’antropologia e della storia dell’arte, per quanto riguarda la scienza la linea di definizione artistica, più che di demarcazione, appunto, è tracciata già a partire dagli anni Sessanta, con circa un decennio di distanza dalle prime ricerche tecniche robotiche.

Capitolo 3 Insurrezione robotica

3.1 Pionieri di un nuovo 'ismo'?

La fine della prospettiva moderna, mettendo in crisi la visione omogenea, regolare del mondo e della società, mette di fronte a una nuova centralità del corpo e a una riscoperta dell’individuo. Di questo processo James Ballard35 è stato uno straordinario testimone e commentatore. Con la sua grande capacità di visualizzare, di rendere quasi palpabili le trasformazioni che le tecnologie inducono sull’uomo, egli ha raccontato come il mutamento antropico, rappresentato e insieme agito dai media, si trascriva letteralmente nel sistema nervoso dell’uomo. Gli oggetti e gli eventi più spettacolari della tecnologia e dei media degli anni Sessanta diventano per lui altrettanti elementi di un paesaggio della psiche in cui, a poco a poco, svanisce quell’orgogliosa distinzione tra io e mondo, tra interno e esterno.

35 James Ballard, nato a Shanghai nel 1930, specialista di narrativa apocalittica e cyberpunk. Autore di "Myths of the Nea"r "Future", "Crash" (1973), "The Drought" (1965), "The Crystal World" (1968), dove dominano scenari apocalittici della terra distrutta dalla tecnologia, dalla natura e dalla superbia. La forza narrativa di Ballard si riassume nel concetto innovativo di letteratura dello spazio interno (inner-space), anziché quello più tradizionale di spazio esterno (outer-space), che caratterizza la maggior parte delle opere fantascientifiche.

Nelle possibili catastrofi planetarie, nelle malattie immaginarie che costituivano lo sfondo dei suoi primi romanzi degli anni Sessanta, Ballard vedeva l’occasione perchè l’uomo ristrutturasse il proprio «spazio interno», il proprio sistema neurale, scontando il carattere traumatico di questo adeguamento, ma impegnandosi a non esprimere giudizi, a non contrapporre a questo stravolgimento planetario di tutto ciò che i secoli precedenti avevano considerato «umano» nessun atteggiamento nostalgico, «nessuna rivendicazione di valori». Questo atteggiamento paradossale, che a volte disturbava i primi lettori, culminerà con due opere, "La mostra delle atrocità", del 1970, e "Crash", del 1973, concepite nel clima della cultura londinese dei Sessanta, in collegamento con il movimento dell’arte pop inglese e con un esplicito e ossessivo riferimento ai surrealisti. «E’ così che, proprio a partire dagli anni Sessanta la ricerca stilistica in tal senso si comincia a spingere ancora oltre grazie ai diversi movimenti, quali ad esempio Fluxus36, Eventualismo37, le cui scuole d’arte ponevano (e tuttora pongono) le teorie della mente al centro della loro ricerca estetica, questa volta in maniera estremamente

36 , corrente artistica nata nel 1961 dall'appellativo di , fondatore del movimento. Fluxus mirava alla fusione delle arti rispettandone comunque specificità di medium e di funzione. Per un maggiore approfondimento si veda in appendice.

37 Eventualismo, movimento artistico teso a coinvolgere in una esperienza estetica gli spettatori, in modo da ottenere da loro una risposta non convenzionale, che viene valutata, registrata ed esibita come risultato del processo. C’è un dialogo sperimentale tra artisti e pubblico, che si completa con la risposta attiva del pubblico che entra a far parte dell’evento compiuto sperimentale tra artisti e pubblico, che si completa con la risposta attiva del pubblico, che entra a far parte dell'evento. consapevole. Viceversa, nel contempo le discipline psicologiche, quali psicologia della percezione, della forma, del colore e quant’altro, evolvevano i loro fondamenti teorici innestando in tal modo un processo simbiotico tra cultura artistica e cultura della mente che portava verso una maggior conoscenza dell’estetica e dei suoi principi fondamentali. Ora, mentre le avanguardie artistiche osservavano l’evolversi della semeiotica e di simbolismi ispirati al cervello e alla sua relazione con l'essere”, negli anni Novanta proprio a partire da queste ricerche si sarebbe avviato un processo, in tal senso, rivoluzionario»38. Difatti, nello stesso periodo, nascevano, o per meglio dire si raffinavano, crescevano e si solidificavano gli studi delle discipline informatiche, con una velocità ed una forza direttamente proporzionali all’accessibilità economica degli apparati digitali. In altre parole, dalla massificazione informatica sarebbe nata una nuova filosofia della mente e parallelamente allo sviluppo di questa nuova concezione del pensiero e dell’intelligenza si sarebbero sviluppate nuove tendenze e discipline artistiche. Così all’interno di questi «paesaggi delle comunicazioni» ballardiani, nascono le prime opere di arte robotica. L'insurrezione dei pionieri di quest'arte è la rivoluzione dei fautori che negli anni Sessanta gettano le basi di un nuovo 'ismo', quello che negli anni Novanta potrà essere sarà definito artivism. Cioè artivismo, ovvero l'unione di

38 L. PAGLIARINI, Con l'arte nella mente e la mente nell'arte, "Digicult", su www.digicult.it/digimag/articoli/i.a._pagliarini.html art+activism, che denominerà il tentativo di fare dell'arte uno strumento di lotta politica e sociale, in sintesi, attivismo in tinte artistiche.

Così molti dei "robottini d'arte ballardiani" creati negli stessi anni in cui spopolava la pop, si disperderanno nell'universo fluido del virtuale degli anni Novanta, verso un media attivismo che comprenderà la necessità di una gestione indipendente dei media, intesi ludicamente come macchine da smontare e rimontare all' interno della mutazione antropologica. La ricerca robotica andrà verso il cyborg, la costruzione di un immaginario, di nuovi media come nuovi modelli di comunicazione, organizzazione, creazione, di socialità. La comunicazione sarà sempre più intesa come narrazione collettiva, mitopoiesi, guerriglia comunicativa, psicosfera, in cui si inventano simulacri pop, sabotaggi mediatici, meta-media, mentre la concezione sarà sempre più a favore dell'utente, proprio a partire dalla ricerca tattile che qui ha inizio. Allora non ci saranno più etichette, e i media tattici che raccoglieranno alle soglie del nuovo millennio questa tradizione, comprenderanno la ribellione dell'utente nei confronti dell'esclusione da parte della cultura dominante, proponendo invece una diffusa condivisione del sapere e della comunicazione.

3.2 Prototipi d'arte. Il CYSP di Shöffer e la pittura Remote Control di Kanayama

Mentre i prototipi dei primi robot non commerciali sono stati sviluppati negli anni Cinquanta, nel campo dell’intrattenimento e della ricerca scientifica, non è infatti prima degli anni Sessanta che possiamo vedere le prime opere d’arte robotica, all’interno di un panorama artistico evoluzione, tra la corrente del cinetismo, e la reintroduzione della macchina all’interno del dibattito dell’arte.

All’alba di questo panorama, particolarmente interessante è CYSP (fig. 15), scultura cibernetica di Nicolas Shöffer. Quest’opera, presentata al pubblico parigino nel maggio 1956, all'attuale Theatre de la Ville durante la manifestazione The poetry night, rappresenta un primo e pionieristico passo avanti, dal momento che è sviluppata con sensori e altrettanti componenti elettrici che riproducono diversi tipi di movimenti in base all’interazione con lo spettatore. Ungherese di nascita (1912 Kalocsa, 1992 Montmartre, Parigi), ma parigino d'adozione, Shöffer è considerato uno dei padri della dell'arte cibernetica, colui che segna il limen, il passaggio tra meccanica ed elettronica, tra cinetica e robotica.

E' interessante cosa Shöffer scrivesse a proposito della tecnologia: «La tecnologia è l'elaborazione ed il miglioramento dei metodi dei campi umani. Distingueremo tre tecnologie: una tecnologia strumentale, che si sviluppa da tre milione anni. Va dagli attrezzi più semplici ai microprocessori. Una tecnologia sociale che legata alle idee o agli oggetti di tipo finanziario, industriale e politico, e una tecnologia economica, che si riferisce ai princìpi ed alle tecniche di profitto degli investimenti, così come agli studi teorici ed al loro sviluppo pratico»39.

Il carattere di transizione del suo lavoro è stato documentato nel programma televisivo del 1959, Robocybernétique, trasmesso in diretta dallo studio di Schöffer a Parigi.

In realtà un primo esperimento, come ricorda Eduardo Kac in Robotic Art Chrology40, viene fatto un anno prima del CYSP, nel 1955, da un membro del gruppo giapponese Gutai41, Akira Kanayama, con l'opera Pittura remote- control, utilizzando un dispositivo telecomandato. Kanayama fu probabilmente influenzato anche dal

39 www.olats.org/schoffer/eindex.htm 40 E. KAC, Robotic Art Chronology, "Convergence", Volume 7, N. 1, primavera 2001, pp. 87-111. Eduardo Kac (Rio de Janeiro 1962), artista e teorico. Lavora con i media elettronici, è membro del Journal Leonardo and ha esposto i suoi lavori in tutto il mondo. E' assistente alla cattedra di "Arte e tecnologia" alla School of the Art Institute di Chicago. Per un maggiore approfondimento si veda in appendice.

41 Gutai o "avanguardia sotto il cielo" per l'abitudine ad allestire mostre all'aperto, è il nome di un gruppo fondato nel 1954 da Jiro Yoschihara ad Osaka, in Giappone, che ha attuato una vera e propria rivoluzione nell'arte contemporanea giapponese, rinnovandola profondamente ed accogliendo le innovazioni imposte da una nuova realtà sociale e culturale derivante dalla trasformazione industriale. Per maggiori approfondimenti si veda in appendice.

contesto avanguardistico in cui operava, basato sulla multidisciplinarietà, intesa come "incrocio di generi", e sul rifiuto a considerare l’arte come un ambito separato dalla vita ed a delegare la creatività a settori specialistici, o tecnici, o culturali.

Il processo elettromeccanico da lui utilizzato gli ha permesso di creare non solo un'opera, che fu presentata in anteprima alla First Gutai Indoor Exhibition, nell’ottobre del 1955, a Tokyo, ma un nuovo tipo di concezione artistica. La gestualità della creazione di Kanayama, così realizzata, svela una nuova potenzialità, quella della macchina al posto della mano dell’artista, che può produrre senza toccare neppure.

Su questa scia, in equilibrio tra sperimentazione e nuove problematiche, verso la metà degli anni Sessanta si collocano tre opere nello sviluppo dell'arte robotica: K- 456 (1964) di di e Shuya Abe, Squat di Tom Shannon (1966) ed il Senster di Edward Ihnatowicz (1969-1970). Questi interventi sono molto significativi, in particolare in una prospettiva odierna, perchè rappresentano tre canoni estetici a cui poi negli anni successivi si sarebbero rifatte le successive generazioni di artisti.

3.3 Il K-456 di Paik e Abe

«Le tecnologie sono auto amputazioni dei nostri organi» Nam June Paik

Nel 1964 Paik, uno dei fondatori della video art, insieme a Abe, pioniere a sua volta della video-sintesi, crea il robot K-456 (figg. 16, 17), un mucchio di rifiuti alto due metri con le eliche di un aeroplano giocattolo al posto degli occhi. E' controllato da un radiocomando e una volta uscì barcollando dalla porta della galleria d'arte, agitando le braccia e spaventando i passanti. Nel clima erotico e dissacrante di Paik, che spesso si divertiva a scandalizzare il pubblico, un altro evento sorprendente, assurdo, è stato quello di voler costruire un duetto tra il K-456 e l'americana , già entrata nel 1964 a far parte di Fluxus42, soprattutto per volere di Paik.

Moorman, diplomata in violoncello classico alla Julliard, solista dell'American Symphony Orchestra, ha realizzato una performance musicale insieme al robot, col quale ha suonato Plus-minus di Stockhausen. Con il robot K-456 sono introdotti la mobilità, l'interazione con il pubblico, il

42 Per maggiori approfondimenti si veda in appendice telecomando. Paik si avvicina all'arte robotica con umorismo, caricando i suoi robot di umanità, senza timori.

3.4 Shannon, tra interattività e ibrido

Con lo Squat di Shannon (fig. 20), troviamo la prima opera interattiva, ibrido tra organico ed inorganico, una pianta che al contatto umano attraverso dispositivi elettrici cambia direzione e si muove, che allora come oggi solleva l'attualissimo problema delle opere cybernetiche. Nell'ultima edizione di Ars Electronica43, intitolata “Hybrid - living in paradox” ("Ibrido – vivente nel paradosso") il tema dell'ibrido è stato proprio il tema portante, a "puntino" con i tempi moderni, in linea con le scelte artistiche di Shannon, anche a quarant'anni di distanza.

Proprio in questo contesto i vari eventi e le mostre presentate hanno voluto mettere in discussione nuove interazioni tra scienza, società ed arte, come confermano le scelte dei due direttori Gerfried Stocker e Christine Schöpf, che hanno osservato, appunto, tendenze per una cultura ibrida nella creatività umana, affermando: «Viviamo ormai in un mondo dove, grazie ai mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie, tutti i confini sono superati, non solo quelli territoriali, ma anche quelli materiali, psicologici o etici»44.

43 Ars Electronica è il nome del festival austriaco dedicato all'arte elettronica. Inaugurato nel 1979, è uno dei più vecchi tra tutti quelli che si svolgono nel mondo. Dal 1996 è sorto Ars Electronica Center, una struttura stabile che, oltre ad organizzare il festival, è diventato un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di tecnologie legate ai new media. Quest'anno si è svolta a Linz dal 1 al 6 settembre, 2005. Il sito ufficiale della manifestazione è www.aec.at 44 A. CALEGARI, Arte elettronica a Linz, "Artfaq", 19 agosto 2005. www.artfaq.it

Gli intenti dello Squat di Shannon, non sono così allora così lontani da quelli sotto il cielo di Linz. La mostra centrale di Ars Electronica 2005 era stata allestita infatti con i robot creati dall’artista Theo Jansen, che sono la popolazione del suo mondo fantastico. Le sue macchine di grandi dimensioni prendono l’energia esclusivamente dal vento e mettono in evidenza l'ibrido tra la scienza dell’ingegnere e i principi naturali biologici. In fondo le prime sperimentazioni dell'artista ricalcano quelle dei futuristi e degli artisti cinetici, e di Shannon probabilmente.

Come sostiene l'antroplogo Massimo Canevacci45, in un'intervista a Simona Caraceni per Noemalab.org46, «La cultura occidentale contemporanea, con l'ingresso del digitale e l'affermarsi di un soggetto post-coloniale, senza dimenticare le forme religiose e politiche dominanti come Bush, Blair e Berlusconi, può, tra i tanti conflitti che mette in moto, generare anche lo scontro tra una cultura dominante e una ibrida, caratterizzandosi da una discontinuità contemporanea».

E ancora, sul concetto di ibrido, sostiene: «L'ibrido è percepita come condizione 'sbagliata', ma siamo tutti ibridi. E' la visione universalistica che ci porta a negare l'ibrido, a vederlo come 'nemico costituito', e non come

45 Massimo Canevacci, docente di Antropologia Culturale presso la Facoltà di Sociologia dell'università "La Sapienza" di Roma, direttore e curatore della rivista Avatar

46 www.noemalab.org/blogs/ etnicità, sincretismo, diversamente da quanto accade, per esempio, in Brasile».

Allora forse, rispetto a quaranta anni fa, oggi qualcosa è cambiato, dal punto di vista culturale. Più probabilmente, sono maturati i tempi per parlare di un concetto di ibrido.

Lo testimoniano le opere di Jansen (figg. 21, 22), ibridi semi-tecnologici robotizzati, alla ricerca di un equilibrio naturale.

Come afferma si legge sul sito ufficiale dell'artista47: «Per quattordici anni Theo Jansen ha lavorato per generare una nuova vita-forma. Queste creature, capaci di camminare ed effettuare altri movimenti sfruttando in modo diretto o differito.l’energia eolica, sono composti di uno scheletro è formato essenzialmente da tubi conduttori di elettricità, da legno o da altri materiali, sono stati concepiti entro l’ambito di un percorso evoluzionista. Una volta realizzate le sue creature, Theo le abbandona sulle spiagge olandesi, dove cominciano a vivere una vita propria, fagocitando ed immagazzinando vento per potersi muovere a proprio piacimento.

«Le varie creature, il cui DNA viene selezionato dall’artista tra milioni di varianti evolutive concepite con l’ausilio del proprio computer, sono continuamente soggette a modifiche dettate da una logica generativo- trasformazionale simile a quanto potrebbe riscontrarsi in natura: in un certo senso è come se le premesse delle

47 Si veda il sito ufficiale dell'artista: www.strandbeest.com successive evoluzioni fossero codificate nel DNA digitale di ciascuna creatura. Riecheggiando il gergo scientifico, l'artista ha battezzato il genere delle proprie creature fantastiche come animaris – fantasiosa contrazione di animale e mare – conferendo a ciascuna di esse una specifica classificazione entro un universo evolutivo le cui regole sono rigidamente dettate dalla selezione digitale del fidato PC Atari. Sottoposte a precisa “classificazione”, le creature vengono 'liberate' sugli spazi costieri olandesi, dove cominciano a vivere una propria vita, fino a quando non saranno chiamate ad ibridarsi e mutuamente ricomporsi per dare origine a nuove forme di vita capaci di sfruttare in modi sempre più sofisticati l’energia fornita dal vento. Se nelle prime generazioni, le scheletriche creature erano direttamente soggette alle bizzarre volute eoliche, i cui movimenti riuscivano a sfruttare tramite elaborati apparati di vele connesse a muscolature simili a pistoni; ormai esse sono in grado di immagazzinare l’energia entro bottiglie-polmone che le rendono in grado di spostarsi anche nei momenti di bonaccia»48.

Il ritorno alla natura è compiuto, il vento dona agli animaris la giusta energia, dopo una sapiente costruzione a tavolino - e a computer - di un corpo animale. Un innesto in piena regola, che testimonia la scelta artistica di rendere vivo e bestiale ciò che non lo è, come Geppetto con Pinocchio, dottor Frankestein con il suo Frankenstein.

48 N. ANDREINI, Strandbeest - Bestie da spiaggia. Evoluzioni eoliche ed altri episodi nell’universo artistico-generativo di Theo Jansen, "My media - osservatorio di cultura digitale", n. 2/2005, www.mymedia.it/jansen.htm

3.5 Le ricerche di Ihnatowicz, White, Seawright

Un passo indietro, fino agli anni Sessanta. Mentre imperversava la Pop Art infatti, un meno popolare, ma comunque importante contributo viene, come dicevamo, dall'opera Senster di Ihnatowicz (1926-1988). Il Senster, voluto dal gigante di elettronica Philips per il loro showplace permanente, l'Evoluon a Eindhoven, in Olanda, dove è stato in allestimento per quattro anni dal 1970 al '74, è «la risposta più grande e ambiziosa di Ihnatowicz, dopo il SAM49».

Il Senster oltre a interagire con i presenti, è capace di rilevare per mezzo radar e probabilmente è la prima scultura robot controllata per mezzo di un computer. Alto più di quattro metri, era stato creato con fusioni di alluminio su una struttura d'acciaio. Il movimento, controllato da un calcolatore, in questa opera è molto più fluido del SAM, ma ancora ragionevolmente semplice. I microfoni di cui è dotato sono input per rilevare il suono e in base ai quali arbitrariamente risponde in uno-due secondi, muovendo la testa. Questo il primo caso di 'autonomia' comportamentale nell'arte robotica, cioè Senster è la prima opera in cui l'interazione nello spazio è innescata da un elaboratore dati.

49 Il Sound Activated Mobile o SAM è la prima scultura che si muove direttamente in relazione a ciò che gli succede attorno, creata da Ihnatowicz nel 1968 Norman White è forse l'artista che più constantemente ha portato avanti la ricerca artistica in questo campo. Un esempio è la sua prima opera robotica, Ménage (1974, fig. 18), realizzata con quattro robot che si muovono avanti e indietro montati al soffitto lungo piste separate , e un quinto al pavimento. Ogni macchina ruota grazie a un'antenna scanner in base alla sorgente di luce e possiede un riflettore montato al centro del relativo dispositivo d'esplorazione. I robot del soffitto quindi tendono a attrarre gli altri fino a che le loro piste non li separano. Malgrado la semplicità dei princìpi di controllo, il comportamento del gruppo è sorprendentemente complesso. Un altro lavoro di White, sono i Robot Helpless (1987-96). Si tratta di un'opera interattiva, che dipende soprattutto dalla relativa voce sintetizzata che chiede (aiuto) alla gente di spostarsi come il robot vorrebbe. «L' ho costruito prima di tutto come apparecchio per esaminare le differenti tecniche di conoscenza-costruzione automatica; in questo caso, la macchina tenta di valutare e imitare il comportamento umano. Come per Facing Out Laying Low, anche questa rimane un'opera non-finita»50. Il lavoro dell'artista canadese inverte per la prima volta la polarità dei rapporti uomo-robot, dal momento che qui è il robot a chiedere aiuto all'uomo, invece che essergli sussidio. Robotica, ironia e sesso sono i temi esplorati in Fuckin Robot (1988), un'opera realizzata a quattro mani con l'artista Laura Kikauka. I due robot, maschio e femmina,

50 Ibidem realizzati dai due artisti separatamente senza consultarsi sui particolari, eccetto sulle dimensioni degli organi, sono stati poi riuniti per una performance pubblica. La macchina 'maschile' è definita dall'artista, «the first and last anthropomorphic robot I've ever built» (il primo e ultimo robot da me mai costruito), e 'risponde' al campo magnetico generato dall'organo femminile, che a sua volta si sarà eccitato attraverso un alimentatore elettronico. Ciò che colpisce in quest'opera è la ricerca di un «ibrido orgasmo cybernetico», reso a partire dalla costruzione arbitraria di una sessualità diversa e ironica.

Un altro artista interattivo è James Seawright, 51 (Jackson, Mississipi, 1936 ), che così spiega perchè costruisce le sue opere: «Il mio scopo non è programmare macchine, ma produrre diversi tipi di personalità. Infatti solo una persona che ci conosce bene può riuscire a sorprenderci, così le macchine». Questa la sua grammatica per un'estetica interattiva, che si può cogliere nelle sculture quali Watcher (1965-66, fig. 19), Searcher (1966) e nei «reactive enviroment» (ambienti reattivi") quali Electronic Peristyle (1968) e Network III (1979). Proprio quest'ultimo deve essere sottolineato come interactive computer installation nel quale un minicomputer digitale (PDP 8-L) traduce i movimenti degli spettatori su piastre

51 James Seawright è nato nel 1936 a Jackson, in Mississippi ed è stato per molti anni direttore del Dipartimento di Arti Visive dell'università di Princeton. E' considerato uno dei più importanti artisti tecnologici a partire dalla fine degli anni Sessanta. Alcune delle sue opere sono esposte nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art, del Whitney Museum e del Guggenheim Museum di New York. sensibili alla pressione in modelli lampeggianti sul soffitto.

3.6 Botanica robotica: il Telegarden di Goldberg

Quello della botanica cybernetica è un tema molto esplorato dagli artisti. Negli anni Ottanta James Seawright ha sviluppato opere d'impianto robotico comandati da computer, con un software in grado di interagire con l'ambiente e con il pubblico. Ne è un esempio il suo Electronic Garden #2 (1983), cinque fiori-robot comandati da computer e regolati in base ai parametri del clima, quali la temperatura e l'umidità. L'opera originalmente è stata installata nello spazio pubblico di un giardino interno. I visitatori possono anche alterare il comportamento dei fiori spingendo i tasti e modificando il programma installato nel microprocessore, e suggeriscono la possibilità di integrazione armoniosa fra gli esseri umani, la natura e la tecnologia, nello stesso momento in cui si integrano perfettamente con le altre piante ornamentali.

A poco più di dieci anni di distanza troviamo il Telegarden (1995) creato da Ken Goldberg52, insieme a Joseph Santarromana, George Bekey, Steven Gentner, Rosemary Morris, Carl Sutter e Jeff Wiegley.

Il TeleGarden (figg. 23, 24) è un'installazione telerobotica che consente agli utenti del World Wide Web di vedere e

52 Ken Goldberg, nato a Ibadam, Nigeria nel 1961, e cresciuto a Betlemme, Palestina, vive e lavora a San Francisco, California. Goldberg è dal 2002 professore di Industrial Engineering and Operations Research, e di Electrical Engineering and Computer Science all’"University of California" di Berkeley coltivare un giardino in tempo reale. Interagendo con il computer si possono piantare, innaffiare e controllare la crescita delle piante attraverso l'azione di un braccio robotico53 che troneggia al centro del piccolo cerchio verde. Il Telegarden è stato sviluppato all'università di California del sud nel 1994 ed è andato sul web nel giugno del 1995. Durante il primo anno, oltre nove mila utenti hanno 'interfacciato' per contribuire a coltivarlo. Nel mese di settembre del 1996, il Telegarden è stato spostato verso l'ingresso del centro di Ars Electronica54, in Austria, in cui è rimasto connesso alla Rete fino all'agosto del 2004.

Il Telegarden è per Goldberg la trasposizione in miniatura, nello spazio virtuale, di una comunità in cui l'organizzazione si fonda sulla combinazione di più fattori tecnologici, come l'informatica, la robotica, internet. Anche un giardiniere robot, e un letto di fiori possono diventare, in un comune progetto di ecologia di società globale, luogo d'incontro sul web.

53 su questo argomento si veda anche G. M. GATTI, L'erbario Tecnologico. La natura vegetale e le nuove tecnologie nell’arte tra secondo e terzo millennio, collana Mediaversi, Clueb, Bologna 2005 54 vd. nota n. 31 3.7 Laboratori di sopravvivenza artificiale

3.7.1 Lo show robotizzato di Pauline e S.R.L

Ritorniamo agli anni Settanta. dove, tra gli artisti maggiormente significativi, troviamo Mark Pauline e Stelarc. Il primo è il fondatore del gruppo Survival Research Laboratories (SRL) che ha base a San Francisco dal 1978. Con i suoi collaboratori più stretti, Chico MacMurtriee, Brett Goldstone, Matt Heckert ed Eric Werner, ha progettato e creato delle macchine di leggendaria distruttività e orrore, nelle quali si integrano minacciose metafore meccaniche e cadaverici residui animali. Come afferma lo stesso Pauline in un'intervista55:

«Nonostante le inevitabili limitazioni, noi tentiamo di creare delle situazioni che scatenino degli interrogativi e che permettano alla gente di troncare con la limitata realtà che hanno ora a disposizione, giocando con i simboli e prendendo in considerazione la confusione reale della nostra cultura. Sfruttiamo questo aspetto della cultura occidentale per realizzare degli spettacoli dove la gente interagisce come vittima, con un mondo abitato da macchine, costruito per soddisfare le esigenze di questi congegni meccanici antropomorfizzati. In un certo modo,

55 M. MASCARELLA, Survival Reserch Laboratories - Intervista a Mark Pauline, Decoder #5, 1990 le macchine che costruiamo sono molto sofisticate, siamo però limitati dal fatto che nella nostra cultura è possibile, perlomeno secondo la pubblicità di Ron Reesman, diventare ricchissimi, grazie all'utilizzo della tecnologia sperimentale, o per salvare la gente o per ammazzarla. Puoi ricevere po' meno soldi per costruire cose che abbiano applicazioni pratiche o di consumo, di interesse di massa. E puoi ricevere praticamente nulla per creare situazioni molto intense e deflagranti, come quelle irreali che si presentano ai nostri spettacoli, che qualcuno può definire "arte", ma che per noi sono solo parte di un processo di restituzione sociale».

Pauline considera le sue performing machines ( fig. 25) come sculture frankensteiniane, costruzioni degli elementi del carattere, che ogni macchina riflette in base alle persone che l'hanno messa assieme, allo stesso modo, vengono progettate sull'idea del loro carattere.

Ad esempio, sul "grande braccio" Pauline dice: «... avevo visto quelle scavatrici e le avevo trovate veramente stupide perciò avrebbero dovuto essere vive. Ci va sistemato su qualcosa che gli impedisca di scavare, ad esempio una mano che gli dia la possibilità di raccogliere oggetti e senza venir guidato da qualcuno. Ha bisogno di un computer, sensori elettronici sul posto. Era così che me lo vedevo, ed era veramente antropomorfico, pur non essendo molto diverso nella sostanza da una scavatrice, il grande braccio aveva quel piccolo tocco in più che lo faceva sembrare una creatura che serviva a uno scopo veramente significativo in molti show. Ho fornito la macchina di una personalità che è, per questa, il modo di avvicinarsi all'intelligenza: una personalità reale che la renda idiosincratica. Prendiamo gli elementi e li concentriamo insieme, comprimendoli al massimo rispetto a come sarebbero normalmente... componenti, idee, possibilità che conducono alla situazione o sorpresa».

Robot realizzati artigianalmente, lanciafiamme, cannoni sonici, carcasse di animali, mostri meccanici pilotati attraverso Internet; un manichino di mezzo soldato che si muove arrancando penosamente sulle braccia; un'automobile in fiamme che viene sollevata e lasciata ricadere da una gru; una gigantesca mano mossa da un pistone con otto tonnellate di potenza; go-kart spinti da propulsori di jet: questi sono gli ingredienti degli spettacoli. Da vent'anni questo gruppo di ricerca americano realizza macchine semoventi che attraversano grandi spazi, generando fortissimi rumori e fumi pestilenziali. A volte, all'interno delle macchine si trovano articolazioni di animali, grottescamente mosse da ingranaggi recuperati dagli scarti industriali. Scene da laboratorio di Frankenstein. I veicoli si scontrano, auto e camion vengono sbudellati da gru e dispositivi per la demolizione. La location ricorda più il cupo futuro di Mad Max che un palcoscenico tradizionale, e lo spettacolo must go on. Gli esseri umani partecipano solo come operatori a distanza o spettatori. Le esibizioni (fig. 26) - perchè di performance si tratta - hanno titoli tutt'altro che rassicuranti: "Ulteriori esplorazioni di esperimenti letali", "Previsione calcolata dell'ultima distruzione", "Disintegrazione strutturale spontanea". Sembrano davvero le etichette di terribili pozioni nascoste nello scantinato di un castello svizzero.

Come il nome del gruppo (tradotto, "Laboratori di ricerca di sopravvivenza"), anche gli spettacoli degli S.R.L. richiamano una continua ricerca sperimentale, nel tentativo di provocare sensazioni e reazioni sempre più forti e disorientanti, riportando a nudo la vera struttura degli oggetti, che sempre più spesso ci viene nascosta.

Così va in scena la resurrezione e distruzione finale del prodotto tecnologico. Vengono esaltate le macchine in quanto ri-creazione umana, una sorta di ripresa del controllo sulla tecnologia che ci avvolge. Tutto quello che viene costruito può servire per altri scopi: spetta solo all'artista trovarli, attraverso le proprie conoscenze scientifiche e meccaniche. L'invito continuo è allora quello di trasformarsi da spettatore passivo in operatore attivo, di analizzare, manipolare e ricreare il prodotto industriale. Anche per questo esortano il pubblico a partecipare ai loro show, per esempio mettendo a disposizione mirini computerizzati per sparare micidiali proiettili con cannoni telecomandati. Come la filosofia cyberpunk insegna, ognuno di noi può intervenire sulla realtà, anche riscoprendo funzioni e possibilità nascoste negli oggetti di tutti i giorni56.

56 www.gianky.com/cyborgspace/srl.html; si veda inoltre www.srl.org, sito ufficiale di S.R.L.

Amorfic Robot Works

Gli Amorfic Robot Works57 si sono formati nel 1992 e sono un gruppo di artisti e tecnici newyorkesi che lavorano insieme per generare installazioni robotiche. Il direttore artistico è Chico MacMurtrie58, che così descrive il suo operare: «Il mio lavoro è un'attività di continua scoperta nel campo del movimento e del suono. Ogni macchina è ispirata, o influenzata, sia dalla società moderna, sia dalle sperimentazioni fisiche del gruppo. L'insieme di questi input si trasforma in idee e opere».

Gli ARW hanno prodotto più di 100 lavori interattivi e macchine umane (cfr. fig. 27, Skelli Robot) e non, comandate da computer, come Growing Raining Tree, sorta di salice piangente interattivo, che si trova da due anni al Lois & Richard Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati, in Ohio, che ha commissionato nel 2003 l'albero cinetico che rimarrà nel museo fino al 2006. L'albero si muove attraverso un meccanismo robotico che permette di interagire con gli spettatori . Più ospiti si trovano sotto i sessanta rami di stagno dell'albero, più l'albero comincia a muoversi.

Un'altra scultura interattiva è Urge, collocata ai Giardini Yerba Buena di San Francisco, in California, e fa parte di una serie di sculture similari che saranno disposte dagli ARW in tutto il mondo. In questa scultura (fig. 28), sorta

57 Si veda il sito ufficiale degli ARW: www.amorphicrobotworks.org 58 Chico MacMurtrie è nato a New Messico nel 1961. Ha ricevuto quattro National Endowment for the Arts come artista interdisciplinare. Nel 1990 ha vinto il San Francisco Bay Guardian Goldie Award. di scheletro antropomorfo posto sopra una gigantesca sfera, l'interattività, dunque il movimento del robot, viene innescata dallo spettatore,che con il suo peso, sedendosi di fronte alla scultura la renderà animata.

Mutoid Waste Company Non molto distante dai S.R.L. è anche l'esperienza dei Mutoid Waste Company, una banda di giovani inglesi che, ritiratisi della scena punk, da anni vivono vicino a Santarcangelo di Romagna in un accampamento realizzato presso uno sfasciacarrozze con i loro camion e le loro macchine "mostruose" realizzate con rottami d'ogni sorta (fig. 29). Nelle loro performance picchiano su megatamburi amplificati all'inverosimile in un evento Eurokarkas che coronano spesso lunghe notti techno- trance. Per i Mutoid un bus può esser dipinto o decorato, in modo che esso stesso diventi un pezzo d'arte e se un bus non può essere lavorato se ne possono ricavare dei pezzi che possono essere utilizzati per altre macchine.

«Noi viviamo per questa idea della mutazione dei nostri veicoli e della nostra arte, l'idea è di rappresentare sempre qualcosa di originale e di lasciarsi trasformare... Di questi tempi ognuno ha la sua mutazione in se stesso ed essa corrisponderà ai suoi bisogni e al suo lavoro. Gli impiegati vedranno spuntare sulle loro teste matite gigantesche, e i reporter avranno delle escrescenze a

forma di block-notes e di tasti martellanti di macchine da scrivere», afferma il Reverend Mutant Preacher King Mutoid Obi alias Joe Rush , a capo del clan mutante.

3.7.2. Stelarc: equilibrio tra performance e corpo mutante

Una vera e propria mutazione corporea, simile alla lisergica visione dei Mutoid è quella di Stelarc, performer radicale di origine cipriota, ma emigrato in Australia da tempo. Stelarc, realizza performance radicali ai limiti della Body art più estrema, come quella che lo ha visto venticinque volte, tra il 1976 e il 1988, sospendersi nel vuoto delle strade di New York o Melbourne appeso a degli uncini infilati nella pelle.

«Oggi le tecnologie sono soprattutto il supporto fondamentale delle nostre immagini piuttosto che dei nostri corpi fisici. Il corpo non può più soddisfare le aspettative generate dalle immagini che di esso abbiamo creato. Nell'ambito delle immagini mutanti e moltiplicanti l'incapacità del corpo è evidente. Le immagini orbitanti anestetizzano il corpo...»59.

Ha utilizzato strumenti medici, protesici, sistemi di realtà virtuale e Internet per esplorare, estendere e amplificare i parametri operativi del corpo; ha filmato all'incirca due metri del proprio spazio fisico interno (polmoni, stomaco, colon) con una scultura-sonda. Lavori come Ping Body e Parasite lo hanno visto alla prova le nozioni di sistemi

59 P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.61 nervosi esterni, estesi e virtuali collegando il corpo dell'artista a Internet.

La sua 'opera' più famosa è the third hand (1981, fig. 30), una protesi robotica che si applica al corpo, mossa da un sofisticato sistema di interfacce in grado di coordinarla con il movimento delle mani, quelle reali.

E' applicata al braccio destro del corpo, come elemento aggiuntivo, anzichè come sostituzione prostetica, ed è in grado di muoversi indipendentemente. Essa ha un meccanismo per aprire e chiudere le dita, può ruotare il polso di 290º e possiede un sistema di feedback tattile per un rudimentale "senso del tatto".

Come spiega Stelarc, «mentre il corpo attiva questo terzo manipolatore, il "vero" braccio sinistro è comandato a distanza, spinto in azione da due stimolatori muscolari, su cui sono posizionati elettrodi. La dinamica dei movimenti del braccio ritma la performance e i segnali dello stimolatore sono utilizzati come sorgenti sonore, così come i rumori dei meccanismi motorizzati della Terza Mano.

Il corpo si muove all'interno di una installazione luminosa strutturata e interattiva che brilla reagendo alle scariche elettriche. La performance è coreografia di movimenti, talvolta controllati, talvolta involontari, in cui si combinano insieme controllo fisico e modulazione elettronica di funzioni umane enfatizzate grazie alla macchina»60.

Dietro il suo slogan "enhancing the body" c'è qualcosa che è forse opportuno chiamare "necessità evolutiva": innalzare il proprio corpo, spostando in avanti i termini della sua funzionalità, fisica e mentale.

La sua elaborazione teorica à complessa e radicale almeno quanto quella fisica. E' di una lucidità sorprendente la sua teoria sul corpo obsoleto.

«C'è una tendenza nella nostra cultura, in un senso ampio nella civiltà occidentale, a rifiutare il corpo in favore di un'idea dello spirito o dell'anima. [...] Si può immaginare un tipo di vita molto ascetico che sorge da questo, dove il corpo viene ignorato. Questo è qualcosa attorno a cui ho lavorato nei miei libri, dove la gente odia che a volte gli venga ricordato che ha un corpo, trovandolo molto lento e noioso. Ma non l'ho presentato mai come uno stato desiderabile, bensì come un qualcosa di patologico che scaturiva da questa tecnologia»61

E' superamento dell'antinomia tra corpo e macchina, ma è anche carnalità, avidità bulimica per una tecnica che regala a un corpo la possibilità di uscire dai confini naturali. In questo senso, Stelarc sembra interessato più a un progetto di "biologizzazione" della macchina, affine a quello dei Survival Research Laboratories , piuttosto che

60 Ibidem 61 D. JOSEFFSON , Intervista a William Gibson, "Report", 23 Novembre 1994 a al concetto di opera d'arte, come Orlan, famosa per le sue chirurgie plastiche reificate, messe in scena.

Nel saggio Da strategie psicologiche a cyberstrategie: prostetica, robotica ed esistenza remota62, Stelarc traccia venti "linee guida" attraverso cui spiega al lettore la sua concezione che non certo rimane relegata al solo campo artistico.

Etichetta l'informazione come «protesi che sostiene il corpo obsoleto»63, la cui raccolta è inadeguato rito senza senso, processo mortalmente distruttivo che impedisce l'attualizzazione di un'azione filogenetica fisica. L'informazione è radiazione che ha fatto perdere ogni potere al simbolo. Per questo, secondo Stealc, il corpo deve esplodere dal corpo, inteso come suo contenitore biologico.

In questo contemporaneità sovraccarica di informazioni, che inebetisce i corpi e stordisce le menti, dove non c'è una libertà di idee, può esistere una libertà di forma. Dice Stelarc: «La libertà fondamentale degli individui è determinare il destino del proprio DNA». In questo modo i mutamenti biologici diventano una scelta, non un caso.

E qui entrano in scena le tecnologie, come quelle mediche, che controllano, modificano e mappano il corpo, proprio come Derrick de Kerckhove sostiene nel suo

62 P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.61 e ss., op. cit. 63 Ibidem

saggio, Remapping sensoriale nella realtà virtuale e nelle altre tecnologie ciberattive64.

Ma se per il performer australiano il corpo è obsoleto, per de Kerckhove la concezione cambia, dice infatti: «[...] Oggi l'uomo non è più misura di tutte le cose... [...] La pelle non è più un limite esclusivo, ma un'interfaccia di comunicazione con la macchina e sistemi sensoriali tecnici,come il satellite, che è un sistema di estensione sensoriale tecnicamente esistente»65.

Il corpo come concezione rinascimentale, totale e centrale, è finito. Il corpo contemporaneo è bionico, misto di tecnologia e biologia. E così, nel sincronico66 Stelarc, il corpo può essere totalmente sostituito, il quale afferma: «Considerare obsoleto il corpo, nella forma e nella funzione, potrebbe sembrare il colmo della bestialità tecnologica. [...] Non si tratta più di perpetuare la specie umana mediante la riproduzione, ma di perfezionare l'individuo tramite la riprogettazione. Ciò che è significativo non è più il rapporto maschio-femmina, ma l'interfaccia uomo-macchina»67. Il corpo è obsoleto, e manca di un progetto modulare.

64 Ibidem, pag. 45 e ss.

65 Ibidem

66 De Kerckhove nel suo saggio parla di sincronicità dell'artista intendendo colui che nel suo fare artistico esplora le nuove tecnologie. Si veda P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.58 e ss., op. cit.

67 veda P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.64 e ss., op. cit.

E' ancora de Kerckhove a fare da controcanto: «Io non la penso in questo modo, credo che l'esplorazione del corpo sia fondamentale perchè è necessario mutare la nostra comprensione della relazione tra corpo e ambiente. Oggi questa relazione è mediatizzata dalla tecnologia e estesa alla superficie del mondo e il punto di vista viene sostituito con il "point d'être".[...] Coloro che sostengono l'inutilità del corpo si sbagliano, perchè il corpo diventa sempre più importante come prima interfaccia con il mondo»68.

Fortemente convinto che l'indidualità non possa "sradicarsi", diversamente da Focault, o lo stesso McLuhan, che ha detto che l'individualità sarà completamente cancellata dall'elettronica, de Kerchove sostiene che: l'individualità debba essere rinforzata da una psicologia più estensiva, che includa anche la distanza dalle nostre tecnologie. Allora «[...] sarebbe importante avere una doppia identità, un'identità globale, come conseguenza della globalizzazione del pensiero e della realtà e , simultaneamente, dell'organizzazione di un pensiero iperlocale»69.

Ma Stelarc, come abbiamo detto, nel suo progetto di riprogettazione e ridefinizione di ciò che è umano, vede la psicologia come strumento di osservazione sociale, da superarsi attraverso una post-evoluzione, abbandonando la forma e le funzioni corporali.

68 Ibidem 69 Ibidem Il corpo "migliore" allora sarà quello svuotato, come cavità senza organi, anestetizzato, o meglio un cybercorpo, non più soggetto, ma oggetto: irto di elettrodi e di antenne che amplificano le sue capacità e proiettano la sua presenza in luoghi remoti e virtuali.

Non è più tempo di una tecnologia a portata dell'uomo, nè di una meccanizzazione umana. E' tempo di rendere compatibile l'uomo alle macchine, innestando al corpo esoscheletri per potenziarlo, utilizzando strutture robotiche come ricettacoli per trasformarlo.

Una stessa penetrante interazione uomo-macchina è quella proposta da Massimo Contrasto, attraverso l’installazione "Uomo-macchina" (la seconda ideata da Contrasto - la prima, del 1992, fu "Reale scelta Virtuale"), che utilizza il MANDALA SYSTEM Qui l’immaginazione progettuale degli individui entra nei circuiti della macchina, che diviene scenario in cui immettere la creatività umana e l’agire individual. L’opera-macchina si fa quindi zona attiva di sperimentazione corporea e la storia dell’arte acquista vita al di fuori della chiusa mercificazione oggettuale, ma diventa anch’essa territorio di ibridazione dialogica.

3.8 Anni Novanta: nuove sperimentazioni, tra autonomia del corpo e telepresenza

Siamo arrivati agli anni Novanta. Nel 1993 il gruppo austriaco X-Space formato da Gerfried Stocker e Horst Hörtner, isieme a Arnold Fuchs, Anton Maierhofer, Wolfgang Reinisch e Jutta Schmiederer, crearono l'installazione robotica Winke Winke (fig. 31), mostra per la prima volta sul tetto dell'unico grattacielo di Graz. «This project made reference to one of the earliest forms of telecommunications network: the optical telegraph (1794), precursor to the electric telegraph». In una galleria o spazio pubblico, il partecipante si è avvicina ad un computer collegato ad un robot disposto sul tetto della costruzione. Ogni messaggio scritto sul terminale è tradotto dal robot in segni del sistema marino internazionale: il robot riproduce questi segni spostando le bandierine fissate sulle relative braccia. Sul tetto, in un'altra posizione, ma in linea retta con il robot, una video camera ha registrato i segni fatti da Winke Winke. Le immagini sono state inserite in un computer, che ha indicato la posizione delle bandierine e converte i segni nuovamente in parole. La telecomunicazione digitale prende il via. Bye bye.

Due anni dopo, Nina Sobell e Emily Hartzell creano Virtualice, nel 1995, in collaborazione con gli assistenti tecnici al centro universitario di New York New for Advanced Technology. Alice è senza fili, mobile, e il suo occhio è una camera telerobotica che, connessa, trasmette sul web dove i partecipanti ne controllano la direzione. La "virtù" di Alice è quella di ruotare all'interno della galleria, ma in base ai comandi dati da navigatori virtuali.

Le sue memorie, l'archivio di che cosa è stato visto in un giorno, rappresentano una soggettività negoziata dai partecipanti su tre spazi: interno, esterno e Webspace. VirtuAlice è un veicolo per un'esperienza comune, per cui i partecipanti collaborano a trasferire quell'esperienza nel significato, in storia. Utilizzando la tecnologia di sorveglianza, l'opera solleva le questioni sulla soggettività ed il controllo. VirtuAlice è un'espressione del processo che è il mondo che viviamo fisicamente appare libero, ma che tuttavia, a distanza, può essere controllato?

Se da una parte troviamo la telepresence dall'altra troviamo gli artisti che ancora sperimentano l' autonomia del corpo del robot nello spazio. Penny del Simon, per esempio, il suo robot, Petit Mal. Il titolo di questa opera è un termine medico che si riferisce ad una amnesia, perdita momentanea della coscienza. Progettato nel 1989, Petit Mal è stato costruito nel 1993 (fig. 32). Come robot- autonoma esplora lo spazio e interagendo con gli spettatori. Il relativo comportamento non è nè antropomorfo nè zoomorfo, ma è unico alla relativa natura elettronica. Ha tre sensori ultrasuoni e tre sensori di corporei che permettono di percepire la presenza degli esseri umani vicini.. Petit Mal è stato destinato per essere leggero, durevole e meccanicamente efficiente. All'apparenza 'vestito' con una tovaglia stampata Petit Mal è realizzato con due ruote di bicicletta che bicicletta che sostengono due pendoli sospesi su un singolo asse. Il pendolo della parte superiore sorregge un processore, i sensori ed il gruppo di alimentazione di logica. Il pendolo della parte inferiore alloggia i motori ed il gruppo di alimentazione del motore. Petit Mal funziona autonomamente in un ambiente pubblico per molte ore prima che il rimontaggio della batteria sia necessario.

L'apporto dell'arte dei nuovi media nel processo di mutazione antropologica in atto, può dunque essere visto come la prefigurazione di più complesse potenzialità del soggetto, che ci sollecitano ad assumere un atteggiamento pertinentemente critico in sintonia con la pratica comunicativa di quei soggetti e di quelle comunità che lottano contro l'uso strumentale delle tecnologie informazionali da parte dei poteri economico-politici.

Può essere anche metafora del rapporto tra noi e gli oggetti, come per Terrain 01 (1993, fig. 33) , di Ulriche Gabriel, che realizza un ambiente interattivo. Seduto in un angolo della stanza, ad occhi chiusi, con una fascia dotata di sensori attorno alla fronte, uno spettatore fa muovere, con la sola energia del cervello, dei robot, piccoli scarafaggi meccanici, sul piano circolare di un’arena. Indipendentemente dal metodo usato (i motori sono attivati da cellule fotovoltaiche, che reagiscono alle variazioni, determinate dalle onde cerebrali, di un campo luminoso sovrastante), il significato di quest'opera, presentata dall'artista con l'apporto dell'Institut für Neue Medium di Francoforte, ad Ars Electronica di Linz, in Austria, va oltre l'attrazione fantascientifica di un esperimento di telecinesi: diventa una metafora del rapporto energetico e mentale che ci lega agli oggetti e alle cose del mondo, un rapporto che deve essere recuperato soprattutto in questo momento epocale, nel quale accettiamo con ingenuo ottimismo il mutamento radicale imposto dalla dimensione simulativa dell'elettronica avanzata, e di cui pochi ancora sanno valutare l'entità e le conseguenze. Quest'opera ci ricorda non solo che nulla si sottrae al nostro pensiero, ma che ogni cosa è in qualche modo modificata dal suo essere stata, prima o poi, pensata. Di fronte all'avanzata inesorabile di una intelligenza parallela alla nostra, la cosiddetta Intelligenza Artificiale, e che, secondo alcuni studiosi, avrebbe già preso in qualche maniera il sopravvento (l'uomo potrebbe essere, in quest’accezione culturale, considerato come un anello di collegamento tra l'era animale e quella tecnologica), l'indagare l'enorme e in parte ignota potenza del nostro cervello significa riaffermare in qualche modo ancora l'indispensabilità dell'uomo nel processo globale della mutazione e la sua centralità nell'elaborazione di una coscienza di questi processi irreversibili di trasformazione epocale.

Noi tutti siamo parte del mondo; siamo una delle parti del mondo. Questo pensiero della complessità si coniuga con la rivelazione dell'interattività globale di tutte le parti che costituiscono la fluida ed evolutiva composizione del reale. Una dinamica incessante di interrelazioni e contaminazioni tra l'uomo e l'ambiente modifica contemporaneamente la realtà e il modo di pensare tale realtà.

Dagli anni Sessanta ai Novanta, nel corso di questa che potremmo definire storia dell'arte robotica, è chiaro come nello stesso momento in cui parliamo di automatismo, e di installazioni, è impossibile non parlare anche di cyber- corpo, realtà virtuale, telepresenza, teatro, performance. Il sincretismo ibrido è comune denominatore in questa sorta di limbo tecnologico, in cui i termini e le etichette spesso fniscono più con l'essere bandite che accettate. Il lavoro allora di coloro che raccolgono le radici dei pionieri, gli artisti "attuali", sarà quello di uno sviluppo consapevole tra automatismo, cybernetica e teleazione. Rimane a Margot Apostolos, Ted Krueger, Ken Rinaldo, Chico MacMurtrie, Marcel.lì Antúnez Roca, Martin Spanjaard, Ulrike Gabriel, Louis-Philippe Demers e Vorn, e tanti altri la libertà di promuovere l'ibrido tecnologico, la 'diversità robot', nella comprensione di questa struttura triangolare, essenziale per permetterci di continuare ad esplorare la storia, la teoria e la creazione dell'arte robotica.

Capitolo 4 Rivoluzione Robotika

Si legge in un comunicato del 13 agosto 1999, apparso su www.lutherblisset.net: «Il 10 e l'11 agosto, l'Istituto di Autonomia Applicata (I.A.A.) ha condotto con successo, in diversi quartieri della città di Filadelfia, una serie di performance, come parte della loro ultima iniziativa di ricerca. Questo progetto si serve di Graffiti Writer, un robot telecomandato sviluppato dallo I.A.A., capace di dipingere con bombolette spray messaggi sull'asfalto alla velocità di 10 - 15 miglia all'ora. Rogue's Gallery trasforma lo spazio pubblico in luogo critico per la libertà di parola e il dialogo pubblico, e allo stesso tempo, trasforma i cittadini comuni in piccoli criminali. Sotto l'aspetto di una performance, gli operai dello I.A.A. hanno reso Graffiti Writer disponibile ai membri del pubblico, i quali hanno usato il robot per scrivere messaggi personali sull'asfalto. Gli agenti dello I.A.A. hanno agito solo come aiutanti - sia il contenuto dei messaggi che la vera e propria operazione di Graffiti Writer è stata lasciata nelle mani dei "civili".

"Rendendo Graffiti Writer pubblicamente disponibile - ha affermato Kay Saracera un socio dello I.A.A. - raggiungiamo diversi scopi. Da un lato, stiamo incoraggiando le persone ad essere espressive e a condividere i loro pensieri con le loro comunità. Secondariamente, stiamo esplorando la possibilità di usare le nuove tecnologie per creare spettacoli pubblici che possano alterare la concezione della gente del mondo che la circonda. Se fossimo andati in un parco e avessimo dato alle persone delle bombolette spray, nessuno avrebbe scritto niente perché siamo sempre stati condizionati a pensare che i graffiti siano una cosa distruttiva - per non dire illegale. Comunque, usando un robot, dipingere sull'asfalto sembra immediatamente un comportamento accettabile. In un certo senso, stiamo usando il robot per creare, almeno temporaneamente, uno spazio per l'azione e l'espressione libere nel centro della città, e in pieno giorno".

"Stiamo anche facendo una dichiarazione circa la libertà di espressione, e lo spazio pubblico - ha affermato John Henry la testa calda dello I.A.A. -. Lo spazio pubblico sta rapidamente scomparendo in questa città, rimpiazzato da centri commerciali, parchi attrezzati, e comunità controllate (...). Ma la libertà di parola non ha senso senza la possibilità di essere ascoltati. In altre parole, la libertà di espressione richiede l'opportunità di poterci vedere in faccia ogni tanto - non può avvenire con un'interruzione. La libertà di parola è fondamentalmente un fenomeno del mondo reale, e se non pretendiamo il diritto di dire quello che vogliamo, dove vogliamo, i discorsi pubblici diventeranno poco più di una masturbazione pubblica". L'Istituto di Autonomia Applicata è un'organizzazione indipendente di ricerca sull'arte e la tecnologia, impegnato nello studio dell'autodeterminazione individuale e collettiva, per lo sviluppo di tecnologie che realizzino questi scopi. Altre performance della Rogue's Gallery sono previste per i prossimi mesi in diversi posti sconosciuti».

Così finiva il comunicato, intitolato "Insurrezione Robotica per le strade di Filadelfia". L'interesse del documento sta nell'utilizzo di quella che fino a poco fa abbiamo considerato una tecnologia sperimentale, di nicchia, qui viene utilizzata come mezzo di sovversione- dimostrazione-artistica per le strade della metropoli americana.

4.1 Congegni meccanici: Demers e Vorn

Non artisti per le strade, ma ballerini della scena post- umana: ecco i robot danzanti, contrariamente alla loro natura. La loro natura sarebbe la mera funzionalità, ma Louis Philippe Demers infligge loro la fatica del funzionamento privo di funzionalità: li costringe a danzare, a un movimento senza funzione e senza risultato.

I congegni meccanici ideati dai due canadesi Louis Philippe Demers70 e Bill Vorn71, l'uno artista dei media, l'altro compositore, trasformano il movimento, il suono, i riflessi cromatici in un'esperienza sospesa tra l'arte e lo spettacolo. Recentemente al Mart72 hanno 'performato' e presentato le due ambientazioni 'artificiali', Le Procès e L'Assemblée (fig. 34). I robot dei due artisti non hanno fattezze umane, si avvicinano più alle macchine industriali, e il loro comportamento non tende a riprodurre quello dell'uomo. Essi proseguono nella loro capacità di

70 Louis-Philippe Demers è professore alla scuola superiore di design di Karlsruhe e lavora a stretto contatto con il centro per le tecnologie multimediali. Di formazione artistica, ha studiato robotica e computer science alla McGill University di Montreal. Ha esposto le sue opere in Europa, America e Giappone, cercando sempre nuove espressioni artistiche che coniugassero le tecnologie con le forme sceniche più tradizionali.

71 Bill Vorn ha conseguito un dottorato di ricerca in arte e comunicazione multimediale all’Università del Quebec a Montreal. Collabora da molti anni con Louis-Philippe Demers ed insieme hanno vinto numerosi premi in esposizioni artistiche, come il prestigioso “Premio di arte elettronica” all’Austrian Broadcasting di Linz. Attualmente Bill Vorn è professore alla Concordia University di Montreal e direttore del dipartimento di robotica Hexagram, il nuovo istituto di arti e media dell’Università di Montreal. 72 Mart, Museo d'arte di Rovereto ( TN), dove Demers e Vorn hanno presentato L'assemble e Le Process, dal 7 al 9 settembre 2004 coordinazione, nella loro meccanicità a rispondere agli stimoli come programmati. Eppure queste creature ululanti e rumorose sembrano subìre la loro condizione di perpetuo movimento, sembrano costretti a sostenere la danza, una danza terrificante che, citando Arnd Wesemann, «nega la morte ai morti». In Le Procès il pubblico si trova ai lati della scena in cui si aggirano robot in azione, posizionati sopra e sotto dei ponteggi e tutti intorno. In modo simbolico la performance descrive il processo - il titolo è kafkiano - alle macchine da parte dell'uomo, una sorta di tribunale dove le varie identità si mescolano: giudici e giudicati, vittime e carnefici si incarnano in creature metalliche nutrite delle nostre concezioni del mondo. Una macchina attaccata al muro è scossa da movimenti spasmodici. Si muove indipendente innescata da comandi di cui rimangono sconosciuti agli osservatori la provenienza, il senso e il fine. Sopra un ponteggio si muovono invece due robot. Due grosse macchine con artigli e dita avanzano e si arrampicano da ogni parte, anche su altre macchine. Con Demers fallisce qualsiasi tentativo di attribuire agli attori-robot una intenzionalità e soprattutto il comportamento delle macchine rimane per lo spettatore indecifrabile, perché non assimilabile a quello umano. Ogni macchina ha un proprio compito da eseguire, proprie capacità cognitive da assecondare nella più pura autoreferenzialità, mentre il pubblico è costretto a prendere posizione osservando le proprie emozioni di fronte a queste gioco meccanico. L'Assemblée invece, mette in scena un confronto tra l'uomo e un raggruppamento di macchine, invertendo la prospettiva del luogo di raduno il cui archetipo è la corte, l'assemblea politica, il circo... I robot-spettatori (48 per l'esattezza) stanno sugli spalti muniti di microfoni e riflettori, mentre giù nell'arena, camminano gli umani, gli attori. La scena rimane completamente al buio fino a quando i robot cominciano il loro spettacolo di luci e suoni, una sorta di coreografia di gruppo di cui l'uomo percepisce solo il disturbo, il rumore, la mancanza di relazione e di logica da parte delle macchine. L'atmosfera qui è cinematografica, alla Blade Runner: «ribaltata la visione antropocentrica, nell'Assemblea si trovano gli ultimi uomini che hanno cercato di dare ordine al mondo e le prime macchine che hanno fatto trionfare il loro proprio mondo»73. Allora qui, come in una delle più recenti opere Red Light (2005), la scena robotica si interseca con l'uomo, macchina e umano tendono a confondersi, l'ibrido è compiuto. In Huis Clos74 invece lo spettatore può perdersi nella foresta dei congegni meccanici che trasformano il movimento, il suono, i riflessi cromatici in un’esperienza sospesa tra l’arte e lo spettacolo. Si tratta di un bosco meccanico che il pubblico può liberamente visitare: la sorpresa è grande quando i rami degli alberi, comandati da sensori nascosti, si muovono al nostro passaggio. La

73 www.cercacultura.org 74 Le due opere, Huis Close e Rapebot, sono state presentate recentemente anche in Italia al Museo Tridentino di Scienze Naturali per la rassegna "Robot, arte, scienza,futuro . Cafè scientifici, cineforum, teatro, conferenze e molti altri eventi alla scoperta dei robot", svoltasi a Trento il 9-12 settembre e 14-17 ottobre 2004 foresta prende vita, come un grande organismo robotico che simula la natura. Ropebot invece rappresenta una moderna rielaborazione del mito di Sisifo: un automa senza alcuna utilità che sale e scende instancabilmente una struttura di sostegno. Ropebot lavora in condizioni ambientali avverse, che rendono più impegnativa la sua missione: arrivare sulla sommità di un eterno percorso.

4.1.2 Il LifeGrabber di Luigi Pagliarini

LifeGrabber75 è un'opera d'arte elettronica creata dall’artista Luigi Pagliarini nel 2002 (fig. 35). Consiste di un'installazione multimediale interattiva, che materializza la continua ricerca dell'autore per nuove linguaggi espressivi basati su tecniche d'intelligenza e vita artificiale. LifeGrabber, tecnicamente, è composta da un PC, una WebCam collocata su di un braccio robotico, l' ArmCam , un microfono, anch'esso posizionato su un braccio robotica, e un software d'AI e d'ALife, Cybertyche coordina tutto ciò in tempo reale. Come spiega lo stesso artista: «Il meccanismo in cui LifeGrabber opera è semplice. Il ‘cuore’ dell'opera è Cyberty - che deriva da un precedente studio dell'autore, CyberInfinity76 - un software basato su tecniche di AI in grado di analizzare, in tempo reale, dati provenienti da entrambe scheda sonora e video, parallelamente. Relativamente all'audio, Cyberty è in grado di usare sia dati provenienti da un file sonoro, come ad esempio un file wav77, che dati provenienti da un microfono collegato con il computer. Nello stesso tempo, il software può incamerare immagini provenienti da una WebCam. In particolare, nell'installazione tipica di LifeGrabber vengono usate due braccia di robot e mentre

75 www.artificialia.com/luigi

76 www.artificialia.com/CyberInfinity

77 formato file audio tra i più diffusi sulla mano della prima viene collocata la WebCam, sulla mano della seconda viene collocato un microfono. Tali braccia meccaniche possono essere mosse sia dall'utente che da Cyberty stesso. Una volta che l'installazione è allestita, viene lanciato il software che inizia a raccogliere suoni dal mondo, attraverso il microfono oppure da una sequenza audio registrata, e a catturare immagini dalla realtà circostante, attraverso la WebCam. Tutto ciò accade sincronicamente. Come output, Cyberty produce immagini, che possono essere sia disegnate sullo schermo di un computer che proiettate su un muro.Allo stesso modo il programma produrrà suoni»78.

Analizziamo la produzione delle immagini. Le immagini elaborate da Cyberty dipendono da ciò che il computer ‘vede’ e ‘sente’. Alla base del software c'è una popolazione di agenti artificiali, concepiti secondo le più recenti tecniche di Vita Artificiale, che si muovono sullo schermo. Ogni agente appare come un rettangolo con dimensioni e movimento dati. In particolare, sia le dimensioni che il movimento sono influenzati, in tempo reale, dalle informazioni provenienti dalla scheda sonora. Allo stesso modo, ogni agente, oltre ad un proprio colore, geneticamente determinato, ha un filtro che usa per interpolare le informazioni provenienti dalla WebCam. Analizziamo la produzione dei suoni. Ogni agente si muove su di un ottava sonora, geneticamente determinata,

78 www.artificialia.com/luigi . Copyright: Pagliarini 2003 e produce una nota determinata dal livello di saturazione proprio delle immagini percepite, nel tempo. In altre parole, chiarisce l’artista «ciascun agente produrrà una nota, un salto tonale, dipendente dalla storia dell'immagine ‘vista’. Riassumendo, in ogni ciclo dell'algoritmo, una volta raccolte le informazioni dall'apparato audio-video, gli agenti si modificano in accordo con esse e, fatto ciò, vengono ‘disegnati’ e ‘suonati’. In tal modo, in ogni istante, l'immagine presente sullo schermo è nel contempo influenzata dal presente e dal passato di ciò che accade intorno all'installazione/robot. Inoltre, nel caso di sequenze audio pre-registrate, dove l'algoritmo è in grado di anticipare la forma dell'onda sonora, LifeGrabber è in grado di anticipare anche il ‘futuro. I suoni prodotti dalla macchina, subiscono la stessa sorte. All'interno di Cyberty si nasconde anche un'altro tipo di meccanismo. Agli agenti, che vivono e si muovono all'interno della schermata-mondo, capita a volte di incontrarsi, cioè di entrare in collisione. Quando ciò accade, quest'ultimi aprono una ‘discussione’ che riguarda sia il loro colore che le loro dimensioni e la loro ottava di appartenenza. Questo meccanismo "sociale assicura che il suono prodotto non sia mai troppo monotono e che l'immagine risultante non divenga mai, nel corso delle reiterazioni, troppo satura e monocromatica. Al contempo, la socialità garantisce una sorta di equilibrio audio-visivo. La configurazione di LifeGrabber può variare molto e ben si adatta a varie circostanze. La configurazione preferita dall'autore è quella titolata "Meditation" dove la WebCam viene diretta verso la proiezione risultante dalla sua stessa visione, ingaggiando il software in un ciclo infinito tra ciò che vede e ciò che proietta. Questo concetto di macchina che si ascolta e osserva è, a nostro avviso, il più interessante e futuristico. Questa sorta di corto circuito realizzato in LifeGrabber, in un qualche modo, concretizza un vecchio sogno dell'uomo di creare macchine ‘autocoscienti’, sviluppato concepito con i criteri indicati da Nam June Paik79 in "Buddha TV"80 muove nella medesima direzione, compiendo un passo in avanti. Artisticamente, LifeGrabber, si svincola quasi totalmente dall'autore per lasciare nelle mani dell'ambiente che lo circonda, esseri umani inclusi, il cuore dell'esperienza estetica. L'autore al momento, forte del progresso tecnologico in termini incremento della velocità di computazione a basso

79 Nam June Paik è l'artista statunitense di origine coreana, nato a Seul nel 1932, che ha usato per primo la televisione per creare un'innovativa forma di espressione chiamata videoarte. Studiò a Tokyo e in Germania, dove fu allievo di Karlheinz Stockhausen. In seguito lavorò in un audiocentro di musica elettronica e nel 1961 fu tra i fondatori di Fluxus. Negli anni ‘60 fu autore di celebri performance: la più famosa fu Etude for Pianoforte del 1960: l'artista suonando Chopin, scoppiava in lacrime, saltava tra il pubblico e copriva di shampoo dopo avergli tagliato la cravatta e se ne andava annunciando che la performance era finita. La sua svolta come videoartisata avvenne nel 1963, quando presentò alla mostra Exposition of music Electronic Television a Wuppertal; un'installazione composta da tredici televisori le cui immagini venivano distorte attraverso l'uso dei magneti. Quest'alterazione è ottenuta da Paik intervenendo tecnicamente sulla struttura interna di ogni singolo televisore . La sua prima video-opera è del 1965, intitolata Café Gogo,, realizzata a New York con una Sony Portapak. Da questo evento parte la sperimentazione videoartistica. Nasce anche la possibilità di fare televisione in prima persona, fuori dai canali governativi. Vd anche cap. 2.1

80 Opera del 1989 di Nam Jume Paik che richiama il Buddismo Zen e omaggia Marcel Duchamp con i suoi readymade, costo, lavora al raffinare l'intero apparato artistico- sperimentale cercando di inserire reti neurali nel meccanismo di analisi della realtà81.

81 Bibliografia di riferimento: A. Spina, L. Pagliarini., Globalization: tra arte scienza e società. In Rivista di Psicologia dell'Arte Anno XII, n.12, pp. 87-92, Roma 2001

L. Pagliarini, C. Locardi, V. Vucic, Toward Alive Art. In Proceedings of Virtual Worlds 2000. Second International Conference, Springer-Verlag Press , 2000

4.2 Marionette di un palcoscenico meccatronico: Antunez Roca

Performance teatrali, verso un più cupo e drammatico rapporto uomo-corpo sono quelle messe in scena dal gruppo catalano La Fura dels Baus, e soprattutto dal suo fondatore Marcel.lì Antunez Roca82, che ne è stato coordinatore artistico, musicista e attore dal 1979 al 1989.

Antúnez Roca è conosciuto in tutto il mondo per le sue performance "mecatroniche" e per le sue installazioni robotiche (fig. 36). Negli anni novanta elabora, attraverso le sue opere, concetti come Bodybots (Robots di controllo corporale), Sistematurgia (Narrazione interattiva con computers) e Dreskeleton (interfaccia corporale in forma di vestito esoscheletrico). L'incorporazione trasgressiva di elementi scientifici e tecnologici, e la loro interpretazione tramite dispositivi unici e particolari, gli permette di creare una rinnovata cosmogonía, cruda e ironica, su argomenti classici come l'affetto, l'identità, l'escatología, o la morte. Il tutto in "salsa" esclusivamente digitale, e in questo si avvicina alle sperimentazioni dei tedeschi di Knowbotic Research , che aprono a riflessioni inedite sulla nuova complessità della scena contemporanea già avviate tra l’altro dal fenomeno definito videoteatro.

«Prima di tutto queste investigazioni mi permettono di sperimentare il rapporto con il pubblico. Operare in

82 www.marceliantunez.com mezzo ad una complessità come quella di Afasia significa avere la possibilità di controllare fisicamente tutto quello che succede durante la performance: luce, suono, imagine multimedia con il video DVD, videocamera in tempo reale, effetti del suono, robots e sequencer MIDI. Ciò permette di esprimere con Afasia una nuova forma ceremoniale, come un rituale che si fonda sull’interattività. Questo impianto risponde all’intento di creare una nuova interfaccia, che fa funzionare l’intero spettacolo a partire dal corpo. L'uomo ha creato in molti secoli tante interfacce che permettono tante libertà d’azione ma allo stesso tempo dei limiti. Per esempio la tastiera del computer è la riproposta della tastiera del pianoforte, non si può certo dire che sia male, ma questo ti obbliga a essere sempre seduto, senza nessuna altra attività che quella di agire con le mani solo sulla tastiera che è appunto un’interfaccia che costringe il nostro corpo a essere sedentario, in questo senso è evidente il limite di questa soluzione. E’ proprio nel tentativo di superare questi limiti che lavoro sulla ricerca di nuove relazioni con le macchine, portandole in scena con un impianto multimediale, come in Afasia»83.

Nella performance descritta dallo stesso Antunez Roca è il suo corpo ad intervenire in modo esteso sulla scena. Con un complesso esoscheletro innervato di sensori Marcel.li esprime una tele-operatività che permette di muovere dei robots musicali e d’interagire con una videoproiezione da computer. Sulla scena campeggiano totemiche delle

83 C. INFANTE, Ulisse alla deriva digitale, "Flashart", febbraio 1999 installazioni d’acciaio di Roland Olbeter, che, attraverso un complesso sistema di servomeccanismi, producono dei suoni: una sorta di grande chitarra, un tamburo e una serie di fiati. Con il movimento del suo corpo pilota le interfacce: agisce a distanza su questi strumenti suonandoli con una gesticolazione precisa. E' uomo- orchestra che si muove e suona, estendendo l’azione del suo corpo non solo nello spazio ma nelle macchine elettroniche che traducono i suoi gesti in informazioni dinamiche, bit che muovono le cose. Il suo corpo con quelle protesi elettromeccaniche muove la macchina, la informa84.

Se allora in Epizoo il suo pseudo-martirio è subìto dagli spettatori, non più solo voyeur ma interattivi attraverso il mouse, in Afasia è il suo corpo ad intervenire in modo esteso, protesico, sulla scena. La "supermarionetta" di Epizoo è diventata inedito one-man-show interattivo. Marionetta per eccellenza, anche un'opera che riassume in sé robotica, interattività, animazione e fantasia artificiale, è Pinocchio Interactive85 di Franz Fischnaller86.

Un'installazione che si presenta come "un'esperienza ludica piena di sorprese, trucchi e magie, della vita di

84 Ibidem 85 Si veda, per un maggiore approfondimento, www.noemalab.org/sections/gallery/fischnaller/3.htm 86 Franz Fischnaller è il fondatore di F.A.B.R.I.CATOR.S., un gruppo interdisciplinare che cerca l'integrazione di tecnologia, comunicazione, architettura, arte e design e affronta le questioni dell'interfaccia uomo- macchina. Per maggiori approfondimenti si veda in appendice.

Pinocchio nella versione del 2000". L'installazione (fig. 37), presentata ad Ars Electronica 2003, comprende un vero burattino di 1,8 metri in legno e metallo che funge da interfaccia tra il visitatore interattivo e un Pinocchio virtuale che si anima su uno schermo di 3x3 metri. Si intesse una relazione dinamica fra questi tre elementi che insieme danno forma alla narrazione della storia di Pinocchio. I visitatori appena entrati si trovano all'interno di uno spazio buio in cui è visibile solo il burattino reale illuminato che dà inizio all'operazione col dire: «Uhmm che razza di situazione è questa non c'è nessuno che voglia relazionarsi a me? Fatevi avanti amici!». Così il visitatore si avvicina a un joystick (come in un videogame) e attiva il burattino che a sua volta tocca lo schermo sul quale comincia a prendere forma il mondo virtuale.

Come spiega lo stesso artista: Uno dei punti importanti di questo progetto è: «Il culmine di creatività raggiunto intorno a un lavoro classico integrando, nel processo, letteratura, robotica, informatica, interfacce digitali e interattività in un'installazione dinamica che è perfino più sorprendente dei suoi aspetti esteriori e della sua interattività. Pinocchio è un'icona universale, creata da un autore fiorentino, nato nella stessa città dove anni più tardi il Pinocchio interattivo torna nuovamente in vita. Pinocchio fu creato come un personaggio per parlare ai lettori. Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino fu pubblicato per la prima volta (1880) sul "Giornale dei bambini". Ogni settimana c'era grande attesa per vedere e leggere il nuovo capitolo delle avventure di Pinocchio. Il "Pinocchio letterario" diviene in questa installazione un personaggio della robotica ed anche un clone digitale. Molto impegno ed enfasi sono stati posti nell'interpretazione del fatto che Pinocchio crei i cloni di sé stesso: uno che corrisponde a Pinocchio come burattino e un burattino computerizzato robotizzato, in cui, azione, movimenti, dialogo e interattività sono condivisi fra diverse interfacce fra le quali l'umano ed il robot e viceversa... è una relazione enigmatica e dinamica fra ogni partecipante e la fantasia digitale di questi personaggi. "Pinocchio Interattivo" è una sorta di labirinto magico in cui l'immaginazione è esaltata a livelli inimmaginabili grazie all'originalità del contenuto del testo di Pinocchio Interattivo e alle possibilità tecnologiche. Quando questi due fattori sono combinati insieme danno vita a risultati magnifici di un tipo classico che diventa essenziale e che poi si estende a una nuova frontiera che apre un orizzonte interamente nuovo. Allora cominceremo a parlare di una nuova consapevolezza nel campo dell'arte virtuale, di un nuovo approccio all'interazione e alla creatività nel campo dell'alta tecnologia, a dare risalto alla grande creatività e alla tecnologia. Questo è un esempio in cui la tecnologia serve come un strumento integrale per la creazione di un lavoro multiforme ed intenso che faccia ricorso alla coscienza sia dei bambini che degli adulti».

4.3 Volere un corpo patchwork. Per un femminismo cyborg-artistico

Un esempio concreto della possibilità di rendere l’arte una modalità di interazione performativa ci viene dato dall’opera di Victoria Vesna87 (USA) Bodies Incorporated, in cui l’entrare a far parte di un universo immateriale di corpi autocostruiti facilita la riflessione sulle nostre appartenenze socioculturali. L’opera è nata come un Sito Internet ed è stata poi esposta anche in alcuni spazi istituzionali (per esempio nel San Francisco Art Institute durante il 1997) per permettere all’artista di non perdere il contatto diretto con il pubblico. Si presenta come un complesso gioco interattivo in cui la persona è invitata, accettando alcuni limiti d’azione iniziali, a costruire il proprio corpo scegliendo fra una serie di elementi che permettono di personalizzarlo. Si può scegliere il nome, il genere, la preferenza sessuale, l’età, il materiale, ordinando le diverse parti del corpo come se si prendesse parte ad un’operazione commerciale: in questo modo si diventa membri della comunità di corpi virtuali. E’ possibile ottenere e scambiare nuovi parti del corpo e, partecipando attivamente al gioco, si può modificare il proprio status, che diventerà sempre più elevato facendo aumentare il margine d’azione del partecipante all’interno del contesto virtuale. I corpi potranno essere esposti nello Showplace (in cui vi è anche un Forum di discussone) o si potrà organizzare la loro morte nella Necropolis, mentre

87 www.arts.ucsb.edu/~vesna quelli abbandonati o dimenticati dai costruttori verranno collocati nel Limbo. Per rendersi conto dello stato del gioco si possono consultare le statistiche sulle caratteristiche della popolazione virtuale, che si dimostrano anche un utile specchio delle preferenze dei partecipanti reali. Attraverso Bodies Incorporated è possibile riflettere sulle modalità del commercio elettronico e sui suoi limiti, sulla psicologia delle comunità virtuali, sulla costruzione identitaria, sul rapporto mente-corpo, sulle dinamiche relazionali e di gruppo, sul discorso della presunta democraticità dei mezzi telematici.

L’opera di Vesna vuole porre l’attenzione sul contrasto fra libertà performativa attraverso la spontanea costruzione di corpi e limiti giuridici, dettati dalle regole a cui si deve sottostare fin dall’inizio e che mettono in rilievo il concetto di copyright e l’impossibilità di riporodurre e contaminare il materiale presente nel Sito.

«La materialità del comunicare si dimostra anche in questo: i bit che formano le regole scritte si traducono direttamente nei bit che limitano l’azione dei corpi virtuali e la loro manipolazione collettiva.

Quindi non è tanto il mezzo in sé (la Rete) a conferire libertà d’azione e di creazione, ma gli scopi e le condizioni che ne determinano l’uso e quindi la volontà di mantenere uno spazio di apertura in cui la comunicazione diventi materiale fluttuante da costruire attivamente per dare vita a nuove configurazioni mentali e…corporee»88.

Anche il lavoro di Franca Formenti89 come quello di Vesna si basa sul corpo. Con "Bio Doll" (fig. 38), «la bambola vera, di carne ed ossa, clonata ad uso del pubblico, sprovvista di ombelico e quindi carente di qualsiasi rapporto uterino e materno».

Per la Formenti gli esseri umani del futuro saranno anomphalici, come ha preconizzato il filosofo Baudrillard e qui ripropone, in una spregiudicata contaminazione di media e linguaggi, questo pensiero. L'arte si fonde alla moda tramite il marchio Missoni (i cui abiti sono indossati dalle modelle) esibito nel video non come sponsor ma come un ibrido tra arte e no-copyright. La contaminazione diviene l'asse portante dell'evento, abbracciando i media tecnologici; fibre ottiche per il falso cordone ombelicale, un computer per sintonizzarsi ad un utero artificiale dove è gestito un feto il cui battito cardiaco scandisce il ritmo della sfilata. Il tutto raccolto in racconto-video, sparato su schermo gigante. «Ho osservato in maniera attenta l’uomo contemporaneo ed ho avuto l’impressione che si trovi in una fase di mutazione genetica e che alcune caratteristiche particolari dell’essere umano, sia fisiche che psicologiche, vadano scomparendo; e’ come se l’inizio di una nuova specie e

88 T. BAZZICHELLI , Pratiche reali per corpi virtuali. Per una riformulazione del concetto di opera d'arte attraverso la sperimentazione performativa con l'ausilio delle nuove tecnologie, tesi in Sociologia delle Comunicazioni di Massa, si veda il sito dell'autrice: www.strano.net/bazzichellli

89 Si veda il sito dell'artista: www.francaformenti.it quindi di una nuova catena evolutiva stesse prendendo forma. L’umanità non ne è consapevole, ma prova disagio, sofferenza e depressione profonda. Forse siamo il primo anello di una nuova catena biologica da cui nascerà una sorta di “austrolopiteco” o di “homo sapiens»90. Per l'artista l’uomo per riprodursi perderà qualsiasi contatto fisico e tutte quelle fasi che lo hanno accompagnato nei millenni e quindi: il sesso, il concepimento, la gravidanza, il parto, il gesto millenario del taglio del cordone ombelicale (simbolo di unione e dipendenza tra madre e figlio), di cui la sua bambola- donna virtuale è sprovvista. «Il mio lavoro consiste nell’aver creato una bambola vera, clonata, ad uso e consumo del pubblico. La particolarità della ragazza è che non ha l’ombelico, quindi qualsiasi rapporto uterino e materno è stato reciso. La Bio Doll vuole vivere la sensazione della gestazione, sentire il movimento del feto e lasciarsi trasportare dall’estasi della vita dentro di sè. Tutto ciò lo realizza cucendosi sul suo abito indossato, all’altezza dell’ombelico, un cordone di tessuto di fibre ottiche (generalmente le fibre ottiche si usano appunto per la trasmissione dei dati via cavo), che poi collega ad un computer per sintonizzarsi ad un utero artificiale dove è gestito un feto. Una mamma cyberpunk clonata con indosso un abito e un logo - Missoni - che rappresenta di per sè tradizione e famiglia».

Identità, cybercorpo, differenze sociali: questi i temi d'indagine di Andreja Kulunčić. Il suo Cyber shop (fig.

90 Ibidem 39), on line dal giugno 2004. Sul “Cyborg web shop”91 la prima domanda che investe il navigatore-spettatore compare a larghi caratteri: «What is cyborg?». Una piccola finestra in alto («I don’t know») è la scappatoia per chi non ha risposte.

Strutturato nelle categorie, nel suo Negozio di Fotoricezione di Cyborg, si possono comprare tutte le specie dei prodotti che trasformano nel corpo una macchina controllabile e durevole: da una preparazione che suddivide l'alcool nel sangue, un circuito integrato di traduzione, protesi robotiche, soluzioni per cambiare il colore della pelle.

Il cyborg shop della giovane artista croata non nasconde una visione nettamente ispirata al manifesto del femminismo cyberpunk di Donna Haraway, la quale scrive: «Che dire dell'accesso maschile alla competenza quotidiana, al saper costruire, smontare, giocare con le cose? Che dire delle altre assunzioni di corpo? Il genere cyborg è una possibilità locale che si prende una vendetta globale. La razza, il genere, e il capitale richiedono una teoria cyborg di parti e di interi. Nei cyborg non c'è la pulsione a produrre una teoria totale, ma c'è un'intima esperienza dei confini, della loro costruzione e decostruzione. C'è un sistema di miti in attesa di diventare un linguaggio politico su cui basare un modo di guardare

91 Si veda il sito ufficiale dell'artista: www.andreja.org la scienza e la tecnologia e di sfidare l'informatica del dominio per un'azione potente»92. Il corpo trionfa, oggetto di culto, verso una nuova solarità, integrata da ulteriori dimensioni cognitive-simboliche. In questa direzione gli strumenti neotecnologici reificano il corpo. Questa nuova solarità, assieme alle modalità cognitive che vi si accompagnano segna il trionfo del corpo, all'internodi una dimensione simbolica. «E' l'universo dei simboli, culturale, sempre più esteso e pervasivo, che si sovrappone a quello "naturale". [...] La nuova solarità del corpo nell'habitat culturale, sancisce, da una parte, l'insostituibilità del corpo fisico, in quanto fulcro dell'esperienza cognitiva, dall'altra il trionfo della dimensione simbolica»93.

Anche per Tiqqun il corpo, smaccatamente finto, mai abbastanza plastico, ingombrante, è l'essenza stessa della Jeune Fille94: senza esso non esisterebbe, non esisterebbe merce, scambio, economia. Il suo corpo ingombra la Jeune Fille, è il suo mondo e la sua prigione. Lei, che è la Jeunne Fille, è moneta vivente, è contraddizione della stessa, è seduzione, è donna, è simbionte, è merce d'arte, o meglio, arte anoressica.

Proprio con questo stesso aggettivo Achille Bonito Oliva parla dell'arte che, in qualche modo, secondo il critico, è «il frutto non negativo (al contrario di quella che è la

92 D. Haraway, Manifesto Cyborg, a cura di L. Borghi, Feltrinelli, Milano 1995

93 P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.40 e ss., op. cit 94 TIQQUN, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, Bollati Boringhieri, Torino 2003 malattia che sembra segnare il desiderio dell'uomo o della donna di avvicinarsi allo standard delle modelle sempre più bisessuali, sempre più legate ad un'idea androgina come identità) perché sviluppa segnali e forme estetiche che colpiscono non solo l'occhio, ma il cervello dello spettatore. E' un'arte che si insinua nella casa, negli spazi della contemplazione, è un'arte che sostanzialmente, però, produce anche una conseguenza positiva: scardina la cornice obbligata del museo o della galleria, i luoghi deputati dove normalmente l'arte può essere contemplata, e la degustazione, in qualche modo come a tavola, può avvenire in ogni spazio domestico, in ogni camera della nostra abitazione, nei luoghi più inusitati».

Ecco, dunque, che l'anoressia dell'arte attraverso la telematica non è una contrazione, una riduzione, un assottigliamento del corpo, ma, anzi, paradossalmente, attraverso l'assottigliamento ottiene il massimo della dilatazione, di penetrazione capillare che la forma dell'arte può realizzare uscendo dal luogo di propulsione, laddove l'artista ha mosso la propria mano elettronica arrivando nei luoghi più disparati di tutto il mondo. La tecnologia, in questo senso, diviene una sorta di sostanza estetica che con i suoi vapori e le sue atmosfere può produrre effetti positivi e quindi è una sorta di declinazione ecologica della fantasia che, invece di danneggiare, migliorerà sicuramente il mondo95.

95 A. BONITO OLIVA, L'anoressia dell'arte, 20 ottobre 1996, www.mediamente.rai.it 4.4 Piattaforma italiane di sviluppo creativo: il Peam

Uscire fuori dallo spazio e dall'aurea museale, affrontando allo stesso tempo la sfida di un allestimento di opere elettroniche, immagini, suoni e sculture di luce. Questa la "missione" del Peam96, meeting internazionale d'arte elettronica contemporanea che si svolge ogni anno, da tre anni, a Pescara. Organizzato da Artificialia, il Peam nasce dalla mente dal teorico e artista robotico Luigi Pagliarini e si propone come piattaforma, ovvero occasione d'incontro e confronto - senza competizioni e senza premi - per musicisti e performers di arti visive, danza, teatro, scultura e tutto ciò che ruota attorno all'elettronica o ne fa uso come mezzo di espressione e comunicazione. Musica e suoni Interattivi elettronici, multimedia e simili, sculture basate sull'elettronica, video-Arte, vj,animazioni, net-art, web-art, software art, esperimenti di grafica 2D e 3D, arte robotica, attivismo, letteratura, teatro e danza coadivuati dall'elettronica, queste le categorie del meeting.

Per l'edizione 2005, il leit motiv dell'evento, articolato in diverse sezioni tematiche è sintetizzato nella formula: «The new human being positioning'. in particolare, sono privilegiate le opere che concretizzano nuove forme d'interazione tra tecnologia e uomo, mettendo in particolare evidenza e i privilegi e le aberrazioni riscontrabili nell'era elettronica, il (ri)collocamento psico- fisico dell’essere umano nell'era elettronica.

96 Si veda www.artificialia.com, sito ufficiale della manifestazione Una nuova e interessante sezione all'interno delmeeting è Peam Educational, che ha come intento quello di avviare gli studenti dei licei e delle accademie alla conoscenza dell'arte elettronica guidandoli attraverso gli eventi del meeting e costruendo un laboratorio attivo dove dar loro la possibilità di avviare una prima esperienza artistica.

Le iniziative di robotica didattica, sono, a livello nazionale, ancora molto rare, ma rappresentano certamente uno dei campi di prossima espansione. Oltre al Peam, anche il museo civico di Trento propone un laboratorio didattico permanente serie di esperienze didattiche legate alla robotica e al rapporto tra macchina, mondo naturale, uomo e arte.

Esiste già un kit97, il Robo Technology Set (USB): «Il kit ideale per iniziare attività curricolari usando il mattoncino programmabile RCX, un piccolo computer che funge da cervello dei robot costruiti con i kit LEGO Mindstorms for Schools. Il tutto è contenuto in una comoda vaschetta di conservazione che consente di ordinare tutti i suoi elementi; in aggiunta c'è una scatola separata per conservare le costruzioni realizzate e un foglio per le esercitazioni».

97 Si veda: www.museocivico.rovereto.tn.it

Capitolo 5 Roboetica e Robotica

«Abituati a vivere tra continue scoperte scientifiche ormai diventate di routine, ancora non siamo riusciti a venire a patti con il fatto che le più importanti tecnologie del XXI secolo - robotica, ingegneria genetica e nanotecnologia - pongono una minaccia diversa da quella rappresentata dalle precedenti tecnologie. In particolare, i robot, gli organismi transgenici e i nanobot hanno in comune un pericoloso fattore amplificante: sono in grado di autoreplicarsi.»

(Bill Joy, "Why the future doesn't need us", Wired, Aprile 2000)

5.1 L'inevitabile e il desiderabile

Una visione particolarmente preoccupata riguardo al futuro di Ingegneria genetica, Nanotecnologie e Robotica ("GNR"): è quella di Bill Joy, secondo il quale le tecnologie "GNR" sarebbero pericolose perché il mix di

Genetica, Nanotecnologie e Robotica ha una caratteristica inedita, affinché da esse possano estrinsecarsi tutte le potenzialità occorre che si realizzi l'autoriproduzione di microrobot e la produzione di molecole in larga scala. Dovrebbero farlo quelli che, già oggi, vengono chiamati "robot assemblatori" (riguardo all'essenzialità dell'autoriproduzione, si veda, in senso opposto, Eric Drexler). Caratteristiche come l'autoreplicazione e l'autopropagazione potrebbero avere effetti catastrofici (per l'uomo). A maggior ragione se abbinate a una buona dose di intelligenza (che significa "autonomia" e rende possibile la delega di attività decisionali dall'uomo alla macchina).

In generale, molti degli esperti studiosi di robotica, dallo scrittore di fantascienza Michael Crichton, al fisico premio Nobel Joseph Rotblat, da Hans Moravec (che insegna al Robotics Institute della Carnegie Mellon University), a Danny Hillis, Umberto Galimberti, Eric Drexler (che ha fondato il Foresight Institute), tutti parlano del rischio e della responsabilità legati alle tecnologie "GNR".

Proprio di questo sin parlò al simposio del 1999 a Stanford, organizzato da Doulglas Hofstadter, intitolato "Will Spiritual Robots Replace Humanity By 2100?", a cui fece eco poco dopo anche in Italia, il convegno, "Il futuro: previsione, pronostico e profezia".

In questa occasione Giuseppe O. Longo fece un interessante intervento, che ora riconsideriamo.

Lo studioso forlivese considera l'essere umano intriso di "leggi di natura" per via della sua costituzione biologica e vede con rammarico il progressivo depauperamento di forme espressive, rappresentative e precognitive, quali quelle della poesia e, più in generale, dell'arte (che possono parlare direttamente alla nostra natura più intima). Un depauperamento della loro efficacia nel suscitare emozioni, moti d'animo, causato dalla pervasività della tecno-scienza, dal dominio che essa esercita non solo sulle nostre vite, ma anche sulla nostra intima natura (biologica e non, sempre che si assuma che in noi vi sia qualcosa di "non" biologico) e, quindi sul nostro destino di esseri umani. Il simbionte, per Longo, è appunto la rappresentazione, l'icona di questo destino:

«Un essere umano (più donna che uomo) che porta sulla fronte il simbolo di una piastrina di silicio o la piastrina stessa impiantata: un simbionte, che con la parte umana, specie con gli occhi (invisibili o meglio inaccessibili) e con l'inclinazione del capo, esprime una grande cieca tristezza, confermata e accentuata dalla lacrima che sgorga e cola lungo la gota, lungo il bellissimo naso greco: gli (anzi le) manca la bocca e questa sua impossiblità di gridare il proprio dolore me la rende ancora più cara: sembra guardare in giù, ma gli inaccessibili occhi contemplano due panorami diversi, proibiti agli umani: forse l'occhio destro, chiuso, vede un paesaggio di devastazione interiore, mentre il sinistro, appena abbozzato, contempla un paesaggio esterno di torri e cuspidi smaglianti attraverso il prisma caleidoscopico e multicolore di quella lacrima suprema.»98

Inoltre sulla tecnologia: «Gli antichi meccanismi del corpo (fisiopsicologici) soffrono per il contatto, anzi l'invasione, della tecnologia: la tecnologia è sempre un filtro, nel senso che potenzia (o addirittura rivela) certe capacità, ma ne indebolisce o sopprime altre, che magari sentiamo intimamente nostre e indispensabili»99

Secondo la prospettiva longhiana, infatti, da sempre la nostra specie si ibrida con gli strumenti che costruisce, in questo senso il vecchio Homo sapiens non è che un simbionte "a bassa intensità tecnologica", un essere che da sempre è la risultante di se stesso e di ciò di cui dispone per (soprav)vivere. L'intensità è andata via via aumentando fino a farlo diventare Homo tecnologicus e ad aprire, oggi, nuovi scenari che hanno bisogno di continua indagine epistemologica: quella stessa tecnologia - vista tradizionalmente come "figlia" della scienza - è tanto manifesta e pervasiva da essere in grado, in certi casi, di invertire il rapporto di parentela. Anzi: mentre la scienza (per come oggi la intendiamo) nasce in tempi relativamente recenti, la tecnologia accompagna l'umano da sempre.

Allora «ci si accorge insomma che la realtà è troppo complessa per sopportare descrizioni semplici: i tentativi

98 Fondazione BASSETTI, L'inevitabile e il desiderabile, 26 luglio2004, www.fondazionebassetti.org di estromettere l'osservatore e di purificare troppo i fenomeni spesso naufragano contro l'insignificanza dei risultati ottenuti»100, o del suo corpo, 'interfaccia' verso il mondo, "il simbionte del codice" .

Una reazione all'ibridazione uomo-silicio, è quella di Hans Moravec, guru della robotica, che vede o meglio pre-vede, come inevitabile la graduale trasformazione della razza umana in forme di vita robotiche, e che considera tale evento come una fase naturale del processo di evoluzione.

«Diventeremo tutti robot, - sostiene - e questo è allo stesso tempo inevitabile e desiderabile».

La sua è una tesi, piuttosto discussa, vede in modo del tutto positivo la sostituzione degli umani biologici da parte di macchine più intelligenti e capaci di un migliore sviluppo culturale come naturale logica dell'evoluzione.

Nell'universo di partenza tutto resterebbe normale, ma gli amici assisterebbero ad uno strano suicidio mediante risintonizzazione del corpo. Tali separazioni permanenti occorrono in altre situazioni. La teoria dei mondi paralleli per esempio richiede che tali separazioni avvengano ad ogni misurazione registrata. La relativita` generale offre orizzonti degli eventi. Un osservatore che cade in un buco nero e` esposto ad un universo precedentemente inaccessibile nell'istante in cui perde la possibilita` di uscirne.

99 G. O. LONGO, Il Simbionte. Prove di umanità futura, Meltemi, 2003

100 Ibidem, pag. 120 Visitare strani mondi, dove le affidabili prevedibilità del senso comune vengono meno, è probabilmente troppo difficile per le tecniche immaginarie che abbiamo esaminato. Il fallimento di ogni tentativo di risintonizzare un corpo, a causa di fluttuazioni meccaniche o altri effetti, è molto più probabile di un ipotetico cambio delle costanti fisiche. Nonostante ciò, una volta che i nostri discendenti eserciteranno potere completo su di estese regioni dell'universo, potranno forse orchestrare i delicati cambiamenti necessari per navigare deliberatamente tra le possibilità, forse in impegnative ma potenti regioni plasmate da interrelazioni più ricche di quelle della materia, del tempo e dello spazio. Il viaggio nel tempo, una tecnologia molto al di fuori della nostra portata ma non fisicamente impossibile secondo le attuali teorie, potrebbe rappresentare il nostro primo passo in questo spazio illimitato101.

101 H. Moravec, Simulazione, Coscienza, Esistenza, Field Robotics Center, Pittsburgh, Usa, 1998, www.frc.ri.cmu.edu. Trad. italiana di Curzio Vasapollo.

5.1 Il ruolo dell'arte

«Nel villaggio globale essere narratori del "proprio" sapere per poter "interpretrare" se stessi e il mondo ogni volta in un modo nuovo. La rete può essere il contenitore di opere aperte realizzate collettivamente. L’universo del cyberspazio ruota secondo schemi pregalileiani intorno agli interessi del capitalismo. Dovremo indossare un canocchiale virtuale per scoprire che esistono tanti altri mondi con cui dobbiamo dialogare e confrontarsi se vogliamo crescere e progredire. Quei mondi che siamo ognuno di noi. Creare interfacce libere della comunicazione. L’opera va intesa essere all’interno di una strategia globale. L’improvvisazione è libera».

T. TOZZI, Appunti sul rapporto tra identità, improvvisazione e reti telematiche

«Oggi non siamo nell'era di massa, della cultura di massa, quella della televisione degli anni Sessanta. Oggi stiamo penetrando la materia, nel codice genetico, siamo interessati più all'infinitivamente piccolo che all'infinitivamente grande»102. Allora, in quest'ambito di adattamento culturale dell'individuo all'ambiente, di educazione della psicologia alla scoperte tecnologiche, un

102 D. d. KERCKHOVE, Remapping sensoriale nella realtà virtuale e nelle altre tecnologie ciberattive, in P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo ruolo importante è svolto dall'arte, a livello sincronico e diacronico.

Nel modello sincronico il ruolo dell'arte è innanzitutto quello di esplorare nuove tecnologie. A livello diacronico la storia dell'artista è una storia progressiva di sviluppo e di esplorazione, di scoperta di forme di organizzazione cognitiva e mentale.

Il secondo ruolo dell'arte è quello di creare un ambito di opposizione, come per esempio nel caso del futurismo in Italia, reazione sincronica dell'arte a una condizione superata mediante la tecnologia.

Il terzo ruolo dell'arte è come ha detto Rimbaud, quello di provocare disordine, sorprendere i sensi e la psicologia classica, come accade davanti a qualcosa che non si capisce (almeno non immediatamente).

Meno immediata invece sarà l'opera di modellizzazione progressiva della sensibilità che ha il ruolo diacronico, con le generazioni di artisti, i mutamenti dello stile, ma anche del mercato dell'arte.

Forse proprio come sottilinea Franco Torriani in "La città fragile"103, «il superamento della separazione tra arte e scienza avviene attraverso l'esperienza estetica. Non si tratta di riconciliare l'arte e la tecnologia, ma definire, dice Mumford, le condizioni necessarie per un'arte dove "i frutti della macchina" costituiscono l'ambiente naturale».

tecnologico. L'influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue facoltà, Baskerville, Bologna 1994, p.55, op. cit 103 F. TORRIANI, La città fragile, Ars Technica - Seminario: quel art pour la ville technologique?, Parigi, 11 marzo 1994, p.6 E, sottolinea Torriani, noi ci siamo già arrivati, e da abbastanza tempo. L'esperienza globale, sprona la creatività individuale. Fin qui Mumford.

La città moderna è il classico incrocio della rete, il luogo di mutazione antropologica dove l'artificiale diventa natura104...

Il compito dell'arte allora, conclude Torriani, sarà forse quello di adattare l'uomo più all'ambiente umano che a delle costruzioni pure e semplici. Si tratta di una prospettiva bionica: adattarsi all'ambiente, trasmettere dei segni, interagire in un ambiente dato.

La risposta alla tecnologia, infatti, sottolinea anche Caronia «[...] Non può essere quella di rifugiarci dentro un'illusoria glorificazione dei valori della civiltà "umanistica", che rimane del tutto astratta e ininfluente sui processi reali, anzi, non è che il controcanto, il rovescio della medaglia, in ultima analisi la legittimazione delle posizioni degli interessati cantori delle glorie della rivoluzione digitale, alla Negroponte. Dentro i processi di cosiddetta "globalizzazione" si aprono spazi locali per vivere, costruire, interpretare e sviluppare esperienze virtuali e reali che estraggono dal nuovo ambiente tecnologico possibilità diverse, estranee, opposte alla logica del dominio tipica dei "piani alti" di queste tecnologie: esperienze di condivisione, di conoscenza, di reciprocità, di gioco e di travestimento, di cooperazione e

104 Filiberto Menna, Profezia di una società estetica, Roma, 1983, pp.113- 115, tratto da F. TORRIANI, La città fragile, Ars Technica - Seminario: quel art pour la ville technologique?, Parigi, 11 marzo 1994 di sperimentazione di nuova socialità. Molto più divertente che stare a piangere sui Dante, i Velasquez, i Michelangelo e i Picasso che hanno fatto grande l'umanità, e ora tutto questo deve passare come una lacrima nella pioggia. Qualcosa, certo, crollerà di fronte ai barbari come crollarono le basiliche romane, e con le pietre delle basiliche romane si faranno le chiese romaniche e poi le chiese gotiche… »105.

Così, nel corso di adattamento globale, l'uomo, aiutato dall'arte, vestirà un nuovo corpo, che, per Stelarc, sarà regolato dalle nanotecnologie: «La biocompatibilità della tecnologia non è più dovuta alla sua sostanza, ma piuttosto alla sua scala di grandezza. Robot di taglia infinitesimale possono essere agevolmente inghiottiti senza che neppure ce ne accorgiamo!»106

A quale scopo? Per ricolonizzare il corpo, incrementare la nostra popolazione batterica, per assistere il nostro sistema immunologico.

Arti con innesti ibridi umano-macchinici, desensibilizzati, pelle come interfaccia, autonomi nello stomaco. Questi network di simbiosi ibridi saremo noi, performativamente unici.

105 A. CARONIA, Testi, ipertesti, immagini e corpi, "Bibliotime", anno I, numero 3, novembre 1998, www.didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-i- 3/caronia.htm

106 P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994, p.61 e ss., op. cit.

La sola via d'uscita è lo sviluppo di un'etica umana applicata alla robotica, la roboetica, che riporti la responsabilità principale all'uomo.

5.3 Not about robot, but about us

Così si chiude un recente articolo che Bruce Sterling ha scritto per Wired :

«If the symposium107 offers a take-home message, it's not about robots, but about us. It's about the likes of Alfred Nobel, a person so farsighted that he changed the face of science. He also became one of the most notorious arms dealers of his time. San Remo was his final refuge from the opprobrium of the civilized world.

Ever since Karel Capek introduced the term with his 1924 play R.U.R. or Rossum's Universal Robots, robots have been our theatrical attempt to dress up technology in human form. They embody our very human desire to make technology into a buddy or maybe a doppelgänger - but least somebody. Somebody like us, with one improvement: We can make a robot behave, even though we've never managed that trick with ourselves. After all, Nobel was a humanitarian benefactor who enriched the world with his weaponry. Being good is nowhere near as simple as it sounds.»108

Come scrive Gianmarco Veruggio109, «Per fronteggiare le sfide poste all'umanità dalla rivoluzione robotica serve

107 Qui Sterling fa riferimento al First International Symposium on Roboethics, svoltosi il 30 e 31 gennaio 2004 a Villa Nobel - San Remo (Imperia), www.roboethics.org

108 Si veda: www.wired.com

109 G. VERUGGIO, Io, Robotico, "Le scienze", ottobre 2004, pp.40-49 una roboetica che ispiri lo sviluppo e l'impiego delle macchine intelligenti».

Le posizioni emerse tra i robotici possono essere raggruppate in varie categorie. Alcuni, non interessati alle questioni etiche, considerano la loro attività esclusivamente dal punto di vista tecnico-scientifico. C'è un altro gruppo che "crede" in una roboetica a-breve- termine, esprimendo giudizi sulla propria attività in termini di "buono" e "cattivo". Al terzo gruppo appartengono coloro che si interrogano sugli effetti globali dell'invasione robotica, rispetto, per esempio, al divario tra Nord e Sud del mondo, allo sviluppo sostenibile, etc.

Qui si coglie una visione critica della roboetica, considerata come strumento per il perseguimento di obiettivi generali.

Come Veruggio suggerisce, "tre leggi non bastano", bisogna arrivare a un'etica artificiale da implementare nei robot attraverso un'etica umana relativa alla robotica.

Questo, sottolinea il ricercatore, «è importante per prevenire paure irrazionali e un rifiuto di una tecnologia che invece può essere strumento di conoscenza, sviluppo, progresso sociale.

La speranza è, allora, che si possa giungere a un'etica condivisa da tutte le culture, in base alla quale la costruzione e l'impiego di macchine intelligenti contro gli esseri umani sia considerato un crimine contro l'umanità». ALLEGATI

1. La via ludico-partecipativa al futuro digitale Carlo Infante

C’interroghiamo su come possa essere resa esplicita e comprensibile quella nuova forma di cittadinanza che nella Società dell’Informazione vedrà coniugare la partecipazione alla cosa, “res”, pubblica attraverso la frequentazione delle reti telematiche. Le risposte, alle domande che ci poniamo, arriveranno con quelle nuove generazioni che stanno crescendo in un sistema educativo che oltre al principio didattico è opportuno che inventi forme ludiche-partecipative per affinare le sensibilità dei più giovani alla condivisione dell’esperienza formativa e culturaleGioco è una delle migliori parole chiave per interpretare quella flessibilità psicologica che sottende la mutazione in corso sotto il segno dell’evoluzione tecnologica. “Mettersi in gioco” è infatti il principio attivo di quella complessità sociale che conduce verso il superamento dei ruoli prestabiliti e delle competenze stabilizzate in un mondo che si sta rivoluzionando attraverso le opportunità delle reti telematiche. Lavorare in rete, ad esempio, non è solo “telelavoro” (…a distanza) ma introduce ad una nuova operatività fondata sulla cooperazione, la sinestesia, la condivisione, l’interattività e la connettività, oltre che tecnologica, psicologica. Il gioco, e il teatro in particolare, da sempre affina queste qualità, prima di tutte la condivisione dello spazio-tempo comune

E’ in fondo questo il primo approccio che un bambino stabilisce con il mondo esterno, per apprendere. Sulla base di questo principio l’ “edutainment” (educational + entertainment) tende a rappresentare una delle politiche sia formative che editoriali di maggiore potenzialità. Una nuova generazione di intellettuali, operatori sociali ed educativi, nonché imprenditori, può espandere questo principio ludico dell’apprendimento all’interno di quei sistemi di “educazione permanente” a cui faranno sempre più riferimento le politiche produttive. Emergono di conseguenza nuove sensibilità in grado di rilevare le caratteristiche inedite dell’interscambio multimediale e della creazione digitale. Si tratta di forme nuove, mobili e mutanti, che nello spazio-tempo informatico sollecitano altri approcci, altre percezioni, che un certo nomadismo culturale sa esaltare. In questo quadro rientra l’attenzione verso quelle forme di sperimentazione teatrale e multimediale della performance e delle ambientazioni interattive attraverso cui si possono coltivare le attitudini alla mutazione delle percezioni.

E’ sulla base di queste sensibilità che è possibile coniugare gioco, apprendimento e nuova cittadinanza elettronica, tracciando le possibili tracce di una via “ludico-libidinale” al cyberspazio, o meglio ancora una via ludico-partecipativa al futuro digitale, un processo in cui far interagire la facilità-felicità della condivisione con il piacere di sperimentare nuovi linguaggi: nuove tecnologie. In questo senso sarà possibile tradurre le potenzialità della new economy in opportunità per il bene comune, per una società dell’informazione ad alta compatibilità civile.

2. Post human, post umanità. Come sarà l’umanità dopo l’uomo? Dai rapporti con la tecnica alle ibridazioni: evoluzione del concetto di «post-human»110

Antonio Caronia

Fra i ritagli di giornale che si accumulano da qualche mese sulla mia scrivania ve ne sono alcuni che potrebbero suscitare qualche inquietudine. Nel titolo compare immancabilmente la parola «robot», ma nel testo si parla in genere di esperimenti tesi a realizzare un collegamento fra il cervello (animale o umano) e il computer, che funzioni nei due sensi: tale cioè che il cervello sia in grado di inviare comandi al computer (e azionare così, per esempio, dei dispositivi), e il computer sia in grado di inviare al cervello dei feedback di tipo sensoriale. I due esperimenti che più di altri hanno catalizzato l'attenzione dei giornali sono stati quello di Kevin Warwick, dell'Università di Reading in Inghilterra, che con un chip impiantato sottopelle intendeva controllare alcuni dispositivi elettrici di casa sua; e quello di Sanjiv Talwar del Downstate Medical Center di Brooklyn, che in un articolo pubblicato su Nature del maggio di quest'anno descriveva il controllo a distanza di alcuni topi a cui erano stati impiantati nel cervello degli elettrodi, e i cui movimenti venivano così direttamente guidati dai ricercatori.

110 A. CARONIA, Post – human, post umanità. Come sarà l’umanità dopo l’uomo? Dai rapporti con la tecnica alle ibridazioni: evoluzione del concetto di «post-human», apparso su L'Unità, 20 agosto 2002 D'accordo, in quest'ultimo caso si tratta ancora di piccoli mammiferi, e non di uomini. Ma il senso della ricerca è chiaro. In meno di cinquant'anni la comunicazione fra il cervello e l'elettronica ha fatto passi da gigante, e con essa l'invasione del corpo da parte della tecnologia. La rivoluzione delle telecomunicazioni, iniziata un secolo e mezzo fa col telegrafo, sta ormai per insediarsi stabilmente all'interno stesso del nostro corpo. E si annuncia già una terza e più sconvolgente prospettiva nel processo di artificializzazione del corpo: quella del controllo del patrimonio genetico dell'individuo. Corpo invaso dalla tecnologia, corpo disseminato nelle reti di telecomunicazioni, corpo geneticamente modificato: il cyborg, l'organismo cibernetico che su una base umana innesta delle componenti artificiali, si sta spostando con velocità impressionante dalle pagine della fantascienza alla vita reale. Per la prima volta una specie animale su questo pianeta sembra in grado di «prodursi», e non più solo di «riprodursi». Certo, è legittimo nutrire dei dubbi che tutto ciò, come sostengono alcuni, configuri una liberazione dell'uomo dai vincoli della biologia. Ma non è più così fantastico o irrealistico chiedersi se l'umanità stia davvero incamminandosi a superare se stessa: e in questo caso, che cosa verrebbe «dopo l'uomo»?

Il termine postumano, post-human, è stato reso popolare una decina d'anni fa da una mostra d'arte contemporanea curata dal critico Jeffrey Deitck (in Italia è stata ospitata al Museo di Rivoli), e da allora si è proposto come il concetto più radicale della famiglia dei «post-» che imperversano nella cultura mondiale. Ma si sa che nell'arte (e in certa critica d'arte) l'eccesso di metafora a volte può oscurare quel po' di chiarezza del pensiero a cui ancora possiamo sperare di aspirare. E perciò non sembra fuori luogo interrogarsi, ancora una volta, sulla fondatezza scientifica e antropologica della nostra «fuoruscita dalla biologia». Dico «ancora una volta» perché il dibattito non è nuovo, e le ipotesi di trascendenza dell'uomo rispetto alla natura risalgono - almeno - a Platone. In Italia Giuseppe O. Longo aveva formulato l'ipotesi che l'impennata dell'ibridazione fra uomo e tecnica, verificatasi negli ultimi decenni con le tecnologie informatiche, stesse avviando l'umanità verso una nuova specie ibrida, quella indicata dal titolo del suo libro Homo technologicus uscito nel 2001. Roberto Marchesini, col suo ponderoso lavoro Post-human aspira a fare il punto del dibattito. Marchesini sostiene e argomenta una chiara tesi di fondo: che nella storia evolutiva dell'uomo l'ibridazione con la tecnologia non sia una novità assoluta, dato che la specie umana si è sempre caratterizzata per una elevata capacità di rapportarsi in modo collaborativo e ibridante con mondi ed esperienze lontane dalla propria: con gli animali in primo luogo, e non solo con la tecnica. E' questa capacità di apertura all'altro, e non già l'incompletezza ontologica (come sostiene l'antropologia filosofica di Plessner e Gehlen) a «definire» l'uomo secondo Marchesini. Del tutto fuorviante, dunque, concepire il linguaggio e la cultura come contrapposti alla natura: essi rientrano a pieno titolo nei processi naturali, e non ha alcun senso contrapporre l'artificiale al naturale. Scrive Marchesini: «Sono convinto che l'uomo si è differenziato (e sempre più si differenzia) dalle altre specie proprio perché ha saputo costruire eteroreferenze che lo hanno avvicinato, non allontanato, rispetto al mondo non-umano (... ) L'emergenza della cultura è un evento rivoluzionario nel panorama evolutivo - e quindi di fatto divergente rispetto ai percorsi intrapresi dalle altre specie - ma questo non significa che sia un allontanamento dai modelli naturali. La peculiarità dell'uomo sta, viceversa, proprio nel ripiegamento ovvero nella ricongiunzione, attiva e creativa quanto si vuole, ma fortemente indirizzata verso l'alterità». L'accento posto da Marchesini su questa continuità dell'atteggiamento della specie umana verso la tecnica non significa affatto che egli sottovaluti gli elementi di novità, e cioè il salto di qualità dell'artificializzazione del corpo e della vita determinato oggi dall'incrociarsi delle tecnologie dell'informazione e delle biotecnologie, tanto è vero che accetta di discutere anche le tesi più estreme sul superamento dell'uomo, come quelle del movimento transumanista di Max More e Alexander Chislenko. Ma naturalmente le respinge, perché vede in esse, più che un effettivo superamento dell'umanesimo, una specie di «iperumanesimo» o versione estrema dell'umanesimo, cioè dell'autoreferenzialità dell'uomo e della cultura. Devo confessare che, se ci mettiamo nell'ordine di idee di avviare a superamento gli squilibri introdotti dall'era industriale e dalla rapacità del capitalismo nei confronti della natura, non vedo alternative all'atteggiamento culturale proposto da Marchesini. Mi permetto però di sollevare due problemi diversi tra loro, che mi sembra emergano dalla sua analisi ma che non ho trovato ancora sufficientemente evidenziati. Il primo è quello del possibile attrito fra il funzionamento del nostro cervello come ci è stato consegnato dall'evoluzione (e che per questo altre volte ho chiamato, provocatoriamente, «paleolitico»), e le caratteristiche del nostro più importante partner tecnologico, cioè il computer: mi chiedo se, in un mondo e un sistema che accentuano la valorizzazione degli aspetti quantitativi delle performance cognitive e comportamentali, il nostro cervello non possa subire un eccessivo stress dal rapporto con questo partner che di tutta evidenza ci surclassa proprio sul piano computazionale. Il secondo problema è più esplicitamente politico. Praticamente tutti i temi teorici e di analisi affrontati da Marchesini (il rapporto fra uomo e tecnologia, la critica del mito della purezza, la necessità di utilizzare le tecniche per rinsaldare il nostro rapporto con i processi naturali e non per separarcene, la necessità di andare oltre una visione puramente «conservativa» dell'ecologismo) richiedono il superamento dei punti di vista e degli atteggiamenti oggi unanimemente praticati dagli attori politici ed economici della scena mondiale: stati, forze politiche, aziende multinazionali. Non a caso, a ben vedere, quei temi sono gli stessi affrontati - certo non sempre con la chiarezza teorica e pratica necessaria - dai movimenti internazionali contro la globalizzazione liberista. Non sarebbe il caso, insomma, di riconoscere l'esplicita valenza politica del dibattito sul postumano? 3. L' etica nell'età della tecnica Umberto Galimberti

Il progresso tecnico-scientifico provoca a quanto pare l'irreversibile decadenza dell'umanesimo. Ciò vorrebbe dire che il pensiero viene sottomesso alla potenza della tecnica. Una volontà di dominio che tutto può "volere" in quanto vuole in primo luogo il proprio infinito potenziamento. Una potenza che dunque, innanzi tutto, "vuole se stessa". Non potendo comunque cambiare il corso alla storia, queste critiche-osservazioni alla superpotenza della tecnica non nascono dall'ammissione nostalgica di un qualcosa che non c'è più per cui l'umanesimo non sarebbe stato in grado di perpetuare il proprio dominio e proprio allora la tecnica avrebbe preso il sopravvento su tutto: sull'etica, sulla morale e anche sui sentimenti?

Che l'umanesimo sia finito è una storia vecchia almeno di cent' anni nel senso che già lo diceva Heidegger nel 1930. Cosa vuol dire umanesimo fondamentalmente? Che l'uomo può governare la terra: ecco oggi questa proposizione non è più praticabile. Per "tecnica" intendo l'oggettivazione dell'intelligenza umana, la quale è decisamente superiore a qualsiasi uomo, per cui non è più possibile pensare l'uomo come colui che dispone della terra ma bisogna pensare a quei processi di oggettivazione della sua intelligenza che si chiamano tecnica e che, essendo superiori alla capacità di tutti gli uomini (intesi sia come individui, sia come gruppi), governano la tecnica, ossia governano la terra. Il problema grosso è che la tecnica non ha uno scopo. Nel senso che, nelle età pretecnologiche, la tecnica è sempre stata pensata come un mezzo. E gli scopi li assegnavano gli uomini.

Oggi la tecnica non è più un mezzo perché, essendo diventata la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, essa diventa il primo scopo: ciò cui ci si rivolge, innanzitutto, e alla cui conquista tutti gli uomini tendono. Solo che, quando un mezzo diventa scopo, si rivela anche un mezzo senza scopi. Per cui la tecnica a questo punto è diventata scopo. Quindi la cosa si fa ancora più drammatica, poiché essa tende esclusivamente al proprio potenziamento. Io produco ad esempio una leva: in seguito farò una leva più potenziata, poi ancora più potenziata. Ma questa descrizione vale finché la leva è un mezzo: però se la leva non è più un mezzo ma diventa lo scopo, allora resta la struttura del mezzo che è quella di potenziarsi sempre di più senza alcuna finalità.

Ora, siccome la politica può realizzare i suoi scopi solo se si dispone dell'apparato tecnico, siccome la stessa religione può realizzare il suo universalismo solo disponendo di mezzi tecnici, è chiaro che tutti vogliono la tecnica, la quale però è un fare afinalizzato, un potenziamento afinalizzato, per cui l'uomo oggi si trova in uno scenario senza orizzonti. E non li può certo assegnare alla tecnica questi orizzonti, appunto perché la tecnica è più forte di lui. Questa è una persuasione diffusa anche a livello elementare: ad esempio la gente oggi di fronte ad un incidente stradale o a uno scontro fra due treni spesso cosa dice? Che è stato un "errore umano", per cui l'uomo è già pensato come un errore, e lo si pensa dunque solo in relazione alle esigenze dell'apparato tecnico.

Sì, la cosa strana è che sembra di esser di fronte ad un nuovo individuo...

Questa è la nostra visione antropomorfica: non avendo altro linguaggio l'assumiamo come soggetto. Però la tecnica può essere definita come la forma più alta di razionalità umana, più alta ancora dell'economia — che è pure una forma razionale — perché l'economia è ancora corrotta da una passione umana, ovvero la passione per il denaro; mentre la tecnica è la forma più alta di razionalità, quindi è assolutamente anonima e indifferenziata.

4. Il corpo interfaccia. Intervista con Stelarc Fabio Paracchini

Stelarc: Nelle performance del passato il corpo si è messo in scena con tecnologie aggiunte (la Terza Mano, attivata con segnali elettromotori), con tecnologie inserite (la "Stomach Sculpture", un meccanismo che si autoillumina, emette suoni, si apre e si chiude, si estende e si contrae all'interno dello stomaco) e collegato alla Rete (il corpo viene posseduto e attivato in remoto da persone che si trovano in altri luoghi). Il corpo è stato espanso, invaso e ora diviene un ospite, un host, non solo di tecnologie ma anche di agenti remoti. Come Internet fornisce modalità estese e interattive di mostrare, collegare e recuperare informazioni e immagini, ora potrebbe consentire modalità inattese per accedere, interfacciare e caricare (uploading) il corpo stesso. Internet, anziché soddisfare antiquati desideri metafisici di disincarnazione, offre strategie potenti, individuali e collettive per proiettare la presenza del corpo ed estrudere la coscienza del corpo. Internet non accelera la scomparsa del corpo e la dissoluzione del sé; piuttosto genera nuovi collegamenti fisici collettivi e una taratura telematica della soggettività. L'autenticità del corpo qui non è dovuta alla coerenza della propria individualità ma piuttosto alla molteplicità degli agenti collaborativi. Ciò che diviene importante non è soltanto l'identità del corpo, ma la sua connettività; non la sua mobilità o la sua collocazione, ma la sua interfaccia…

Come sarà allora il tuo corpo tra dieci anni?

Stelarc: Beh, molto più vecchio, soprattutto! (Stelarc esplode nella sua tipica risata tonante).

E poi?

Stelarc: Dieci anni sono troppo pochi. Sarà interessante vedere come saranno i nostri corpi tra cento, duecento anni, con gli effetti di innesti tecnologici e protesici temporanei e permanenti e con l'utilizzo di medicinali e trattamenti che allungheranno le nostre vite. Ma forse dovresti chiederlo a uno scrittore di fantascienza. Io non sono tanto interessato a cercare di indovinare quanto muterà il nostro corpo nel futuro, perché come artista ciò che voglio è creare delle interfacce specifiche, mostrare il mio corpo come scultura, come scultura vivente. Il mio lavoro non consiste nel fare predizioni sul corpo del futuro, ma piuttosto nella costruzione di interfacce reali, nel mettere in atto un rapporto che di solito non si ha con la tecnologia, con effetti a volte prevedibili e a volte no, ma certo non faccio alcuna previsione di tipo fantascientifico.

Tu hai comunque seguito molto da vicino la rivoluzione tecnologica (e in particolare quella delle tecnologie elettroniche e multimediali) in questi ultimi decenni, dagli anni Settanta in poi. Vedi al momento una nuova tecnologia, una tecnologia emergente che potrebbe entrare a far parte del tuo lavoro? Stelarc: Questo è un genere di problema che in realtà non mi interessa particolarmente. Io ho usato sistemi di realtà virtuale, sistemi di medical imaging e di ingegneria robotica per cercare di dare una risposta a una domanda: cosa significa essere un corpo? Cosa significa fare parte di un sistema-cyborg? Non mi interessa pensare a cosa succederà in futuro. Non faccio una ricerca metodica - perlomeno non in senso scientifico. Uso solo quello che mi serve.

Ma nel tuo lavoro t'interessa di più esplorare nuove possibilità per un corpo mutato o mettere in atto meccanismi inediti di percezione del corpo?

Stelarc: Sono due elementi che devono sempre coesistere. Nuove esperienze per il corpo significano immagini che mostrano il corpo in modo nuovo e differente. Credo che l'idea di corpo non sia semplicemente quella di un'unità biologica, ma piuttosto di un corpo con molte estensioni, aggiunte protesiche, estrusioni mediatiche e di rete.

APPENDICE

PIER LUIGI CAPUCCI

Pier Luigi Capucci si occupa di sistemi e linguaggi di comunicazione e, dai primi anni Ottanta, di nuovi media nella comunicazione e nell'arte. Ha insegnato all'Università di Roma "La Sapienza", all'Università di Bologna e all'Università di Firenze. Attualmente è docente di Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa e di Teoria e tecnica dei linguaggi multimediali all'Università di Bologna, e di Teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Urbino. Ha pubblicato i libri Realtà del virtuale. Rappresentazioni tecnologiche, comunicazione, arte, 1993, sul virtuale tecnologico e sui rapporti tra cultura e rappresentazione; Il corpo tecnologico. L'influenza delle tecnologie sul corpo e sulle sue facoltà, 1994, sull'impatto delle tecnologie sul corpo umano; e Arte e tecnologie. Comunicazione estetica e tecnoscienze, 1996, sulle relazioni tra arti, scienze e tecnologie. Ha pubblicato oltre 150 testi in libri, riviste, e atti di convegni in Italia e all'estero. Nel Marzo '94 ha fondato e diretto NetMagazine, poi divenuto MagNet progetto di ricerca sulle relazioni fra cultura e tecnologie realizzato in collaborazione con l'Università di Bologna e l'Università di Roma "La Sapienza", prima "rivista" sul Web in Italia, progetto terminato nel Dicembre '97. Ha organizzato mostre, curato progetti e partecipato a convegni e conferenze in ambito nazionale e internazionale. Ha lavorato a vari progetti europei sulle tecnologie di comunicazione, di cui il più importante è Cafe9.net (come responsabile dei contenuti), progetto sostenuto dalla Comunità Europea, dal Programma Youth for Europe e da NetDays Europe che è stato adottato dalle nove Città Capitali Culturali Europee del 2000 come progetto collaborativo pilota per celebrare l'anno 2000. La sua attività teorica riguarda i linguaggi e le tecniche di rappresentazione e comunicazione. Nel campo della ricerca applicata lavora sulle opportunità relazionali e sociali delle reti telematiche e delle applicazioni multimediali. (fonte: www.noemalab.org)

DERRICK DE KERCKHOVE

Direttore del Programma McLuhan di cultura e tecnologia e professore del Dipartimento francese all'Università di Toronto (Canada). Il Programma McLuhan, così come il lavoro di McLuhan stesso, è indirizzato alla comprensione di come le tecnologie influenzano e influenzeranno la società. De Kerckhove promuove una nuova forma di espressione artistica, che unisce le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione. De Kerckhove è un consulente dei media e delle iniziative culturali, e ha partecipato nella preparazione e nell'ideazione del padiglione di Ontario all'Expo '92 di Siviglia (Spagna), all'esposizione Canada in Space e al Centro di trasmissione della Canadian Broadcasting Company. E' stato recentemente membro della commissione incaricata della progettazione di una politica culturale per la comunità francofona in Ontario e del Comitato governativo di Ontario sulla strategia di telecomunicazioni. (fonte www.mediamenye.rai.it)

FRANZ FISCHNALLER E' nato a Bolzano. Dopo essersi diplomato in arte in questa città si è diplomato a Stoccarda presso l'Academy of Graphic and Fine Arts e a New York in Graphic Art in Fashion Techniques. Nel '95 ha fondato a Milano F.A.B.R.I.CATORS, un gruppo interdisciplinare che cerca l'integrazione di tecnologia, comunicazione, architettura, arte e design e affronta le questioni dell'interfaccia uomo-macchina. Ha lavorato a lungo in ambito tecnologico (grafica 2D e 3D, multimedia, realtà virtuale, Internet), e realizza i propri lavori in collaborazione con varie istituzioni, tra cui l'Electronic Visualization Lab (EVL) dell'Università dell'Illinois (Chicago), le Università di Pisa e di Milano e il Medienmuseum del ZKM (Zentrum für Kunst und Medientechnologie) di Karlsruhe. I suoi lavori sono stati mostrati in varie manifestazioni in tutto il mondo, tra cui a Documenta IX (Kassel, '92), al Medienmuseum (Karlsruhe, '94), al Media Park (Colonia, '94), all'Ontario Science Centre (Toronto, '94-95), al Siggraph (Los Angeles, '95), a Imagina (Montecarlo, '95), ad Ars Electronica (Linz, '95), al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica "Leonardo da Vinci" (Milano, '96), all'ISEA, a Mediartech (Firenze, '96), Ars Electronica (Linz, '99).

FLUXUS

L'appellativo Fluxus fu concepito nel 1961 negli Stati Uniti durante una serata musicale organizzata da George Maciunas, fondatore del movimento e della rivista omonima. Il progetto mirava alla fusione di tutte le arti, rispettandone comunque specificità di medium e di funzione (abolita dunque ogni distinzione tra categorie fisse come arti visive, musIca, teatro, letteratura ma anche tra arte colta e popolare, arti maggiori e minori). Se si parla di FLUXUS come di movimento, si deve subito chiarire che non lo si deve intendere come movimento d'avanguardia, provvisto cioè di un certo numero di principi e di un vero e proprio programma. Dell'avanguardia non ha più quella fiducia in un'utopia unificante, nel progresso scientifico e storico che sono ancora dell'Action Painting, del New-Dada, della Pop-Art o del Nouveau realism. Fluxus si è mosso e si muove piuttosto come un fronte mobile di individui e non come un gruppo codificato di addetti ai lavoro. Se in questo fronte confluiscono senza pregiudizi le esperienze delle avanguardie precedenti, si vogliono però abolire per quanto possibile i confini residui fra le varie discipline artistiche, fra artista e pubblico, fra arte e vita .. «L'artista non deve fare della sua arte una professione», aveva dichiarato Maciunas. «Tutto è arte e tutti possono farne. L'arte deve occuparsi di cose insignificanti, deve essere divertente, accessibile a tutti». All'origine di questo movimento si possono individuare fenomeni strettamente connessi quali gli happenings (primo tentativo di fusione tra diverse forme di espressione), la lezione di Dada (in particolare di Duchamp) e l'insegnamento liberatorio della musica sperimentale di J. Cage a NewYork. Più che un movimento che ha elaborato modi espressivi ben definiti, il Fluxus è un'atteggiamento nei confronti della vita, un tentativo di eliminare ogni separazione tra esistenza e creazione artistica. Gli esponenti di questo movimento, con una serie di azioni di "disturbo" contro tutte le codificazioni di arte come oggetto di consumo, hanno operato una sorta di progressiva "contaminazione" raccogliendo adesioni da ogni paese . Le opere d'arte consistono infatti soprattutto di eventi o di assemblaggi che traggono spunto e materie dal quotidiano per ricombinarlo e ristrutturarlo in un nuovo orizzonte, talvolta sorprendente, sempre comunque anche con la collaborazione del caso, della parte non intenzionale dell'uomo. Attraverso l'opera, l'artista Fluxus vuole scoprire con occhi spregiudicati oggetti e possibilità attuali dell'uomo che altre forme di conoscenza si lasciano sfuggire, evidenziando, come dice giustamente Gino Di Maggio, la realtà spettacolo del mondo ed insieme "la possibilità di affermare la propria estraneità allo spettacolo, la propria differenza". Il gruppo fu eterogeneo, cosmopolita e richiamò operatori da diversi mondi culturali, l'America, l'Europa, l'estremo Oriente, e dalle più diverse tendenze e discipline: John Cage, Joe Jones, Nam June Paik, Charlotte Moorman, , , Ben (Vautier), , Giuseppe Chiari, , , , , Geoffrey Hendricks, Milan Knizak, Alison Knowels, , Gian Emilio Simonetti, tanto per citarne alcuni.

GUTAI

GUTAI o "avanguardia sotto il cielo" per l'abitudine ad allestire mostre all'aperto, è il nome di un gruppo fondato nel 1954 da Jiro Yoschihara ad Osaka, in Giappone, che ha attuato una vera e propria rivoluzione nell'arte contemporanea giapponese, rinnovandola profondamente ed accogliendo le innovazioni imposte da una nuova realtà sociale e culturale derivante dalla trasformazione industriale. Ispirato all'antico spirito zen, influenzato dall'informale dell'occidente (il termine esprime proprio il rapporto tra spirito e materia) soprattutto attraverso l'opera di Mathieu, rappresenta il tentativo del recupero di valori azzerati da una serie di avvenimenti traumatici susseguenti al secondo conflitto mondiale. Le forme espressive Gutai anticipano significativamente le esperienze avanguardiste degli anni '60, da John Cage a Yves Klein. Kagaku Murakami, Kazuo Shiraga, Atsuko Tanaka, Sadamasa Motonaga, Shozo Shimamoto, Akira Kanayama, Michio Yoshibara, Toshio Yoshida, sono i più originali interpreti del movimento.

EDUARDO KAC

Nato nel 1962 a Rio de Janeiro, Brasile. Artista, scrittore, ricercatore e dottorando presso il Centre for Advanced Inquiry in Interactive Arts (CAiiA) della University of Wales, Newport. É assistente alla cattedra di Arte e Tecnologia alla School of the Art Institute of Chicago. Kac si definisce "artista transgenico" e afferma di non essere affatto interessato alla creazione di "oggetti genetici". Le sue opere, che spesso connettono spazi virtuali e spazi fisici, propongono vie alternative alla comprensione del ruolo dei fenomeni di comunicazione nella formazione/costruzione di realtà consensuali. Conosciuto internazionalmente negli anni ottanta come pioniere della Holopoetry e della Telepresence Art, negli anni '90 creò le nuove categorie di Biotelematica (arte in cui il processo biologico è intrinsecamente connesso alle reti digitali) e Arte Transgenetica (nuova forma d’arte basata sull’uso delle tecniche di ingegneria genetica al fine di creare organismi viventi unici). Kac unisce media e processi biologici molteplici al fine di creare ibridi attraverso le operazioni convenzionali dei sistemi di comunicazioni attuali. Ha impiegato la telerobotica spinto dal desiderio di convertire lo spazio elettronico da strumento di rappresentazione a strumento di agenzia remota. Egli ha creato opere nelle quali le azioni condotte dai partecipanti via Internet hanno una diretta manifestazione fisica nello spazio remoto della galleria. Eduardo Kac ipotizza la manipolazione diretta del materiale genetico per ottenere nuove forme di vita anche di quelle che rientran nel patrimonio immaginifico dell'umanità. L'arte transgenica secondo l'artista e' una nuova forma d'arte basata sull'uso delle tecniche dell'ingegneria genetica per trasferire geni in un organismo o per trasferire materiale genetico naturale da una specie all'altra per creare esseri viventi unici. La telepresence art ha creato inoltre la possibilità di una nuova modalità di partecipazione in gruppo. Questa nuova arte è collaborativa e interattiva, abolisce lo stato unidirezionale tradizionale caratteristico della letteratura e dell’arte. Kac ha "realizzato" Alba, un coniglio albino unico nel suo genere: esposto ad una luce particolare, diviene fluorescente e risplende di luce verde, indubbiamente un animale molto speciale, ma Kac tiene a precisare che il suo essere unico dal punto di vista fisico nonché genetico rappresenta solo una delle componenti dell'opera d'arte "GFP Bunny". Il progetto"GFP Bunny", è infatti un complesso evento sociale che comincia con la creazione di un animale chimerico che non esiste in natura. GFP Bunny, comprende lo sviluppo di un dialogo tra esperti di varie discipline (arte, scienza, filosofia, diritto, letteratura, scienze sociali e della comunicazione) e il pubblico in merito alle implicazioni culturali ed etiche dell'ingegneria genetica; l'estensione del concetto di "biodiversità" ; il rispetto e l'apprezzamento per la vita di un animale transgenico. olografica o olopoesia é concepita costruita e rappresentata tramite la tecnica degli ologrammi.

Sito web ufficiale : www.ekac.org Sitografia delle opere: www.ekac.org/uirapuru.html; www.ekac.org/geninfo.html; www.ekac.org/timec.html;www.ekac.org/teleporting; www.ekac.org/raraavis.html; www.ekac.org/gfpbunny.html.

Bibliografia: E. KAC, Holopoetry. Essays, manifestoes, critical and theoretical writings, New Media Editions, Lexington, 1995 It’s not easy being green!, 300 (Ed.), 2003 P. TOMAZ DOBRILA e A. KOSTIC, Eduardo Kac: Teleporting an Unkown State, Kibla, Maribor (Slovenia) 1998 Telepresence, Biotelematics, Transgenic, Maribor (Slovenia) 2002

Sitografia: www.contentodesign.it/cont/autori/kac, La poesia nell' epoca del newmedia, originalmente pubblicato su "ExibArt", Firenze, 29 ottobre 2001, www.exibart.com mitpress2.mit.edu/e- journals/Leonardo, "Leonardo Digital Reviews", ottobre 2001 www.dr.dk/harddisk/arsdag5C, "HardDisken", 10 settembre 1999 www.geneart.org/genome-kac.htm, Picturing DNA, november 2000 www.uol.com.br/folha/ciencia, "Folha de São Paulo", 7 ottobre 2000, p. 18 www.artscope.net/NEWS/Eduardo_Kac, "Artswire", 26 settembre 2000 www.3sat.de, Neongrün ist die Hoffnung, "Der Künstler" arts.cn.tom.com, "TOM.COM", Hong Kong, novembre 2001 (fonti: www.ekac.org; wikiartpedia)

LUIGI PAGLIARINI

Luigi Pagliarini, è direttore dell'Associazione Artificialia ed insegnante dell'Accademia di Belle Arti di Roma. - Laureato in psicologia, Luigi Pagliarini è artista elettronico, esperto in robotica ed intelligenza artificiale. Si è occupato anche di entertainment, edutainment, e progettazione multimediale. - Ha lavorato come progettista ed esperto in comunicazione ed interaction design per multinazionali (ad es. LEGO, SONY, BANDAI) ed aziende (Telecom, Trainet, Entertainment Robotics, Commotion Group) in ambito IT (software design e robot design). Ha lavorato come ricercatore per diverse università (Informatica, Ingegneria, Psicologia), enti ed istituti di ricerca (CNR – Istituto di Psicologia, Alenia, Selenia, Istituto Montecelio).

(fonte: www.artificialia.com/luigi)

FRANCO TORRIANI

Franco Torriani (Torino, 1942) è laureato in Economia all'Università di Torino, dopo aver studiato, specialmente in Olanda, le relazioni tra alcuni aspetti del sistema fiscale e il contesto sociale. E' consulente in risorse umane e strategie di comunicazione, organizzatore culturale. Scrive su numerosi giornali e riviste. E' stato coautore di varie opere che sono state presentate in eventi come il Festival d'Avignone e la Biennale di Venezia. Uno dei suoi principali interessi di ricerca è il campo delle relazioni tra scienze, tecnologie, nuovi e vecchi media. E' membro di ArsLab (Torino) ed è Presidente delle Pépinières Européennes pour Jeunes Artistes, Marly-le-Roi (Francia). E' advisor di Noema. (fonte: www.noemalab.org)

Sitografia∗

www.ace.uci.edu/penny/works/petitmal/petitcode.html www.andreja.org www.arc1.uniroma1.it www.arte.go.it www.artegiovane.it www.artificialia.com www.beallcenter.uci.edu www.carlpisaturo.com/ROB/index.html www.cat.nyu.edu/parkbench www.comune.milano.it/webcity/documenti.nsf www.cut-up.net www.cyborg.com.hr/what-is-cyborg.php www.deagostiniedicola.it/collezioni/idroid_01/index.html www.delos.fantascienza.com www.digicult.it/ www.dvara.net/HK/ethic.asp www.dvara.net/HK/gallery/formenti/doc.htm www.egs.edu www.ekac.org/carnelos.html www.ekac.org/robotichronology.html www.erewhon.ticonuno.it/arch/1999/artific/stelarc/stelarc 1.htm www.fondazionebassetti.org

∗ La presenza on line dei seguenti siti sono è stata verificata nel settembre 2005

www.frc.ri.cmu.edu www.fridakahlo.it www.idra.it/cyberia/IpreArta.htm www.jekyll.com www.joshspear.com/item/toy-design-contest-winner www.jp.aibo.com /index.html www.kyuzz.org/mir/ www.lafura.com/entrada/index2.htm www.low-fi.org.uk www.lutherblissett.net www.megghy.com www.mtsn.tn.it/robot/robotica.html www.museocivico.rovereto.tn.it www.neural.it www.nipponico.com www.performingmedia.org www.perso.wanadoo.fr/marxiens/politic/tiqqun.htm www.pitturaedintorni.it queue.ieor.berkeley.edu/~goldberg/garden/Ars/ www.random-magazine.net www.rhizome.org www.robot.deagostini.it/magazine/link.html www.sonystyle.com www.srl.org www.strano.net/bazzichelli/articoli.html www.stelarc.va.com.au www.teatron.org www.teknemedia.net/magazine/cultura_digitale www.teknemedia.net/news www.thetech.org/robotics/robotart www.thetech.org/robotics/robotart/chico.html www.thetech.org/robotics/robotart/clayton.html www.thetech.org/robotics/robotart/marque.html www.tils.com www.unita.it www.wifi-art.com www.wikipedia.org/wiki/Robotica www.wirednews.com

Bibliografia

U. ARTIOLI e F. BARTOLI (a cura di), Il mito dell’automa. Teatro e macchine animate dall’antichità al ‘900, Artificio, Firenze, 1999

I. ASIMOV, Tutti i racconti, volume secondo, Mondadori, Milano 1992

J. e I. ASIMOV, I segreti di Norby, Mondatori, Milano 1986

A. BALZOLA e A. M. MONTEVERDI, Le arti multimediali digitali, Garzanti, Milano 2004

R. BARILLI, L’arte contemporanea, Feltrinelli, Milano 2002

K. ČAPEK, R.U.R., Einaudi,Torino1971

P. L. CAPUCCI (a cura di), Il corpo tecnologico, Baskerville, Bologna 1994

A. CARONIA, Il Cyborg, Theoria, Roma-Napoli, 1991

D. HARAWAY, Manifesto Cyborg, Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, (a cura di) L. Borghi, Feltrinelli, Milano 1995

F. FABBRI, I due Novecento, Manni, San Cesario di Lecce 2003

G. O. LONGO, Il cervello nudo, con prefazione di G. Zanarini, La Contrada, Trieste, 1998

L. MANOVICH, Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2002

G. MEYERINK, Il Golem, Bompiani, Milano, 1977

TIQQUN, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, Bollati Boringhieri, Torino 2003

F. TORRIANI, Arte esatta. Approcci di critica analitica, Efin, Torino 1974

H. WÖLFFLIN, Concetti fondamentali della storia dell'arte, Neri Pozza, Vicenza1998

Cataloghi d'arte

AA.VV. Ars Lab, Forme e colori, meccanismi ed esperimenti, Arti Grafiche Giacone Chieri, Torino1992

AA.VV., Ars Lab, Metodi ed emozoni, Arti Grafiche Giacone Chieri, Torino 1992

AA.VV., Ars Lab, i sensi de virtuale, Fabbri Editori, Milano 2005

Image Festival 2005, Film& video/New media/ Istallation

Festival Art Ousiders 2003, Space Art

G. VALLESE (a cura di), 51ª Biennale di Venezia, Giorgio Mondadori, Milano2005

Documenti

S. BARBACCI , Dal Golem all’intelligenza artificiale: la scienza in teatro per una riflessione esistenziale, Master in Comunicazione della Scienza, Sissa, Trieste 2001

APPARATO ICONOGRAFICO

1. Immagine tv della sigla del Carosello, 1957-1977

2. Aibo, il robot-dog, Sony, 1999

3. Asimo, robot umanoide, Honda, 2000

4. La copertina della collezione a fascicoli "Costruisci il tuo robot!", 2005

5. La ricostruzione tramite computer grafica dell'automa progettato da Leonardo da Vinci, 1495 6. Uno dei progetti di automazione leonardesca, 1495

7. Meccanismo del suonatore di flauto traverso, automazione creata da J. de Vaucanson, 1738

8. I. Manzetti, Suonatore di flauto, 1848-49

9. Immagine dal film Blade Runner, Ridley Scott, 1982

10. M. Sironi, Il camion, 1914 11. (destra) F. Depero, Ballerina idola (meccanica di ballerini), 1917

11. B. Munari, uno delle sue "macchine inutili", 1933 12 (destra) C. Laroche, Le mime,

12. A. Calder, esempio di mobiles, anni '30

13., 14. J. Tinguely, J. Tinguely, esempi di macchine inutili, anni '50

15. N. Shöffer, CYSP 1, 1956

16., 17. (destra) N. J. Paik, Robot K-456, 1964

18. N. White, Menage, 1974

19. J.Seawright, Watcher, 1965-66

20. T. Shannon, Squat, 1966

21., 22 (sotto) T. JANSEN, Animaris, 1980-2000

23., 24 (sotto) K. Goldberg, Telegarden, 1983

25. S.R.L. (Survival Research Laboratories), costruzione di un robot in studio, 2005

26. S.R.L. (Survival Research Laboratories), momento di uno spettacolo, 2005

27. A.R.W. (Amorfic Robot Works), Chico MacMurtrie con Skelli, 2000

28. A.R.W. (Amorfic Robot Works) e Chico MacMurtrie, progetto per Urge

29. Mutoid Waste Company, cane robotico, anni '90

30. Stelarc, la terza mano, 1981

31. X-Space, Winke Winke, 1993

32. P. de Simon,Petit Mal,1993

33. U. Gabriel, Terrain_01, 1993

34. P. Demers, B. Vorn, L'Assemblèe, 2004

35. L.Pagliarini, LifeGrabber, 2003

36. Fura dels Baus, un momento di una performance, 2000

37. F.A.B.R.I.C.A.T.O.R.S., Pinocchio Interactive, 2000

38. F. Formenti, Bio Doll, 2005

39. A. Kuluncic, Cyborg Web Shop, 2004

Indice delle illustrazioni

TAV. II

1. Immagine-fotogramma dalla sigla del Carosello, 1957-1977. Tratta da: www.sipra.it/eventi/carosello/corpo.html. 2. Aibo, robot-dog Sony, 1999. Tratta da www.sony.net. Copyright 2005 Sony Corporations 3. Asimo, robot umanoide, Honda, 2000. (C) Honda Motor Co., Ltd. Tutti i diritti riservati.

TAV. III

4. La copertina della collezione a fascicoli "Costruisci il tuo robot!", 2005. Tratto da: www.deagostiniedicola.it. Tutti i diritti riservati. 5. La ricostruzione tramite computer grafica dell'automa progettato da Leonardo da Vinci, 1495. Tratto da: www.news.bbc.co.uk 6. Uno dei progetti di automazione leonardesca, 1495. Tratto da: www.thocp.net/reference/ robotics/robotics.html 7. Meccanismo del suonatore di flauto traverso, automazione creata da J. de Vaucanson, 1738. Tratto da: www.automates-ancient.com. Copyright Til Production 2001

TAV. IV

8. I. Manzetti, Suonatore di flauto, 1848-49. Tratto da: www.xoomer.virgilio.it 9. Immagine dal film Blade Runner, Ridley Scott, 1982 10. Fortunato Depero, Ballerina idola (Meccanica di ballerini), 1917

TAV. V

11. B. Munari, uno delle sue "macchine inutili", 1933 12. A. Calder, esempio di mobiles, anni '30 13., 14. J. Tinguely, esempi di macchine inutili, anni '50

TAV. VI

15. N. Shöffer, CYSP 1, 1956 16., 17. N. J. Paik, Robot K-456, 1964 18. N. White, Menage, 1974

TAV. VII

19. J.Seawright, Watcher, 1965-66. Guggenheim Museum New York 20. T. Shannon, Squat, 1966 21., 22 T. JANSEN, Animaris, 1980-2000

TAV. VIII

23., 24 K. Goldberg, Telegarden, 1983 25. S.R.L., costruzione di un robot in studio, 2005. Immagine tratta da www.srl.org/shows/la2005

TAV. IX

26. S.R.L, momento di uno spettacolo messo in scena a Los Angeles nel 2005 27. AR.W., Chico MacMurtrie con Skelli, 2000 28. A.R.W. (Amorfic Robot Works) e Chico MacMurtrie, progetto per Urge

TAV. X

29. Mutoid Waste Company, cane robotico, anni '90 30. Stelarc, la terza mano, 1981 31. X-Space, Winke Winke, 1993

TAV. XI

32. P. de Simon,Petit Mal,1993 33. U. Gabriel, Terrain_01, 1993 34. P. Demers, B. Vorn, L'Assemblèe, 2004

TAV. XII

35. L.Pagliarini, LifeGrabber, 2003 36. Fura dels Baus, un momento di una performance, 2000 37. F.A.B.R.I.C.A.T.O.R.S., Pinocchio Interactive, 2000

TAV. XIII

38. F. Formenti, Bio Doll, 2005 39. A. Kuluncic, Cyborg Web Shop, 2004. Immagini tratte da www.cyborg.com