Roma Dopo GR
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Roma dopo la Grande Recessione Marco Causi, febbraio 2017 L’economia romana e il ciclo economico nazionale Per tutto il dopoguerra e fino all’inizio degli anni ’90 l’economia romana ha mostrato un carattere anticiclico: perdeva meno della media nazionale durante le crisi, guadagnava di meno durante le riprese. Un’economia che “ammortizzava” il ciclo, perché meno specializzata di altre economie territoriali nei settori orientati all’export e caratterizzata da un ampio terziario urbano, in particolare pubblico. Fra 1993 e 2011 questa tendenza si è invertita. Roma è cresciuta più del resto del paese fino al 2008, salendo nelle graduatorie del valore aggiunto pro-capite delle province italiane fino al quinto posto. Ha sofferto meno del resto del paese nei primi tre anni di crisi. Dal 2011 invece Roma - e con lei il Lazio, di cui Roma rappresenta più dell’80 per cento in termini di valore aggiunto e occupazione - ha subito i colpi della crisi con dimensioni superiori rispetto a quanto successo nel resto del paese. La contrazione del Pil reale è stata dell’1,5 per cento nel Lazio fra 2011 e 2015 contro 0,9 per cento a livello nazionale (vedi Fig. 1). Fig. 1. Prodotto interno lordo in volume. Variazioni percentuali 2011-2015. Istat, Conti economici territoriali Qualche segnale moderatamente positivo - sempre in confronto con le dinamiche nazionali – è emerso lungo il 2016, in particolare sul versante occupazione: +1,6 per cento nel primo semestre, circa 36 mila unità. In realtà l’occupazione è cresciuta a Roma e nel Lazio in misura superiore alla media nazionale fin dal 2013 (vedi Fig. 2). Fig. 2. Occupati e tasso di disoccupazione. Fonte: Istat, Indagine sulle Forze di lavoro Le dinamiche divergenti di Pil reale e occupazione nascondono due brutte notizie: la produttività è scesa del 7,5 per cento, i nuovi posti di lavoro sono presumibilmente concentrati in settori e posizioni a bassa produttività, basso valore aggiunto, basse remunerazioni. 1 Perché Roma va peggio dopo il 2011? In primissima analisi si possono segnalare cinque motivi principali. Il primo è legato al peso del settore pubblico sull’economia locale il quale, pur in riduzione, è ancora più elevato della media nazionale: la contrazione della spesa e dell’occupazione pubblica e il blocco pluriennale degli stipendi pubblici hanno esercitato un impatto relativamente superiore nella Capitale. Il secondo è legato alla forte crisi del settore edile e viaggia anche in questo caso attraverso un effetto di composizione, e cioè alla quota elevata del settore sull’economia locale al confronto con la quota nazionale, una quota che peraltro potrebbe essere stata in parte “drogata” dal boom dei valori immobiliari nella fase precedente l’inizio della Grande Recessione. Terzo, all’interno dei settori produttivi romani si è aggravata la forbice fra chi è riuscito a riposizionarsi e restare competitivo e chi è stato falcidiato dalla crisi perché arretrato e troppo indietro nelle dinamiche di innovazione e produttività. Approfondiremo questo punto nel prossimo paragrafo. Quarto, le disuguaglianze sono aumentate a Roma sensibilmente di più che nella media nazionale (vedi Fig. 3). Qui emerge una peculiare anomalia romana, che da sola influenza non solo, com’è naturale, il dato laziale ma anche quello dell’intero Centro Italia. A livello nazionale il reddito del quintile più elevato di famiglie si è ridotto lungo la crisi del 2 per cento, quello del quintile più basso di un po’ più del 2 per cento. A Roma invece il quintile più elevato mantiene quasi inalterato il livello di reddito familiare, mentre il quintile più basso segna una riduzione dell’8 per cento. Fig. 3. Indicatori di disuguaglianza, povertà ed esclusione sociale. Fonte: Banca d’Italia, L’economia del Lazio, giugno 2016 L’evidenza di un ampliamento così drammatico delle distanze economiche fra le famiglie romane, e il suo manifestarsi con intensità sensibilmente superiori a quelle medie nazionali, meriterà ulteriori e più approfondite analisi (se ad esempio si tratti di un fenomeno soltanto romano, oppure comune alle grandi aree urbane). A questo stadio si può certamente ipotizzare, con buona confidenza, che la divaricazione all’interno del mondo delle imprese e delle attività produttive, cui poco sopra si è accennato, ha esercitato pesanti effetti sulle condizioni sociali e che la tenuta dei redditi più alti potrebbe essere connessa a un’elevata componente di rendita. L’aumento delle distanze sociali si verifica insieme a un aumento dei divari socioeconomici fra i diversi territori interni all’area urbana: divari sociali e divari spaziali si interconnettono, con nessi di causa-effetto tutti da indagare, e determinano quello che è comunemente chiamato un aumento delle distanze fra centro e periferia, sul quale ci soffermeremo più avanti. Infine, il quinto motivo che può aiutare a spiegare la divaricazione negativa fra gli andamenti economici di Roma e del resto d’Italia è la contrazione degli investimenti pubblici. Essa è stata non solo rilevante ma superiore alla media nazionale, per conseguenza di due fattori. Primo, la crisi finanziaria degli enti locali (Comune e Regione): secondo i Conti pubblici territoriali dell’Istat gli investimenti pubblici effettuati dal complesso degli enti locali e regionali nel Lazio ammontano allo 0,6 per cento del Pil contro un valore nazionale dell’1 per cento (dato 2014). Secondo, l’assenza nell’area metropolitana romana di un quadro di programmazione specifico delle risorse nazionali per gli investimenti strategici aventi rilievo nazionale. Un’assenza che deve indurre a una riflessione, visto che la maggior parte delle aree metropolitane italiane, da Bari a Catania, da Torino e Milano a Napoli, sono oggi beneficiarie di appositi Contratti istituzionali di sviluppo all’interno dei quali vengono co- decisi e co-finanziati da Stato, Regione e Comuni gli investimenti prioritari. L’assenza di una programmazione condivisa per Roma chiama in causa, in parti uguali, una responsabilità nazionale – si potrebbe quasi dire che Roma è una Capitale tradita dal suo Stato – e una responsabilità locale: da molti, troppi, anni ormai Roma non riesce a dotarsi di una classe dirigente locale capace di progettare e programmare, e perciò stesso capace di contrattare e co-decidere con lo Stato e la Regione. Nel caso del Comune di Roma il crollo della capacità d’investimento è clamoroso, quando solo si pensi che il bilancio di previsione 2017 ne contiene appena 115,6 milioni. Prima del 2008 si viaggiava su 4-500 milioni all’anno. Nel 2015 il Comune ha rendicontato 451,2 milioni di investimenti, di cui però all’incirca 100 erano destinati al Giubileo (metà a carico dello Stato e metà a carico del Campidoglio). Un tessuto economico sempre più divaricato al suo interno Roma e Lazio contano per circa il 10 per cento dell’export nazionale di beni e circa il 22 per cento dell’export nazionale di servizi. Queste quote sono in crescita costante, anche negli ultimi anni: l’export romano-laziale, insomma, cresce più di quello nazionale (vedi Fig. 4 e 5). Questo significa che ci sono pezzi importanti di apparato produttivo industriale e terziario che 2 riescono a sostenere e vincere le sfide competitive. E pezzi altrettanto importanti che, invece, subiscono vistosi arretramenti. Con la conseguenza di crescenti divaricazioni. Fig. 4. Esportazioni di beni. Fonte: Banca d’Italia, L’economia del Lazio, giugno 2016 Le storie di “successo” sono ben note: aerospazio e farmaceutico nell’industria, anche se il farmaceutico ha una battuta d’arresto nel 2016; ICT e software ma anche servizi energetici nei servizi a tecnologia avanzata (qui è interessante sottolineare che, contrariamente alle previsioni catastrofiste che a metà anni ’90 venivano avanzate da chi difendeva i vecchi monopoli statali, Roma ha guadagnato dalle liberalizzazioni, perché è diventata la sede principale di tutti i nuovi player entrati o cresciuti sul mercato); alcuni pezzi di PMI nell’impiantistica; meno bene del previsto l’audiovisivo, che comunque conferma e consolida quello romano come il principale “distretto” italiano. Nei servizi alle imprese Roma è diventata esportatrice netta nel campo dei servizi professionali e della ricerca e sviluppo. Il turismo è costantemente cresciuto dopo la crisi del 2009-2010 (vedi Fig. 6). Fig. 5. Esportazioni di servizi. Fonte: Banca d’Italia, L’economia del Lazio, giugno 2016 Fig. 6. Esportazioni di servizi turistici. Fonte: Banca d’Italia, L’economia del Lazio, giugno 2016 Le storie di “insuccesso” e di crisi sono purtroppo altrettanto numerose: pubblico impiego, edilizia, ampi settori di PMI tradizionali nell’industria e nell’artigianato, distribuzione commerciale, e poi tanti servizi tradizionali (dai servizi alle persone ai servizi pubblici locali, in particolare nei comparti trasporti e ambiente). Qui la crisi deriva dall’arretratezza (produttiva, tecnologica, organizzativa, di capitale umano) che caratterizza ampi settori di terziario urbano, sia privato che pubblico. 3 Insomma, mentre da un lato il sistema produttivo romano-laziale costruisce componenti satellitari all’avanguardia o brevetta cure farmaceutiche di avanguardia, dall’altro lato soffre di un enorme gap di innovazione, soprattutto nel terziario tradizionale, privato e pubblico. Queste divaricazioni si trasmettono sul sociale - sul peggioramento della distribuzione dei redditi - aggravate da altri fattori: il peso della rendita; la sostanziale capacità di tenuta dei redditi alti, anche grazie alla componente di rendita; l’aggravarsi dei divari spaziali