La Storia Civile Religiosa E Economica Di Castellamonte
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MICHELANGELO GIORDA La Storia Civile Religiosa ed Economica di Castellamonte Canavese 1 IVREA Tipografia E. GIGLIO TOS 1953 2 PREFAZIONE Questa non è una prefazione. E' una presentazione, o meglio, un cenno sull'autore del volume. Sull'opera il giudizio lo darà il lettore quando avrà scorso le non poche pagine di questa storia paesana (un tempo si sarebbe detto "strapaesana") e si sarà convinto, spero, che il lavoro meritava di uscire dal cassetto dell'autore, il quale — sia detto per la verità — ha dato il suo consenso per la stampa solo dopo reiterate insistenze. Codeste parole introduttive vogliono essere anche un atto di fede. Credo in Michelangelo Giorda, la cui attività di studioso seguo da oltre vent'anni; credo nella sua preparazione e alla serietà storica del suo lavoro perché mi sono note la ricchezza delle fonti a cui egli ha attinto e l'importanza dei documenti compulsati, di cui numerosi di prima mano. Ritengo che pochi siano coloro i quali conoscono con cognizioni pari alla sua, uomini e cose della regione canavesana. Michelangelo Giorda, nel romitorio della sua casetta, su in cima alla Crosa, ha per anni sfogliato, letto, annotato vicende dei nostri antenati e le ha riassunte in un'ampia e particolareggiata sintesi che condensa, geologia, geografia, storia e folclore di 3 questa sempre giovane piccola patria canapiciana. Nella sua opera egli ha inteso infatti portare alla ribalta glorie e miserie del primitivo e autentico Canavese e ricordare che quando il Canavese perdette la sua autonomia, volle concentrarsi su Castellamonte, assumendola come prototipo della vita sociale, economica e religiosa di tutti i grossi borghi degli antichi Stati Sabaudi. Ritengo sia riuscito nella sua fatica e con me lo hanno ritenuto gli amici della "Pro Loco" di Castellamonte che, ripresa una simpatica iniziativa di Michelangelo Rolando, si sono fatti promotori della presente esemplare edizione. A Michelangelo Giorda la vita ha negato molte delle gioie che ha concesso a noi, meno l'affetto dei suoi cari, che non ha limiti e ciò è per lui sommo conforto e ragione di vita. A questo affetto dei familiari si aggiungono l'ammirazione e l'amicizia di coloro che con la edizione della sua opera hanno inteso farlo conoscere ai concittadini e segnalarlo alla cerchia degli studiosi di storia piemontese, il cui giudizio critico, amo sperare, non sarà molto diverso dal mio. Castellamonte, agosto 1953. CARLO TRABUCCO 4 I. IL CANAVESE ANTICO 1. I SALASSI I primi abitatori storici di questa nostra patria canapiciana, nel cui sottosuolo si sono scoperte vestigia di antiche popolazioni lacustri 1, furono quei Salassi che taluni affermano Celti di ceppo ligure, altri derivano dagli Illirici Taurisci ed altri infine ritengono Galli 2. I Salassi, stanziati nel bacino dell'Orco e della Dora Baltea, confinavano ad est coi Libici (Vercellesi) e coi Victumuli (Biellesi), a nord coi Ceutroni (Tarantasi), ad ovest e a sud coi Taurisci (Torinesi), e vissero indipendenti sino alla discesa di Annibale (356 di Roma), che occupata Taurasia col suo territorio, assoggettava i Canavesani (Salassi inferiori) e li cedeva, come spoglia nemica, ai suoi partigiani subalpini. Ai quali venivano presto sottratti da Roma uscita vittoriosa dall'epica lotta e da questa assegnati al suo cliente susino Giulio Cozio, in forza della legge, allora comune, per cui la terra di conquista — uomini e cose — passava in assoluto dominio del vincitore. Incominciava cosi la romanizzazione della plaga, non interrotta dalle spedizioni di Appio Claudio Fulcro (611 di Roma), il quale ebbe a contrastare soltanto coi Salassi superiori o valdostani, la cui definitiva assoggettazione è troppo nota perché occorra qui ricordarla. E' presumibile, pertanto, supporre che il Canavese, avanti lettera, il territorio, cioè, posto fra i torrenti Chiusella a est e Mallone a ovest, limitato al nord dalle Alpi e a sud dalle foreste, albergasse sin d'allora una 1 Torbiera di San Giovanni. «Poco si sa dell'età del bronzo in Piemonte. Il giacimento più importante sembra la torbiera di S. Martino presso Ivrea, con avanzi di palafitte. Vi si scopersero ben 2 canotti, uno dei quali con remi a pala, frammenti ceramici analoghi a quelli di Mercurago, galleggianti da rete in legno, pietre lavorate e selci, due spilloni e un pendaglio di bronzo, quest'ultimo, forse, di età posteriore». G. PATRONI, Storia politica d'Italia. La preistoria. (Vallauri - Milano). Parte II, pagg. 664. 2 C. PROMIS - Storia dell'antica Torino (Stamperia reale - Torino 1869) Gap. I, pagg. 12 e segg. 5 popolazione relativamente densa, sparsa sulle pendici dei monti o raggruppata in villaggi di qualche importanza ubicati allo sbocco delle valli, dedita principalmente all'agricoltura ed alla pastorizia. E' naturale, infatti, che i montanari, migranti, come tuttora, dall'« Alp » o baita estiva, all'invernale « Can-ava », o cascina in riva al fiume, fossero in prevalenza mandriani e solo secondariamente boscaioli, carbonari e minatori; mentre i valligiani dovevano, evidentemente, essere prima di tutto agricoltori e solo in via eccezionale artigiani e mercanti. Tutti poi erano indistintamente cacciatori per passione e per difesa. Dico per difesa in quanto, oltre a camosci e stambecchi, (già peraltro assai rari), a caprioli, a lepri, (fra cui la bianca), a marmotte, tetrai e pinnacoraci, s'incontravano qui lupi, orsi, cinghiali, forse ancora bisonti dannosissimi all'agricoltura. Questa era talmente progredita che i Salassi sapevano tendere la vite sui pergolati od associarla al pioppo, all'olmo, al frassino, al fico ed all'olivo; avevano seminato la segala prima dei Romani; conoscevano frumento, miglio, panico, baccelli, farro, avena, lino, papavero e saggina; usavano la pratica del sovescio e della concimazione chimica a base di cenere; allevavano ovini, bovini ed equini e curavano particolarmente l'irrigazione 3 In proposito, anzi, amo attribuire ai Canavesani quella sottrazione di acque a danno della pianura che Strabone 4 lamenta come causa di ostilità fra le tribù sorelle e come uno dei pretesti, se non il principale, dell'intervento romano fra i Salassi. Escluso, infatti, in modo assoluto che l'acqua derivata da un fiume o da un torrente, per una chiunque necessità agricola od artigiana, potesse qui perdersi nel sottosuolo, per spiegare la deficienza d'acqua d'irrigazione del fondo valle, bisogna riferirsi ad un deviamento dell'alveo naturale. Ora in un sol punto del loro distretto potevano i Salassi voltare un corso d'acqua da un versante ad un altro, rendendo sterile una zona e fertile l’opposta, punto che va cercato all'imbocco della valle Chiusella, là dove 3 C. PROMIS - Storia antica di Torino (o.c.) cap. V 4 STRABONE, geog. IV. 6 incerta è la linea di displuvio fra il bacino dell'Orco e quello della Dora. A conferma della mia ipotesi ricorderò, ancora, che i Salassi erano, come osserva Polibio, molto esperti nel dar corso ai torrenti, nella costruzione dei ponti e, ciò che non guasta, abilissimi minatori. In pieno esercizio erano, infatti, sin d'allora le miniere di rame, ferro ed argento delle valli e particolare rinomanza dovevano godervi quelle di Traversella, Brosso e Ceresole; l'oro che, a detta di taluno, sarebbe stata la causa prima della invasione romana 5, lo si trovava nella sabbia di tutti i torrenti e specialmente in quella del fiume dell'oro (èva d'or), l'Orco, cioè, che porta nella radice or = aur il nome del metallo da cui s'intitola. Le alture, infine, erano fittamente arborate da conifere, faggi, castagni, roveri e ceni, frammezzati da frassini, noci, noccioli, cornioli, ontani, carpini, olmi, tigli, aceri e da altre piante di minor taglio. Il castagno però che, strano a dirsi, non sarebbe indigeno del bacino padano, dove sarebbe stato introdotto in epoca preromana a spese particolarmente del faggio, il castagno, ripeto, costituiva, come ancor oggi, il vero dominatore della zona montana e scendeva giù in basso sino a lambire la fascia più o meno larga di prati, campi e vigne, sorta da tempo attorno ai villaggi salassi e pressata a sud dalle grandi foreste Fullicia e Gemina. 2. DOMINAZIONE ROMANA II Canavese, questo nostro « pagus » a cavallo dell'Orco, fu dai Romani sottoposto amministrativamente ad Ivrea e a Torino e suddiviso in comunità plebee godenti autonomie quasi municipali. Roma vi stanziò sicuramente delle colonie assegnando loro delle vaste aree (agri pubblici), donde derivò qualche latifondo, ma non riuscì ad infrangere il regime della piccola proprietà ereditato dai Salassi e rivelatosì tanto conforme alla natura del paese e al temperamento degli abitanti da resistere alle stesse invasioni posteriori. Essa si 5 C. BARBAGALLO - Storia Universale (U.T.E.T., Torino 1932) Vol. II, parte I., pag 538 7 attestò, poi, nella zona con la fortezza piantata strategicamente alla confluenza delle valli e chiamata « castra Salassorum », vi si consolidò con l'accampamento risalente ad Eugenio, l'avversario di Teodosio e detto perciò « castra Eugenia o Eugenii » (Ozegna) e vi si affermò con l'oppidum o vicus di San Ponzo, con quelli di Brosso e di Lugnacco, i cui templi furono riconsacrati al culto cristiano 6 e con qualche villa di scarsa importanza. E' questa la ragione per cui, a ricordo della sua dominazione, ci rimangono solo poche lapidi, urne, patere ecc. ricavate dai cimiteri di Torre Bairo, Baldissero, Vespiolla e forse da quello antico di Castellamonte 7. Né è il caso di stupirsene, in quanto il Canavese, privo di valichi alpini, appartato dalle grandi vie di comunicazione e percorso da una sola arteria di importanza