La Sfida Coppi Bartali

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La Sfida Coppi Bartali Alfredo Liberi Le grandi sfide tra Coppi e Bartali Alfredo Liberi Le grandi sfide tra Coppi e Bartali Essendo nato nel 1944, l’unico mio ricordo dal vivo di Coppi e di Bartali, risale al Giro del 1953, quan- do la corsa transitò proprio sotto le finestre di casa mia. Era la 12^ tappa Modena-Genova e il rifornimento era posto proprio in viale Italia, dove abitavo. A quei tempi durante il rifornimento la corsa veniva neutralizzata per almeno un quarto d’ora. Ogni squadra allestiva un pro- prio tavolo dove i corridori, scesi di bicicletta, poteva- no rifocillarsi, rinfrescarsi e sgranchirsi le gambe prima di affrontare la seconda parte della tappa. Considerato che, in assenza di televisione, il ciclismo era uno sport pressocchè “invisibile”, dove solo per un fugace attimo l’appassionato poteva cogliere al volo la sagoma del suo campione preferito mentre gli transitava davanti, quale occasione migliore per poterli ricercare e ammirare con tutta calma? Preceduti dalla lunga carovana pubblicitaria e dal- le staffette, i corridori arrivarono tutti in gruppo, accom- Le grandi sfide pagnati dal tipico fruscio che producono decine e decine tra Coppi e Bartali di ruote sull’asfalto. Si fermarono e vociando come una Premessa scolaresca durante l’intervallo delle lezioni, diedero l’as- salto alle tavolate imbandite Quel giorno in maglia rosa (e quindi facilmente di- stinguibile) c’era lo svizzero Hugo Koblet. Bartali, che aveva ormai quasi 39 anni, indossava la sua maglia tri- colore conquistata l’anno prima battendo Coppi sul Ghi- sallo al giro di Lombardia. Se ne stava all’ombra dei pla- tani di viale Italia a discorrere con un paio di persone “in borghese”, sbocconcellando un panino mentre un mec- canico armeggiava intorno alla sua bici. Coppi invece quel giorno non era interessato a socializzare. Con la bici al fianco, attraversò la strada, diretto al bar ancora oggi esistente verso viale S.Bartolomeo. Forse voleva bersi un caffè in santa pace oppure, più semplicemente, cercava 5 solo un bagno. Transitò proprio sotto il balcone dove ero appostato e non potei trattenermi dal chiamarlo. Da bar- taliano incallito evitai accuratamente ogni esagerazione tipo “Forza Fausto” o cose del genere.... Mi limitai a un semplice “Coppi, Coppi!”. Ero tre metri sopra di lui e non potè fare a meno di alzare la testa. Io mi sbracciai a salu- tarlo e lui mi sorrise per un attimo, come si può sorridere a un bambino di nove anni e alzò la mano sinistra (con la destra reggeva la bici). Da lì a otto giorni, nella mitica tappa Bolzano-Bormio, nella quale si scalò per la prima volta lo Stelvio, avrebbe strappato la maglia rosa allo svizzero, vincendo così il suo quinto Giro d’Italia. Da lì a un mese e mezzo si sarebbe fatto beccare da un paparaz- zo francese in compagnia della Dama Bianca, mentre sui tornanti del Tourmalet applaudiva scherzosamente, da spettatore, il transito di Bartali. Da lì a due mesi e mezzo avrebbe trionfato a Lugano, conquistando la maglia iri- data e raggiungendo così l’apice della sua carriera. Poi, dopo una ventina di minuti, cominciarono a trillare i fischietti della giuria. La ricreazione era finita: i corridori rimontarono in bici raggruppandosi dietro la macchina del Direttore e lentamente si rimisero in mar- cia verso Genova. Dedico questo ricordo dei due grandi campioni a tutti i giovani che non hanno potuto conoscerli e che ne hanno sentito parlare solo in tv o sui giornali, affinchè possano meglio comprendere la natura e i principali epi- sodi della loro rivalità che divise l’Italia di quei tempi. Lo dedico anche a chi ancora ha la forza per ap- passionarsi a questo sport, allora popolare quanto e più del calcio, ma che oggi rischia di scomparire a causa dei continui scandali e scandaletti dovuti al doping. Nella stesura di questo lavoro mi sono ampliamen- te avvalso dei seguenti eccellenti testi, che invito tutti gli 6 appassionati a leggere per una più approfondita cono- scenza del ciclismo anni ’40 e ’50: Leo Turrini “Bartali – L’uomo che salvò l’Italia pe- dalando” Ed. Mondadori 2004 Daniele Marchesini – “L’Italia del Giro d’Italia” Ed. Il Mulino 2003 7 Quando i due si incontrarono per la prima volta, Bartali, professionista da soli 5 anni, era già considerato il più forte ciclista in attività, avendo vinto in breve tempo ben due Giri (1936 e 1937) e un Tour (1938). In quell’inverno 1939/40 il 26enne Bartali stava facendosi la gamba in vista della prima gara stagionale, la Milano-Sanremo, quando trovò sulla strada, dalle parti di Arezzo, un altro giovane ciclista dalla pedalata potente, e cadde subito in equivoco scambiandolo per un altro: “Tu devi essere Primo Volpi; mi hanno parlato di te, so che vai forte, complimenti”. Il supposto Primo Volpi fece una smorfia e rispose: “Signore, lei deve essere Gino Bartali. I complimenti li merita lei e non io. Comunque guardi che io mi chiamo Fausto Coppi, ho 20 anni e sono appena passato al professionismo”. Lo invitò a fare qualche chilometro insieme e bastò quella breve sgroppata a fargli capire che il giovanotto aveva stoffa e classe da vendere. Gli Le grandi sfide chiese se aveva già un’ingaggio (a quel tempo molti tra Coppi e Bartali corridori correvano come “indipendenti”, senza essere 1. Il Giro del 1940 stipendiati da un team) e saputo che era “libero” gli propose senz’altro di entrare nella Legnano. Coppi, naturalmente, accettò entusiasta. Bartali ne parlò a Pavesi, gran capo della Legnano, e fu cosa fatta, visto che alla Legnano non entrava nessuno che non fosse di gradimento di Bartali. Fin da subito a Bartali venne il sospetto di essersi portata una “serpe” all’inteno della squadra. Alla vigilia della corsa Pavesi tenne una riunione per definire la tattica. Bartali, il cui “verbo” era sacro, pontificò dicendo che era inutile spendere energie per andare a inseguire le fughe nella prima parte della gara. L’importante era tener d’occhio gli avversari più quotati fino a Savona. Poi ci avrebbe pensato lui. 9 Stava per aggiungere “E ora andiamo a mangiare”, quando dal fondo della saletta si alzò una mano e Coppi disse: “Veramente io non sono d’accordo”. Nel silenzio di tomba che seguì, Coppi spiegò che secondo lui non bisognava sottovalutare nessuna fuga e, anzi, bisognava approntare una tattica più aggressiva. Alla fine Pavesi mediò tra le due posizioni e si giunse a un compromesso. Per la cronaca, la gara si svolse secondo le previsioni. Il pivellino Coppi, infischiandosene degli ordini di scuderia, fece fuoco e fiamme nella prima parte di corsa, poi venne fuori Bartali che però non riuscì a staccare tutti e si presentò al traguardo di Sanremo con a rimorchio una decina di corridori che riuscì tuttavia a regolare in volata, vincendo per la seconda volta consecutiva la classica di primavera. Però fin da quel momento Bartali, grazie a quell’istinto congenito che hanno tutti i grandi campioni, capì che quel giovanotto gli avrebbe dato moltissimo filo da torcere in futuro. Come scrisse un famoso giornalista: “Achille aveva trovato il suo Ettore”, anche se ancora oggi molti dubitano chi dei due fosse Achille e chi fosse Ettore. In una Europa ormai in guerra da quasi un anno (l’Italia si trovava ancora in una situazione di non- belligeranza) stava per partire un Giro d’Italia quasi privo di rappresentative straniere. Erano presenti solo le nazionali della Spagna (franchista), della Germania (nazista) e della Svizzera (neutrale). Bartali era il grande e indiscusso favorito e nessuno avrebbe scommesso un centesimo bucato sulla possibilità che non mettesse in saccoccia il suo terzo Giro. Valetti (vincitore dei Giri 1938 e 39), Vicini e Mollo erano i candidati alle piazze d’onore. Prima della partenza, avendo perfettamente 10 intuito le potenzialità del nuovo pivello, e per evitare litigi in famiglia, Pavesi aveva fatto a Coppi un discorso chiarissimo: era troppo giovane e immaturo per poter puntare a vincere la grande corsa a tappe. Il suo compito era quello di aiutare lealmente Bartali, il quale in cambio lo avrebbe aiutato a vincere almeno una tappa. Molti oggi affermano che la vittoria di Fausto a soli 20 anni in quel Giro fu la vera causa iniziale del formidabile antagonismo che in futuro avrebbe diviso i due campioni. Il gregario che soffia il Giro al suo capitano... Ancora recentemente, quando Cunego fece fesso il proprio capitano Simoni al giro del 2004, questa balla è stata tirata nuovamente fuori. La pura verità è che Bartali, per cause imprevedibili, fu tagliato ben presto fuori dall’alta classifica e per spirito di squadra aiutò il proprio gregario a vincere. Senza il determinante aiuto di Bartali sulle Dolomiti, Coppi non sarebbe probabilmente neppure arrivato a Milano. Il momento cruciale di quel Giro, che ne avrebbe stravolto l’andamento, arrivò proprio alla seconda tappa, la Torino-Genova, considerata una tappa di “ordinaria” amministrazione: nella discesa della Scoffera un cane, sbucato tra le due ali di folla, attraversò improvvisamente la strada finendo tra le ruote di Bartali e facendolo cadere rovinosamente (esattamente come sarebbe successo a Pantani, quasi nello stesso punto, oltre 50 anni dopo). Atteso da alcuni suoi gregari (ma non da Coppi), Bartali arrivò a Genova con 5’ di ritardo (come Pantani...), pedalando in pratica con una gamba sola. Rifiutando i consigli dei medici e dello stesso Pavesi, Bartali, che era un cagnaccio che non mollava mai l’osso, rifiutò categoricamente di ritirarsi. Continuò a correre potendo far forza per 11 alcune tappe su una gamba sola, accumulando altro ritardo. E in seguito, quando ritrovò la condizione, aiutò in modo assolutamente determinante Coppi a diventare Coppi.
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