TANGENTOPOLI ILLUMINA CORVIALE L'ACEA incassa i risarcimenti (Corriere della Sera, 9 maggio 1997, p. 49)

È un paradosso? Corviale, uno dei quartieri più degradati della Capitale progettato dall'architetto Mario Fiorentino tra il '72 e il '74 e realizzato tra il '73 e l'81, deve ringraziare Tangentopoli. Ma poiché' a caval donato non si guarda in bocca, gli abitanti di Corviale apprezzeranno l'inatteso regalo. L'Acea, che vanta un solido attivo di bilancio, ha infatti deciso di investire un miliardo e 600 milioni di lire, incassati di recente a titolo di indennizzo per danni subiti durante gli anni delle mazzette. Gli interventi di riqualificazione urbana sono quattro. "L'Acea negli anni passati, dal 1988 al '92 . ha spiegato il presidente Fulvio Vento . e' stata coinvolta in Tangentopoli. I procedimenti giudiziari che ne sono seguiti hanno riguardato imprenditori, esponenti politici e amministratori pubblici ai quali sono stati contestati reati quali la corruzione, la turbativa d'asta, la ricettazione ed il favoreggiamento. L' azienda si e' subito costituita parte civile nei confronti di tutti gli imputati. Dei numerosi rinviati a giudizio, 26 hanno patteggiato la pena e hanno corrisposto all'Acea l'indennizzo necessario per poter fruire del beneficio. Con questi soldi l'azienda comunale ha quindi deciso di fare una nuova illuminazione nel quartiere popolare di Corviale, realizzare una fontana in piazza della Giustiniana, costruire un impianto sportivo a Colli Aniene e di restaurare la Fontana Di Carlotta in piazza Ricoldo di Montecroce alla Garbatella. L'illuminazione che sara' installata a Corviale tenderà a migliorare sia gli aspetti legati alla sicurezza, aumentando i punti luce sulle strade, sia a valorizzare con luci colorate proiettate sulle entrate degli edifici e sugli spazi verdi, l'intero complesso. "Con questa iniziativa . spiega l'assessore ai Lavori pubblici del Comune Esterino Montino . si chiude veramente un'epoca. Gli interventi decisi dall'Acea rappresentano una ventata di grande pulizia e la prova concreta che le amministrazioni oggi tornano ad occuparsi delle città". Gli abitanti di Corviale sono 8.500, 1.600 in cooperative Gescal e 6.900 in abitazioni Iacp. Vi sono due scuole elementari e una media, un mercato, la Asl, teatro, cinema, una biblioteca. Oltre all'intervento dell'Acea, il Comune ha investito un altro miliardo per il recupero del verde. Undici miliardi sono arrivati dalla Regione per il completamento del centro servizi, per il rifacimento delle coperture e la coibentazione delle facciate. In piazza della Giustiniana, in XX circoscrizione, nel parcheggio antistante la stazione ferroviaria, sarà realizzata una fontana artistica che oltre a rinnovare un'antica tradizione romana, con giochi d'acqua, luci e spazi sosta attrezzati, contribuirà a trasformare una piazza oggi anonima in un'area confortevole per i cittadini. A Colli Aniene in prossimità degli impianti Acea, sorgerà un impianto sportivo dedicato completamente al calcio. Per la Fontana Di Carlotta e' prevista infine un'accurata opera di restauro.

Corriere della Sera, 9 maggio 1997, p. 49 CORVIALE: ECCO I GIOVANI IMPRENDITORI

SONO stati individuati dal Comune i progetti imprenditoriali, presentati dai giovani di Corviale, che potranno essere finanziati dalla Filas e attraverso gli stanziamenti pubblici. Su 40 progetti presentati dai giovani che hanno partecipato alla Missione per lo sviluppo di Corviale, l' iniziativa del Comune per promuovere l' imprenditoria giovanile di quartiere e finanziata dalle Banche cotesoriere del Comune (BNL, Banca di Roma e Monte dei Paschi di Siena), sono state scelte 14 "idee". Ora il Comune è impegnato - ha infformato ieri una nota dell' assessore alle Politiche Sociali Amedeo Piva - "a sostenere i giovani perchè ottengano i finanziamenti previsti". I progetti scelti impegnano una cinquantina di giovani e riguardano la Creazione di moda per donna; Camper service; Timbri e targhe; Preparazione di pasta all' uovo; Progettazione di ristrutturazione di interni; Progettazione per l' integrazione di sistemi informativi; Servizi informatici per il pubblico; Montaggio di circuiti elettronici; Food music and beverage; Servizi amministrativi; Reti telematiche multimediali; Servizi per l' arredamento; Stenotipia; Sala multimediale e pub mediorientale. Nei giorni 26, 27 e 28 maggio i giovani aspiranti imprenditori parteciperanno ad un seminario della Filas. Il Comune inoltre, ha detto l' assessore Piva, costituirà con la Finanziaria regionale un fondo di garanzia dal quale i giovani potranno ottenere altri prestiti in caso di necessità.

“La Repubblica”, 24 maggio 1997 Il recupero di Corviale CONVEGNO Il recupero di Corviale Convegno per Corviale promosso da Regione, universita' "La Sapienza" e Iacp. L' iniziativa rappresenta la prima fase del programma di recupero e trasformazione di Corviale, cui seguira' un concorso internazionale di idee. Documentari, interviste, progetti. SALA EX STENDITOIO, via di San Michele 22, ore 9

“Corriere della Sera”, 14 dicembre 2001, p. 57 Numero 9, settembre 2002 Editoriale: A un anno dall'attacco a New York e Washington, pag. 1. Articoli: La dimora dell'uomo, pag. 3 – Stato di avanzata decomposi- zione (il fallimento della Enron e delle corporation americane), pag. 55 – Un'antica forma sociale comunistica già urbana, pag. 74. Rassegna: Grandi scioperi, ma per grandi obiettivi, pag. 82 – Chiudete agli uomini quelle dannate miniere!, pag. 83 – La Fiat malata e i suoi sinistri ri- animatori, pag. 84 – La guerra all'Iraq e… agli altri, pag. 85. Spaccio al bestione trionfante: Regressione animalesca (il summit di Jo- hannesburg sullo sviluppo sostenibile), pag. 87. Terra di confine: Fabbriche portatili, pag. 88. Recensione: I racconti di Philip K. Dick, pag. 89. Doppia direzione: Un approccio sterile…, pag. 91 – … e un approccio utile, pag. 92 – Dall'ex URSS, pag. 93 – La crisi come banco di prova, pag. 95 – Dalla Svezia, pag. 96. Indice del numero otto: Direttore responsabile: Diego Gabutti Editoriale: Riscontri e prospettive (a due anni dal primo numero della rivista). Redazione, amministrazione, abbonamenti, Articoli: Decostruzione urbana (la città nella storia pubblicazioni: e nella società futura – Orizzonte di lavoro – Una Via Massena 50/a - 10128 Torino - Aperto il ve- guerra che fa discutere – Impulso e metodo. nerdì dalle ore 21. Rubriche: Vecchi ingredienti per nuove ricette (confusione politica italiana) – Ormai il dentifricio è Redazione di Roma: fuori dal tubetto (la scomparsa di Gene Kan e la Via degli Olivi 57/a, 00171 Roma - Aperto il mar- Rete intelligente) – Che fine ha fatto il progresso? tedì dalle ore 21. (tre libri di Jeremy Rifkin). E-mail: Indice del numero sette: [email protected] Editoriale: L'Europa disunita e la moneta dei suoi Stati. Sito Internet: Articoli: Estinzione del Welfare State; Il fallimento http:/www.ica-net.it/quinterna/ argentino; Non sono soviet (nota sulle rivolte ar- gentine); Dal fronte interno israeliano. Abbonamento annuale (4 numeri): 16 euro. Tramite versamento sul Conto Corrente Rubriche: Manifestazione a Roma; Pomigliano Postale numero: 25 85 21 12 intestato a "n+1" - d'Arco, uno sciopero per… i diritti; "Le case che sal- varono il mondo" (quando il plusvalore si tramuta Via Massena, 50/a - 10128 Torino, specificando la in rendita); Una storia infinita di "articoli 18" (la lunga causale. Oppure tramite bonifico bancario; coor- storia dello Stato corporativo); Risultati del processo dinate internazionali: ABI 07601 - CAB 01000 di produzione immediato (note su alcuni passi del Conto n. 25 85 21 12 intestato a: "n + 1" - Via VI Capitolo Inedito di Marx). Massena 50/a - 10128 Torino (dall'estero è consi- Indice del numero sei: gliato questo mezzo). Editoriale: Von Clausewitz contro Sun Zu. Abbonamento alla newsletter quindicinale via e- Articoli: La guerra planetaria degli Stati Uniti mail: gratuito. d'America; La svolta; La guerra e la classe; Super- imperialismo? (editoriale e articoli sono dedicati Nostre pubblicazioni e numeri arretrati: all'attacco dell'11 settembre). Prezzo di copertina (più 1 Euro forfettario di spe- se postali per qualsiasi quantità). Rubriche: La rivincita del robot newtoniano; A 250 anni dalla pubblicazione dell'Encyclopédie; Rivolte Collaborazioni: in Argentina; Il dogma, l'azione e l'Ipse dixit; La Sini- Ogni scritto ricevuto sarà considerato materiale stra Comunista e il Comitato d'Intesa; Comunismo e fascismo. di redazione utilizzabile sia per la rivista che per il sito Internet, e quindi potrà essere rielaborato per Indice del numero cinque: articoli, rubriche ecc. Editoriale: Conferme dalla crisi mondiale. Copyright: Articoli: L'uomo e il lavoro del Sole (uno studio sul- Il materiale pubblicato in questa rivista è libera- l'agricoltura di oggi e di domani); Genova, o delle mente riproducibile. Si prega però di mantenerlo ambiguità; Il vicolo cieco palestinese. integrale e di avvertire la redazione. Rubriche: Processo a Milosevic; L'antimperialismo bla bla; Manifestazioni del cervello sociale; Ricono- Stampa: scere il comunismo. Cooperativa tipolitografica La Grafica Nuova - Via Indice del numero quattro: Somalia 108/32 - 10127 Torino. Editoriale: Sincronia. Registrazione: Articoli: Rottura dei limiti d'azienda; Einstein e al- Tribunale di Torino n. 5401 del 14 giugno 2000. cuni schemi di rovesciamento della prassi; Governo in partita doppia. Questa rivista vive con il contributo dei suoi let- tori e di tutti coloro che aderiscono al progetto di Rubriche: Il fiato sul collo (USA-Cina); Crisi del- l'energia negli Stati Uniti; Tecoppismo cronico e lavoro di cui essa fa parte e di cui diffonde i ri- irrecuperabile; Proletari, schiavi, piccoloborghesi sultati. La sua realizzazione è stata possibile an- o… mutanti?; La rivoluzione e il suo anello debole; che grazie al costante flusso di sottoscrizioni che Il prodotto storico della sconfitta proletaria; La di- ha sempre sostenuto la nostra stampa e che ci scussione, il dibattito, il confronto e gli operai. auguriamo continui inalterato – Composta, im- paginata e distribuita in proprio. In copertina: Un progetto decostruzionista di Zaha Hadid, Lipsia. La dimora dell'uomo

Gli elementi rivoluzionari che elimineranno la vecchia divisione del lavoro e la separazione fra città e campagna rivoluzionando tutta la produzione, sono già contenuti in germe nelle condizioni produttive della grande industria moderna. Per capire tutto ciò e il fatto che il suo sviluppo è ostacolato dal modo di produzione capitalistico, occorre un orizzonte un po' più vasto della mentalità da diritto fondiario prussiano (Friedric Engels, Antidühring). La vita avrà tutti i vantaggi e le agiatezze delle grandi città, senza averne i danni. La popolazione abiterà case più sane e più belle. Anche in questo caso, come in tutti gli altri, il mondo borghese apparecchia il terreno all'ormai matura trasformazione, perché la costruzione di indu- strie nelle campagne si fa di anno in anno sempre più frequente (August Bebel, La donna e il socialismo).

OGGI Come al solito trattiamo il vocabolo "oggi" come un semplice punto nella dinamica storica. Il considerare nel modo più anti-esistenzialistico possibile le forme badando soprattutto alla loro metamorfosi nel corso del tempo do- vrebbe essere ormai considerato del tutto naturale dai nostri lettori. Essi sanno dunque che per noi "oggi" significa "processo in atto" anche se stia- mo parlando di immobili case; e dovrebbero sapere, fin dall'inizio, dove an- dremo a parare: la casa d'oggi è retaggio antico e, nello stesso tempo, in al- cuni casi e per taluni aspetti già prefigurazione dell'abitazione di domani. Facendo ardite scorribande nel tempo capiremo come proprio il processo del divenire umano ci offrirà la chiave conoscitiva per collegare la casa del- l'uomo della società comunista primordiale a quella dell'uomo della società comunista sviluppata.

Processi di concentrazione e di diffusione Fotografando la società civile, così come si è formata, essa si presenta come un brulichìo di uomini in una immane massa di costruzioni, aggregate o sparse, di strutture fisse che le collegano e di comunicazioni. Il comuni- smo rozzo non va al di là di tale fotografia. Interpretando lo sviluppo della società e il movimento rivoluzionario in termini di diritto e di rivendicazio- ne, esso riesce soltanto a fissare le immagini della la realtà circostante e, non scorgendone la dinamica futura, si limita ad immaginare l'eventuale ritocco del presente. Il suo obiettivo è questa società modificata, non un'al- tra società. Se l'operaio è senza casa, se l'affitto è troppo alto, allora pro- muove il diritto alla casa, all'equo canone d'affitto, all'abitazione spaziosa e dignitosa. Diritto dunque – perché no – anche al lavoro con un equo salario

3 per pagare il tutto, allo spazio verde che sta intorno alla casa, ai servizi che la integrano nel tessuto urbano, alla privacy che isola il nucleo famigliare (con la "g", come in ortografia oggi si permette, a sottolineare la differenza con la ben più vasta e complessa familia antica). Nell'antichità esisteva un "diritto" ad abitare, concesso in genere dal proprietario in misura delle esigenze minime di una familia e senza corri- spettivo; a Roma, per esempio, la regolamentazione fra parti giuridica- mente ed economicamente libere venne introdotta solo nel VI secolo d.C. ed è quella che sopravvive nel diritto odierno. Si capisce che nel caso antico si tratta di un "diritto" ben particolare. Ma quando Engels dovette raccogliere tutta la sua pazienza e scrivere il libro contro Dühring, l'orizzonte del socia- lismo idealistico e moraleggiante in campo fondiario era quello del diritto prussiano e non di quello antico. Del resto la società moderna è così osses- sionata dal diritto proprio perché lo calpesta ad ogni pié sospinto (come dimostrano gli Stati Uniti, sul cui territorio lavora la metà degli avvocati del mondo). È una società figliata dal fascismo il quale, come successore storico della democrazia, aveva introdotto addirittura il modernissimo diritto sin- dacale che oggi tanto imperversa. E che era del tutto sconosciuto prima dei Mussolini, dei Bottai, dei Togliatti e dei Di Vittorio, quando lo scontro fra classi era considerata una pura questione di forza. Ma veniamo al nostro tema. Ci è capitato di sentire sedicenti comunisti prendere alla lettera il dettato di Marx ed Engels sulla diffusione della po- polazione. Con aria serissima, contrapponevano alle mostruose città verti- cali la proliferazione orizzontale di piccole case unifamiliari, sorvolando sul fatto che proprio le villette sono il simbolo della massificazione a livello pic- colo-borghese. Nate nei quartieri operai d'Inghilterra escogitati dai capitali- sti per i propri operai, sono diventate il manifesto del capitalismo decadente entrato nella sua fase che chiamammo del colcosianesimo industriale. Che senso ha dire no alla torre-condominio per dire sì alla casetta con giardino? Dove all'abbrutimento naturale della famiglia si aggiunge l'attaccamento alle cose, la percezione privata dello spazio, la patologia animalesca del ter- ritorio, l'ansia da accerchiamento? "Di ville, di ville! Di principesche ville locali quaranta, di villule, di villoni ripieni, di villette isolate, di ville dop- pie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville!", gridava diver- tito il grande Gadda in un suo scritto, di fronte all'esibizione grottesca del privato pastrufaziano. "Doppi servissi" e vista sulla pampa brianzola. Ville tra le quali un simpatico fulmine gettava collettivistico scompiglio seguendo semplicemente la via di minor resistenza elettrica, che non era quella dei confini della proprietà privata segnata sul catasto. Come vedremo, quella della casetta – villa o baracca – è una delle solu- zioni cercate dal capitalismo stesso nel tentativo di risolvere il suo eterno problema dell'abitazione (fig.1). Soluzione orizzontalista perversa, che va dai quartieri di lusso dell'alta borghesia alle immense baraccopoli del sub- mondo della periferia capitalistica, passando attraverso le Sun city per soli anziani (invenzione della Del Webb Corporation, che iniziò con l'acquisto di

4 un terreno di 80 chilometri quadrati in un'area semidesertica dell'Arizona; oggi le città sono una quindicina e la capostipite ha raggiunto i 45.000 abitanti). Soluzione non meno aberrante di altre trovate borghesi, come quella delle case popolari, dei blocchi a torre e persino delle unità d'abitazione, queste ultime intese come componenti mo- Fig. 1. Villette nella periferia di una dulari delle città radiose dovute alla matita città americana dell'ineffabile Charles Edouard Jeanneret, meglio conosciuto come Le Corbusier, il massimo cantore dell'angolo retto e della sovrapposizione verticale degli umani. Questo signore, personifica- zione dell'architettura borghese di un secolo, idolatrato da tutti i sinistrismi, si sentiva come un paladino "rieducatore" (parole sue) dei gusti barbari de- gli operai. Copiava da quell'altro guru dell'architettura "antiborghese", Walter Gropius, che aveva detto nel '19: "L'intellettuale tedesco si è rivelato inetto come portatore della cultura tedesca. Vengono su dagli strati pro- fondi nuove forze non ancora intellettualmente sviluppate. Esse sono la nostra principale speranza". Forse pensava al governo di Weimar che avrebbe pagato le parcelle per le case proletarie (e proprio a Weimar fu fon- dato nel 1919 il Bauhaus, laboratorio di architettura razionalista). Il filone è assai affollato e si è dato molte etichette, ma tireremo in ballo soprattutto Le Corbusier, un archetipo che riassume tutte le correnti avendo tanto co- piato gli altri e tanto essendo stato copiato egli stesso. Il modo di abitare del piccolo borghese dipende da quanto plusvalore ri- esce a dirottare verso di sé, ma il proletario deve abitare in una casa a basso prezzo. Che si tratti di un modulo scatolare di condominio o di triviale vil- letta auto-costruita, gli deve bastare il salario. Nella Questione delle abita- zioni Engels fa notare, contro Proudhon, contro i riformisti borghesi e con- tro i critici della concezione comunista, che il "diritto alla casa" è una fesse- ria. Se anche i proletari avessero tutti accesso alla proprietà della casa, se anche abitassero gratis a spese dello Stato, ciò non provocherebbe altro che un proporzionale abbassamento del salario. Ogni sventramento, risana- mento, ricostruzione sociale di vecchie topaie per operai nei centri storici, ne comporta la sostituzione con edifici speculativi di lusso, spostando il problema un po' più in là, in altri quartieri, sempre più periferici. La periferia si attrezza appositamente per la fabbrica. Diventa allora con- seguentemente, storicamente, tipico habitat dell'operaio. C'è un'analogia con l'evoluzione darwiniana applicata al lavoro sociale e ai suoi protagoni- sti. L'industria, nota ancora Engels, era originariamente legata alla forza motrice dell'acqua, quindi forzatamente localizzata dove l'acqua scorreva. La forza idraulica è stata superata dall'avvento del vapore, che permette di muovere la fonte d'energia, il carbone, dalle miniere a tutto il territorio. La mobilità dell'energia e la grandeggiante rete di trasporti e comunicazioni permettono a loro volta di dislocare l'industria, nata urbana, fuori dalle cit-

5 tà. Crescono perciò nuovi distretti, che diventano a loro volta città indu- striali. Nella società capitalistica la tendenza alla dislocazione dell'industria, dei traffici, e quindi delle persone sul territorio, è sempre esistita. Solo che ai tempi di Engels avveniva mentre la concentrazione urbana procedeva ovunque, non solo nelle vecchie metropoli. Perciò le nuove dislocazioni in- dustriali diventavano via via nuove concentrazioni. Oggi la situazione è ulteriormente maturata. Il vapore è stato sostituito dall'elettricità, e pochi centri di produzione di energia consentono il suo utilizzo attraverso una rete di cavi che la distribuisce. La macchina, con l'elettricità che la svincola dalla trasmissione ad albero e puleggia, può fun- zionare con un motore autonomo, per cui, nel complesso, tutta la struttura produttiva è tecnicamente più versatile, leggera, potente, e aumenta il pro- prio rendimento a livelli prima impensabili. Nello stesso tempo lo sviluppo della rete di comunicazioni ha permesso al sistema d'industria di liberarsi ancor più dai vincoli di spazio e di tempo. Gli approvvigionamenti e la di- stribuzione sono resi più veloci e immediati. Grandi holding possono coor- dinare e amministrare un numero di industrie non importa quanto grande. Come abbiamo visto più volte, il processo di diffusione dei distretti indu- striali ha ricalcato modelli ben più sofisticati di quelli che poteva analizzare Engels agli albori della loro formazione. Ha comportato il movimento di un numero sempre maggiore di persone, centinaia di milioni. Gli uomini han- no seguìto la dislocazione dei capitali e delle macchine. Sono stati attratti dai poli di sviluppo. Hanno contribuito alla formazione di immense metro- poli, circondate dalle "zone industriali" e dai suburbi in cui vivono, in fasce distinte, le mezze classi, il proletariato e le frange sociali emarginate. E non si tratta di un fenomeno avvenuto una volta per tutte, ma di un vero e pro- prio moto perpetuo di macchine e uomini che si "dislocano" e si "allocano", cioè si trasferiscono con interi rami d'industria secondo flussi spontanei o regolati dai governi. E quando gli uomini si muovono per l'industria hanno bisogno di case conseguenti. I luoghi che furono adatti per il contadino, l'artigiano, il carro e il cavallo non lo sono affatto per l'integrazione del grande "automa generale" che è l'industria moderna. Non c'è comunista che non abbia osservato quanto sarà difficile, lungo e complicato il processo di ricomposizione del territorio devastato dal capita- lismo. La ri-umanizzazione dell'ambiente in cui viviamo sarà un compito immane e richiederebbe fin d'ora studi approfonditi. Purtroppo è assai raro imbattersi in testi comunisti che abbandonino il terreno della genericità e si spingano su quello del programma. Disponiamo di utopie, spesso geniali, e di alcune sommarie affermazioni sulla redistribuzione della popolazione su tutta la Terra. Si è parlato senza difficoltà dell'eliminazione degli esempi aberranti di concentrazione urbana e del ripristino di un metabolismo bio- logico contro l'esasperata mineralizzazione della vita, e di utilizzo razionale dei servizi collettivi già disponibili (Bebel). Ma non disponiamo di pro- grammi. Sappiamo che fine farà lo Stato e in che cosa si trasformerà il par- tito quando si estinguerà come organo della lotta di classe, ma non ci sono

6 testi comunisti che si proiettino nel futuro affrontando il problema dello spazio in cui vivere. In parte la carenza è giustificata dal fatto che una detta- gliata descrizione del futuro è sempre un'utopia. In fondo anche i rivoluzio- nari russi non poterono, pur spinti da uno sconvolgimento totale, tratteg- giare la casa dell'uomo di domani. Ma soprattutto, come vedremo in detta- glio, la casa del futuro non si può descrivere anticipatamente senza strap- parsi dalle viscere la concezione borghese dell'abitazione e dell'ambiente che la plasma e in cui è immersa. Occorre cioè superare l'idea che l'abita- zione sia fatta in eterno per la struttura unifamigliare, patriarcale, che pog- gia sulla schiavitù domestica e sull'abbrutimento da camera stagna dovuto alla sopravvivenza della famiglia nel vuoto subentrato alla scomparsa delle antiche relazioni sociali. Qui scivolò catastroficamente la rivoluzione russa. La famiglia fu prima salvaguardata "contro la disgregazione", poi promossa, e infine, insieme con la "patria socialista" divenne un baluardo dello stalinismo. La "casa del fu- turo" perì sotto le macerie della disfatta. Le critiche alle cause di una tale immensa sconfitta sociale nella sconfitta politica sono poche e isolate: c'è il lavoro "psico-sociologico" di Wilhelm Reich, ci sono passi memorabili della Sinistra comunista "italiana", e basta. Nell'ambito della rivoluzione, le don- ne avevano dato un contributo grandioso, anche contro la famiglia, ma il movimento femminile russo e internazionale che si sviluppò successiva- mente non fu alla loro altezza e la sua direzione fu permeata da istanze pue- rilmente riformiste. La famiglia urbana era stata distrutta prima dalla guer- ra, poi dalla rivoluzione e ora, invece di compiere l'opera anche nelle cam- pagne, si lottava per la sua ricostituzione. Trotsky ammette che la rivoluzio- ne non ce l'aveva fatta a distruggere le vecchie categorie sociali: "Il proble- ma più facile da risolvere era quello della conquista del potere; ciò mal- grado ha assorbito tutte le nostre forze". Ed egli stesso, subito dopo, auspi- ca "un tipo nuovo e più elevato di famiglia". Anche Lenin non se la cava meglio col suo "matrimonio civile proletario con amore" (Lettera a Ines Armand del 17 gennaio 1915). Perciò non abbiamo le comode citazioni da produrre per metterci con le spalle al sicuro, ma possiamo procedere sulla base della teoria generale, ab- battere i luoghi comuni, criticare sia l'utopia che il fallimento russo pog- giando sulle solide basi dell'esperienza. Per esempio quella di tutte le rivo- luzioni passate, non solo di una. O delle epoche in cui esisteva ancora il ri- cordo del comunismo primitivo, come vedremo. Rimane fermo un punto: nella successione delle forme sociali la tendenza irreversibile è quella del rimpicciolimento della famiglia: dalla tribù, alla famiglia matriarcale allar- gata, alla famiglia patriarcale della classicità, alla casa-famiglia feudale (o del colcos russo), alla famiglia molecolare moderna, alla scomparsa tout court della famiglia nella società di domani (Struttura economica e sociale della Russia d'oggi). I borghesi non solo teorizzano città utopistiche ma da un paio di secoli provano in continuazione a costruire sul terreno i loro modelli di città "vi-

7 vibile", nel senso che aprono giganteschi cantieri, costruiscono volumetrie imponenti e spostano milioni di persone. Per capire il loro frenetico bisogno di produrre non solo merci, non solo modelli, ma veri esperimenti empirici in quantità industriali occorre riprendere il discorso dei nostri predecessori (cfr. Spazio contro cemento) e aggiornare i dati ad oggi.

Un po' di numeri "La popolazione abiterà case più sane e più belle", dice Bebel nel passo citato all'inizio. E continua: invertirà la rotta storica e ritornerà spontanea- mente alla campagna non appena su di essa si formeranno luoghi in grado di offrire scuole, biblioteche, divertimenti, socializzazione, ecc., tutti i ca- ratteristici risultati del vivere civile, senza i difetti delle tremende metropoli. Bebel si sofferma sui vantaggi dell'agricoltura industrializzata, della fusione organica fra lavori agricoli e industriali, della più agevole applicazione della legge di Liebig (restituite alla terra gli elementi che le togliete!), cosa che con le metropoli non si può fare: tutta la materia organica prodotta dagli abitanti e dalla scarsa vegetazione viene buttata via e il suolo tende ad esse- re pavimentato ovunque. E si spinge fino a prefigurare una società urbana con servizi centralizzati, acqua intubata fin negli alloggi, riscaldamento centrale a vapore, ristorazione e lavanderie comuni, senza dirci comunque quali caratteristiche dovranno avere le nuove abitazioni e gli insiemi di esse che formeranno le nuove città. Sorvola a ragione sui particolari, perché non avrebbe potuto scostarsi di molto rispetto ai modelli utopistici dei Fourier e degli Owen. Ma oggi, grazie all'ulteriore sviluppo del capitalismo, della sua tecnica e delle antitesi che produce in continuazione, siamo in grado di pre- cisare il senso di proposizioni del tipo: "diffondere la popolazione sul terri- torio per eliminare la contraddizione fra città e campagna". Ebenezer Howard, l'utopista inglese che propose un modello di "città giardino" a cavallo tra l'800 e il '900, pose a 30.000 il limite massimo per gli abitanti di una città, come si direbbe adesso, a misura d'uomo. "Città giardino" era già il nome di un esperimento americano del 1870, tentato con successo da un imprenditore che, per contrasto con le metropoli fin d'allora congestionate e inquinate, aveva fatto costruire a Long Island, presso New York, un quartiere privato su 8.000 acri di verde comune (32 chilometri quadrati, una media città). Evidentemente il capitalismo incominciò abba- stanza presto a produrre le sue antitesi anche in questo campo. Ma ogni tentativo di realizzazione pratica dei vari ideali, utopistici o utilitaristici, fu abortito. Conosciamo benissimo le cause del loro fallimento: nessuna corni- ce dorata potrà mai alleviare l'inumanità del quadro capitalistico in cui vi- vono attualmente gli uomini. Nonostante tutto, la progettazione di città e abitazioni vivibili è conti- nuamente oggetto di studio "scientifico" da parte di urbanisti e architetti, senza che ciò porti a risultati meno inumani. Certo, abitare nel verde super- stite di Long Island è meglio che abitare nel Bronx, ma ciò non toglie che in

8 un caso e nell'altro la vita sia rubata e vissuta esclusivamente per il Capitale. Le immense periferie, che siano fatte di villette o di baracche, rappresenta- no la vera urbanizzazione moderna, più degli scintillanti palazzi centrali, più dei grattacieli. In ogni caso pura energia dissipata, vita senza senso, che sia teorizzata in orizzontale o in verticale. Engels sottolinea con forza la necessità (determinatezza) di un processo di riappropriazione della vita naturale, della scomparsa dell'antagonismo città-campagna come fatto concreto e non come utopia, così come della scomparsa dell'antagonismo fra le classi sulla base di uno sviluppo reale e non utopico. Utopia, dice Engels nella Questione delle abitazioni, non è es- sere convinti che tutto ciò sia possibile: utopia è pretendere di stabilire un modello a priori, credere che si possa dettare la forma che nella società nuova prenderà l'eliminazione degli antagonismi. Perciò è necessario cono- scere almeno a grandi linee quale sia la condizione reale, attuale, della so- cietà così com'è, contesto sul quale la società futura si baserà per risolvere il problema della "casa". Incominciamo ad analizzare che cosa significa l'utopia delle città- giardino considerando non il limite massimo ma una cifra media di 20.000 abitanti, in linea con Engels e Bebel. Il globo terrestre ha una superficie di 510 milioni di chilometri quadrati, di cui solo 149 milioni sono terre emer- se. Di queste circa 50 milioni di chilometri quadrati sono deserti, montagne, tundre o comunque terreni non utilizzabili; 50 milioni sono boschi e foreste di ogni tipo (comprese quelle sfruttate industrialmente) e solo 15 milioni sono sfruttati per l'agricoltura. Tutto il resto è rappresentato da macchia selvatica e pascolo attualmente utilizzato o potenziale (in Asia e Sudameri- ca, soprattutto). Quindi un magro 10% circa delle terre emerse è coltivabile, e di questa piccola parte molti terreni sono soggetti a severe condizioni cli- matiche, ad alluvioni, a processi di desertificazione. Su di essi influisce sia l'abbandono delle colture tradizionali che avevano raggiunto un equilibrio millenario, sia l'introduzione di colture intensive moderne, l'urbanizzazione spinta, la deforestazione, la perdita di massa biologica, la generale minera- lizzazione del suolo. Terra dunque che avrebbe bisogno di tutto tranne che di essere ulteriormente abitata e sfruttata. Le antiche popolazioni non avevano in genere problemi di spazio, e quindi le aree urbane si erano espanse là dove si erano manifestate le speci- fiche esigenze dei loro abitanti. In casi particolari, dove il terreno fertile era un bene prezioso, quelle società avevano edificato su terreno sterile, come nel caso dell'Egitto, delle antiche civiltà sedentarie arabe o di quelle che abitavano negli altipiani desertici dell'Asia. Abbiamo visto in un articolo precedente che si costruivano mura al cui interno stava tutta la popolazione e che una larga fascia esterna era considerata sacra e inviolabile. Quando la città si espandeva, le nuove mura circondavano quartieri appositamente progettati. Il capitalismo, tranne poche eccezioni, ha edificato dove esiste- vano gli insediamenti agricoli antichi e medioevali divenuti poi città, do- v'era più remunerativo, dove già si era concentrato capitale mercantile.

9 Quindi generalmente in piano, dove scorre lentamente l'acqua navigabile o da irrigazione, dove lo scavo è più facile e dove le infrastrutture possono svilupparsi più agevolmente. La moderna città e le sue diramazioni è perciò, nonostante i suoi verticalismi localizzati, una metastasi cancerosa vorace, divoratrice di terreno agrario, come dimostrano le città nordamericane e le assurde megalopoli del Terzo Mondo o, più vicino a noi, le piane dense di costruzioni alla base dell'Etna e del Vesuvio (un tempo fertilissime e inten- samente coltivate), l'ex Conca d'Oro palermitana, le mostruose estensioni urbane della valle del Po, lo scarso terreno pianeggiante ligure ormai total- mente cementificato, ecc. ecc. Con una popolazione di sei miliardi e duecento milioni di umani, per di più in crescita di 80 milioni l'anno, il pianeta ospita già, in media, 41,6 abi- tanti per chilometro quadrato di terre emerse, compresa la Groenlandia, l'Antartide e il Sahara. Più ragionevole sarà calcolare la media in base al ter- reno effettivamente abitabile: su 50 milioni di Kmq arriveremo ad una den- sità di 124. Ciò significa che, se su tale terreno spargessimo in una griglia regolare tutti gli abitanti della Terra, avremmo 1 abitante ogni 8.000 metri quadrati, cioè una distesa di umani posti a distanza di una novantina di metri l'uno dall'altro. A vista, insomma. Se volessimo agire secondo le rac- comandazioni degli ideatori delle "città giardino" borghesi, tra l'utopista e il keynesiano (ma anche interpretare meccanicamente quelle di Engels o di Bebel), e raggruppare la popolazione terrestre in città di 20.000 abitanti, avremmo 310.000 città, una ogni 161 chilometri quadrati, cioè poste su di una griglia virtuale a 12,7 chilometri da centro a centro. Tenendo conto che 20.000 abitanti per chilometro quadrato è la densità media del suolo urba- no europeo, stabiliamo a tavolino che nella società futura sarà almeno qua- druplicato lo spazio disponibile e perciò da periferia a periferia otterremo uno spazio agrario di 10,7 chilometri. Come si vede, prendendo alla lettera il dettato di Engels e Bebel si ottiene una copertura globale del territorio abi- tabile assolutamente irrealistica che non permetterebbe affatto un rapporto armonico fra uomo e natura. Da questo punto di vista non si otterrebbero risultati soddisfacenti neanche ipotizzando di diminuire drasticamente la popolazione mondiale, portandola per esempio al livello del 1880 (ne La donna e il socialismo essa è posta a 1,4 miliardi). Se si vogliono preservare foreste, praterie e campi, limitando al massimo la copertura del territorio con strade, ferrovie, fabbriche e infrastrutture va- rie, occorre un altro tipo di distribuzione degli uomini sulla terra. Tutto ciò mantenendo l'irrinunciabile vita sociale della specie, di natura ormai irre- versibilmente urbana. Dobbiamo inoltre tener presente che più la popolazione è dispersa più assume importanza un altro dato: quello della infrastruttura necessaria- mente ingigantita e quello della "mobilità", quindi il dato della dissipazione dovuta al trasporto di uomini e cose, fenomeno in cui, paradossalmente, l'attuale modo di produzione è super-specialista, nonostante ami la mas- sima concentrazione. Solo gli 800.000 chilometri di strade e ferrovie esi-

10 stenti in Italia coprono 16.000 chilometri quadrati, vale a dire il 5,4% della penisola e il 12% del suo territorio abitabile. È un luogo comune pensare che il problema edilizio riguardi soprattutto la costruzione di case d'abita- zione: la maggior parte dell'attività costruttiva del capitalismo si manifesta nel campo del capitale fisso e delle infrastrutture, le quali non sono altro che parte del capitale fisso integrale. Persino le abitazioni in quanto tali, nella concezione modernissima dell'urbanesimo, sono concepite come strutture complementari al capitale fisso, ed è vecchia questione da discus- sioni gruppettare lo stabilire a priori se la casa dell'uomo sia bene durevole di consumo o sia capitale. Mentre diventa "elegante quesito teoretico" (cfr. Russia e rivoluzione) quando sia rapportata all'indagine della formazione complessiva del plusvalore nell'ambito della massima socializzazione del la- voro. Infatti, nella società moderna, il plusvalore non scaturisce più dalla somma dei lavori singoli ma dal "lavoro combinato" dell'operaio collettivo (cfr. Marx, Sesto Capitolo inedito, capitolo "Il lavoro vivo, puro accessorio del Capitale"). L'edilizia partecipa quindi alla formazione del plusvalore come fattore primario di accumulazione: come capitale industriale già for- mato, è lavoro morto che mette in moto direttamente lavoro vivo. Nell'im- mediato dopoguerra, dopo le devastazioni dei bombardamenti, il pur diver- so approccio tedesco e italiano alla ricostruzione portarono all'identico ri- sultato: in Germania, a causa delle maggiori distruzioni e spoliazioni, fu data priorità alla ricostruzione delle industrie e delle infrastrutture; in Italia fu data priorità all'edilizia "residenziale" (piani Vanoni e Fanfani), giusta- mente considerata trainante dell'economia dell'acciaio e dei beni di consu- mo tanto quanto l'industria propriamente detta. Con le nostre astrazioni sulla "griglia" di distribuzione della popolazione e sulle varie conseguenze stiamo davvero "dando i numeri", ma essi ci ser- vono a fissare dei dati di riferimento per risolvere il problema nel campo della realtà effettiva e non in quello dei miracoli. La società futura sarà ere- de di disastri enormi e il rimedio dovrà tener conto dell'esistenza di mo- struose metropoli che non si possono "rifare" dall'oggi al domani. I numeri sono utili per capire che non è possibile, né per la società attuale né per la società futura, concepire l'urbanistica come semplice "distribuzione della popolazione sul territorio", senza specificare che cosa questa proposizione voglia dire. Le città-giardino sono una fesseria già superata nei fatti dalle enormi possibilità dell'architettura moderna e dallo sviluppo delle comuni- cazioni e dei servizi, molto più avanti rispetto agli accenni di "prefigurazio- ne" di Engels e di Bebel che abbiamo posto all'inizio dell'articolo. Ma pro- prio perciò è una fesseria anche la meccanica interpretazione delle frasi dei sacri testi. La dimostrazione di "fattibilità" degli enunciati comunisti non sta negli stessi ma, ancora una volta, nelle antitesi reali tra passato e futuro che lo stesso capitalismo genera accrescendo le potenzialità per la sua esplosione definitiva.

11 Dalle città-giardino orizzontali alle new towns-grattacielo Ebenezer Howard raccolse molto tardi la spinta materiale che saliva dalle metropoli nere di carbone e sovraffollate di miserabili. Il concetto di città-giardino come reazione allo sviluppo capitalistico si sovrappose così ai progetti tardo-barocchi maturati nell'ambito delle dinastie d'Europa. Un esempio particolarmente significativo di sovrapposizione è Karlsruhe, città progettata nel 1795 secondo criteri antichi, gli stessi adottati, tra l'altro, per il disegno di Washington del 1791, poi ampliata secondo criteri più moderni di quelli howardiani dal Bauhaus nel 1928. In pratica Howard razionalizzò i modelli degli utopisti precedenti, specie quelli di Fourier e Owen, adattan- doli agli antichi disegni il cui prototipo era una Versailles senza re e nobili. Anche la città-giardino aveva una pianta a schema regolare, con grandi viali radiali che scandivano quartieri di case basse circondati da terre agricole e fiancheggiati da edifici pubblici e negozi (il progettista, per quanto utopista, non ce la fa proprio a non disegnare i due segni del potere, la casa dello Stato e quella del Capitale). La città utopica di Howard non fu mai costruita, ma nel 1903, nei dintorni di Londra, fu fondata Letchworth, che ad essa si ispirava e che fu presto inghiottita dall'espansione della metropoli, senza poter dimostrare la funzionalità umanistica della nuova struttura. Andò un po' meglio per Welwyn, edificata poco distante nel 1920: essa non fu inglo- bata subito nella periferia e riuscì a conservare un tracciato indipendente, pur rappresentando, al pari della sua omologa, uno dei primi esempi di "città satellite". Fusa con Hatfield in un progetto successivo, gravitò come tante sue consimili intorno alle attività centrali della city tramite l'asse di comunicazione sul quale tutte erano state costruite. Dall'Inghilterra l'esperienza fu ripresa nell'Europa continentale, specie in Germania, Francia e Paesi Bassi, dove i nuovi agglomerati assunsero ca- ratteri particolari sull'onda del razionalismo. Un discorso a parte merite- rebbero le città fondate ex novo dal fascismo, la cui struttura ed estetica ra- zionalista si fondeva con una peculiare impronta di regime, sottolineando la storia di una borghesia quasi millenaria. Non così per esempio in Germania, dove per ragioni ideologiche il nazismo bloccò le esperienze razionaliste che pur lì nacquero e che, fra il 1920 e il 1924, avevano prodotto ben 310.000 Massenwohnung, alloggi popolari variamente ispirati ai suoi principii. Nei cinque o sei anni fra l'ascesa del regime e la guerra, non fu possibile svilup- pare una peculiare architettura nazista al di fuori degli edifici celebrativi. Quasi a sottolineare la differenza dovuta al fatto che un capitalismo giova- nissimo si era impiantato su una società arcaica piccolo-borghese, solo i nuovi complessi industriali espressero una mirabile struttura funzionale e moderna, mentre i centri abitati continuarono ad essere costruiti secondo il cosiddetto Heimat Style: case con struttura di legno e muratura tradizio- nale, tecnica ed estetica ancor oggi usuali, cui alcuni architetti tedeschi guardano come fosse una vergogna nazionale. Mentre il fascismo futurista e

12 progressista produsse fin troppa urbanistica e architettura, meno dell'1% di tutti gli edifici del periodo nazista fu in stile "ufficiale". In generale comunque "città-giardino" divenne ben presto sinonimo di crescita suburbana incontrollata, lottizzazione, speculazione, proprio quelle realtà contro cui il pioniere Howard si era scagliato. Dopo la guerra, negli anni '50 e '60, il termine divenne addirittura una moda, uno slogan pubbli- citario a sostegno delle più tremende cementificazioni delle periferie urba- ne. In seguito ai disastri sociali provocati dalla mostruosa crescita di Lon- dra, il governo inglese, dal 1945 in poi, diede impulso particolare alla fonda- zione di città nuove piuttosto che allo sviluppo selvaggio delle periferie, e ne furono costruite una trentina. Quattordici entro il 1952, con un numero di abitanti variabile dai 20.000 ai 50.000 per un totale di mezzo milione; altre quindici entro il 1977, per un ulteriore milione di abitanti, in un crescendo che demoliva lo spirito delle premesse. Come nel caso, per esempio, di Milton Keynes: progettata come ristrutturazione profonda di un'area dove già c'erano 40.000 abitanti a bassissima densità, raggiunse i 250.000 senza un conseguente ampliamento, dimostrando che quando si tratta di spazio e di cemento l'urbanistica borghese predica male e razzola peggio. Sul territorio del Continente l'edificazione assunse diversi aspetti, dal punto di vista estetico e dimensionale. In Francia, per esempio, una legge Pompidou (10 luglio 1970) stabilì la fondazione di nove città-giardino che, a differenza di quelle inglesi, si dovevano sviluppare soprattutto in altezza. Anche in Germania e Austria si passò dalla politica weimariana dei mas- senwohnung alle "unità di abitazione" sviluppate in altezza e separate una dall'altra da ampi spazi. Quasi ovunque fu possibile mantenere, ovviamente in media, lo storico rapporto europeo di 20.000 abitanti per chilometro quadrato urbano. Ma in alcuni quartieri costruiti per super-speculazione nelle metropoli si arrivò tranquillamente a decuplicare la densità, e si giun- se a 200.000 abitanti per chilometro quadrato (in alcuni progetti di Le Cor- busier si va anche oltre). Dall'utopia della città fiorita orizzontale alla realtà di quella ibrida: mezza cementizia e verticalista, mezza orizzontalista. Fra villette a schiera e baraccopoli, torri residenziali e grattacieli.

Finzione orizzontale, verticalismo obbligato Abbiamo visto che la nostra ipotesi arbitraria di mera distribuzione delle città da 20.000 abitanti su una griglia che le pone a 10 chilometri una dal- l'altra con le necessarie infrastrutture, soffocherebbe la Terra. Ma il capita- lismo odierno si trova in una situazione peggiore. Esso desertifica da una parte e stra-edifica dall'altra, spopola e ammassa, uccide e incentiva la pro- lificità, muove centinaia di milioni di uomini verso le sue metropoli, produ- cendo disastri. Come abbiamo visto, non dispone di sufficiente terreno ur- bano per la realizzazione dei suoi stessi sogni e obbliga l'urbanistica e l'ar- chitettura, che vorrebbe trattare come scienza, ad essere invece le discipline più prostituite alla legge del valore. Ecco allora che diventa comprensibile il

13 gioco di prestigio della "città radiosa" di Le Corbusier, del dominio del pa- rallelepipedo, della dittatura del cemento sullo spazio. Come succede spontaneamente nel grande scenario del mondo secondo le leggi del Capi- tale, anche nella città l'urbanista e l'architetto devono concentrare, ammas- sare gli abitanti negli edifici per poter avere "spazio libero" altrove. Non stiamo parlando qui dell'ovvia necessità per il Capitale di far frutta- re al meglio i metri quadrati edificabili dal punto di vista della rendita nelle city; non stiamo parlando del grattacielo come modulo urbano per uffici; stiamo parlando del verticalismo di ogni genere come necessaria via d'uscita dal vicolo cieco pratico e ideologico in cui s'è cacciato il borghese. All'ottusa villetta di famiglia, al suo giardinetto, al verde pubblico urba- no, alle infrastrutture che riempiono lo spazio, deve far da complemento il grattacielo, l'altrettanto ottuso parallelepipedo verticalista della "città ra- diosa" di Le Corbusier. Dove c'è spazio si costruiscono alloggi-casetta fatti a misura della separatezza della vita borghese e, dove non ce n'è, la stessa separatezza si adegua prendendo la forma di alloggi-cubicolo, solo che si mettono gli abitanti uno sull'altro. L'unità di misura non è la collettività, bensì la famiglia molecolare: riproduttrice biologica e ideologica, chiusa come un compartimento stagno e nello stesso tempo socializzata al massi- mo in rapporto alle braccia da lavoro che sforna e ai consumi individuali e sociali che riesce a garantire. Le Corbusier raccolse per intuito la formidabile determinazione ormai matura di spezzare una volta per tutte lo schema della città storica con le vie-corridoio affiancate da case. Via l'antica strada, via la piazza tradiziona- le, entrambe veicolo di traffico promiscuo di macchine e uomini. Siano se- parati spazi e funzioni: un nastro per le automobili, un altro per i treni, un altro ancora per i pedoni. Di questo gli si può dare atto. Il guaio è che senza un cambiamento sociale ogni intuizione è fagocitata e banalizzata dalla leg- ge del valore. Lo spazio risparmiato insardinando famiglie molecolari lo si può disporre intorno ad esse in forma di verde vendibile (anche il verde pubblico si fissa nel valore degli immobili che sorgono in prossimità). L'in- no dell'architetto alle parkway americane, sinuose bande di cemento e asfalto che guizzano sopraelevate fra le case, portando le automobili al li- vello delle finestre dei piani alti e disegnando agli svincoli graziose geome- trie è l'inno al cementificio e all'acciaieria. Ci vuole un gran quantità di ce- mento, acciaio e vetro per portare tutto in verticale, case, strade, cammina- menti, giardini pensili, in un intrico sovrapposto. In compenso si risparmia terreno. Certo, quest'ultimo diventa "paesaggio urbano" e può essere colti- vato fin sotto le case, fin sotto le autostrade, sostenute da palafitte, pardon, da pilotis. Ma all'atto pratico sotto le autostrade e sotto le case non cresce proprio nessun giardino, a meno di non immaginare un costosissimo siste- ma artificiale di manutenzione: l'architettura moderna si fregia del blasone razionalista, ma la sua realtà è dissipativa, ha basso rendimento meccanico e sociale, perché reclama continui correttivi ai suoi difetti macroscopici. Metallo e vetro vanno raffreddati d'estate e riscaldati d'inverno più di altri

14 materiali, la verticalità richiede una condu- zione forzata dei fluidi, il "paesaggio urba- no" richiede più lavoro ed energia del pae- saggio agricolo senza produrre niente in cambio. Si capisce come i Le Corbusier piac- ciano un sacco ad ogni categoria di specu- latori. "Le mie città sono 'città verdi'. Le mie case offrono sole, spazio, verde. Per ottene- Fig. 2. Le Corbusier, progetto per una re una tale ricchezza dovete riunire gruppi città di tre milioni di abitanti. di duemila persone. Così ognuno potrà tro- varsi velocemente nel suo alloggio dove lo accoglieranno il totale silenzio e isolamento". Così disse Le Corbusier alla televisione francese nel 1959. Non "dove l'uomo troverà il suo simile unendosi nell'essere sociale comune", no: l'iso- lamento, il riposo per avere l'indomani prestazioni efficienti a favore del Capitale. Fantastico. E fu copiato dagli americani, dai tedeschi, persino dai giapponesi. Gruppi che fecero subito "scuola", specie francesi, impazzivano per certe mistiche soggiacenti che furbescamente faceva filtrare. Inventò per esempio il modulor, una trasposizione delle proporzioni corporee sulla sezione aurea, copiato dagli Egizi e dai Greci, mai utilizzato in pratica nelle sue "creazioni" per sua stessa ammissione. Il motivo di tanto successo è semplice: più di tutti gli altri Le Corbusier fu l'espressione del connubio fra l'urbanesimo di cui ha bisogno il capitalismo e l'ideologia che scorre nelle vene delle metropoli moderne. Altro che superamento della contraddizione fra città e campagna. I suoi tre "aggregati umani fondamentali" furono: le unità di sfruttamento agricolo, le città lineari industriali, le città radiocen- triche commerciali. Ogni unità per conto suo. La più smaccata esaltazione della divisione sociale del lavoro. I suoi progetti verticalisti per Una città da tre milioni di abitanti (1922, fig. 2) e per il Plan Voisin di Parigi (1925, fig. 3) rispondono criticamente a quelli delle "città-giardino" proponendo una ristrutturazione radicale delle città, in questi due casi con grattacieli a pianta cruciforme intervallati da costruzioni meno alte a cornice di ampi spazi verdi e vie di comunicazione. Ma uno dei suoi lavori più tremendi è forse quello più ammirato: il Progetto A per Algeri, del 1931. In esso si prevede un alto edificio residenziale unico, a serpentina, lungo chilometri, parallelo alla costa e ter- minante con una torre per uffici che si erge a barriera davanti alla casbah, nascondendo la città storica. È percorso da un'autostrada sul tetto ed è attraversato da vie di comunica- zione tra il mare e l'interno. Il grattacielo terminale è collegato all'altura sopra la ca- Fig. 3. Le Corbusier, Plan Voisin per il sbah con un viadotto che scavalca a grande centro di Parigi.

15 altezza le case arabe e raggiunge altre unità residenziali disposte anch'esse in curve si- nuose sulla collina. Un progetto che soffo- ca, anzi, distrugge completamente, rimuo- vendola, l'identità araba di Algeri, con un impatto visivo prettamente colonialista, difficile da non cogliere. Lo spazio risulta – forse – preservato, ma Algeri non esiste più (fig. 4). Fig. 4. Le Corbusier, Progetto per la Algeri avrebbe dovuto essere anche il trasformazione di Algeri. terminale di un "meridiano" Nord-Sud che andava dall'Atlantico al Mediterraneo at- traverso Le Havre, Parigi, Lione, Marsiglia, città che necessitavano di essere ridisegnate con ampi spazi, in cui "si levino al cielo, nel verde e nell'azzurro alcuni pochi edifici che qualificheremo a priori come belli e degni, prova di ottimismo e di capacità tecnica e spirituale… il centro degli affari, la ca- mera di commercio, ecc., in mezzo il grande foro… Un meridiano ricco di significati e di possibilità… Centri d'affari e amministrativi che assicurino il miglior adempimento d'una funzione indiscutibile: gli scambi… No, non valgono le idee precostituite sul bello e sul brutto, non si tratta d'idee già bell'e fatte" (cfr. Maniera di pensare l'urbanistica, pag. 124-5). In effetti il "purismo funzionalista" di Le Corbusier non verte su idee dominanti ri- spetto al bello e al brutto, tocca qualcosa di un pochino più profondo.

I deserti sociali Oggi ci si accorge che "le stesse unità d'abitazione sono risultate essere tutt'altro che ben accette da coloro che ne sono diventati gli abitanti" (Gillo Dorfles, pag. 67). Ma non era questa la cosa più importante che doveva es- sere risolta con la ville machine, fatta di machines à habiter? È impossibile rendere in poche pagine l'immenso sciupìo sociale dovuto alla concezione borghese di un'urbanistica e un'architettura che concepi- scono la casa come macchina abitativa. E dimostrare in modo esauriente la follia che ha prodotto quell'altra macchina individuale chiamata automobi- le, quella che serve a percorrere il cordone ombelicale che lega l'abitazione al luogo di lavoro, a spostare ogni giorno masse enormi di uomini in un in- sensato formicolìo. Ogni casa in condominio ha una buona percentuale del volume dedicata al garage. Nelle villette dei suburbi americani e nelle città costruite ex novo per pura speculazione, il garage, dovendo avere l'accesso sul lato strada per risparmiare terreno e contenere due automobili per fa- miglia, finisce per essere l'elemento dominante della casa, stabilirne l'esteti- ca e occuparne fino al 30% della superficie (raramente la casa individuale americana è costruita su scavo di fondamenta). E lo spazio preteso dall'au- tomobile è ancora maggiore dal punto di vista collettivo: ogni autostrada porta via almeno 10 ettari per chilometro, più i parcheggi all'aperto, i distri-

16 butori, gli autogrill, ecc. L'automobile è una spaventosa macchina produt- trice di cementificazione indotta. L'idealizzata società-macchina è fallita per assoluta a-socialità proprio nel momento in cui la generale macchina pro- duttiva raggiungeva il massimo di socializzazione del lavoro e dimostrava una volta per tutte, producendo più di quanto serve, che del capitalismo si può fare tranquillamente a meno. Invece della città radiosa abbiamo cumuli di costruzioni casuali, che ammassano e ammazzano uomini, in invivibile isolamento orizzontale o verticale. Già Leopardi aveva avuto una reazione di rigetto nei confronti della Ro- ma barocca e della sua mancanza di coerenza urbanistica: "spazi gettati tra gli uomini, invece di spazi che contengono gli uomini". Eppure la Roma di allora era un capolavoro di organicità in confronto all'atomizzazione di oggi. Gli architetti e gli urbanisti insistono invano nell'escogitare sempre nuove macchine d'abitazione, panorami urbani, spazi di socializzazione. Ma sfor- nano soluzioni che si rivelano alla luce dei fatti spesso vecchie, quasi sem- pre fredde come cadaveri. È infatti strabiliante constatare come per esem- pio non si siano mai resi conto che le persone in genere preferiscono non sostare o addirittura non passare nei luoghi previsti dai loro progetti per la "socializzazione". Piazze e percorsi appositamente studiati, attrezzati con sculture ambientali, arredo urbano, e marchingegni "artistici" sono anzi per lo più squallidamente deserti. Altro che moderni "fori" razionalisti. Solo il recupero di antichi centri storici e soprattutto l'eliminazione delle automo- bili ha prodotto degli ambienti attrattori facendo tornare la gente nelle strade e nelle piazze. Ogni tentativo di umanizzare gli esperimenti archi- tettonici sociali, orizzontalisti o verticalisti è fallito. Persino negli ipermer- cati, che sono i massimi punti di socializzazione d'oggi, zeppi di umani iti- neranti, si nota che la folla trova spesso percorsi spontanei, diversi da quelli previsti dalla struttura dell'ambiente così com'è progettato, dando luogo a poco remunerativi spazi morti. A volte il capitale si concentra in volumi so- ciali particolari, pagati dalla collettività e in grado di farlo circolare, come teatri, sale per concerti, musei, ambienti poli-funzionali, ecc. Qui il falli- mento è meno visibile e l'architettura dà il meglio di sé, ma per trovare folla in questi luoghi occorre che la si sia portata artificialmente, con manifesta- zioni organizzate. E, comunque, anche dove c'è folla si tratta di molecole contigue e non in relazione, che si muovono come granelli di sabbia e non come cellule di un organismo sociale. Né nei grandi foyer di artisti come Scharoun (Auditorium di Berlino) né nelle super-hall del commercialissimo Portman (in alcuni hotel della catena Hyatt) la gente affolla i punti stabiliti dal progetto. L'estetica qui si dimostra un puro processo intellettuale, qua- dro per le riviste d'architettura, pane per i fotografi. Ma la catastrofe funzionale, e quindi estetica, appare con la massima evidenza nelle case d'abitazione. Nulla più di qualche esempio pratico, rile- vato da alcuni illuminati progetti sociali, può rappresentare il fallimento totale delle "utopie realizzate" del capitalismo. Nello stesso tempo nulla più di questo stesso fenomeno può indicare, in negativo, quali siano gli ele-

17 menti comunistici verso cui questa stessa società spinge. Ma per rilevarli occorre un salto violento nel tempo, perciò il lettore è pregato di allacciare ben salda la cintura di sicurezza.

Un mostro albionico Nel 1945 fu eletto nel Regno Unito un governo laburista. A differenza de- gli smidollati di oggi, i laburisti d'allora avevano ancora la tradizione sinda- calista e populista, keynesiana e vagamente utopista che li contraddistinse per un secolo. Fu perciò varato il già ricordato piano per le new towns, allo scopo di alleggerire la pressione demografica e la congestione dei grandi centri urbani. Dopo una storia di esperimenti più o meno finiti male, nel 1955, a una ventina di chilometri da Glasgow, a Cumbernauld, fu aperto il cantiere per uno degli ultimi e più significativi esperimenti di città costruite interamente dal nulla. Dato che nel frattempo si era già accumulata una notevole esperienza, l'ottimismo trascinava i progettisti: "Nella nostra realizzazione – dissero – non è sufficiente evitare gli er- rori e le gravi omissioni del passato. La nostra responsabilità, così come la intendiamo, è piuttosto di condurre un esperimento di civiltà, cogliendo l'occasione per progettare, far evolvere e portare a termine una realtà per il beneficio delle generazioni a venire, i mezzi pratici per un felice e armo- nioso modo di vivere". Il progetto originario prevedeva una città in cui vivessero fino a 80.000 persone. L'area disponibile era più piccola del solito in relazione agli abi- tanti, quindi la densità più alta. La nervatura centrale del centro abitato conteneva tutti i servizi comuni e correva sulla dorsale di una collina. Ad es- sa facevano riferimento diversi moduli composti da più edifici residenziali costruiti in altezza. Lo scopo dichiarato per la scelta di una caratterizzazione "urbana" era quello di evitare l'alienante "mancanza di appartenenza" do- vuta alla già sperimentata dispersione, perciò la limitata disponibilità di spazio fu considerata tutt'altro che un ostacolo. I progettisti non ci spiegano come mai sotto il capitalismo gli ambienti urbani producono alienazione e quelli "giardinati" anche. Ad ogni modo, sotto la direzione di Hugh Wilson, l'architetto capo, accorsero giovani architetti da tutto il mondo per guada- gnare punti utili alla loro carriera. Man mano che la costruzione procedeva, altri ne arrivavano in pellegrinaggio per studiare questo nuovo esperimento di utopia realizzata. Il progetto optava per un centro polifunzionale unico in luogo di servizi distribuiti, così i quartieri non si sarebbero autorappresentati come villaggi separati ma come parte di un tutto organico. Ogni quartiere era collegato al centro con sentieri pedonali attraverso aree verdi, un reticolo appositamente previsto per non incrociare automobili. Per queste ultime si doveva costruire un sistema stradale "gigante" in modo da permettere il collegamento col centro e tra i quartieri anche col mezzo di trasporto indi- viduale:

18 "Questo rivoluzionario concetto, realiz- zato pensando alla sicurezza di pedoni e bambini, richiese la costruzione di un gi- gantesco sistema di strade, di tipo mai vi- sto in Gran Bretagna. Ma Cumbernauld non era una città contro l'automobile, al contrario: le enormi strade rendevano fa- cile la guida e le zone residenziali erano progettate per una densità automobilisti- ca del 100%; c'erano garage ovunque" Fig. 5. New town di Cumbernauld, nu- (The city on the hill). cleo centrale. La megastruttura principale, il centro polifunzionale, era un complesso lungo due chilometri alto come dieci piani. Era percorso da viadotti fra pila- stri "a gambe divaricate come un coniglio sui trampoli" e punteggiato di negozi, servizi e rappresentanze municipali, oltre che da alloggi di lusso che dominavano dall'alto della collina (fig. 5). In effetti fu il primo megashop- ping al coperto costruito in Gran Bretagna, in grado di servire da solo gli 80.000 abitanti. Il centro, con alcuni dei quartieri ad alta densità, fu pronto nel 1967. Alcune delle unità d'abitazione incominciarono a riempirsi, poi i lavori si bloccarono. La città non fu mai finita. A dieci anni dalla prima pietra il cemento armato a vista era diventato grigio scuro per via dell'umidità scozzese (Le Corbusier aveva colpito anco- ra: lo stesso capitò alla "sua" Chandigarh, città modello in India). I me- gashopping al coperto sottoponevano perennemente i pedoni alla "galleria del vento", tanto che i principali commercianti se ne andarono ben presto. Gli alloggi di lusso rimasero invenduti e sfitti. I soldi pubblici finirono e con essi la speculazione, per cui la città prese un aspetto di cantiere eterno e ab- bandonato, un immenso spartitraffico fra le sue stesse autostrade, abitato da 50.000 persone, i soliti abitanti dei suburbi, alle prese con una realtà angosciante e perciò poco propensi al rispetto delle utopie. Nonostante tutto, nonostante la vincita del Carbuncle Award (come dire il "Bubbone d'Oro") per il posto più lugubre della Scozia ("most dismal pla- ce in Scotland"), nonostante i suoi abitanti la definiscano "la risposta occi- dentale a Kabul, cementosa, senza anima e inaccessibile", Cumbernauld compare su tutti i libri di architettura sociale, come radioso esempio di città del futuro, grande esperimento per la vita moderna. D'accordo, dicono gli architetti e gli urbanisti, è fallito: rimarrà però come insegnamento pratico su come progettare una città migliore, che ne eviti gli "errori e le omissioni". Ma qual è stato l'errore? Quale l'omissione? Per noi la risposta è semplice: non si riesce a capire che non si può progettare liberamente un bel nulla quando si tratta di muovere il Capitale verso le città ideali. Si può solo cer- care di intuire dove il Capitale tende autonomamente ad andare (più spesso registrare dove è già andato) e progettare là le abitazioni dei civilizzati, là dove possano servire questo esigente padrone, coltivando le utopie nella propria testa, luogo più congeniale che non i cantieri. Nessun architetto è

19 ancora riuscito, né riuscirà mai, a disegnare una città che non sia lo spec- chio del modo di produzione in cui sarà costruita.

Un mostro yankee Negli Stati Uniti, il paese che ha maggiormente attratto ogni genere di utopie e perciò anche quello che ne ha viste fallire di più, quando si parla di cantieri viene in mente il fruscìo delle mazzette di dollari piuttosto che la brezza fra i giardini che circondano la dimora dell'Uomo. Eppure qui sono stati tentati nel passato grandiosi esperimenti comunistici, in cui l'abitazio- ne era al primo posto come sfida, basti pensare alla New Harmony di Owen. Oggi l'utopia edilizia trova il suo tentativo di realizzazione solo da parte di piccoli gruppi di persone, in alcune delle cosiddette intentional community. Si tramuta spesso in pura speculazione edilizia come nel caso dei Common Development Interest, edificati da imprese che offrono villaggi e città a per- sone di vedute comuni, spesso anche decine di migliaia. "L'architettura moderna è morta il 15 luglio 1972 alle 15,32 a Saint Louis, Missouri, nel momento in cui l'obbrobrioso complesso di Pruitt-Igoe ha ricevuto il colpo di grazia con la dinamite". Così scrive lo storico dell'ar- chitettura C. Jenks. Il complesso in questione fu costruito nel 1956 con i fondi del program- ma post-bellico americano. Sorsero 33 blocchi di 12 piani per un totale di quasi tremila alloggi in cui abitavano circa 12.000 persone (fig. 6). Era un progetto di urbanistica sociale "avanzata", nel senso che vi erano cristalliz- zate alcune idee di Le Corbusier, come le gallerie di comunicazione e ricrea- zione, l'uso massiccio della viabilità verticale tramite ascensori, la diminu- zione dell'area sfruttata grazie all'altezza e a favore dello spazio circostante, la distribuzione dei servizi e la mobilità tramite la separazione del traffico pedonale da quello automobilistico. Tutte le caratteristiche considerate innovative, i passaggi coperti, gli ascensori, i giardini, le vie di comunicazione, ecc. si dimostrarono altret- tante fonti di degenerazione sociale, pericolose per la maggior parte degli abitanti stessi. Chi studiò il problema, si ac- corse subito di contraddizioni eclatanti. Gli spazi comuni, per esempio, venivano o ac- caparrati o distrutti o diventavano depositi di immondizia. Le famiglie che occupavano piani ormai semi-abbandonati erano ri- uscite a separare il loro territorio e quindi a renderlo privato e a controllarlo, mentre gli spazi completamente abitati erano diventati focolai di violenza e di vandalismi. Un'altra contraddizione era ancora più stridente: il super blocco di Pruitt-Igoe era nato di Fig. 6. Hellmuth-Yamasaki, il quartiere fronte a un quartiere pre-esistente di case di Pruitt-Igoe, Saint Louis, Missouri.

20 tradizionali a condominio, Carr Square Village, con strutture più basse ma con lo stesso spazio pro-capite a disposi- zione, con abitanti radicati nel luogo ma con la stessa tipologia sociale del vicino violentissimo quartiere: lì non era successo nulla di straordinario du- rante tutto il tempo della costruzione, del declino e della demolizione del mo- Fig. 7. La demolizione di Pruitt-Igoe. stro accanto. Il complesso divenne anche economicamente insostenibile dato che il circolo vizioso degrado-violenza non permise mai di giungere a un tasso di occupazione superiore al 60% degli alloggi. Dopo aver speso milioni di dol- lari in interventi ricostruttivi, in parcelle di assistenti sociali e urbanisti spe- cializzati in convivenza urbana, il comune lanciò un referendum tra gli abi- tanti che ebbe il seguente risultato: demolite il quartiere e dateci una casa normale. Fu fatto. Gli artificieri piazzarono la dinamite, lo spettacolo fu pubblicizzato al massimo e una enorme produzione di letteratura specializ- zata nacque dal botto (fig. 7). Si disse che quel che era capitato era il risultato delle politiche sociali dello Stato; che non si possono far coabitare in troppi palazzi di 12 piani troppe famiglie con troppi bambini; che si erano assemblati appartamenti per lavoratori mentre questi preferivano le villette; che il quartiere era finito in mano ai lumpenproletari; che era il fallimento definitivo delle idee rivo- luzionarie in architettura; che Saint Louis non è New York; che, semplice- mente, gli abitanti erano tutti negri (oh certo, la sociologia sa dire queste cose in modo più elegante). Pruitt-Igoe fu invece, più semplicemente ancora, il frutto delle determi- nazioni combinate dall'esistenza di capitale libero nella società americana post-bellica, di possessori singoli e sparsi di questo capitale, di suoi poten- ziali utilizzatori pubblici e concentrati, e di una politica federale, statale e comunale, intrecciata con queste determinazioni. Costruire e distruggere è bene, mentre la stagnazione economica del dopoguerra era male, a Saint Louis come in tutte le altre città americane con gli stessi problemi. Per di più Saint Louis era una delle quattro città americane che con la guerra ave- vano perso abitanti invece di acquisirne. Il complesso di Pruitt-Igoe non fu quindi costruito per alloggiare una sovrappopolazione esistente, ma nel- l'ambito di una politica per suscitarla. Del resto per attirare popolazione non c'è niente di meglio che costruire: l'originale piano di ristrutturazione di un quartiere era diventato così la tes- sera di un mosaico più complesso, che prevedeva un massiccio ridisegno della città, con autostrade, aeroporto, infrastrutture, insomma un progetto complessivo di risanamento del centro e della periferia che andava molto più in là della semplice edilizia residenziale. Gli architetti George Hellmuth e Minoru Yamasaki (quest'ultimo progetterà le Twin Towers di New York)

21 non fecero fatica a convincere le autorità che un piano così vasto doveva avere dei contenuti sociali d'avanguardia e che inscatolare le classi medie in palazzi di dodici piani era normale. New York insegnava: Manhattan on the Mississippi, fu lo slogan. A questo punto, dicono le cronache, i governanti e i businessman che raccoglievano capitali optarono per Le Corbusier, le alte costruzioni, gli spazi verdi, le parkway, le gallerie pedonali e tutto il resto. Nel capitalismo sviluppato tutto ciò che è pubblico, dalle case alle auto- strade, dalle dighe ai ponti più arditi, può sembrare dettato da un centro di potere sovrapersonale, ma è in effetti frutto di decisioni prese dal bisogno di profitto, individuale o condiviso che sia. Intorno a grandi interessi si coaliz- zano grandi gruppi, "cordate" di capitalisti che hanno fatto i loro calcoli e prevedono alti profitti. Nel caso specifico un'intera città da ricostruire con tutte le sue infrastrutture; nel caso delle new town tutto da fare ex novo; nel caso generale dei nuovi quartieri sorti come funghi nel secondo dopoguerra europeo, una marea di contratti, appalti, commissioni ecc. Si capisce che lo spirito dei santi del cemento e dell'acciaio come Le Corbusier, le sue puerili teorie sociali, le firme dei suoi discepoli, giù giù fino all'ultimo geometra, tutto ciò poggia sui robusti plinti del capitale in cerca di valorizzazione, e non sulle idee. Tutto ciò è puro contorno, del tutto ininfluente rispetto ai di- sastri che verranno, rispetto alla degenerazione sociale inscindibile dal tes- suto abitativo capitalistico, alla dinamite e ai cantieri che la seguono. Quan- do fra una ventina d'anni sarà ora di fare manutenzione seria ai palazzoni speculativi costruiti nel dopoguerra ne vedremo delle belle. Quale testa avranno avuto i due architetti per costruire a Saint Louis, Missouri, tremila appartamenti, millecinquecento per bianchi e altrettanti per neri negli anni '50 sulla stessa area? Veramente rivoluzionario, alta- mente sociale e antisegregazionista, ai tempi in cui un nero rischiava di es- sere ammazzato se si avvicinava a un quartiere bianco. Sennonché, com'era ovvio, i bianchi se ne andarono nelle loro villette e lasciarono la ville ra- dieuse di Pruitt-Igoe Project completamente in mano ai neri. Nel frattempo, dal 1950 al 1970, la popolazione totale della municipalità di Saint Louis era diminuita di 234.000 unità e quella dell'area metropoli- tana era passata dal 51 al 26% del totale, spinta alla periferia dal moltipli- carsi degli ambienti commerciali e amministrativi. In compenso le aree abitabili cittadine, compreso il complesso di Pruitt-Igoe, erano arrivati a co- stare fino al 60% in più della media nazionale. Di qui il fenomeno conse- guente: il sovraffollamento dei singoli alloggi, la pratica di ricavare più stanze piccole da una grande, l'occupazione degli spazi comuni, l'abbando- no della manutenzione degli spazi verdi e degli stabili, le occupazioni abusi- ve. Infine tutti i fenomeni che sono considerati particolari indici di degrado fisico e sociale: violenza, droga, prostituzione, ecc. Ovviamente anche i borghesi sono violenti, si drogano, fanno della pro- stituzione famigliare la loro istituzione massima, ma non si considerano so- cialmente degradati e possono pagarsi ben altro che qualche giardiniere, imbianchino, arredatore. Non hanno bisogno di chiedere l'intervento pub-

22 blico, ci pensano da sé stessi a dirottare plusvalore verso le proprie case, renderle "dignitose" e mantenerle tali. Il termine "edilizia residenziale" non ha senso se non si specifica per quale classe. E delle "case popolari" si può far carico solo la società, tramite lo Stato, dato che sono senza casa gli stessi che sono anche senza lavoro o sono mal retribuiti. Pruitt-Igoe è stato ridotto in macerie con la dinamite. Non sappiamo co- sa c'è adesso al suo posto e che fine abbiano fatto i suoi abitanti. Ma sap- piamo che è incessante e frenetica la ricerca di valorizzazione del Capitale attraverso la terra, l'acciaio, il cemento, il vetro, i giardini più o meno pen- sili e tutto il resto. Finché non arrivano la dinamite, la ruspa, il nuovo can- tiere e il nuovo architetto in carriera, un po' naïf e un po' furbetto, che pro- mette la città radiosa, senza neppure rendersi conto di essere un clone per nulla originale da almeno un secolo.

Un mostro italico Per alcuni il complesso di Corviale a Roma è un capolavoro mancato. Per altri un obbrobrio da radere al suolo. Come Cumbernauld e Pruitt-Igoe è stato considerato un progetto rivoluzionario fin che era sulla carta, ma una volta costruito è diventato un luogo comune per descrivere i disastri e i pe- ricoli dell'edilizia sociale. Qualche mese fa ci fu un convegno promosso da enti pubblici sul suo recupero. Più recentemente altri enti pubblici hanno proposto la sua demolizione. Come si dice fra gli addetti ai lavori, non si dovrebbe mai fare architettu- ra per architetti, ma proprio questi stessi sono i primi a non prendersi sul serio se ogni cambiamento di "stagione progettuale" (chiamiamola moda) vede questa categoria professionale andare in fibrillazione assolutamente autoreferenziale. È allora che fioriscono pulsioni trasformatrici, entusiasmi per demolizioni e ricostruzioni, anche se non si dice più "piccone risanato- re", frase di mussoliniana memoria. È allora che si progetta con in mente non l'uomo che abita ma l'altro architetto, o meglio, l'altra congrega di ar- chitetti, con la mediazione dei critici e delle riviste specializzate in "ismi" , "contro-ismi" e "neo-ismi" (il mondo degli architetti e degli urbanisti somi- glia molto a quello dei gruppettari). E gli speculatori applaudono. Un'agen- zia privata vorrebbe demolire Corviale e al suo posto costruire un quartiere medioevaleggiante. Non c'è male, a un paio di chilometri dal raccordo anu- lare, sullo sfondo della nota skyline palazzinara romana. Dateci piuttosto la "macchina per abitare" ispirata a Le Corbusier; sarà un mostro, ma è sem- pre meglio di una lottizzazione a tremende villette pastrufaziane per mezze classi depresse. Corviale rappresenta un tardo razionalismo funzionale, umanizzato – almeno nelle intenzioni – da Mario Fiorentino e 23 collaboratori sulla base dei confronti con i mostri suoi antenati "venuti male". Il cantiere viene im- postato dall’Istituto Autonomo Case Popolari nel maggio del '75. I primi al- loggi sono consegnati nell'ottobre dell'82. L'edificio si sviluppa senza

23 soluzione di continuità per un chilometro in linea retta e per dodici piani in altezza, di cui uno seminterrato e due interrati. È suddiviso in cinque blocchi per un totale di 1.202 alloggi in cui vivono attualmente cir- ca 4.500 abitanti (secondo l'ultimo censi- mento; secondo l'anagrafe di Roma gli abitanti sono invece 8.748). I piani sono serviti da 74 ascensori. Un edificio più basso corre parallelo a quello principale e Fig. 8. Il nucleo abitativo di Corviale. un altro se ne stacca in diagonale, proiet- tandosi verso il quartiere pre-esistente al quale dovrebbe fornire, come ai propri abitanti, spazi sociali e servizi comuni. Una strada pedonale lo attra- versa in lunghezza, alcuni passaggi sono ricavati in larghezza e vi passa an- che il traffico automobilistico. Essendo costruito su una leggera altura, ap- pare come una massa imponente (fig. 8). Nello smisurato complesso ci sono un centro scolastico (nido, materna, elementare e media), un anfiteatro per spettacoli all'aperto, una grande sala convegni, cinque sale comuni più piccole, una biblioteca, una scuola d'arte, una palestra coperta, una farmacia, un consultorio pediatrico, un super- mercato, un ristorante, un self-service, studi professionali, ambulatori, ne- gozi, botteghe artigiane, aree di servizio. Il quarto piano doveva essere inte- ramente dedicato a impianti collettivi ma non è mai stato utilizzato a tale scopo (dalla documentazione non risulta chiaro che cosa precisamente si- gnificasse in origine "impianti collettivi"). Intorno, cinque grandi spazi ver- di. Il tutto sovradimensionato già dal progetto, dato che, oltre al quartiere pre-esistente, doveva servire altri 20 blocchi residenziali, previsti e mai co- struiti, per ulteriori 1.500 abitanti (fig. 9). Si sarebbe arrivati dunque a 6.000 o 10.000 abitanti (a seconda dei dati, del censimento o dell'anagrafe) su più di un chilometro quadrato. Ne concludiamo che il cantiere di Mario Fiorentino è meno bestiale di certe utopie di Charles Le Corbusier che, co- me s'è visto, vanno oltre i 200.000 abitanti per chilometro quadrato. Corviale è un attrattore di umanità sperduta. Non erano ancora sistemati i primi abitanti "legittimi" che 700 famiglie senza casa prendevano d'assalto l'edificio insediandosi "illegalmente". La seconda ondata portò 200 peruviani ad occupare i locali abbandonati della "spina centrale". La terza portò altre 120 persone, quasi tutte coppie giovani e un po' alternative, che si stabilirono al quarto piano, destinato nel progetto ai "servizi collettivi", e che si im- provvisarono muratori costruendosi lette- ralmente gli alloggi. Nel colosso edilizio fuori controllo si susseguono ancor oggi le Fig. 9. Pianta del compleso di Corviale.

24 occupazioni sporadiche, quasi una al mese, sempre negli spazi che avrebbe- ro dovuto essere comuni. Spesso le autorità costituite non lo sanno neppure e gli abitanti "legittimi" si fanno i fatti loro. Essendo la struttura in cemento armato, le pareti secondarie in mattoni forati e le pareti interne degli alloggi in cartongesso, tutto è in continua tra- sformazione, ad arbitrio degli abitanti, i quali si sono rivelati assai creativi nell'aumentare il caos esistente. Alcuni architetti e sociologi sono persino andati a studiare il comportamento degli edili improvvisati e le continue trasformazioni da essi apportate, in grado – a detta loro – di "ricondurre questo edificio ad una scala più umana, con la precisa volontà di rendere identificabili i propri spazi". Non è vero niente, dato che di umano c'è ben poco in una situazione del genere ma, a parte questa propensione "scientifi- ca" a valutare l'inventiva popolare un po' come lo zoologo valuta il com- portamento degli animali chiusi in gabbia, c'è qualcosa che non va in questa faccenda della spontaneità edilizia all'interno del megaprogetto; troppe domande vorrebbero risposta. Non è l'uomo che si distingue dagli animali per la sua capacità di progetto e di realizzazione? E perché ammirare sia l'umano che non azzecca il grandioso progetto sia quello che sforna archi- tetture spontanee come gli animali? Non poteva il grande architetto con i suoi 23 aiutanti, una letteratura di due secoli e migliaia di esperienze sul campo, pensarci prima e stabilire già in sede di progetto quale poteva essere un "edificio a scala più umana"? E se non l'ha fatto, perché? Che cosa gli ha impedito di prevedere le conseguenze? Sarebbe ben strano costruire una macchina per abitare lunga un chilometro con annessi e connessi solo per vedere cosa succede. Dicono i sociologi che gli abitanti di Corviale "amano il mostro, non lo capiscono ma ne sono affascinati; non vogliono che si parli male di loro, ma non vogliono neppure che si dica male del palazzo… Sono in molti ad avere un senso di fierezza ad abitare un edificio avveniristico, un posto di cui tutti parlano" (Campanella). Che succede? Perché gli inglesi davanti ai sociologi definiscono il loro "mostro" come il posto più lugubre, gli ameri- cani vogliono la dinamite per il loro mentre gli italiani addirittura lo amano e si arrabbiano con chi dice di volerlo demolire? Eppure Corviale non è troppo diverso, concettualmente e come situazione materiale, rispetto agli altri esempi che abbiamo fatto. È il sociologo che conta balle? O tutti i 4.500 abitanti sono pazzi masochisti? La coalizione infernale fra urbanista, architetto e sociologo ha una rispo- sta per il fallimento dei mostri edilizi: l'uomo avrebbe bisogno di spazio privato. Sarebbe felice quando potesse difendere il suo territorio, la sua fa- miglia e i suoi cuccioli. Come una bestia, appunto (cfr. Creating defensible space). A Cumbernauld hanno ridipinto il cemento con colori vivaci per esorcizzare la depressione; a Pruitt-Igoe c'è stato un finale hollywoodiano con dinamite; a Corviale, esperimento avanzato in una comunità arretrata, la bestia ha forse avuto il sopravvento? La coalizione applaude al muratore fai-da-te, al colcosianesimo industriale innalzato a nuovo paradigma del

25 "sociale avanzato". Ma abbiamo il sospetto che l'abitante di Corviale l'abbia fregata: si potrebbe "amare" il mostro per motivi del tutto diversi. Per il fatto per esempio che con i suoi abitanti potrebbe assomigliare ad un em- brione di comunità umana. Nonostante tutto.

DOMANI

Teorema del giardiniere Cumbernauld, Pruitt-Igoe e Corviale hanno un tratto in comune, un in- variante essenziale per capire il perché del fallimento. Ma hanno anche delle differenze importanti che forse ci danno la chiave interpretativa per passare alle prospettive reali per il domani. Il tratto comune è rappresentato dai progetti iniziali: tutti si riferiscono esplicitamente al razionalismo funzionale verticalista che per comodità rife- riamo alla persona di Le Corbusier. Tutti prevedono strutture abitative ver- ticali, strutture per servizi orizzontali, percorsi separati, verde comune e blocchi, o moduli, o quartieri distinti; tutti fingono spazio e orizzontalità alternando ampie aree libere agli edifici, ma questi sono alti dai nove piani in su e ripristinano la densità media urbana. In tutti i casi al progetto e alla fase costruttiva di case e infrastrutture è seguito l'abbandono non appena gli abitanti hanno incominciato ad affluire. In pratica il dato costante è che i progetti sulla carta funzionano, gli architetti e gli ingegneri sono magari bravi, la grande capacità costruttiva capitalistica è evidenziata da opere co- lossali, ma non appena arrivano gli abitanti, coloro per i quali dovrebbe es- sere stata ideata e realizzata l'opera, tutto si blocca. I soldi finiscono, i lavo- ri sono interrotti, nessuno bada alle piccole cose che – come ognuno che abbia fatto un trasloco sa benissimo – fanno la differenza tra il vivere tran- quilli e l'angoscia del "non finito". La manutenzione inesistente porta presto al degrado dei manufatti e questo dà inizio alla spirale del degrado anche sociale. Occorre sottolineare con forza le implicazioni soggiacenti all'espres- sione tanto cara all'architetto: "ideata e realizzata", che potrebbe indicare l'importanza del progetto, dell'arte come contrapposto a natura, del rove- sciamento della prassi operato dall'uomo consapevole del proprio destino. Ma non è così: in ambiente casuale, com'è quello capitalistico, la realizza- zione dell'idea è una sovrapposizione mistica alla realtà. Quest'ultima segue pedestremente le leggi del valore, mentre all'uomo non resta che l'utopia, il modello ideale che qualcuno dovrà tradurre in realtà. Come? Con idee, ap- punto, e la buona volontà, naturalmente. Il tratto divergente è rappresentato dall'evoluzione dei vari progetti nel tempo. Essi cambiano non in base a miglioramenti previsti da un progetto cosciente ma, come tutte le cose capitalistiche, a posteriori, in seguito ai ve- rificati fallimenti, nella solita sequenza "spacca e rattoppa" da noi tante volte presa in esame. Non ci si può stupire se, in questi comprensori, anche la vita diventa fatalmente un continuo "spacca e rattoppa".

26 Il Capitale deve agire in fretta, valorizzarsi e andare subito da un'altra parte. Non glie ne importa nulla degli abitanti, della famiglia che si sbrana fra le quattro mura e dell'arricchimento dei produttori di ansiolitici e anti- depressivi. Quello che conta sono i cantieri, il cemento, l'acciaio, le struttu- re. Se queste ultime durano poco tanto meglio, si demoliscono e si ricostrui- scono. Le piccole cose non portano profitto, mentre le opere colossali cre- scono abbastanza in fretta da permettere cicli d'accumulo brevi. Se poi lan- guono per anni nell'attesa dei fantomatici servizi comuni, dei piccoli inter- venti, degli allacciamenti, delle aiuole, dei marciapiedi, dell'illuminazione ecc. al Capitale non interessa. A meno che questo stillicidio non permetta agli speculatori di ingigantire i prezzi rispetto ai progetti originari. Ad ogni modo, quel che più incide sul fallimento di queste opere non è tanto il la- drocinio, quanto l'impossibilità di mantenerle e soprattutto l'impossibilità di farle diventare aggregati umani. La manutenzione non conviene, e i pro- getti delle grandi opere non si curano certo di quello che succederà dopo: il tubo che perde, la presa che non funziona, lo scarico che s'intasa, il verde che va curato e gli spazi che vanno tenuti puliti. Senza la cooperazione degli abitanti tutto si sfascia. E la cooperazione è impossibile fra cellule aliene l'una all'altra: solo se hanno soldi gli alieni se la possono cavare, sborsando le loro quote per "servizi esterni" a pagamento. Spinte verso soluzioni future si dimostrano irrazionali e la realtà capitali- stica impone la regressione a forme egoistiche e commerciali. Ma, a parte le città ideali rimaste nel cervello degli utopisti e a parte la crescita reale delle città nel caos edilizio speculativo, che è il fenomeno di gran lunga domi- nante, la costruzione delle nuove città secondo i vari progetti umanistici globali ha effettivamente espresso potenziali evolutivi, anche se sono stati bloccati nei fatti dal modo di produzione attuale. Il tentativo di puntare ver- so il futuro c'è, ma è assassinato prima ancora che prenda forma sulla carta. Da almeno 5.000 anni, cioè dall'epoca delle prime città vere e proprie, la pianta di un alloggio è fatta sempre allo stesso modo: soggiorno, camera, cucina, con varianti inessenziali. Il motivo è che la casa è fatta per contene- re la famiglia. Finché il modulo fondamentale della casa servirà a questo scopo, ogni sua moltiplicazione in palazzi da speculazione, unità di abita- zione di super architetti o città di urbanisti più o meno illuminati non sarà altro che un eterno rimasticare vecchie solfe. Si perderanno o reintrodur- ranno gli ornamenti, vinceranno le forme dettate dai materiali, ma si ve- dranno sempre piantine con soggiorno, camera, cucina. Il trionfo dell'isolamento "privato" contro il tentativo di spingere verso soluzioni comunitarie è ben rappresentato da un altro caso che ha fatto scuola, quello di Bijlmermeer. Si tratta di un'estensione urbana a Sud Est di Amsterdam, su cui l'edilizia pubblica pianificò e costruì negli anni '70 un quartiere-città. Il modello era quello solito di Le Corbusier. Anche in questo caso non era ancora terminato che gli urbanisti lo indicavano già come esempio di che cosa non bisogna fare: no alle astrazioni, no all'anonimità, no alle grandi dimensioni, no all'esasperazione del comunitarismo sociolo-

27 gico. Una volta costruito, ci si accorse che sorgevano i soliti problemi. Le lunghe gallerie di accesso sospese, le vaste aree a parco comune, i cammi- namenti sotto e attraverso le costruzioni, non erano utilizzati dagli abitanti secondo quanto era previsto dagli architetti. La gente abitava in città ma non conduceva vita urbana. Era circondata da spazi comuni ma viveva in compartimenti stagni. L'invivibilità, nonostante la crisi degli alloggi, pro- dusse deprezzamento. Il complesso fu quindi privatizzato, i grandi blocchi furono tagliati, le gallerie sostituite da ascensori, gli spazi comuni frazionati e assegnati agli alloggi, la densità abitativa fu aumentata. Per coprire il solito orrore del ce- mento a vista fu escogitato un lifting estetico che comportò l'aggiunta di pannelli in materiale fotovoltaico, titanio e vetro. Oltre che far recuperare energia dal sole, la ristrutturazione fece raddoppiare il valore commerciale degli alloggi e di conseguenza la nuova "tipologia" degli inquilini permise la cura e la manutenzione a pagamento delle aree privatizzate, compreso il verde circostante. Bijlmermeer ridivenne un quartiere piccolo-borghese qualunque. Solo questo può fare l'odierna società: oscillare fra il passato e il futuro in una schizofrenia la cui unica cura è il ritorno rassicurante al pas- sato. Nuove eventuali comunità urbane non saranno per niente nuove e la vita comunitaria vedrà famiglie che in comune hanno solo il giardiniere condominiale e l'affitto da pagare. Ma chi l'ha stabilito che l'uomo possa avere in comune soltanto il nostro emblematico giardiniere? Gli architetti dei massenwohnung per nullatenenti hanno prefigurato e generalizzato nel condominio il "centro sociale", dove di sociale non c'è nulla, solo atomi separati che si ritrovano, dove la tensione è tangibile, dove agli spazi comunitari è dato solo un nome e non una funzione che non po- tranno mai avere in questa società. E infatti vengono graffiti, sfregiati, di- sprezzati, vissuti con impotente aria di sfida, nell'esibizione di tutti i luoghi comuni sulla "diversità" che grande e piccola borghesia aborrono schifate. Quando gli "alternativi" sono massa c'è omologazione bella e buona, è per- sin banale osservarlo. Così, quando negli anno '50 e '60 il disegno del razio- nalismo purista divenne costruzione di massa, ciò che poteva stupire negli anni '20 divenne orripilante speculazione fine a sé stessa. I "rivoluzionari" palazzoni-mostro e gli architetti che li progettano a migliaia confluiscono nel generale piano di cementizzazione delle periferie metropolitane. Quan- do la pressione sociale cresce, al massimo si impreca contro le istituzioni inadempienti e la cosa più terribilmente di sinistra è diffondere qualche strofa di Bella ciao e lanciare un'invettiva al Berlusconi di turno. Si capirà mai che nel sessantottinesco "abbattere il sistema" c'è tanto riformismo quanto nell'odierno "abbattere Corviale", se non c'è la comprensione di cosa c'è dietro ad entrambi? Il fatto è che chi fa funzionare il sistema non si basa certo su frasi e i Berlusconi di turno le loro "città radiose", progettate per stare all'interno del sistema, le fanno funzionare, con i giardinieri, gli spazi per socializzare, le piscine e tutto quanto, anche se gli "umani" che le abita- no non sono meno alieni l'uno all'altro, benché, certo, meno alternativi.

28 Il modo di produzione più socializzato della storia non riesce a socializ- zare l'ambiente in cui si manifesta la sua potenza. La sua inumanità sarà la sua condanna. La prossima società non sarà un modo di produzione ma un modo di vita in cui la produzione sarà sottomessa ai bisogni umani. Il fal- limento della "città radiosa", non come tramite di speculazione ma come organismo sociale, è inscritto nella sua teorizzazione: essa è pensata e co- struita come involucro per i bisogni di questa società, quindi per sé stessa, non per gli uomini che la abitano. Questo invece sarà il compito principale della società futura.

Appartenere ad una comunità umana La nostra teoria ci dice che alla base della critica all'economia capitali- stica deve stare la distinzione fra lavoro morto e lavoro vivo. Vale a dire che il capitalismo non si caratterizza per la questione della proprietà, titolo giu- ridico presente anche nelle società anteriori, ma per le condizioni generali di produzione, che permettono al borghese di essere sì proprietario di terre e di fabbriche (lavoro passato, morto), ma soprattutto di avere il diritto di sfruttare il lavoro vivo e di accaparrarsene i risultati. Non altro che questo è il senso della classica proposizione di Marx "antitesi fra produzione sociale e appropriazione privata". Allora è chiaro che per il capitalista gli immobili hanno valore finché so- no tramite di lavoro vivo e perdono d'interesse non appena termina la loro costruzione, quando cioè il capitale anticipato è ormai diventato capitale maggiorato. L'immobile in quanto tale, in quanto cioè accumulo di lavoro morto ormai pagato, passa alla rendita, oppure in proprietà al suo abitante in quanto bene durevole. Diventa capitale fisso solo dal punto di vista della dotazione generale della società capitalistica, che ormai va considerata co- me dedita alla produzione incessante di plusvalore nel suo insieme e non nei singoli momenti specificamente produttivi. L'economia capitalistica non può, per sua intrinseca natura, avere solu- zioni razionali per la conservazione del patrimonio generato dal lavoro pas- sato (e ciò vale in ogni settore, non solo in quello edile). Per l'economia ca- pitalistica tale patrimonio è morto, non è in grado di produrre plusvalore. L'alloggio-famiglia, come viene definito dalla nostra corrente, è mero tra- mite per l'applicazione di lavoro vivo e per riprodurlo biologicamente. Ma questa applicazione e riproduzione possono avvenire solo nella produzione di merci, non in altre attività. Perciò il capitale fisso, in quanto lavoro morto (capitale costante) deve solo passare il più rapidamente possibile nel pro- dotto finito e in ciò esaurisce il suo compito. Potrebbe essere progettato e utilizzato razionalmente in lunghi periodi, rappresentare il fondamento per l'applicazione ottimale del lavoro futuro, invece viene buttato via con molto anticipo rispetto alla sua naturale consunzione. Viene rottamato, come si dice oggi. Non viene mai accudito, fatto oggetto di attenta manutenzione, ravvivato, bensì ammortato. Il frenetico ciclo della produzione "al mo-

29 mento" distrugge la massa del patrimonio ancora utile e se ne frega degli uomini che nasceranno domani. Per questa società è una dannazione che la sua stessa scienza allunghi la vita e strappi tempo alla morte (la morte dila- zionata degli anziani è un lucrosissimo business per i privati ma una dissi- pazione insostenibile per lo Stato). Questi, e non altri, sono i motivi del fal- limento nel campo dell'edilizia sociale. A Corviale, come in tutti gli altri luoghi analoghi, gli abitanti sono entrati nelle loro case quando i lavori non erano ancora finiti. Non sono finiti nep- pure adesso e probabilmente non finiranno mai. Solo un terzo del progetto originario è stato portato a termine, in pratica solo la parte abitativa del nucleo e non tutta quella comune che le doveva stare intorno. In realtà non sarebbero finiti neppure i lavori essenziali se gli abitanti del colosso non avessero lottato per questo. Ma è assurdo pensare che la completa realizza- zione del progetto avrebbe comportato il suo automatico successo. Non esi- stono isole felici capitalistiche. La battaglia continua cui gli abitanti sono stati costretti ha certo provo- cato un legame tra le persone, ha permesso di superare tempi duri e ha fatto saltare quello schema alienante così comune nei casi analoghi. Ma non è stato risolto nulla e il mostro sopravvive come contenitore per famiglie iso- late. Nella normale vita di condominio nessuno riesce a sapere ciò che suc- cede negli alloggi che danno sullo stesso pianerottolo, figuriamoci all'altro capo del mostro, a un chilometro di distanza. Il tam tam interno ha funzio- nato bene solo quando c'erano delle emergenze. Fuori di questo a Corviale c'è violenza e degrado come in tutte le periferie del mondo. Nonostante tutto – come abbiamo visto – gli abitanti dichiarano di viverci bene. Forse l'attaccamento è dovuto solo alla paura della demolizione, ma intanto si ve- rificano episodi atipici rispetto agli standard non solo romani. C'è stata per esempio una solidarietà con gli zingari, mentre altrove si è tentato di bru- ciarli. Si è lottato a fianco degli stranieri, mentre altrove si è scatenata la so- lita guerra tra poveri, con reciproche accuse per il proprio malessere. Sono stati assimilati gli occupanti abusivi. Nell'emergenza continua è sorto un sentimento di appartenenza molto forte. Forse l'antico legame tribale ha avuto un suo moderno surrogato, manifestatosi con la "personalizzazione" degli spazi e la spontanea realizzazione di una "famiglia allargata" anche senza legami di sangue. Forse il mostro monoblocco ha permesso di mante- nere aspetti di vita urbana che si sono amalgamati con istanze primordiali, echi dell'antica gemeinwesen, l'essere comune. Forse. Ma non è possibile conoscere il perché di questa differenza in un caso troppo specifico. La stessa borghesia che studiò a fondo il problema generale dell'odio suscitato dalle unità di abitazione nei loro abitanti rimase sorpresa quando cercò di capire Corviale. Non ha scoperto né tantomeno risolto nulla, e tentenna sul da farsi, divisa fra recupero (ma in che modo?) e dinamite. Alcuni risultati, però, ci possono aiutare a capire ciò che ci serve per guardare al domani. Per vedere se essi non siano già elementi di affer- mazione del futuro, pur se rivoltati in negativo dalla società attuale. Osser-

30 viamo dunque come la lingua della borghesia batta insistentemente sul dente che duole. Nelle teorizzazioni che precedettero la costruzione delle new town in Gran Bretagna, fu introdotto il Neighbourhood Unit Principle (Principio di Quartiere Modulare). Si trattava di un parametro secondo il quale l'unità minima di urbanizzazione non poteva essere inferiore ai 5.000 abitanti, il minimo per riprodurre in piccolo le caratteristiche medie della generale ci- viltà urbana. Basata sulla micro-unità famigliare tale unità doveva essere in grado di fornire un numero sufficiente di bambini per una scuola elementa- re, un numero sufficiente di famiglie acquirenti per un supermercato, per una farmacia, ecc. ecc. Ebbene, già negli anni '50 ci si accorse che i nuovi insediamenti producevano uno speciale tipo di fauna urbana, afflitta da una forma depressiva chiamata new town blues, provocata dal senso di isola- mento della famiglia in spazi artificiali che fingevano un urbanesimo inesi- stente. Una depressione spesso accompagnata da fenomeni irrazionali di ri- bellione e di distruzione, con uno speciale accanimento contro le strutture comuni (abbiamo esaminato il vandalismo ultra-esasperato di Pruitt-Igoe, ma il fenomeno è tipico, per esempio, anche delle nuove città siberiane a blocchi prefabbricati). Perciò il principio modulare per i quartieri fu modifi- cato e si tentò di fare in modo che la base di riferimento per il micro- modulo non fosse più la famiglia singola ma un gruppo umano più compo- sito, che trovasse una sua identità nell'unità di abitazione. Si teorizzò che era meglio far abitare questi indefiniti gruppi umani non più in orizzontale ma in verticale, "alla Le Corbusier", in sintonia più o meno conscia con la necessità speculativa di accrescere la densità abitativa. Ognuno di tali grup- pi avrebbe dovuto essere messo in riferimento a centri più complessi che non un semplice supermercato con appendice di scuola e farmacia. Anche questa soluzione, tuttavia, fu presto abbandonata: gli abitanti dei blocchi, invece di legare con una comunità di centinaia di umani inscatolati, preferi- vano dirigersi verso le "possibilità di socializzazione" offerte dalle metropoli storiche da cui provenivano e a cui erano abituati. In questo modo, oltre a far fallire i disegni dei sociologi, incrementavano spaventosamente il traffi- co. Gli spazi comuni rimanevano desolatamente inutilizzati, abbandonati, vandalizzati. Quando non si muovevano sulle autostrade, gli abitanti inebe- tivano in casa davanti ai televisori, vittime di nuove patologie mentali dai nomi suggestivi. Falliti anche i progetti di questo tipo, gli architetti del tardo esperimento di Corviale tennero conto delle disfatte precedenti. Perciò realizzarono uno dei tentativi più maturi mai affrontati dall'edilizia sociale in ambito capitali- stico. Lungi da noi l'intenzione di fare l'apologia dei mostri cementizi, ma le loro aberrazioni riguardano più i limiti dovuti alla struttura dell'attuale so- cietà che il progetto in sé; ed essi contengono in nuce il potenziale necessa- rio per lo scatto nel futuro. Immaginiamo già la veemente critica del demo- cratico irriducibile: non vi bastava la società-fabbrica, adesso teorizzate an- che l'abitazione-caserma! Noi siamo dei "pratici", studiamo strutture, ce-

31 mento, uomini, non idee. È facile vedere che a Corviale o altrove sarebbe immediatamente possibile, in una transizione rivoluzionaria, far tabula ra- sa di tutte le strutture che caratterizzano la vita di una società tagliata su compartimenti stagni famigliari. I mostri sono già strutture modulari: me- tamorfosi ben più radicali di quanto possano fare muratori improvvisati o ristrutturazioni speculatrici saranno facilissime. In città costituite da simili strutture rigenerate la popolazione sarà abbastanza concentrata da lasciare libero spazio alla natura e alle altre specie viventi, e nello stesso tempo lo spazio urbano disponibile socialmente sarà enormemente superiore rispetto a quello delle città attuali. Le comunità umane elimineranno così l'isola- mento, condurranno vita urbana e renderanno cittadini tutti coloro che fa- cevano parte del contadiname sparso (oggi "solo" tre miliardi di persone sono inurbate).

Appartenere alla comunità umana futura Come si vede, nonostante la critica necessariamente feroce all'architettu- ra e all'urbanistica borghesi, sarebbe sciocco non riconoscere in esse alcune anticipazioni, se pur frenate e negate, determinate fortemente dal premere di un nuovo ordine sociale. E se esse rimangono uno dei peggiori prodotti dell'ideologia dominante e della produzione per la produzione, tuttavia non possono essere esenti dalle spinte materiali che rafforzano sempre più la base materiale del comunismo. Tutta l'architettura moderna poggia su una corrente ben definibile, de- terminata dall'erompere della produzione. I ponti di Eiffel e la sua famosa torre, la reazione estetica agli inutili fronzoli del tardo barocco e alle copie dall'antico, la progettazione (senza troppe teorie) di stabilimenti e capan- noni industriali, furono il portato della marcia del Capitale, la quale impose la propria estetica nuova. Il funzionalismo in architettura nacque ben prima del razionalismo dei Gropius e dei Le Corbusier, dell'organicismo dei Wright e degli Aalto: il concetto è parte integrante dei processi industriali, strettamente legati come sono alla tecnologia. Nuove tecniche e nuovi mate- riali dovevano comportare nuove estetiche. Il funzionalismo, in architettura o altrove, è parente stretto del determinismo (cfr. Politica e costruzione), e sostenne, non senza ragione, che il fatto stesso di fare progetti completi di calcoli e disegni avrebbe comportato la soluzione riguardo allo stile: si sa- rebbe automaticamente ottenuto, oltre all'utile, l'esteticamente bello. Anche i cultori del moderno industrial design sostengono che l'ergonomia, cioè la funzionalità rispetto alle proporzioni del corpo e alle sue posizioni, produce nello stesso tempo bellezza. Non c'entra l'estetica come ideale: gli antichi architetti greci o romani fissarono canoni estetici dopo che i materiali, le tecniche e l'uso cui erano adibite le loro costruzioni li avevano obbligati a determinate forme. Chiunque faccia altrettanto con i materiali e le tecniche moderne produce "opere d'arte" valide dal punto di vista estetico quanto le antiche. Per questo l'architettura del Novecento, per un secolo intero (e an-

32 drà oltre), ha espresso funzionalismo, razionalismo, purismo e tutti quegli "ismi" legati alla produzione capitalistica. Non è l'idea dell'artista a definire la forma, ma il determinismo dei processi reali. Nel 1917 D'Arcy Thompson scrisse un bel trattato in cui la struttura e l'estetica del vivente erano spie- gate attraverso i processi deterministici che ne stabilivano le forme, e in un capitolo mette in parallelo le strutture dei vertebrati e le armature archi- tettoniche (cfr. Crescita e forma). Tutto questo per dire che non basta inventare una forma per avere una struttura urbana felicemente abitabile, così come la forma escogitata non può che risentire delle determinazioni funzionali soggiacenti. Una macchi- na per abitare, che la disegni o meno Le Corbusier, sarà sempre un riflesso della società che la esprime e che la costruisce. Come s'è visto avrà prima di tutto gli alloggi per la famiglia borghese (anche quella dei proletari è una famiglia a base borghese), avrà garage e superstrade per le automobili pri- vate, avrà botteghe e supermercati per le merci, avrà scuola, municipio e polizia come rappresentanti dello Stato, avrà la banca, ecc. ecc. L'unica volta che si progettarono abitazioni, quartieri e città senza queste caratteristiche, specie senza la millenaria istituzione della famiglia come pa- rametro fondamentale, fu durante la Rivoluzione Russa, ma tutto fu repres- so dalla controrivoluzione staliniana. Paradossalmente, il ricorso ad un mo- dello di struttura abitativa di tipo comunitario ricompare negli Stati Uniti per motivi o idealistico-mistici o del tutto funzionalistici: si moltiplicano, si sfasciano e si rinnovano le "comuni" di persone che non ce la fanno più a vivere "normalmente", e ne nascono fra i disoccupati o i precari. Special- mente fra questi ultimi, che devono fare più lavori per vivere, si spostano continuamente e quindi non possono pensare a casa e famiglia, stanno prendendo piede tentativi di mettere insieme le risorse (co-housing) con ri- sultati se non comunistici, certamente comunitari. Engels analizzò nei par- ticolari gli esperimenti comunistici americani della sua epoca, sottolineando gli aspetti anti-dissipativi, il forte senso di appartenenza dei membri e il bi- sogno irriducibile di comunismo da parte dell'uomo. Ma non è mai stato possibile appartenere ad una comunità umana diver- sa da quelle che nella storia sono state permesse dai dati di fatto sociali. Nessun nuovo falansterio fourierista, nessuna nuova comunità oweniana, nessuna spinta oggettiva a comuni di fatto, nessuna setta mistica o mate- rialista può spezzare i limiti imposti dalla società alla materiale organizza- zione abitativa. Tutti questi tentativi o falliscono o diventano dei surrogati della normalità per la semplice ragione che non sono espressi da una fun- zione materiale soggiacente diversa da quelle ordinarie del capitalismo. Ci sono state e ci sono delle interessanti utopie che estrosi individui hanno tentato di realizzare, negli Stati Uniti e altrove, ma sono appunto utopie in- dividuali. Non appena si estendono, esse diventano fotocopie di esperimenti più grandi e già visti, alcuni dei quali "pubblici", che abbiamo appena ten- tato di analizzare cercandone i significati.

33 Come l'esperienza insegna, ogni comunità artificiale rappresenta una fu- ga dell'individuo rispetto alla società così com'è; e al suo interno non può esservi senso di appartenenza che nell'ambito dei tentativi di dare soluzio- ne immediata ed egoistica a qualche problema contingente. Certo è già tanto, in società di classe che lungo millenni hanno offerto ben poco ri- spetto all'armonia dei rapporti fra uomo e uomo. Se escludiamo il comuni- smo primitivo, all'interno del generale processo rivoluzionario delle società classiste le antiche comunità buddiste, gli esseni, i primi cristiani, le varie esperienze comunistiche eretiche, le recenti esperienze utopistiche, le community di fatto americane, sono tutti episodi singoli reali, che dimo- strano quanto il bisogno, certo ancora inconscio, del comunismo sia radi- cato e insopprimibile. Ognuna di queste esperienze ha espresso forme abi- tative caratteristiche, riconducibili anche in questo caso a invarianti che passano attraverso la storia senza grandi trasformazioni. La casa della co- munità non egoistica ha sempre avuto una sua armonia che gli architetti moderni non possono riprodurre, impediti come sono da una realtà domi- nante che non concepisce armonie. Noi non siamo affatto "primitivisti", ma non possiamo esimerci dallo studiare a fondo quegli esempi di società anti- chissime sopravvissute fino ai nostri giorni, che percepiscono sé stesse co- me parte di un tutto e dove i singoli membri soggiacciono a regole antece- denti ai rapporti di classe (pensiamo ai mozabiti – cui il solito Le Corbusier deve molto per alcuni suoi progetti – ai Dogon, ai Bororo, agli Yanoama dell'Orinoco, ecc.). Ma che cosa impedisce di copiare, oltre alle forme su- perficiali, anche il profondo contenuto del loro modo di abitare? È davvero solo un problema tecnico, di comodità, di benessere? Oggi c'è un solo modo per appartenere ad una comunità veramente di- versa e rivoluzionaria; esso è poco vistoso, non c'entra con l'architettura e l'urbanistica immediate, ma è pratico ed efficace: mettersi in sintonia con la società futura, lavorare come tutti coloro che stanno già esprimendo questo tentativo nei modi resi possibili oggi (e che rappresentano una community reale ben più vasta dei confini autotracciati da organizzazioni politiche), aderire al partito storico della rivoluzione.

Le forme e i contenuti Nel sesto capitolo del suo manifesto (Maniera di pensare l'urbanistica), Le Corbusier afferma che per l'uomo e la sua famiglia la casa è un involucro che ha la funzione di stabilire giusti rapporti tra l'ambiente cosmico e i fe- nomeni biologici umani. Affascinante. Ma New York non è il villaggio co- smico dei Dogon ed è talmente sfavillante di luci elettriche da offuscare la stella Sirio che essi venerano. Ad ogni modo per Le Corbusier gli organismi esterni alla casa sono prolungamenti della casa stessa, in quanto fanno parte della vita di chi la abita. Essi sarebbero di due ordini: materiale (ap- provvigionamento) e spirituale (scuola, cultura). Forse è per questo che nelle new town i supermercati funzionano benissimo e le scuole sono van-

34 dalizzate: il capitalismo ha perso l'anima, bisogna ridargliela. Invano il let- tore cercherebbe indicazioni scientifiche (cioè ben piantate nella realtà, sia pure da trasformare) sul come fare. Con termini assolutamente privi di contenuto empirico l'architetto descrive i volumi abitativi unicamente at- traverso l'idea che ha di essi: "Pur concepiti come veri e propri strumenti, saranno esempi di vigore, di ricchezza, di bellezza, di splendore. Le zone residenziali edificate secondo questi principii saranno uno spettacolo di chiarezza, di grazia, d'ordine e d'eleganza". Perché mai? Solo perché sgor- gano dal cervello del genio architettonico? Il funzionalismo razionale di cui abbiamo parlato va a farsi benedire se nella casa invece dell'uomo vien fatto vivere un suo surrogato ideologico. Nei "prolungamenti" la fabbrica non c'è, forse non è considerata un or- ganismo della cosmologia urbana. È da un'altra parte, al capitoletto "unità di lavoro". Ci sorge quindi il sospetto che unità d'abitazione e unità di lavo- ro siano entità separate. Insomma, si copia dagli utopisti solo ciò che fa co- modo: mai Owen o Fourier avrebbero separato casa e lavoro, anzi, in essi il vero "prolungamento" della casa è l'unità di produzione. Nei progetti dei grandi architetti modernissimi il luogo della produzione si raggiunge col mezzo di trasporto: non si muove la macchina verso l'uomo, si muove l'uo- mo verso la macchina. In piccolo si osserva quel che si osserva in grande: miliardi di uomini migrano provvisoriamente ogni giorno – o definitiva- mente nella loro vita – verso il Capitale. Il lettore che affrontasse il libro ci- tato in cerca di soluzioni vere non ne troverebbe: al loro posto vi è solo una caterva di proposizioni gratuite. Ecco perché la parola "involucro" è così si- gnificativa nel passaggio dall'idea al cantiere. Ci viene in mente Lenin: il ca- pitalismo è un involucro che non corrisponde più al suo contenuto e danna gli uomini che potrebbero già benissimo farne a meno. Ma andiamo con ordine. Abbiamo visto che i santoni dell'architettura ammassano uomini per ottenere spazio, almeno secondo i canoni capitali- stici e secondo quel che è permesso dalle leggi del mercato. E abbiamo visto con quali risultati. Ora proviamo a riprendere le nostre cifre e a fare qualche calcolo supplementare sulla base di poche osservazioni preliminari. Ci basta ricorrere al grande Corbu come lo chiamano i francesi, che è la summa di tutti gli altri. Prendiamo al solito il suo modulo-tipo, la casona di Marsiglia (poi riprodotta in altri paesi) che, per sua stessa confessione, non è altro che il provocatorio monumento all'ottusità dei governanti che non l'ascoltava- no. Egli riconosce infatti che il modulo da solo non vale niente, e che ha senso soltanto se immerso in un ambiente costellato da tanti moduli simili e da strutture di servizio delle quali abbiamo già parlato. Il modulo di Marsiglia ha 1.600 abitanti (400 famiglie) e copre un'area di circa 2.800 metri quadrati, quindi 0,6 abitanti per metro quadrato. Dalle indicazioni del Maestro ricaviamo che ognuna delle sue provocatorie "unità di abitazione", ambientata in una città completamente rifatta, cosa che non è mai riuscito ad ottenere come scenario per le sue costruzioni, dovrebbe sorgere su un terreno grande almeno quanto la proiezione dell'alzato intor-

35 no al perimetro; nel nostro caso 9 piani più i pilotis, 30 metri intorno a una costruzione, 60 tra una e l'altra (era la proporzione richiesta dall'utopista Fourier per lo spazio fra gli edifici del falansterio). Otteniamo in questo modo 16.000 metri quadrati. Permettiamoci di essere abbondanti rispetto ai minimi previsti dall'idea-progetto originale: vogliamo uno spazio doppio, diciamo almeno 30.000 metri quadri, fatto di verde e infrastrutture, strade, camminamenti, giardini. La densità di ogni modulo scende quindi a 0,05 abitanti per metro quadro. Rapportata a quella da noi presa in esame al principio, abbiamo una densità urbana di 50.000 abitanti per chilometro quadrato al posto dell'attuale media di 20.000. Una città siffatta potrebbe effettivamente essere ben più verde e più fio- rita della più verde accozzaglia di condominii o di baracche o di villette che mediamente si sia mai riusciti a costruire nella realtà capitalistica. Essa permetterebbe di ridislocare sulla griglia virtuale del mondo abitabile le città ad una densità assai minore. Invece di 310.000 ne avremmo 124.000, dislocate ognuna al centro di 403 chilometri quadrati, perciò a una distanza di 20 chilometri invece che i 12,7 della nostra ipotesi di partenza (sulla gri- glia virtuale italiana gli 8.000 comuni stanno oggi ad una distanza media di 6,1 chilometri!). Il borghesissimo Corbu avrebbe dunque raggiunto qualche buon risul- tato rispetto all'urbanistica corrente, se solo non avesse avuto tra i piedi la società borghese. Ma, come molti utopisti, credeva o diceva di credere che fosse una questione di cattiva amministrazione, quindi riformabile in buo- na amministrazione. Spazzata via la società borghese, la nuova società si troverà tra i piedi milioni di case à la Corbu e dovrà decidere cosa farne. Solo allora esse perderanno il loro carattere di rapporto sociale e saranno ricondotte a oggetti ri-formabili; allora il verticalismo, con l'ambiente che l'aveva generato, sarà un mero ricordo storico. Anche se le strutture urbane ricorderanno ancora il rapporto sociale che le avevano generate, esse si pre- senteranno non come prodotti di individui ma come sintesi di un secolo in bilico fra conservazione e anticipazione, fra contenuti esplosivi e involucri che li incatenano. Un secolo ibrido che ha guidato la mano ai progettisti dei tre mostri presi in esame e di altre migliaia sparsi per il mondo. Stabilito tutto ciò che precede, e spersonalizzate generazioni di architetti, possiamo dedicarci ad una specie di plaidoyer pour Corbu, dato che abbiamo già sta- bilito che per noi il buon Jeanneret è nient'altro che una metafora. Spezze- remo quindi una lancia a favore del funzionalismo e del razionalismo, cioè degli unici presupposti materialistici e deterministici dell'architettura mo- derna. Ciò sarà utile per mostrare come le stesse forme possano essere guardate da punti di vista completamente diversi e come i contenuti possa- no dialetticamente passare dalla negazione dell'umanità alla sua organica affermazione.

36 Per non inventare idealisticamente nulla L'alloggio-tipo dell'unità di Marsiglia (fig. 10) ha una superficie di 75 metri quadri "calpestabili", ha due servizi, è terribilmente lungo e stretto (le due camere da letto singole sono larghe solo 1 metro e 70), è disposto su due piani collegati da una scaletta ed è previsto per una famiglia di quattro persone. Come si vede nella piantina, riempito il cosmico involucro di tutti gli oggetti che il mercato impone a una famiglia di quattro persone, resta ben poco per spaziare. Un terzo dell'alloggio se ne va per cucina e tinello; due terzi sono dedicati alle tre camere da letto e ai servizi. Stop, non c'è al- tro. Bisogna uscire di casa. Ma per andare dove? L'alternativa è fra l'andare a lavorare, pestarsi i piedi o camminare senza meta fra i prati sormontati dalle artistiche parkway. Per non farla troppo lunga sui particolari, ipotizziamo ora una società ancora basata sulla famiglia, la quale abiterà ancora nello stesso geniale e ammiratissimo (dagli architetti, non dagli abitanti) alloggio. Questo perché in una fase di transizione anche la più determinata dittatura proletaria non potrà modificare di colpo questa maca- bra istituzione che produce depressione e massacri, né tantomeno imporne l'abolizione per decreto. D'altra parte nemmeno gli apprezzati (in senso stretto e lato) volumi del razionalismo funzionalista e purista potranno essere demoliti su due piedi. Immaginiamo pe- rò che in questa società di passaggio sia già possibile per molti incominciare a vivere come stanno vivendo oggi, ogni giorno, alcune decine di milioni di per- sone. Le quali, in numero variabile a se- conda del criterio di raggruppamento, Fig. 10. Le Corbusier, Particolare della fac- vivono in luoghi che vanno dalle vere e ciata dell'Unità d'abitazione di Marsiglia e proprie comunità comunistiche ad altre piantina di un alloggio-tipo. forme abitative, come certi particolari Common Interest development, o alber- ghi, residence, pensioni, villaggi turistici, navi da crociera, fino alle case su ruote parcheggiate in appositi park più o meno giardinati e attrezzati con servizi comuni. Un modo di vivere che negli Stati Uniti è assai collaudato e gradito, dato che permette sia di utilizzare largamente spazi e servizi comu- ni sia di coltivare la propria egoistica privacy. Da notare che Cernycevskij nel suo Che fare? del 1859 descrive una coppia solo temporaneamente mo- nogamica e quando essa "mette su casa" progetta per sé spazi indipendenti per uomo e donna, non tanto per isolarsi quanto per rispetto reciproco. In- vece Le Corbusier nel 1952 praticamente ignora il problema, visto che tra

37 l'altro adotta la promiscua camera nuziale con letto bipiazza, residuo nep- pure dell'antichità o della nobiltà feudale ma della schiavitù antica e della minuta società contadina più recente. Quel che comunque immediatamente ricaviamo per confronto è che nel- l'edilizia residenziale, razionalista o meno, lo spazio occupato per dotazioni private è sproporzionatamente superiore a quello occupato da quelle co- muni. Senza contare che oggi la maggior parte delle strutture collettive è utilizzata dagli individui o famiglie solo temporaneamente, quindi si ag- giunge a quelle private. La dissipazione del consumo "di famiglia" è infini- tamente superiore a quella del consumo comunitario. Qui ovviamente non stiamo teorizzando nulla. Ci limitiamo a osservare, come fa Engels a propo- sito delle colonie comunistiche americane, il dato di fatto che esiste già un'utilizzazione comunitaria della casa, che è assai generalizzata e che non è quella di Letchworth, di Cumbernauld, di Marsiglia, di Pruitt-Igoe o di Cor- viale. Se Le Corbusier avesse potuto e voluto fare qualcosa di veramente ri- voluzionario avrebbe almeno disegnato, come avevano tentato di fare gli ar- chitetti costruttivisti russi, una machine à vivre, non à habiter. "Abitare" ha radice in habere, tenere, possedere. Milioni di americani, senza teorizzare proprio nulla, schiacciati dall'angoscia del vivere borghese, cercano almeno di mettere in comune alcune risorse. L'unità di abitazione di Marsiglia sa- rebbe stata veramente una unità organica e non un cumulo di scatole sta- gne per famiglie contadinesche urbanizzate se si fossero previste zone pri- vate e zone pubbliche nella casa, e non nelle parkway sopraelevate, nei passeggi cementizi e nei giardini fasulli. Cioè se si fosse riusciti a non sepa- rare casa e città, anzi, se si fosse superato il vecchio concetto di casa. Ma non esiste un mercato per le… non case. Non è la firma dell'architetto famoso che fa la differenza fra il condomi- nio dei suburbi e i moduli della città radiosa, ma chi vi abita e il suo modo di abitare. È il contenuto che fa la casa, non l'involucro. Va da sé che oggi una struttura abitativa che preveda spazi privati uniti a strutture comuni come ristorante, lavanderia, biblioteca, ecc. ecc. non è neppure considerata "casa" ma residence, albergo o un qualcosa di anormale. Salterà fuori qualcuno a dire che siamo per la società-albergo e che vo- gliamo obbligare gli uomini a mangiare in mensa o mettersi in coda per la- varsi i calzini? Non c'è rimedio all'esistenza dei fessi, quindi andiamo avan- ti. Lo faremo provando a sfregiare l'opera d'arte di Corbu, cioè ricavando nello spazio tra i pilotis che sostengono il gran parallelepipedo almeno 10.000 metri cubi di strutture comuni (pari a una trentina di grossi alloggi). Queste prenderanno il posto di cementosi marciapiedi che non servono a nessuno e sui quali, non piovendovi mai, si accumula solo polvere e sporci- zia. Risparmieremo pure sul riscaldamento. Se non bastano i metri quadri coperti, recupereremo spazio demolendo qualche condominio non griffato dei dintorni. Uniremo così il verticale all'orizzontale come nelle ultime new town e a Corviale, ingraziandoci qualche confraternita di architetti tendenti al "sociale" spinto.

38 In questo modo realizzeremo alcune strutture dedicate alla soddisfazione comune di bisogni che prima erano chiusi in camera. Prima di tutto ci sarà una "mensa" dove, se anche si mangiasse come in una disprezzata mensa aziendale media con cucina fresca, si mangerebbe già meglio che nel 90% delle case di famiglia. Ma sarà necessariamente un'altra cosa. Sarà una mensa col significato antico del termine, tavola imbandita e piena di cibo, per la quale non cucineranno né schiavi salariati, né casalinghe coatte, né donne lavoratrici che non hanno tempo di badare a finezze gastronomiche e rifilano ai congiunti le immonde schifezze reclamizzate in televisione, ma uomini liberi, come in qualsiasi altro luogo di produzione. Avremo così ri- sparmiato 400 cucine intese sia come spazio che come mobili, 400 frigori- feri, 400 lavastoviglie, 400 frullatutto, 400 shopping alimentari al giorno, 400 tinelli con relative cianfrusaglie, e decine di migliaia di piccoli gesti domestici quotidiani, od oggetti che languono inutilizzati nei cassetti, ac- quistatati solo per pulsione consumistica quanto masochistica. Ci sarà una biblioteca (cineteca, musicoteca, data base, cybercafé, ludo- teca) che eliminerà 400 pseudobiblioteche private, 400 computer di spa- ventosa potenza usati per lo più solo per chattering e giochini, 400 impianti stereo e decine di migliaia di dischi e film che il privato possiede senza però possedere tre vite per goderseli. Ci sarà un cinema con megaschermo digi- tale, un teatro, un auditorium e tutto quello che vorremo realizzare, utiliz- zando l'energia risparmiata rispetto alla dissipazione, moltiplicata per 400, di una media famigliola di oggi. E invece di abitare allo stretto in alloggi pieni di carabattole private, nello stesso spazio di prima abiteremo alla grande, anzi, dimoreremo, lasciando libertà all'aria e alla luce. Installazioni comuni? E la privacy? Nessuno ha da ridire, per esempio, quando si installa una super-antenna comune per 400 televisori, rispar- miando e ottenendo un risultato migliore. Nessuno trova strano ormai mettere in comune risorse per le assicurazioni, avere in comune una rete elettrica invece di andare privatamente in drogheria a comprare il petrolio da illuminazione, attingere l'acqua da tubature comuni invece che andarla a prendere nel pozzo privato, ecc. Insistere sull'effetto mensa, sulla perdita della privacy, sulla difesa della famiglia borghese, sull'idea che l'uomo sa- rebbe fatto per spazi privati e non comuni, ecc. non solo è assurdamente individualistico ed egoistico, ma anche da miserabili. È il proletario che vie- ne assuefatto alla più retriva omologazione, portato alla difesa di una condi- zione ormai utile solo al consumo di massa. Il borghese se ne frega, abita in quartieri attrezzati, se ne va all'albergo e al ristorante, mangia benissimo bevendo vino buono con i piatti giusti, mentre i proletari si piazzano da- vanti alla televisione, dopo aver mandato giù robaccia industriale e trincato liquidi innominabili. Mettetevi una volta in coda alla cassa di un supermer- cato e analizzate il contenuto dei carrelli. Si potrebbe dire: ma il borghese ha i soldi. Giusto. Però 1.600 proletari, se non pensano di mettere su una fabbrica o fare speculazione finanziaria internazionale ma solo di vivere bene in una comunità di uomini e in un

39 ambiente decente, potrebbero mettere insieme una bella quantità di ener- gia. Come fa notare Engels, in proporzione al "reddito" spende molto meno il borghese che il proletario, al quale l'intera società porta via la pelle. Tutto il valore scaturisce da questo scorticamento: e quando il capitalista paga il proprietario dell'albergo di lusso passa a quest'ultimo plusvalore che pro- viene dall'operaio; quando l'operaio paga l'affitto al proprietario, gli passa una parte della propria vita dopo aver già prodotto plusvalore per il capita- lista. Dal punto di vista della nostra ricerca sulla dimora dell'uomo nella prospettiva del programma immediato, cioè della fase di transizione che ogni rivoluzione conosce, la casa ci interessa nella sua struttura, nelle sue funzioni. Ma se la funzione dovesse rimanere quella di racchiudere famiglie borghesi sarebbe inutile ogni discorso in prospettiva, tanto varrebbe tenerci le case che ci sono adesso e nessuno si lamenti. In quest'ottica lasciamo l'in- volucro a Le Corbusier e dedichiamoci al contenuto, che non sarà più una famiglia borghese. E siccome non siamo utopisti, osserviamo cosa sta matu- rando nella dinamica del capitalismo, l'unico "movimento" demolitore oggi esistente, con buona pace di tutti i movimentisti. Fra le migliaia di esempi disponibili e altrettanto significativi ne pren- diamo tre: quello di un residence per gli ospiti di una grande industria, quello di un medio albergo di concezione moderna e quello di un grandis- simo albergo di lusso americano. Si tratta di tre progetti realizzati fra gli anni '60 e '70, dovuti ad architetti famosi. In essi sono presenti spazi privati e comuni. A differenti gradi, con minime modifiche, tutti gli edifici potreb- bero già rispondere alle esigenze di una comunità, mentre oggi ovviamente aggregano degli insiemi molecolari di sconosciuti e non insiemi che induco- no nei loro membri un senso organico di appartenenza, nell'ambito di un complesso più grande e armonico che è l'intera specie. Nonostante tutto, se riusciamo a spogliarci dell'apparato simbolico legato a questa società, l'im- pressione che ci fanno queste strutture è quella di un possibile utilizzo per ben altri fini che quelli attuali. Questa società, quindi, produce più strutture abitative pratiche, imme- diatamente utilizzabili dai pionieri della città di domani, di quanto sembri a prima vista. Molto, ma molto più numerose delle grandi opere pseudo- rivoluzionarie dell'edilizia pubblica. Si tratta di banalissime strutture alber- ghiere, ma, secondo lo stesso principio funzionale invocato dagli architetti del '900, rivelano ciò per cui sono fatti: per contenere uomini che, contin- gentemente o no, fanno a meno della famiglia e dell'abbrutente attività do- mestica. Prima di cedere a un istintivo moto di rifiuto, dovuto all'abitudine millenaria, ognuno si chieda quanti abitanti risiedono ogni giorno nel mon- do in analoghe strutture di abitazione collettiva, comprendendo i conventi, i Grand Hotel e i villaggi turistici. Dai dati di un'organizzazione turistica in- ternazionale ricaviamo che nel mondo vi sono 60.000 alberghi di lusso con 12 milioni di presenze giornaliere. Vuol dire che, comprendendo la totalità delle varie strutture collettive, diverse decine di milioni di uomini risiedono contemporaneamente in esse.

40 Il primo edificio che abbiamo preso in considerazione è una costruzione a semi- cerchio, integrata nel terreno declinante, con un prato e un camminamento pedonale al posto del tetto. Stretti alloggi disposti ra- dialmente, sono "serviti" da un anello stra- dale e pedonale ricavato sotto la collina e le parti comuni sono ridotte all'essenziale, in un insieme spartano. Gli architetti (Gabetti Fig. 11. Struttura abitativa orizzontali- sta integrata nella collina. e Isola) hanno così ottenuto un'orizzonta- lità pura, lo spazio interno ed esterno sono compenetrati al massimo e la forma non ricorda per nulla una tradizionale casa d'abitazione (fig. 11). Anche in questo caso vale ciò che s'è detto per l'unità marsigliese: eliminare i troppi spazi individuali e ampliare quelli comuni per ottenere senza sforzo una dimora collettiva di qualità superiore rispetto ai soliti casermoni è possibile. Il secondo edificio è molto più complesso. Affine ad altri con strutture a vista (per esempio, il Beaubourg), anticipa di molti anni lo spazio disgregato di certi progetti pubblici attuali. Ha un nucleo centrale dedicato ad attività comuni che è immediatamente assimilabile alla nostra immaginaria "ri- strutturazione" marsigliese. Intorno ad esso i progettisti (Cappai e Mainar- di) hanno disposto, con tecnica più industriale che di edilizia privata e con largo uso di acciaio, una serie di moduli d'abitazione prefabbricati in mate- riali misti. Se prescindiamo dall'uso cui è adibito oggi, l'edificio ci mostra, così com'è, un possibile esempio di casa futura. È un vero superamento del solito parallelepipedo, del solito condominio e di tutte le unità verticaliste finora considerate dato che, nonostante i quattro piani fuori terra, mostra una struttura decisamente orizzontale. Il risultato funzionale ed estetico, anche in questo caso, è di compenetrazione degli spazi, e prefigura un uti- lizzo meno banale di quello cui è adibito. (fig. 12). Il terzo (di John Portman) è, all'opposto, una costruzione del tutto verti- calista, con una ventina di piani la cui particolarità è un immenso atrio, una corte-giardino interna coperta, con aerei percorsi sovrapposti da cui spor- gono scenografici giardini pensili e ascensori a vista. Nel complesso ci sono 800 alloggiamenti per circa 3.000 persone, su una superficie dello stesso ordine di grandezza di quella marsigliese. La ricerca degli effetti scenografi- ci è decisamente american-kitsch, ma quel che ci interessa qui è la struttura. Essendo un albergo di lusso progettato per con- gressi ecc., i servizi comuni abbondano. Ci sono per esempio 3 ristoranti diversificati e ben due ettari di spazio polifunzionale coperto, vale a dire tecnicamente attrez- zato per ospitare indifferentemente con- gressi, concerti, festival, esposizioni, ecc. Fig. 12. Unità residenziale (particolare).

41 Se non fosse inserito in ambiente urbano tradizionale, farebbe la felicità del grande insardinatore Corbu, dato che supera am- piamente i parametri del suo manifesto verticalista: molte più persone sono rac- colte in poco spazio, pur avendone ciascuna molto di più a disposizione. Il grande svi- luppo in altezza permetterebbe come non mai di liberare l'area circostante per i cele- bri radiosi giardini solcati dalle parkway (fig. 13). D'accordo, sono capitalistici residence e alberghi. E allora? Erano così gli alberghi tradizionali? No, non erano così. Gli edifici Fig. 13. Atrio di un albergo di lusso con d'abitazione per uso "pubblico" sono cam- ballatoi e giardini pensili. biati ben più delle case. E non abbiamo for- se detto che quando la funzione disegna la struttura il risultato è valido per ciò che quest'ultima esprime rispetto al contenuto? Il fatto è che ci interessa un invariante essenziale per poter parlare di casa nell'ambito di un discorso sulla società futura: i tre esempi citati, come del resto la nostra ipotetica ri- strutturazione marsigliese, hanno lo stesso contenuto delle prime forme urbane comunistiche. Adesso, poggiando sul nostro ormai noto binomio in- varianza-trasformazione, abbiamo qualche elemento in più per parlare an- che della casa di domani senza tema di scadere in modelli utopici scaturiti dalla fantasia del nostro cervello individuale.

Stabilità sociale e mutazione Siamo partiti da una critica ai fondamenti dell'architettura moderna e abbiamo finito per trovare in essa delle espressioni che vanno al di là della società presente. Più dove il progettista pensava assolutamente ad altro che non dove ha cercato di raggiungere coscientemente un risultato. Alla bor- ghesia non disturba affatto che ogni tanto scaturiscano alcune utopie, ma il loro uso capitalistico rimane agli antipodi rispetto a ciò che un comunista vi può a volte vedere. Anche nei casi estremi, quando qualche architetto un po' fuori di testa disegna ambienti "collettivistici" abbandonandosi alla libertà offerta dai materiali moderni, il business non è disturbato. Anzi, la stabilità del sistema è aumentata da una moderata capacità di innovazione, come notava il gattopardesco principe Salina. Purché vi sia un ritorno all'investi- mento. Purché la "spesa pubblica" garantisca la solita "cuccagna privata". Prima verrà la catastrofe politica – e verrà – poi la trasformazione e la nascita di effettive forme nuove. In molti immaginano, con deleteria pigri- zia mentale, una rivoluzione che, dopo aver portato il proletariato al potere (e non ci dicono con quali strategie, tattiche e strumenti ciò avverrà), avan- zerà a suon di decreti. Ma, se la realtà sociale smentirà duramente chi crede

42 di poter procedere a quel modo, la realtà specificamente urbanistica sarà ancor più spietata. È difficile parlare di "programma immediato" quando la materia di cui si deve trattare è fatta di pietra, mattoni, cemento armato, acciaio, vetro; quando ha volumi immensi, è sparsa su tutto il pianeta e du- rerà per decenni. È oltremodo difficile parlarne quando, per converso, mi- liardi di persone hanno il problema di abitare in qualsiasi modo decente. Ed è addirittura impossibile trattare in modo "immediato" di architettura e ur- banistica, "prendere provvedimenti", quando l'umanità non ha ancora su- perato lo stadio della famiglia monogamica patriarcale, oltretutto nello sta- dio della sua decadenza e della sua inutilità totale per la specie. La Russia insegna: il prevalere del passato portò alla santificazione della famiglia, della patria e del lavoro; milioni di abitazioni furono costruite, a parte le tecniche, con criteri identici a quelli di prima. Perciò l'indagine sulla casa futura, il vestire i panni di materialistici "esploratori nel domani" deve par- tire da solide basi materiali che ci diano una dimostrazione pratica di come una parte dell'umanità incomincerà ad abitare da subito, mentre sarà in corso la trasformazione del mondo intero. Quale parte? Si incaricherà la ri- voluzione stessa di evidenziarla: nella marcia verso una società senza classi, senza Stato e senza Partito, quest'ultimo si andrà trasformando in "un or- gano che non lotta contro altri partiti ma che svolge la difesa della specie umana" (cfr. Tesi di Napoli), e mentre prima coinvolgeva necessariamente solo la parte avanzata dell'umanità, al di là delle classi, ora coinvolgerà mi- lioni di uomini nell'anticipazione di forme future. Può sembrare paradossale, ma, come stiamo constatando nel sistematico lavoro quotidiano di ricerca, ci aiuta più il passato comunistico dell'umanità unito a qualche anticipazione attuale che non uno sforzo di immaginazione per cercare di sapere "come sarà" la casa di domani. Rimandiamo a prossimi articoli uno studio dettagliato sulla transizione dal comunismo primitivo alle società classiste, ma già abbiamo una mole notevole di materiale sull'archeologia delle prime forme urbane. L'articolo su Caral, pubblicato in questo stesso numero, ci descrive una comunità protostorica peruviana organizzata ancora sulla base dei legami di sangue, i cui i nuclei fondanti si raggruppano in una unità più vasta e costruiscono l'ambiente dove vivere secondo un progetto unitario, fornendosi di strutture comuni e dando vita ad una "economia" basata sull'utilizzo comune del- l'energia sociale. Altre aree del mondo hanno rivelato strutture di transizio- ne molto più antiche: in Anatolia, in Mesopotamia, in Egitto, in Palestina, nella Valle dell'Indo, gli archeologi hanno portato alla luce luoghi abitati che si collocano in una fase di passaggio fra il villaggio preistorico e la città. L'analisi di queste strutture di transizione è importantissima per facilita- re l'abbandono di troppi luoghi comuni che infestano il cervello dei "civiliz- zati", come diceva con disprezzo Fourier. Luoghi comuni che paradossal- mente troviamo soprattutto in coloro che scavano rivelando le antiche for- me, studiano i reperti con mezzi sofisticatissimi e avrebbero il privilegio di scrivere la storia non su ciò che quelle popolazioni dicevano di sé stesse,

43 dato che erano senza scrittura, ma sulla base di fatti, oggetti, planimetrie, stratigrafie, ecc. Il loro pregiudizio sull'immutabilità della presente forma sociale fa sì che non sappiano dirci praticamente nulla sul significato della disposizione dei locali, se non che un ambiente dove c'è traccia di fuoco e di avanzi di cibo era una cucina, che una grande costruzione complessa era il "palazzo" di un "re" e che un'altra parimenti grande ma non abitativa dove- va essere il "tempio" per una qualche "religione". Ora noi faremo un esperimento: descriveremo alcune caratteristiche strutture abitative proto-urbane chiaramente in fase di transizione dal comunismo primitivo alle prime società di classe. Sovrapporremo poi ad esse alcune delle realizzazioni dell'architettura moderna tenendo presente il deterministico principio di funzionalità di cui abbiamo parlato. In ultimo cercheremo di ricavare dal tutto un "progetto" di massima, che in questo modo si allontanerà il più possibile dall'utopia avvicinandosi il più possibile all'anticipazione.

La dimora prima delle classi Per acquisire slancio verso il domani, ricolleghiamoci dunque all'epoca pre-classista. Nel passaggio dal nomadismo alla vita stanziale, dalla caccia all'agricoltura, l'uomo cambia ovviamente anche il modo di abitare. Recenti scoperte in India portano all'VIII millennio a.C., forse ancor più indietro, la fondazione delle prime strutture che anticipano la città propriamente detta. Di queste organizzazioni sociali non si sa nulla, ma esse compaiono indi- pendentemente anche in Cina, nelle Americhe, in Medio Oriente, con ca- ratteristiche analoghe, segno che le determinazioni materiali, cioè, come abbiamo detto, "funzionali", sono fortissime. Tra le analogie c'è la presenza ovunque di una spiccata vita comunitaria. Recentemente ad Arslantepe, in Turchia, è stato scavato, tra gli altri, un edificio più vecchio di parecchi se- coli rispetto a quella che si credeva la più antica città, Uruk. Un salone di questo edificio, affrescato e quindi ritenuto importante, aveva il pavimento disseminato da centinaia di ciotole in ogni posizione, mentre in stanze atti- gue altre centinaia erano ordinatamente impilate capovolte, come se si fosse trattato di una mensa comune. L'obbrobriosa mensa. Quante cucine da fa- migliola molecolare risparmiavano gli "utenti" del salone di Arslantepe? Centinaia, sembra. E conseguenti carrettate di legname da ardere, lavoro di donne, abbrutimento domestico. Erano incivili? Comunque non erano gli unici: non vi sono dubbi sul fatto che anche nelle civiltà vallinda, cretese, egizia, mesopotamica, vi fossero granai, magazzini, canali di scolo, piscine, servizi collettivi e forme di registrazione dei movimenti di persone e mate- riali all'interno della comunità. Più difficile rilevare dai resti delle case d'abitazione il tipo di società che le ha costruite. Ma è ovunque evidente che anche la casa più individualista era più comunitaria dei mostri pensati dal- l'architetto moderno e prima descritti.

44 Nell'urbanistica proto-storica c'è spesso commistione fra casa d'abitazio- ne ed edificio cerimoniale o sociale. A Catal Huyuk, una proto-città anatoli- ca del tardo neolitico, abitazione, tempio e necropoli erano la stessa cosa (fig. 14). Quando in altri siti la distinzione compare, risalta la sproporzione enorme fra le dimensioni e le tecniche di costruzione degli spazi comuni e di quelli privati. La casa, al contrario di quanto succederà nelle civiltà classiche, era certamente un luogo di rifugio, ma secon- dario rispetto al resto dei luoghi in cui si manifestava il vivere quotidiano in rap- porto con la comunità. Anche dove si svi- luppavano imponenti distese di quartieri, come nelle città della Valle dell'Indo, è an- cora leggibile la loro dipendenza da un Fig. 14. Catal Huyuk, Turchia. Abita- centro redistributivo, non classista, in gra- zioni neolitiche del VI millennio a.C. do non solo di progettare le case su una griglia fornita di canalizzazioni per l'acqua potabile e di scolo, ma di inserirle in un sistema di produzione, riforni- mento e godimento dei beni (fig. 15). Nelle orizzontali città vallinde si stima vi fosse una densità di 400 abitanti per ettaro, 40.000 per chilometro qua- dro. A Uruk vi erano 200 abitanti per ettaro (cfr. Modelsky). Sono le densità di Londra e Parigi: Corbu avrebbe avuto qualche problema nel progettar lo- ro una casa-involucro dove trovare "totale silenzio e isolamento". Il fatto è che non teorizzavano una casa, se la costruivano, l'abitavano e la vivevano come parte di quel tutto comune che non era un aggregato di scatole sepa- rate ma un vero e proprio sovra-organismo. Ciò si osserva agevolmente a Creta dove, nel periodo minoico, prima che i Micenei portassero costumi greci, l'abitazione faceva parte di un tutto or- ganico col tempio. Produzione e distribuzione non vi erano separate, come dimostrano le tavolette e i sigilli di provenienza unica trovati in luoghi diffe- renti. E anche la necropoli era costituita da una grande sepoltura comune. La comunità minoica ruotava intorno ai cosiddetti palazzi, creduti per molto tempo abitazioni dei re, affini a quelli del mito greco. Con molta probabilità erano invece complessi cerimoniali e abitativi do- ve il sacro, l'autorità centrale e la produzio- ne-distribuzione si fondevano con le esigen- ze della comunità. Tant'è vero che tale com- pito è "funzionalmente" riprodotto anche nella planimetria, che ci mostra vasti edifici dai volumi assai movimentati, con saloni, corridoi, magazzini, scale, laboratori, ter- razze, portici, che sono compenetrati da aree pubbliche come vasti spazi lastricati, Fig. 15. Vista aerea di Mohenjo Daro, teatri (o luoghi per assemblee), giardini abitazioni e strutture comuni.

45 pensili. E dal tutto si snodano scenografici camminamenti cerimoniali e strade verso costruzioni che riprendono gli stessi mo- duli in scala ridotta e coinvolgono la cam- pagna. Qui non resterà che copiare, tanto i volumi giocano con la luce e l'aria, proten- dendosi armonicamente verso gli spazi coltivati e i boschi, lasciando che la natura trovi continuità fra il costruito e viceversa (fig. 16-17). Fig. 16. Festo, Creta. Pianta delle Le caratteristiche di alcune comunità strutture minoiche. sudamericane come quella di Chan Chan, in Perù, scomparse prima dell'arrivo dei conquistadores e quindi completamente sconosciute, sono un vero rompicapo per gli archeologi. La funzione dei grandi bloc- chi-quartiere e dei vari edifici al loro inter- no è del tutto indecifrabile, a parte i ben riconoscibili magazzini comuni, le cisterne e i laboratori artigiani. La loro planimetria Fig. 17. Cnosso, Creta. Ricostruzione al non dice nulla alla nostra mentalità, non si computer del complesso miceneo. capisce quali siano le case d'abitazione, quali gli edifici "amministrativi" e quali quelli religiosi. Non si capisce nep- pure il disegno dell'intera città. Il cosiddetto "quartiere delle attività dome- stiche" nel blocco più vasto (444 metri per 303) è un complesso dove sono state trovate stoviglie e resti di cibo e cucina, ma non certo per uso privato, dato che è lungo 60 metri! C'è un quartiere "popolare" chiamato così dagli archeologi perché fatto di piccole case, ma non è possibile individuarne un altro che mostri caratteristiche abitative. La totalità delle costruzioni e degli spazi sembra progettata per far da scenografia a una qualche attività delle persone che vi si muovevano, ma non si sa quale (fig. 18). Tutto è gigante- sco, ma vi sono centinaia di piccole stanze, tutte uguali, con una sola porta e disposte in file regolari. Le ricche decorazioni sembrano non avere "funzio- nalità" se non rispetto ad avvenimenti e comportamenti piuttosto che ri- spetto a "cose". Gropius e Mies van der Rohe sarebbero inorriditi: decora- zioni! E per di più non razionali! Uno schiaffo alla purezza delle loro pareti lisce e vuote, dov'è ammesso solo il bianco, il nero e il grigio. Comprendiamo molto meglio le abitazioni delle comunità che, formatesi in periodi in cui esiste il pieno dominio di classe, si sono ritirate dalla so- cietà e hanno intrapreso un percorso all'indietro, ricercando i tratti comuni- stici perduti. È il caso delle prime comunità buddiste, dei primi cristiani, degli eretici medioevali o delle comunità ebraiche come gli Esseni o la loro ramificazione chiamata "Yahad" che significa "in comune". Soffermiamoci su quest'ultimo gruppo. Sorto in seguito al "Patto di Qumran" (180 a.C.) e insediatasi nella località dallo stesso nome vicino al Mar Morto, ci ha la-

46 sciato, oltre ai noti manoscritti, gli interessantissimi resti del suo ac- campamento, poi diventato un grande ed esteso complesso in pietra che dichiara in pieno, "fun- zionalmente", la sua caratteristica di sede per una società comunisti- ca, benché ristretta a poche centi- naia di persone. Per quanto rigi- damente organizzata rispetto al- l'ideologia e alla disciplina, la co- munità di Qumran viveva nell'as- soluta uguaglianza e si era co- struita un'abitazione comune che la rifletteva. Il complesso gravitava intorno all'acqua, preziosa nel de- serto, raccolta in cisterne e con- dotta tramite canalizzazioni attra- verso gli ambienti comuni. Tali erano, ai piani terreni, la cucina, la dispensa, il salone per le assemblee Fig. 18. Uno dei "quartieri" di Chan Chan. e i banchetti, la sala di lettura e scrittura, la zona dei laboratori, gli orti. Era prevista una netta separa- zione fra le attività comuni e quelle della famiglia. Uomini e donne vi- vevano in comune, ma non pote- vano fondare una famiglia prima di aver compiuto vent'anni e doveva- no scioglierla dopo i trenta. I figli erano allevati dalla comunità. Degli alloggiamenti, probabilmente al piano superiore, non è rimasto nulla, ma dalla tipologia generale si evince che non esistevano ambienti individuali o "famigliari". Qui la casa comprende dunque la vita stessa, la produzione, la conoscen- za e la sua trasmissione sia nel sen- so della memoria scritta che nel senso della continuità biologica, dato che non si trattava di una co- munità monastica sterile (fig. 19). In tutti i casi elencati è persino Fig. 19. Pianta della comunità di Qumran. difficile parlare di "casa". Quando

47 l'abitazione individuale si fonde con le altre e con ciò che la circonda, l'abi- tare e il lavorare diventano la stessa cosa del vivere, e meglio sarebbe parla- re di habitat. Specie nel complesso di Qumran, da noi scelto perché emble- matico ma riferibile anche ad altre realtà, si verifica in pieno ciò che molti popoli legati al ciclo naturale sanno benissimo e che nel Rinascimento Leon Battista Alberti riassume efficacemente: "Se è vero il detto dei filosofi, che la città è come una grande casa... la casa a sua volta è una piccola città… E come nell’organismo animale... ogni membro si accorda con gli altri, co- sì nell’edificio ogni parte deve accordare con le altre". In pieno rispetto della tradizione ebraica, la comunità di Qumran aveva tratto una cosmologia specifica dai testi antichi e si era data un calendario solare, molto più preciso di quello lunare in uso a Gerusalemme. A Qumran la "casa" è una piccola città, oppure la città è una grande casa. La sua pla- nimetria è viva, come la radiografia di un organismo vivente, come il "pa- lazzo" minoico o il reticolo vallindo, come tutti gli altri esempi di casa-città o città-casa che abbiamo provato a descrivere. Di nuovo: come nessuna "città radiosa" capitalistica potrebbe mai e poi mai essere. Siccome le ideologie del ritorno al passato sono sempre di matrice re- azionaria, ricorrere all'apologia del comunismo primitivo e delle sue espres- sioni ci serve solo per compiere un balzo al comunismo sviluppato attraver- so le fasi intermedie, come abbiamo anticipato. Il comunismo sviluppato è il prodotto specifico della civiltà urbana capitalistica e si esprime al mas- simo quando essa è ultramatura. L'architetto del futuro non disegnerà "ca- se" copiando da società scomparse, ma organismi-città modernissimi. Come nella transizione dal comunismo primitivo, come nella concezione cosmica dei Dogon e come ricorda Leon Battista Alberti, ci sarà un contatto fra l'or- ganismo biologico dell'uomo e il suo ambiente, ma con la tecnica, i materiali e la socialità di domani. Abbiamo visto che la densità abitativa degli antichissimi centri era spes- so molto alta, anche se si sviluppavano in orizzontale e in essi c'era spazio per tutti. Non è una contraddizione: il segreto di un'alta densità accompa- gnata a vasti spazi fruibili stava nella minimizzazione dello spazio indivi- duale e nell'ampliamento di quello collettivo. Solo in tal modo era possibile proiettare la vita quotidiana sullo spazio esterno alla "casa". L'intera città era la vera casa dei suoi abitanti o, se vogliamo, la casa era la città: Omero riporta che vi erano 50 "fratelli", 12 "sorelle", rispettivi genitori e figli, più molte altre persone, sotto il tetto della "casa di Priamo", cioè centinaia di persone, ma sappiamo che le città pre-classiche erano raggruppamenti di tribù e che "casa" significava stirpe, ghenos, tribù appunto, in cui tutti era- no "fratelli" perché respiravano il fumo dello stesso focolare, bevevano lo stesso latte e mangiavano lo stesso pane. Ecco perché i greci antichi chia- mavano indifferentemente "città" Troia cinta di mura, Itaca che è un'isola, Pilo che è un "palazzo" e le innumerevoli "case" sparse. Se noi dovessimo riportare queste caratteristiche nella società giunta ad un alto grado di socializzazione del lavoro tramite la scienza e la tecnologia,

48 dovremmo sostituire non solo i materiali, le tecniche e il modo di convivere tra i sessi, ma anche il modo in cui la popolazione nel suo insieme si proietta verso lo spazio "esterno". Perciò vedremmo trasformarsi ogni cate- goria negata di questa società (no famiglia, no isolamento, no consumismo, no dissipazione) in affermazione di categorie inerenti alla società nuova: nuovo rapporto uomo-donna, vita sociale armonica, soddisfazione di biso- gni umani, alto rendimento del metabolismo sociale.

La dimora di domani Ora che abbiamo compiuto una rapida escursione attraverso i problemi reali già posti dalla dinamica del divenire, non è difficile tratteggiare le con- seguenze della transizione rivoluzionaria alla società futura dopo la caduta del mondo borghese. Dalla materia trattata fin qui abbiamo visto scaturire diverse contraddizioni entro le categorie dello stesso mondo borghese e fra queste e la società futura. Ma abbiamo visto anche operare la dialettica unione degli opposti: l'anarchia della società capitalistica e la sua capacità di autoregolazione, riflessa anche nelle opere urbanistiche ed architettoni- che. Capacità conservatrice nel rimettere ordine nel caos e perpetuare l'esi- stente, ma nello stesso tempo generatrice di forme nuove, in grado di spez- zare i vecchi rapporti e indurre nuova urbanistica e nuova edilizia. In fondo è l'antica contraddizione fra "stabilità strutturale e morfogenesi", che con- traddistingue la vita pulsante nella biosfera. Se la metropoli tentacolare ha coperto la campagna, fenomeni di regressione sono già in atto e gli esempi che abbiamo riportato (fusione fra verticalismo e orizzontalismo) indicano una lunga fase di incertezza che sta già per essere lasciata alle spalle. Una più marcata disgregazione delle forme e una più radicale compenetrazione degli spazi sarà probabilmente il terreno di prova dell'architettura borghese nei prossimi anni. Perciò ci attendiamo di vedere presto uscire dal magma schizofrenico dell'architettura moderna, oscillante fra conservazione e anti- cipazione, qualche progetto che piazzi le prime cariche di dinamite sotto la più reazionaria delle "barriere architettoniche", quella rappresentata dalla consumistica abitazione per famiglia. Se nella società futura dovrà dissolversi definitivamente la separazione fra la natura del lavoro agricolo e di quello industriale, dovrà esserci movimento di persone fra la casa e il luogo di produzione, terra o fabbrica, senza che questo significhi divisione sociale del lavoro e abitazione specializzata, rurale, urbana, suburbana, ecc. Una volta scomparsa la divisione sociale del lavoro e resa razionale la distribuzione delle città sul territorio (lasciando "selvaggia" quella parte del pianeta utile al metabolismo con le altre specie animali e vegetali), l'uomo non abiterà più "in città" o "in campagna", ma seguirà la sua spontanea tendenza storica alla vita comune, pienamente urbana, nel rispetto non solo della legge di Liebig da Bebel ricordata ma di un più completo e armonioso rapporto con il ricambio naturale.

49 Se dovrà dissolversi la famiglia patriarcale monogamica molecolare, per essere sostituita da rapporti liberi e non coatti fra i sessi, dovrà essere scon- volto lo spazio che essa oggi utilizza. Nasceranno certamente comunità di- versificate, sulla base della consapevole e liberissima ricerca di forme di convivenza fra persone che non dovranno più uniformarsi al cubicolo stan- dard. Quest'ultimo, più o meno esteso, smaschera l'architetto razionalista, funzionalista, purista, ultramoderno, che è in grado di modificare l'estetica ma non la sostanza, lascia cioè intatta la natura borghese della casa. Am- messo e non concesso che egli riesca a dire qualcosa di nuovo anche solo con l'estetica, dato che – come abbiamo già visto – proprio secondo il fun- zionalismo l'estetica deriva dalla funzione. L'estetica della casa razionalista non era disegnata da chi ci abitava ma dalla fabbrica. Qui sono caduti tutti, ma proprio tutti, persino gli "organicisti" come Wright, Aalto e Sharoun o gli eclettici nemici della linea retta come Hundertwasser. Essi hanno dovuto accontentarsi di vegetare in un limbo dai confini proibiti: indietro non po- tevano più tornare, avanti non potevano ancora andare. Goebbels disse di una casa razionalista progettata da Scharoun per un borghese dell'epoca: "Se uno si costruisce una casa così, vuol dire che la pensa così, e ciò è inammissibile". Eppure era il nazismo che costruiva fabbriche così. Evi- dentemente ciò che andava bene per una fabbrica non andava bene per contenere una sana famiglia borghese tedesca. I moderni non potevano co- struire nello stile nazi-stalinista-rooseveltiano e neppure tornare all'Heimat Style della casetta di Heidi; ma non potevano, nazisti o no, neppure costrui- re case nuove. È interessante il fatto che proprio Scharoun, dal 1939 al 1945, abbia espresso la sua estetica più significativa in disegni fantastici di un ciclo che aveva chiamato "case del popolo", dove non c'è alcun riferi- mento al cubicolo famigliare, ma solo spazi astratti, volute di acciaio, vetro e cemento, con lo sguardo forse al costruttivismo russo e a Bruno Taut detto il "rosso", sbeffeggiato dai bauhäusler perché aveva osato usare i colori sulle facciate (fig. 20). Oggi prevalgono strascichi novecenteschi, ma doma- ni nessuno si sognerà di chiamare "razionalismo purista" il parallelepipedo a tetto piatto, senza spiovente e senza gronda, che è una caratteristica me- diterranea e non teutonica. Weimar, Berli- no, Amsterdam, Mosca, il Canada e la Sibe- ria, tutti i luoghi dov'è esplosa l'arte archi- tettonica lineare e la "poesia dell'angolo retto", sono sullo stesso parallelo, in posti dove piove e nevica, dove la facciata liscia e bianca o più tardi cementosa si stria di sba- vature mandando a ramengo il funzionali- smo e l'estetica. Oggi il materiale e la fun- zione si stanno avvicinando e forse è anche questa una delle componenti che a Corviale fa mancare l'odio viscerale verso la propria casa ed evita che s'invochi la dinamite. Fig. 20. Case popolari a Berlino.

50 Se dovrà dissolversi l'uso dell'antiquato mezzo di trasporto individuale, dovrà essere anche cancellata la cementificazione indotta e lo spreco di spa- zio ad esso collegato. Si risparmierà (risparmio in unità di energia, non di valore, finalmente) almeno il 30% di volumetria e assai di più in orizzonta- le, recuperando all'uomo lo spazio dei parcheggi ufficiali e di fatto (ogni città è oggi un gran parcheggio all'aperto e anche rimanere incastrati nel traffico è un po' come essere parcheggiati, tant'è vero che i londinesi chia- mano il loro mega-raccordo anulare "the greatest parking in the world", il più grande parcheggio del mondo). Come diceva giustamente Le Corbusier, copiato dai progettisti di Cumbernauld di Pruitt-Igoe e di Corviale, occorre tenere separate le vie di traffico. Ebbene, la società nuova separerà più dra- sticamente ancora eliminando quello automobilistico privato, compene- trando gli spazi aperti e chiusi, lasciandoli attraversare dai flussi pedonali, collegati al trasporto collettivo. Con l'energia sociale che si eviterà di dissi- pare, sarà possibile escogitare mezzi di trasporto differenziati, adatti per ogni tipo di movimento, dai tappeti e rampe mobili ai treni, metropolitane o anche automobili pubbliche per muoversi nelle aree non attrezzate. Atten- tato alla individualità? Già oggi le classi abbienti rinunciano sempre più spesso alla proprietà e al possesso di molte categorie di oggetti, preferendo le forme di noleggio. Se dovrà dissolversi la produzione per la produzione, la mercificazione degli oggetti, degli uomini e della vita intera, nessuno avrà più il bisogno di accumulare merci e ognuno, non possedendo nulla, avrà accesso a tutto, concetto caro ai primi cristiani, legati spesso in comunità comunistiche. Nelle nuove comunità, sparita l'abitazione privata, sarà facile l'accesso alla dimora, tenendo conto dell'immensa volumetria che, tolta al Capitale, sarà ristrutturata e consegnata agli uomini. La casa potrà non essere più un elemento fondamentale dell'esistenza, un assillo della vita o addirittura un incubo per il proletario che deve sborsare metà del suo salario al padrone o alla banca. Sarà invece un accessorio facilmente fruibile e sostituibile se- condo le esigenze degli individui, siano questi raggruppati secondo interessi comuni o accoppiati secondo esigenze biologiche. Se dovrà dissolversi la mercificazione della vita, non vi sarà più ragione di avere una suddivisione tra le sue fasi, tra tempo di lavoro e il resto, tra attività economica e ludica, tra tempo per gli altri e tempo per sé. Nell'am- bito di un piano razionale di produzione e distribuzione, il cinema, il teatro, la musica, la lettura, il bricolage, ecc. non saranno attività associate ad un biglietto da pagare e neppure a ritmi o spazi particolari, dato che già la bor- ghesia, se pure in modo triviale, ci mostra come si attrezzano spazi polifun- zionali nei suoi "palazzi" di lusso d'uso collettivo. L'abitazione graviterà in- torno a spazi comuni, facilmente raggiungibili e disponibili. Allora, come nelle comunità comunistiche primitive, sarà ridistribuito lo spazio e sarà data importanza alla funzione da cui sorgerà la nuova estetica. Gli spazi "esterni" e quelli "interni" saranno intersecati nella realtà gene- rale e non solo in qualche disegno o prototipo. Morirà finalmente la

51 proliferazione insensata del triviale parallele- pipedo, cui si sono inchinati per un secolo gli architetti. Sta già succedendo. La forma si sta decostruendo e nuove superfici e spazi pren- dono piede, per ora solo in edifici celebrativi della potenza del Capitale, teatri, sale da con- certi, sedi prestigiose di uffici, musei (fig. 21). Ma sono sintomi della supremazia del nuovo sul vecchio e si fa più stridente ancora il con- trasto fra l'involucro e il contenuto: mentre l'architettura d'avanguardia degli anni '20 non era accettata, quella attualissima che rompe con essa piace a tutti. Non è che il popolo "in- Fig. 21. Bilbao, il Guggenheim tellettualmente sottosviluppato" dei Gropius e museum, particolare. dei Corbu sia stato nel frattempo "educato" da qualcuno, è che la funzione ha il sopravvento e nell'aria c'è del nuovo che preme. Dal punto di vista funzionale, basterebbe un niente ormai per far sbocciare l'architettura di domani. Anche il più imbranato studente di ar- chitettura si accorge che consuetudini e leggi ammazzano i volumi e gli spa- zi, li costringono entro schemi non più accettabili da un'umanità che ha fatto esplodere le sue metropoli e adesso deve ridisegnarle. Oggi lo studente ha a disposizione la città-vassoio di Le Corbusier, un piano su cui si appog- giano bottiglie verticali e stoviglie orizzontali lasciando gli spazi permessi dall'investimento, una unità complessa quanto si vuole, ma senza relazione con quello che gli sta attorno. Lo spazio ormai pretende una dialettica totale fra il pieno e il vuoto, la stratificazione è un risultato acquisito anche nei "palazzi" minoici, ma non può essere mortificata da volgari esemplificazioni piene di pilotis, parkway e grattacieli. Lo scavo e l'innalzamento permetto- no l'intersecazione di spazi verticali e orizzontali, veri giardini terrazzati e abitati, tetti percorribili (l'erba costa meno delle tegole ed ha un volano termico maggiore), volumi che non separano l'abitazione dal resto. Pren- diamo gli esempi oggi interpretati trivialmente come "opera d'arte" indivi- duale (di Rem Koolhas, Peter Eisenman, Ralph Erskine, Jo Coenen, Tadao Andao, Steven Holl, Alessandro Anselmi, Frank Gehry, Zaha Hadid, ecc.), e immaginiamoli distribuiti a comporre un'intera città, soprattutto immagi- niamo una integrazione totale fra la dimora dell'uomo e il resto delle co- struzioni: il capitalismo è marcio, ma c'è un futuro che esso prepara. Ovviamente resta un abisso da superare dal punto di vista della resi- stenza politica dell'attuale società. La resistenza è quindi anche quella del parallelepipedo d'abitazione, dell'attitudine all'inscatolamento delle fami- gliole, dell'indistruttibile ed eterno trio d'appartamento o villetta: "camera- cucina-soggiorno". Di tutto ciò non ha "colpa" l'architetto, nonostante la sua naturale propensione a lavorare per lo status quo che produce parcelle. Non hanno colpa l'acciaio, il cemento armato, il vetro. Tolte le catene, eliminato l'involucro, il contenuto sarà in armonia con la funzione. Spariti il torna-

52 conto speculativo, la famiglia, il calcolo sull'anticipo di capitale, sul cantiere e sulle spese di esercizio, la casa diventerà davvero un'opera d'arte, cioè progetto, contrapposizione alla casualità della natura, non utopia ma anti- cipazione di un oggetto reale che si vuole così e che si può volere. I materiali dell'industria, che fecero nascere prima le fabbriche moderne e poi lo stesso stile nelle case, asseconderanno ogni necessità e quindi fun- zione e quindi estetica. Il cemento armato, oggi criminalizzato come se fosse il responsabile della speculazione e dello scempio, non è per forza legato a fabbricazione di moduli standardizzati; essendo di uso flessibilissimo, farà "scaturire strutture e membrature movimentate, curve, slanciate, a sezioni mutevoli, in una fecondità senza limiti… Gli aggetti, gli sbalzi, fioriranno facili e nuovissimi dai fianchi delle costruzioni, archi audaci e sottili diver- ranno possibili, nuove sagome come per incanto sorgeranno. La rigorosa verticalità deriva dall'uso tradizionale… Il conglomerato innervato dai tondi di acciaio, potendo resistere a sforzi di ogni direzione, svincola le co- struzioni dalla schiavitù dell'estetica prismatica, ogni volta che ciò sia ne- cessario ed utile". Non è l'apologia del venditore di un cementificio, ma, in un testo della nostra corrente, una potente escursione nella società futura che libera la materia da costruzione dai ceppi del profitto (cfr. Spazio con- tro cemento). Prendiamo allora il "palazzo" minoico, il "campo" di Qumran, la "città" di Chan Chan ecc. e fondiamoli in un organismo architettonico unico che ne conservi gli aspetti invarianti. Sbizzarriamoci con antichi e nuovi materiali utilizzati con nuove tecnologie: pietra, laterizi, legno, ce- mento, acciaio, vetro, strutture portanti, pannelli solari, scambiatori di ca- lore. Aumentiamone le dimensioni e facciamone il modulo di complessi più grandi. Non costruiremo più città fatte di case separate, ma case-città o cit- tà-casa, organismi che saranno dimora per altri organismi. Com'è esplosa la produzione sociale e con essa la città, com'è superato il cervello individuale a favore del cervello sociale (cfr. n+1 n. ze- ro), così esploderà la "casa". Superata la costruzione a compartimenti stagni, vin- cerà quella aperta, dove l'espressione "camera-soggiorno-cucina" sarà sosti- Fig. 22. Adolf Loos, studio per un grande albergo, 1923. tuita con "quartiere d'abitazione, quar- tiere delle attività sociali e quartiere delle attività domestiche". Dove l'espressione inglese living room non vorrà più dire "soggiorno", come adesso, ma, alla lette- ra, "spazio di vita". Avremo così unito dialetticamente la distribuzione razio- nale della specie sul territorio, l'elimina- zione della storica contraddizione città- Fig. 23. Henry Sauvage, studio per abita- campagna e il mantenimento della vita zioni a Parigi, 1928. urbana (Figg. 22-23-24).

53 LETTURE CONSIGLIATE - Partito Comunista Internazionale: Spazio contro cemento, ora in Drammi gialli e sini- stri della moderna decadenza sociale, ed. Quaderni Internazionalisti; Struttura eco- nomica e sociale della Russia d'oggi, tutto il capitolo "Collegamento", ediz. Il pro- gramma comunista, 1976; La Russia nella grande rivoluzione e nella società contem- poranea, stesso volume. Struttura economica e corso storico dell'economia capitali- stica, Il programma comunista n. 3 del 1957 (riunione di Ravenna, "Colcosianismo in- dustriale"). Tesi di Napoli, 1965, ora in In difesa della continuità del programma co- munista, Ed. Il programma comunista, 1970. - Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Capitolo Sesto Inedito, La Nuova Italia, 1972 (il titolo del capitolo citato nel testo non è nell'originale ma è stato aggiunto dal curatore). - Friedrich Engels, Descrizione delle colonie comunistiche sorte negli ultimi tempi e an- cora esistenti, Opere Complete di Marx ed Engels, vol. IV, Editori Riuniti, 1972. - August Bebel, La donna e il socialismo, Savelli, 1971. - Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, 1974; La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, 1969. - Lev Trotsky, Rivoluzione e vita quotidiana, Savelli, 1977. - Nikolaj Cernycevskij, Che fare?, Garzanti, 1974. - Le Corbusier, Maniera di pensare l'urbanistica, Laterza, 2001. - Gert Kähler, Wohnung und moderne. Die Massenwohnung in den zwanziger Jahren, http://www.theo.tu-cottbus.de/wolke/deu/Themen/971/Kaehler/kaehler_t.html. - Alexander von Hoffman Why They Built Pruitt-Igoe, testo distribuito dall'autore su Internet all'indirizzo http://www.ksg.harvard.edu/taubmancenter/public.htm - Cumbernauld, The city on the hill, http://www.open2.net/modernity/3_10.htm. - Nicoletta Campanella, Nuovo Corviale - Miti, utopie, valutazioni; ed. Bulzoni, 1995. - D'Arcy W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, 1992. - Tom Wolfe, Maledetti architetti, Bompiani, 1982. - Leonardo Benevolo, La città nella storia d'Europa, Laterza, 2001. - Gillo Dorfles, L'architettura moderna, Garzanti, 1989. - George Modelski, Cities of the ancient world - An inventory, Department of Political Science, University of Washington, 1997. - Shemaryahu Talmon, Gli aderenti al Nuovo Patto di Qumran, Le Scienze n. 42, 1972. - Oscar Newman, Creating Defensible Space, U.S. Department of Housing and Urban Development, Office of Policy Development and Research.

Fig. 24. Zaha Hadid, composizione decostruttivista al computer (da un edificio realizzato a Cincinnati).

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La «prima pietra» posta nel 1975, appartamenti consegnati nel 1982 Quella di Corviale non è solo la storia di una costruzione di edilizia popolare, ma anche di ripetute occupazioni. La prima pietra sul progetto firmato dall' architetto Mario Fiorentino viene posta il 12 maggio del 1975, mentre le prime case vennero consegnate nell' ottobre del 1982. Il comprensorio si sviluppa per la lunghezza di circa un chilometro è alto nove piani, più due cantine e seminterrato, 1202 appartamenti, in cinque corpi, un edificio più basso in parallelo ed una terza costruzione posta trasversalmente. La struttura portante è in cemento armato, i tramezzi sono pannelli di gesso prefabbricati. Fin dall' epoca della sua edificazione il complesso di Nuovo Corviale, è stato preso di mira da più cittadini con impellente necessità di un' abitazione. La prima occupazione risale al 1983, quando 700 famiglie presero d' assalto il palazzo entrando con la forza negli appartamenti. Il Municipio Roma XV ha stabilito a Corviale la sede del Consiglio Municipale e degli uffici tecnici. I NUMERI 998 METRI DI LUNGHEZZA Il palazzo di Corviale è lungo esattamente poco meno di un chilometro: è diviso in sei lotti ed è alto nove piani. È stato progettato dall'architetto Mario Fiorentino alla fine degli anni Settanta. Nel 1982 vennero consegnati i primi 122 appartamenti. 6.500 RESIDENTI Tante sono le persone che abitano nel palazzone di proprietà dell'Istituto autonomo case popolari. Come Castel Gandolfo, più di Castelnuovo di Porto, meno di Rocca Priora. Il presidente del Municipio Giovanni Paris ha proposto un «commissario straordinario» per Corviale. 2002 L' INAUGURAZIONE DELLA BIBLIOTECA La biblioteca «Nicoletta Campanella» è stata inaugurata a Corviale il 22 novembre 2002. La biblioteca può offrire in consultazione dodicimilasettecento libri, 800 videocassette, 200 Cd (rock e pop) e un collegamento tv satellitare. Prende il nome da Nicoletta Campanella, sociologa e studiosa delle periferie romane. “Corriere della Sera”, 15 ottobre 2004, p. 51 La proposta: dividere Corviale in cinque per riqualificarlo Dividere il serpentone di Corviale in cinque 5 mini quartieri, piccole comunità più piccole con ascensori e servizi indipendenti», per riqualificarlo. E poi realizzare i servizi che il quartiere, simbolo suo malgrado di degrado, non ha mai avuto. Questa l' idea dalla quale partirà l' Ater che assieme alla Regione Lazio, l' Università La Sapienza e la Columbia University ha definito il progetto e una convenzione per la riqualificazione di Corviale. “Corriere della Sera”, 25 gennaio 2005, p. 54 A Corviale prove di nuova «resistenza» Si apre oggi la seconda edizione della rassegna teatrale «RiEsistenza Italiana 2006. Gente di Corviale...», organizzata dall' associazione culturale Porta Nova, diretta da Nuccio Siano, con il sostegno del Comune e con il patrocinio del XV Municipio (ingresso gratuito, info: 06.7803470). Una manifestazione di teatro, cinema, musica e incontri che, fino a sabato, intende promuovere il confronto tra generazioni, rivolgendosi al cuore popolare delle periferie romane, per ricordare chi eravamo all' epoca del primo costituirsi della nostra democrazia e dare un nuovo senso, davvero contemporaneo, al termine «resistenza». Nella prima edizione, l' anno scorso, erano stati coinvolti i quartieri di Tor Bella Monaca e Cinecittà. Stavolta, invece, è stata scelta come sede una delle location più discusse e problematiche della nostra periferia: i nuovi spazi di Corviale. Con questa iniziativa si vuole contribuire anche alla riqualificazione di un luogo-simbolo di degrado urbano e sociale. Ogni mattina, nei locali della biblioteca, alle ore 10, sarà proiettato per le scuole del quartiere un film legato alla storia della Resistenza: «La notte di San Lorenzo» (oggi) dei fratelli Taviani, cui seguirà un incontro con l' attore Claudio Bigagli; «La ciociara» di Vittorio De Sica, e poi l' incontro con il professor Luigi Stanziani; «Il partigiano Johnny» di Guido Chiesa e «I piccoli maestri» di Daniele Luchetti, con relativo dibattito con i registi. Per il teatro, invece, nella Sala Consiliare di Corviale, viene proposta oggi alle ore 19 «La signora in blues», scritto e diretto da Pierpaolo Palladino, dove la protagonista, interpretata da Cristina Aubry, racconterà la storia di una ragazza di provincia che, tra le mura di un palazzone ai margini della Roma degli anni Trenta, sogna di diventare una stella della radio. Toccherà poi, domani nello spazio sotterraneo del Mitreo, a «Gente di Corviale. Ricordi e immagini della nuova periferia nel racconto dei suoi abitanti», ovvero testimonianze in video degli abitanti e canzoni dal vivo, con la regia di Siano e gli arrangiamenti musicali di Roberto Marino. E il giorno dopo, nello stesso luogo, la compagnia Teatri d' Imbarco presenterà «Storia di Villa Triste», spettacolo di Nicola Zavagli, con Beatrice Visibelli: al centro della vicenda rappresentata, i terribili mesi in cui i fiorentini lottarono per scacciare i tedeschi e i loro complici repubblichini. Sabato alle ore 19 nella Sala Consiliare si chiude la rassegna con un evento musicale: Giovanna Marini e il Coro della Scuola di Musica Popolare di Testaccio in «Inni e canti di lotta». (r. s.)

“Corriere della Sera”, 25 ottobre 2006, p. 15 Per ore su una scala fotografando Corviale Finestre rosse incassate nel grigio cemento. Sbarre di ferro che arrivano a sigillare anche gli appartamenti dei piani più alti. Bandiere politiche contrapposte che sventolano a pochi metri di distanza. La complessità di Corviale entra con forza nell' installazione «Corviale piano di zona n. 61» di Andrea Jemolo. Otto grandi fotografie che, come fotogrammi orizzontali, raccontano un' unica grande realtà: il Serpentone, l' immenso edificio lungo un chilometro progettato agli inizi degli anni Settanta dall' architetto Mario Fiorentino con l' obiettivo di riqualificare la periferia romana. Abitato oggi da circa ottomila persone, il complesso di Corviale non è mai stato completato e per molto tempo è stato simbolo di degrado e abbandono. Specializzato in fotografia d' architettura, per realizzare quest' opera - in mostra fino al 15 aprile Teatro Palladium - Jemolo è rimasto per ore su una scala altra tre metri piazzata davanti all' edificio. «Senza mostrare mai una persona - spiega Jemolo - le mie foto vogliono cogliere la vita all' interno di Corviale». La presenza di intere famiglie si intuisce dai lampadari accesi e dai lenzuoli lasciati ad asciugare all' aperto. Al quarto piano, quello in origine previsto per servizi e negozi e poi interamente occupato, si fronteggiano una sezione di Alleanza nazionale e una dei Democratici di sinistra. Ad accompagnare gli scatti di Temolo, un testo di Manfredo Tafuri che, nel lontano 1984, evidenziava già tutte le criticità di Corviale. «Nel Corviale la protezione dell' utopia non regge più», scriveva Tafuri. Il progetto di «magnete riorganizzativo di un sito urbano disgregato» si è dovuto scontrare con la realtà di occupazioni, difficoltà gestionali ed emergenze sociali (piazza Bartolomeo Romano 8) dal martedì alla domenica dalle 16 alle 20) “Corriere della Sera”, 3 aprile 2007, p. 9 Primavalle e Corviale al via due progetti di recupero urbano PRENDONO il via a Primavalle e a Corviale due progetti di riqualificazione che fanno parte del piano di recupero urbano del Comune. Il progetto di Primavalle, il più grande dei due, sorgerà tra via Vinci e via dei Fontanili, sull' asse della futura Trionfale-bis. Prevede la realizzazione di appartamenti per complessivi 113.534 metri cubi, e accanto un' area di 38mila metri cubi per negozi, parcheggi, giardini, zone ricreative e un centro sportivo. La convenzione urbanistica è stata stipulata il 29 luglio; l' investimento è di 13 milioni di euro. Previsto anche il recupero di una parte del Fosso di Campanelle, oggi occupata da baracche e discariche, che sarà invece attrezzata e messa a disposizione dei residenti. Altre aree cedute da privati permetteranno di realizzare un collegamento tra via Vinci e via dei Fontanili. A Corviale-Colle del Sole, invece, saranno realizzate abitazioni per 18.122 metri cubi, e un' area commerciale di 3.626 metri cubi. Tra gli obiettivi, quello di spostare il mercato settimanale nelle aree oggi utilizzate come parcheggio. In questo caso l' investimento ammonta a 1.173.000 euro; parte della somma sarà destinata dal Comune alla realizzazione di strade, parcheggi e un' area verde.

“La Repubblica”, 02 agosto 2009 Marcegaglia: «Olimpiadi, tifo per Roma». E Corviale si candida a ospitare i Giochi LA SFIDA PER L'APPUNTAMENTO DEL 2020 Confindustria poi corregge: sostegno anche a Venezia. Idea-provocazione: gare nella periferia del degrado ROMA - Emma Marcegaglia si spende a favore dell'assegnazione delle Olimpiadi del 2020 a Roma. Poi, dopo sole tre ore, si corregge: non volendo offendere Venezia. Intanto il quartiere periferico di Corviale, simbolo di degrado ma anche di riscatto, si candida - se saranno affidati a Roma - ad ospitare i Giochi. SLANCIO E RETTIFICA - «Sostengo con energia e soddisfazione la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020» aveva detto martedì in tarda mattinata il presidente della Confindustria, intervenendo a Fiumicino all'assemblea della Uir, l'Unione degli industriali di Roma. «Lavoreremo tutti insieme affinchè ci sia una candidatura forte e autorevole», aveva aggiunto. Poi, però, dopo appena tre ore, si era corretta: «Chi tifo tra Venezia e Roma? L'importante - chiosava Marcegaglia - è che vinca l'Italia». Un colpo al cerchio e uno alla botte per non scontentare le platee degli industriali veneziani e romani e far sapere di fare il tifo per entrambe. DISTRETTO DELL'ARTE - Nel frattempo dal «Serpentone», l'edificio simbolo di Corviale, partiva l'autocandidatura dei sobborghi romani: «Le Olimpiadi del 2020 potrebbero svolgersi a Corviale», propone il Coordinamento del progetto per un Distretto dell'Arte, della Cultura e dello Sport nel quartiere a sud-ovest della Capitale. L'annuncio durante un vertice negli uffici comunali di piazza Campitelli: nel caso in cui i Giochi arrivassero nell'Urbe, potrebbe essere il popoloso sobborgo del XV Municipio «la sede qualificata ad ospitare la manifestazione». ESPERIMENTO DI ARCHITETTURA - Sorto nel 1982 su progetto di un team di quattro architetti (Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Giulio Stermini e Michele Valori) coordinati da Mario Fiorentino, il quartiere di Corviale è costituito da due maxi edifici lunghi 980 metri per 9 piani di altezza che ospitano 1.200 appartamenti. Una casba invivibile secondo alcuni. Uno spazio urbano perfetto per i più ambiziosi progetti di riqualificazione secondo altri. PIU' LUNGO DEL MONDO - Il Serpentone è considerato l'edificio più lungo del mondo, come tale oggetto di visite e studio da parte di architetti italiani e internazionali. Va detto che recenti iniziative stanno rivitalizzando il quartiere e ottenendo un effetto anti-degrado fino a ieri impensabile. Esperimenti di successo come il Corviale Urbanlab promettono bene rispetto alle 54 attività di riqualificazione pianificate dal Coordinamento Progetto Corviale. VINCITORI A SEOUL E BARCELLONA - A Corviale sono stati censiti anche centri sportivi di eccellenza come il Domar Sporting Club che ha vantato una delle squadre di nuoto più competitive d'Italia, vincitrici alle Olimpiadi di Seoul e Barcellona, e ottenuto 4 ori nel Karate agli Europei di Wadokai. Per non parlare della Polisportiva Trullo: con Silvia Nemesio ai Mondiali Juniores di pattinaggio artistico di Friburgo. Intorno al Serpentone sono nate realtà televisive e teatrali, come la «Scenografia International» di Roberto Ciambrone, cui si devono note trasmissioni televisive nazionali, o il Teatro S. Raffaele. «L'insieme dei 54 giacimenti culturali e sportivi di Corviale - spiega il Coordinamento del progetto per un Distretto dell'arte, della cultura e dello sport - tra i quali anche le Terme di Arvalia, il Mitreo Iside con i suoi 900 mq dedicati a tutte le forme di arte, la Biblioteca di Corviale, tra le più attive della Capitale, verrá presentato il 29 novembre nel corso della manifestazione "Una giornata a Corviale"». ROMPERE IL MURO DEL SILENZIO - Le associazioni locali vogliono «rompere il muro di silenzio attorno a questa parte della città» e far sì che Corviale venga riconosciuto come uno dei punti di orgoglio della Capitale, spiega Pino Galeota, tra i promotori dell'iniziativa. «Per questo il 29 novembre verrà votato anche il primo logo del distretto scelto tra diversi bozzetti di giovani disegnatori». Un progetto sposato e sostenuto dall'assessore capitolino alle Politiche Culturali, Umberto Croppi, che - Olimpiadi o no - riassume: «L'obiettivo comune deve essere quello di far passare Corviale da simbolo di degrado a simbolo di eccellenza della città e della Roma che verrà». “Corriere della Sera” | Roma, 24 novembre 2009 L’iniziativa di Marcolini, presidente Zètema: «L’impresa di fare cultura: si comincia in periferia» CORRIERE DELLA SERA - ROMA 13 feb 2010 Ma che cos’è un incubatore? Lo spiega Francesco Marcolini, presidente di Zètema: «L’incubatore è un luogo dove un gruppo di giovani e meno giovani che hanno presentato un progetto culturale di impresa, dall’idea al piano attuativo e finanziario, trovano assistenza per far decollare questo progetto». Di incubatori ce ne saranno due: uno a Corviale, in largo Pio Fedi 5, l’altro alla Garbatella, in Via Montuori 5. In tutto, una quindicina di locali la cui superficie complessiva, tra uffici e spazi comuni, è di circa 750 metri quadrati, completi di postazioni internet, sala riunioni, segreteria organizzativa, sistema di allarme. Per accedervi bisogna partecipare al bando indetto dall’assessorato capitolino ai lavori pubblici e alle periferie. Le domande di insediamento dovranno pervenire entro le ore 12 del sessantesimo giorno di pubblicazione del bando sui siti www.autopromozionesociale.it e www.zetema.it (lunedì prossimo). Il bando è rivolto alle piccole imprese di capitali o di persone, alle cooperative, ai consorzi, alle ditte individuali che intendono occuparsi di spettacolo o turismo, di nuove tecnologie per la cultura o di editoria. L’importante è che la residenza di queste persone sia in periferia. «Gli incubatori - specifica l’assessore ai lavori pubblici Fabrizio Ghera - rappresentano uno strumento strategico per la valorizzazione delle aree periferiche oltre che per favorire la nascita di nuove imprese nella città e sono convinto che potranno dare importanti risultati grazie alle sinergie attivate tra le istituzioni, il mondo delle imprese e gli operatori culturali». Lorenzo Tagliavanti, vice presidente della Camera di Commercio di Roma conferma che il progetto «rientra nelle strategie della Camera di Commercio a sostegno della nascita e del consolidamento di imprese innovative e il settore culturale è l’ambito ideale per sviluppare progetti di sviluppo del territorio e di nuova occupazione». Nell’incubatore si può stare due anni, con un finanziamento fino ad un massimo di duemila euro per ogni impresa. Poi, se l’incubatore ha funzionato, si dovrebbe uscire dal nido e volare con le proprie ali. «A quel punto - dice Marcolini - le capacità creative di tanti cittadini potranno finalmente diventare impresa, trasformando una zona come Corviale da periferia in centralità culturale. E il ruolo di coordinamento svolto da Zètema servirà a sostenere la realizzazione dei progetti selezionati». In pratica: «Prendiamo ad esempio una società che vuole occuparsi di produzione musicale. Valutata la qualità dell’offerta, si può aiutarla ad entrare nell’estate romana, metterla in contatto con la Rai o con le case discografiche. Inoltre le piccole imprese cresciute nell’incubatore potranno restare in contatto tra loro e operare in sinergia. L’idea è di non metterle in competizione ma di creare una rete». Un’idea da realizzare forse la prossima estate: «Una grande rassegna di arte contemporanea a Corviale, con artisti affermati e non, scelti al di fuori dei musei e dei direttori che litigano». “Corriere della Sera” | Roma, 13 feb 2010 ROMA 2020, ANCHE CORVIALE FINISCE NEL DOSSIER OLIMPICO Giochi Proposta bipartisan. Al Pd la commissione speciale Ieri la proposta bipartisan - avanzata da Giovanni Quarzo del Pdl e da Umberto Marroni del Pdl - di inserire Corviale nel dossier olimpico per «Roma 2020». Oggi la presentazione della relazione della Commissione di compatibilità economica, presieduta da Marco Fortis (tra i membri anche Giulio Napolitano) e del sondaggio di Renato Mannheimer sui Giochi nella Capitale. E, a febbraio, la nascita di una «commissione speciale» in Assemblea capitolina, per le Olimpiadi che sarà guidata da un rappresentante dell' opposizione. A presiederla, infatti, sarà Giulio Pelonzi, consigliere del Pd. Chiaro il messaggio: sulle Olimpiadi, per battere la concorrenza di (fortissima, data per favorita), Tokyo, Madrid, Doha e Baku, ci vuole unità, soprattutto politica. Va in questo senso anche la proposta avanzata ieri da centrodestra e centrosinistra, e che ha avuto come ispiratore l' ex consigliere comunale Pino Galeota, oggi responsabile del «Coordimento Corviale domani»: far entrare il quartiere, noto per il «serpentone», nel dossier olimpico. C' è anche un elenco di cose da fare: impianti, palestre, infrastrutture. Il presidente del XV Municipio Gianni Paris pungola l' amministrazione: «Quelle cose sono promesse da anni, e mai realizzate. Ora serve anche altro a Corviale». Tempo ce n' è ancora, comunque. Il Cio ha inviato al Comitato promotore il questionario con 100 domande, alle quali Roma deve rispondere entro il 15 febbraio. A maggio verrà definita la short list: da sei «application city», ne resteranno - probabilmente - quattro. Doha e Baku, ad oggi, sono le più a rischio. A quel punto, le quattro città saranno effettivamente «candidate» e partirà la corsa vera e propria. Entro il 7 gennaio 2013 va presentato il dossier olimpico, in primavera i membri Cio visiteranno le città aspiranti, il 7 settembre a Buenos Aires la votazione. Alessandro Cochi, delegato allo sport del Comune, precisa: «In ogni caso, non ci saranno tasse per le Olimpiadi. Come invece è capitato ad Atene». RIPRODUZIONE RISERVATA

“Corriere della Sera”, 12 gennaio 2012, p. 2 «Corviale 2020: intelligente, inclusivo e sostenibile»

Quartiere L'impegno delle istituzioni per riqualificare la zona È cominciata ieri e continuerà fino a domani la seconda edizione del forum «Corviale 2020- Intelligente, sostenibile, inclusivo». Tanti i temi affrontati nei 21 tra cantieri e incontri che coinvolgeranno amministratori, policy-maker, ricercatori, artisti, architetti, pensatori ma anche e soprattutto cittadini e realtà associative del quartiere. Le iniziative vanno dall'arte contemporanea alle opportunità connesse alla strategia comunitaria Europa 2020, dalle tecnologie per l?efficienza energetica, fino agli «orti slow». Il tutto per dare avvio a quella riqualificazione che la zona attende da anni. Nel programma della tre giorni dedicata a Corviale verrà? anticipato l?intervento delle istituzioni e amministrazioni coinvolte (Mibac, Campidoglio, Regione, Ater, La Sapienza): presenteranno il piano per il recupero e lo sviluppo del quartiere e il primo censimento della comunità di Corviale. Il forum segnerà il punto di avvio di nuove azioni condivise attraverso l'avvio di un tavolo di concertazione istituzionale che mira a consolidare e ad allargare le attività messe in campo nel 2012 con il protocollo d?intesa volto ad accrescere dal punto di vista sociale, economico e culturale di Corviale.

“Corriere della Sera”, 22 novembre 2013, p. 05 Corviale partiti i lavori per la rinascita “Corriere della Sera “, 16 gennaio 2014, p. 04

Sei mesi di lavori, 446mila euro interamente finanziati dall'Ater e 5 «superscale» da ristrutturare lungo tutta la stecca di di Corviale. Sono iniziati ieri i primi interventi di riqualificazione della grande struttura popolare del Municipio XI. Nello specifico i lavori prevedono la sostituzione dei pannelli translucidi che permettono l?illuminazione diurna, la ristrutturazione delle parti in calcestruzzo deteriorate e la sigillatura dei pannelli, la ricostruzione delle pareti in vetro-cemento poste ai lati delle scale e la posa di nuove porte in ferro di accesso alle abitazioni. Il commissario straordinario dell'Ater, Daniel Modigliani, sottolinea «l?urgenza dell'intervento data dalla pericolosità dei pannelli deteriorati che si staccavano con il vento, con il rischio di finire sopra la gente». «Questo inoltre -prosegue Modigliani- è il primo di alcuni interventi che avranno tempi lunghi, date le dimensioni della struttura (oltre 1 km, ndr) e a causa del fatto che al suo interno ci vivono 1.300 famiglie che non possono essere rimosse dai propri alloggi durante i lavori». «Il prossimo step sarà la riqualificazione del quarto piano, originariamente destinato a servizi e attività commerciali ma da 30 anni occupato. Verranno ricreati nuovi alloggi non più abusivi, con uno stanziamento di 6 milioni di euro. I lavori -conclude il commissario Ater- dovrebbero partire nel secondo semestre del 2014».

“Corriere della Sera “, 16 gennaio 2014, p. 04 CORVIALE, CONCORSO DA 517MILA EURO PER RIQUALIFICARE IL «SERPENTONE» IACP La Regione Lazio stanzia 19 milioni: a breve partirà il concorso internazionale, poi interventi di riqualificazione per 9 milioni - Sbloccati anche vecchi fondi "in freezer", in tutto si arriva a 24 milioni Circa 19 milioni di euro per la rigenerazione di Corviale, quartiere simbolo della periferia di Roma di proprietà dell'Ater (ex Iacp). A stanziarli è una delibera della Regione Lazio, presentata dal governatore Nicola Zingaretti e dall'assessore alla casa, Fabio Refrigeri, nel corso di una conferenza stampa che si é svolta nel campo dei miracoli a Corviale. Il programma prevede lo sblocco immediato anche di altri fondi già disponibili per Corviale, ma rimasti fermi, sommando così un pacchetto di interventi di manutenzione e riqualificazione per 24,4 milioni di euro. Il provvedimento prevede anche la realizzazione di un concorso internazionale per la scelta dei migliori architetti a cui affidare il progetto di rinascita urbanistica del "serpentone". Presenti anche il commissario dell'Ater, Daniel Modigliani, l'assessore capitolino alle periferie, Paolo Masini, e il presidente del xiv municipio, Maurizio Veloccia. Nel dettaglio, 3 milioni andranno a interventi già programmati di manutenzione del 'serpentoné, 1,9 per la manutenzione della trancia h (un edificio diagonale rispetto alla struttura principale), 500mila per la realizzazione del concorso, 9 per la sua attuazione (ci vorranno sei mesi per bandirlo e sei mesi per chiuderlo), oltre 4 milioni andranno per la ristrutturazione degli oltre 100 appartamenti occupati che si trovano al quarto piano (con la garanzia di rientrare per chi ne ha diritto). A questi si sommano altri 6 milioni, sempre per il quarto piano, previsti dal contratto di quartiere due che sono stati stanziati nel 2006 ma mai spesi. Con il finanziamento regionale dunque sarà possibile intervenire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici dell'intero complesso residenziale e procedere così alla ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d'uso dei locali non residenziali. Ci sarà poi il concorso internazionale di progettazione rigenerare Corviale, bandito dall'Ater e finanziato dalla Regione Lazio con 517mila euro. Il bando di progettazione condiviso con gli abitanti dell'area si baserà sulle linee guida già disponibili sul sito Ater condivise con il tavolo di concertazione istituzionale avviato dal ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, un progetto rivolto ai migliori progettisti europei. Non si tratta del primo concorso lanciato per la riqualificazione di Corviale: qualche anno fa un progetto di recupero era stato assegnato al tema romano di T-Studio. La vera novità sarebbe realizzare davvero quanto progettato. «La strada dell'abbattimento era una chiacchiera sbagliata che non aveva mai trovato fondamento. Oggi invece si apre una pagina nuova e straordinaria: dopo il 1982, anno di costruzione, finalmente si investe con intelligenza sul Corviale». Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, presenta così il pacchetto di interventi da circa 19 milioni per la riqualificazione urbana e rigenerazione del quartiere Corviale, nella periferia di Roma. «Noi vogliamo che il Corviale non diventi e non sia più un problema ma che diventi un bel quartiere di Roma -ha aggiunto Zingaretti- noi in questi anni e in questi mesi stiamo lavorando in team con il comune di Roma per garantire questo livello di miglioramento della qualità della vita, ora tocca al palazzo. Noi abbiamo dato il nostro impegno e oggi lo rispettiamo». Il governatore ha spiegato che 500mila euro saranno per un concorso europeo, «affinché gli architetti di tutta Europa si interroghino sulla riqualificazione e rigenerazione di questo palazzo». Poi altri «tre milioni di euro per interventi di riqualificazione e manutenzione del palazzo e il resto per il quarto piano, occupato già dal 1982, dove costruiremo 100 appartamenti nuovi, portando più dignità, pulizia, ordine e sicurezza e quindi facendo quell'intervento completo che da tanti anni era atteso dai cittadini e non si è fatto mai».

“Il Sole 24 Ore”, 1 ottobre 2014

PAOLO BOCCACCI — 'Smantelliamo via dei Fori e a Corviale bisturi e matita' Nella hall tutta specchi e divanetti dell’Hotel Minerva Renzo Piano scende verso le otto, quando il centro di Roma è ancora vuoto, silenzioso e incantevolmente sospeso. Poi andrà nel cantiere del suo Auditorium. Ma con il cuore è già lì, su quelle ciclopiche coperture di legno apparse sulle sale sotto gli alberi di villa StrohlFern. I suoi tetti di legno lamellare cominciano a svettare sull’Auditorium. Che effetto le fa? «Un cantiere è sempre straordinario. Dopo aver disegnato e sofferto per anni, arriva la sua fisicità. Si scopre la scala delle cose. E in questo caso quelle coperture hanno una scala monumentale. Ora sono lì. Ed è bello» C’ erano state polemiche, avevano detto che i calcoli erano sbagliati, che non avrebbero retto~ «Io sono ostinato e alla fine ha vinto la verità. Si poteva fare e si è fatto. Anche per il Beaubourg le imprese francesi avevano detto che non si poteva costruire come lo avevamo progettato. Poi lo hanno realizzato i tedeschi della Krupp». Cantieri che si bloccano, cause in tribunale. Non solo: lavori malfatti, come quelli che si sono trovati all’Auditorium, fori per i cavi mancanti, poco ferro nel cemento armato, materiali dei vani ascensori sbagliati~ Come limitare gli imprevisti? «Credo che il governo già stia ripensando le gare di appalto. Certe opere sono complesse come degli orologi. E per realizzarle non basta chi offre di meno. In questo abbiamo fatto da cavie» Le elezioni per il prossimo sindaco sono alle porte. Che cosa dovrebbero scrivere Veltroni e Tajani nel programma alle voci architettura e urbanistica? «L’ operazione Fori potrebbe essere un intervento straordinario. Smantellare la strada per il parco archeologico proteggerebbe il Centro e porterebbe poi alla pedonalizzazione». E in periferia? Tanti hanno proposto l’abbattimento di Corviale... «Io penso che intervenire sulle periferie con interventi di distruzione praticamente inattuabili sia sbagliato. Il processo di trasformazione sarà per forza lento — ci vorranno almeno cinquant’ anni — e «omeopatico», dall’interno. Se di chirurgia si deve parlare, preferirei una microchirurgia. A Corviale, ad esempio, si potrebbero modificare alcuni elementi, anche con l’aiuto dei progettisti di quel quartiere. Per migliorare, rigenerare» Quale potrebbe essere il segno di una «rinascita romana»? «Ma c’ è già, sarà sicuramente l’Auditorium» Lei sta studiando anche il rinnovamento della zona del Villaggio Olimpico, per legarla meglio con le casermemuseo di via Reni ~ «La «macchina» dell’Auditorium, che è anche teatro, centro culturale, luogo di vita quotidiana, produrrà cambiamenti. La strada da Far West di via De Coubertin si completerà, aumenteranno i collegamenti. Ci sto riflettendo. Non c’ è una mattina in cui, appena mi sveglio, non pensi all’Auditorium e a quel paesaggio~». Ma perché le periferie romane sono le più brutte d’ Europa? «Questo non è vero. Però ci si avvicina. Il problema è che, vede, a Roma i costruttori erano in gran parte privati e hanno tirato su i palazzi a macchia di leopardo, perché, costruito uno, l’area vicina diventava più cara e dunque si facevano appartamenti più in là». E che dice del decoro urbano inesistente, delle scritte, dei cartelloni selvaggi, delle insegne invadenti? «È vero. C’ è un degrado diffuso. Ma devo dire che non è sufficiente a distruggere la bellezza di Roma. Lo slogan dovrebbe essere: trattiamo la città come se fosse la nostra casa». Roma vedrà l’Ara Pacis di Meier, il palazzo dei Congressi di Fuksas, le caserme museo di Zaha Hadid. Che ne pensa? «Che sono ottimi progetti. Bene Meier dell’Ara Pacis e anche della nuova chiesa, nell’idea di Fuksas c’ è una grande generosità, in Zaha Hadid molta tensione». Ha mai pensato ad un altro progetto per Roma? «Ma io ho già l’Auditorium, un’opera che Roma aspettava da sessant’ anni. E poi sto lavorando alla nuova sede del New York Times a Manhattan, in altre città del mondo. Se volessi di più il cielo mi punirebbe~» L’ intervista è finita e Piano corre a visitare l’Auditorium in costruzione. «Gli errori fatti dalle imprese precedenti» spiega Maurizio Pucci, che dirige il monitoraggio del cantiere «ci hanno fatto perdere circa un mese. Ma sono già scattati i doppi turni di lavoro e da ottobre, quando si finirà la copertura della sala grande, arriveremo a tre turni, 24 ore su 24. Per il 21 aprile del 2002 ce la faremo». PAOLO BOCCACCI — «La Repubblica» — 22 marzo 2001 PAOLO BOCCACCI — La rinascita di Corviale Sarà il reality show più visto nel ventre del serpente di cemento grigio di Corviale, l’Utopia decaduta di una periferia che ora vuol cambiare. Si chiamerà Tele Corviale e, di casa in casa, trasmetterà a circuito chiuso interventi d’ artisti, prove di musicisti, idee di trasformazione. è la prima delle iniziative di un esperimento che porterà, attraverso i lunghi corridoi dell’immenso edificio diventato simbolo nazionale delle periferie invivibili, il respiro dell’arte con una serie di interventi della prestigiosa Fondazione Olivetti, organizzati con l’assessorato alle Periferie guidato da Luigi Nieri. Coivolgendo artisti, da Cesare Pietroiusti a Mario Ciccioli fino all’Osservatorio Nomade/Stalker, producendo installazioni, attività musicali, un libro e un film. Ciccioli costruirà grandi arpe eoliche, mosse dal vento, che faranno risuonare tutta la costruzione. Gli artisti Cesare Pietroiusti e Matteo Fraterno stanno raccogliendo storie dentro e fuori il quartiere nella guida «Corviale, istruzioni per l’uso». E così, per un anno, soprattutto il quarto piano di Corviale, quello che nell’utopia fallita dei progettisti doveva ospitare spazi commerciali e servizi pubblici ed invece è stato occupato, diventa luogo di sperimentazione culturale. Non è tutto. L’ assessorato di Nieri ha già realizzato un programma speciale di raccolta differenziata dei rifiuti nel quartiere, una bonifica straordinaria di carcasse di auto, siringhe, cartacce, un incubatore di imprese, un centro di orientamento al lavoro, un altro di formazione professionale, un centro culturale polivalente con biblioteca. Il tutto nato negli ultimi due anni. Mentre si pensa a riqualificare il quarto e il quinto piano e a servizi sportivi, tra cui campi di basket e pallavolo, un campo da rugby e una piscina. Ancora: si ristrutturerà anche il cosiddetto sesto lotto, con il recupero del percorso pedonale coperto al piano terra e il ripristino ad uso commerciale dei locali per negozi con l’inserimento di un Commissariato di Polizia. E si realizzerà dentro il gigante di Corviale un grande impianto di climatizzazione. Infine non mancheranno una ludoteca e una grande fontana nello slargo davanti alla chiesa. «L’ intervento del Comune», spiega Nieri, «è un esempio di politiche integrate, dalla cultura all’incubatore del lavoro fino alle trasformazioni con la partecipazione costante dei cittadini attraverso il laboratorio territoriale». PAOLO BOCCACCI — «La Repubblica» — 19 aprile 2004 'CORVIALE, 42 MILIONI NON SPESI. DENUNCIA PER ALEMANNO E POLVERINI' Una class action da Corviale. Le associazioni degli abitanti del Serpentone, da sempre uno dei simboli del degrado dell'abitare a Roma, hanno deciso: denunciano alla procura il sindaco Alemanno e l' ex governatrice del Lazio Renata Polverini per 42 milioni di euro stanziati e mai spesi per riqualificare il gigantesco palazzo e il territorio intorno. Eper reagire «a questo stato di inerzia che dura da 5 anni» il Centro Iniziative Legalità Democratica, insieme a CorvialeDomani, al Comitato Inquilini Corviale e al Comitato di Quartiere Arvalia-Magliana hanno avviato quattro azioni giudiziarie: ricorso al Tar, denuncia alla Procura e alla Corte dei Conti, nonché una citazione al tribunale per chiedere il risarcimento danni. «Queste iniziative» afferma Pino Galeota «hanno lo scopo di individuare coloro che con improvvide iniziative politiche o con colpevole inerzia hanno bloccato i progetti e la riqualificazione del territorio di Corviale e ripristinare sicurezza, legalità e il valore degli investimenti pubblici impegnati». I fondi per la riqualificazione interessano nel complesso 50 mila abitanti. E in particolare 23 milioni riguardano proprio il "Serpentone", deliberati dalla giunta Storace, confermati da quella Marrazzo e poi bloccati del 2010, quando l' allora assessore alla Casa lanciò l' idea di abbattere il quartiere-palazzo. Mentre Alemanno avrebbe dovuto spendere 19 milioni stanziati per centri sportivi e culturali. PAOLO BOCCACCI “La Repubblica” - 04 giugno 2013 "CORVIALE, VENTI MILIONI DI EURO PER FARLO RINASCERE" Stanziati dalla Regione. L'annuncio di Zingaretti. e ora l'ATER di Modigliani in attivo. PAOLO BOCCACCI CORVIALE, il Serpentone, il simbolo della cattiva urbanistica a Roma, rinascerà. Poco meno di venti milioni (9,6) sono stati stanziati da una delibera della Regione presentata ieri dal governatore Zingaretti e dall'assessore alla Casa Refrigeri, nel Campo dei miracoli. Presenti anche il commissario dell'Ater, Daniel Modigliani, l'assessore capitolino alle Periferie, Paolo Masini, e il presidente del XIX Municipio, Maurizio Veloccia. Nel dettaglio: 3 milioni andranno ad interventi già programmati di manutenzione, 1,9 per la manutenzione della cosiddetta "Trancia H" (un edificio diagonale rispetto alla struttura principale), 500 mila per la realizzazione del concorso, 9 per la sua attuazione (ci vorranno sei mesi per bandirlo e sei mesi per chiuderlo), oltre 4 milioni per la ristrutturazione degli oltre 100 appartamenti occupati che si trovano al quarto piano. «I nuovi sorgeranno al posto di quelli occupati con garanzia per gli aventi diritto di rientrarci» spiega Modigliani «Le manutenzioni possono essere completare in un anno». E a questi si sommano altri 6 milioni, sempre per il quarto piano, stanziati nel 2006 ma mai spesi. «La strada dell'abbattimento era una chiacchiera sbagliata che non aveva mai trovato fondamento» afferma Zingaretti «Oggi invece si apre una pagina straordinaria: dopo l'82, l'anno di costruzione, finalmente si investe con intelligenza su Corviale. Cinquecentomila euro per un concorso europeo, affinché gli architetti di tutta Europa si interroghino sulla riqualificazione e rigenerazione di questo palazzo e cento appartamenti nuovi che porteranno più dignità, più pulizia più ordine e più sicurezza. Noi vogliamo che Corviale non sia più un problema ma un bel quartiere di Roma». E ha aggiunto: «Dopo 60 anni l'Ater del Comune di Roma chiude il bilancio in attivo di otto milioni nel 2013, e lo farà anche quest'anno nel 2014». L'assessore Masini: «Quello di Corviale è un importantissimo risultato, è un intervento fondamentale e nuovo patto che vede i cittadini dentro il filone della legalità. Ora bisogna "andare a dama" con tutto il progetto e il coinvolgimento dei cittadini. Parlo come assessore alle periferie di Roma: oggi vinciamo. Ed è un discorso in cui Roma Capitale ci sta in pieno. Quella che avete di fronte è una squadra. È un giorno storico ». PAOLO BOCCACCI “La Repubblica”, 02 ottobre 2014 'SANEREMO LA FERITA DI CORVIALE' PAOLO G. BRERA Vivremo in una città fatta per due terzi di verde, con 23 metri quadrati a testa di parchi e giardini. Abiteremo una capitale con 610 chilometri di binari per tre passanti ferroviari e quattro linee metropolitane fino oltre il raccordo, con 310 stazioni che metà dei romani raggiungerà a piedi da casa. Lavoreremo in una metropoli in cui 500.000 persone troveranno un' occupazione indotta dalla rivoluzione urbanistica del nuovo piano regolatore, che attiva 40 miliardi di investimenti (stime Ecosfera). A volte fare i conti aiuta a capire. A comprendere com'è che alla fine di una maratona istituzionale la città delle associazioni e delle categorie, degli industriali e degli ambientalisti, della politica e della cultura si sono trovate con un calice in mano a brindare. è «la più grande manovra urbanistica dalla storia di Roma Capitale», dice il sindaco Walter Veltroni ringraziando maggioranza e opposizione per «la concertazione e il clima istituzionale, un capitolo importante del modello Roma». Una manovra che coniuga «speranza, desiderio e sogno» in un piano che «ha accolto il 25% di 7.000 osservazioni "controdedotte"», cioè discusso fino alla noia e al particolare; che integra il «documento sulla partecipazione approvato il 2 marzo» vincolando alla consultazione continua dei cittadini nelle "case dei municipi" e nella "casa della città"; un piano che fa sue «la delibera sull'edilizia residenziale pubblica per 22mila stanze» approvata ieri all'alba, e altri provvedimenti per un totale «di 68mila stanze, pari a 22mila appartamenti che costituiscono il 23% del totale residenziale». Ancora, un Prg che ridisegna la ferita di Corviale destinandole «servizi per integrare e migliorare la vita dei suoi abitanti» e risparmiandole il piccone evocato da An; che risana il Laurentino 38 con «il recupero qualitativo e con la demolizione dei due ponti». Dalle "mani sulla città" del passato che brucia, dove i costruttori stiparono alveari oggi a rischio anche sotto il profilo statico, si passa alle scelte selettive di diradamento, con demolizioni e ricostruzioni: è accaduto in via Giustiniano Imperatore e potrà accadere a Marconi, al Tiburtino o al Tuscolano. Dall'urbanistica che insegue i quartieri abusivi si arriva alla progettazione di 18 centralità metropolitane dotate di tutto, servizi culturali e amministrativi, sportivi e tecnologici. Lì si sono distese cubature più intense, 4,1 milioni di metri cubi alla fine di una cura dimagrante chiesta dai quartieri stessi, perché il cemento pioverà per arricchire, moltiplicando il gioiello che l'era fascista realizzò all'Eur, l'unica centralità metropolitana che già esiste. Così l'Eur di domani si fa in diciotto, da Acilia a La Storta, da Torre Spaccata a Ponte Mammolo. Intanto, il centro antico si allarga a "città storica" e passa da mille a 7.000 ettari, tutelando 25.000 punti di interesse. Nelle periferie nasceranno dai cittadini i piani particolareggiati per ridisegnare gli 80 "toponimi", i quartieri abusivi degli anni Ottanta, mentre pubblico e privato collaboreranno finanziariamente nei "programmi integrati" per Torre Maura e Giardinetti, Ottavia o Torre Angela. Intanto, via libera alla grande architettura: dopo i gioielli di Meyer e Piano arrivano quelli di Fuksas, Hadid, Koolhaas... PAOLO G. BRERA

“La Repubblica”, 23 marzo 2006 BERLUSCONI E ALEMANNO A CORVIALE 'I NOSTRI SEDICI PUNTI PER ROMA' PAOLO G. BRERA Hanno puntato su Corviale, ma il quartiere simbolo della periferia da rilanciare ha risposto freddamente: non c' è stato l' atteso bagno di folla ad accogliere i leader del Pdl nazionale e locale - Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, il candidato sindaco Gianni Alemanno e il candidato presidente della Provincia Alfredo Antoniozzi - che ieri mattina nella piazzetta sopraffatta dal colosso di cemento hanno firmato un "Patto per Roma" in sedici punti aprendo la campagna elettorale romana. «è un contratto che ci impegniamo a rispettare», assicura Berlusconi che, davanti alle telecamere, mette anche mano al portafogli e regala soldi a una signora bisognosa. «Non li perda», si raccomanda. Ed ecco i punti del Patto: l' istituzione del distretto di Roma Capitale, la modifica dello statuto cittadino con l' obbligo di risarcimento per disservizi e cartelle pazze; 25mila alloggi per famiglie con redditi medio-bassi; via all' Ici prima casa e taglio allo 0,25% dell'addizionale Irpef; 1,5 miliardi per la periferia, con anche demolizioni e ricostruzioni; il secondo anello del Gra, la chiusura dell'anello ferroviario e nuove metro, nuovi parcheggi; l' espulsione dei 20mila nomadi e immigrati che hanno violato la legge; la chiusura dei campi rom abusivi; la riforma dei vigili con nuovi reparti anti-commercio abusivo e mendicità minorile; bonus per i nuovi nati e libri di testo gratuiti per i poveri; nuovi asili per 10mila posti; un nuovo Policlinico Umberto I; un Piano rifiuti per chiudere la discarica di Malagrotta; un piano straordinario anti-povertà e per l' assistenza agli anziani; un fondo per i giovani precari; la lotta all'inquinamento. Un Patto firmato di fronte a un migliaio di persone - secondo la valutazione di Alemanno e della questura - ma sottoscritto davanti a una delle grandi ferite dell' edilizia romana: «Siamo venuti qui già nel '94 quando il quartiere voltò le spalle alla sinistra, e il nostro successo lo misureremo nelle periferie», dice Alemanno. Sul palco firmano anche Fernando Aiuti, capolista per Roma, Daniela Gallo, ausiliaria "esternalizzata" del S. Andrea; l' ex ministro disabile Antonio Guidi, capolista della civica, e Germana Lizzani, «che da 33 anni vive senza contratto in una stanza qui a Corviale»; Roberta Moriccioli, figlia del ciclista ucciso; Natasha Bernacchini, precaria ministeriale e Suad Sbai, presidente delle marocchine in Italia. Intanto Perla Pavoncello - la precaria invitata da Berlusconi a sposare un milionario ed esponente della comunità ebraica poi candidata nel Pdl romano (47° in lista) - ieri ha cambiato idea «per motivi privati», chiedendo di essere cancellata. «Speriamo ci ripensi», dice Alemanno. E il portavoce della Comunità Riccardo Pacifici: «Sulle scelte di Perla Pavoncello non abbiamo avuto alcun ruolo». PAOLO G. BRERA “La Repubblica”, 16 marzo 2008 STEFANO BUCCI — «Corviale e Scampia, ripartiamo da lì». Rem Koolhaas: oggi ci sembrano brutti, ma avevano una funzione sociale e politica. L’architetto olandese che a Seul inaugurerà per Prada il primo «edificio mutante» Secondo lui «la storia con i suoi simboli architettonici del potere, primi tra tutti i grattacieli, ha finito per appiattire la società»; l’arte è tendenzialmente «inutile perché rappresenta una risposta inconsistente ad una realtà imbarazzante»; la cultura di oggi semplicemente «barcolla»; le nostre città «sono ormai governate soltanto dal caos». L’ha detto (e ripetuto) più volte. Ma, come in una seduta psicoanalitica, Rem Koolhaas («lo psicoanalista delle città» lo hanno appunto definito) ad ogni appuntamento sembra voler scoprire un ulteriore tassello del proprio puzzle. Così, presentando in anteprima il nuovo frutto della collaborazione con Prada, il Prada Transformer di Seul («spazio funzionale che potrà cambiare forma e utilizzo di volta in volta»), Koolhaas offre il fianco a nuove discussioni. Ad esempio sui musei nella loro forma più classica: «Gli spazi rigidi e codificati non hanno più alcuna ragione di esistere, nemmeno quelli destinati all’arte e alla cultura, il futuro anche per loro sta nella flessibilità». Ma ce n’è anche per i «grandi mecenati», quelli stessi che hanno contribuito a lanciare il fenomeno delle archistar (di cui Koolhaas fa evidentemente parte): «Ci hanno chiesto di fare edifici spettacolari, di cui si parlasse, che fossero architetture urlate. Forse per noi sarebbe meglio tornare ad architetture più composte, più ragionate e meno spettacolarizzate». Secondo lui, poi, questa crisi (come già per Rafael Moneo) servirà: «Dobbiamo recuperare l’impegno sociale delle architetture degli anni Sessanta, quando si costruiva non perché se ne parlasse, ma per dare case». Eppure molte di quelle architetture, in Italia soprattutto, non vengono oggi additate come buoni esempi da seguire: «Il Corviale di Roma, lo Zen di Palermo, le Vele di Scampia (ma lui per definirle usa solo un termine, gomorra) oggi ci sembrano forse brutte, ma il nostro gusto è diverso da allora e, soprattutto, quelli erano progetti con una funzione sociale-politica importante, alle quali bisognerebbe guardare oggi con una attenzione ritrovata». Davvero non sembra un caso che Rem Koolhaas abbia vinto il «Pritzker Prize», il Nobel per l’architettura, proprio nell’anno 2000: chi meglio dell’architetto olandese (nato a Rotterdam il 17 novembre 1944) poteva interpretare le contraddizioni del nuovo Millennio. E Koolhaas (che in una precedente vita è stato anche giornalista e sceneggiatore cinematografico) ha saputo davvero raccontarle in modo eccellente e anticipatore. Con i suoi progetti: lo Zkm di Karlsruhe, lo Yokohama Urban Ring, l’Educatorium di Utrecht, l’Opera di Cardiff, la Casa della musica di Porto, la sede della China Central Television di Pechino. E con i suoi libri, da quel Delirious New York (Mondadori Electa) ormai considerato «un classico dell’architettura contemporanea» e che lo ha reso improvvisamente famoso) al più recente Junkspace (Quodlibet) che propone un «ripensamento radicale dello spazio urbano». L’ultima evoluzione dello «junk-space» (lo «spazio-spazzatura», caotico eppur vivacissimo, «che rappresenta l’attuale realtà delle città»), dice lo stesso Koolhaas, è proprio quel tetraedro mutante capace di trasformarsi di volta in volta in museo, cinema, passerella per sfilate e eventi (rigorosamente multiculturali) pensato per Prada: «Qualcosa di totalmente differente da ogni possibile idea di museo precedente». Koolhaas (tutto vestito di grigio ma con un gioco raffinato di nuance, capelli cortissimi quasi da monaco, occhi vivacissimi) lancia nuove provocazioni, sia pure con il suo tradizionale fare estatico, dalla futura sede della Fondazione Prada: un complesso industriale dei primi del Novecento a sud di Milano, 17.500 metri quadrati (di cui 7.500 della fabbrica già risistemata e 10 mila per una nuova costruzione) destinati a diventare un centro per le arti con diverse identità più un grattacielo (naturalmente firmato da Koolhaas) per la collezione permanente. «Città senza glamour» chiama Milano «se non fosse per la moda e il design», ma anche «l’unica che potrebbe diventare la città del moderno». Un oggetto, il Prada Transformer, da 300 metri quadrati di superficie massima, 20 di altezza, 20 di diametro, «svariati milioni di euro» di spesa. Che cambia forma a seconda della necessità: esagono, croce, rettangolo oppure cerchio perché questo edificio interamente ricoperto di una membrana elastica liscia (ruotato con l’aiuto di una gru) «potrà essere riconfigurato a seconda del programma previsto, per dare ai visitatori esperienze completamente diverse». Ogni lato è progettato in funzione di un’installazione specifica, creando così quattro volumi con altrettante identità: «Quando un lato diventa il pavimento, gli altri tre si trasformano in pareti e soffitto, richiamando al tempo stesso l’evento passato o anticipando quello futuro». Perché, spiega Koolhaas: «La cosa interessante è il riconoscimento del Transformer come organismo dinamico, rispetto ad un oggetto semplicemente statico, che si adatta arbitrariamente al programma e che può essere plasmato in tempo reale, a seconda degli specifici programmi che si intende proporre al suo interno». Proprio come deve succedere, dice, agli edifici che vorranno «sopravvivere in questo nostro junk-space». Questo è Prada Transformer (citazione in bilico tra il film di fantascienza di Michael Bay e il longplaying di Lou Reed) che verrà inaugurato il 25 aprile a Seul con «Waist Down — Skirts by Miuccia Prada», anche questo un progetto in divenire che «presenta una collezione di gonne in movimento che spazia dalla prima sfilata ad oggi» («dove saranno esposte gonne create da studenti di moda coreani emergenti per promuovere l’interazione tra due mondi della moda e per amplificare il significato della moda stessa da prospettive culturali diverse»). Poi a seguire il festival cinematografico «Flesh Mind and Soul» dedicato a Alejandro Gonzáles Iñárritu (il regista di Babel e 21 Grammi) che dovrà «lasciare gli spettatori sazi e al contempo ancora affamati». Il tutto in una collocazione certamente non normale: situato accanto al cinquecentesco Gyeonghui Palace, Prada Transformer «si propone come uno spazio multidimensionale che è espressione del XXI secolo, della storia, della tradizione e delle radici coreane». Ribadisce Koolhaas: «Un modello da seguire, la strada giusta per cambiare le nostre città». Ma anche per recuperare «il sublime dell’arte», visto che per Koolhaas «la moda è sublime, anzi è più sublime della stessa arte». E al tempo l’arte nasconde una dimensione sociale «dimenticata» al pari di quella di un Corviale («quello di Pasolini» specifica Koolhaas). D’altra parte, nemmeno i mecenati sono tutti uguali: «Ce ne sono di speciali e di no, di quelli che vogliono urlare e di quelli che vogliono far pensare». Stefano Bucci — «Corriere della Sera» — 7 aprile 2009 CORVIALE, NASCE IL PARCO DELLE ARTI COSÌ LA SCULTURA RILANCIA IL PAESAGGIO CARLO ALBERTO BUCCI LA RISERVA naturale Tenuta dei Massimi a Corviale si fa in quattro. Quattro sono i settori in cui sono stati divisi i 40 ettari di terreno agricolo all'interno dei quali artisti e architetti lavoreranno insieme. Di fronte al "Serpentone" delle case popolari. E seguendo il ciclo agricolo delle stagioni. Tutto per creare un luogo che rilegga e rilanci il paesaggio. Offrendo un abbraccio tra natura e cultura nel cuore della periferia romana. Ma pronti a trasportare le sculture-container in altri parchi d' Europa. Nato da un idea del presidente della Fondazione Volume!, Franco Nucci - creata nel 1997 in una vecchia vetreria di Trastevere con l' obiettivo di aprirsi agli spazi aperti e al grande pubblico - il piano per la realizzazione a partire da fine 2010 del "Parco dell'arte e dell'architettura", o "Parco nomade", sarà presentato domani in Campidoglio. Nell'area di proprietà della Efemin srl, artisti come Carla Accardi, Jannis Kounellis, Mimmo Paladino, Gregorio Botta, accanto ad esponenti della Scuola di San Lorenzo quali Piero Pizzi Cannella, Giuseppe Gallo, Bruno Ceccobelli, realizzeranno installazioni ambientali lavorando d' intesa con gli architetti (Massimiliano Fuksas e Paolo Desideri, tra gli altri). Le opere avranno l' aspetto di "stanze" che interagiranno con le tracce del luogo (la radura, le linee dell'acqua, le rette e gli incroci stradali) e con i segni lasciati nella terra dai contadini. Ma senza interferire con la vocazione del luogo. La «manutenzione dell'attività della matrice agricola insieme ai nuovi usi» è infatti uno degli obiettivi principali dell'architetto che ha progettato il paesaggio, João Nunes. «"Parco nomade" - sottolinea il curatore del programma, Achille Bonito Oliva- parte dalla sistemazione del luogo fisico in cui si collocano i container». Luogo «che diventa esso stesso un' architettura abitabile e in continua metamorfosi secondo i cambiamenti delle quattro stagioni». E «punti fermi, oltre alle opere, saranno forme stabili adibite a servizi per il pubblico». Simile alla Fattoria di Celle di Giuliano Goria Pistoia, il progetto per una galleria di opere immersa nella natura e nei campi di grano viene seguita da un comitato scientifico composto da Danilo Eccher, Lorand Hegyi e Jan Hoet e, per l' architettura, da Amedeo Schiattarella, Claudio Presta Emilia Giorgi e Nicola Di Battista. CARLO ALBERTO BUCCI “La Repubblica”, 20 giugno 2010 "UN ATENEO A CORVIALE? MOLTO MEGLIO LE RUSPE. Corviale, il Serpentone va abbattuto" di TEODORO BUONTEMPO Ho letto l'interessante articolo di Giorgio Montefoschi sul vostro giornale e devo constatare con piacere che, grazie anche all'attenzione del Corriere della Sera, il dibattito sulla riqualificazione di Corviale sta prendendo piede. Oggi, ad esempio, si rilancia l'ipotesi di un ateneo nel «Serpentone» e allora ricordo che appena un paio di settimane fa anch'io ho parlato di questa possibilità. Non credo, perÒ, sia una buona idea pensare a un'università insieme alle abitazioni. Se si vuole dar vita a un ateneo nel «Serpentone», allora si deve guardare alla realizzazione di un vero e proprio polo universitario, che ospiti anche quelle facoltà oggi non presenti a Roma Mi riferisco, ad esempio, alle facoltà legate al mare, come quelle in cui si studiano le correnti marine, ma anche ad altre specializzazioni che troviamo in molte città europee, ma non a Roma. Corviale, insomma, potrebbe davvero rinascere, adeguando il «Serpentone» alla nuova destinazione, dopo aver realizzato appartamenti vivibili, in un contesto vivibile per chi oggi abita in quel chilometro di cemento. Così ci sarebbe la possibilità di realizzare, intorno al polo universitario, una città-giardino, con servizi e luoghi di aggregazione. Questa è un'altra possibilità per la rinascita di Corviale. Personalmente, però, mi convinco ogni giorno di più che abbattere l'ecomostro sia assolutamente possibile e, del resto, questo è quello che sostengono vari architetti, i quali ci ricordano quanto avviene è avvenuto in altre parti del mondo. Se pensiamo, poi, che per Corviale sono già stati spesi 40 milioni di euro per la manutenzione ordinaria e ne sono pronti altri 23, capiamo che più di un «Serpentone» parliamo di una sanguisuga, che mangia soldi senza che vi siano benefici per i cittadini. E poiché il nostro obiettivo, invece, è quello di rispondere alle esigenze del cittadino, riteniamo che si debba tentare di abbattere quel chilometro di cemento, per fare di Corviale una vera e propria città, con servizi, teatri, cinema, asili e tutto ci che serve affinché la socializzazione non resti una bella parola, ma diventi finalmente qualcosa di concreto. Insomma, vogliamo rimettere la persona al centro e vogliamo partire con un'iniziativa per Corviale, che porti contributi di idee da tutto il mondo. Far rinascere Corviale sarà il primo passo, per restituire dignità e vita a tutte le degradate periferie di Roma. “Corriere della Sera”, 04 giugno 2010

L'edificio in un elenco di ecomostri da smantellare. L'assessore Morassut: la Regione blocca 220 milioni di euro Corviale, il giallo della demolizione I Beni culturali: abbattimento? No, riqualificazione. Veltroni: decide il Campidoglio L' ipotizzato abbattimento di Corviale ha già creato una nuvola alta come il serpentone. Di polemiche. «Il vero ecomostro è questo governo»: nella risposta del portavoce della maggioranza, Silvio Di Francia (Verdi), c' è tutta la rabbia del Campidoglio. Il sindaco Veltroni, l' assessore all' Urbanistica Roberto Morassut, quello alle Periferie Luigi Nieri, reagiscono in modo simile: no alla demolizione e alla deportazione degli abitanti, e invece sì ai finanziamenti «bloccati, da anni». La destra, nelle parole dei consiglieri Rampelli e Marsilio (rispettivamente alla Regione e al Comune), invece applaudono: «Sì alla riqualificazione - dicono - ma anche sì all' abbattimento». Il ministero dei Beni culturali, dopo aver annunciato la demolizione di Corviale, ieri ha corretto il tiro: non arriveranno le ruspe, ma la zona sarà riqualificata. Capponi e Fiorentino a pagina 51 “Corriere della Sera”, 15 ottobre 2004, p. 49

GLI ABITANTI: «ABBATTERLO? BASTEREBBE UN LIFTING...» L'unico favorevole è il viceparroco: magari lo buttassero giù, la gente si vergogna di vivere qui, a messa sono pochi CAPPONI ALESSANDRO «Sì, così magari co' tutto ' sto cemento Berlusconi ce farà il ponte sullo Stretto». Il ragazzo ha la battuta facile, un cappellino fin quasi sugli occhi e un cane un po' ringhiante al guinzaglio: non arriva il sole, qui. Umidità e pozze d' acqua piovana. Sottoscala di Corviale, civico 5 di largo Domenico Trentacoste. Almeno dieci metri sotto il livello della strada. Sul muro, una scritta: «Vi odio tutti». Eppure quando sanno che il consiglio dei Ministri vuole abbattere Corviale, molti reagiscono come questo ragazzo. A battute, sarcasmo e risentimento. Perché «pensassero alle cose serie», perché «non se ne parla neanche», perché «e a noi dove ci mettono?», perché «adesso qui si vive abbastanza bene». Ecco, forse è questa la differenza col passato: dice chi lo abita che a Corviale, adesso, si riesce a vivere. Sui citofoni, invece, è scritto «campanelli rotti». In terra, qualche cartaccia e un sacchetto di plastica, blu. Il serpentone è un gigantesco treno di cemento, immobile. La facciata è tutta panni stesi e moderne padelle, parabole puntate sul satellite. Dovrebbero essere otto piani, ma sono nove: «I quarti piani, che erano negozi ma sono diventati case». In tutto, un alveare di cemento grigio e infissi rossi. Dentro, gli ascensori che quando arrivano fanno «dlin dlon». 1.204 appartamenti. Migliaia di persone. Qualche cane randagio. Perché intorno, su ogni lato, Corviale ha verde, prati e alberi. Dev' essere per questo che l' aria sembra buona, di campagna. E che la gente, dopo anni di lamenti, adesso un po' sorride. La signora Lena, ad esempio, settantadue anni. «Se mi dicessero davvero d' andare via, io m' opporrei. Ambientarmi è stato difficile, ho dovuto farmi rispettare, denunce e qualche urlo. Ma adesso qui sto bene. Ci vengono pure le personalità: la Gruper, Pino Damato». C' è il centro anziani, dice, «e il giovedì, il sabato e la domenica si balla». Corviale nasce come quartiere autartico, senza bisogno di altro che non fosse dentro: «Poi, certo, qualche anno fa era diventato un inferno. Teppaglia, droga e delinquenza sparsa. Ma adesso no, è cambiato. Mica il paradiso, non scherziamo, che i lotti in fondo sono un po' così. Ma questo adesso è un purgatorio come tanti, coi suoi lati buoni». C' è una tv, adesso. «La fanno nel quartiere per il quartiere». Ma non è l' unico segnale di speranza. C' è la palestra, gratuita, voluta dal Comune. E una biblioteca con 2.412 iscritti. Il sabato mattina, pieno di mamme coi bambini in età di libri: «Li portano e si vede che cercano di trasmettere loro l' amore per la lettura, di insegnare loro una strada». Bella, la biblioteca: ordinata e linda, dentro i ragazzi che un po' studiano un po' parlottano. Davanti c' è l' ufficio dei vigili. E una vigilessa, Patrizia Scaringi, quarant' anni appena compiuti, che prima, negli uffici alla Magliana, stava «peggio. Qui si sta bene, la gente è tranquilla». Forse è per questo che a un questionario compilato da cinquecento abitanti, quasi il 50 per cento ha risposto che «no, il serpentone non si deve abbattere». Favorevole, senza neanche un dubbio, il 12 per cento. Tra questi, il vice parroco. Che commenta il possibile abbattimento con una sola parola. «Magari». E poi spiega: «Si vergognano di vivere qui. La domenica scappano tutti, altro che l' orgoglio del quartiere. Alla messa vengono proprio in pochi». E la signora Lena, mentre passeggia col suo cane, una specie di Labrador a pelo lungo e biondo, spiega che «qui in chiesa molti vanno solo per prendere i pacchi, quelli con dentro lo zucchero e la pasta. Io non ci vado, mi faccio gli affari miei. Esco pure di sera, non è vero che è pericoloso. E proprio adesso che tutto migliora, questi signori hanno deciso di abbatterlo? Sì, certo, Corviale non sarà bello, alla vista. Ma è come per le persone: ci sono quelle brutte fuori eppure bellissime dentro. Ma mica lo possono capire, quelli si fanno il lifting. Ecco, perché invece di abbatterlo non lo fanno pure a Corviale, il lifting?». Alessandro Capponi Capponi Alessandro “Corriere della Sera”, 15 ottobre 2004, p. 51

AURELIA-MAGLIANA MEGLIO UNA NAVETTA La cartina di Roma mostra come la vasta zona compresa tra Aurelia e Magliana non sia attraversata da strade ferrate. Non esistono collegamenti idonei tra Corviale-Casetta Mattei (almeno 10.000 abitanti) e le linee tram 8, ferrovia urbana-Magliana, metro Magliana e Battistini: tra il "serpentone" di Corviale e il treno della Magliana ci sono 1200 metri, ma occorre cambiare due autobus. Basterebbe una navetta dal Casaletto fino alla stazione della Magliana, passando per Bravetta, Casetta Mattei-Corviale, per ridurre notevolmente il numero di auto. Giorgio Carbonaro “La Repubblica”, 20 aprile 2000 «E adesso abbattiamo Corviale e lo Zen di Palermo» FEDERICA CAVADINI Un ecomostro finito in polvere, finalmente cancellato dal Belpaese, non basta a restituire il sorriso a Massimiliano Fuksas in una domenica da cani, volo Alitalia per New York cancellato, dietrofront da Fiumicino, morale dell'architetto romano: «Questo è un Paese dal quale non si riesce nemmeno a partire». La demolizione di Punta Perotti non la conforta, non è un passo nella direzione giusta? «Ogni dieci anni ne buttiamo giù uno e ci mettiamo a posto la coscienza. Non credo ci sia molto da festeggiare. Abbiamo nove milioni di edifici abusivi, ed è una vergogna tutta italiana, in Europa questo fenomeno non esiste. Sono appena stato a Istanbul, gli abusi sono 4 milioni e mezzo in Turchia, la metà dei nostri». Legambiente ha presentato una sua lista di edifici da eliminare. Lei cosa cancellerebbe dal panorama? Tre esempi. «Primo: il quartiere zen di Palermo, luogo di disperazione, chiuso come una fortezza in cui regna il degrado. Ci sono stato l' ultima volta un anno fa e non sono sceso dall'auto. Bisogna trovare case e luoghi umani per gli abitanti e ridare loro un futuro. Secondo: dopo la storia infinita delle vele di Secondigliano, altro quartiere da cancellare, sopra Pozzuoli, è Monteruscello, un fortino chiuso e impenetrabile. Terzo: qui a Roma, Corviale, un blocco di cemento armato lungo un chilometro e il colmo è che ci sono "colleghi" che lo difendono». Ma eliminare gli ecomostri non basta. «Tanto gli abusi ormai sono tutti condonati. Il problema in Italia è quello che non si fa. Facciamo fatica a trovare fondi per realizzare nuovi musei, per esempio, penso al Maxxi. Per l' Auditorium a Roma ci sono voluti dieci anni, per il mio Palazzo dei congressi ce ne vorranno altrettanti». Ma la «sua» Fiera di Milano è stata realizzata in tempi record. «Ventisei mesi: sì, sono abbastanza contento. Ma temo che sia stato un caso, l'eccezione che conferma la regola. E comunque le infrastrutture che dipendevano dal governo sono ancora in ritardo». Cosa non funziona? «Nulla funziona. È un Paese alla deriva. Piccolo esempio: abbiamo aperto un nuovo studio nel centro di Roma, un restauro perfetto pronto da sei mesi. Ma stiamo ancora aspettando il gas». Soluzioni? «Incidere nella coscienza profonda del Paese. Far funzionare la scuola, dalle elementari all'università, finanziare la ricerca. Ma non abbiamo una classe politica all'altezza. Le intelligenze creative non vengono ascoltate, non parlo di architetti ma anche di sociologi, economisti». Lei ormai vive fra Roma, Parigi e Francoforte. È una scelta non formalizzata? «Vero, ho voglia di andarmene. Ma non amo abbandonare una battaglia. Comunque il colmo è che dall'Italia ormai è difficile anche partire. A proposito, a quest'ora avrei dovuto essere a New York». Federica Cavadini “Corriere della Sera”, 3 aprile 2006, p. 22 "LE BRUTTE PERIFERIE? DEMOLIRE"

Parti di San Lorenzo, Ostia, Tuscolano, Prenestino e Casilino nei progetti del Comune. L' idea di Rutelli: "Poi ricostruiamo". Ecco le zone interessate GIOVANNA CAVALLI Palazzi fatiscenti, mura sbrecciate, lamiere ritorte, materiali scadenti, indecorose bicocche, un mondo a parte, lontano dagli splendori monumentali del centro storico. Piacere, periferia, anche questa e' Roma alle soglie del Terzo Millennio. Brutture difficili da rattoppare. Dunque meglio buttare giù e riedificare. Cosi' la pensa il primo cittadino Francesco Rutelli che ad una conferenza sulla finanza immobiliare ha lanciato la sfida urbanistica per il Duemila: "Le città devono diventare motore di sviluppo. Dove non e' possibile recuperare, come in buona parte della periferia romana, conviene demolire e ricostruire per attrezzarle con i servizi che non ci sono". Passata la fase di restauro delle facciate e dei cantieri del Giubileo, si guarda altrove. Al grande centro congressi dell'Eur, ai 130 mercati rionali da trasformare in luoghi di incontro con annessi uffici comunali, 400 miliardi di finanziamenti pubblici, 800 privati. Ma anche oltre le mura. "Il nostro patrimonio edilizio in periferia è di pessima qualità", spiega Daniel Modigliani, 55 anni, direttore dell'Ufficio progetti urbani del Campidoglio che fa l'esempio del Pigneto. "Dove accanto ad una parte di edifici degli anni Sessanta e Settanta troviamo una sorta di villaggio casuale, villini accanto a baracche. Il valore degli immobili e' basso mentre quello dell'area sarebbe alto poiché è centrale e ben servita dai mezzi pubblici. Qui converrebbe eliminare l' esistente e ricostruire ex novo, senza aumenti di volumetria". Uno spicchio di periferia anche nel cuore vecchio di Roma, San Lorenzo. "Prendiamo via dello Scalo di San Lorenzo", continua Modigliani. "Tra le case distrutte dai bombardamenti sono sorte baracche, carrozzerie, sfasci, botteghe di falegnami, di fabbri, strutture malridotte e indecenti. O ancora gli insediamenti ex abusivi di attività produttive al consorzio di Casal Monastero, sul Gra, verso San Basilio, e quello di via dell'Omo sulla Prenestina, conglomerati invivibili". Certamente da bonificare la zona di Ostia Ponente, 1.600 alloggi, meta' del Comune e meta' dei privati "per cui si poteva bene demolire e ricostruire, invece ci si limiterà al recupero edilizio". Non c' e' degrado urbanistico, secondo Modigliani, nei quartieri di Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino 38. "Gli abitanti ci sono affezionati, piuttosto dotiamoli di attrezzature e servizi". Rientrano nella mappa (teorica per ora) del "via il vecchio, largo al nuovo" anche alcuni tratti dei quartieri Tuscolano, Casilino e Portuense. "Sono palazzine anni settanta, mal costruite, se teniamo conto che il ciclo di un edificio e' di 40 anni, si vede che e' quasi ora di rifare tutto". Mentre Antonio Tajani per Forza Italia considera l' idea di Rutelli "avveniristica e irrealizzabile, buona soltanto a coprire ciò che non e' stato fatto dalla giunta", ne sono entusiasti i costruttori dell'Acer. "Succede in ogni città del mondo che un edificio che non abbia valore artistico o storico possa essere abbattuto e ricostruito - dice il presidente Paolo Buzzetti -. Da noi e' impossibile perchè mancano le tre condizioni necessarie: un regolamento edilizio, gli sgravi fiscali e il premio di cubatura. L' impresa compra l' edificio, lo distrugge, lo riedifica piu' grande e con più servizi". Ma nel futuro di Roma per l' associazione romana costruttori c'è di più . Ci sono progetti "chiavi in mano" di riqualificazione per Porta Portese, Ponte Milvio, via Appia, Borghetto Flaminio con finanziamenti privati. "A Porta Portese vorremmo ridare valore alla vecchia armeria vaticana, trasformare le bancarelle in botteghe artistiche, restaurare la banchina sul Tevere, tutto a carico nostro, in cambio della gestione dei circoli sportivi e di spazi per mostre. Via Appia diventerebbe come una delle Ramblas di Barcellona, corsie per le auto, zona parcheggi, area da passeggio, il progetto ce l' ha fatto un esperto di Harvard, il 30 ottobre il Comune ci darà risposta". Giovanna Cavalli “Corriere della Sera”, 1 ottobre 1999, p. 49 PERIFERIE I PROGETTI BLOCCATI DA STORACE DOMENICO CECCHINI Caro direttore, leggo su La Repubblica che "il Sindaco di Roma ha inviato una lettera al Presidente della Regione Francesco Storace per sollecitare una rapida conclusione delle conferenze di servizi sugli articoli 11" Dunque ad oggi nessuno dei "Programmi di recupero urbano", in gergo "articoli 11", è in cantiere. Danno grave per Roma, effetto della mala politica secondo cui i programmi dell' avversario, tanto più se utili alla città, vanno presi in ostaggio e bloccati. Cosa sono i Programmi di recupero urbano? Circa 1.700 milioni di euro per investimenti pubblici e privati nelle periferie romane, ricorda Repubblica. Periferie che si chiamano Acilia, Corviale, Fidene, Labaro, Laurentino, Magliana, Palmarola, Primavalle, Tor Bella Monaca, San Basilio, Valle Aurelia. Quartieri con oltre 400.000 abitanti. Investimenti per case, servizi e reti, ma soprattutto per nuove attrezzature. Cosa vuol dire? Basta elencarle: 49 parchi e giardini, 24 parcheggi, 22 asili e scuole materne, 15 medie ed elementari, 19 centri commerciali e di servizi (con incubatori d' impresa e laboratori artigianali), 11 centri culturali (inclusi cinema e teatri), 4 biblioteche comunali, 3 musei, 15 impianti sportivi, 11 piste ciclabili, 7 mercati, 4 centri anziani, 8 tra centri civici, sedi di circoscrizioni e servizi socio- assistenziali, 4 alberghi. Tutto ciò era stato deciso e progettato con la più ampia partecipazione. A fine 1997 il Comune pubblicò un bando definito assieme ai Municipi. Risposero più di 200 imprese e operatori. Le proposte furono valutate da una Commissione tecnica cui partecipò anche la Regione. Poi centinaia di assemblee nei quartieri fissarono le priorità, discussero piani e progetti. Alla fine il Consiglio Comunale esaminò, cambiò, approvò (gennaio 2001). Per molti osservatori, anche europei, era finalmente la strada per vincere la sfida dell' urbanistica contemporanea: per cominciare a rifare le periferie, dar loro funzioni, qualità, identità. Con questo traguardo cittadini, imprenditori e amministratori avevano lavorato assieme: evento nuovo, inammissibile per chi voleva restaurare la vecchia urbanistica. Dall' aprile 2001 gli atti sono alla Regione. Il Presidente Storace fa sapere che se ne sta occupando. Da tre anni? Quale problema burocratico, se c' è, non si risolve in tre anni? Quanti asili, biblioteche o alberghi si sono persi nel frattempo? * Docente di Urbanistica all' università La Sapienza DOMENICO CECCHINI “La Repubblica”, 03 giugno 2004 OLTRE L'EMARGINAZIONE Una rassegna di film per far rinascere Corviale. Ombre rosse in luogo insolito. Periferia e cultura: il quartiere si mobilita per creare occasioni di incontro SANDRA CESARALE, GIOVANNA GRASSI Corviale, quartiere periferico della Quindicesima circoscrizione, budello di cemento che si staglia ad ovest di Roma, dentro l' anello del Grande raccordo anulare, stretto tra il Portuense e la borgata di Casetta Mattei. Rappresenta il fallimento della concezione urbana, che voleva le case popolari inserite in un contesto monumentale e avveniristico. Calcinacci, bottiglie vuote, schegge di vetro, fili di ferro, lattine arrugginite, siringhe e preservativi: ovunque. E i lampioncini che la sera dovrebbero illuminare l' imponente condominio sono guasti. Manca ogni forma associativa, manca la voglia di fare cultura, di aprire spazi aggregativi. E la rassegna cinematografica, organizzata dall'Associazione culturale Little Italy 92 e promossa dal Comune di Roma, non e' che un piccolo "contentino" per chi e' costretto a misurarsi ogni giorno con i disservizi e l' emarginazione. Rassegne come questa, spazi per riunirsi, occasioni di ritrovarsi di fronte a uno spettacolo o di partecipare a un dibattito dovrebbero essere la regola, non l' eccezione. Roberto Farina, membro di Little Italy, afferma di non volersi fermare alla rassegna cinematografica. "Vogliamo . spiega Farina . organizzare retrospettive e incontri con gli autori, avvenimenti teatrali e musicali. Vogliamo creare un cineclub e una videoteca sulla periferia e dare una vita associativa al quartiere". Costruito tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, sotto le giunte comunali di sinistra e di esplicita ispirazione all' architettura della Vienna rossa negli anni ' 20, Corviale avrebbe dovuto rappresentare secondo le intenzioni del suo ideatore, il defunto architetto Mario Fiorentino, "una realta' diversa dai soliti ghetti dormitorio dell' intervento pubblico". Sale condominiali lunghe undici metri, due teatri, ambienti destinati a negozi, palestra, tutto era stato previsto per gli svaghi e le comodita' degli abitanti del quartiere. Invece quello che viene presentato come il piu' grande palazzo d' Europa, una striscia di cemento armato lunga un chilometro e duecento metri, per nove piani d' altezza, si e' trasformato in un incubo per i suoi "inquilini". Ai seimila abitanti previsti nel progetto originario se ne sono aggiunti altri quattromila, baraccati che hanno occupato ogni possibile spazio, anche le stanze che dovevano servire per il deposito rifiuti. Quelli che dovevano essere dei negozi sono diventati le case di famiglie per la maggior parte composte da giovani coppie con figli. In molti hanno delimitato i propri domini con grate metalliche e alzando muri di mattoni. "Si sono venduti anche le porte . dichiara Franco, che ha ottenuto un alloggio sei anni fa dall'Istituto case popolari .. Non hanno luce, acqua e gas e devono allacciarsi agli impianti del condominio". Peggior sorte e' toccata alla colonia di peruviani che si estende nei sotterranei degli uffici circoscrizionali, attualmente sigillati: loro sopravvivono grazie alle cure del parroco e di un giovane medico. Il volontariato della Caritas, un Centro anziani, il Centro sociale Nuovo Portuense sono un' ancora di salvezza per questa cittadella di periferia che dispone di una Usl incompleta. Un posto che oltre a un supermercato, nato sulle ceneri del progetto di ristorante condominiale, offre solamente un chiosco abusivo di giornali. "Da tempo si parla di un centro terapeutico da istituire in uno dei tanti locali abbandonati . spiega Silvia, laureanda in medicina, che pratica servizio di volontariato .. Ma la gente teme che si tratti di una struttura per il recupero dei tossicodipendenti. Che arriverebbero anche da altri quartieri". La Quindicesima circoscrizione e' totalmente sprovvista di cinema e librerie . afferma Silvia, diciannove anni .. Quando ci hanno sbattuti qui, invece di darci "na mano", ci hanno dato un pugno in faccia. A casa mia, le infiltrazioni d'umidità sono dappertutto. Le pareti sono cosi' sottili che si sentono i vicini respirare. Dicono che l'Italia sta cambiando. Ma cambierà' anche Corviale?" di GIOVANNA GRASSI La rassegna cinematografica organizzata sino al 12 ottobre da Roberto Farina e' uno dei primi tentativi di vita associativa a Corviale e ha preso il via venerdi' scorso con un film significativo del nuovo cinema civile e realistico italiano, "La scorta" di Ricky Tognazzi. Si vedranno, a seguire, film come "Ombre rosse" di John Ford, titoli provocatori come "Basic Instinct", star quali Kevin Costner in "La guardia del corpo" e storie di emarginazione e violenza urbane al di la' dell' Oceano, "Lo spacciatore" con Willem Dafoe. Ci si interroga sul senso di una manifestazione come questa in un quartiere dove manca tutto, o quasi, ma il cinema puo' far sognare e distrarre anche chi deve confrontarsi quotidianamente con problemi di sopravvivenza, ed e' importante vivere con speranza, con spirito aggregativo, momenti come quello proposto dalla associazione culturale "Little Italy ' 92". Sullo spiazzo antistante il muro di cemento di Corviale, e in caso di maltempo nella sala condominiale, saranno proiettati ogni giorno due film, alle 19.30 e alle 21.30 e si svolgeranno concerti, serate di ballo liscio, incontri. Sullo "Schermo terrazza" sarà proposto un programma riservato a film d' animazione, e a film italiani, che vanno da "Le mani sulla città " di Rosi a "L'onorevole Angelina", dai cartoons di Topolino, Paperino, Pluto e company a "Un' altra vita", l' intenso e duro film di Mazzacurati. Sara' possibile evadere dalla piu' difficile quotidianita' con la favola avveniristica di "Il tagliaerbe", domani, o con gli uomini a cavallo al seguito di Clint Eastwood in "Gli spietati", venerdì 8. Si riuniranno i giovani e i meno giovani per parlare del dolore di "Il ladro di bambini", martedì 12, e vivere insieme l' amarezza e la poesia felliniane di "La voce della luna", domenica 10. Il tentativo e' importante, coraggioso anche perché saranno svariati i punti di ritrovo di fronte al momento aggregativo e sempre diverso e nuovo del cinema. Nello spazio video, a esempio, la cui programmazione inizierà ogni sera alle 20.30, si vedranno straordinari documentari e filmati realizzati, a esempio, a Tor Bella Monaca, mentre nei video "Corviale Il cinema nel cortile" o "Corviale Il solito insolito" sarà proposta la vita stessa del quartiere. Per confrontarsi e incontrarsi. Cesarale Sandra, Grassi Giovanna “Corriere della Sera”, 3 ottobre 1993

APRE IL MITREO L' ARTE ARRIVA A CORVIALE

Si chiama «Il Mitreo» e vuole essere un punto d' incontro per artisti di vari linguaggi, enti pubblici, istituzioni e imprese private. Ha inaugurato ieri sera alle 19 con una mostra d' arte contemporanea e un concerto il centro culturale di Corviale finanziato dal Comune. All' apertura del nuovo punto d' incontro del quartiere hanno partecipato l' assessore alle Periferie Dante Pomponi e Gianni Paris, presidente del Municipio XV. La serata è cominciata con il vernissage della mostra «Colore, una ricerca» a cura di Cesare Barzini mentre alle 21 c' è stata la musica, curata da Ernesto Bassignano, con ospiti Mimmo Locasciulli, Mario Castelnuovo, Grazia Di Michele, Lucilla Galeazzi, recente vincitrice della targa «Tenco» e l' etnomusicologo Nando Citarella con i suoi «Tamburi del Vesuvio». A chiudere la serata le chitarre, le fisarmoniche e il coro del maestro Alberto Antinori. Il Mitreo, via Mazzacurati 61/63. Info www.mitreoiside.com

Cecilia Cirinei “L a Repubblica”, 11 maggio 2007

E il discusso serpentone di Corviale alla fine diventa un' opera da studiare LAURETTA COLONNELLI «Corviale? Ho sentito più di un collega dire: c'è l' aria buona, dalle finestre si vede il mare, quasi quasi mi ci faccio l'attichetto». Benedetto Todaro, preside della facoltà di Architettura a Valle Giulia, affronta così il dibattito su Corviale, organizzato dall'Isuf (International seminarion urban form) presso la Casa dell'Architettura. Tema del confronto, che prosegue oggi e vede contrapporsi architetti e urbanisti, è «Il nodo di Corviale. L' eredità dell'abitazione moderna e la forma della città futura». Per Todaro, il problema del serpentone in cemento costruito nei primi anni Settanta e oggetto ripetuto di polemiche, in realtà non esiste. «Perché il disagio sociale oggi non c' è più. Permane invece il disagio di tipo architettonico, perché Corviale costituisce una sorta di topos dell' architettura contemporanea, caratterizzato dal luogo che occupa nell'immaginario collettivo. Su Corviale si sono dette le cose più incredibili, perfino che il progettista, pentito, si sia suicidato. L' interesse a discuterne oggi dipende dal fatto che per noi architetti è rimasto un nervo scoperto. Quale deve essere il centro di interesse di un progettista: dare una casa alla gente o dare forma al quartiere e alla città?». Todaro fa notare che dal punto di vista artistico Corviale ha raggiunto il suo scopo: «Se si guarda da tre-quattro chilometri di distanza appare come una pregevole opera di Land Art, ma d' altra parte è indubbio che non si può definire luogo qualificato. I luoghi qualificati di una città sono quelli da cui si passa anche per andare da un' altra parte. Da Corviale non passa nessuno, è un cul de sac. I progettisti hanno manifestato l' impotenza dell'urbanistica moderna creando quella specie di dito a 45 gradi che avrebbe dovuto collegare l' edificio principale alla borgata vicina e che è rimasto solo con la funzione di alloggio». Daniel Modigliani, direttore dell'Ufficio per le periferie, ha ricordato che in ogni caso il Comune ha dichiarato Corviale monumento dell'architettura moderna, per allontanare ogni tentazione di demolirlo. E che invece di farlo saltare in aria con le mine, si finanzieranno i lavori di recupero: «Ormai è un patrimonio di questa città, negli ultimi dieci anni la frequentazione di studenti e di architetti di tutto il mondo è quasi quotidiana». Ma Giuseppe Strappa che modera il dibattito fa notare: «Le visite degli studenti non sempre sono un buon segno. Nella relazione di Fiorentino (il progettista n.d.r.) c' era scritto che non necessariamente le abitazione debbano avere l' aspetto di abitazioni. Bisognerebbe chiedere alle persone che vi abitano». Lauretta Colonnelli “Corriere della Sera”, 24 marzo 2007, p. 16 CORVIALE VITTIMA DEL FUTURISMO PAOLO CONTI «Abbattere Corviale!» Slogan niente male, pronipote diretto di quel Futurismo che partì da un Manifesto esaltante («canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche...» eccetera). Ma, come qualsiasi gesto destinato a colpire facilmente l'immaginazione proponendo un mondo lontano dalla realtà, l'abbattimento di Corviale resta ciò che abbiamo detto: uno slogan. Nient'altro. Con l'aggravante che quel grido e quel punto esclamativo, richiamati dall'assessore Teodoro Buontempo già al momento del suo insediamento alla Pisana, quindi sin dall'inizio della giunta Polverini, hanno (volutamente?) distolto l'attenzione, e probabilmente molti fondi, da ciò che è più lontano dalla semplificazione di uno slogan: un progetto di riqualificazione, un piano di ripensamento. Operazione che affonda le sue radici nella realtà. Prospettiva che dunque richiede lavoro, attenzione, capacità di interrogarsi e di analizzare. Di saper finanziare il giusto. Molto faticoso. Altro che Futurismo minore. Perché Corviale non è un'astrazione ma la complessa concretezza della vita di ottomila romani che abitano nel grattacielo orizzontale più lungo d'Europa, un chilometro di lunghezza per nove piani di altezza. Domani, martedì 30 ottobre, a San Michele a Ripa nella sala dello Stenditoio, è previsto il «Forum Corviale» organizzato dal coordinamento «Corviale domani», una costellazione di associazioni, fondazioni, enti, istituzioni di ricerca. Come spiega Pino Galeota, coordinatore del convegno, si proverà a «rompere muri e pregiudizi che segnano ancora questo territorio».Sono previsti gli interventi di Achille Bonito Oliva, Stefano Boeri, Luca Zevi, Giorgio Nebbia e poi di economisti, ambientalisti, esponenti della cultura. E si cercherà di capire come e perché molti fondi per la riqualificazione stanziati nel 2003 (42 milioni di euro) siano ancora bloccati. Probabilmente è proprio lì, il punto. Continuare a discettare su una prospettiva irrealizzabile, antieconomica, organizzativamente insensata come l'abbattimento significa allontanare sempre di più la possibile soluzione (almeno parziale) di qualche problema. Giustamente gli organizzatori dell'incontro di domani (patrocinato da Roma Capitale, dall'Università La Sapienza, dal ministero per i Beni culturali, dal XV Municipio) sottolineano che si tratta di proposte per un futuro che «spetta» a Corviale. Un tentativo di risarcimento per la colpevole mancanza di una autentica progettualità: servizi, socialità, sicurezza, tempo libero. Vivibilità, insomma. Sull'estetica di Corviale si è scritto molto. Giorgio Montefoschi, proprio su queste pagine, il 30 aprile 2010 ha proposto una eccellente sintesi: «Sarà un 'ecomostro', come qualcuno sostiene, il Corviale, ma non mi sento di dire che è brutto. Certo, nemmeno bello. Però è un'idea (nata dall'Unità di abitazione di Le Corbousier). Un segno. E sta lì». Ha ragione Montefoschi. Sta lì e realisticamente ci resterà. Urge una mano amministrativa che se ne occupi seriamente. Con cognizione dei problemi e con capacità di sintesi. Senza superflui, dannosi e antistorici futurismi alla romanesca. PAOLO CONTI “Corriere della Sera”, 29 ottobre 2012, p. 1 ELEGANTE E PRECARIA È LA BOXE DI PERIFERIA. Da Labaro a Corviale, viaggio nelle palestre alla ricerca dei match perduti. «È un'alternativa al muretto, ma c'è chi vive con le due " piotte" ad incontro» CLAUDIO D'AGUANNO dalla prima I dubbi del militante di periferia oggi oscillano tra disarmo e incazzatura ma la verve pugilatoria fa il verso alla scrittrice amica di Tyson. «Ognuno - racconta - arriva a boxare per strade proprie. Io l'ho fatto per motivi tutti personali. Non c'avevo nessuna tradizione di famiglia. Anzi. È stato il mio modo di andarmene da casa. Sacco e punchball tutti i giorni a Monteverde nei locali della Leone Efrati, nome di un campione famoso nella Roma degli anni trenta, peso gallo discriminato dalle leggi razziali, arrestato per una spiata, deportato a Fossoli e morto a Mauthausen nel '45 un mese prima della liberazione. Eravamo considerati la palestra degli ebrei e io salivo sul ring indossando la canotta grigiorossa con la stella di David». Al quartiere Iacp Galline Bianche la pugilistica del lotto III è di casa dagli anni 80. Oggi, tra novizi e dilettanti, sono una decina gli aficionados del quadrato. Né tanti né pochi. Il punto di riferimento è Emiliano Ferrari, quarto anno a Scienze Motorie, titolo nazionale dei welter pesanti ai campionati universitari di Latina. Emiliano una settimana fa a Tarquinia ha vinto l'ultimo suo match da dilettante: «Penso proprio - riflette smettendo di minacciare lo specchio - che passerò professionista. A fine aprile Davide vuole organizzare una grande riunione a Roma con sei romani al debutto. Mi piacerebbe esserci. Perché lo faccio? Per sfida, per curiosità, per darmi un obiettivo. Ma non ti preoccupare. Non smetto di studiare. E neppure mollo una palestra come questa. È periferia estrema ma ci passa un sacco di gente». La prima volta che Emiliano dirottò il suo motorino sulle Galline Bianche trovò un'intera colonia di maghrebini. Qualcuno è andato a cercare fortuna in Francia, qualcun altro s'è fermato in Abruzzo. Oggi è il turno dei romeni. Qui è facile trovare i "precari" del ring, quelli pronti a spostarsi dove il gong chiama, disposti a girare per piazze di paese, riunioni al chiuso, match da due piotte di rimborso «tutto compreso». E qui Slim ha trovato lavoro e casa. È sceso dal ring ma, ogni tanto, torna ad allenarsi e a mostrare a tutti la sua boxe «del disincanto», elegante e senza rabbia. Con lui scambiano parole e progetti Alesandro, studente professionale, Luca, operaio falegname e Gianni che fa le figure e s'agita per smaltire assieme alla ciccia le ultime paure di adolescente in crescita. ALL'OMBRA DEL SERPENTONE A proposito di ring. Al km 58 il GRA è un posto infrequentabile. Pieno d'asfalto, svincoli intasati e traffico sostenuto di lamiere a quattro ruote. La sosta forzata tra l'Aurelia e la Pisana inquadra sullo sfondo la sagoma del "serpentone" del Corviale. Una muraglia di cemento armato lunga un chilometro inventata a metà degli anni 70 tra il farwest e la città. L'idea iniziale era quella di un modello urbanistico innovativo, falansterio intensivo di 6500 appartamenti uno appiccicato all'altro. Inevitabilmente la serie di lotti in grigio richiama immagini di metropoli blindata sospesa tra l'orizzonte del Deserto dei Tartari e la "geometrica potenza" d'un supercarcere alla Badd'e Carros. È qui, negli scantinati di largo Pio Fedi, che cresce, flette, si riprende, tentenna ma mai molla la "colonia" di Picchio Barbante. Il ritmo dei colpi scambiati in allenamento è quello dei giorni di punta. «La palestra - racconta Picchio - è venuta fuori nel posto dove era previsto un asilo nido. Di maestre però neppure l'ombra. I locali sono stati lasciati incompleti e abbandonati. Se non l'occupavamo noi rimaneva un deposito abusivo di rifiuti». La Boxe Corviale è frequentata oggi da dilettanti e amatori. Fedele Bellusci e i fratelli Ranucci sono le punte emergenti d'un team di prima serie diretto da Franco Venditti e Giorgio Petriccioli. «Qui - riprende Picchio - nei momenti alti giravano parecchi candidati ai titoli mondiali. I miei ragazzi hanno fatto da sparring a Silvio e Gianluca Branco. Non vedo l'ora di rimontare il quadrato al Palalotto dell'Eur. C'è bisogno di nuovi stimoli e in un posto del genere la palestra è importante. È l'alternativa al muretto. Lo so che per qualcuno funziona e per molti no. Ma guai a pensare di farne a meno». CLAUDIO D'AGUANNO “L'Unità” | Roma, 29 febbraio 2004 , p. 5 Monica Melani, Corviale e la forza dei sogni MARGHERITA D'AMICO Pittrice e scultrice, nel 1968 Monica Melani è bambina a Casetta Mattei. Un quartiere che si affaccia su prati, ciliegi e persino un bosco. Due anni dopo viene progettato l' alloggio dei futuri e presto malvisti vicini; si chiama Nuovo Corviale. È un edificio-quartiere costituito da due corpi, ciascuno lungo 980 metri per 9 piani d' altezza. È il 1982 e 700 famiglie occupano parte dei 1.200 appartamenti. Subito in città il Serpentone conquista cattiva fama. Oggi, da tempo, il XV Municipio è impegnato in sostanziali opere di riqualificazione. Dopo aver trasferito lì la sede, i vigili urbani e l' ufficio tecnico, il presidente Gianni Paris e l' assessore alla cultura Fabrizio Grossi portano avanti una quantità di iniziative. In tale clima propositivo, Monica Melani pensa di contribuire alla rinascita della sua zona a modo proprio, con la bellezza: creando un centro d' arte, teatro e cinema. A suggerirle il posto, da principio terra e cemento sotto la sala consiliare, è l' amico Gilberto del bar del Polivalente. All' inizio Monica si fa conoscere attraverso le sue opere sul territorio; quindi esce un bando di concorso e lo vince. Sovvenzione a parte, ha in banca 2.000 euro. Eppure, innamorati dell' idea, l' aiutano in molti. La ditta Teknikos si fa carico di metà degli impianti, un tecnico municipale le procura il bar. Il Mitreo, allestito con colonne e specchi dallo scenografo Roberto Ciambrone, aprirà a ogni effetto nel 2007. Ma già accoglie un' esposizione, alcuni corsi, ed è stato visitatissimo durante l' ultima Notte bianca. Alle numerose opere neanche un graffio, constata la Melani, cui giorni fa, a una manifestazione in un hotel del centro, è stato invece rubato un libro raro. MARGHERITA D'AMICO

“Corriere della Sera”, 18 dicembre 2006, p. 1 culturaarchitettura

Calatrava, la cittadella dello sport, Roma

A sinistra: un particolare del Parco della Pace, Roma. Sopra: un particolare della fontana di piazza Rolli, Roma (foto di S. Massotti)

Due immagini del Palazzetto Bianco, Roma, realizzato da Paola Rossi su disegno di Massimo Fagioli (foto di Ferrero, Marziali, Palmisano)

74 uleft 9,29febbraio 2008 Un progetto dello studio Nemesi in mostra

sti e il verde di standard, ma è sicuro che basterebbe questo per renderlo vivibile? Vogliamo affermare con Bohigas che «i principi dell’urbanistica impostati dal Movimento Moderno - e prima ancora È un fare dall’Illuminismo - si sono rivelati un completo fallimento» . Le periferie si ri- conoscono tutte, sono tutte uguali, con gli stessi problemi, che siano alti palaz- zoni regolarmente edificati o piccole case abusive. Tutte senza identità, luo- diverso ghi grigi, che siano concentrazioni po- Il primo marzo all’Auditorium Parco della polari ottenute tramite la sperimenta- zione architettonica di grossi nomi del- musica di Roma, il convegno internazionale le università italiane degli anni ‘70, stu- “Le città del futuro. Il progetto della ragione. di anatomici per tipologie edilizie, rap- porto razionale tra metro quadro e me- Architettura, scienza, tecnologia, tro cubo, rapporto razionale “stan- comunicazione” dard” tra abitanti, verde, servizi, par- cheggi, strade, in una gara a chi otti- mizza meglio lo spazio, pensando poi, na mostra e un convegno dal dicono molti o un progetto fondato su dopo, eventualmente, al progetto. titolo emblematico, il 1 marzo un’ ideologia sbagliata? Costruito secon- nella Sala Petrassi dell’Audi- do i criteri razionalisti del secolo scorso, La parola periferia indica la zona margi- U torium (ore 9.30). Insieme evoluzione limite dell’unité d’abitation nale di un’area geograficamente o to- promettono una città futura migliore di Le Corbusier, è un capolavoro di ra- pograficamente determinata con par- fondata sul “Progetto della Ragione” e zionalità ed efficienza: tutti gli alloggi ticolare riferimento a un agglomerato sull’uso attento, coniugato con l’estetica, sono egualmente soleggiati, e la concen- urbano, ma oggi si usa per tutte le aree delle nuove tecnologie. Ma noi pensia- trazione della sua cubatura, come dico- della città per indicare qualcosa di non mo che il progetto della ragione ha sem- no i suoi difensori d’ufficio, permette- ultimato. In ogni periferia c’è una zona pre creato mostri, uno per tutti il Corvia- rebbe di salvaguardare una vastissima più estrema, c’è sempre una periferia le di Roma: lungo un chilometro per un- area circostante nel rispetto massimo che è sempre più periferia di un’altra dici piani di sviluppo verticale può con- del paesaggio e dell’ambiente. Anche periferia e da questo capiamo che non è tenere seimila abitanti e tutti i servizi di per Corviale si dice, a difesa, che non so- più il rarefarsi dell’edificato fino a spa- un pezzo di città. Un progetto dell’utopia no stati mai realizzati tutti i servizi previ- rire nella campagna perché quell’im-

left 9, 29 febbraio 2008 u75 culturaarchitettura

Edificio progettato da N! Studio Progetto di King Roselli Architetti

magine è andata dissolvendosi e sosti- vuole andare via, ma chiede, giustamen- Problematiche simili a molte altre città, tuendosi a quella del non luogo, a quel- te, di vivere bene avendo tutto il necessa- ma anche se tutte le periferie del mondo la sensazione di non appartenenza, al- rio. La periferia non deve cercare di as- appaiono uguali, e lo sono certamente l’impossibilità di riconoscersi nel luogo somigliare al centro ma trovare la sua nei loro problemi urbanistici e sociali, che si abita. Quell’edificato che spariva identità, essere lei stessa città. E così si non sono sicuramente uguali per origine nella campagna era una realtà a margi- interviene con un segno forte, grandi in- formazione e sviluppo. Parigi, che stori- ne; oggi il margine, come detto, è tutto terventi calati dall’alto come una scatola camente non ha mai sovrapposto le sue ciò che manca, è carenza, incompiutez- di montaggio, completi compatti fun- stratificazioni storiche come ha sempre za; mancano i luoghi di aggregazione, la zionali a se stessi, perfettamente razio- fatto Roma, ma che ha sempre demoli- viabilità, le fogne, l’illuminazione, man- nali nell’organizzazione dello spazio, to per imporre il nuovo, come non ha cano i trasporti di superficie e di sotto- puliti, ordinati. È illusorio e demagogico mai fatto Roma, si trova ad affrontare suolo, mancano i servizi, oppure non so- pensare che per riqualificare la città ba- da alcuni anni il problema delle ban- no fruibili, manca la manutenzione delle sta realizzare un nuovo quartiere del tut- lieues. Il termine banlieu, che veniva strade e del verde, e tutto ciò che rende to funzionale perché l’intorno degradato dato alla fascia di terra a corona del bella la città, manca la possibilità di sen- si riqualifichi quasi d’incanto, per osmo- molto ricco e aristocratico centro città, tirlo proprio, manca un’immagine sot- si o per identificazione. In un città che va è stato assunto a luogo dove operare tintesa che lo renda univocabilmente e a due velocità non è detto che quella più quella rivoluzione colta e razionale at- ricoscibilmente “bello”. veloce sia la migliore e trainante rispetto traverso la modificazione urbanistica. all’altra. E così il “modello Roma” mar- Ma dobbiamo fare chiarezza perché sono cia a due tempi, da una parte le grandi Modificazione urbanistica che ha portato tante le periferie: esistono le periferie opere, le grandi cubature e i grandi inve- a una razionalizzazione del territorio storiche degli sventramenti mussolinia- stimenti economici, interventi che si con argomentazioni apparentemente di ni, le periferie delle grandi concentrazio- propongono come vestiti ordine sanitario, ma con ni abitative, le periferie degli agglomera- scintillanti in una sfilata motivazioni più profon- ti abusivi delle prime immigrazioni dalla d’alta moda fatta per stu- Noi pensiamo de che richiamano solo campagna, che nel frattempo si sono re- pire. Poi si torna al prêt- l’interesse economico golarizzate e alle quali poi si sono affian- à-porter quotidiano: un che il progetto governato dalla ragione cate periferie abusive a loro volta “con- meccanismo fatto di pic- della ragione per attribuire a un’area il donate” con tre leggi, oppure regola- coli passi, di piccoli inter- ha sempre valore commerciale at- mentate perché rientrano in un inter- venti che ricuciono il tes- traverso la costruzione vento di riqualificazione, ci sono poi suto della città, che risol- creato mostri, programmata di enormi quelle che forse non verranno regola- vono i piccoli rognosi uno per tutti edifici. Formatesi urba- mentate mai, e ci sono le baraccopoli. problemi, che non fanno nisticamente parlando Sta di fatto che chi vive in periferia, o me- grande notizia e che nes- il Corviale in questo modo, le ban- glio nelle aree non centralissime, non suno ama risolvere. di Roma lieues sono state il nodo

76 uleft 9, 29 febbraio 2008 l’intervista Dante Pomponi

L’assessore uscente alle periferie ha creato a Roma 20 centri interculturali UNA CITTÀ DA INTEGRARE

Sopra ecomostro, ora Parco dell a Pace ual è l’elemento che differenzia il centro dalla periferia ? Q Su questo tema si fa spesso confu- sione. Non è vero che più ci si allontana del dello sviluppo popolare L’architettura tribuiti in una orizzonta- centro e più si trova degrado. Il modello di con l’immigrazione in- lità che rende tutti uguali città a cui fare riferimento non è quello della dotta dalla rivoluzione come risposta ed egualmente soddisfat- antitesi fra centro e periferia, ma quello po- industriale e dalla colo- non soltanto ti nei bisogni, nel secondo licentrico in cui i territori hanno ciascuno nizzazione. Ma ancora la verticalità li distribui- una propria identità. Una città in cui ogni oggi, seppure gli stranie- ai bisogni non sce per censo creando già territorio è centro vitale che dà un originale ri sono di terza genera- è mai nata dall’origine differenze e contributo alla comunità in termini di ric- zione, l’integrazione re- contrasti insormontabili. chezza economica, sociale e culturale. sta un’utopia. Parigi la città illuminista e La realtà dei luoghi e la fantasia dello Il singolo progetto architettonico può Roma cresciuta nel tempo tra regola e scrittore ci descrivono violenze degli uni trasformare agglomerati urbani in città? spontaneismo hanno gli stessi problemi. ai danni degli altri, sintomo di grave ma- L’intervento urbanistico è importante ma Il sonno della non-ragione crea mostri. lattia sociale. Per superare la separazio- non sufficiente. Occorre creare spazi vivibi- Abbiamo letto nelle pagine di questa ri- ne tra centro e periferia dobbiamo allora li, dove oltre alle case i cittadini hanno pure vista che: “La parola ragione nasce in affrontare la ricerca di un nuovo modo i servizi. Per farlo vanno attivati percorsi ambiente economico come regolatrice di pensare e fare architettura ed estensi- partecipativi che permettono ai cittadini di degli scambi, valore di scambio, con- vamente architettura della città intera. sentire i luoghi in cui vivono come qualche trapposizione fra interesse economico e Pensare alla città del futuro non può pre- cosa che gli appartiene. Uno dei problemi fattore umano”. L’urbanistica, regno scindere dall’avere e proporre un’imma- principali delle nostre periferie è l’assenza della ragione, è l’esaltazione massima di gine in cui tutti si possano riconoscere. o carenza di luoghi e occasioni di incontro. questo rapporto, rappresentata nelle de- Per progettare città finalmente diverse, Per questo il mio primo intervento da as- stinazioni d’uso di un’area, nell’organiz- per trasformare quelle esistenti, va tenu- sessore si è indirizzato a promuovere politi- zazione funzionale degli spazi e suppor- to saldo il rapporto con i luoghi, con la che integrate per valorizzare il tessuto so- tata in seguito dalla tecnologia. E l’archi- storia e dunque con i mezzi tecnologici ciale in tutti i suoi aspetti, urbanistici, eco- tettura, da sola, non ha mai sanato una sempre più innovativi che certo aiutano nomici e culturali. Tramite gli incubatori cattiva urbanistica, diceva Cederna. Al- a migliorare la nostra vita biologica, ma d’impresa e i bandi di Autopromozione So- lora forse possiamo proporre che l’archi- non possiamo e non dobbiamo prescin- ciale sono state promosse qulle energie tettura come disciplina che rappresenti dere dal rapporto interumano perché economiche troppo spesso ignorate. Ma al- le esigenze collettive della società senza l’architettura è lo spazio dove vivono gli lo stesso tempo abbiamo predisposto nelle limitarsi a dare risposta ai bisogni non è esseri umani. Iniziando dal ripensare periferie la realizzazione di 20 centri inter- mai nata? Qual è la differenza, in fondo, l’irrazionale, esaltandolo in un’idea del culturali dove ognuno è chiamato a parte- tra la città orizzontale del Corviale, mu- tutto opposta a quella che ci hanno sem- cipare portando la propria specifica identi- ro impenetrabile che chiude l’orizzonte pre raccontato, cercando di fare una ri- tà. Tutto questo con la convinzione che alla e l’appetibile grattacielo americano de- cerca nuova per l’architettura che superi base di una città che sia davvero di tutte e scritto ne “Il condominio” di James Bal- il razionalismo e lo strutturalismo. I tutti vi è il principio fondamentale della lard? Nella prima gli abitanti sono dis- Isabella De Berardinis e Paola Rossi partecipazione. I

left 9, 29 febbraio 2008 u77 Corviale, quel serpentone di cemento da buttare giù o da riqualificare

Continua il dibattito sul palazzone costruito 38 anni fa che ospita 6500 persone. Buontempo: abbattiamolo. L'assessore Croppi: non è più degradato ROMA - Riqualificare o buttare giù il «Serpentone»? A 38 anni dalla sua costruzione, continua l’acceso dibattito sul palazzo di Corviale abitato oggi da 6.500 persone. L’ultimo scontro (a distanza) è tutto interno al centrodestra: con l’assessore capitolino alla Cultura, Umberto Croppi, che difende l’opera dell’architetto Fiorentino e promuove iniziative artistiche per “qualificare” l’area e Teodoro Buontempo che subito dopo la nomina all’assessorato regionale alle Politiche per la Casa aveva annunciato di voler buttare giù il palazzo e che ora ribadisce: «Bisogna abbattere presto quell'ecomostro che mangia risorse pubbliche». PROGETTI ARTISTICI – «A Corviale, voglio portarci il mio amico Buontempo» dice Croppi parlando alla presentazione del progetto del «Parco Nomade», 40 ettari di agro romano davanti al Serpentone, riconvertiti dal famoso architetto paesaggista portoghese Joao Nunes in un museo di arte contemporanea a cielo aperto. Le sue parole sono sottolineate da un applauso spontaneo (molto raro durante le conferenze stampa). «Voglio andarci insieme con lui – aggiunge Croppi – per mostrargli un luogo tutt’altro che degradato e fargli capire che quel palazzone ormai un suo significato, contiene realtà sociali che fanno da punto di riferimento per la città». «Quella di Buontempo – conclude l’assessore – è stata solo una provocazione, anche perché non avremmo i soldi per buttarlo giù». ABBATTIAMOLO SUBITO – Le parole di Croppi non sono passate inosservate. Il primo a rispondere è stato lo stesso Buontempo (La Destra): «Croppi, persona che stimo, è un grandissimo esperto di arte e cultura e, dunque, dovrebbe limitarsi a parlare di questo. Non sa che, negli anni, sono già stati spesi oltre 40 milioni di euro per la manutenzione di Corviale e tutti possono apprezzare a cosa siano serviti quei soldi, guardando lo stato pietoso in cui versano serpentone e dintorni». Il giudizio di Buontempo, insomma, è sostanzialmente opposto. «Vogliamo evitare altro sperpero di denaro pubblico e certamente costerà molto meno costruire nuove case per gli abitanti di Corviale, col graduale abbattimento di quell'ecomostro, che non continuare a gettare valanghe di denaro per cercare di rianimare un esperimento tristemente naufragato». DESTRA INCONGRUENTE – A evidenziare le differenze, arriva il presidente del XV Municipio, Gianni Paris. «Coloro che oggi vogliono buttare giù Corviale – dice il minisindaco - sono gli stessi che durante la Giunta Storace confermarono le occupazioni abusive del quarto piano dello stabile destinato ai servizi alla comunità, investendoci 6 milioni di euro per la ristrutturazione. Questo è paradossale». Nel corso della presentazione del Parco nomade, Paris ha spiegato: «Vorrei che le mie parole giungessero a chi vuole demolire Corviale. Considero l'arrivo di questo Parco una tappa del lavoro e dell'impegno che in questi anni abbiamo portato avanti per riqualificare la zona: un quartiere definito Bronx, mostro e che invece è carico di energia, il luogo per eccellenza dell'utopia». Carlotta De Leo “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010

23 mercoledì 14 giugno 2006

ORIZZONTI EX LIBRIS Più sono di sinistra IMMAGINARE LA CITTÀ/1 più abitano in centro Orti botanici, parchi attrezzati, asili, studi tv: ecco come gli abi- tanti del palazzo lungo 1 chilo- Corviale Beach metro s’immaginano la sua tra- sformazione. In un libro-labora- torio i risultati di un anno di lavo- ro tra artisti, architetti e inquilini il mare in terrazza ■ di Francesca De Sanctis Gino & Michele «Anche le formiche...»

TOCCO&RITOCCO

BRUNO GRAVAGNUOLO na massa compatta, grigia, unaU lungo serpentone Costituzione & di cemento. Da lontano Corviale appare così, co- me un monumento mastodontico. Diciamo pure osceno. Accorciando la distanza lo sguardo si furia d’Elefante concentra sui dettagli: gli intagli diagonali di Ni- cola Carrino, le finestre che si aprono una dopo l’altra sulle facciate monocrome, dentro i piccoli estminster alle vongole. «Tutti tagli degli appartamenti, il disordine. Corviale è sanno che un premier capace di un edificio lungo quasi un chilometro, abitato da W sciogliere le Camere, nominare circa seimila persone. Sono passati 31 anni da e revocare i ministri, non è un attentato alla quando fu progettato e da allora di questo «mo- democrazia, è il modello Westminster, stro» immerso in una campagna romana ancora quello che governa la più antica democrazia intatta ne hanno dette di tutti i colori: per alcuni è del mondo». Venia per il lungo frammento di un «eco-mostro» da abbattere (soprattutto per la elefantiaco pensiero tratto dal Foglio di ieri destra che vede in Corviale un simbolo di edilizia l’altro, vergato dall’Elefantino in persona, popolare di sinistra), per altri un monumento di alias Giuliano . Ebbene «tutti sanno», architettura modernista. sentenzia l’Elefante. Senza avvedersi e In pochi però si sono posti il problema di come sospettare - eppur gli è stato detto e ripetuto! elaborare una nuova immagine del quartiere e - che quel che lui presume è una sciocchezza. quindi di come distruggere la visione stereotipata Una castroneria evidente. Infatti non esiste, dell’edificio, considerato un simbolo negativo né può esistere, il «modello Westminster» della periferia. Lo hanno fatto due enti privati, Os- che lui sogna. Non esiste, perché proprio in servatorio Nomade e Fondazione Adriano Olivet- Inghilterra il potere di sciogliere la Camera ti, che insieme al Dipartimento XIX del Comune (bassa) compete unicamente alla Corona. di Roma hanno «immaginato Corviale», dando Stante che anche lì, come in ogni modello vita ad un «esperimento» basato su una modalità parlamentare, il governo riceve la fiducia in diversa dal solito di intervenire sulla città contem- Parlamento, e lì si forma. E il premier non è poranea. Un gruppo di artisti, architetti, musicisti punto oggetto di elezione diretta, malgrado il ha «abitato» Corviale per circa un anno (sceglien- maggioritario, che è solo tecnica elettorale e do uno degli appartamenti come base per le loro non vincolo costituzionale. Talché quando riunioni) e coinvolgendo gli abitanti stessi ha cer- va sotto coi numeri, ha solo la facoltà di cato di individuare le potenzialità del quartiere, ri- chiedere lo scioglimento, di cui fissa la data pensandolo tenendo ben presente la nozione di eventualmente. Ma la fissa solo se The «spazio pubblico» e quindi elaborando un proget- Queen o The King approvano quella to per quest’area interessata da un ampio pro- richiesta, non essendoci altra maggioranza gramma di riqualificazione (Programma di Recu- disponibile. È accaduto svariate volte in pero Urbano). Quello che è accaduto dentro e fuo- Gran Bretagna e clamoroso fu il caso del ri le mura del «mostro» è ben spiegato in un libro 1924, quando il Re conferì tre incarichi edito da Bruno Mondadori: Osservatorio Noma- diversi, prima a un conservatore, poi a un de. Immaginare Corviale. Pratiche ed estetiche L’edifico del Corviale in una eleborazione grafica tratta dal volume «Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale» (Bruno Mondadori) laburista e poi a un liberale. Scontrandosi col per la città contemporanea, a cura di Flaminia Labour che invocava le elezioni. Lo stesso Gennari Santori e Bartolomeo Pietromarchi (pa- vale per tutte le democrazie parlamentari gine 190, euro 20,00). Un libro-laboratorio, pieno rimento il gruppo Stalker, è un progetto transdi- di Corviale - scrive Francesco Careri -. Sul terraz- È stato perfino realizzato un esperimento concre- conosciute, salvo che per la Francia, dove a di fotografie, grafici, testimonianze di artisti e ar- sciplinare di ricerca che grazie al lavoro degli arti- zo potrebbe trovare luogo un parco attrezzato con to di laboratorio di quartiere, Corviale Network,il sciogliere è il Presidente. Ma in quel caso chitetti, disegni... un laboratorio, appunto, multi- sti porta alla luce elementi a volte anche inaspet- giardini artificiali e un asilo, come nel caso del- cui scopo era quello di dare vita ad un’immagine siamo in regime semipresidenziale, sistema disciplinare. Che è esattamente quello che è nato tati di Corviale. Può succedere quando si lavora l’Unità di abitazione di Marsiglia. Il workshop ha «immediatica» contro quella mediatica consoli- controverso e bicefalo che a ragione i dentro Corviale. Il libro verrà presentato questa attraverso laboratori sulla memoria, incontri con affrontato anche il tema della data. «Il progetto della televisione è partito dal- socialisti francesi vogliono abolire, tramite sera alle ore 19 a Roma, sulla Terrazza della Fon- le famiglie che mettano in luce usi possibili del- “verticalizzazione”, ovvero la suddivisione della l’ipotesi di una telestreet che trasmettesse attra- referendum. Gli Usa? Lì il Presidente non dazione Olivetti, da Luigi Nieri (assessore al Bi- l’edificio, documentazioni a metà tra il video stecca in tanti condomini verticali, una scelta che verso un’antenna posta sul tetto di Corviale - scri- scioglie un bel nulla, e si tiene magari un lancio della Regione Lazio), Stefano Catucci d’arte e il documentario. I destinatari? Soprattut- va contro la natura orizzontale del progetto, ma vono Michela Franzoso, Andrea Bassi e Giorgio congresso ostile, che può anche azzopparlo. (Università di Camerino), Maria Immacolata Ma- to gli abitanti, invitati e coinvolti a condividere le che di fatto è già stata in parte attuata attraverso i D’Ambrosio -. Con la collaborazione di circa Unica eccezione, Israele. Subito cancellata. cioti (Università La Sapienza), Francesco Cellini idee. E i risultati sembrano essere molto interes- cancelli che bloccano la continuità dei percorsi venti abitanti, sono iniziate le riprese finalizzate Poiché tra premier eletto direttamente e (Università Roma Tre) e dai curatori. santi. tra i lotti». alla produzione di 120 minuti di programmazio- Knesset v’erano tali conflitti, da far abolire il Il progetto di Mario Fiorentino, per esempio, pre- ne articolati in un palinsesto con programmi di in- «premierato». Ircocervo autoritario e vedeva un quarto piano dell’edificio libero, all’in- formazione, approfondimento e intrattenimento. truffaldino a misura di Berlusconi, nonché Idee e progetti, per il riscatto terno del quale dovevano essere distribuiti i servi- Video, sperimentazioni Corviale Network è andata in onda su Roma Uno, vulnus al mandato libero e non commissario zi pubblici (negozi e studi professionali), ma i ser- emittente locale di notizie che trasmette anche sul dei deputati (sennò il Parlamento sarebbe un della vita e dell’immagine vizi non sono mai arrivati e dieci anni dopo sono e una lunga serie satellite, in otto puntate settimanali di quindici soviet «roussoiano» con relativo demagogo dell’edificio, elaborati iniziate le prime occupazioni abusive (soprattutto di incontri con le famiglie minuti, spesso replicate». Lo spazio nel palinse- e potere di ricatto sugli eletti). In da parte dei figli degli inquilini assegnatari). Du- sto di Roma Uno ha trasformato Corviale conclusione, «tutti sanno» che l’Elefante da un gruppo guidato rante uno workshop (realizzato in collaborazione Una tv di «palazzo» Network in uno strumento di «riscatto» dell’im- non sa granché di certe cose, benché con la Penn State University) gli occupanti hanno magine del quartiere. La città, in fondo, dovrebbe pontifichi e barrisca. E tutti sanno che il da Osservatorio Nomade dimostrato di essere disponibili a dividere il piano per conoscersi e far essere fatta ad arte, cioè ideata per adattare l’am- «premierato» è una boiata. Idem per il e dalla Fondazione Olivetti in spazi privati, privati-condivisi e pubblici. Oggi sentire la propria voce biente alle persone, e non il contrario come è sem- «Sindaco d’Italia» et similia. Dolenti, ma su il quarto piano - quasi interamente occupato da pre avvenuto. questo non ci si muove da Elefanti.... abitazioni - è una realtà consolidata tanto che il Intanto spieghiamo subito che «il lungo serpento- Contratto di quartiere ne prevede la sanatoria del ne di cemento» progettato da Mario Fiorentino cambiamento d’uso da servizi in abitazioni. In PROGETTI Tra gli interventi della Fondazione Olivetti anche quello nel Centro dell’Ospedale S.Spirito di Roma nel 1972 e terminato dieci anni dopo è di proprie- questo caso lo spazio condiviso è diventato una tà dell’Ater (Azienda Territoriale per l’Edilizia potenzialità. E di esempi di «trasformazione» se Residenziale, ex Istituto Autonomo Case Popola- ne possono fare tanti altri. Consideriamo il caso Arte in rianimazione, e la bellezza sfida la morte ri). Dunque, è soprattutto un grande contenitore degli Orti urbani: una fascia di terra di 800 metri di storie, di persone. Dal punto di incontro tra i de- che scorre parallela all’edificio. Ben 37 persone sideri delle famiglie e le ipotesi per la trasforma- hanno coltivato in modo autogestito quest’area stituzioni e diritto, cultura e economia, ar- ad una volontà comune di riqualificazione del- Proprio il mese scorso, tra l’altro, è stato pre- zione dell’edificio nasce Immaginare Corviale. secondo le proprie esigenze e la proposta del pro- te, architettura, urbanistica. Le discipline si l’ambiente. Nuovi Committenti, tra l’altro, è sentato a Roma «l’ultimo nato» della Fonda- Ovvero un progetto su come lo spazio pubblico getto, scaturita sempre durante il workshop, è sta- I mescolano e la Fondazione Adriano Oli- diventato anche un libro, edito da Luca Sossel- zione Olivetti: «Arte e Medicina», la cui prima viene vissuto, ricordato, immaginato e trasforma- ta quella di costituire un unico ciclo produttivo, vetti aggiunge sempre nuovi progetti nel lun- la Editore, che racconta la prima applicazione realizzazione è avvenuta nel Centro di Riani- to e un esperimento produttivo che mette insieme raggruppando le varie esperienze e ponendo fine go elenco di attività che svolge dal 1962, anno di questo progetto, cioè Torino Mirafiori mazione dell’Ospedale S. Spirito di Roma do- pratiche di progettazione partecipata e di produ- in questo modo alla situazione di degrado in cui in cui è stata costituita. Attività, dunque ricer- Nord, analizzando questioni centrali della vita ve sono intervenuti gli artisti Alfredo Pirri e zione artistica e multimediale. «È comunque dif- versano alcuni orti. Queste due proposte - il 4˚ che, studi, convegni, laboratori. Il progetto Im- urbana e ricorrendo all’arte come soluzione. Armin Linke con Renato Rinaldi. Accompa- ficile - scrive Stefano Catucci - immaginare che il piano libero e gli orti botanici - sono già in via di maginare Corviale, illustrato nel libro pubbli- Del 2003, invece, è il progetto di ricerca trien- gnati dal Direttore del Centro di Rianimazione palazzo, anche vissuto in maniera diversa, possa attuazione. cato dalla casa editrice Bruno Mondadori, fa nale Trans:it. Moving Culture through Euro- gli artisti hanno esplorato il reparto, il suo fun- superare quella condizione di emergenza conti- Per ora rimane un progetto su carta, invece, Cor- parte di un percorso di promozione sociale che pe, che prende in considerazione i diversi in- zionamento, gli ambienti architettonici, com- nua che gli è stata assegnata dal progetto e che ri- viale Beach, come la chiamano i ragazzi di Cor- la Fondazione porta avanti insieme alle ammi- terventi artistici in Europa. La fase finale è sta- prendendo le esigenze specifiche della riani- chiede sempre nuove forme di controllo, investi- viale. È la terrazza in cima all’edificio: una nistrazioni locali e alle Fondazioni italiane e ta presentata nel corso della 51esima Biennale mazione, i bisogni dei pazienti e dei loro fami- mento, gestione. È ipotizzabile, allora, che ogni «spiaggia bianca» senza panorama, un labirinto straniere; insieme, di volta in volta, producono di Venezia. Trans:it è un osservatorio/labora- liari, le condizioni molto particolari in cui qui proposta sul futuro di Corviale debba tener conto di ferri da scavalcare tra foreste di parabole e an- ricerche e programmi pluriennali focalizzati torio sulle diverse pratiche di intervento artisti- opera il personale medico; hanno trascorso nel dell’emergenza come di un elemento costitutivo tenne televisive. «Il tetto è una zona di scarto do- sull’incontro tra arte e società in Italia. co nel territorio: la questione dello spazio pub- reparto diverse nottate ascoltando e racco- dell’edificio, senza illudersi di poter aggirare ve si potrebbero collocare pannelli fotovoltaici Insieme al progetto nato attorno a Corviale, blico, del suo significato e della sua definizio- gliendo, nelle ore più tranquille, i racconti l’ostacolo o di potervi porre rimedio in maniera per rendere l’edificio autosufficiente dal punto di per esempio, è stato adottato il programma ne è oggetto di una riflessione che investe la d’infermieri e medici. Da questa esperienza duratura». vista energetico o cartelloni pubblicitari che po- Nuovi committenti, che permette a chiunque di teoria dell’arte, della società e delle politiche sono nati un video e una serie di fotografie. Osservatorio Nomade, che ha come punto di rife- trebbero contribuire a sostenere i costi di gestione commissionare un’opera d’arte che risponda culturali. f.d.s. MUSICA TEATRO INCONTRI Roma III martedì 24 ottobre 2006

STASERA IN CITTÀ

DA MARINA ABRAMOVIC A SENI CAMARA Comoretti, Alessia De Montis, Tessa M. Den Uyl, Morgana 22 ARTISTE DONNE A FRASCATI Orsetta Ghini, Monika Grycko, Rebecca Horn, Esther Mahlangu, Paola Mattioli, Ieva Mediodia , Ishiuchi Miyako, Corpi immobili, alberi in movimenti, oggetti d’uso Cecilia Paredes, Luisa Raffaelli, Amparo Sard , Luisella quotidiano, sculture e colori. Ventidue modi differenti di Torreforte. Una domanda sembra accomunare tutte queste interpretare il sacro da un punto di vista tutto femminile, artiste di fama internazionale: esiste una specifica sacralità quello delle artiste che espongono in questi giorni le loro femminile o il senso del sacro va al di là delle differenze di opere presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati. «Oltre lilith» genere? La risposta, forse, la troverete girovagando tra le sale («Il femmineo sacro») è il titolo della mostra curata da Rosetta delle Scuderie, che stavolta racchiude opere molto diverse Gozzini, che ha scelto di esporre i lavori di di l’una dall’altra. Alcune vi piaceranno, altre meno, ma senza Marina Abramovic, Chiara Albertoni, Maree dubbio se avete visto lo scorso anno (sempre a Frascati) la Azzopardi, Vanessa Beecroft, Bruna mostra «Altre Lilith» potrete continuare ad interrogarvi Biamino, Seni Camara, Maria Magdalena sull’evoluzione delle donne nell’Occidente dei nostri giorni. Campos-Pons, Soyeon Cho, Vania f.d.s.

[email protected] INCONTRI ● Pietro Ingrao «Volevo la luna» Corviale si racconta a teatro Oggi alle ore 18, Fausto Bertinotti, Luciana Castellina e Massimo D'Alema Una rassegna di cinema, pièces teatrali e incontri con attori e registi al Serpentone presentano con l’autore il libro di Pietro Ingrao «Volevo la luna» coordina Ida L’evento sarà concluso da un concerto di Giovanna Marini e della scuola di Testaccio Dominijanni. Sala Bernini della Residenza di Ripetta ■ di Francesca De Sanctis Si comincia domani alle 10 con la proie- (via di Ripetta 231). zione, in Biblioteca, del film La notte di ● «Pietra di Sole» San Lorenzo (regia di Paolo e Vittorio Ta- di Octavio Paz UN MONUMENTO MASTODONTICO, enorme, viani) . A seguire l’incontro con l’attore Oggi alle ore 19 presso Claudio Bigagli, e alle 19, nella Sala Con- l’Istituto Cervantes all’interno una distesa di cemento lunga quasi un chilometro. siliare, lo spettacolo proposto dall’Asso- della mostra Octavio Paz: ciazione Culturale Racconti Teatrali, La «De la palabra a la mirada» si Dentro, seimila storie da raccontare. Su Corviale si è signora in blues di Pierpaolo Palladino. terrà la presentazione del Giovedì, invece, alle 10 in Biblioteca, libro «Pietra di Sole» il detto di tutto («mostro» da abbattere o monumento proiezione de La ciociara dal romanzo di capolavoro del Premio Nobel Alberto Moravia regia Vittorio De Sica; Octavio Paz (Edizioni IL Filo). di architettura moderni- no ricordi, immagini, testimonianze in alle 19 Gente di Corviale. Venerdì: proie- Piazza Navona, 91 video e canzoni dal vivo (arrangiamenti zione de Il partigiano Johnny dal roman- ● Festival sta?), forse però non si è musicali di Roberto Marino). zo di Beppe Fenoglio, regia Guido Chie- «Corso Polonia» È uno degli appuntamenti previsti da sa e l’incontro con il regista (ore 10, Bi- Due appuntamenti detto abbastanza delle «RiEsistenza Italiana 2006», la manife- blioteca); poi lo spettacolo della Compa- dell’Istituto Polacco: la stazione organizzata proprio a Corviale gnia Teatri d’Imbarco in Storie di Villa serata in memoria del poeta persone che vivono que- dall’Associazione Culturale Porta Nova Triste, drammaturgia e regia di Nicola Jan Twardowski (ore 20 via e in programma da domani a sabato. Zavagli (ore 19, Mitreo). Sabato, infine, Vittoria Colonna 1) e lo gli spazi disuguali dietro la facciata gri- Una rassegna di teatro, cinema, musica proiezione de I piccoli Maestri dal roman- spettacolo «Lezione cinese» gia. Giovedì prenderanno finalmente la e incontri «che vuol promuovere il con- zo di Luigi Meneghello, regia di Daniele del gruppo Akademia Ruchu parola le persone che vivono nel «ser- fronto tra generazioni - spiega il diretto- Luchetti che incontrerà il pubblico subi- (ore 21 Rialto - via pentone», attraverso lo spettacolo teatra- re Siano - per ricordare chi eravamo al- to dopo (ore 10, Biblioteca). Concluderà Sant’Ambrogio 4) le che Nuccio Siano allestirà nello spazio l’epoca del primo costituirsi della nostra la rassegna, alle 19 nella Sala Consiliare, ● Michele Cucuzza sotterraneo del Mitreo nello stesso quar- democrazia e dare un nuovo senso, dav- il concerto di Giovanna Marini e il Coro e il delitto Fortugno tiere. Gente di Corviale racconterà la nuo- vero contemporaneo, al termine resi- della Scuola di Musica Popolare di Te- Stasera alle 21 alla libreria Corviale in una foto di Roberto Canò va periferia romana: sul palco scorreran- stenza». staccio in Inni e canti di lotta. Bibli dibattito su: «Il delitto Fortugno e la rivolta dei giovani di Locri contro la ’ndrangheta», in occasione della pubblicazione del libro «Ma il cielo è sempre più blu» Manhattan Transfer e Wayne Shorter: tutto jazz e cioccolato di Michele Cucuzza. Intervengono tra gli altri Enzo Al via domenica la 30ª edizione del Roma Jazz Festival: appendice golosa e la musica di Dee Dee Bridgewater e del suo Mali, il piano di Danilo Rea e la tormba di Paolo Fresu Bianco, Enzo Ciconte, Maria ■ di Simone Conte Grazia Laganà Fortugno, ni per coniugare due diversi piaceri. Ma d'avanguardia. Il giorno successivo sarà LA CIRCOLARE ROSSA Agazio Loiero. Via dei il punto forte, come sempre, sarà la mu- la volta di Horacio "El negro" Hernan- Fienaroli, 28 (Trastevere) E FANNO TRENTA. Il Roma Jazz sica. Domenica mattina l'apertura con dez con il suo collettivo Italuba e i fiati GIULIA FOSSÀ un ensemble che, sotto il nome di della Pmjo. Lunedì 6 novembre Brad TEATRO Festival ripartirà il 29 ottobre e si "Quercia del tasso reunion", conterà sul- Mehldau proporrà il suo repertorio a so- ● «A scampagnata» la presenza dei musicisti che diedero il lo, sul palco lui, il suo pianoforte ed il protrarrà sino al 26 novembre, con Immigrati, eroi per dovere da Antonio Petito via al festival, tra i quali Gatto e Giam- suo grande talento. E' l'evento del festi- Da oggi al 19 novembre al una serie di appuntamenti, tutti al- marco. L'altro evento di apertura è pre- val assieme a quello che lo segue il gior- Teatro de' Servi va in scena visto alle 21 con il concerto di uno dei no seguente, il concerto del Wayne rossima fermata… piazza partenze deve essere rispettato e «A scampagnata de' tre l’Auditorium, che vedranno nuova- più significativi gruppi vocali al mon- Shorter Quartet, del quale oltre alla pre- «PVittorio Emanuele… uscita a scandito, ma non a prezzo della disperate» da Antonio Petito. mente ospiti tanti artisti arrivati nel- do: i Manhattan Transfer. Le loro armo- senza del sassofonista, una vera leggen- destra». Il personale delle pulizie ha sicurezza. Alessandra è la ragazza Biglietti da 14 a 19 euro. nie vocali sconfinano da un genere all' da vivente, va sottolineata la presenza rimosso tutto… un po' di polvere, simbolo del popolo delle metro: Via del Mortaro, 22 le scorse edizioni. Trent'anni fa in po- altro, ma alcuni episodi sono entrati di Perez, Blade e Pattitucci nel gruppo. qualche fiore lasciato da una mano utilizzava quel mezzo veloce e (Via del Tritone) chi avrebbero puntato sulla sua longevi- nella storia del vocalizzo jazz. Contem- Una due giorni che lascerà il segno. Il pietosa. È ciò che resta dello pratico per rispettare impegni tà, ma con gli anni il clima culturale è poraneamente nella Sala Studio si in- 19 Dee Dee Bridgewater proporrà il suo scontro fra vetture, una settimana lavorativi e di studio, prima di MUSICA cambiato, il festival è cresciuto, ha visto contreranno il clarinettista Giorgio Mi- lavoro di ricerca sulla musica del Mali, fa. Appena giunta la notizia, rientrare a casa in provincia. È ● Il jazz dei passare gente come Miles Davis, Ray rabassi e il chitarrista brasiliano Giun- un progetto che sposa la tradizione etni- impatto di paura e ansia: il pensiero l'avventura quotidiana di milioni «New Italian Trio» Charles, Ella Fitzgerald ed ha contribui- ga. Un altro incrocio interessante è pre- ca con una raffinata voce del jazz. Il 26 agli episodi del terrore, Madrid e di «romani di fatto» che, Il «New Italian Trio» darà il via to a creare una più vasta sensibilità arti- visto il due novembre tra l'enfant prodi- si chiuderà il festival con il dialogo tra il Londra. È così, ogni volta che soprattutto per ragioni a «Jazzita’ prodascion» la stica. Il titolo dell'edizione è "Jazz and ge del sax Francesco Cafiso e la tromba pianoforte di Danilo Rea e la tromba di scendi sulle scale mobili, pensi che economiche, hanno scelto di Rassegna sul Jazz italiano Chocolate", un percorso che metterà in di Fabrizio Bosso. Il 4 novembre torne- Paolo Fresu, talenti cristallini orgoglio il copione fantapolitico di un vivere (dormire!) in uno dei centri d’autore de La Palma. relazione l'origine e lo sviluppo del Jazz ranno assieme dopo trent'anni An- del jazz nostrano. Buon compleanno possibile attentato a Roma ha tutti della grande provincia romana. Ingresso 1 euro. Via G. Mirri con quello del cacao, prima dei concer- thony Braxton e Roscoe Mitchell, due Roma Jazz Festival, trent'anni e non sen- gli ingredienti del romanzo di Nell'eccezionalità di quel triste 35 - Tel 06.43566581 ti saranno organizzate delle degustazio- grandi polistrumentisti e teorici del jazz tirli. successo. Vaticano, gran numero di avvenimento dobbiamo rilevare opere d'arte, situazione politica che l'emergenza scattata subito ha instabile, una straordinaria funzionato, l'ospedale San IUC ALLA SAPIENZA L’INCONTRO DI APRILE «PERIFERIE E LAVORO: CHE ACCADE A ROMA?» presenza di ambasciate. Ma, per Giovanni ha dato il massimo per le fortuna, non è andata così: cure mediche e psicologiche. Nella Schumann Celestini: «I grandi eventi? Inutile farli, non modificano indagini approfondite ci leggenda di quel maledetto spiegheranno, spero presto, e con martedì 17 ottobre i giovani - due e la rosa fanciulla chiarezza, cos'è successo. Intanto sembra - di nazionalità non italiana l’esistente». Lodoli: «In periferia la vita si sta deteriorando» possiamo già circoscrivere quanto è che si sono spesi per primi per Il secondo oratorio di Robert accaduto e ha provocato la morte assistere i feriti nelle viscere Schumann, "Der Rose Pilger- ■ «I grandi eventi? Inutile farli. Tanto so- tutto questo (gli eventi, il rilancio della cit- della Casa delle Culture. Sullo sfondo, il di Alessandra Lisi e il ferimento di dell'Esquilino. Angeli che hanno fahrt" -"Pellegrinaggio della Ro- no i numeri che contano. Allora, la prossi- tà) ed è una vita che si sta deteriorando. dibattito sul Partito democratico. In pri- quasi duecento persone: usato il loro paio d'ali per fuggire sa" (1851)- sarà eseguito stasera ma volta facciamo solo i numeri e i servi- La distanza dall’Auditorium e Torre Mau- ma fila, ad ascoltare e replicare il segreta- responsabilità da errore umano o all'arrivo delle squadre di soccorso e nell'Aula Magna della Sapienza zi per il telegiornale. Per gli elettori basta- ra è molto più che 15 chilometri». E per rio ds Esterino Montino e il Prc Luigi Nie- tecnico. Quasi mezzo milione di di polizia, temendo identificazione per l'Istituzione Universitaria no. Risparmiamo pure un bel po’ di sol- chi non avesse capito, arrivano Walter ri. Il mini-sindaco di Cinecittà, Sandro persone ogni giorno sulla linea A, e complicazioni. Una ragazza, dei Concerti. Opera di raro di», ironizza Ascanio Celestini, improvvi- Schiavella (Cgil) a parlare di precariato e Medici, fa la sua parte di apripista: «Il Co- che già 24 ore dopo l'incidente, Ramona, romena senza permesso, ascolto, composta a vantaggio sando per l’occasione un monologo che Vezio De Lucia di «revisionismo urbani- mune ha stanziato, giustamente, 50 mila superato lo spavento, tornavano aveva dato conforto a un giovane delle società corali -allora come approda alle periferie, dove se ragioni stico» - «Il nuovo piano regolatore fa fin- euro per ripulire il laghetto di Villa Bor- sui treni. Resta un punto incastrato nelle lamiere: si è fatta oggi diffuse nei paesi di lingua con la logica del «concertone Telecom» ta di portare avanti l'unificazione della cit- ghese, io da tre anni sto chiedendo 50 mi- interrogativo: quel «rosso rintracciare, con qualche rischio, tedesca-, a interpretarla sarà il in più rischi l’effetto: «Potevamo essere tà ma disegna solo tanti centri commer- la euro per far rivivere il laghetto del Par- permissivo» che, al di là del ottenendo gli onori del Coro Athestis diretto da Filippo gli U2 invece siamo i Pantera del Quadra- ciali attorno alla periferia». Il tema, lancia- co degli Acquedotti che rappresentava linguaggio burocratico-tecnico, Campidoglio. Due note di getto: Maria Bressan con l'accompa- ro». E poi non cambi nulla dell’esistente: to a sinistra dall’associazione Aprile a sag- un pezzo di paesaggio del quartiere». I vuol dire che se il conducente cambiare la Bossi-Fini prima gnamento del solo pianoforte «così siamo solo consumatori». E la parte- giare la temperatura dell’autunno roma- consiglieri comunali, annuncianti in lar- riceve un Alt può procedere possibile. Per il rispetto delle suonato da Benedetto Lupo. cipazione? «Prendi la Notte Bianca, stra- no recitava precisamente: «Il risultato del- ga schiera, hanno disertato (a parte Portel- comunque, salvo consultazione persone, costrette a fuggire come L'oratorio, composto di dieci ordinarie sono le cose che non funziona- le ultime elezioni ci offre un’occasione li e Galeota) l'appuntamento. C’erano pe- con la centrale, a velocità ridotta furfanti. La seconda, più amara. Per pezzi su libretto di Moritz Horn, no: la pioggia, il blackout, gli spettacoli d’oro per mettere da parte la ragion di sta- rò Massimo Cervellini, Giulia Rodano, fino alla stazione successiva. Da un italiano la cittadinanza è un narra d'un fiore, una rosa, asse- annullati. La gente non vede niente, però to e dirci in questa città le cose come stan- Alessio D’Amato. Finite le prove, ad Adria- una distrazione da stress, o da una fatto automatico e tecnico. Un tata d'amore e trasformata in vuole vivere la città, il punto è la voglia di no. Cominciamo da periferie e lavoro». no Labucci non resta che rilanciare «tra non perfetta comunicazione, può immigrato, per meritarsela, deve fanciulla da una fata. viverla anche senza eventi». Sulla stessa Le prove di svolgimento, aperte ai vari qualche mese, un’occasione più vasta di nascere un pericolo mortale. essere, prima o poi, eroe. www.concertiiuc.it - frequenza, Marco Lodoli lo dice con Va- esponenti della sinistra romana, si sono confronto cittadino, magari invitiamo L'orologio degli arrivi e delle [email protected] 063610051/5 sco Rossi: «C'è una vita che se ne frega di tenute ieri pomeriggio nella sala-teatro anche il sindaco».

“Il Fatto Quotidiano”, 20 settembre 2012

ROMA, LE PROMESSE INFINITE PER IL QUARTIERE DI CORVIALE: “PRONTA CLASS ACTION”

I soldi per la riqualificazione ci sono dal 2004, ma non si usano. I 21 milioni di euro di fondi pubblici sono infatti bloccati. "Soldi che ci spettano, per riportare legalità e vivibilità nel 'serpentone'" dichiarano gli inquilini che intanto si preparano per una battaglia legale contro lo Stato di EDUARDO DI BLASI

C’è il rumore di una fresatrice. Qualcuno, al quarto piano, sta edificando un muro di mattoni lasciando lo spazio regolare per una finestra. In via di Poggio Verde, a Roma, è una giornata di sole e non si vedono in giro esponenti politici di un qualche peso. Le elezioni, nella Capitale e in Regione, sono ancora sufficientemente lontane da una campagna elettorale. Corviale, si chiama così il palazzone di un chilometro che ci sovrasta. L’hanno finito di cementare qui nel 1982. Edilizia residenziale pubblica: per gli amanti del guinness, il condominio più lungo d’Europa. Simbolo prima dell’utopia urbana (il palazzo autosufficiente lontano da tutto), e subito dopo della periferia degradata e irredimibile, da trent’anni il palazzone viene descritto come bisognoso di un qualche aiuto che poi, puntualmente, non arriva. Così lo stabile è mal tenuto: basta vedere i citofoni vandalizzati, le lamiere a protezione delle scale che sono crollate in più punti, ma non vengono sostituite “perché altrimenti dovremmo cambiarle a tutti i lotti”, o le cabine elettriche degli ascensori, con le serrature delle porte divelte: “Qui si allacciano abusivamente alla corrente”, spiega Angelo Scamponi, esponente del Cic (il Comitato inquilini di Corviale, attivo in loco dagli anni ‘80) indicando un cavo di colore bianco che arriva da chissà dove ed entra in quel quadro elettrico. Immaginato quarant’anni fa dall’architetto Mario Fiorentino come porta sud-est della città (sulla Portuense, arrivando da Fiumicino, l’immobile incombe sopra una collina verdeggiante), il Serpentone è un pensiero a metà tra le case di ringhiera e il panino imbottito. Tra gli appartamenti dei primi e degli ultimi piani, il progettista aveva infatti immaginato un boulevard composto di sale riunioni da mille posti (in teoria servivano per le assemblee di condominio), negozi e servizi che correvano per l’intera struttura chilometrica saltando per i piani terzo, quarto e quinto, a seconda del lotto. È proprio questa zona di mezzo, occupata da non aventi titolo ormai da trent’anni, l’enorme problema dell’intero stabile: case improvvisate tra i corridoi, condutture improbabili, c’è anche un circolo del Pdl che esprime una consigliera municipale, Ida D’Orazi (un tempo c’era anche una sezione del Pds, tramutata poi in quattro appartamenti). Attorno, però, cresce un quartiere con spazi di aggregazione importanti e standard urbani di tutto rispetto: la biblioteca comunale è colma di studenti, attorno al Mitreo di arte contemporanea gestito da Monica Melani, girano ogni settimana 5-600 persone impegnate a imparare musica, danza, pittura. Un numero simile di persone affolla un campo da rugby in ottimo stato. Anche il Municipio, il XV, una decina di anni fa, ha deciso di spostare qui sotto la sede del proprio consiglio, l’anagrafe e i vigili urbani. C’è anche una cavea sotto i cui spalti corre un mercato che si anima per il farmer market di sabato e domenica. È qui, che durante l’ultima campagna elettorale, Gianni Alemanno pronunciò le parole del riscatto di Roma e di Corviale: spiegò che c’erano 21 milioni a disposizione per la riqualificazione del palazzo messi lì dalla giunta Storace. Sono passati più di quattro anni, al governo della Regione barcolla la Polverini, e quei soldi sono ancora lì, non spesi. Adesso infatti il nuovo verbo è abbattere e ricostruire. E non è un problema se non ci sono i soldi né per la prima operazione, né per la seconda , né, tantomeno per alloggiare i seimila inquilini (un paese di medie dimensioni), nel mentre, ciò avverrebbe. Pino Galeota, che è stato consigliere comunale a Roma quando c’erano i Ds e ora è animatore del coordinamento “Corvialedomani”, accompagnandoci in un tour del quartiere spiega: “La politica qui si è sentita in colpa”. E per questo, fuori dal palazzo ingovernabile, ha collocato servizi di peso e lasciato spazio al volontariato. Giusto sotto il Serpentone oggi le ruspe sono in azione per ripristinare una palestra e dei campi di calcio che verranno poi gestiti dal Calciosociale, altra meritevole iniziativa di volontariato attiva nel quartiere. Ci hanno messo dei soldi la Provincia di Roma e la Fondazione Vodafone. Anche Francesco Totti è arrivato a benedire l’iniziativa. Il progetto di riqualificazione è partito, ma mancano ancora mesi e soldi perché arrivi a compimento. Non è del resto l’unico progetto in difficoltà. L’architetto Guendalina Salimei, del T Studio, nel 2009 aveva vinto il concorso per riqualificare la terra di mezzo: il progetto prevedeva la riconversione degli spazi centrali dello stabile in appartamenti per le famiglie. C’era stato il censimento degli inquilini (molti, nei trent’anni, sia abusivi che aventi diritto, avevano affittato a nero o rivenduto il proprio appartamento per 10, 15, 30mila euro), c’erano le risorse (i soldi riannunciati da Alemanno in campagna elettorale), una quarantina di occupanti, addirittura, si era fatta montare il contatore dell’elettricità. Poi tutto, come sempre, si è fermato. Il nuovo assessore alla Casa della Regione Lazio, l’esponente de La Destra Teodoro Buontempo, ha infatti preso tempo, convinto che l’intero stabile debba essere abbattuto e ricostruito in forme più gradevoli. In attesa di questo sogno irrealizzabile tutto è fermo. Lo ammette anche il presidente dell’Ater, Bruno Prestagiovanni, esponente del Pdl: “Se la Regione mi dice di soprassedere, io non posso procedere”. Prestagiovanni ha le mani legate anche sulla questione degli occupanti: “Crede che per noi non sia un problema avere 120 famiglie che non pagano nulla? Ma che posso fare? Dovrebbero essere i vigili e la magistratura a intervenire”. O forse la politica. Ma nel palazzone di Corviale, la politica arriva solo sotto elezioni. Poi lascia fare. Quando spieghiamo al presidente Ater che nello stabile che l’ente dovrebbe gestire stanno edificando mura abusive in pieno giorno, quasi scrolla le spalle: “Ci sono arrivate segnalazioni. Dovrebbero intervenire i vigili”. Facile, ribattiamo, sono proprio lì sotto. E lui: “Diciamo che non sono dei marines”. Ancora una volta si lascia fare. Un tempo gli inquilini del palazzone si vergognavano di rivelare dove abitassero. Il nome Corviale era scambiato in quello più delicato di “Casetta Mattei”. Ora i cittadini di Corviale sono consapevoli dei propri diritti e preparano una class action contro lo Stato che dopo aver deliberato in loro favore, li ha poi abbandonati. Flavia Perina (Fli) ha pronta un’interrogazione parlamentare. Attenti al Serpentone.

EDUARDO DI BLASI

“Il Fatto Quotidiano”, 20 settembre 2012 “Il Tempo”, 4 maggio 2010

"DEMOLIAMO CORVIALE, ADESSO O MAI PIÙ"

DANIELE DI MARIO

«Adesso o mai più», abbattere e ricostruire Corviale è possibile, «basta che Regione e Comune», governate entrambe dal centrodestra «siano d'accordo». Il progetto esiste e risale al 1993: prevede la sostituizione del Seprentone con un nuovo quartiere costruito secondo i criteri dell'urbanistica tradizionale, del Nuovo Rinascimento Urbano. «Non è una boutade giornalistica», assicura il deputato Pdl Fabio Rampelli, architetto che di quel progetto fu il fautore quando sedeva in Aula giulio Cesare. «Ero consigliere comunale nel 1993 quando con l'architetto Rusponi, all'epoca presidente dell'Agenzia per la città, pensammo all'abbattimento di Corviale - racconta Rampelli - Ne ero convinto allora e ne sono convinto anche oggi: quel mostro va abbattutto e sostituito con un nuovo quartiere. Il progetto è bellissimo e il novanta per cento dei residenti era d'accordo, li interpellammo uno ad uno». Rampelli è lapidario: «Chi ha amministrato l'ex Iacp prima e l'Ater poi ha gestito malissimo: Buontempo è l'uomo giusto per eliminare tutte le tossine, mettere ordine e garantire efficienza». Tornando alla demolizione il deputato Pdl precisa: «È indispensabile coinvolgere i privati, anche perché l'Ater, come azienda, può effettuare operazioni immobiliari di questo genere. Avevamo anche previsto un premio di cubatura del quaranta per cento, prevedendo una demolizione intelligente: prima la costruzione di una parte del nuovo quartiere, poi, via via, la parziale evacuazione del Serpentone. Corviale rappresenta l'esempio di come non debbano essere le periferie. È figlio di un'ideologia collettivista-marxista dove nessuno si sente proprietario. Sembra una prigione. Il progetto del 1993 rappresenta un nuovo concetto di periferia: rispettosa della qualità della vita, con palazzi a bassa intensità abitativa, sul modello della città giardino. Insomma, niente palazzoni frustranti». L'abusivismo, per Rampelli, è fisiologico: «Tutta l'occupazione del quarto piano è abusiva. Lì, nell'ottica sbagliata di Fiorentini, dovevano essere ospitati servizi e negozi, ma nessuno ci andò mai. Così fu occupato dai senza casa, che hanno ricavato nei locali delle abitazioni. Tutto abusivo, compresi gli allacci. E nessuno - né l'Ater, né la Regione, né il Comune - ha mai fatto nulla, ha pensato di cambiarne la destinazione d'uso, di varare una sanatoria. Niente. Corviale si è salvato solo perché lì vivono persone perbene, altrimenti sarebbe stato un bronx invivibile». Ma per Rampelli la possibilità di rimettere le cose a posto adesso c'è. Come il progetto, che risale al 1993.

DANIELE DI MARIO

“Il Tempo”, 4 maggio 2010 “Corriere della Sera”, 4 settembre 2014, p. 13

NATALIA DISTEFANO

POETITALY, CORTOCIRCUITO IN VERSI Corviale? Da venerdì a domenica letture e incontri: conduzione concettuale di Andrea Cortellessa Quaranta autori: progetto di Teatroinscatola con Simone Carella

Per i romani è il «Serpentone», Corviale, il grattacielo orizzontale più lungo d'Europa. Un edificio lungo un chilometro che da venerdì a domenica si riscatta nella poesia grazie a un progetto di Teatroinscatola con la direzione artistica di Simone Carella. È la prima edizione di «Poetitaly», erede diretto del raduno di Castelporziano nel 1979 - rimasto alla storia come la «Woodstock dei poeti» - e del Festival dei Poeti di Ostia Antica nel 1994, che in tre serate (a partire dalle 19) raccoglierà nella cavea anfiteatro di Corviale quaranta tra autori e performer dalle identità poetiche multiformi per dar vita a un cortocircuito tra versi, teatro e l'architettura popolare di Mario Fiorentino. Tra l'happening e la kermesse, a ingresso gratuito, con «Poetitaly» Carella ripropone e perfeziona la formula sperimentata per la prima volta sulla spiaggia di Castelporziano, mescolando i linguaggi e le forme della poesia e dilatando senza soluzione di continuità l'esperienza della fruizione nello spazio e nel tempo. Chiamati a raccolta dai lirici ai postneoavanguardisti, dai testuali ai rapper, i popolari e i procedurali, fino a un esperimento di poesia virtuale live, con la conduzione di un catalizzatore concettuale come Andrea Cortellessa, affiancato da Lidia Riviello e Gilda Policastro. Tutto per dimostrare che la poesia italiana gode di ottima salute, tanto che gli organizzatori già cercano nuove location per il format e considerano la possibilità di esportarlo anche all'estero. Ad anticipare la tre giorni un ciclo di conferenze, laboratori e incontri in programma alla Biblioteca Renato Nicolini fino al 5 settembre. Una sorta di conto alla rovescia partito lunedì e scandito dalle riflessioni sulle ultime tendenze e controtendenze della poesia insieme a professori, artisti, intellettuali e studenti. Dall?omaggio a Maria Luisa Spaziani con i laboratori poetici condotti da Carla De Angelis e la partecipazione degli attori di «Scuola di arte della parola» diretta da Angelo Filippo Jannoni Sebastianini e Giovanna Moscetti, ai «Pannelli sonori» di Giovanna Sandri, dalla poesia visiva alla vibrazione del segno con «Intermedialità» di Francesco Cuoghi alla tavola rotonda «Proprietà perdute - Presenza delle arti - dopo Castelporziano».Da venerdì parte la maratona poetica che si concluderà con la nomina da parte del pubblico del miglior poeta e testo «letto, performato, proiettato, agito». Tra i partecipanti Nanni Balestrini, Giulia Niccolai, Jolanda Insana, Franco Buffoni, Silvia Bre, Carlo Bordini, Giacomo Trinci, Giovanna Marmo, Michele Fianco, Giulio Marzaioli, Maria Grazia Calandrone, Giovanni Fontana, Laura Pugno, i Poeti der Trullo, Mario Benedetti, Vincenzo Ostuni, Alessandra Vanzi e Marco Solari fino all'esperimento di poesia telematica «Facebook Poetry» che metterà in collegamento via internet decine di poeti dal mondo per una singolare sfida in rete.

NATALIA DISTEFANO

“Corriere della Sera”, 04 settembre 2014, p. 13

“La Repubblica”, 27 maggio 2014 FRANCESCO ERBANI

BASTA COSTRUIRE GLI ARCHITETTI ORA RIGENERANO La parola chiave è rigenerazione. E il luogo dal quale si srotola il racconto di una nuova frontiera per architettura e urbanistica – non occupare altro suolo libero, intervenire sul già costruito restituendo vita a pezzi di città non solo dal punto di vista fisico, ma sociale – è Corviale. Simbolo per molti di sconcerto e quasi di orrore metropolitano, per altrettanti, invece, manufatto fra i pochi significativi del secondo Novecento, il grande edificio lungo un chilometro della periferia ovest di Roma, concepito a metà anni Settanta e che ora ospita 4.500 persone (ne erano previste 8 mila), sta per conoscere una nuova esistenza. Eses i rigenera Corviale vuol dire che la sfida è alta e rischiosa e rimbalza nelle periferie di altre città, dove, secondo le stime, almeno i nove decimi del costruito sono successivi al dopoguerra. Un costruito affetto da malattie profonde. Renzo Piano ha invitato al "rammendo", una metafora che rimanda alla riparazione e non all'aggiunta di nuovo tessuto. E in questo programma ha coinvolto giovani professionisti. Alla imminente Biennale architettura (dove viene esposto il progetto Corviale), il titolo del padiglione italiano curato da Cino Zucchi è "Innesti", cent'anni di edifici realizzati in ambienti già storici (ma qui si sconfina in un campo assai controverso, quello del moderno nell'antico). A Scampia, periferia napoletana, Vittorio Gregotti costruisce da anni, stop and go permettendo, una sede della facoltà di medicina dove un tempo svettava una delle Vele poi demolita, altra architettura con lo sbrigativo bollino di infamia. A Roma l'assessore Giovanni Caudo – assessore alla Rigenerazione urbana – ha impostato un piano per realizzare, in un'area di caserme dismesse di fronte al Maxxi, un museo della scienza, abitazioni a canone concordato e spazi pubblici, lasciando una parte all'edilizia privata. Rigenerare è connesso con l'abbandono dell'idea di un'espansione illimitata. La legge urbanistica toscana, promossa dall'assessore Anna Marson, prevede che le aree urbanizzate vengano perimetrate e che si costruisca solo al loro interno, lasciando integro il territorio libero. Un'invalicabile linea rossa intorno ai centri urbani è stata immaginata dall'urbanista Vezio De Lucia nel Piano della provincia di Caserta, la Gomorra massacrata da un'edilizia selvaggia. Gli esempi italiani potrebbero continuare. Molte università sono impegnate nella ricerca. Si guarda all'Olanda, alla Germania, alla Svezia. Ma intanto Gregotti, che di questi temi ha scritto in Architettura e postmetropoli (Einaudi), mette sull'avviso: «Rigenerare significa ricreare un tessuto urbano, non pensare a un oggetto isolato. Occorre legare l'intervento all'ambiente che lo contiene, creare una mescolanza fra abitazioni, servizi e altre funzioni che soddisfino i bisogni di quel contesto». Architettura e urbanistica insieme. Un cambio di paradigma: non più oggetti che splendano in solitudine, ma ricuciture nelle slabbrature di una città cresciuta senza regole, che ha invaso terreni agricoli, diradandosi e sprecando suoli pregiati. Esiste però buona rigenerazione e cattiva rigenerazione, non basta dire "stop al consumo di suolo": è l'avvertenza di Edoardo Salzano, urbanista, animatore del sito eddyburg. it. «Una cosa è proporsi di migliorare le condizioni fisiche di parti della città e la vita delle persone», spiega Salzano, «altro è preoccuparsi di moltiplicare il volume d'affari e i valori immobiliari. La prima strada è rigenerazione, la seconda no». Rigenerazione non solo dell'involucro fisico, ma della qualità del vivere. I progetti di Corviale li illustra Daniel Modigliani, architetto, commissario dell'Ater, l'azienda regionale per l'edili- zia pubblica proprietaria dell'edificio: «Il primo problema è densificare Corviale. Molto spazio è sprecato. E anche le abitazioni sono troppo grandi per famiglie ridotte a una coppia o anche solo a una persona. Al quarto piano, che l'architetto Mario Fiorentino aveva destinato ai servizi e alle aree collettive, poi occupato da abusivi e ora degradato, Guendalina Salimei ha previsto un centinaio di al- loggi». Per Massimiliano Fuksas, Corviale andrebbe abbattuto. Per altri, spezzettato in una trentina di convenzionali palazzine. «Lo decideremo con il concorso», replica Modigliani. «Io insisto per conservarne l'unitarietà. Abbiamo un progetto per aprire il pian terreno e installarvi servizi e altre attività e per consentire il passaggio dalla strada agli orti che sono alle spalle dell'edificio, così da alimentare le relazioni con il quartiere. Sul tetto sono previsti verde e impianti per la raccolta dell'acqua e il risparmio energetico ». A Corviale il verde è tanto e anche i servizi, compresa una delle migliori biblioteche comunali. Al progetto si è arrivati dopo consultazioni fra le istituzioni, il ministero per i Beni culturali, l'università e, soprattutto, i comitati di cittadini. La nuova frontiera della rige- nerazione in realtà viene rincorsa da una trentina d'anni. Da quando, in Europa e in Italia, si rendono disponibili aree in zone periferiche o semicentrali occupate da industrie e altri impianti. Resta esemplare la storia delle caserme francesi di Tubinga, in Germania: 64 ettari, liberati dai militari dopo la riunificazione, hanno accolto case ad affitto convenzionato per 6 mila abitanti, costruite da cooperative degli stessi futuri residenti, aziende per 2 mila occupati, verde, scuole, servizi comunitari come il car sharing, biciclette a disposizione di tutti. E se si allarga lo sguardo ecco le esperienze, ormai storiche, dell'America Latina, da Curitiba (Brasile) del sindaco-urbanista Jaime Lerner a Medellín in Colombia. Qui, nella capitale del narcotraffico, si è avviata una rigenerazione che – racconta Ma- rio Tancredi, architetto italiano che insegna in Colombia – «ha fronteggiato la segregazione sociale con una rete di trasporto pubblico e una linea di cabinovie che a ogni stazione realizzava uno spazio di convivenza e che si arrampicava su un'altura raggiungendo alcune biblioteche, cinque progettate nel giro di poco tempo, e poi un parco urbano. Tutto questo accompagnato da piazze, strade, scuole, fognature e dalla ristrutturazione di tante abitazioni sorte in maniera incontrollata e in luoghi pericolosi. Gli effetti? Omicidi crollati di decine di punti percentuali e crescita del commercio del 300 per cento». Se invece di progetti a questa scala si punta a incrementare la rendita – insiste Salzano – la rigenerazione non c'è più: centri commerciali, residenze a prezzi di mercato, speculazione. Occasioni sprecate. Come a Vicenza, dove a poche centinaia di metri dalla Rotonda di Andrea Palladio, nella zona di Borgo Berga, al posto dello storico stabilimento Cotorossi sta sorgendo un quartiere di forme spropositate, realizzato da una società che fa capo a Enrico Maltauro, in carcere per le tangenti Expo 2015, che grava sui due fiumi, il Retrone e il Bacchiglione, esondati due anni fa. «Per queste iniziative è indispensabile la regìa pubblica, senza sottomissioni al volere dei privati», spiega Salzano. «La città non è fatta solo di abitazioni, ma di spazi per stare insieme. La prima cosa che si insegnava a chi studiava urbanistica era di calcolare i fabbisogni. Adesso si calcola la valorizzazione delle aree». FRANCESCO ERBANI “La Repubblica”, 27 maggio 2014 “La Repubblica”, 23 marzo 2004 CLAUDIO FALCIONI

LA BELLEZZA DI CORVIALE? LE PERSONE CHE LO ABITANO Sono don Claudio, il parroco di Corviale, e volevo congratularmi per il bell' articolo di Aurelio Picca apparso in cronaca. Devo però rilevare alcune imprecisioni per così dire anagrafiche: nel palazzone ci sono «solo» 1.159 appartamenti comprese 70 abitazioni abusive; gli abitanti non sono 16.000 ma «soltanto» 4.300. Tutto ciò ve lo posso assicurare visto che ogni anno passiamo di casa in casa per la benedizione pasquale. Per il resto devo dire che ha ragione quando parla della bellezza di Corviale, non tanto dell' edificio quanto delle persone che lo abitano e lo rendono vivo. Don Claudio Falcioni “La Repubblica”, 23 marzo 2004 “Corriere della Sera”, 2 settembre 2005, pp. 1, 6 PAOLO FALLAI

CORVIALE, QUEL FORUM «CONTRO OGNI DEGRADO» Convocati a Corviale per esercitare il loro sacrosanto diritto al delitto di lesa maestà - contro il pensiero unico, il neoliberiosmo, la globalizzazione - i delegati di questo forum alternativo hanno cominciato dalla sorpresa: l'accogliente sala del Municipio (nella foto), proprio di fronte alla biblioteca, non lontano dal centro polifunzionale. «Scusa - chiedevano - è qui il degrado?». Dopo anni di disinteresse, il palazzone simbolo del degrado delle periferie ospita «Sbilanciamoci», l'«anti Cernobbio» Corviale, dove si studia come cambiare il mondo All'interno del «mostro» il forum sull'economia solidale. Oggi l'intervento di Rifkin Il grande palazzone, infinitamente vituperato, accusato di aver tolto «il ponentino a Roma» col suo chilometro di lunghezza per trenta metri di altezza, ieri ha cominciato a prendersi qualche rivincita. D'altronde ci avevano scommesso per primi gli organizzatori di questo contro Forum, opposto a quello ufficiale di Cernobbio che tradizionalmente apre la stagione politica ed economica italiana. Da tre anni si convocano negli stessi giorni, andando a cercarsi quei simboli capaci di mettere in imbarazzo imprenditori e classe dirigente: così, mentre banchieri e imprenditori si godevano il lusso ovattato del lago di Como, loro due anni fa si riunivano a Bagnoli, uno dei cimiteri della siderurgia italiana, e l'anno scorso celebravano a Parma l'esplosione del caso Tanzi. Più sottile la sfida di questo 2005 a Corviale: mettere insieme un simbolo del degrado e delle periferie abbandonate, sfruttando tutta la letteratura d'accatto che si è portato dietro da quando è nato, e insieme dare un palcoscenico degno alle strategie di rilancio che si agitano tra i corridoi di cemento armato. Il ragionamento è semplice e ha molto a che fare con le critiche al sistema economico imperante: di periferie (e di bisogni) parla troppo spesso chi in periferia non ci capita mai. Ha buona ragione l'assessore capitolino Paolo Carrazza ad approfittare dell'occasione per far notare cosa succede intorno al convegno, dal «primo incubatore delle imprese locali», fino al progetto «Immaginare Corviale», con cui «abbiamo chiesto ai corvialesi di lavorare con noi per abbattere lo stereotipo negativo del quartiere, anche con la creazione di una TV di quartiere autogestita». Viene da pensare a quanto sorriderebbe Nicoletta Campanella, sociologa ed esperta delle periferie romane cui è dedicata la bella e ricca biblioteca comunale di Corviale: lei, giusto dieci anni fa, i corvialesi li aveva coinvolti in un sondaggio e aveva scoperto che ne erano orgogliosi: «Hanno quasi un senso di fierezza - dichiarava al Corriere - ad abitare in un palazzo così conosciuto, discusso e fatto oggetto di attenzione da parte dei media». Forse bisognerà ricominciare dalle definizioni. Come fa con coraggio Piero Marrazzo, presidente della Regione venuto al convegno sfidando l'accusa di dare spazio ad «estremisti»: «Vorrei ricordare che questo palazzo è nato per dare case popolari, cioè un'abitazione dignitosa a tutti». E pensare che solo pochi mesi fa c'era chi voleva abbatterlo, il governo di centrodestra lo aveva inserito in un elenco di «ecomostri», tra Punta Perotti e le Vele di Secondigliano. «Come se invece di essere una operazione per dare casa a chi non l'aveva fosse stata una speculazione» sottolinea ora chi lo difende. Certo, se dopo la consegna dei primi appartamenti nel 1982, il piano che Mario Fortunato aveva destinato ai servizi non fosse stato occupato dai senza casa, chissà che sarebbe stato di questo esperimento? E se avessero fatto quel benedetto tram per il centro? E se la biblioteca non fosse arrivata solo nel 2002? Troppi se per una certezza fatta di 64 ascensori che l'inverno scorso erano tutti rotti, bontà dell'ex Iacp, ora Ater. E forse, oggi, dei 30 milioni messi a disposizione dallo stesso Ater e dal Campidoglio per i prossimi interventi di manutenzione. Ecco, questa è la Corviale che ha accolto gli estremisti di «Sbilanciamoci». Gente che la faccia estrema non ce l'ha, i giovani sorridono, i meno giovani provano a non spegnere il sorriso sul futuro dei propri figli. Sui banchetti dell'immancabile mercatino non si trovano cattivi maestri. Non c'è Toni Negri, ma tutta l'opera di Luciano Gallino e Jeremy Rifkin, atteso per stamani. Sono attivisti di una quarantina di associazioni di «altraeconomia» che mettono in guardia contro la finanza speculativa, contro un mondo passato dai produttori agli speculatori. Schierati, come dice Giulio Marcon, contro quelli che già Dante individuava nel XVI canto dell'inferno «la gente nuova e i sùbiti guadagni» e «ce l'aveva con Iacopo Rusticucci». «Estremisti?» se la prende un delegato. «Mettiamola così, all'incontro di Corviale ci sono quelli che pagano le tasse,a quello di Cernobbio ci vanno quelli che pagano profumatamente fior di commercialisti che li aiutano a non pagarle mai». PAOLO FALLAI “Corriere della Sera”, 2 settembre 2005, pp. 1, 6 TV DI PALAZZO BIBLIOTECA E TANTO SPORT

Nel centro anziani 800 iscritti e corsi di cucina, ballo e cucito Il teatro, un poliambulatorio, una palestra di pugilato, una biblioteca. Nel corso degli anni, tentativi più o meno convincenti per la rinascita di Corviale ne sono stati fatti tanti. L' ultimo, in ordine di tempo si chiama «TeleCorviale», una tivù di condominio che trasmetterà quotidianamente una striscia di quindici minuti (ogni giovedì fino al 9 dicembre alle 21.30 e in replica alle 23.30) sulle frequenze di Roma Uno. L' esordio domani alle 20 e 30 con uno speciale di presentazione a cui parteciperanno l' assessore alle Periferie Luigi Nieri, Bartolomeo Pietromarchi, segretario generale della Fondazione Adriano Olivetti, impegnata in molti progetti all' interno del serpentone, l' artista Lorenzo Romito dell' osservatorio Nomade e l' antropologo Massimo Canevacci. Fino ad oggi ha trasmesso a circuito chiuso la vita del palazzone con prove di musicisti, gag comiche, interventi di artisti vari. Ma ci sono anche programmi più «strutturati»: «Un piatto, un ritratto», l' abbinamento tra una ricetta e la storia di un condomino, oppure una serie di documentari che ripercorrono il lungo cammino di migliaia di inquilini per abbellire il quartiere. E ancora la ripresa dei provini negli ascensori dell'edificio per cercare volti e talenti per la televisione di quartiere e un' inchiesta dal titolo «Lontano da Corviale», una raffica di domande a bruciapelo a persone che vivono e frequentano quartieri centrali. «Si tratta di una prima esperienza di Tv di qualità - dichiara l' assessore Nieri - al servizio di un quartiere e di chi ci vive. Abbiamo voluto fare un esperimento divertente e la risposta dei "corvialesi" è stata entusiasmante. Sulla periferia abbiamo investito in termini di servizi primari e secondari. Vogliamo che le periferie diventino i nuovi poli di attrazione culturale». Il piano di rilancio del quartiere a cui Nieri sta lavorando da un paio d' anni in collaborazione con la Fondazione Olivetti, prevede anche una serie di interventi «integrati» partendo dalla riqualificazione del quarto e quinto piano dove erano previsti servizi e centri di aggregazione che sono invece stati occupati da alloggi abusivi. In questi spazi dovrebbero trovare posto un campo di basket, pallavolo, rugby e una piscina. Nel programma dell'Assessorato alle Periferie verrà anche ristrutturato il «sesto lotto» con il recupero del percorso pedonale coperto al piano terra e l' avvio di negozi e centri commerciali. Un altro fronte è rappresentato dal problema rifiuti dove è già partita una campagna per la raccolta differenziata e una bonifica straordinaria di carcasse di auto, siringhe e cartacce. Previsto anche un centro di orientamento al lavoro, uno di formazione professionale e un centro culturale polivalente. Sarà infine realizzato un grande impianto comune di climatizzazione, una ludoteca e una grande fontana nella piazza di fronte alla chiesa. È già un successo, intanto, il «Centro anziani» con 800 iscritti che si dividono tra corsi di ballo, cucito, feste danzanti e attività motoria. Fiorentino Flavia “Corriere della Sera”, 15 ottobre 2004, p. 51 “Corriere della Sera”, 28 agosto 2003, p. 48 MAURIZIO FORTUNA

«DARÒ IDENTITÀ ALLE PERIFERIE ABBATTERE NON SERVE A NULLA»

L'assessore Nieri: «Più tessuto sociale, banche e biblioteche» Polemica con lo Iacp per la «cattiva gestione» degli immobili «La periferia dove non abiterei mai è quella anonima, senza identità, spersonalizzante, dove tutto è uguale, dove non ci sono differenze fra la tua abitazione e migliaia di altre». Detto da Luigi Nieri, assessore capitolino alle Periferie (di Rifondazione Comunista), fa un certo effetto. Soprattutto se poi si scopre che in effetti anche lui - forse per coerenza - abita in periferia, a La Rustica: «Mi è anche utile per capire meglio il mio lavoro. Quando sono arrivato non c'erano neanche i marciapiedi. Ogni mattina portare la bimba a scuola era uno strazio. Uno dei problemi dell'abusivismo: ai marciapiedi non ci pensa nessuno, poi deve intervenire l'amministrazione». Assessore, Tor Bella Monaca, Laurentino 38, Corviale, sono un po' i simboli di quella periferia senza identità di cui parlava. Quali sono gli edifici che butterebbe giù per poi ricostruire più belli e funzionali? «Non abbatterei niente. E, attenzione, la demolizione non la vuole più nessuno, nemmeno gli abitanti. I progetti per la riqualificazione del Laurentino li stiamo facendo in strettissima collaborazione con tutte le associazioni di zona. Certo, alcuni progetti sono figli di ideologie superate, certe volte ho quasi l'impressione che gli abitanti siano stati usati come cavie per utopie urbanistiche. Eppure...». Eppure? «A Corviale vivono quasi settemila persone. In un qualsiasi paese italiano di settemila persone c'è un Municipio, una caserma dei carabinieri, un cinema, negozi, dei bar, un ambulatorio, strade e piazze. È il minimo. A Corviale, quando è stato "riempito", non c'era nulla di tutto questo. Settemila persone e nient'altro. Ora c'è la sede del Municipio, un centro culturale, la Biblioteca, un Centro di formazione, il laboratorio d'impresa. E l'indice di criminalità di Corviale è bassissimo, quasi inesistente. Il nostro sforzo è questo. Trasformare questi luoghi, renderli migliori, più abitabili». A parte Corviale, ci sono molti edifici, al Laurentino come a Tor Bella Monaca, veramente brutti. Non sarebbe meglio abbatterli? «La città "ideale" non esiste. D'altronde, se consideriamo periferia tutto ciò che è esterno all'anello ferroviario, allora l'ottanta per cento degli abitanti di Roma vive in periferia. E si tratta di una periferia stratificata, passata attraverso l'autocostruzione, l'abusivismo, i palazzinari e i grandi piani di zona. E ormai è quasi tutta città consolidata. Pensare di abbattere vuol dire non fare i conti con la realtà. Quando i dirigenti di An si sono presentati a Corviale con la proposta shock di abbattere l'edificio di Fiorentino, pensavano che gli abitanti avrebbero applaudito. Invece l'accoglienza è stata molto fredda. Tanto fredda che di abbattere Corviale non se ne parla più. Per quanto riguarda il Laurentino, poi, è evidente che dovremo cambiare qualcosa. Vuole un indicatore chiarissimo? Al Laurentino non c'è una banca. Un segno evidente della mancanza di tessuto sociale: gli istituti bancari vanno dove c'è commercio, movimento di denaro, transazioni. Ecco, far aprire una banca al Laurentino sarà un segnale del cambiamento. Ma non ci limitiamo ad aspettare che succeda. È stato già deciso che abbatteremo tre ponti, (10; 11; e 12) e che le volumetrie distrutte saranno ricostruite sotto forma di esercizi commerciali. Inoltre abbiamo un progetto per la trasformazione del viale principale della zona (via Ignazio Silone) in un boulevard ricco di attività, dove si possa anche svolgere la vita sociale del quartiere». Insomma, resta tutto così com'è? «No, cambierà: ma senza abbattere, senza distruzioni. La periferia non è quella lontana dal centro. La periferia è un luogo senz'anima, senza vita collettiva, senza riconoscibilità. Quindi bisogna dare un'anima a questi luoghi, e gli abitanti lo stanno già facendo, bisogna dar loro una identità, una personalità. I problemi di questi quartieri non si risolvono con un maggior numero di poliziotti, ma con un maggior numero di (bravi) sociologi urbani. C'è un deficit di conoscenza, invece noi abbiamo bisogno di capire. E poi dobbiamo sfruttare l'"anomalia romana" e cioè il contesto in cui si costruisce la periferia: l'agro romano. Una natura meravigliosa che può e deve valorizzare anche gli insediamenti abusivi peggiori». Corviale e Tor Bella Monaca sono gestiti dallo Iacp. Quali sono i rapporti con l'Istituto? «Stiamo cercando di collaborare, ma sicuramente bisogna imputare allo Iacp la cattiva gestione degli immobili. Quando leggo che gli inquilini del Laurentino sono "prigionieri" al dodicesimo piano perché gli ascensori non funzionano, e poi leggo che la stessa cosa capita anche a Corviale, allora mi chiedo perché l'Istituto non intervenga con maggior rapidità. Immagino che non sia crudeltà, ma soltanto sciatteria. Però dobbiamo dare dei segnali di efficienza. A giugno abbiamo fatto una settimana straordinaria di raccolta di rifiuti a Corviale. Risultato dell'operazione: raccolti 210 quintali di rifiuti ingombranti, 224 di materiali ferrosi, centinaia di siringhe, e abbiamo pulito 2500 metri quadrati di androni d'ingresso: erano anni che nessuno puliva tanto a fondo. E i cittadini ci applaudivano dalle finestre». MAURIZIO FORTUNA “Corriere della Sera”, 28 agosto 2003, p. 48 MARIA PIA FUSCO “La Repubblica”, 28 dicembre 1990 DENTRO LA BORGATA IN LOTTA PER LA VITA ROMA. Suo padre è maestro autorevole di commedia all'italiana. Suo zio ha firmato opere di toccante delicatezza. Suo fratello ha giocato con film cosiddetti commerciali e poi si è affermato come uno dei registi più significativi della nuova generazione, uno di quelli che hanno restituito vitalità al nostro cinema. Con queste premesse, che poteva fare Claudio Risi se non mettersi a fare cinema sul serio? Per uno come lui, che frequenta i set da sempre, che del cinema ha imparato i diversi mestieri, che si vanta di una solida gavetta, è inesatto parlare di debutto. Anche perché ha già firmato regie tv, con tanto di successo di audience per tre serie di I ragazzi della terza C, un'esperienza che non rinnega. Anzi, è stato utile e piacevole, perché si trattava di storie pulite, senza droga né falsi messaggi giovanili. Adesso affronta il cinema serio con un film che si chiama , un diretto nel linguaggio della boxe, un colpo non di offesa ma di mantenimento, per tenere la distanza. L'idea mi è venuta leggendo un articolo di Giuliano Prasca su la Repubblica sulle palestre romane. Mi sono entusiasmato per l'ambiente che scarica la violenza. In un momento in cui il cinema racconta il disagio giovanile con disperazione, ho cercato un altro punto di vista, la storia di un ragazzo che lotta sul ring e nella vita per non perdersi, uno che crede ancora nel valore della pulizia interiore. Moreno, il protagonista di Jab vive in una famiglia di donne - la madre che fa i servizi a ore, una sorellina che va a scuola, una nonna che vegeta davanti alla tv - in un palazzone di borgata, uno di quelli che si svuotano al mattino quando tutti vanno a lavorare. È un ragazzo che lavora saltuariamente da idraulico, ma il suo interesse è la boxe. Da dilettante vuole diventare professionista, attraverso i sacrifici, il lavoro, il rigore, la disciplina che la boxe richiede. E in un ambiente dove la droga è nel quotidiano, dove quelli della Usl non possono fare altro che darti le siringhe dice Claudio Risi che si è preparato al film frequentando le periferie dell'emarginazione. Ho incontrato molti ragazzi come il mio protagonista, deliziosi, ma sempre un po' al limite. E ho conosciuto Mario Aglietti, un anziano istruttore di pugilato che pensa anche a formare il carattere: non essere deboli, non cadere nella tentazione del guadagno facile. È un uomo severo, amato da tutti, l'unico punto di riferimento per tanti ragazzi, che gli raccontano qualunque cosa, se fanno l'amore, che cosa mangiano, che cosa sognano. La filosofia di Aglietti è semplice: Se fanno due ore di palestra non hanno tempo né voglia per fare cazzate. È uno sport durissimo, quelli dentro sono tutti a posto. Aglietti è un personaggio importante nel mio film. Le riprese di Jab sono finite a metà dicembre. È stato girato a Roma, in quartieri tristemente famosi, Casal Bruciato, Corviale, le Torri al Salario. È un concentrato di borgate e di disgregazione. Il racconto si svolge nell'arco di un mese, durante il quale Moreno incontra una ragazza africana, un amore drammatico: lei non ce la fa a salvarsi. Moreno è Riky Menfis, il ragazzo apparso al Costanzo Show, lei è Johara. Jab è un film indipendente, prodotto senza prevendite tv da Mauro Morigi per la Mdp (Movie Development & Production), con un budget di due miliardi e mezzo. Claudio Risi lo dedica a Pasolini: La mia ambizione è di scavare nelle difficoltà del reale, nella vita, che non è quella che la gente vede alla televisione. Sono le due società di Pasolini, che ha raccontato con tanto acume gli ambienti dove ho girato.... Ambienti molto vicini alla Palermo di Ragazzi fuori, ma non è per un complesso nei confronti di suo fratello Marco che Claudio Risi ha fatto Jab. Da sempre i temi sociali mi hanno coinvolto. Da ragazzino i miei amici erano barboni, guardiani di circo, contorsionisti, poveri del quartiere. È solo che non ho mai avuto occasione di fare questo cinema e un film così è possibile solo oggi. Negli anni Settanta, dopo le speranze del '68, sarebbe stato improponibile un film sociale, c'era troppa disperazione intorno. Ora il cinema per fortuna ha ritrovato certi spazi, proprio grazie a film come quelli di Marco. E sono felice di seguire il suo percorso. di MARIA PIA FUSCO “La Repubblica”, 28 dicembre 1990 “La Repubblica”, 11 novembre 2005 FABIO GAMBARO

I LUOGHI DEGLI ESCLUSI E LA MODERNITÀ FALLITA PARIGI - «Se oggi la periferia è un mondo che fa paura nel quale sembra impossibile avventurarsi, è anche perché negli ultimi decenni questo luogo tipico della modernità urbana ha conosciuto una trasformazione radicale che ne ha stravolto gli spazi e le relazioni sociali». Marc Augé, l'antropologo dei nonluoghi che si è spesso interrogato sui codici e sui riti della contemporaneità, parla delle periferie come di una realtà complessa e in movimento, difficilmente riconducibile a poche coordinate stabili e definite. Per l'autore di Un etnologo del metrò e del Senso degli altri, oggi esistono molti modelli di periferia spesso sovrapposti gli uni agli altri. «In passato», spiega, «la periferia era una specie di mondo intermedio tra la città e la campagna. Oggi le frontiere tra questi due mondi appaiono più incerte. L'urbanizzazione ha destrutturato la città, sviluppandola lungo i grandi assi di comunicazione e dando vita a un tessuto urbano ibrido che si estende un po' dappertutto. Al suo interno sono sorti diversi tipi di periferia imbricati l'uno nell'altro. Accanto all'universo tradizionale delle villette a schiera sono nati i quartieri dormitorio fatti d'immensi caseggiati di molti piani. Questi nuovi quartieri privi di strutture sociali e di servizi sono spesso isolati dallo spazio circostante, anche se sorgono accanto ad altri agglomerati urbani. Spesso i primi sintomi di tensione nei quartieri periferici appaiono proprio al confine tra i diversi tipi di periferia. In Francia, ad esempio, nelle villette a schiera vivono i rappresentanti di una piccola borghesia ripiegata su se stessa, mentre nei quartieri dormitorio sono concentrate le popolazioni d'immigrati». è sempre stato così? «I grandi quartieri dormitorio nati negli anni Settanta oggi sono decrepiti e sull'orlo dell'esplosione. Rappresentano il fallimento di un'idea di modernità. Inizialmente però rappresentavano il sogno di una vita migliore. Erano il simbolo di un possibile progresso sociale. L'evoluzione socio-economica li ha trasformati in ghetti pieni di disperazione e risentimento. Sono stati abbandonati, senza completare le infrastrutture sociali e culturali necessarie. A poco a poco sono diventati dei luoghi di parcheggio per le popolazioni immigrate flagellate dalla disoccupazione. Dovevano essere uno spazio d'integrazione sociale, ma si sono trasformati in un luogo d'esclusione. Le periferie degradate sono diventate il polo negativo della società, un polo che catalizzato le paure degli altri». Tra questo tipo di periferia e il resto della città esistono ancora delle relazioni? «Sempre di meno. Nelle grandi metropoli il tessuto urbano è sempre più composito e sfrangiato, ma al suo interno la segregazione spaziale è sempre più marcata. Anche quando i quartieri dormitorio si ritrovano all'interno delle città, restano pur sempre un mondo separato. Gli abitanti di questi quartieri e gli altri si ignorano. Non hanno relazioni sociali. è come se non si vedessero. Di conseguenza ognuno proietta sull'altro i propri fantasmi e le proprie paure. Chi abita in centro immagina le periferie come un universo di violenza, mentre chi abita in periferia immagina il centro come il luogo in cui si concentra tutto ciò da cui si sente escluso». I grandi quartieri dormitorio vanno considerati come dei nonluoghi? «A noi appaiono come dei nonluoghi, vale a dire spazi anonimi senza tracce della storia di chi vi ha vissuto o delle relazioni sociali che vi si sono sviluppate. è però un'impressione relativa, perché per gli abitanti di questi luoghi cosi poco attraenti sono comunque l'unico spazio con cui identificarsi. Sono l'unica realtà che conoscono e la sola in cui non si sentono estranei. Sono spazi degradati e infelici, ma inseparabili dalla loro storia. Gli abitanti li investono di senso e di un'identità che spesso è un'identità reattiva, nata dal sentimento d'esclusione. Per i giovani tra i quindici e i venticinque anni che hanno l'impressione di non aver alcuna collocazione nella società, il quartiere diventa l'unico spazio di cui appropriarsi. Questo spazio molto limitato e da cui raramente possono uscire diventa il loro territorio da difendere». In questo modo la frontiera tra periferia e resto della città diventa sempre più invalicabile. «Chi abita la periferia finisce per interiorizzare la frontiera che separa dagli altri quartieri. Non a caso, quando i giovani delle periferie vanno in centro, restano quasi sempre tra di loro. Frequentano gli spazi che più ricordano l'anonimato dei loro quartieri. La frontiera è nella loro testa. è come se restassero confinati nelle periferie anche quando si trovano altrove. Naturalmente a tale situazione contribuiscono molto gli altri, che proiettano sulla periferia i loro pregiudizi e la loro diffidenza. A furia di sentirsi considerati diversi, i giovani delle periferie finiscono per rivendicare tale diversità». Perché spesso si organizzano in bande? «La sensazione di non avere alcun destino personale all'interno della collettività nazionale li spinge a crearsi il rifugio delle mini collettività a base territoriale. Ciò consente loro di ritrovare un'identità collettiva, costruita in opposizione al mondo che non li vuole accogliere. In questi piccoli gruppi si mischiano persone d'origini molto diverse, dando luogo a identità meticce lontane da quelle tradizionali. Sono identità che poi si connotano attraverso un linguaggio, i comportamenti, i modi di vestire, eccetera. Così, le tribù periferiche diventano produttrici di cultura, nel senso che creano modi di comportamento e di comunicazione. Va però anche ricordato che spesso le micro comunità riproducono i modelli d'esclusione che subiscono, applicandoli nei confronti di coloro che vivono al di fuori del loro spazio». Come mai la periferia è sempre associata alla violenza? «Non credo che il mondo delle periferie sia più permeabile di altri alla violenza. è piuttosto la visione degli altri che proietta incessantemente la violenza su questi quartieri, come se fosse la loro unica dimensione. Nel secolo scorso il potere temeva quelle che chiamava le "classi pericolose". Oggi il discorso dominante sta fabbricando delle nuove "classi pericolose", solo che si tratta essenzialmente di gruppi di giovani localizzati in determinate aeree urbane. I giovani che oggi si rivoltano nelle periferie francesi spaccando tutto agiscono come se all'improvviso volessero aderire in toto all'immagine che la società si è fatta di loro. La loro violenza è un sintomo di delusione e una domanda. Per delle persone costantemente discriminate a causa del quartiere in cui vivono, del colore della pelle o del bagaglio economico e culturale, la violenza diventa un modo per esistere ed essere riconosciuti. Senza violenza, nessuno si occuperebbe di loro. Naturalmente la mia è solo una constatazione e non una giustificazione». Trasformando e riabilitando gli spazi delle periferie è possibile invertire la tendenza? «Lo spazio e il sociale sono sempre interconnessi. Purtroppo però non basta trasformare lo spazio per modificare le relazioni sociali. Il risanamento dei quartieri deve far parte di una battaglia più generale contro l'emarginazione socio-economica di chi vi abita. Detto ciò, gli interventi urbanistici possono essere utili per superare l'isolamento. Il degrado dello spazio non solo esprime il degrado sociale ma lo moltiplica. Rinnovare e trasformare i ghetti urbani è un modo per riconoscere e valorizzare chi li abita. E quando ci si sente rispettati, si rispettano di più anche gli altri».

FABIO GAMBARO “La Repubblica”, 11 novembre 2005 “Corriere della Sera”, 7 marzo 2004, p. 47 LILLI GARRONE

LE OPERE D'ARTE SBARCANO AL QUARTO PIANO DI CORVIALE

Per i lavori stanziati 253 milioni di euro cantieri aperti entro la fine dell'anno.

Firmati i «contratti di quartiere», quindici progetti per riqualificare le periferie

C'è anche l'idea di portare una succursale del «Macro», il Museo di arte contemporanea del Comune, e la facoltà di Architettura dell'Università La Sapienza al quarto piano di Corviale, il palazzone lungo un chilometro sulla Portuense, tra i 15 progetti di riqualificazione di altrettanti quartieri romani che il Campidoglio, d'intesa con la Regione e l'Ater (l'Azienda territoriale per l'edilizia residenziale), si appresta ad avviare. «Portare architettura a Coriale sarebbe una sorta di contrappasso dantesco per una struttura di quel tipo», ha affermato il presidente del XV Municipio Giovanni Paris. Quindici contratti di quartiere, approvati in una Giunta straordinaria alle 8 di mattina due giorni fa, che da domani passeranno al vaglio dei cittadini dei Municipi interessati e che entro l'8 aprile dovranno arrivare in Regione per l'approvazione definitiva, ma sicura, vista la presenza ieri mattina in Campidoglio con il sindaco Walter Veltroni dell'assessore agli Enti locali della Pisana, Donato Robilotta: «È importante questo spirito di collaborazione per interventi che migliorano la qualità della vita dei cittadini - hanno osservato Veltroni e Robilotta - a prescindere dai diversi colori politici delle istituzioni». Quindici contratti finanziati con 253 milioni di euro nel loro complesso, dei quali 114 milioni del Ministero per le Infrastrutture e circa 139 milioni della Regione Lazio. Dopo l'approvazione della Giunta regionale partiranno i bandi per i lavori che, secondo le attuali previsioni, potranno partire entro l'anno per essere realizzati entro due anni. Tra i progetti la realizzazione di asili nido e centri polivalenti, ma anche la riqualificazione di piazza dei Sanniti e via degli Ausoni a San Lorenzo, nel III Municipio, il bocciodromo di via Monte Petrella a Vigne Nuove nel IV, la risistemazione del nodo di Ponte Mammolo, e il recupero di alcuni edifici danneggiati da un incendio nel V, gli ascensori e la sistemazione delle parti comuni negli immobili di Villa Gordiani nel VI, e importanti interventi al Quarticciolo nel VII, compresa la realizzazione di un asilo nido per 60 bambini. È nel X Municipio, come ha ricordato il presidente Sandro Medici, una delle riqualificazioni più importanti con il recupero degli edifici dell'ex Ina Casa al Quadraro, ormai significativi esempi di architettura, o al Laurentino-Ostiense dove saranno realizzate opere infrastrutturali. E «nei prossimi giorni - ha aggiunto il presidente dell'Ater Marco Di Cosimo - vareremo un piano di manutenzione e riqualificazione dei nostri immobili per oltre 100 milioni di euro», mentre l'assessore alle Periferie Luigi Nieri ha ricordato quanto è già stato fatto per Corviale: «Anche per questi progetti - ha detto - la collaborazione con i cittadini sarà massima». LILLI GARRONE “Corriere della Sera”, 7 marzo 2004, p. 47 “La Repubblica”, 15 ottobre 2004 CECILIA GENTILE

ABBATTERE CORVIALE? FANTASIE Abbattere Corviale. Consegnare alle ruspe le case dove da oltre 20 anni vivono 6.500 persone. Lo consentirebbe il disegno di legge delega per l'ambiente sul quale il governo ha chiesto e appena ottenuto la fiducia dal Senato. Il provvedimento, contestatissimo perché stabilisce il condono degli abusi nei parchi, prevede anche la demolizione degli ecomostri, come, per esempio, il gigantesco complesso fuorilegge di Punta Perotti, sul litorale di . Ma di Corviale, discutibile serpentone lungo un chilometro nella periferia sud ovest, si può dire tutto, tranne che sia abusivo. «Il caso di Corviale - spiega il ministro ai Beni e alle attività culturali Giuliano Urbani - ci è stato segnalato più volte dalla Sovrintendenza come un esempio di scempio urbanistico, perciò è finito in un simbolico elenco di interventi contro gli ecomostri. Quanto alla demolizione e alla successiva riqualificazione, è una possibilità sulla quale devo documentarmi». «Non serve che Corviale sia abusivo per abbatterlo - sostengono all'Ufficio legislativo del ministero - la legge delega istituisce un fondo finanziato con i proventi della sanatoria degli abusi nei parchi al quale attingere non solo per demolizioni, ma anche per interventi di riqualificazione». Dunque Corviale rientrerebbe nella casistica: prima l'abbattimento, poi la ricostruzione. Il sindaco Walter Veltroni, già infuriato per i contenuti del maxiemendamento, esprime subito il suo secco dissenso: «Apparirebbe davvero singolare e in stridente contraddizione con la conclamata volontà di realizzare il federalismo, la pretesa del governo di decidere in una materia che appartiene in modo del tutto evidente alle competenze e alle responsabilità del Comune». E ancora: «Gli abitanti di Corviale hanno tutto il diritto di non essere turbati o spaventati da fantasiosi scenari di abbattimenti ipotizzati nel quadro di una legge confusa, sbagliata e gravemente lesiva dell'ambiente». Rincara la dose Luigi Nieri, assessore alle Periferie: «L'inserimento di Corviale tra gli edifici da abbattere mi ricorda le deportazioni del regime fascista. Il Comune di Roma percorre strade diverse, sta investendo tantissimo nelle iniziative di riqualificazione: un centro di formazione professionale, una delle migliori biblioteche della città, un centro di orientamento al lavoro, un laboratorio territoriale». Da domani alle 20.30 Corviale avrà anche un suo spazio televisivo gestito da cittadini e Comune, si chiamerà "Corviale Network" e trasmetterà alle frequenze di Roma Uno. «È solo una trovata per gettare fumo negli occhi - commenta la senatrice verde Loredana De Petris, ex assessore all'Ambiente di Roma - Con il discorso degli abbattimenti si vuole depistare dalla gravità di questa legge che introduce un nuovo condono, depenalizza una serie di abusi e introduce un modo assolutamente discrezionale di valutare la compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti illegalmente». - Ieri Corviale è stato progettato dall'architetto Mario Fiorentino, che si è ispirato a Le Corbusier, ed è stato realizzato fra il '73 e l'81 - Oggi Nel quartiere, dove vivono 6.500 persone, sono in corso progetti di riqualificazione, c'è anche un network che dà voce ai cittadini - Domani Verrà demolito e ricostruito? Il Campidoglio ha abbandonato questa ipotesi, optando per gli interventi socio-culturali. CECILIA GENTILE “La Repubblica”, 15 ottobre 2004 6 Italia lunedì 9 giugno 2003

Maria Grazia Gerina to. Ora è lì che Fabrizio, insieme ad altri «giovani imprenditori» come lui, andrà a lavorare. Sarà ROMA Non è facile immaginare di ospitedelComune, cheha ristrut- poter cambiare quando ti ritrovi turato il locale - seicento metri davanti un chilometro di cemen- quadri divisi in dieci ambienti tocheormaièlìdapiù divent'an- più la sala per le riunioni - e lo ha ni a disegnare l'estremo confine predisposto per il progetto «Incu- della città, da batore di im- una parte Ro- presa». L'idea è ma, dall'altra la fornire a tem- campagna ver- po spazio e ser- so Fiumicino. vizi necessari a Antonello se far decollare ne sta seduto nuove imprese su una panchi- d'arte, di servi- na proprio lì, Roma, la nuova pelle del «Serpentone» zi, di consulen- davanti a quel za. Per diciotto chilometro di mesi, pagando case popolari un affitto sim- costruito in pie- Corviale, periferia ovest: imprese d’arte e servizi per rilanciare un tormentato quartiere della Capitale bolico, i neo ni anni Settan- imprenditori ta che poi è il avranno a di- posto dove è sposizione ol- cresciuto. tre allo spazio, Corviale, il computer, con- «serpentone» sulenze, forma- come lo hanno zione. Poi, subito ribattez- quando avran- zato i romani, no imparato a quartiere che camminare da nell’immagina- soli, faranno rio collettivo è spazio ad altri. diventato sim- Giuseppe bolo di proget- Pinna, respon- ti avveniristici sabile del pro- e di degrado. getto gestito da «Forse un gior- un'associazio- no me ne an- ne temporanea drò via», è il di imprese massimo che (Fpm & Part- Antonello rie- ners, Coin, sce a pensare Speha Fresia), mentre per un fa due conti: attimo si rivede bambino catapul- Due immagini «In poco tempo a Corviale si po- tato all'inizio degli anni Ottanta dei ballatoi trà creare occupazione per parec- nel bel mezzo della «scintillante interni di chie persone, anche perché ver- nuova periferia», più simile a una Corviale (foto ranno favorite le attività che pro- landa desolata, nei suoi ricordi. di Stefano De gettano di assumere o dare stage «Non c'era nemmeno l'autobus e Luigi e Angelo e apprendistato a chi vive a Cor- a scuola ci si andava a piedi». Turetta) ,in viale o che appartiene a categorie Fabrizio, 23 anni, è cresciuto alto il lungo svantaggiate». poco lontano dal «serpentone», a edificio visto Nato all'interno della legge Casetta Mattei, già periferia ma dalla Bersani per incentivare l'occupa- costruita su scala «normale» fatta campagna zione e l'imprenditorialità, l'Incu- di case popolari e palazzine a (foto di Tano batore è l'ultimo segnale lanciato schiera. Corviale è sempre stato D’Amico) dal Comune per recuperare Cor- per luiun mondo a parte,un po- viale. «Abbiamo deciso che qui sto dove non c'era nessuna ragio- bisognava tornare, sfidare luoghi ne per andare. «Esisteva come comuni, difficoltà reali e fare brec- una linea invisibile tra noi e lo- cia nella diffidenza delle persone ro». Adesso ci andrà tutti i giorni, 30 anni di storia maturata in anni e anni di degra- perché Corviale gli ha trovato la- do», spiega l'assessore Luigi Nie- voro. Fabrizio Spagnolo è un arti- ri, responsabile delle Politiche sta, realizza vetrate colorate. Ma per le periferie. ha bisogno di spazio per lavorare. Nicoletta e Tiziana, che come Nel palazzone chilometrico ce ne il ragazzo della panchina sono cre- è in abbondanza, anche se quasi Un grande progetto di cui è rimasto solo l’involucro sciute nella casa-chilometro, la tutti i locali ormai sono stati occu- diffidenza l’hanno già messa da pati - compresi quelli concepiti parte. Si sono guardate attorno e per negozi e servizi, abbandonati Renato Pallavicini hanno cominciato a contare alcu- per anni, poi diventati case abusi- ne delle cose che ancora manca- ve. È così che Corviale, città nella l nuovo Corviale è un grande complesso organico» (è la definizione di siste- liana, che sconta tutti i peccati della città: una lunga, troppo lunga gestazione, quando no a Corviale. Servizi ai bambini, città, unità autosufficiente, si è “sistema” residenziale, un unico si- ma secondo lo Zingarelli) se non uno solo, gigantismo, concentrazione, alienazione, de- la città con cui avrebbe dovuto dialogare se assistenza ad anziani e disabili, at- trasformato nella «casa-chilome- «I stema edilizio che si sviluppa con ma molti di quelli elementi non funzionano grado. L’edificio di Fiorentino e soci èdiven- ne era andata, ormai, da un’altra parte, tività ricreative, iniziative per far tro». A largo Pio Fedi - quasi un continuità per la lunghezza di circa 1 km.». o addirittura non «nascono»?Così è andata tato così uno degli oggetti architettonici più una brutta parte e, certamente, non miglio- conoscere ai più piccoli il resto androne- che nella toponomasti- Il destino di Corviale sta scritto in quella per Corviale (come per molti altri interventi calunniati e più diffamati e si è trasformato, re della «stecca» lunga un chilometro di Fio- della città. Da qui hanno deciso ca locale indica uno dei cinque parola sistema, usata nella relazione tecnica di edilizia economica e popolare degli anni suo malgrado, nel simbolo di una città disu- rentino e soci. che partirà la loro impresa, dal- snodi in cui confluiscono i mean- che accompagnava il progetto coordinato da Sessanta eSettanta, da Spinaceto al quartie- mana. E pensare che il Corviale nella sua Del resto, per realizzare simile progetto e l’Incubatore, nella pancia del «ser- dri del palazzo, doveva esserci la Mario Fiorentino, concepito nel 1973 ma re Zen di Palermo): è andata che le scuole, perentorietà, nel suo monumentalismo che tale ambizione, Corviale non poteva farcela pentone», che come recita lo slo- scuola. Fino a qualche mese fa arrivato a compimento soltanto nel 1982. gli asili-nido, i parchi, le botteghe artigiane, richiamava «alla memoria gli acquedotti e i da solo:aveva bisogno dell’aiuto e della par- gan coniato per l’occasione «ini- c'era solo uno spazio abbandona- Sistema, dunque, e non semplice edificio: gli impianti sportivi si sono perduti per stra- grandi ruderi del paesaggio romano», vole- tecipazione di molti, a partire da quella dei zia a cambiare pelle».

complesso di alloggi più spazi verdi, più ser- da. va opporsi proprio ad una logica di crescita suoi abitanti. Scriveva Mario Fiorentino nel- vizi di base (asili-nido, scuole materne, eser- Il sistema, insomma, non è mai nato. E della città fatta di aggiunte successive, disor- le considerazioni su Corviale che accompa- Il Comune ha cizi commerciali di prima necessità), più ciò che di quell’organismo è venuto alla luce dinate e prive di qualità formali. Figlio di gnarono il progetto che «la partecipazione Per 18 mesi i neo ‘‘ decine di locali destinati a botteghe, studi è un involucro, un coriaceo guscio di cemen- una lunga tradizione architettonica di edili- degli abitanti a questa gestione sarà determi- ‘‘ ristrutturato un vasta professionali, attività artigianali, ambulato- to che riveste uno scheletro da dinosauro, zia popolare, che va dal Karl Marx Hof di nante nel ruolo che i ricchissimi “servizi”di imprenditori area per crearci un ri; più, collegati all’edificio principale da un possente ma al tempo stesso debole, perché Vienna all’Unità di abitazione di Le Corbu- Corviale assumeranno:luoghi di vita sociale avranno a ponte pedonale, altri servizi, un teatro, un svuotato degli organi che avrebbero dovuto sier a Marsiglia, il Corviale ambiva nello reale o strutture morte gestite burocratica- «Incubatore di ristorante, un belvedere; più una polisporti- renderlo vivo e vitale. Ed è successo che in stesso tempo a superarla, rifiutando il mito mente». Ora le iniziative di alcuni abitanti disposizione spazio impresa» con affitti va con campi da tennis, da pallacanestro, quegli interstizi, in quelle cavità lasciate vuo- dell’autosufficienza, anzi dichiarando di vo- e del Comune di Roma per riqualificare computer, consulenze una palestra e una piscina (tutto questo sta te si siano installati abusivismo e degrado. lersi proiettare nella città circostante e di Corviale (di cui si parla in questa pagina) simbolici ancora nella relazione di progetto). Critici e detrattori hanno fatto del Cor- riuscire a promuovere «una più estesa tra- possono davvero fare da «incubatore» per formazione Ma può funzionareun sistema, può fun- viale e del fallimento dell’utopia urbana che ma di spazi urbani». In questo senso la vi- una nuova vita di questo coraggioso tentati- zionare una «pluralità di elementi materiali neera alla base, un capro espiatorio, l’agnel- cenda di Corvialefu un fallimento, un tenta- vo di disegnare un’altra città che è stato il coordinati tra loro in modo da formare un lo sacrificale dell’architettura moderna ita- tivo generoso ma esausto, partorito dopo Corviale.

ROMA «Non è il mostro che dicono, ce del Centro per l’orientamento al lavo- oggi poi sarebbe un quartiere come un ro, che ogni giorno cerca di trasformare altro, se non fosse per quel segno dritto, il disagio in percorsi di occupazione. lungo un chilometro, che taglia l'oriz- «Abbiamo iniziato a lavorare senza zonte...». Voglia di sbarazzarsi di un nemmeno i telefoni, o un computer», marchio, uno stereotipo, un segno che «Basta marchi, non è il mostro che dicono» racconta la responsabile della formazio- pesa. È un atteggiamento diffuso in chi ne professionale, Mara Sbragaglia: «Era abita a Corviale. Quel segno diritto, pe- Racconti e speranze dei 6000 abitanti di un palazzo-muraglia alto nove piani e lungo un chilometro l’estate del 2000 e andavamo porta a rò, «è» Corviale. Palazzo-muraglia alto porta a cercare futuri studenti». Flavio, nove piani, che corre perpendicolare al- 18 anni, prima di approdare al centro la strada verso l'aeroporto a tracciare per un tratto da piccoli orti e da qual- corgesse di loro. «Tutto era faticoso, casa», le risponde Rita, che conta «di- Vent’anni dopo, Corviale non è cooperative che negli ultimi anni han- di via Mazzacurati, ne ha provate tante un confine geometrico tra la città e che baracca a ricreare un paesaggio da anche andare a comprare il pane. Non ciotto anni di lotte»per ottenerel'auto- più solo un segno di cemento lungo un no portato a Corviale musica, cinema, di scuole: per diventare cuoco, elettrici- l'agro romano. vecchia borgata. «Noi li chiamiamo gli c'era nulla, nemmeno l'autobus, a parte bus che porta fino in centro, il verde chilometro. Dentro è quasi un paese, teatro. Visto da qui il serpentone, pochi sta, ragioniere. Nessuna andava bene. Progetto avveniristico di edilizia po- orti di guerra». il verde, insieme e la sporcizia che nessu- attorno sistemato in aiuole («anche se con la sezione Ds Pio La Torre al quar- metri più in là, è un’immagine negativa Non a caso nel dedalo di corridoi, torri, polare, Corviale è casa per oltre seimila «Quando sono arrivata qui, mi è no toglieva, le siringhe sul prato, il sen- per dire si sono dimenticati le fontanel- to lotto e la sede di An, al secondo, che di cui forse ci si può liberare. androni del serpentone il tasso di di- persone, che poco più di vent'anni fa sembrato un incubo questa landa deso- so di abbandono». Adesso Rina fa parte le»), un supermercato («ma i prezzi so- si fronteggiano come un tempo don Ca- «Molte delle persone che si rivolgo- spersione scolastica è tra i più alti della vivevano sparse per la città, al Quadra- lata», dice Rina, 42 anni, che a Corviale del neo-costituito «Laboratorio di quar- no più alti che fuori») e la scuola dove millo e Peppone. Nel '93, per la prima no a noi sono donne, che non hanno capitale. Ora sta per prendere una quali- ro, alla Magliana vecchia, alcuni nelle abita dal 1984. Ricorda le ronde nottur- tiere», un coordinamento nato per ri- mandare i bambini («però manca l'asi- volta, An è passata in testa, ma l'ultima più della terza media, vivono di lavori fica come «operatore grafico informati- baracche, prima che fossero abbattute. ne, gli uomini che facevano le nottate lanciare a partire proprio dagli inquilini lo nido»). L'idea dell'abbattimento, tornata elettorale ha spostato di nuovo precari e scontano in pieno la crisi del co» insieme ad altri dieci ragazzi che

L’edificio presto ribattezzato «serpento- di guardia e le donne che andavano a la questione «Che fare di Corviale?». ogni tanto rilanciata soprattutto da de- il consenso. Al secondo lotto, il centro Welfare. Oppure sono immigrati, alle qui sono arrivati anche dalle zone attor- ne»o «stecca», «casa chilometro», dove- riprendersi i figli dalla droga, i blocchi Qualcuno pensa anchea un vero epro- stra, non trova consenso nel vicinato anziani è uno dei più belli di Roma. prese con le domande di regolarizzazio- no a Corviale. E dopo? Qualcuno parla va inglobare scuole, negozi, servizi e stradali perché il resto della città si ac- prio referendum popolare. Nel frattem- che il pomeriggio si ritrova ai giardinet- «Qui ci vengono a ballare da tutta la ne», racconta Donata Magnani, direttri- di tentare un’impresa di grafica. «Per rappresentare la nuova frontiera della po, la discussione è aperta nei giardinet- ti con figli e nipoti. Prevale la voglia di città», dice Sergio Olivieri, pensionato. me, va bene pure se faccio il barbone», periferia. Posa della prima pietra: 1975. ti davanti alla grande muraglia. normalità. «Basta parlarne male di que- Al mattino si alza alle sei e mezzo per dice Pablo, che è un duro e preferisce L'anno in cui moriva Pasolini. Ma il Prevale la voglia Racconti e ricordi si ripetono nei sto posto», dice Andreina, anche se sa correre ad aprire le porte al regno della Terminato nell’82 per tagliare corto con le aspettative. «Ti ‘‘ sogno durò poco. E oltretutto non fu ‘‘ racconti degli inquilini. Ersilia, che ha che più di metà degli ascensori non fun- terza età: cucina, sala hobby, sala musi- conviene accontentarti, non illuderti mai completato. Lungo il quarto piano di normalità superato i cinquant’anni, dell'arrivo zionano echeèuna lotta contro imuli- ca, campo di bocce. Dall’altra parte del- ora non è più mai, adattarti», spiega un’ex allieva. An- che doveva essere popolato di negozi e L’idea qui ha fissato per sempre anche la data: ni a vento continuare a chiedere manu- la strada che avvolge il «serpentone», a solo un lungo segno che se lei un lavoro grazie alla qualifica attività commerciali, scorrono come su «8 dicembre 1982». È una delle prime tenzione e interventi allo Iacp che gesti- via Marino Mazzacurati, dopo due de- l’ha già trovato, continua a pagare un una catena di montaggio le case degli dell’abbattimento cara assegnatarie, ma non si è affezionata sce la manutenzione del mastodonte. cenni, sono comparsi i primi servizi, di cemento prezzo alla disillusione. Come Pablo ultimi inquilini che, finiti gli apparta- alla destra non trova più ditanto alposto:«Stai qui perchéci Anche lei è una veterana. Dall''82 abita oltre alla sede del nuovo municipio e al ma quasi che di mattina frequenta il centro di menti, abusivamente hanno occupato devi stare. In Francia una costruzione al secondo piano del quarto lotto. Una comando dei vigili urbani. La bibliote- formazione e il pomeriggio lo passa alla gli spazi liberi, o meglio inutilizzati, e consensi così l'hanno buttata giù», si lascia anda- casa grande, con vista sulla campagna. ca comunale (modernissima, luminosa, un paese «buca... vicino alla marrana... dove sep- poi il piano lo hanno chiuso con un re a uno dei luoghi comuni su Corviale, Corviale è anche questione di prospetti- aggiornata), il centro di formazione pro- pelliscono i cani...», dice scomparendo cancello. Al pian terreno invece, la fa- l'abbattimento. «Ma che sei matta?! Io ve. «Pensa che prima di venire qui abita- fessionale, quello per l’orientamento al in una scena ancora pasoliniana. scia verde della campagna è costeggiata ci ho speso milioni per risistemare la vo in ventotto metri quadri». lavoro e gli spazi ricreativi gestiti dalle m.ger.

Alemanno e il «mostro»che non è riuscito a sconfiggere. Parla lo storico Vittorio Vidotto: le paure che la sinistra non era stata capace di governare e che la destra aveva promesso di eliminare sono ancora intatte - Il colloquio

MARIAGRAZIA GERINA ­ “L'Unità” | Roma, 3 maggio 2009, p. 54

Premessa necessaria: le periferie romane non sono come le banlieu parigine. «Dovremmo immaginarci rivolte di romeni o albanesi, che invece in pochi hanno scelto la via dell'illegalità e molti quella della piccola impresa». Detto questo: «Alemanno un anno fa si è presentato a Corviale con l'idea di abbattere il mostro, dicendo: una città così non vogliamo più. Ma una volta eletto come fai ad abbattere il mostro in cui vivono quelli che ti hanno votato?». Ecco il dilemma della destra al governo, Vittorio Vidotto, storico di Roma contemporanea, lo sintetizza così. Il mostro, fuori della metafora­Corviale, sono le periferie, le paure, il disagio, che la sinistra ­ secondo Vidotto e secondo l'elettorato romano evidentemente ­ non ha saputo governare. «Non puoi amministrare una città affidandoti al modello Caritas, una forza politica deve trovare soluzioni di sistema, cogliere i problemi in anticipo: la sinistra ha scandito un sistema di valori, questo sì, ma ha mancato di fare un'analisi degli interessi e dei problemi dei cittadini che hanno cercato risposte altrove, nelle promesse della destra», spiega lo storico. La promessa di capovolgere tutto questo abbattendo il mostro o «elminando lo zingaro sotto casa» è appunto invece il cuore del messaggio che ha permesso alla destra di vincere «parlando alla pancia della città». Una risposta che non fa i conti con la realtà, certo. È evidente più che mai in queste settimane. Ma ai fini del consenso ­ spiega Vidotto ­ non ha importanza: «Sollecitare l'irrazionale è un meccanismo vincente nei meccanismi di mobilitazione delle masse, la destra l'ha fatto ricorrendo alla parola chiave sicurezza il cui valore nel momento in cui la evochi prescinde dalla realtà». E fin qui siamo alle teorie di comunicazione di massa, fondamentali per capire come in una città come Roma si sia prodotto uno spostamento di opinione così consistente in un tempo assai breve. Poi c'è la realtà. Ecco è proprio alla prova della realtà ­ osserva Vidotto ­ che per la destra arrivano i dolori. Perché: come fai ad abbattere Corviale? Come fai a tener fede alle promesse che parlano all'irrazionale? Come fai a garantire la sicurezza in termini concreti e reali? «Ovvio che ci voglia più presenza di polizia e di forze dell'ordine, ma poi c'è una cosa che si chiama controllo sociale che è dato dall'intreccio consolidato di convivenze». E su quel campo la destra al governo balbetta. «Non mi azzarderei da storico a fare un referto preciso dopo un anno di governo, ma ci sono state delle reazioni scomposte, il meccanismo che abbiamo osservato nel caso dello stupro della Caffarella è chiaro: viene avvertita una pressione da parte dell'opinione pubblica a cui si dà una risposta scomposta, non professionale e questo è in generale pericoloso». Altro segnale pericoloso quello recepito dai gruppi di estrema destra. «Non credo volutamente, ma le organizzazioni militanti di destra hanno avvertito la possibilità di trovare maggiore tolleranza da parte dei nuovi inquilini del Campidoglio e questo non ha fatto bene alla città». ROMA [email protected]

MARIAGRAZIA GERINA “L'Unità” | Roma, 3 maggio 2009, p. 54 ro#otl3fc A l'Unità - Giovedì 24 marzo 1994 rosati £§3> A ... itm^tc

. Assemblea con il sindaco nella a Oggi pomeriggio Il sopralluogo a via Latina

È stato fissato pe oggi alle 15 il so- o della Commissione sta- bili pencolanti nell'edificio sgom- a sinistra ripensa o ì dai vigili del fuoco dopo che si a a una - da e al livello del - . La Commissione ha il compi- to di e l'entità ed il e dei i i venuti alla luce la «vivibilità» con il cedimento di e della pa- vimentazione. Si à e l'ipotesi di due i della So- , secondo i quali sot- to le fondamenta del palazzo, co- o negli anni '50, si e una e di un ipogeo . n nel Serpentone più, o valutati ì danni al palazzo, le à dei i di i e mezzo Campidoglio a , pe e con volo pieno di , o di consolidamento e i tempi di - . Quando e la - zazione. Nel palazzo di sei piani vi- gli abitanti del delle . Una a la o , dopo - vevano a 100 . a di . l sindaco si impegna a e ta minuti in cui ha diligentemente ascoltato e o appunti su tutti il piano abbandonato al o del , dove gli i che si sono succeduti o dovuto e i negozi, in i pe i facendo domande e si fa Ponte Galeria silenzio. «Abbiamo individuato e Chiesti 30 miliardi senza tetto. «E non basta un t e davanti alla scuola -di- i da cui à il ce- ma un . , con il o e Aci- mento di a - inizia - e dove di danni al Comune lia, è una delle e zone da cui à il . stiamo andando a e incontn co- me questi: uno è a Le e impegnate nella co- , dove siamo stati pochi i Rutelli, Montesano e Cecchini Incontrano gli abitanti di Corviale e dell' o di e fa, un o è e e la a zo- o s a hanno deciso di e pe RACHKLK OONNELLI na è quella di Acilia dove o 30 i di danni il Comune di nei i . Gli incontn so- , che il 17 o ha sospe- sa i a a , in una pidoglio: due i - - no fatti pe e le e e con le ciglia finte. È la - educativo alla e la - cali - e impegno - ci vuole so i i è non sono state a a di , a - co Cecchini e - l'indice delle à dei i cista comunale e aggiunge: «E ciò senza di una a del e un poliambulatono». Non dice do- e le e e e i piani della giunta pe il banistica e delle politiche del tem- da con due i che si sono già di- o a due passi da una scuola ve, né con quale , ma si . Un o blocco dei i sanamento di una delle zone più o e Amedeo , competente i disponibili». l o pia- a da bambini e adole- impegna a e a due mesi pe ci fu il 14 , quando le ditte e e disagiate della penfe- pe le politiche sociali - più il - A e si sente o no va o in i scenti. «Noi -spiega Simonetta Fa- una a dei passi in avanti fatti dente della commissione politiche a a che i - o la a del Campi- . i dei comitati di inquilini , abitabili, da e con una - sali- vogliamo il t o in un in questa Spiega che doglio di e i i pe fa- sociali o i e una a ai senza tetto, i o socio o o e o sull'anello - La gente fa la filape , co- a di i e tecnici a del e chiamano «vivibili- e i . i me e sotto l'incombente cui Amedeo , e tà». a insoluto il a del quelli che ci abitano», dice il - pe . a i tossicodi- o il 27 maggio dalla stazione di o dopo un mese, pe e - mastodonte di cemento del - dell'ufficio al delle o piano» che l'utopia - e degli inquilini. Viene pendenti del e devono - a i si po- ni, é il 17 o il Comune pentone. o l'acustica è pessi- . ù il e o chitetto che ha o il palazzo chiamata al o Simonetta e il San Camillo pe e à e un o ogni venti emise un' a sospensiva di ma e bisogna e pe a nel , salutato a i di - lungo un o e volu- Fasali, la e della scuola me- assistenza, o quindi - minuti o alla stazione con 90 i pe e alla Con- o é si capisca qual- za » e applauditissimo quan- to come piano «nobile» e della so- dia i , e con e fino a a del Sole a due una navetta Atac. i e a dei , che è stata con- cosa a il vocio indistinto e as- do a che «sono dieci anni, mi cialità e che invece si è o molti alunni e insegnanti. «Un - i da . - che il o piano à - vocata pe il 25 , di e le . Una ventina di e hanno detto, che non veniva nes- in piano del , degli occu- blema molto sentito è la a no a giovani, il - to ad . E dice che lo e economiche pe e e un lungo e con su < suno del Comune, qui, significa panti, delle case inventate dove a di un t a della te del o anziani, donne im- lacp si è impegnato pe 5 i le e di collegamento con l'au- : o alla casa, pe una che con il o voto avete cam- dovevano e negozi. ««Cosi ' Usi pe i tossicodipendenti Ap- e che chiedono e vi- nella manutenzione del - . «Ogni o di inattività a , comitato biato qualcosa». E aggiunge - non c'è un posto dove e uno o davanti alla scuola». L'in- gilanza delle e . . ne. o - e - non o coatta ci costa 300 milioni» sostie- e Cucco». l sindaco - lando della giunta : «Li studio medico é i locali sono o della e non è - i e nota. E . fa tutto, i soldi sono pochi, ci e ne in una nota o Santi, uno dei a i o mezzo Cam- ho visti, una , intomo ad un ta- tutti ad uso , a una o ma pone come poco «Non o il t in quei - la a . * . , i del e . Ed aggiunge che pe il - getto sono stati investiti 150 - di le fideiussioni sono di 110 mi- Campidoglio-Coni l business a nel Lazio i e le ipoteche sono di 600 mi- . Ai i o 300 im- - Una maratona e e gli edili occupati sono qua- " come a i in tasca si 1.500. a New York ai » Ronconi direttore Una maratona intemazionale come al Teatro di Roma quella di New York, zazione pe giovani , un labo- l'amministrazione capitolina Commissione pe la lotta alla - di un o dei i di af- o di nuova : decisa a trasformare lo sport In una minalità da Angiolo fidabilità del , non più basa- questi i punti chiave del piano di tonte di reddito e non una voce . ti solo sul . o la o di Luca i pe i suoi. passiva del bilancio comunale. «Lo i o Fiasco, o - difficoltà di e i dalle e anni di e al o di ' stadio centrale del tennis resterà to e o o hanno - * banche, infatti, spinge le e . Nominato un mese fa, il - gista si è o ien in veste di al fòro Italico. Cambiare significa sentato un o di 40 pagine in o agli . e e , annunciando cancellare gii IntemazkmaH di . sugli aspetti sociali, economici e infine a di sensibilizzazio- che ha accettato «con passione, se- tennis romana. È quanto, al -~ * i del fenomeno . E ne dei mass media. Come ha sotto- à e » la termine dell'Incontro ha dichiarato 11, o su bianco, c'è la : due- lineato , se la stampa a nonnina a . alla stampa il sindaco di Roma, mila , a il 2,5% del - di più del , le vittime - Francesco Rutelli. Per gH r vano il o di . Intemazionali di tennis la soluzione dito . La a è stata sti- alternativa è gii stata trovata: mata esaminando gli atti i e , il e della Fosse Ardeatlne l'attuale stadio centrale si di e mille e denunciate , o - Commemorazione trasferirà nel vicino campo di - pe questo tipo di . Sul modo ' mico, ha annunciato che à co- allenamento. Per quanto riguarda di e il , il o ' stituito un o pe e della Cgil Invece lo stadio Flaminio questo espone il a di o dei ' ad una e della legge - verrà ristrutturato portando da . a , quella nale pe le vittime di eventi - o i nella sede della Cgil 7.000 a 30-35.000 la capacità di e con e a ' nali che estenda anche alle vittime di a l'eccidio delle Fosse - recettiva. . > deatine, avvenuto il 23 o del Ap/Mano Giberna il o di a e e la degli i i benefici . '43. o , o e a dell'attentato o i tedeschi di via , ha - o i un o a il Comune e il . Soddisfatte e le i to come «l'azione non fu un atto isolato, ma un episodio della - a di , e o il a delle i o la popolazione é sapevamo Cinquanta nuove chiese sorgeranno in periferia che i i o con noi».

laggio ; Santa a delia già individuata in à Vica- santa a a , LUCA CARTA e a già assegnata Santa a a à ; Santa a sa Cinquanta chiese pe 500 mila Soddisfazioneanche di i in piano di zona 167,- o a già assegnata in della a (da e - fedeli nella a : è il che ha detto: «le chiese fanno e . chia) ; San o e piano di zona 167, Cinecittà ) ; san- Sdo), Santa a delle e contenuto di un o di inte- del o civile della città e di Nona) ; Natività di a ta a a Alacoque (To (Casal ; a da sa o questa mattina in Cam- - o l'elenco delle nuove chie- e ; a a , à ) ; San- e da quella di Santa - pidoglio a il Comune e il o se che, dopo la a del - del o e Sant'Agostino - ta a della c (No- a Janua Coeli (da ) .San ' Consorzio di a che dà il via alla - lo di oggi, o e edifica- e , à ; San mentano, La Cecchina , à Nicola di i (da e - Ostia) ; Cooperative zione nell' immediato , - te a : Sant'Alessio a già o (Colle ; o ; san o (Acilia, a da e da quel- Abitazione mine bando di o intema- definita, à ; San- Annibale a di a (Acilia à Vicanato); Santa a la di San e o (da , zionale di , a cinquanta a Avellino a già defini- ; o Luigi Guanella e o a da individua- e - ; Santa a (da aie ROMA nuovi i . o un ta, à Vicanato); San Ga- a già assegnata in piano di zo- ; Santa a da o a e o o Val Fio- mese comune, o e ministe- bnele dell' a a di- na 167, e di Nona); Chiesa da ; Santi Cinllo e - nta); San o (da , , una commissione sponibile in Via a da - Nazionale a a già defi- todio , à Vi- Sdo); Santissimi Elisabetta e Zac- tecnica, che secondo i -, di ; San Gaudenzio a già nita in à ) ; San - ; a da e cana (da ; a da compatibilità e ed am- assegnata in piano di zona 167 a a già assegnata in piano di da quella di San Tommaso - e da quella di Santi Simo- La qualità bientali, à le e pe l'e- ; San Giovanni della zona 167 e Spaccata); san Ci- no (To e Teste, à Vica- ne e Giuda o individuato in dificazione. o venticinque an- e a già assegnata in piano a in o di assegnazio- ) ; o José Escnvà - via i - e Angela) : - ni di a - ha detto monsigno di zona 167, Castel Giubileo); San ne in piano di zona 167, To Sa- tino, a à ; a da e da quella di i - che ha o le à Giuda Taddeo a già definita pienza) .San o di Guz- Sant' Agapito (da e pe am- San Tommaso Apostolo a 1, dell'abitare i alla , vedia- à ; San Giuliano man a da e in zona pliamento); Sant' Alfonso a ) ; a da - mo in questa e con a già definita à Vica- O, Cinquina); San Felicita (Fide- e Liguon (da ) ; Sant'An- e da quella di San Tommaso la nuova e capitoli- - nato); o a già nc, à ; san Lino a i (da ; Sant' Apostolo a 2 - i della na un'occasione a pe il bene definita à ) ; Santa (via C. , à Vicana- Atanasio (da e - Sdo) : Santa ) ; San Vincenzo e i (da Via o , 3 - Tel. 40.70.321 della città». a e dell' Ospitalità (ex vil- to) ; Santa a del o a a (da e - ) ; e Ostia).

f Monica Guerzoni “Corriere della Sera”, 8 aprile 2001, p. 51

CORVIALE, LE PROMESSE DELLA DESTRA. Fini e Tajani nel serpentone dei "meno fortunati" "Grazie onore', finalmente funziona". Comincia tra le pareti rosso Ferrari di uno dei 65 ascensori di Corviale, perennemente guasti, la campagna elettorale di Gianfranco Fini in periferia. Un milione di cittadini, "una parola da abolire". Erano il simbolo del degrado, gli ascensori del "serpentone" Iacp progettato nel '72 dall'architetto Fiorentino. La giunta Storace li ha fatti riparare e ora il presidente di An può offrirli a modello, promettere che il tempo delle chiacchiere è finito e che "questo monumento all'idiozia urbanistica" rinascerà. Può dire ai 150 che affollano lo stanzone del circolo di An che "anche i problemi insolubili si possono risolvere". Senza bacchetta magica, però. La chiama "rivoluzione del buon senso", la svolta tutta "cuore e intelligenza" che il leader di An è venuto a promettere alla gente di Corviale, cinquemila persone in un chilometro di cemento grigio. Fini arriva alle sette, dopo una corsa a sirene spiegate dall'Idroscalo dove per quaranta minuti ha raccolto gli applausi dei trecento del "Dollaro club", tante signore sedute perfino sui tavoli apparecchiati, un'atmosfera arroventata dalle parole di Teodoro Buontempo per la riscossa di Ostia, "mai più un quartiere dormitorio ma una risorsa per la città ". A Corviale invece, niente bagno di folla. Fuori piove ma al quarto piano della "città giardino" non ce ne sono più di 150, e molte vengono da fuori. I figli dei militanti intonano l'inno, il presidente prende in braccio una bimba con le trecce, poi attacca dal microfono che gracchia: "Chi ha progettato questo edificio merita un giudizio di condanna, perché non rispettava l'uomo, la famiglia, l'identità del singolo". Applausi, anche per il ticket Tajani-Angelilli e per il candidato al Senato Giuseppe Consolo, boatos per Fabio Rampelli e Marco Marsilio che gli abitanti chiamano per nome. "Questo edificio bolscevico calpesta l'identità di chi ci vive" dice Ines Cicirelli, 65 anni, dalla Magliana. Nove piani, 1500 famiglie in 1202 appartamenti, un tasso di disoccupazione che supera di tre volte la media cittadina, record di dispersione scolastica. Qui il "pezzo di carta" più diffuso è la licenza media, i laureati sono in tutto una ventina. "È un Bronx, sembra un altro mondo...", commenta un militante. "Corviale non merita di essere chiamato il Bronx di Roma - commuove il leader di An - Basta con le demonizzazioni. Voi siete solo meno fortunati di altri, non siete più delinquenti degli altri. Quanti ce ne saranno? Una decina, forse un centinaio. Ma ci sono anche migliaia di persone per bene che pagano le tasse come i cittadini dei Parioli". Poi, un annuncio. Se la destra andrà al governo, la prossima finanziaria destinerà 7000 miliardi in tre anni alle periferie italiane, e Roma ne avrà una bella fetta. Arriverà la luce, 120 mila famiglie avranno le fogne e l'acqua potabile, quattromila strade saranno illuminate, il manto stradale verrà rifatto. Poteva farlo la sinistra, rincara il presidente. Eppure di soldi ne sono arrivati tanti: i Mondiali di calcio, Roma capitale, il Giubileo... Ma sono mancate le idee, è mancata la volontà. "Rutelli qualcosa ha fatto, ha dipinto le facciate dei palazzi del centro...". Roma però non vive nel centro storico, vive a ridosso del raccordo. "Noi abbelliremo i palazzi di periferia - promette Fini - e anche Corviale sarà più pulita. Metteteci alla prova". La parola a Tajani, che già si vede sindaco di una "casa di vetro", un Campidoglio con le porte sempre aperte. Fini schizza via, la sala comincia a svuotarsi. Al piano terra cinque ragazzi, tutti manovali, arrotolano cartine. Sono di destra ("non picchiamo i neri, però"), ma loro l'ascensore per acclamare il presidente non l'hanno preso. Perché? Lo spiega Diego Contini, 26 anni, uno che "c'ha testa ma preferisce sfruttare le braccia". "Quando ci sono le elezioni vengono tutti, qui. Prima fanno potare gli alberi, tagliano l'erba. Poi si vota, e non si vede più nessuno. Rutelli faceva uguale, quando arrivava lui mettevano le fioriere, due giorni dopo se le portavano via. Comunque a Corviale se sta 'na favola, la gente si lamenta, ma io ringrazio Dio che me l'ha data, una casa". Monica Guerzoni “Corriere della Sera”, 8 aprile 2001, p. 51 GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 23 novembre 2002

LA BIBLIOTECA DEL SERPENTONE. FESTA A CORVIALE TRA MUSICA E LIBRI

A Corviale è arrivata una biblioteca: una struttura piena di libri, cultura e attività sociali intitolata a Nicoletta Campanella, un'impiegata comunale deceduta tre anni fa. I numeri parlano di 12.700 volumi, di cui 3.500 per ragazzi, un'emeroteca con giornali e riviste, 450 videocassette, 353 dvd, 222 cd musicali, 147 cd rom e ancora, uno spazio per la lettura da 50 posti, una sala ragazzi, un'aula per riunioni da 40 persone, un'isola multimediale con sei postazioni Internet, quattro punti video con Dvd e tre postazioni per l'ascolto della musica. Ma il centro polivalente di via Mazzacurati - 800 metri quadri solo per la biblioteca, proprio di fronte al serpentone di Corviale - comprende anche un centro di formazione professionale gestito dal Municipio, un laboratorio di quartiere, una ludoteca baby-parking e un centro di orientamento al lavoro. «E presto - spiega Igino Poggiali, presidente dell'Ente Biblioteche di Roma - questo sarà uno dei nostri due centri dove si potranno anche acquistare i libri». L'altro sarà a Cornelia, nella biblioteca aperta poche settimane fa. Nella mattinata di ieri il sindaco ha visitato tutta la struttura, circondato e festeggiato dai bambini che gli chiedevano autografi e dagli abitanti del quartiere, tutti uniti dalla forte voglia di riscatto. Luigi Nieri, l'assessore delle periferie, racconta che «in quel palazzone, architettonicamente discutibile, ci sono persone con le loro radici, che vogliono migliorare il loro quartiere. E questo può essere un modello». Il presidente del XV Municipio, Gianni Paris, parla apertamente di "Progetto Corviale": lui che qui ha portato le riunioni della sua giunta municipale, oltre al presidio medico e all'illuminazione in strade che ne erano prive. «E dalla biblioteca, intestata a chi tanto ha lavorato per questa zona, può partire il riscatto del quartiere, di cui tanto si parla. Ma c'è ancora da fare» dice Paolo Cento, il parlamentare dei Verdi arrivato alla Camera anche con i voti di Corviale. Festa grande comunque ieri: con la banda Arvalia, dal nome del XV Municipio, con i bambini che presentano il loro giornale, "Il Corvialino dei piccoli", a Veltroni che presto visiterà la loro scuola elementare, e l' assessore alla Cultura, Gianni Borgna, che guarda alla luminosità delle nuove sale e ricorda «quando le biblioteche nascevano in scantinati bui. Tanti passi avanti sono stati fatti. Speriamo che la festa continui». E in serata, spettacolo dei Têtes de Bois, a chiudere una giornata memorabile per Corviale.

GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 23 novembre 2002 GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 24 dicembre 2003

IL RUGBY VA A CORVIALE QUI NASCE IL NUOVO STADIO «La nazionale di rugby si allenerà a Corviale, nell'impianto che aprirà nel 2005. I lavori sono iniziati in questi giorni»: Gianni Paris, presidente del municipio XV, è soddisfatto. In via Rinuccini, nell'area storica del serpentone, il cantiere è già aperto: tra 450 giorni, nel marzo 2005, l'impianto - completo di campo in erba, illuminazione, bar, locali di pronto soccorso, spogliatoi e tribune - sarà pronto. «È destinato a diventare il terzo impianto pubblico della città - spiega Paris - dopo quello dell'Acqua Acetosa e delle Tre Fontane all'Eur, ma ospiterà gli allenamenti della nazionale e altri eventi di carattere non solo cittadino. Ne siamo davvero orgogliosi: il rugby è una disciplina emergente, con una storia assolutamente affascinante, per cui la città aveva bisogno di un'ulteriore struttura: il municipio si fa così carico di una necessità di tanti romani appassionati di questo sport». La prima parte dell'opera costerà 440 mila euro: «Sono a carico del Comune, e il progetto è stato realizzato dal dipartimento XII con i suoi ingegneri, geometri, tecnici e architetti. E davvero vorrei ringraziarli tutti», dice il minisindaco ds. L'impianto ospiterà anche alcune partite del Sei Nazioni, il torneo più prestigioso del mondo per la palla ovale, a cui l'Italia partecipa assieme alle nazioni nobili della disciplina. Poi Paris cede ai sentimenti e racconta del Corviale che «non è più soltanto il serpentone di oltre un chilometro, simbolo di una periferia sbagliata, che qualcuno nel centrodestra voleva persino abbattere. Corviale invece è rinata», e cita la biblioteca aperta un anno fa e intitolata a Nicoletta Campanella, dipendente dell'ex circoscrizione e anima del quartiere scomparsa recentemente. Paris ricorda il centro polivalente e l'incubatore di impresa giovanile, lo sportello anagrafico e la decisione di spostare lì la sede del consiglio e dell'ufficio tecnico del municipio, oltre al comando del XV gruppo della polizia municipale. «Tutti segnali - spiega il presidente - della cura e dell'attenzione del Comune e del municipio verso chi vive in questa parte della città, troppo penalizzata in passato. L'impianto per il rugby e il palazzetto dello sport il cui cantiere aprirà nei prossimi mesi, saranno un ulteriore tassello di questo ragionamento». In seguito verrà il parcheggio e, come vorrebbe Fabrizio Grossi, assessore municipale allo Sport, forse anche una pista d'atletica. Poco conta se la struttura sarà pronta tra un anno e mezzo: a Corviale e nel municipio la festa è già cominciata nel week end scorso, con una full immersion domenicale nel rugby all'interno del parco comunale di via Pino Lecce. «Onestamente il risultato agonistico del presidente - scherza Paris - non è stato da Sei Nazioni. Ma, per il 2005, cercheremo di allenarci. Quel campo è davvero una bella opportunità. Per tutti».

GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 24 dicembre 2003

GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 11 gennaio 2007

CORVIALE, ECCO LO STADIO DEL RUGBY Un nuovo campo da rugby al Corviale, e un bando - con scadenza 26 gennaio - del municipio XV per gestirlo. «L'avevamo promesso e l'abbiamo fatto. L'impianto è pronto. Ora manca solo il gestore, ma il bando serve proprio a questo» dice il presidente del municipio Gianni Paris. A via Rinuccini, ai piedi del celebre "serpentone", è già stato ultimato il campo da gioco regolamentare in erba che potrà ospitare allenamenti e amichevoli della nazionale italiana, le tribune, gli spogliatoi, il parcheggio», e soprattutto c'è un nuovo impianto per il rugby a Roma, città che ospita anche le partite del Sei nazioni, uno dei più prestigiosi tornei della specialità al mondo. Non manca lo spazio per il terzo tempo, perché il rugby, tradizionalmente, dopo le partite vuole il momento della bevuta collettiva: ecco dunque il bar, che sarà gestito da chi vincerà il bando riservato «al Coni, alle federazioni sportive nazionali, enti, fondazioni, associazioni, imprese singole o associate, non affidatari di altri impianti sportivi comunali della stessa tipologia». Costo dell'opera: 450 mila euro, pagati da Comune e municipio, per i lavori avviati nel dicembre 2003. «Dopo la chiusura del bando (che si trova anche in Internet, all'indirizzo del sito web municipale www.arvalia.net, ndr) esamineremo le proposte, individueremo il vincitore e in primavera partiranno le attività sportive. Per noi - prosegue Paris - è ovvio che il campo dovrà essere aperto al territorio, con attività di sostegno e di promozione allo sport per il territorio, come accade per le piscine comunali». Il campo da rugby per il minisindaco Ds - in carica dal 1995 salvo una breve interruzione di un anno - rappresenta un altro pezzo pesante della riqualificazione del quartiere che, per anni, a Roma è stato con i suoi 6.500 abitanti e il chilometro del serpentone uno dei simboli del degrado delle periferie. «E pensare che qualcuno nel centrodestra qualche tempo fa voleva che Corviale fosse abbattuto. Fa ancora più sorridere quell'idea di buttar giù un quartiere che può offrire risposte di livello cittadino come già sta avvenendo». E Paris snocciola l'elenco di quanto è arrivato a Corviale negli ultimi anni: «Abbiamo portato una biblioteca di lusso nel centro polivalente Nicoletta Campanella, il comando dei vigili del XV gruppo dove è ospitato anche un centro di orientamento al lavoro, il laboratorio di quartiere, una neonata banca del tempo neonata» e ancora, in altro edificio sempre a ridosso del serpentone la sede del consiglio del municipio nella sala da 300 posti, l'ufficio anagrafico decentrato, l'ufficio tecnico. E il futuro? «La prossima sfida già vinta - risponde Paris - è portare al IV piano di Corviale, quello che originariamente era stato destinato ai servizi collettivi, l'università La Sapienza, attraverso la facoltà di Architettura di Valle Giulia, Roma La Sapienza, Valle Giulia, quasi come una legge del contrappasso». E fra tutte queste cose quale la più significativa? «Oggi chi va a cercare lavoro non si vergogna più di dire abito a Corviale. Questa - conclude Paris - è la vittoria più grande».

GABRIELE ISMAN “La Repubblica”, 11 gennaio 2007 CLAUDIO LAZZARO “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1998, p. 37

QUEI PUGNI SPARATI CONTRO IL DEGRADO La palestra del serpentone sforna campioni, ma per lo Iacp è abusiva Corviale. Nata nel '90 per iniziativa degli abitanti in un locale del Comune, è l'unico centro sportivo per le 1. 200 famiglie della zona

Corviale, mostro di edilizia popolare in fondo alla Portuense, oltre la vecchia borgata del Trullo. Qui non c'è nulla a salvare i giovani da squallore, noia, droga. Nulla è stato fatto da politici, Comune, istituzioni. C'è una sola cosa visibile, ma l'hanno fatta gli abitanti del serpentone, da soli. E una grande palestra di pugilato (400 metri quadri attrezzatissimi) che sforna campioni. Nata abusivamente nella sterminata città palazzo. Verso le sette di sera l'ingresso della palestra sembra rubato a una scena di Blade Runner: riflettori a luce verde illuminano i bastioni di cemento, alti e spettrali sotto un alveare per 1200 famiglie. Abitazioni che si aprono su corridoi infiniti, aperti sul nulla di un paesaggio che non c'è. Siamo sulla linea di confine che divide il degrado della periferia dal piattume sporco della campagna. Non si vede un locale aperto al pubblico, un bar, un centro di ritrovo. Per trovare il primo pub devi andare a Casetta Mattei, dice Marco Ranucci, 17 anni, uno dei ragazzi in allenamento. Lui è uno di quelli che inorgogliscono Luigi Barbante, 49 anni, sei figli, di cui tre nella nazionale azzurra di pugilato. Barbante, che di professione fa il fioraio, è il mecenate e il motore della palestra. È lui che nel '90, spinto dalla passione sportiva e da un elementare impegno civile, ha messo insieme faticosamente questa solitaria scuola di vita. Adesso vorrebbero farmi chiudere osserva malinconico . Lo Iacp mi ha appena chiesto 200 milioni per gli affitti arretrati e quattro milioni al mese, d'ora in avanti. E pensare che senza il nostro lavoro qui ci sarebbero soltanto macerie, rifiuti e siringhe piantate nei muri. Barbante tira fuori le fotografie che mostrano com'erano i locali della palestra, prima che gli abitanti di Corviale si rimboccassero le maniche: Erano abbandonati dal 1984. Il Comune avrebbe dovuto farci un asilo nido, ma poi se ne è scordato. Barbante e gli abitanti di Corviale hanno costruito i ring e le docce, poco alla volta hanno acquistato decine di macchine da allenamento: In sette anni ho tirato fuori sette professionisti e sette campioni nazionali dice il fioraio, emozionato. Quando ho chiesto aiuto al Comune, mi hanno risposto: "Però prima si deve mettere in regola". Ma come faccio a mettermi in regola? Chi me li dà i 200 milioni?. L'ingresso in palestra è gratuito. Ci sono genitori e figli, che vengono a tenersi in forma. I dilettanti si riconoscono subito: sparano cazzotti pesanti al sacco, caricando i colpi. Accanto a loro i professionisti, veloci, come Gianmaria Petruccioli, campione italiano dei pesi gallo nel '96. Lo allena il padre, Giorgio Petruccioli, 15 anni di esperienza in nazionale. Malgrado qualche occhio nero, le madri sono tranquille: meglio un cazzotto in palestra che la droga per strada. Quelle che abitano a un tiro dalla palestra li controllano a voce. Marco Ranucci risponde al richiamo: So' in palestra, ma'. Mo vengo. Ha un occhio livido, ma non se ne vergogna. A soli 17 anni è già stato campione d'Italia, categoria Primi pugni, come dire il noviziato. La mattina frequenta l'Istituto professionale, il pomeriggio si allena: La palestra mi ha dato sicurezza. So' rispettato, anche fuori, e ho imparato a rispettare. La ragazza è contenta: quando me vede sul ring le piace una cifra. I ragazzi di qui mi ammirano, ma io sono senza lavoro. Non è facile remare controcorrente, a Corviale, soprattutto quando nessuno ti aiuta. Quando il contesto incombe. Eppure, alla Nuovo Corviale Boxe molti si sono fatti onore. Come Gianmaria Petruccioli, campione d'Italia dei pesi gallo nel '96. E come Vittorio Barbante (figlio del fondatore della palestra) che da poco si è battuto per il titolo italiano pesi welter (ma ha perso alla decima ripresa). Luigi Barbante è triste, non per la sconfitta del figlio, ma per una questione d'onore. Qualcuno di notte è entrato nella sua palestra, ha rovesciato tutto, si è portato via il fax, la segreteria, il computer, perfino il telefono. In sette mesi non si erano mai permessi d'entra' osserva sconsolato. Stavolta guarda che impiccio m'hanno fatto. Luigi ha creato qualcosa di buono e di utile, ma intorno c'è una palude, che ad ogni momento rischia di chiudersi attorno al suo lavoro. Qui vengono ad allenarsi Branco e Galvano quando devono prepararsi a match mondiali, si consola. E presenta suo figlio, Vittorio, 27 anni, sposato, disoccupato, un figlio di due anni, quattro ore di allenamento al giorno. Le prime botte le ho prese contro un russo, in Francia racconta Vittorio . Ero in torneo con la nazionale, avevo 16 anni. Il russo ne aveva 32, perchè loro restano sempre in categoria dilettanti. Mi ha pestato duro, ho perso ai punti. Ma da allora ho cominciato a vincere. Però non si guadagna: massimo un milione e mezzo a match. In un anno ne fai due o tre. Così non campo, devo trovarmi un lavoro. Mi spiace, perché ho la passione. Io qui sono il beniamino, i ragazzi mi ammirano, la gente ci vuole bene. Vita dura, quella del pugile. Con Vittorio si allena Fedele Bellusci, superleggero, 22 anni: Ho fatto 30 incontri si presenta , sono arrivato secondo ai campionati italiani, per un filo. La mattina, alle 7.30, faccio 40 minuti di footing, poi doccia e lavoro alla Magliana: faccio il meccanico, monto gli impianti a gas. Smonto alle sette di sera e faccio palestra fino alle nove e mezza. Non fumo, non bevo, non vado in discoteca, perché se no il giorno dopo non sei lucido e non hai gioco di gambe. Non ho la ragazza: mi ha lasciato perché non posso fare tardi. Mi sono operato al naso perché fin da piccolo avevo dei problemi: di notte andavo in apnea e mi si affaticava il cuore. I medici dicono che con questo naso non posso combattere. Ma io vado avanti. Se dai retta agli altri non vai da nessuna parte. Papà è morto nel '78, mamma nel '92. Sono rimasto solo, con mio fratello. In questi casi ti ammazzi, ti droghi, o ti fai forza. Dai miei ho avuto le basi conclude Vittorio. Grazie a loro ce l'ho fatta.

CLAUDIO LAZZARO “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1998, p. 37 EDUARDO LUBRANO “La Repubblica”, 26 giugno 2007

RUGBY, DOPO 60 ANNI NUOVO CAMPO

Era dal 1948 che a Roma non si inaugurava un nuovo campo da rugby. Dopo circa 60 anni è successo ieri mattina in via degli Alagno al quartiere Corviale. Famoso fino a qualche tempo fa solo per il serpentone, un palazzo-condominio lungo un chilometro, il quartiere è invece da tempo al centro di quella che oggi si chiama riqualificazione. Prima il centro culturale Mitreo, poi la biblioteca comunale, quindi altri servizi e infine ieri mattina, alla presenza del sindaco Walter Veltroni, la struttura che servirà a far giocare a rugby i ragazzi della zona. «I giovani del Corviale cresceranno con uno sport per bene» sono state le prime parole di Veltroni. «Da tempo stiamo facendo alcune delle cose più belle proprio nelle periferie. Il rugby sta diventando sempre di più un grande sport, seguito e praticato dai giovani». E a riprova delle parole del sindaco, è stato impressionante l'affetto dal quale è stato sommerso Andrea Lo Cicero, pilone della Nazionale, che vive a Roma da diversi anni e che ha ricevuto gli applausi e ha firmato autografi come se si trattasse di un calciatore. Il campo sarà aperto tre giorni a settimana per chiunque voglia giocare a rugby, come hanno fatto ieri stesso alcuni ragazzi che prima dell'inaugurazione si sono divertiti a correre dietro al pallone ovale. Insieme al sindaco anche il presidente della Federazione Italiana Rugby, Giancarlo Dondi, e quello del Municipio XV, direttamente interessato al progetto sportivo, e non solo, del Corviale. Il minisindaco Gianni Paris ha parlato della riqualificazione del Corviale: «Si tratta di un ennesimo passo verso una diversa sistemazione della nostra zona. Tra poco, sempre nel nostro quartiere, sorgerà anche un palazzetto dello sport polifunzionale da 1.500 posti». I lavori per la costruzione dell'impianto sono durati tre anni (ma già dal 2001 si parlava di questa struttura, con grande meriti di Salvatore Gallo, deus ex machina della società rugbistica Arvalia Villa Pamphili, che sarà il club gestore dell'impianto. Tra i progetti della società c'è anche un esperimento, per il momento primo e unico in Italia, che prevede l'insegnamento del rugby ai ragazzi disabili, che verranno allenati anche insieme ai normodotati. Giancarlo Dondi, presidente della Fir, ha commentato con una battuta l'inaugurazione di questa struttura, che per il rugby è la quarta a Roma dopo Acqua Acetosa, Tre Fontane, e Tor Tre Teste cui manca pochissimo per essere attivo al cento per cento: «Spero» ha detto il numero uno della Federazione, «che dopo questa inaugurazione non debbano passare altri sessant'anni per vedere un nuovo campo da rugby in questa città. Il nostro sport a Roma sta prendendo sempre più piede e questo naturalmente ci rende molto felici. L'amministrazione comunale ha dimostrato in questi anni di seguire con grande attenzione la crescita del rugby». La società Arvalia Villa Pamphili si aspetta circa 300 ragazzi iscritti ai corsi di rugby da oggi a settembre, e i prezzi saranno quelli del tariffario comunale cioè 20 o 25 euro al mese per ogni ragazzo tesserato. EDUARDO LUBRANO “La Repubblica”, 26 giugno 2007 VALENTINA LUPIA “La Repubblica”, 11 maggio 2014

Campo dei miracoli, Calciosociale a impatto zero

«CORVIALE risorgerà come merita e dimostreremo all'Europa le nostre capacità», così ha esordito il governatore Nicola Zingaretti, che ha ricordato la prima volta che ha conosciuto i ragazzi del Calciosociale, da presidente della Provincia: «Avrei dovuto dirgli che non potevo far nulla, ma davanti a quell'entusiasmo sarebbe stato un fallimento, così ho detto "a quel paese la burocrazia, io 100 mila euro ce li metto"». Così è nato uno spazio di grande valenza sociale e a impatto zero a livello energetico, tra pannelli solari, installazioni geotermiche e «un tetto realizzato con 5mila cortecce, contro il chilometro di grigio del Serpentone», spiega l'assessore alle Periferie Paolo Masini, guardando l'enorme palazzo simbolo della zona. Nella nuova struttura giocheranno a calcio uomini e donne assieme, al di là delle differenze di età, provenienza e religione. Molti di loro arriveranno da quei 1202 appartamenti, per lo più occupati. Lo scopo del Calciosociale è l'integrazione di disabili psico-motori, ex carcerati e tossicodipendenti, vittime di disagio economico o violenze. Tra le iniziative, una mensa con prodotti "di eccesso" ma ancora consumabili della distribuzione e della ristorazione. «Abbiamo fatto un gol bellissimo — spiega Massimo Vallati, presidente di Calciosociale — di quelli che si ricordano tutta la vita. Siamo in vantaggio, è una grande scommessa per creare cambiamento».

VALENTINA LUPIA “La Repubblica”, 11 maggio 2014 “La Repubblica”, 16 marzo 2007 RENATA MAMBELLI

CORVIALE, APRE UNA SEDE DI ARCHITETTURA

Corviale, Tormarancia, Quarticciolo, Primavalle: sono le borgate romane che usufruiranno dei circa 30 milioni di euro per interventi di recupero e riqualificazione urbana previsti dal protocollo di intesa firmato ieri dal ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro e dal presidente della Regione Pietro Marrazzo. Sono progetti di risistemazione urbanistica "diffusa" - nuove aree verdi, rifacimenti stradali e fognari, ripristini di edifici degradati - tra i quali però spicca il progetto di realizzare all'interno di Corviale anche una sede distaccata della Facoltà di Architettura della Sapienza. Il documento contiene 16 "contratti di quartiere" per interventi in zone degradate. Oltre ai quartieri romani, nel pacchetto laziale, con uno o più interventi, Alatri Monterotondo, Frosinone, Bagni di Tivoli, Latina, San'Oreste, Albano Laziale, Civita Castellana e Rieti. L'importo complessivo del cofinanziamento Ministero-Regione è di 135 milioni di euro, di cui il 65% a carico del Ministero e il 35% a carico della Regione. I comuni hanno 150 giorni per predisporre la progettazione esecutiva delle opere pubbliche e il programma esecutivo della sperimentazioni. Si comincerà a costruire entro 12 mesi dalla firma del protocollo. L'accordo, ha detto il presidente Marrazzo, «è la testimonianza che quando la filiera istituzionale ha una profonda sinergia i cittadini possono poi vedere i risultati concreti. Oggi questo è accaduto». Per quanto riguarda gli interventi a Roma, nel quartiere Primavalle-Torrevecchia saranno tra l'altro demoliti e ricostruiti edifici di proprietà dell'Ater. A Corviale sono previste anche ristrutturazioni di locali non residenziali e interventi di arredo nel verde pubblico. A Tormarancia, oltre ad altri interventi dei complessi edilizi di proprietà dell'Ater, sarà realizzato un asilo nido e una scuola di infanzia. Anche al Quarticciolo edifici dell'Ater saranno risanati. Il presidente della Commissione Lavori Pubblici della Regione, Giovanni Carapella, spiega che gli interventi non finiranno qui: «Verranno costruiti 150 nuovi alloggi in parte da destinare alle Forze dell'ordine, ai quali si sommano altri interventi più modesti. E oltre 2000 alloggi saranno inoltre oggetto di ristrutturazione. I nuovi Contratti di Quartiere si caratterizzano come un intervento equilibrato che coinvolge in eguale misura Roma e il territorio regionale; sono una metodologia innovativa per l'urbanistica del Lazio, un mix ideale tra interventi di manutenzione edilizia sul patrimonio residenziale pubblico (case comunali e case dell' Ater) e riqualificazione degli spazi urbani finalizzata al miglioramento della vivibilità e dell'immagine stessa dei quartieri».

RENATA MAMBELLI “La Repubblica”, 16 marzo 2007

ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 9 giugno 1998

MAGLIANA, TRULLO, CORVIALE DAI CLICHÉ NEGATIVI AL RISCATTO "Mi dico vai, Marco, fatti forza, e quando ti chiedono dove abiti, tu dici che sei della Magliana. E invece, come sempre, davanti alla commissione che mi esamina sbando, sbianco e la mia bocca mormora le stesse timide parole. La mia casa? Zona portuense, in XV. A due passi da villa Bonelli".

No, non sempre la laurea è la porta del paradiso. Chiedetelo a Marco 27 anni, sette concorsi all'attivo è una gran paura delle proprie radici. Fate un sondaggio, e capirete che questa circoscrizione è anche la storia di un aborto urbanistico e ambientale in cui la gente stenta a riconoscersi: Magliana popolare ed ex abusiva, ma non solo. C'è pure Corviale la "mostruosa", esperimento mal riuscito venuto fuori dall'ideologia di venti architetti utopici. Viale Marconi, l'incasinata porta d'ingresso a quello che è stato il sacco di Roma. E l'antico Trullo, la ex borgata cadente inaugurata da Benito Mussolini. Il viaggio da questa periferia da cancellare comincia da un'umana vergogna, di chi si sente cittadino di serie B. La Magliana? Il Canaro e l'omonima banda. Corviale? Droga, emarginazione e l'incubo di un palazzo lungo un chilometro.

Cliché, dice Marco, luoghi comuni, protesta la gente, che vengono subito alla mente non appena pronunci il nome di queste contrade. Eppure, l'ex popolo di borgata ti parla di un riscatto che è appena cominciato, anche se la ricerca Censis-Repubblica rivela un pezzo di città ancora in affanno, che spende poco per divertimenti e che risulta ancora una delle aree meno acculturate di Roma, con più della metà degli abitanti che non va oltre la licenza media. Il disagio è evidente in un arrondissement che ha la più alta concentrazione di operai (12.5%) e un numero elevato di casalinghe (20.7): qui, molto avvertita è la carenza di strutture scolastiche, ma non soddisfano nemmeno i mezzi di trasporto e i parcheggi. E in un quartiere dove è determinante lo status economico non elevato, è bassa la domanda di svago e di cultura: negli utlimi due mesi solo il 41.7 % è andato al cinema, il 54 al ristorante, il 14 a teatro.

Magliana difficile?, Corviale maledetta? Non solo. E partendo dalla dolce collinetta di villa Bonelli, dove di sera si vedono nitide le luci dell'Eur, si può raccontare anche un'altra storia, quella di un quartiere che vuole rinascere. Quassù, c'è anche la sede della circoscrizione, e il presidente diessino, Gianni Paris, guida la riscossa di un'intero quartiere: "Io abito alla Magliana - dice - e ne sono fiero. Il coprifuoco non esiste, alle 22 vedo ragazze prendere tranquillamente il bus". Il disagio c'è, ma è urbanistico e affonda le radici dallo scempio cominciato negli anni Sessanta. E che è proseguito nei Settanta con Corviale, novemila persone in un unico blocco di cemento: un deserto metropolitano, popolato di anziani segregati ai piani alti perché gli ascensori sono spesso fuori uso. Che bella utopia che doveva essere Corviale, il primo palazzo città, col timbro di una certa scuola urbanistica di sinistra. Doveva essere un sistema abitativo, un segno lungo e basso sulla collina che domina la Portuense. Un progetto integrato rimasto solo sulla carta. Che fine hanno fatto i servizi e i negozi che dovevano fiorire al quarto piano? E gli uffici della circoscrizione? E le botteghe artigiane, gli asili nido? Nulla. Per anni, l'unico ristoro della gente sono stati la parrocchia San Paolo della Croce e la Comunità di Sant'Egidio, che assiste numerosi anziani e organizza una Scuola popolare che strappa dalla strada i bambini.

Eppure, qualcosa di nuovo si comincia a vedere. Sì, a vedere, è il caso di dirlo: l'Acea ha illuminato ogni lotto con un colore diverso. Luce, sicurezza, tranquillità, dopo anni di buio. E quando un'amministrazione illumina le proprie brutture, vuol dire che ha un po' di coraggio. Si volta pagina e si pensa al futuro: nella nuova sede in costruzione si trasferirà, a fine anno, il parlamentino circoscrizionale, una sede della Asl, una biblioteca e un centro di formazione professionale. Tredici miliardi sono stati stanziati dallo Iacp per ristutturare il palazzone. E ora germoglia pure il verde, con il Comune che ha investito soldi per far crescere gli alberi attorno al quartiere. Piccoli segni, ma importanti. Ed è significativo che gente della "nobile" via Casetta Mattei inizi a frequentare il centro anziani autogestito di Corviale, dove ci si incontra, si gioca e, soprattutto, si balla.

Sì, qui si pensa alla rinascita: e il riscatto è legato a due grandi progetti. Al recupero di diciotto ettari di verde dell'ansa del Tevere di Pian due Torri, che dovrebbe diventare il grande parco della Magliana e della XV. Un'area dove è in costruzione una pista ciclabile e che, nelle intenzioni della circoscrizione, dovrebbe cambiare la vita dei cittadini. Si pensa anche a un tunnel lungo l'argine stradale, per collegare Ponte Marconi a Ponte dell'Industria. Il Comune ha già finanziato la progettazione dell'opera, e in Campidoglio c'è grande attenzione anche per il piano di recupero della zona "24 ettari", un'area non urbanizzata con importanti presenze di archeologia industriale che fiancheggia viale Marconi. La circoscrizione spera di trasferire molti uffici del terzo Ateneo negli ex stabilimenti di Mira Lanza, dei Molini Biondi e dei Consorzi agrari. Sorgerebbero parcheggi, servizi, giardini, e si darebbe uno status di cittadella universitaria a una strada e a un quartiere che ora si raccolgono attorno al nulla.

ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 9 giugno 1998 ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 01 luglio 2001

LA RINASCITA DI CORVIALE? 'CI PENSI RENZO PIANO' Dicono che l'architetto un'idea già ce l'abbia. E così, tra un disegno e l'altro del nuovo grattacielo della futura sede del New York Times, a Manhattan, Renzo Piano medita la rinascita di Corviale. Il Serpentone nelle mani del creatore del centro Pompidou di Parigi, dell'Auditorium di Roma, del redesign della Potsdamerplaz di Berlino? Sembra di sì, anche se non c'è ancora nulla di formale. Si tratta, per ora, di un'ipotesi, ma molto concreta. A cui lavora il neopresidente della XV municipalità, il diessino Gianni Paris, che punta alla risurrezione del quartiere fantasma. Doveva essere il nuovo modello abitativo, la città lineare del futuro, milleduecento alloggi, asili nido, palestre e circoli sportivi, un piano, il quarto, dedicato allo shopping e alla cultura. E invece, le cose non sono andate come pensavano i progettisti: i negozi non hanno mai aperto, gli ascensori si rompono, le strutture murarie scricchiolano, e il Serpentone è diventato un quartiere monstre isolato dalla città, una via architettonica da non imitare. Un'aberrazione urbanistica, tanto da far esclamare a Paolo Portoghesi: «Corviale? Radiamola al suolo». Difficile, però, pensare all'esodo di quasi diecimila persone dal cubo di cemento lungo un chilometro, ma qualcosa, pensa da tempo Gianni Paris, si deve fare. Per questo, ha avviato contatti con Renzo Piano, e l'architetto, in una recente intervista a Repubblica gli ha mandato un messaggio chiaro: «È sbagliato intervenire sulle periferie con interventi di distruzione inattuabili. Se di chirurgia si deve parlare, io preferirei microchirurgia: a Corviale, ad esempio, si potrebbero modificare alcuni elementi, anche con l'aiuto dei progettisti di quel quartiere. Per migliorare, rigenerare». Proprio quel che il presidente della municipalità, 150 mila abitanti stretti tra Portuense, Magliana, Trullo e Corviale, si voleva sentir dire. Ed è subito partito in quarta, contattando Piano, sentendo l'assessore all'Urbanistica, Roberto Morassut, e iniziando a coinvolgere un quartiere nella rinascita del Serpentone alla deriva. «L'idea spiega Gianni Paris è di rendere più umano il quartiere, e l'architetto ci aiuterà a capire come cucirlo con il tessuto vivo della città». Magari rifacendo quel quarto piano che doveva essere il circuito commerciale e civico, o mettendo mano al disegno del palazzo. Nel frattempo, la municipalità ha avviato il trasferimento di funzioni pregiate a ridosso del Serpentone, e in un edificio costruito lì vicino, saccheggiato e poi abbandonato, adesso ci andrà il parlamentino della circoscrizione, il comando dei vigili urbani, una biblioteca, un centro di formazione professionale, la Asl e un supermercato. «L'obiettivo dice il presidente della XV è far uscire il quartiere dal ghetto, obbligare la città ad andare a Corviale». Con quali mezzi, se la zona è ancora così mal collegata? «Ho già chiamato l'Atac per potenziare il servizio», è la pronta risposta di Paris, e tra un anno ci vorranno tanti nuovi bus per portare qui gli appassionati del rugby, che avranno un nuovo stadio proprio all'ombra del Serpentone. In un'area libera, a inizio 2002, si aprirà il cantiere per il nuovo complesso, con tanto di spalti e parcheggi, e sarà il secondo stadio cittadino del rugby dopo il Flaminio. I soldi già sono in cassa. E così, ArvaliaPortuense, questo il nome che si è dato la municipalità, dopo un anno di ribaltone polista riprende in mano il suo destino. La paralisi dei cantieri e dei progetti? «Una scelta dell'ex presidente per poi dare la colpa al centrosinistra», si giustifica Paris, votato nel '97 col 58% dei voti, ma poi rovesciato nel 2000 da Leandro Calzetta, passato al Cdu. «C'erano dieci miliardi per la ristrutturazione delle scuole spiega il nuovo presidente ma sono stati bloccati i progetti. E si deve anche riprendere il lavoro per il nuovo parco Pian Due Torri, sul Tevere. Sono già disponibili 18 miliardi, dobbiamo solo studiare il modo di spostare le attività artigianali presenti nell'area». Mentre, per inaugurare, qualche giorno fa, il parcheggio di scambio con la Fm1 di villa Bonelli terminato da mesi, è bastato far incontrare la Sta e l'assessorato al traffico. ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 01 luglio 2001 ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 10 aprile 2002

IL XV MUNICIPIO TRASLOCA A CORVIALE La politica, la sala consiglio Municipio XV nel cuore del Serpentone. Sì, da oggi tutte le decisioni di Roma ArvaliaPortuense si prenderanno a Corviale, la sede del parlamentino dell'ex circoscrizione si sposta accanto al palazzone, al centro del quartiere maledetto, che adesso prova a rinascere. La svolta è epocale, e a sottolineare la solennità del momento, al Serpentone oggi alle 18 arriverà il sindaco Veltroni che inaugurerà, insieme al presidente del Municipio Gianni Paris, questa sala multimediale da 300 posti a forma di anfiteatro. Nella nuova sede di via Mazzacurati, che sostituirà quella vecchia del Portuense e dove si svolgerà sempre oggi anche la prima seduta consiliare, inizieranno la propria attività anche il comando del XV gruppo dei vigili urbani e l'ufficio tecnico dell'ex circoscrizione. Dopo anni di abbandono e promesse, quest'astronave di un chilometro di cemento, dove vivono migliaia di persone in mille appartamenti, si arricchisce di funzioni pregiate. «La scelta di collocare importanti uffici del municipio - spiega Gianni Paris - sono il segno più tangibile dell'attenzione da noi posta alle problematiche di Corviale, e della volontà di realizzare il suo completo rilancio. Siamo soprattutto impegnati a far uscire il quartiere dall'isolamento culturale e sociale che ne aveva caratterizzato la nascita». Oltre alla sala del municipio, una struttura multimediale che potrà ospitare congressi e pièce teatrali, nell'ex complesso Iacp arriverà il Centro polivalente Mazzacurati in via di costruzione. Si tratta di un progetto per la realizzazione di una biblioteca, un centro di formazione, una ludoteca, un laboratorio per attività culturali e musicali. Il tentativo è quello di sradicare un luogo comune negativo nei confronti di Corviale, non solo riqualificando il quartiere, ma anche facendovi arrivare servizi e funzioni, in modo da indurre i romani a recarsi nel Serpentone. Non solo: nei prossimi mesi sarà attivata anche la sede della Asl, mentre partiranno tra breve i lavori per la ristrutturazione del teatro all'aperto dello Iacp, da anni in stato di abbandono. ALBERTO MATTONE “La Repubblica”, 10 aprile 2002

MOLINARI LUCA — Come ridare anima ai palazzi-monstre Il Corviale e le altre mega strutture delle periferie: cambiarle senza demonizzarle Demolizioni parziali, strategie partecipate Per battere l? alienazione, frutto di un’utopia urbanistica Da qualsiasi direzione si guardi il Corviale, la grande astronave in cemento armato planata alle porte di Roma alla fine degli anni Sessanta per ospitare almeno ottomila persone, offre una sensazione di straniamento che raramente un’architettura riesce a dare. Da quando è stata costruita e solo parzialmente abitata, quest’opera ha avuto il potere di calamitare una serie di «leggende metropolitane» e luoghi comuni che esprimono molto bene l’impatto simbolico che opere di questa dimensione hanno avuto sulla comunità dei suoi abitanti. C’è chi diceva che il Corviale aveva fermato con la propria sagoma il delicato vento Ponentino, mentre altri affermavano che in quel labirinto ci si sarebbe potuti perdere senza salvezza. Ma la storia è purtroppo molto più semplice e triste perché l’edificio venne abitato solo parzialmente e, soprattutto, gli spazi immaginati per ospitare tutte le funzioni pubbliche e collettive vennero subito abbandonati all’occupazione più selvaggia generando in poco tempo un degrado diffuso che non lasciava alcuna speranza. Non si tratta di un caso unico ed estremo, perché la storia del Corviale è uguale a quella di altre «mega strutture» sognate dagli architetti durante gli anni Sessanta per cercare di risolvere il problema drammatico delle nuove periferie urbane. Di fronte alla pressione migratoria fortissima e alla necessità di rispondere a una domanda crescente di alloggi l’architettura moderna più evoluta cercò di dare forma a vere e proprie strutture urbane di nuova generazione capaci di raccogliere in un unico, enorme organismo le diverse funzioni che prima si cercava di tenere separate come l’abitare, i servizi educativi e sanitari di base, alcuni spazi pubblici e le strutture commerciali primarie. Queste nuove, imponenti strutture nate in molte delle periferie delle nostre città tra Europa, Stati Uniti e Giappone abbinavano i sistemi costruttivi rapidi prefabbricati a un uso dei linguaggi moderni più severi e avanzati illudendosi che i suoi abitanti si sarebbero presto ambientati in un diverso frammento di città del futuro. Quello che invece nessuno di questi progettisti poteva immaginare è che, invece, queste visioni di un domani radioso sarebbero diventate rapidamente pezzi di città dormitorio e simboli di un? alienazione sociale devastante. Ma da almeno un decennio è in corso un processo interessante che, abbandonata la demonizzazione di questi luoghi, li considera come frammenti di vita di comunità di abitanti da aiutare a migliorare la qualità degli edifici e la possibilità di trasformarli. E così si sono avviate demolizioni parziali, nuove costruzioni che s’integrano con l? esistente, definizioni di strategie partecipate per usare i luoghi in maniera differente, cambi di destinazioni d? uso che stanno mutando l? identità di questi luoghi sparsi in tutto il mondo (all’estero da ricordare gli esperimenti di Amsterdam Nord e di Bijenkorf a Rotterdam), al punto che non sarà difficile, tra qualche anno, entrare al Corviale e trovare un chilometro verde capace di trasformarlo in un luogo pieno di vita. Luca Molinari — «Corriere della Sera» — 06 dicembre 2014 — p. 38 Corriere della Sera venerdì 30 aprile 2010 pag. 1 - 5

MARCO NESE “Corriere della Sera”, 13 agosto 1995, p. 30

CORVIALE COME IL COLOSSEO L'intervista. insolita proposta del conduttore Gianni Ippoliti per recuperare il Serpentone. "Quel quartiere mi affascina, bisogna portarci i turisti". il serpentone: complesso edilizio lunghissimo del quartiere

"Mi sono messo in testa di far diventare Corviale un quartiere "in", un angolo di Roma dove vanno in visita perfino i turisti". La passione per Corviale, una zona descritta per anni come un ghetto, un luogo da cui stare alla larga, è venuta a Gianni Ippoliti, animatore di tante trasmissioni televisive, l'ultima "Spazio Ippoliti", su Raitre. E così ieri sera, davanti agli abitanti del cosiddetto "Serpentone", Ippoliti ha dichiarato il suo amore per Corviale e la sua ferma intenzione di operare il miracolo, e cioè di trasformare il quartiere in una "zona modello". "Tutto nasce dal mio grande affetto per Roma -spiega Ippoliti-. Mi piace ogni angolo di questa città. Sono tornato dalle vacanze apposta per trascorrere Ferragosto a Roma. Perchè solo a Ferragosto, a Pasqua e il primo maggio riesco a godermela veramente. Con tutte le strade libere, senza macchine e senza la folla di tutti i giorni".

L'amore per Roma si può capire. Ma perché invaghirsi di Corviale? "Un po' perché si tratta pur sempre di un angolo di questa città. Un po' perché sono rimasto sempre affascinato da quel lungo palazzone, dove vivono 5.500 persone, ingabbiate in un monolito di cemento, una città nella città. Mi ricordo che in passato facevo escursioni a Corviale, che esercitava su di me un richiamo irresistibile. Ogni volta che andavo a Fregene prendevo la Portuense e ad un certo punto, quando vedevo spuntare il "Serpentone", era più forte di me: deviavo e mi facevo un giro per Corviale". E adesso si è messo in testa di rivalutare questo quartiere. "Vorrei farlo diventare un quartiere modello che sia di esempio per tutto il resto della città. Il mio sogno è che a Corviale un giorno dovranno arrivare i turisti in visita. Come vanno al Colosseo o al Pantheon". E come pensa di poter attirare laggiù i turisti? "Sarà possibile solo se gli abitanti di Corviale seguiranno i miei consigli. Per esempio, voglio vedere in tutta la zona una pulizia assoluta. Le strade di Corviale dovranno diventare quelle più pulite di tutta Roma. Si badi bene che non è un problema di Nettezza urbana. E un problema di educazione e di amore per il posto in cui si vive. Perciò devono essere gli abitanti a stare attenti. Come dicono i medici, prevenire è meglio che curare. Allora, invece di mettere gli spazzini nelle condizioni di dover pulire faticosamente, meglio evitare di sporcare. Si può farlo se scatta una forma di controllo reciproco. Chi butta un pezzo di carta per terra deve essere subito redarguito". E se a sporcare sono persone venute da fuori? "Io qui ho un'altra idea. Dico che bisogna impedire agli estranei di entrare. Ci vuole un passaggio bloccato da una sbarra, come all'Olgiata. Così che quando arrivi trovi un guardiano: lei dove va? O sei abitante oppure devi andarci su invito di qualcuno. Insomma bisogna creare un'area protetta. Si può inventare una Corvial card, un passi necessario per accedere nell'area del quartiere".

Insomma, lei si propone come sponsor di Corviale. Quali altre indicazioni suggerisce? "Per migliorare l'ambiente, è fondamentale anche il comportamento dei ragazzi. Se tutti i bambini di Corviale vogliono adottare una pianta, io gliela faccio avere, a patto però che poi se ne prendano cura, non la devono far morire". Lei sa che Corviale è venuto a volte alla ribalta anche per episodi di cronaca nera? "Se ci sono persone che hanno problemi con la giustizia non è affar mio. Io voglio solo vedere se gli abitanti sono educati, se tengono la strada pulita, perché se il loro comportamento è apprezzabile, allora diventa un esempio, una lezione per tutti. E così metteremo le basi per trasformare l'immagine del quartiere. Un'altra cosa che mi viene in mente è quella di fare una cartolina. Ci sono le cartoline di Fontana di Trevi, di San Pietro, facciamo anche una "Corviale saluti". Tutto per valorizzare il "Serpentone". Che altro ha in mente? "Faccio anche una miss Corviale, scelgo la più bella del reame, a mio esclusivo giudizio insindacabile".

MARCO NESE “Corriere della Sera”, 13 agosto 1995, p. 30

MARCO OCCHIPINTI “La Repubblica”, 1 settembre 2005

A CORVIALE PER UN'ECONOMIA SOLIDALE

«Un'altra economia è possibile» è lo slogan sottinteso del Forum organizzato a Corviale da oggi fino al 4 settembre da "Sbilanciamoci", campagna promossa da 40 organizzazioni della società civile. Insieme dal 1999 analizzano la legge Finanziaria e il Bilancio dello Stato per elaborare proposte alternative per una spesa pubblica che favorisca i diritti, la pace, la solidarietà. La quattro giorni che si terrà presso la sede del XV Municipio in via Mazzacurati 73 con il patrocinio del Comune, della Provincia e della Regione, prevede tavole rotonde e seminari con la presenza di numerosi relatori italiani ed internazionali sostenitori di un'economia solidale. Oggi alle 17 aprono gli interventi del presidente della regione Piero Marrazzo e dell'assessore capitolino alle politiche per le Periferie e il lavoro Paolo Carrazza. Introdurranno una tavola rotonda "sulle economie neofeudali" cui partecipano tra gli altri Fausto Bertinotti, Rosy Bindi e Luigi Nieri, assessore regionale al Bilancio. Domani l'economista e filosofo americano Jeremy Rifkin, noto esponente del pacifismo Usa, parlerà di "Europa sociale" con Susan George, vice presidente di Attac Francia e l'euro parlamentare Vittorio Agnoletto. Sabato 3 sarà la volta dei forum delle organizzazioni aderenti alla campagna sui temi delle armi, migranti, spesa pubblica, debito e microcredito. Infine domenica 4, per la tavola rotonda finale "sulle pratiche alternative di politica economica per un nuovo modello di sviluppo sostenibile", sono attese la scienziata indiana Vandana Shiva e Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali e organizzatrice del primo Forum Sociale africano. «La scelta di Corviale come sede del Forum - ha spiegato l'assessore Paolo Carrazza - è per noi molto significativa. Corviale suo malgrado è simbolo delle periferie urbane degradate e quindi dei danni prodotti da un modello di sviluppo insostenibile. Ma è anche il luogo simbolo in cui tre anni fa questo assessorato ha lanciato l'esperimento che ha voluto rimettere al centro dell'attenzione le periferie attraverso esperimenti di sicuro interesse. Dal "Laboratorio della Partecipazione" al primo "Incubatore delle imprese locali", fino al progetto "Immaginare Corviale", con cui abbiamo chiesto ai cittadini di lavorare insieme per abbattere lo stereotipo negativo del quartiere, anche con la creazione di una TV autogestita». MARCO OCCHIPINTI “La Repubblica”, 1 settembre 2005

FRANCESCO PEREGO “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1996, p. 36 SORPRESA: CORVIALE PIACE AI SUOI INQUILINI I risultati di una indagine Corviale vittima innocente di un imbarazzante luogo comune? Il palazzo chilometro, costruito negli anni Settanta dall'Istituto case popolari sulla via Portuense, è indicato da tutti come emblema di Roma sbagliata, caso limite della periferia che esaspera i conflitti, concentra il malessere, deprime la qualità della vita. Da tutti, tranne pochi specialisti di architettura, che ne hanno sempre difeso il progetto, e tranne gli abitanti, che ora inaspettatamente rivelano di non associarsi alla condanna. Parlano gli inquilini. Anna Francesca, operaia di una ditta di pulizie: "Le case non sono male, c'è tutta la campagna. Mi affaccio alla finestra e mi pare di stare in villeggiatura". Renzo, commerciante: "E un bello brutto; brutto esteticamente, ma molto funzionale. Per esempio ci sono le sale condominiali che sono bellissime". Peppe, autista Atac: "Siccome è rinomato architettonicamente, alcuni artisti lo apprezzano. Noi non lo subiamo, lo viviamo! però chiaramente non lo capiamo". Le interviste fanno parte del materiale raccolto da Nicoletta Campanella nell'ambito degli studi sulle comunità periferiche promossi dalla cattedra di Sociologia urbana di Franco Martinelli all'università "La Sapienza", appena uscite in "Roma, Nuovo Corviale. Miti, utopie, valutazioni", volume edito da Bulzoni. Ciò che la ricerca sostanzialmente smentisce è che questo quartiere abbia creato un ambiente sociale particolarmente degradato. Per titoli di studio, tassi e tipologia di occupazione, i circa 3 mila abitanti di Corviale sono infatti perfettamente nello standard di tutta Roma, centro escluso, ed anche i loro comportamenti elettorali si allineano con quelli di altre zone della periferia consolidata (per esempio di San Basilio). Nulla indica che droga e criminalità vi alberghino in modo particolarmente perverso, e nemmeno è vero, contrariamente a una leggenda diffusa, che l'architetto Mario Fiorentino, responsabile dell'idea progettuale, si sia suicidato alla constatazione del danno arrecato alla città. La verità invece è che Corviale, visto da vicino e da dentro, appare assai più accettabile che pensato da fuori e da lontano. C'è dunque una contraddizione, che forse racconta alcune cose sia sugli errori di pianificazione e di organizzazione, di patti economici e di scelte funzionali che nel nostro tempo hanno rotto la sintonia tra lo sviluppo della città, specialmente dei quartieri intensivi, e l'identità, le aspirazioni, l'autorappresentazione dei gruppi sociali destinatari dei quartieri nuovi, sia sull'inclinazione dell'opinione pubblica a giudicare le trasformazioni urbane in modo quantomeno sbrigativo. Costruire Corviale è stato un errore. Non soltanto perché la preferenza delle famiglie romane per le case di piccola scala rende ingiustificabili i giganteschi quartieri popolari realizzati negli anni Sessanta e Settanta, a Corviale come a Spinaceto, Tor Bella Monaca e altrove, ma anche perché l'Iacp, committente di quei progetti finanziati dallo Stato, doveva sapersi incapace di gestire la sovrabbondanza di verde e servizi profusa a contropartita della concentrazione degli alloggi. Però all'errore è stato posto parziale rimedio dal tempo, perché oggi gli inquilini di Corviale, come testimonia Nicoletta Campanella, "amano il mostro. Anche se non lo capiscono ne sono affascinati. Hanno quasi un senso di fierezza ad abitare in un palazzo così conosciuto, discusso e fatto oggetto di attenzione da parte dei media". Ora il Comune sta per spenderci 8 miliardi in opere di completamento e riqualificazione. Si finirà per riabilitarlo? FRANCESCO PEREGO “Corriere della Sera”, 5 gennaio 1996, p. 36 FABRIZIO PERONACI “Corriere della Sera”, 7 dicembre 1993, p. 47C

"FRANCESCO, VIENI A CENA DA NOI?" Corviale e Testaccio Due quartieri popolari a confronto: Corviale, con il palazzo più lungo d'Europa dove novemila persone vivono stipate come in un nido d'api, e Testaccio, cuore pulsante della tifoseria giallorossa. Al risveglio, dopo la lunga notte dei risultati elettorali in Tv, la gente ha ancora voglia di parlare di politica, di dire l'ultima parola sul nuovo sindaco. C'è chi sfotte l'amico, chi esige il pagamento della pizza scommessa il giorno prima, chi elenca i problemi da risolvere. E qualcuno si dà da fare intorno ai fornelli. Venticinque chili di salsicce, carne di pecora e fiumi di vino rosso: così i "rutelliani" di Corviale si apprestano a festeggiare il primo cittadino. Adolfo Bombardieri, che ha un chiosco di frutta davanti all'"astronave" lunga un chilometro, si è auto incaricato dell'organizzazione. "Oggi è una giornata storica -esclama- e poco importa se ho perso tanti clienti che tifavano Fini. Prima di sabato faremo una tavolata a cui è invitato anche Francesco. Il frigorifero è già pieno, chi vuol partecipare è il benvenuto". Gli abitanti rilanceranno la battaglia per il risanamento del "serpentone", che tanto ha diviso architetti e urbanisti, e per l'apertura di un circolo giovanile e del centro commerciale. "Ho scelto Rutelli con convinzione -dice Fiorenzo Crusco, titolare di un banco del mercato- ma ora sono curioso di vedere come si comporterà con noi operatori. In campagna elettorale si è schierato contro la grande distribuzione, avrò fatto bene a fidarmi?". Meno loquaci i fan del segretario missino. "E andata male. Roma aveva bisogno di ordine e sicurezza contro spacciatori di droga e zingari -commenta Paolo Giacinti, macellaio- e si ritrova con un sindaco che parla soltanto di arte, cultura e tutela dell'ambiente". La signora Lina, 48 anni, sta uscendo dal supermarket: "Fini sì che avrebbe cacciato gli occupanti abusivi di Corviale...", dice sconsolata. Testaccio, piazza del mercato. Fin dalle prime ore del mattino clienti e "bancarellari" si sono scambiati le impressioni sul nuovo inquilino del Campidoglio. "Un giovane di colore che vende l'aglio -racconta la signora dietro un box di formaggi- è venuto a chiedermi sottovoce chi avesse vinto. "Nun te preoccupa', t'è andata bene", gli ho risposto". Il bar di Gianna Bianchini, in via Mastro Giorgio, all'ora del pranzo si riempie di "testaccini" veraci. Che ne pensate del sindaco rosso verde? "Rosso rosso sarebbe stato meglio, ma così, almeno, avrà una visione più ampia dei problemi", dice Enrico, telefonista. "Io ve lo ripeto, per me doveva essere rosso giallo!", grida Stefano, 27 anni, soprannominato "Er polla" dagli amici della Curva Sud. Ridono tutti. "Basta scherzare . interviene la titolare del bar . sentite cosa ho in mente di fare domani. Rutelli ci aveva invitato ad andare a trovarlo in Campidoglio per esporgli i nostri problemi, ricordate? E allora io, che so' romana da 14 generazioni e figlia di un campione di pugilato, sarò la prima. Voglio chiedergli perchè l'Ufficio d'igiene ci viene a fare visita in continuazione come fossimo degli zozzoni e se può togliere i divieti di sosta dalla piazza". "Vuol sapere perchè ho votato Rutelli? -sussurra l'anziana signora che gestisce l' edicola di piazza Santa Maria Liberatrice- Semplice: ho quattro figlie e undici nipoti. Sono stata chiara". FABRIZIO PERONACI “Corriere della Sera”, 7 dicembre 1993, p. 47C “La Repubblica”, 20 marzo 2004 AURELIO PICCA

VITTORIO, REUCCIO DI CORVIALE LA BOXE COME PALESTRA DI VITA Subito dopo l'European Hospital, Romacittà finisce all'"ultimo" semaforo di via Portuense. Oltre si va verso il mare di Ostia. È dentro questi saliscendi che i ruderi emergono dalla campagna come costruzioni del futuro, mentre i palazzi del presente sembrano mura antiche, bastioni di una storia umana e visionaria. La campagna si rifà ventre di Roma, e come per magia risputa fuori verde, galline, pecore. E anche Corviale. Sì, proprio il famigerato Corviale, il palazzone lungo un chilometro. Se ne sta in cima alla collina, grigiastro, solitario, maschera ciclopica, con i suoi duemilaottocento appartamenti più quattrocento "occupati", per un totale di sedicimila abitanti. Una cittadella, non un condominio, abitata quasi dal doppio della popolazione di Anzio in inverno. Vedi Corviale e osservi tutto quello che non c' è - non c' è niente, come se nascesse o fosse abbandonato in questo momento - , eppure queste mura e tutte queste persone che vi sono incatenate emanano un'energia che, sono sicuro, sarà la nuova immensa Roma. Ai suoi piedi le cartacce volano, le chiazze di olio bruciato restano, e le persone sono invisibili. Sembra un paese disabitato. Con alcune facce ci puntiamo con gli occhi tra le sbarre delle cancellate. Pare che di là si sia congelata la bellezza del centro storico, di qua tutta la bruttezza possibile. Invece non è così. Pure questa è la bellezza di Roma. Anzi, questa di Corviale è una bellezza alla quale va ridata dignità. È una bellezza con gli attributi, con la potenza del futuro perché, nei cunicoli della sua pancia di cemento, possiede i ruderi del passato e una forza pronta a esplodere. Non a caso ficcata sottoterra, come l'ennesimo buco del palazzaccio, c' è una palestra di boxe che si chiama "Nuovo Corviale". Sì, una palestra di pugilato, ma pure una palestra di vita. Soprattutto una palestra di vita. I fratelli Barbante, Vittorio il più grande dei tre (gli altri due sono Giuliano e Roberto oltre al padre Luigi) ex pugile con centotrenta incontri da dilettante e venti da professionista all' attivo (peso welter, il "reuccio di Corviale"), quattordici anni fa si sono messi a ripulire il "sotterraneo". «Ci siamo fatti un bucio così», mi spiega il peso leggero Roberto. «Abbiamo ripulito uno schifo di discarica. Gatti morti e siringhe; cani e siringhe. Abbiamo riverniciato, ripulito i muri scritti col sangue delle siringhe». Noto che ha ragione il piccolo Barbante: le foto del loro lavoro sono incollate al muro in bella mostra, tra i dieci sacchi "full boxe" e una sola "pera" floscia. Dalle foto si vedono dei ragazzi alle prese con carriole e pale. Tutto è affumicato e sporco. I Barbante hanno voluto lasciare la testimonianza della fatica. Alle pareti non ci sono le immagini della grandeur della boxe. Non appare Alì, non c' è Tyson, non c' è nemmeno il compiantissimo Tiberio Mitri che duella con il mitico Jake La Motta: questa istantanea è su un vecchio numero di Boxe Ring, con pudore custodito nell'ufficietto di Barbante-padre. In mezzo a tanta polvere e carcasse di animali morti, al limite serpeggia la faccia d' angelo di Giuliano Gemma, o quella da angioletto ben pettinato di "Rocky" Mattioli, oppure si leggono i colpi di Galvano, di Gianni Di Napoli, di Parisi. Al "Nuovo Corviale" non ci si pavoneggia, l'occhio vizioso della telecamera non è mai entrato. Dalle finestre si vede la campagna, appiccicate al vetro vengono le galline e le caprette tibetane. L' aria che si respira è povera e severa. Ogni parola è soppesata, trasuda di un orgoglio muto. Sul ring si sta allenando il campioncino Andrea Cosentino, 28 anni, super welter, ventisei incontri. Il suo maestro, Stefano Sinacore, ha infilati i paracolpi e spinge a colpire, con parole secche, la sua "guardia sinistra" che risponde con altrettanti colpi secchi. Intanto sono arrivati altri aspiranti pugili, si stanno riscaldando, mentre le pugilatrici, Martina, Sara e Daniela sono scappate via. Hanno afferrato la loro timidezza e sono fuggite. «Sono duri i colpi, o no?» dico ad Andrea che ora è passato alla corda. «I colpi al fegato sono quelli tremendi. Ti distruggono piano piano e non ti fanno ragionare». «E il kappaò?», gli ripeto due volte. «Il colpo da kappaò non lo senti neppure. Cadi fulminato e basta». Io, Roberto e l'istruttore ci mettiamo a sorridere. Capisco che in questa palestra non si ride, non c' è niente da ridere, al massimo si sorride, tanto per non lasciarsi soffocare dal pudore. «Senti Andrea - gli chiedo ancora - ma del pugilato qual è la cosa che più ti impressiona?». Cosentino non ha un attimo di incertezza: «E' quando ti guardano tutti che fa paura. Dell'avversario non ho paura. Ma quando sali sul ring e vedi tutta quella gente che ti fissa... ecco, quella è una cosa impressionante». Roberto Barbante mi racconta che qualche mese fa i suoi pugili hanno combattuto al Palazzetto dello Sport, in una riunione dedicata alla memoria dei pugili defunti. Mi sembra una gran cosa. Mi pare eccezionale che questi ragazzi senza nome, col fuoco della passione, con gli occhi dei ragazzini, insieme a quelli delle altre "palestracce" - Trastevere, Centocelle, Casal Bruciato - si sfidino ancora per il pane duro della boxe e non per la borsa dei riflettori. Ragazzi della Romabella, forza!, alzate le chiappe e andate al Palazzetto, questo è uno spettacolo inedito, è lo spettacolo di una Roma immortale. Mentre parlo con Roberto noto che sul polso ha un tatuaggio. «Sono pieno di tatuaggi», mi fa senza punti interrogativi. «Ho il sacrocuore, le mani di Cristo. E questo è il mio pupo». Quando si tira la maglietta gli vedo sul petto un bambolotto che è tale e quale a un puttino che fa tante freccette. «E' mio figlio» mi spiega con orgoglio. Il bambino di Roberto sta sulla pelle del padre dall' età di nove mesi. Anche nove sono i ragazzi di Corviale che ronzano attorno alla palestra, ma non hanno i soldi per pagare il mensile. «Costa poco» mi ricorda Barbante junior, «non costa niente. E poi se qualcuno viene qui non sta in mezzo alla strada. Qui combatte». E' vero, non c' è problema, qui si combatte. Quando Roberto mi regala la canotta del "Nuovo Corviale", ovviamente non mi commuovo, ma credo che sia un gesto forte, d' amico, un colpo di questa Roma dopo l' ultimo semaforo di Romacentro, di Romabella, di Romacittà. In questa Roma di via Portuense dove il rudere di Corviale è come un gigante sdraiato che pullula di figli vivi. AURELIO PICCA “La Repubblica”, 20 marzo 2004

PAOLA PIEROTTI “Il Sole 24 Ore”, 29 aprile 2010 ABBATTERE CORVIALE? MEGLIO LA RIGENERAZIONE DELLA PROPOSTA BUONTEMPO Non ha fatto ancora in tempo a insediarsi da nuovo assessore alla casa della regione Lazio che già Teodoro Buontempo, politico di lungo corso della destra estrema, ha cominciato a sparare le sue cartucce. Primo colpo: abbattere il Corviale. Non che l'idea sia nuova, per carità. Quasi un must per un neoassessore. Un eco a quanto era accaduto nell'aprile del 2008 quando il sindaco Gianni Alemanno appena arrivato in Campidoglio aveva annunciato di voler demolire la teca dell'Ara Pacis. Ma per rigenerare il Corviale, quel serpentone lungo un chilometro e alto nove piani, progettato negli anni '70 come modello di edilizia residenziale pubblica e divenuto poi luogo di degrado sociale e edilizio, uno scenario di trasformazione realistico già c'è. Dopo anni di dibattito politico e ideologico, l'Ater ha approvato infatti il progetto esecutivo di un intervento di micro-densificazione che prevede la ristrutturazione con cambio di destinazione d'uso dei locali del 3°, 4° e 5° piano che Mario Fiorentino, architetto che aveva coordinato la progettazione del serpentone, aveva pensato come livelli liberi per attività artigianali, studi professionali e negozi, per tutta la lunghezza dell'edificio. Il progetto è firmato dai quarantenni romani di T studio: è un intervento da 5 milioni di euro che riabilita a nuova vita quegli spazi dove i servizi non sono mai stati realizzati e che dieci anni dopo la costruzione sono stati occupati in modo abusivo. Un lavoro di micro-chirurgia in alternativa alla demolizione e costruzione. «Diventerà un piano verde – ha spiegato Guendalina Salimei di T studio – contiamo di ricavare nuovi alloggi con tipologie e metrature diverse, proponendo soluzioni sperimentali che integrano un sistema impiantistico che aumenta l'efficienza energetica, riqualificano gli spazi con la presenza di ballatoi e giardini d'inverno e la qualità complessiva sarà migliorata anche grazie all'uso del colore e al disegno degli interni». Dopo anni di dibattito, di idee progettuali per abbattere o frazionare puntualmente la lunga stecca residenziale, ma anche di azioni di progettazione partecipata, si riaccendono i fari sul Corviale. «A prescindere da ragioni ideologiche – ha dichiarato l'assessore all'Urbanistica del comune di Roma Marco Corsini – ritengo che il Corviale sia un corpo edilizio che può diventare esempio di un processo di rigenerazione urbana. Se la Regione vuole intervenire può farlo trovando le misure opportune anche con il contributo dei privati a cui potrà offrire premi di cubatura. Fino a oggi la battaglia pro e contro la demolizione è stata ideologica, oggi l'Ater che è proprietaria del bene può impiegare la leva del comando e della finanza per agire». In Italia gli edifici sotto i riflettori perché oggetto di degrado e abbandono sono numerosissimi, dalle Vele di Scampia alle torri di Leonardo Benevolo a Brescia, dai quartieri Erp di Reggio Emilia, agli edifici di via Artom a Torino sino al "bronx" di via Anelli a Padova. Ecomostri o strutture vuote e degradate difficilmente comparabili tra loro, ma tutte bisognose di un rinnovamento edilizio. Si demolisce e ricostruisce quando gli interventi sono di scarsa qualità, quando il costo di gestione non è più sostenibile, quando gli edifici consumano troppo o sono elemento di degrado per le periferie. Ma esiste anche una via alternativa. «Da oltre trentanni in un paese vicino al nostro, in Francia, è in atto una politica di remodelage urbano – ha spiegato Carlo Prati, autore con Cecilia Anselmi del volume "Upgrade architecture" edito da Edilstampa (Ance) – e dopo aver spinto inizialmente per l'abbattimento di 200mila alloggi per ricostruirne altrettanti, dal 2004 la Francia ha iniziato a riflettere su un'alternativa sposando la linea della trasformazione al posto della demolizione. Abbattere è una semplificazione del problema, un buon progetto può dare una valore aggiunto a quello che già c'è». PAOLA PIEROTTI “Il Sole 24 Ore”, 29 aprile 2010 BENIAMINO PLACIDO “La Repubblica”, 8 luglio 1993 GLI URBANISTI DI KAFKA - CITY È accaduto la settimana scorsa. Il settimanale L'Espresso (n. 26) ha voluto dar voce (e spazio, e immagini) al discorso corrente - e ricorrente - sulla nostra architettura. Quel discorso che inizia e termina con le parole: Accidenti a noi, ma che cosa abbiamo fatto nei quattro, cinque decenni del dopoguerra? Che cosa abbiamo costruito? Niente. Niente di presentabile, di decente. Non una stazione, non una prigione (ci vogliono anche quelle); non un bel ponte, da ricordare. Laddove nei decenni precedenti - quelli dell' Italietta, quelli del Fascismo qualcosa di buono lo si è costruito, perbacco. Con questo discorso, fatto e rifatto, L'Espresso sembra sostanzialmente d' accordo. Quando abbiamo costruito, abbiamo costruito degli orrori. Ne propone dieci per la demolizione. Fra i quali: il quartiere Zen (di Vittorio Gregotti) a Palermo; la casa-quartiere Corviale, di Roma; la sede Rai di Saxa Rubra, ancora a Roma; il quartiere Gratosoglio di Milano; il cimitero San Cataldo di Modena; gli uffici postali di Pierluigi Spadolini, dappertutto. E qualche altro "capolavoro". Quali le ragioni di questo deserto architettonico-urbanistico? Se ne possono dire tante. Tutte giuste ed una ingiusta. Si può tornare a riflettere malinconicamente sulla mancata riforma urbanistica (e la Legge Sullo) degli Anni Sessanta. Lo fa Il Messaggero di lunedì 5 luglio. Si può meditare sulla modestia numerica dei concorsi di progettazione (ottocento concorsi all'anno in Francia, poche diecine in Italia). Ci si può riferire, certi di non sbagliare, ai perversi effetti di Tangentopoli. Una cosa non si può fare, e sovente la si fa. Dare la colpa ai geometri, al loro presunto cattivo gusto. Il geometra è innocente. Come innocente era e rimane il suo collega più famoso: l'agrimensore K, che la fa da protagonista nel romanzo Il Castello di Franz Kafka. Quelle opere deludenti e perciò "delendae", da distruggere le hanno firmate illustri architetti, con tanto di laurea. Niente Fattore K, allora. E poi, quegli stessi architetti hanno costruito, negli stessi anni, opere egregie. Difatti L'Espresso presenta anche dieci opere da salvare. Tra le quali: l'Università della Calabria (di Vittorio Gregotti); l'Autostrada del sole; il Dipartimento di biologia della Facoltà di Scienze a Milano; la Capitaneria del porto di Genova. Ed altre. E poi, è accaduto due giorni fa. Abbiamo appreso, dai giornali americani, che identica polemica è in corso in America. Che diavolo abbiamo costruito - qui in USA - in mezzo secolo di dopoguerra? Risposta: niente di buono, niente di bello. Da costa a costa, una desolazione. Vuoi mettere, i bei grattacieli di una volta? Sicché si rimane perplessi. Davvero non è stato costruito nulla (di buono), oppure si tratta della solita lagna passatista? Nel Politecnico di Elio Vittorini, che appartiene agli anni del dopoguerra, spiccavano fotografie delle città di allora. Oggi laudate e rimpiante. Definite a quel tempo squallide, inabitabili: "Esiste nel cuore di ogni città una città di Kafka, una Kafka-city". Come stanno le cose, veramente? BENIAMINO PLACIDO “La Repubblica”, 8 luglio 1993

PULLARA GIUSEPPE “Corriere della Sera”, 14 aprile 1996, p. 37 LA BATTAGLIA DELLE PERIFERIE. Si gioca per una manciata di voti la conquista dei collegi. Rutelli va a Corviale ma per catturare il "serpentone" si mobilita anche An Ultima domenica prima del voto: oggi la campagna elettorale dei candidati girerà a velocità vertiginosa. Dei 24 collegi romani, almeno una mezza dozzina è in bilico. Nel V, VII, VIII, IX, XI, XVIII e XXIII il vincitore prevalse due anni fa per mille duemila preferenze. Al Collatino Antonio Mazzocchi (Polo) s' impose su Visco (Progressisti) per 500 voti. A Pietralata Crucianelli (Progressisti) cedette a Mealli (Polo) per meno di 2 mila schede. La Grande Periferia, colma di voti, fece il risultato cittadino. La sinistra espresse due soli deputati. A Corviale (XIX collegio: Aurelio Magliana Trullo), diecimila abitanti racchiusi nei 1.200 appartamenti Iacp allineati per un chilometro, c'è incertezza. L' elettorato popolare del "serpentone", tradizionalmente vicino alla sinistra, nel '94 si spostò sulla riva opposta: lo scontento per l'esistente e le speranze per il futuro (il "milione di posti di lavoro") fecero del missino Giovanni Alemanno il candidato vincente. Ma ieri (guarda caso) Rutelli e mezza giunta sono andati a Corviale per aprire un cantiere da sei miliardi. Finalmente, entro un anno e mezzo, il quartiere avrà i servizi tanto attesi: mercato, centro commerciale, ufficio circoscrizionale, posta, teatro, usl, parco. Una ditta di Isernia ha vinto la gara e Rolando Salvatori, che guida il comitato di quartiere del Polo, già filtra ("Con equità", assicura) le prime assunzioni sul posto. Il sindaco e' accolto da uno striscione di giovani di destra: "Benvenuto Pinocchio". Ma alla palestra Osaka, dove c'è una bella festa per celebrare il futuro, ce n' e' un altro: "Finalmente un sindaco che dalle promesse e' passato ai fatti". Nella "sala rossa", una volta punto di riferimento della sinistra, si svolge una scarna contro manifestazione di Alemanno, affiancato da tutto lo staff di An (c'è anche Erasmo Cinque, ex capo dei costruttori romani). Il deputato uscente, 38 anni, lamenta "qualche asprezza" della campagna elettorale nel collegio: "Peccato, è mancato un vero confronto tra le parti". Valuta pensosamente le prospettive elettorali: "Questo collegio e' a rischio". Ma si riprende: "Qui noi andremo ancora avanti: ormai nel "serpentone" ci siamo insediati". Ma un sano realismo gli fa cambiare tono: "L'elettore è disilluso verso tutti. Ed io temo piuttosto l' astensionismo che non un riflusso a sinistra". Paolo Cento, 33 anni, porta un ulivo all' occhiello e dice che il rivale "è nervoso". Sanguigno e romanesco, saluta tutti con cordialità: "Io e lui combattiamo metro per metro". Il suo motto è "penso positivo", e lo dimostra: "Sento che questa volta il voto popolare si sta ricollocando sulle posizioni storiche. Io rappresento la sinistra sociale: sto riorganizzando la "lista dei disoccupati" per cercare lavoro. E così che si può recuperare un rapporto tra cittadini e politica". Alemanno ha provveduto a ricoprire con grandi manifesti ogni spazio possibile della zona: anche per ricordare la sua battaglia contro lo Iacp che da qualche tempo sta richiedendo gli arretrati agli inquilini del "Kilometro". Cento, con meno risorse, tenta di sfondare sui giovani parlando del suo sogno: lo scudetto alla Roma. Se si può dire che i candidati dell'Ulivo hanno un vantaggio rispetto ai concorrenti, è perché mentre alcuni seggi dei deputati uscenti "salteranno" sicuramente, altrettanti candidati del centro sinistra possono sperare di farcela: il clamoroso risultato del '94 (22 deputati al Polo, 2 alla sinistra) è, a giudizio di entrambe le parti, irripetibile. La Grande Periferia, con il suo milione di voti, è destinata a riequilibrare lo scrutinio. La festa organizzata dai giovani "ulivi" nella palestra è piena di gente e Rutelli ha buon gioco: parla con il nuovo cantiere alle spalle. Il sindaco sprona all'impegno, vuol far tornare a credere "nel miglioramento della situazione". E lamenta il vandalismo che l'altra notte ha distrutto le recinzioni del nuovo giardino di Corviale. Si finisce a ballare, con musica che urla "semo trasteverini de' sta' Roma bella". Va bene anche così, per gli abitanti del "serpentone" dell'architetto Fiorentino, che una leggenda extra metropolitana dice suicida quando vide realizzato, ai primi anni Ottanta, il suo progetto. PULLARA GIUSEPPE “Corriere della Sera”, 14 aprile 1996, p. 37 GIUSEPPE PULLARA — Salvare Corviale? Destra e sinistra divise sul «serpentone». An vorrebbe abbatterlo, gli avversari pensano a nuove funzioni. Concorso di idee in primavera Salvare Corviale? Destra e sinistra divise sul «serpentone» Corviale, la «casa-chilometro» sulla via Portuense: abbattere tutto, come vorrebbe Fabio Rampelli, capogruppo An alla Regione, oppure restaurare e trovarne una diversa utilizzazione, come si pensa invece a sinistra? L’alternativa è’ stata posta ieri nell’ex Stenditoio del San Michele, «serpentone» d’ altre epoche non certo abbattuto ma restaurato e «riusato». La Regione, lo Iacp (proprietario dell’immobile) e la facoltà di Architettura Valle Giulia, organizzando un convegno, hanno aperto una prospettiva di riscatto per il palazzone-simbolo di una vena architettonica razionalista (Mario Fiorentino) ma anche del degrado abitativo. Prestigiose opinioni a confronto, idee, ipotesi e progetti. E un concorso internazionale di idee, in primavera, per porre la prima pietra di un «nuovo» Corviale, ospitale, funzionale, umanissimo. «Cominciamo a parlare di Corviale — dice il commissario Iacp, Pietro Magno — ma poi passeremo al Laurentino 38, a Tor Bella Monaca. La rinascita di questi insediamenti e’ possibile, anche se i problemi non mancano. A patto che ci sia la volontà politica». Secondo Roberto Palumbo, preside di Valle Giulia, solo un reale concorso dei soggetti interessati (Iacp, Regione, Comune, ministeri) può dare un nuovo futuro a Corviale. «Da sola, una gara architettonica non serve: il riscatto del serpentone» può anche non passare attraverso l’architettura ma seguendo altre piste». Costato nell’81 più di 100 miliardi, il «Corvialone» ospita 10 mila persone. «Questo immobile — dice Franco Purini, urbanista di Valle Giulia — e’ riuscito a rappresentare la durissima condizione dell’abitare di massa dei ceti subalterni. Ma come e’ stato fatto per il Lingotto, deve essere rispettato quale monumento architettonico. Corviale va reso polifunzionale, con usi conflittuali»: museo, mercato, mediateca, case, studi d’ arte. Così potrà risorgere». Tra le proposte pervenute al convegno: al posto del «Kilometro» un villaggio con piccole case, vicoli, piazzette, la chiesa, la fontana, gli alberi. Un paese. Una scelta «postmoderna». Purché, come già sibila qualcuno, tutto non finisca in un gigantesco affare immobiliare. Giuseppe Pullara — «Corriere della Sera» — 15 dicembre 2001, p. 49 GIUSEPPE PULLARA — Corviale, una lezione per capire Troppo facile dire: Corviale è un fallimento, Tor Bella Monaca un disastro. Meglio cercare di capire sia le ragioni per cui sono stati costruiti questi insediamenti abitativi sia il perché sono caduti in crisi. L’altra mattina una lezione di Piero Ostilio Rossi, ospitato nel corso di Giorgio Ciucci («Architettura e città nell’Ottocento e nel Novecento») in un’aula di Roma Tre, ha proposto una spiegazione. In quasi oltraggiosa sintesi: per eliminare le degradanti borgate e per combattere l’abusivismo edilizio lo Stato, attraverso l’Ina Casa e poi l’Unrra Casas, predispose interi nuovi quartieri. Nel costruire le nuove abitazioni popolari, anche ricorrendo alla speciale legge 167, si sarebbe dovuto dotarle dei servizi necessari (scuole, negozi, strade, mercati). Pietralata, Tiburtino III, Rebibbia, TBM dimostrano che non accadde così. Chi faceva case non era abilitato a fare il resto e i quartieri restarono incompleti. Con l’entrata in campo della Gescal, dopo gli enti citati, si cerca di superare la dissonanza progettando insediamenti che tra le stesse abitazioni incorporavano anche i servizi: il quarto piano di Corviale ne è un esempio, come pure i «ponti» del Laurentino 38. Ma un’idea di avanzata socializzazione nata con il’68 prese forma tardi, quando —erano gli anni di piombo— questo spirito aveva lasciato il posto ad un intimorito individualismo. E così gli edifici-paese si parcellizzarono in micro-roccaforti abitative, chiuse ed asociali. Che questa spiegazione soddisfi ogni aspetto della criticità dei quartieri-edifici «maledetti» non è affatto certo. Ma sicuramente può contribuire ad evitare valutazioni superficiali e sommarie e, quindi, profondamente sbagliate: in genere si fa ricadere la responsabilità del malessere che circola in alcune periferie solo sulle spalle degli architetti. Che, semmai, hanno altre responsabilità. L’espansione della città «per parti» indicata dal Piano regolatore del ’62 (quartieri che galleggiano nell’Agro senza una logica connettiva) deriva dal prestigio che in quel tempo aveva l’urbanistica scandinava che si basava, però, sull’esistenza, attorno ai centri urbani, di centinaia di laghi e corsi d’acqua: un vero ostacolo all’espansione in continuità. Idee per Stoccolma calate sulla campagna romana. Giuseppe Pullara — «Corriere della Sera» — 2 giugno 2011, p. 15 GIUSEPPE PULLARA — Corviale 40 anni. L'edificio più grande di Roma nato per sconfiggere i borghetti. Utopie di un grande progetto. Occasioni perse dalla gestione ROMA - Chissà per quale ragione il palazzone di Corviale, quello lungo un chilometro e alto nove piani al Portuense, è stato chiamato «il Serpentone»? Mai visto un rettile starsene dritto come una stecca, mai visto mettersi gagliardamente in mostra. Semmai si camuffa guardingo e un suo passo diventa subito una serie di curve. L'edificio-villaggio di Roma è stato chiamato serpentone forse perché ha in comune con le bisce il senso di diffidenza che provoca negli umani. Corviale, fermo su se stesso con il suo verde intorno, con i suoi quarant'anni continua a guardare lungo, verso gli altri landmark romani con i quali scambia misteriosi messaggi. Il progetto del 1972, così diverso da tutti gli altri, fece diffidare perfino alcuni tra gli stessi architetti che lo stesero e in seguito, per i problemi emersi, intellettuali e politici. Ma come per i serpenti, da un lato repulsione, dall'altro attrazione, incantamento. Il disagio di fronte all'Utopia che si voleva realizzare, ma anche il fascino di una cosa forte: l'architettura che si faceva urbanistica in un colpo solo. Superando anche le incertezze del suo staff, il capo-progetto Mario Fiorentino riuscì ad imporre un'immensa casa popolare (1.202 appartamenti) con servizi e infrastrutture riunite in un solo sistema: tutto insieme, non come si era fatto di solito, prima le abitazioni poi un giorno si vedrà, il resto. Né il committente Iacp né Comune né altri ebbero nulla da dire, come incantati dal cobra: e nel 1975 il cantiere parte. Il Corvialone è stato sempre indicato come una architettura «di sinistra». Il governo che allora pianificò (meritoriamente) la realizzazione di 700 mila stanze «popolari» per affrontare l'emergenza-casa in Italia era guidato dalla Democrazia cristiana, in Campidoglio comandava la Dc, il cardinale Poletti, vicario di Roma, esaltò la qualità del progetto, Fiorentino e il suo gruppo non era certo filo-comunista, nei maggiori architetti al lavoro erano rappresentati tutti i partiti ma non il Pci. Solo alcuni, giovani e senza influenza pratica, erano di sinistra. Non di sinistra, ma ideologico sì. Il Corviale si ispirava con spavalderia ai grandi falansteri popolari del Novecento cominciando dalla Karl Marx Hof a Vienna, dalle Unité d'abitation di Nantes e Marsiglia, segno indelebile di Le Corbusier. Un esplicito richiamo veniva fatto anche agli italiani Daneri, Vaccaro e Aymonino (Genova, Bologna, Gallaratese). Il riferimento culturale era il razionalismo e con questo la promozione sociale, la responsabilizzazione dei cittadini. In definitiva, la modernità europea. Il progetto Corviale era scandito da spazi comuni, da luoghi di riunione quasi che i suoi ottomila abitanti potessero mandare avanti un'autogestione, quando un semplice condominio di 8 famiglie si blocca per i litigi. Il Comune approvò il progetto innovativo senza neppure porsi il problema degli assegnatari (diseredati, tra i tanti che premevano per una drammatica emergenza casa, testimoniata dai famigerati borghetti), del suo completamento (ancora oggi non raggiunto) né della complessa e costosa manutenzione. Fiorentino aveva previsto un portierato per ciascuno dei cinque blocchi, per un controllo funzionale: mai visti. Col sole a picco Sandra Montenero, docente universitaria e dirigente dei Lavori pubblici comunali per molti anni, ha guidato l'altro giorno una visita al Corvialone promossa dall'Inarch-Lazio. Partecipò alla stesura del progetto, lo voleva articolato, non era convinta dell'immenso blocco. Era di sinistra e la sua posizione fu sconfitta. «Ma una volta fatta - commenta desolata - l'opera architettonica andava difesa dal committente e dal Comune. Hanno invece abbandonato il campo, tollerando gli abusi edilizi interni come quelli del quarto piano che era stato destinato a negozi e servizi». Le assegnazioni degli appartamenti, affiancate dalle okkupazioni illegali, furono avviate ai tempi del sindaco comunista Petroselli e furono completate dopo che la Dc era tornata, nel 1985, alla guida del Campidoglio. Da luogo di estremo degrado ambientale e sociale, il Corviale si presenta oggi come un complesso abitativo trascurato dalla proprietà pubblica ma decentemente mantenuto dagli inquilini, giunti alla terza generazione. Nel tempo sono arrivati alcuni servizi, gli ascensori più o meno funzionano, è stato infine aperto il mercato, l'agorà progettata da Fiorentino non vive ma c'è la biblioteca, un vivace centro d'arte (il Mitreo), la palestra, la tv local, la posta, l'ufficio dei pizzardoni, si fa teatro, ci passa il bus. Il quarto piano resta illegale, con installati anche studi medici. La «strada interna» del secondo corpo a 45 gradi resta bloccata da interventi prepotenti. Ma i lunghissimi ballatoi dove si affacciano gli appartamenti sono puliti, ci sono tante piante ornamentali, perfino dei fiori. «Certo, qualche errore architettonico è stato fatto - ammette la Montenero - ma sono marginali. Il disastro viene dall'inadeguatezza di chi pensò di essere in grado di realizzare un progetto molto avanzato, quasi un'Utopia romana, non essendo in grado di affrontarlo». Ora non resta che utilizzare al meglio la ventina di milioni stanziati da anni per il «recupero» di Corvialone. I visitatori sostano nell'ombra di una delle entrate. «Buongiorno» saluta un tipo che torna a casa sfogliando il giornale. Manco in un androne di Prati, nemmeno in una palazzina del quartiere Trieste. Giuseppe Pullara — «Corriere della Sera» — 1 luglio 2012

CHRISTIAN RAIMO “La Repubblica”, 4 settembre 2004 Il mostro lungo un chilometro con un cuore a misura d'uomo Facevo la seconda media e il professor Scaramuzzino, educazione tecnica, mi parlò per la prima volta di Corviale. Me ne parlò come alle medie si parla del Mesozoico, di Marco Polo o della Via Lattea: un oggetto distante, quasi mitologico. Un palazzo enorme che era già rovina al momento della sua inaugurazione. Dev'essere per questo motivo che la prima volta che mi sono avvicinato a Corviale, per curiosare non per altro, mi sono sentito un po' colpevole. Mi pensavo un po' come uno di quei giapponesi che allungano il percorso del tour organizzato e da San Pietro arrivano fin qui, per passare col pullman davanti al monstrum, al palazzo lungo un chilometro, al Serpentone, alla Navicella Spaziale, al Transatlantico, al Colosso. È davvero innegabile l'attrattiva che esercita questo gigante edilizio adagiato sulle colline del Portuense, un'attrattiva che riassume in sé lo spaesamento di non poter abbracciarlo con lo sguardo, il fascino kantianamente sublime della massa sterminata di cemento, e anche quella seduzione tutta contemporanea per l'estetica del fallimento. Corviale è questo: un luogo (anche suo malgrado) simbolico. Da quando negli anni '70 fu progettato da Mario Fiorentino, che provò a incarnarvi quell'utopia dell'edilizia popolare in spazi collettivi, secondo il modello dell'Unité d'Habitation di Le Corbusier a Marsiglia. Ma questo spirito idealistico si era già trasformato nel suo opposto prima che gli appartamenti venissero consegnati agli assegnatari Iacp: la città-che-doveva-essere-modello (con mille famiglie ad abitare in verticale; e una sorta di agorà tutta sviluppata su un piano - il quarto - con negozi, botteghe, teatri~) per anni ha invece significato il sinonimo contrario: degrado, periferia, disagio, alienazione. Come Le Vele a Secondigliano, lo Zen a Palermo, Quarto Oggiaro a Milano, come Laurentino 38 a Roma, i prodotti critici di amministrazioni comunali distratte, incompetenti o malamente datesi in pasto ai palazzinari. L'ostilità è stata tale da dar vita a leggende metropolitane come quella che diceva che il Palazzone toglieva l'aria a Roma, impedendo con la sua mole il flusso rinfrancante del Ponentino; oppure l'altra che voleva che Mario Fiorentino fosse morto d'infarto alla vista del suo figlio frankesteiniano completato. E ovviamente da vent'anni non è mai mancato chi ha pensato di fare tabula rasa, e abbatterlo Corviale. Ci provano, ci provano ancora, magari per ragioni di campagna elettorale, soprattutto alcuni esponenti di An (che la additano come macchia inespiabile dei comunisti di allora), ma anche architetti importanti come Massimiliano Fuksas, che ogni tanto torna ad intonare: «è un disastroso elemento di rottura, bisognerebbe tirarlo giù e ripristinare una delle più belle colline di Roma». Fatto sta che oggi il palazzo-quartiere ha più di vent'anni, e invece del deserto di strutture e servizi, ecco c'è un centro anziani, una biblioteca, un centro di formazione professionale, un incubatore d'impresa, comitati di varia natura, circoli, associazioni, compagnie teatrali, centri sportivi, eccetera: e quindi quell'immagine stereotipata di incubo urbano non è più esattamente rispondente. Okay, c'è l'atavico problema del malfunzionamento degli ascensori oppure quello della pulizia delle scale, ma chi vive qui non si vergogna più di ammettere che viene da Corviale - lo testimoniano bene i risultati del questionario che l'Osservatorio di quartiere ha proposto a cinquecento inquilini e che sarà pubblicato a giorni. Insomma, pare che finalmente si sia creato un amalgama sociale, un'identità, una coesione. Diciamo una comunità. Dove proprio la questione dell'appartenenza era stata fin dall'inizio uno dei nodi problematici: il fatto era che gli assegnatari delle case non erano blocchi legati in nessun modo, erano famiglie che avevano ricevuto lo sfratto, chi a Boccea, chi a Ostia, ma anche a San Giovanni, o in pieno centro storico. La disomogeneità era dunque originaria, e forse soltanto ora che esiste una seconda generazione di corvialini, si può pensare di re-immaginare Corviale. Eccoci, non si tratta soltanto di riqualificare, ma di Immaginare Corviale, come si chiama il progetto che - in nome di bassa fedeltà allo spirito utopico della costruzione - vede coinvolti l'assessorato del Comune di Roma alle Politiche per le periferie, allo sviluppo locale, al lavoro; la Fondazione Olivetti; il Laboratorio territoriale. Si tratta di capire innanzitutto come gestire uno spazio difficilmente organizzabile, come elaborare una concezione della vita condivisa più che pubblica, un'idea rinnovata rispetto a quella ideologica "dall'alto" del progetto di Fiorentino. Ripartire dalle microtrasformazioni realizzate negli anni dagli inquilini (le occupazioni e le autocostruzioni del quarto piano, ad esempio) e dalla capacità "dal basso" di immaginarsi in uno spazio comune, di reinterpretare un modello sociale e abitativo. Cosa vuol dire? Per esempio: decostruire mentalmente il molosso, provare a ragionare su una gestione meno unitaria, dividere Corviale in realtà più piccole, autonome, umane. O anche: inventarsi una street tv, un network televisivo condominiale, TeleCorviale. O ancora: ospitare un laboratorio permanente di produzione artistica, visto che questo palazzo ha da sempre attirato artisti, fotografi, videomaker (un lavoro mirabile era per esempio compreso in site specific_roma 04 di Olivo Barbieri presentato all'ultimo Festival di Fotografia a Roma: le sue immagini fluttuanti, "marziane", facevano sembrare il palazzo il segno di una civiltà scomparsa o lontana, una presenza magnetica, prodigiosa, come il monolite di 2001 Odissea nello spazio). L'ultima volta che ripasso a Corviale è un paio di settimane fa, una giornata di quella sospensione del tempo che è l'agosto romano. Sono con un mio amico dei Castelli e di fronte a questo palazzo in cui non siamo amici di nessuno, con le serrande chiuse e ogni tanto qualche bambinetto che ci sogguarda con sufficienza, sembriamo veramente due attori comici in pensione, due personaggi inediti di Soriano. Lui ha lo sguardo mezzo svagato mezzo tagliente di chi, in questa confidenza data dalla stanchezza, butta nell'aria questioni sul Mondo, l'Amore, mi chiede che ne penso dell'Inizio e della Fine delle Cose; io ho una tendinite devastante che mi fa urlare a ogni passo e mi spezza le frasi prima di cominciarle, cerco di argomentare il fatto che sono idiosincratico alla parola stessa "fine", ma appunto non riesco a completare un discorso che mi devo sedere su qualche panchina a massaggiarmi. Allora, ciondoliamo per i garage, scommettiamo con tre ragazzini quale dei quattro ascensori funzionerà, ci scoliamo un litro d'acqua minerale che compriamo allo spaccio nel sovrascala, passiamo davanti a qualche scritta in cui si dice che qui regnano Sergio e Fra' e davanti a un'altra che dice che no qui regna Yanez, sfiliamo per il quarto piano continuamente interrotto da cancelli e inferriate, proviamo a cacciare il muso in appartamenti che sembrano dei loft con un una selva tropicale dentro, ci affacciamo dai ballatoi con lo sguardo che perpendicolarmente si infrange sul cemento a vista dei piani sottostanti, saliamo al nono piano giusto per ricordarci quanto entrambi soffriamo di vertigini. E quando riscendiamo verso la macchina perché giustamente così non posso andare avanti a fare iiiih per la gamba dolente, mi metto lì a guardare per l'ennesima volta in vita mia questo palazzo talmente simbolico che forse potrebbe fare da metafora a tutto. Anche per le storie d'amore, no? Un grande progetto idealista iniziale~ tante difficoltà di manutenzione~ piccole improvvisazioni giornaliere~ la convivenza con i difetti e il tentativo di trasformarli~ Ehi, il futuro promette bene per Corviale, semplicemente questo vorrei dirgli al mio amico. CHRISTIAN RAIMO “La Repubblica”, 4 settembre 2004 RASY ELISABETTA “Corriere della Sera”, 3 marzo 2007, p. 17 IL SILENZIO PROFONDO DI CORVIALE Il nome Corviale per i romani ha significati diversi. Per chi non ha mai visto il palazzone di nove piani lungo un chilometro, quel nome indica solo una degradata periferia. Per chi se lo trova di lato, sbucando dalla Portuense, sopra una collina dove pascolano pecore e cavalli, è una singolare e inquietante apparizione urbana. Per chi si occupa di urbanistica, l' edificio, ideato da Mario Fiorentino nel 1972, è la riprova di come certe astratte utopie architettoniche non producano buoni risultati. Ma per chi ci abita Corviale è un luogo di contrastanti sentimenti quotidiani tra i quali, negli ultimi anni, si è affacciato quello del riscatto. Nella biblioteca comunale diretta da Antonio Trimarco, nel «Centro Culturale Polivalente Nicoletta Campanella», sono risuonate nei giorni scorsi cinque parole su cui riflettere: silenzio, bene, empatia, dolore, allegria. Nell'ambito di una ricerca varata dall'Assessorato alle Politiche Culturali questi vocaboli proprio da Corviale hanno intrapreso un cammino per le strade di Roma in cerca di nuovi significati, tra incontri e dibattiti. Ma attorno a una di esse silenzio Corviale ha già incominciato a interrogarsi. L' idea è stata di un medico del Distretto di Salute Mentale, Antonello D'Elia, colpito, all'inizio del suo lavoro nel quartiere (il popoloso Casetta Mattei), dal silenzio profondo che regnava all' interno del palazzone. Ora una troupe di studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia riprende luoghi e persone con la collaborazione dei residenti. Il progetto s'intitola «Il silenzio di Corviale». L'obiettivo, naturalmente, è di infrangerlo. RASY ELISABETTA “Corriere della Sera”, 3 marzo 2007, p. 17

VITTORIA SCARPA “La Repubblica”, 10 dicembre 2004

CORVIALE, APERTO BOOKSHOP OUROBOROS

Si chiama Ouroboros, dal nome del simbolo celtico che rappresenta l'equilibrio, ed è interamente dedicato al mondo della fantasia. È il nuovo bookshop (aperto dalle 9 alle 20) inaugurato ieri nella biblioteca di Corviale. Romanzi fantasy, di fantascienza e horror, ma anche oggettistica, giochi di ruolo, giochi di miniature e di carte collezionabili, vanno ad aggiungersi così all'offerta culturale e di svago che il Comune porta in periferia. Dopo l'apertura del bookshop Almayer alla biblioteca Elsa Morante di Ostia Lido e il bookshop FieroBecco alla biblioteca Cornelia, quello a Corviale realizza il terzo obiettivo annunciato dalle Biblioteche di Roma, a un anno circa dalla pubblicazione del bando che prevedeva la concessione di contributi per l'apertura di nuove librerie in periferia. Destinatari dei fondi comunali, in questo caso, sono quattro giovani poco più che ventenni con il pallino del mondo medievale e dei giochi di ruolo. «Ci siamo proposti di far rinascere Corviale non abbattendone il complesso edilizio ma offrendo a chi lo abita delle opportunità - ha commentato il sindaco Walter Veltroni - e questa struttura, insieme alla biblioteca Corviale e al centro polivalente "Nicoletta Campanella", è una delle cose più belle che abbiamo fatto». Un impegno teso anche a sanare lo squilibrio tra centro e periferia quanto a offerta culturale. «Delle ventitré librerie risultate idonee per i finanziamenti, ne abbiamo già aperte dieci, altre cinque saranno inaugurate nelle prossime settimane», ha ricordato l'assessore alle Periferie Luigi Nieri.

VITTORIA SCARPA “La Repubblica”, 10 dicembre 2004 GERALDINE SCHWARZ “La Repubblica”, 11 aprile 2002

E AL CENTRO DEL SERPENTONE CORVIALE ACCOGLIE IL MUNICIPIO Al centro della periferia. A Corviale il sindaco Veltroni ieri pomeriggio ha inaugurato la nuova sede del parlamentino del XV Municipio, in via Marino Mazzacurati, a pochi metri dal "serpentone" che in un chilometro di cemento ospita mille appartamenti. Il governo del municipio si sposta proprio a due passi dal colosso che ancora oggi alimenta i disagi di chi lo abita. La struttura, che ospiterà il consiglio, ricalca il disegno di un anfiteatro ed ha 300 sedie gialle, un comando dei vigili ed un ufficio tecnico. «Con questa nuova casa per i cittadini - ha detto Veltroni davanti ad una platea numerosa di abitanti - luoghi e funzioni amministrative si avvicinano alla gente, e la città ridisegna il suo profilo secondo la logica che dal centro va alla periferia. Per il recupero di Corviale, che inizia con questa inaugurazione, il piano di intervento è pronto, si deve solo sbloccare il meccanismo che vede la partecipazione congiunta di Comune, Regione e Provincia. Se tutti gli enti collaborano si avranno a disposizione per il recupero urbano di Corviale 34 milioni di euro, pari a 68 miliardi di lire». «Solleciterò anche lo Iacp - ha aggiunto il sindaco - per ristabilire i servizi primari all'interno del palazzone: se gli ascensori non funzionano da anni si pongono problemi di sicurezza che vanno risolti». «Corviale è stato abbandonato per troppo tempo - racconta Antonio, abitante da 17 anni al I lotto, scala A - per risalire, bisogna partire dal basso: dagli ascensori, dai citofoni, dalla luce delle scale che non sempre funziona. Speriamo bene». «È una sede che abbiamo fortemente voluto - ha detto Gianni Paris, presidente del XV Municipio - è un piccolo passo per recuperare la dignità del quartiere e toglierlo dall'isolamento».

GERALDINE SCHWARZ “La Repubblica”, 11 aprile 2002 GERALDINE SCHWARZ “La Repubblica”, 7 ottobre 2004

TELE CORVIALE IL SERPENTONE VA IN TELEVISIONE

Il Serpentone di Corviale va in tv. L' appuntamento, sulle frequenze di Roma Uno per quindici minuti a settimana, partirà da metà ottobre. E questa volta la periferia ovest di Roma, utopia molto sofferta e poi fallita di edilizia popolare progettata negli anni ' 70, andrà sotto i riflettori non per un disservizio o una notizia di cronaca nera ma solo per farsi conoscere meglio da tutti i romani. Un anno fa, con la rivalutazione della zona promossa dal Comune in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti e con l' Osservatorio nomade degli artisti (del gruppo Stalker) era nata TeleCorviale, esperimento di televisione condominiale a circuito chiuso organizzata con la partecipazione attiva degli abitanti. Oggi l' immagine di Corviale, con le sue storie, i suoi ascensori che funzionano male e di rado e suoi settemila abitanti, esce dal "condominio - città" e raggiunge l' emittente Roma Uno con una rubrica di "Pillole dal quartiere" estratte dalla neonata televisione locale. Il primo speciale che introdurrà le trasmissioni settimanali andrà in onda sabato 16 ottobre. E poi, ogni settimana (il giovedì sera alle 20.30) quindici minuti di celebrità. Anche per "il nuovo" Corviale

GERALDINE SCHWARZ “La Repubblica”, 7 ottobre 2004 GIUSEPPE SERAO “La Repubblica”, 4 ottobre 1997

DA CORVIALE ALL'AURELIO LE BIBLIOTECHE DEL FUTURO ACQUISTANO nuovi spazi le biblioteche comunali romane. Ad un anno dal via l'istituzione del 'Sistema biblioteche centri culturali' del Comune, che con un finanziamento di circa 17 miliardi di lire gestisce una rete di 25 luoghi di lettura e di studio dislocati in tutta la città, ha finalmente una sede propria in largo Goldoni 47, è pronta ad inaugurare un nuovo centro culturale e si prepara a gestire due spazi destinati ad accogliere due grandi biblioteche. Gianni Borgna, assessore alla Cultura, ha annunciato ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa, che il 15 ottobre prossimo si concluderanno i lavori di ristrutturazione dei locali in cui avrà sede la nuova biblioteca di 600 metri quadrati nel quartiere Aurelio, e ha confermato l'assegnazione al Comune di un'area di 3500 metri quadrati in via G. Cardano 135 nel quartiere Marconi dove sorgerà la struttura più grande del servizio bibliotecario romano con un patrimonio di partenza di 17 mila libri, mentre un altro luogo di lettura occuperà uno spazio di 550 metri quadrati in via 22 nel quartiere Trieste. E un'altra novità è stata annunciata da Tullio De Mauro: il presidente del Consiglio di amministrazione dell'Istituzione biblioteche ha illustrato un progetto per la realizzazione di un centro polifunzionale a Corviale che, tra le altre cose, comprenderà al suo interno anche una biblioteca di circa mille metri quadrati. Restauri, invece, per la biblioteca di piazza dell'Orologio chiusa al pubblico dal 1989. I lavori di ristrutturazione, avviati il 2 settembre scorso, comporteranno una spesa di circa tre miliardi di lire ed avranno la durata di un anno, arco di tempo necessario per la definizione del piano di utilizzo dell'intero pianterreno dell'Oratorio dei Filippini che, oltre alla biblioteca-centro culturale, comprenderà anche quella romana, l'emeroteca e la Sala Borromini. Sono stati già ampliati e ristrutturati, infine, i servizi delle Biblioteche Centrale Ragazzi, di quella di Via dei Sardi e del Raffaello di via Tuscolana. E in attesa che i luoghi di lettura vengano inaugurati numerose le iniziative promosse per il mese di ottobre. Tra queste, un programma interbibliotecario di incontri e di laboratori intitolato 'Una tribù che parla. Voci e immagini della metropoli giovanile' che avrà inizio il 7 ottobre e una rassegna di disegni realizzati dai bambini delle scuole materne della capitale ispirati alle favole di Moravia in mostra dal 6 ottobre al 7 novembre nella biblioteca Borromeo.

GIUSEPPE SERAO “La Repubblica”, 4 ottobre 1997

ELENA STANCANELLI “La Repubblica”, 10 ottobre 2001 CORVIALE, FALLIMENTO DI UN' UTOPIA E IL SERPENTONE SI MORDE LA CODA Dall'ultimo censimento effettuato dallo Iacp (istituto autonomo case popolari) nel 1992-93, Corviale ospiterebbe circa 4.500 abitanti: 1.500 famiglie divise nei 1202 appartamenti regolari, e altre 64 (per 165 persone) occupanti. Il palazzo, diviso in 5 lotti, misura 1 chilometro di lunghezza per 9 piani di altezza più garage e seminterrato. Ispirato alle teorie di Le Corbusier, fu progettato da un' equipe di 23 architetti diretta da Mario Fiorentino. La prima pietra venne posta il 12 maggio 1975, le prime case furono assegnate nell' ottobre del 1982. Ti prende così. Quando ti trovi davanti al malefico "serpentone" senti il bisogno di aggrapparti ai numeri. Serve a combattere la vertigine. Come l'autistico Tom Cruise di Rain Man, che compilava elenchi, contava e ricontava i passi, imparava a memoria inutili dati per sottrarsi alla deriva della vita. Ed è strano, perché il palazzo di Corviale, nelle intenzioni, non doveva somigliare al caos del mondo, ma piuttosto a una specie di equazione algebrica. Pianificato perché potesse essere autosufficiente, un villaggio autarchico con un' unica eccentricità: anziché avere piazze, vicoli, incroci, sarebbe stato disposto su un' unica linea leggermente curva. Quello che è uscito fuori è invece semplicemente un condominio deforme per dimensioni, un "mostro" di un'originalità un po' sinistra. Per questa sua assoluta stravaganza, Corviale è apparso subito ingovernabile. Come immaginare riunioni di condominio, pulizie delle scale, manutenzione degli apparati, assegnazione dei posti macchina? È stato come se cento anni fa i marziani avessero recapitato sulla terra i computer ma senza libretto di istruzione. Ed è per questo che, per mezzo di dolorose contrazioni, continui rivolgimenti, corruzioni e risurrezioni, il mostro ha dovuto produrre da se stesso leggi inedite che riuscissero ad amministrarlo. E non in un angolo appartato dove poter riflettere con serenità, ma sempre al centro di polemiche infinite e irredimibili. La sua fama, spesso pessima, ha tenuto Corviale sempre sotto una lente impietosa. Mica facile vivere così. Come il quartiere Zen di Palermo. C'è stato chi ha condannato l'esperimento fin dalle premesse e chi ha sostenuto, come Gregotti (che dello Zen è autore), che la responsabilità del fallimento andava attribuita alla incompiutezza: noi progettiamo macchine grandiose e straordinarie e voi le abbandonate prima che siano finite. Ovvio che marciscano, come esserini partoriti al mondo prima che abbiano tutti gli organi formati e funzionanti. Tra i primi il focoso Massimiliano Fuksas: «Secondo me la capitale di Niemeyer e il palazzo lungo un chilometro di Roma sono figli della stessa logica. Anzi della stessa utopia: dare un ordine al mondo, trovare un modello per il mondo. Ma nessuno di quei modelli ha mai funzionato, né Corviale né lo Zen avrebbero mai "funzionato", nemmeno in presenza di tutti i possibili servizi sociali e di quartiere, di tutte le certezze organizzative e di sicurezza. Il problema è un altro: quando qualcuno desidera "fare ordine" fatalmente aggiunge un nuovo danno al danno preesistente». È vero. Ma chi è che non desidera fare ordine? Ognuno pensa che il mondo, senza l' intervento della propria cultura e civiltà, sia in balìa della violenza e dell'ingiustizia. Lo pensa Bin Laden, lo pensa Bush. E poi, come si fa a non essere d' accordo sul fatto che, se si realizza uno shuttle poi bisogna arrivare in fondo, e non, che so, lesinare sul propulsore? Senza un propulsore perfettamente completato lo shuttle anziché decollare si affloscia sulla rampa come la vaniglia sul cono, senza alcun dubbio. Certo, ci sono shuttle che si afflosciano comunque, ma peggio per loro, hanno avuto la loro brava opportunità. E qui si inserisce la storia del quarto piano. Nel progetto iniziale questa parte era infatti destinata a negozi, laboratori artigianali, biblioteche e servizi vari. Una zona cuscinetto che avrebbe dovuto decomprimere la densità umana del "transatlantico". Ma purtroppo la spinta si era ammosciata e il quarto piano era rimasto a lungo deserto e sciupacchiato. Ma a Corviale, dove vigono inedite e infallibili leggi che contengono in misura aurea ordine ed entropia, il problema è stato risolto nel migliore dei modi: accogliendo una pacifica occupazione. L'invasione ha portato molte buone cose al Corviale. Gli occupanti per esempio, sono stati risolutivi nella lotta fratricida contro i tossici perennemente accampati in quel vuoto appetitoso. I nuovi inquilini si sono alleati e hanno spintonato giù dalle scale i corpi abbandonati, spazzato le siringhe, bonificato le aiuole verdi. Le famiglie degli occupanti hanno poi tirato su muri che non c'erano, fatto gli allacciamenti di acqua, luce, gas e col tempo si sono anche messe in regola. Hanno costruito appartamenti dignitosi al posto di alvei disabitati e bonificato il chilometro di corridoi e piazze di cui ci si era dimenticati. Oggi il quarto piano è identico agli altri, coi suoi bravi cancelli di ferro chiusi da catene che delimitano microcosmi di sette, otto appartamenti, e la sua fermata blu dell'ascensore fuori uso opportunamente devastata. Per raggiungerlo, quindi, salgo per le scale. Un chilometro in macchina è un istante. Arrivavo da Via di Poggio Verde e mentre parcheggiavo, dopo aver costeggiato il palazzo fino in fondo, avevo fatto in tempo a pensare che beh, 'sto Corviale lo immaginavo più grande. Capita di pensare stronzate quando si cerca di farsi coraggio. L'impatto col "mostro" è infatti un po' complicato. Una scia di macchine bruciate e imbottite di spazzatura e di pezzi di se stesse segna il tragitto di accesso. E questo non dispone l'anima né alla bellezza né alla serenità. Sarebbe stato meglio entrare dall'altra parte, dove stanno i citofoni e gli androni con le vertiginose strutture in metallo, piuttosto che dal garage. I garage sono scenografie dell'orrore, si sa. Ma adesso sono di qua e Corviale, che dal mio metro e settanta a naso in su adesso percepisco nella sua straordinaria immensità, è una muraglia cinese invalicabile. Mentre salgo mi ripeto la mia preghierina di cifre per farmi coraggio. Sono le tre di un pomeriggio assolato e l'intero Corviale sembra deserto. Passa davanti a qualcosa di spaventoso che nei piani doveva essere uno dei gabbiotti della portineria. Le buche delle lettere sono aperte come scatole di pelati, il pavimento è invaso di monnezza, scheletri di motorini morti giacciono negli angoli. Sarei per compiangere e giudicare, ma la reazione inventata dal condominio mi spiazza. Ancora una volta l' infallibile politica interna ha prodotto dalla merda il suo contrario: di fronte, in uno stanzino anche lui abbandonato, è stata creata una portineria bis, protetta dagli immancabili catenoni, dove le buche delle lettere fanno bella mostra di sé in perfetto ordine. Ma io cerco il quarto piano e quindi devo salire. Non è così facile come si potrebbe immaginare: non è proprio «dopo il terzo viene il quarto e così via». Ci sono angoli da svoltare con apprensione, scale che si interrompono, cancelli che ti sbarrano il cammino senza preavviso. Così, un po' scoraggiata, chiedo all' unica persona che incontro. Ci sei già al quarto piano, mi rivela Jacinto Gil Bucari che ha trent'anni, ed è capoverdiano. Non mi stringe la mano perché la sua puzza di pesce, però mi fa entrare a casa sua. È una di quelle occupate: lui è subentrato cinque anni fa al posto di un ragazzo egiziano che ha lasciato in eredità al condominio un murales con piramidi e feluche sul muro abusivo. Jacinto mi racconta della sua vita, e intanto si fa una doccia per togliersi di dosso l' odore del pesce che ogni giorno consegna in giro per la città col furgoncino della ditta. È arrivato in Italia con suo fratello quando aveva poco più di dieci anni. In aereo, col cartello al collo e per mano a una hostess. Raggiungeva finalmente la madre, che si era risposata e aveva un lavoro. Gli è rimasto, delle sue isole, solo un lievissimo accento che nasconde sotto il romanesco parlato a una velocità supersonica. E sempre a mille all'ora mi parla anche di Corviale, dove lui sta bene, dove la gente secondo lui vive abbastanza tranquilla, malgrado il degrado che li trascende. Ma fin dove possono, si sforzano di rimediare. Tutte le persone con cui parlo sembrano avere verso il "mostro" un atteggiamento affettuoso paterno, come si può avere verso un figlio un po' malacarne, ma al quale non si può non voler bene. Anche la signora che incontro dopo aver lasciato Jacinto si scusa perché, dovendo io prendere le scale, sarò costretta a passare per lo zozzume. Qui, mi mostra, abbiamo pulito. Ma laggiù. Seguo le indicazioni di Jacinto e torno verso il pianterreno, dove dovrebbero aver sistemato qualche negozio di quelli previsti per il quarto piano. Ma l'alimentari è chiuso perché è presto, il supermercato per totale abbandono. Trovo invece una palestra per il pugilato e una scuola di ballo, i cui irettori hanno lo stesso cognome. Buffo, penso. La spiegazione me la dà una dottoressa. Vicino a una specie di bar che viene chiamato "la bisca" c'è infatti una sede della Usl, con un piccolo policlinico e un consultorio dall'aspetto lindo e efficiente. La dottoressa mi spiega che gli abitanti di Corviale si sono raggruppati in cinque o sei grandi famiglie che provengono dalla prima immigrazione. Col tempo è avvenuta una selezione tra gli assegnatari delle origini: quelli che sono rimasti si sono allargati, via via che si liberava un alloggio ci mettevano dentro i figli i quali entravano come abusivi e dopo qualche anno venivano condonati e assegnati. Strutture sanitarie e centro anziani sono arrivate qualche anno fa, nel periodo in cui si svolgeva la guerra contro i tossici. Erano le truppe del Comune mandate in appoggio ai condomini. E i condomini, dopo un'iniziale diffidenza, le hanno prese in consegna. Gli anziani, in quella che forse doveva essere una serra, ci hanno fatto un pollaio, con parecchie galline e un gallo spelacchiato che deve difendere la sua supremazia dalle mire di un fagiano assai più elegante. Ma Corviale è così, una specie di enorme villa degli Scalognati pirandelliana, dove quello che vedi può sembrare un incubo, ma forse è solo un'apparizione inventata per tenere lontani i Giganti della Montagna. I criticoni, gli architetti arroganti, i giornalisti, me.

ELENA STANCANELLI “La Repubblica”, 10 ottobre 2001 RICCARDO TAGLIAPIETRA “Il Messaggero”, 20 ottobre 2013 CORVIALE TRA SPACCIATORI E BRAVA GENTE, QUEL MOSTRO A DUE TESTE È lì che salgono le anime, lungo le scale che portano ai nove piani dell’astronave, un chilometro di cemento armato dove convivono il bene e il male, e sopravvivere è fatica. A guardarlo quel «mostro», amato come un figlio, ci si aspetta che parta verso il cielo. Portandosi via, magari, una delle testimonianze che a Roma le borgate esistono ancora. Lo diceva anche Max Gazzè che a Corviale ha dedicato una canzone, immaginandolo in viaggio fino ai Parioli. Un luogo dove l’amore è testimoniato dalla lealtà, e la cattiveria prende il volto di spacciatori e immobiliaristi improvvisati. L’Ater avrebbe dovuto accudirlo, questo mostro, invece di abbandonarlo a una lenta agonia. Decine di locali sono stati lasciati a marcire, o a diventare preda dei balordi. Ecco la verità di Corviale, tessuta su un filo dove camminano buoni e cattivi, pronti a rinnegarsi su Facebook come borgatari social, ma anche ad aiutare chi sta peggio.

LE TORRI. Cinque lotti. 1200 appartamenti costruiti dall’architetto Mario Fiorentino dal 1975 all’82. Metà quartiere abita qui. Ognuno ha una torre e le vetrate delle prime due sono sfasciate: quando piove le scale diventano una trappola. Di quattro ascensori per ogni nucleo, ne funziona uno. I campanelli sono rotti o bruciati. Dei nove piani è il «quarto» quello su cui tutti puntano il dito. Fu costruito per ospitare negozi. Poi è diventato «il piano degli abusivi», passato indenne a due sanatorie pasticciate. C’è perfino chi ha comprato, pagando qualche migliaio di euro al precedente inquilino. Un cingalese è convinto che la casa sia sua, dice di essere felice. A Corviale vive pure chi i soldi ce l’ha, con appartamenti arredati nel lusso. Qui resiste ancora la chiesa di padre Gabriele. «I problemi sono tanti, ma insieme li risolviamo», commenta un gruppo di arzille vecchiette sedute attorno a un tavolo con torta e gazosa, a mischiare carte e santini. «E poi - dicono - guardi che vista, tutta per noi». È la riserva naturale della Tenuta dei Massimi, centinaia di ettari a bosco e prato.

MAGIA E DISPERAZIONE A Corviale c’è la magia delle panchine che raccolgono anziani e ragazzi. Così la storia prende forma con i racconti. Salvo, all’imbrunire, lasciare il posto alle vedette che armano lo spaccio, protette dai corridoi clandestini e blindati dell’astronave. Una volta c’erano due bande, oggi comanda er Palletta. Lo conoscono bene i carabinieri. Una sessantina di ragazzi lavorano per lui, smistano almeno cento chili di droga al mese. E lui, intanto, fa affari con i calabresi. Non abita più qui, «ma è ancora il re». A condimento, pregiudicati, trafficanti d’armi, mischiati alla gente per bene, e a uno spregiudicato immobiliarista che da anni «vende» gli appartamenti lasciati liberi: 15mila euro se vuoi entrare, compresi - spiega Angelo Scamponi, portavoce dei residenti - gli allacciamenti abusivi. Davanti al mostro c’è pure una biblioteca che presta più di cento libri al giorno ai 15mila associati. E la chiesa che assieme alla Caritas ha organizzato un centro di raccolta per chi non ha denaro. Intorno piccoli condomini. È l’altra faccia del quartiere. Da qui il nemico più grande di Corviale sembra il pregiudizio che ha convinto, per esempio, i progettisti del centro commerciale «Casetta Mattei», che sorge proprio a Corviale, a chiamarlo con il nome del quartiere confinante, perché c’era chi si vergognava. Dimenticando che qui ci abitò pure l’attore Vincenzo Salemme e il collega Elio Germano. Ma d’altronde sono molte le leggende che ruotano attorno a tutto quel cemento. Si racconta che l’architetto Fiorentino morì suicida dopo aver terminato il «mostro». Falso. Morì d’infarto nel 1982 durante una riunione. Anche il ponentino, il famoso venticello romano, si sarebbe fermato contro la pancia del gigante. Inghiottito dalle fauci di un brutto anatroccolo chiede solo più d’attenzione, come i 42 milioni di euro promessi e stanziati per il suo recupero, congelati nei corridoi della politica. RICCARDO TAGLIAPIETRA “Il Messaggero”, 20 ottobre 2013 MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 2 ottobre 2002, p. 1

IL GRATTACIELO ROVESCIATO DEI DESIDERI

Acceso dibattito nel XV Municipio: Alleanza Nazionale chiede di abbattere il palazzo di Corviale

Il Corviale si abbatte o si recupera? Si apre un acceso dibattito al XV Municipio, An lo vuole buttare giù e chiama in causa il Nuovo Piano Regolatore e il suo istituto della compensazione. Ma c’è bisogno veramente di distruggerlo? Secondo l’assessorato al Territorio no, basta riqualificarlo ma sempre in casa Ds c’è chi la pensa diversamente come Ivana Della Portella, esperta d’arte e e presidente della commissione consiliare Ambiente che è per la demolizione. Urbanisti, sociologi e costruttori, Corviale scatena diversi sentimenti, tutti d’accordo col dire che non è un problema centrale visti i guai che attanagliano Roma ma è pur vero che su quel palazzo si concentrano odi e amori e che del Corviale si finisce sempre col parlare. Una spesa enorme e insensata per Campos Venuti che consiglia al Comune di spendere quei pochi soldi a disposizioni per opere più urgenti. Nessuna preclusione ideologica contro l’eventuale soppressione ma a spese totali dei privati. De Lucia invece è decisamente favorevole alla riqualificazione di questo monumento all’idea architettonica passata, testimone della storia recente di Roma. Alberto Clementi lancia una proposta avvincente e tratta Corviale come se fosse un laboratorio di creatività incrociata, gli architetti all’esterno, all’interno gli inquilini liberi di lasciare la loro impronta. Susi dell’Acer pensa più concretamente a chi la casa non ce l’ha, dunque meglio il brutto che il niente, prima di abbattere il pensiero deve correre a chi sta peggio. MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 2 ottobre 2002, p. 1

MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 2 ottobre 2002, p. 3 CORVIALE: SI ABBATTE O SI RECUPERA TUTTO QUESTIONE DI FINANZIAMENTI ALBERTO CLEMENTI, ARCHITETTO, LANCIA UN'IDEA AFFASCINANTE: SCAVARE L'EDIFICIO E TRATTARLO COME INFRASTRUTTURA. DENTRO IL GUSTO DI PERSONALITA' DIVERSE. TUTTO NASCE DA UN'ASSEMBLEA AL XV MUNICIPIO MA LA VERITA' E' CHE SI TRATTA DI FERITA APERTA Il grattacielo rovesciato. Si apre la discussione sul futuro di quel palazzone. Il nuovo piano regolatore lascia aperte tutte le ipotesi. I DS si spaccano e si apre il dibattito culturale. Parlano gli urbanisti Campos Venuti e De Lucia, il sociologo Morcellini, il presidente dell'ACER Susi È un nodo urbanistico, un problema sociale, un dibattito culturale, uno snobismo architettonico o una questione politica? Tutto questo insieme e molto di più. È il Corviale, palazzo chilometrico del Portuense che a cadenza ciclica scatena dibattiti accesi. Il Corviale, finestra privilegiata sull’abusivismo e il degrado, un quarto piano lasciato libero per servizi commerciali e sociali, innovazione mai sfruttata, un quarto piano rimasto sgombro e poi occupato da chi casa non l’aveva. Una piscina in gestione alle Acli, mai sfruttata, un teatro in cemento armato, inutilizzato. Un solo presidio medico per gli inquilini Iacp, i citofoni d’acquisizione recente, affacciato sulla borgata Muratella dove gli zingari la fanno da padroni. Di Corviale ora se ne parla più di prima, anche se subisce altra onta, quella di essere considerato, persino nelle priorità, sempre marginale. Persino adesso, pur se entra di prepotenza nel Nuovo Piano Regolatore con una doppia opzione: abbattimento e compensazione, visto che in alcuni casi di «orrore conclamato» il Nprg accoglie l’ipotesi estrema, sennò riqualificazione del casermone assorbendo istanze nuove. La polemica si è riaccesa localmente, il XV Municipio ha aperto il dibattito, Marco Palma e Federico Rocca di An ne hanno chiesto l’abbattimento nel corso di un infuocato consiglio municipale. Sembrava una boutade a scopo provocatorio invece non tutti sono contrari e il giudizio appare assolutamente trasversale alla politica. Per il Comune, inteso quale assessorato al Territorio, vige l’indirizzo del recupero. Ma in casa Ds si spacca il fronte. Ivana Della Portella, presidente della Commissione consiliare Ambiente e consigliera comunale Ds, mantiene una visione autonoma forte della sua matrice culturale di esperta d’arte. «Non sempre l’urbanistica di sinistra ha prodotto buone cose e Corviale ne è un esempio. Io sono favorevole all’abbattimento. Quel palazzo è nato con presupposti sbagliati, in un contesto sociale sbagliato come la sua destinazione d’uso. Io sono oltranzista circa la sua esistenza. Sono per l’abbattimento e la ricostruzione». Di parere possibilista Giuseppe Campos Venuti, urbanista, consulente del Nprg, non per questo legato a una consegna: «Non ci dimentichiamo che il Corviale è frutto di una storia urbanistica dai connotati precisi e che porta la firma di un grande architetto, Mario Fiorentino. Non sarebbe neanche giusto però prendersela con la realizzazione decurtata delle attrezzature sociali previste. Comunque Roma non ha tra i suoi problemi più angosciosi quello del Corviale e non ha le capacità finanziarie per risolvere quei problemi drasticamente. Il Comune dovrebbe intervenire solo come supporto sociale a un piano interamente finanziato dai privati che non contrasti con il Nprg. Detto questo, nessuna preclusione ideologica contro qualcosa di più bello architettonicamente e di più sano socialmente. Ma si tratta pur sempre di un reperto isolato dal contesto urbano». Più deciso verso il no un altro urbanista, Vezio De Lucia: «Mi sembra sbagliato abbattere. Piaccia o non piaccia, Corviale è la testimonianza di una stagione architettonica contemporanea che non può essere negata. È un’opera che va riqualificata e che ha patito gravissimi problemi di gestione. Certo, è discutibile, un po’ come il Laurentino 38, figlio di una cultura di sinistra che concepiva la casa come servizio sociale fino a monumentalizzarla. Un’idea discutibile ma non serve demolire». Alberto Clementi, architetto, lancia una proposta più che affascinante: «Corviale è un monumento inquietante, testimonianza di un’architettura che ha avuto momenti appunto di inquietante interesse. Era un modo di pensare la città. Ora gli architetti più creativi dovrebbero prendere il Corviale e riarticolarlo, scavarlo per comunità che vivano in verticale; come una diga smembrata e creare blocchi adatti a composizioni sociali, piccoli condomini che vanno per sottrazione. Sarebbe il primo esperimento di questo tipo che si tenta in Italia. Le Courbusier pensò il Plan Obus di Algeri, simile al Corviale, dove ognuno si era costruito la forma del suo abitare, lasciando così la libertà del gusto agli utenti. Corviale è una infrastruttura che anziché casa si è fatta edificio. Dunque fuori la diga scavata, dentro, differenti personalità col proprio modo di vivere. Nasce una nuova estetica; ordine nell’insieme e tumulto nei dettagli. Coinvolgere gli abitanti in qualcosa che li veda protagonisti, per qualcosa che sia veramente loro». Anche per il sociologo Mario Morcellini Corviale non è un tema centrale che merita però uno sforzo di riqualificazione. «Dal punto di vista estetico non c’è dubbio, quella dell’abbattimento è un’ipotesi fascinosa. Ma chi ha scarsa cultura dei monumenti penserebbe a uno sperpero e a uno snobismo culturale». Non poteva mancare il punto di vista dei costruttori, Silvano Susi presidente dell’Acer è lapidario: «Bisogna correlare architettura, economia e qualità della vita. Prima di buttare giù, bisogna pensare a chi la casa non la possiede e, contestualmente, migliorare la vita di chi al Corviale abita». MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 2 ottobre 2002, p. 3 MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 3 ottobre 2002, p. 2

CORVIALE NON SI ABBATTE MORASSUT LO RIQUALIFICA I SUGGERIMENTI DELL’ASSESSORE AL TERRITORIO: RICONNETTERLO ALLA CITTÀ CON INFRASTRUTTURE, DOPO TRENT’ANNI LA GENTE NON VUOLE PIÙ ESSERE SRADICATA

Corviale sì, Corviale no. Sul palazzone della Portuense continuano a intrecciarsi pareri discordi in maniera direttamente proporzionale all’interesse che quella costruzione ha sempre scatenato nel corso di trent’anni di vita. Ma alla fine, al di là delle parole, resta il problema concreto di chi lì abita. A parlarne oggi, cercando di analizzare strade percorribili di lavoro, è l’assessore alle Politiche della Programmazione e Pianificazione del Territorio Roberto Morassut. Assessore, il Corviale andrebbe abbattuto come chiedono molti o riqualificato come sostengono molti altri? «C’è chi insiste sulla questione dell’abbattimento. Io ritengo sia irrealistico intervenire così drasticamente. Bisogna ripensare a quel Palazzo come fu concepito nel suo complesso, all’impegno architettonico notevole e di grande livello. La storia poi ci ha consegnato un’altra realtà, molto è dipeso anche dal tessuto sociale, dalle persone che vi furono trasferite e che non furono in grado di attivare le possibilità che il posto poteva offrire. Dal progetto a oggi sono passati trent’anni e ora si è creato un elemento di identità civica che non accoglierebbe con favore l’ipotesi dell’abbattimento. Oltretutto occorrerebbe un impegno di risorse enormi». Vuol dire che adesso gli abitanti del Corviale si sono abituati a quel posto per brutto che sia? «Dico che il luogo è vivo e operare un altro strappo sarebbe dolorosissimo. Consideriamo che avverrebbe in un paese come l’Italia dove il radicamento sociale è forte. Non penso che sia un discorso valido in assoluto. Altri complessi di città compatta sono da eliminare ma non Corviale che sorge su una collina che è circondata da un ricco tessuto verde». Quali sono gli interventi possibili allora? «Corviale va riconnesso alla città con un sistema di infrastrutture per vincere il suo isolamento. L’integrazione passa per l’attivazione del terziario con strade per muoversi meglio, con servizi che gli crescano attorno. E questo sarà possibile grazie anche all’articolo 11 che fa parte dei programmi fermi alla Regione: uffici, scuole, negozi capaci appunto di strappare quella mastodontica costruzione all’isolamento. Mi sembra un’operazione più realistica che può completare il disegno originario che negli anni Ottanta non ebbe seguito perché ci furono altri problemi immediati da soddisfare». Quali? «C’era da rispondere a un’emergenza abitativa, fu privilegiata la risposta sociale di gente che non aveva casa e non sapeva dove andare, per questo i servizi non decollarono. Ma ora la situazione è diversa e l’articolo 11 può essere determinante. Da quell’esperienza comunque dobbiamo trarre un insegnamento: non si possono più costruire edifici pubblici unitari e massivi. Roma fa parte di un’altra epoca, oggi non si può concentrare l’emergenza abitativa su un solo polo, l’operazione deve essere sparpagliata nella città».

MICHELA TAMBURRINO “La Stampa” | Roma, 3 ottobre 2002, p. 2

STEFANIA ULIVI “Corriere della Sera”, 22 giugno 2014, p. 19

«CARTA BIANCA» TRA AMORE E PAURA

Il film? Un'opera autoprodotta di Maldonado e Zauli, protagonisti due immigrati e un'italiana

Da Ferrara a Corviale, seguendo la storia di Sahid Belamel. Il Serpentone. Dall'Emilia la vicenda è stata spostata nella periferia romana, alla vigilia di San Valentino Si chiamava Sahid Belamel, era nato in Marocco, morì di freddo a 25 anni a Ferrara, la notte di San Valentino del 2010. Era uscito ubriaco da una discoteca, si era inzuppato nell'acqua gelata di un canale in cui era caduto, aveva provato a chiedere aiuto senza successo. Qualcuno chiamò un taxi con il suo cellulare che non volle caricarlo. Qualche giorno dopo apparve il suo necrologio sulla prima pagina del quotidiano La Nuova Ferrara: una grande foto, il suo nome, le date 1985-2010 e il testo: «Ci ha lasciato nell'indifferenza generale dei passanti la mattina di domenica 14 febbraio, festa di San Valentino. Abbandonato in agonia in via Colombo, è morto di freddo». La storia di Sahid, ora, è diventata un film, Carta bianca, realizzato da Andreas Arce Maldonado con Andrea Zauli, in uscita il prossimo 26 giugno grazie a Distribuzione Indipendente. Un film costato solo 15 mila euro. «Che vengono dalla mia pensione..» scherza Maldonado, colombiano ormai romano d'adozione. Aveva proposto il progetto a diversi produttori indipendenti, ha raccontato, ma per almeno un anno non ha avuto risposte. «Alla fine ho capito che l'unico modo era farlo da solo». L'obiettivo di Carta bianca è «parlare della paura dell'altro e di noi stessi», ha spiegato Zauli che lo ha sceneggiato dove la vicenda di Sahid si intreccia con altre due storie, una con protagonista un'altra immigrata, l'altra su una ragazza italiana. «Sono anch'io un immigrato» dice Maldonado, «mi sono ispirato alla storia di Sahid perché nella cronaca nera c'è l'umanità liofilizzata, ci trovi le fragilità degli uomini al punto più alto nel bene e nel male». Un film sulla paura dell'altro ma anche sull'amore, dicono gli autori. Da Ferrara la vicenda è stata spostata a Roma, sempre alla vigilia di San Valentino, al Corviale. Protagonisti Kamal (Mohamed Zouaoui) marocchino, «amante dei libri e nemico di ogni fondamentalismo. Sogna di diventare italiano, europeo, occidentale, e intanto spaccia droga nella biblioteca di quartiere»; Vania (Tania Angelosanto), «bella badante moldava, molto gentile e molto religiosa, perseguitata dalle allucinazioni del suo passato di prostituta da marciapiede» e l'italiana Lucrezia (Patrizia Bernardini), «grintosa imprenditrice italiana, innamorata del suo cane e della propria azienda, finita quasi senza rendersene conto tra le grinfie di un usuraio». Nel cast anche Valentina Carnelutti. «Abbiamo girato soprattutto al Corviale, senza permessi» raccontano Zauli e Maldonado. La carta del titolo è quella che potrebbe cambiare la vita a tutti: il permesso di soggiorno per Kamal, i soldi per Lucrezia, il passaporto per Vania.

STEFANIA ULIVI “Corriere della Sera”, 22 giugno 2014, p. 19 MARTEDÌ 3 MARZO 1992 ROMA PAGINA 25 L'UNITÀ Centro storico Comitato di donne dopo i i i sulla visita del : «Ci chiamano V mondo » a MERCATI a manifesto selvaggio Cornale insorge: «Ci insultano»

V Lotta a a manife- e in a a . Un comitato denuncia etichettato il Nuovo . gali. ? Violenza' l^c Secondo o Nicolini, ca- a dai i televisivi sulla Le e viste, senza du bbio, anche voi nei i - sto selvaggio. A e l'immagine lesiva del e diffusa dal tg2 sul a a intatti il a stesse e di polizia - o del s in Campido- visita del pontefice, che hanno tini della città le e che espongono solo ed esclusi- «l'ascia di » è stato il o messo in onda dopo la visita del a di do- è venuto a . e la no che a e non c'ò più glio, «la mancata ultimazione , o il e come un vamente oggetti in paglia, in vimini ed in giuoco. Quo-. e della a - menica . «Non siamo il o mondo, così visita, che non ha visto una cnminalità delle e zone di del plano o del - covo di malavitosi», la - sfoggi, dunque, vi o una piccola mappa pe sta- e o . a e da , conclude il comitato. pentone" ha o il de- sabilità del o è delle au- e dove è più convenuente e questo tipo di ma- Che è subito passato dalle come ci hanno definito» e annunciano di e al- e degli abitanti, le e La visita del a intanto e o a cui si deve fa e à competenti «che si sono ' o con un banco in via Tor di Quin- e ai i notte con la le vie legali. La visita del a ha focalizzato l'atten- della i hanno latto delle - a anche a e l'at- o le e - completamente , to, o davanti al campo , dove si allena la La- a dalle e 23.00 del zione sulla situazione del » alla a . Nella stessa a gli tenzione sul e da e ste, come i i ed i centn .* di , dove l'Amnu non zio. Qui è insediato un o di ambulanti napoletani che sottovia Cappelletti, dal lato della capitale. abitanti di e che hanno delle e politiche e sindaca- . Attualmente il ' e alla a dei - espone i oggetti in giunco. quel che a l'ar- di via , da e del- ascoltato il tg2 hanno sentito li. o nel 1973 su inca- e edificio «si a in uno " ti e dove dal sindaco agli espo- redamento vi segnaliamo le testiere sia pe letti singoli l'Amnu con l'ausilio dei vigili che il a di o dal viag- nco dello p il » stato di notevole o am- . nenti di a e comune, che . Sono e con a a e il , alla a dello gio nel o o aveva fat- di , e palazzo bientale - dice Giuseppe - nessuno ha mai messo piede». o si a sulle 150 mia . Tia le e cose esposte stesso . - DELIA VACCARELLA to visita al o mondo». lungo 990 i che e alla , o del comitato di o , e ci sono le sedie in paglia (23 mila e cadauna, ma non » po l'istituzione di una pattu- le donne di c si a di a sud occidentale della e -. Tutto il e - socialista della e esitate a e uno sconto), le deliziose e in ' glia pe ognuno dei e - «A c non siamo to definito, come sostengono un modo di e le notizie no non è o non fun- , 6 un e di a di ave sentito al Tg2, o capitale, fu o con una ha avanzato alcune : * giungo da e con cuscinie tutta una sene di ceste ' pi dei vigili i del o cedendoal sensazionalismo e spesa di 98 i o i 37 ziona nessuna delle decine di l comune e e ' dove i panni i o . "? . .'> , destinata esclusiva- non un angolo del o mondo». E . «La no- non aiuta nessuno. questo fontanelle installate , e o . Le donne di e a denuncia nasce dal modo . Attualmente nei una , e lo p - -w,.. i i bauli in vimini e gli appendiablto in giunco. Un mente a e e a mul- hanno deciso di. , han- 1202 i degli otto solo da due linee di autobus, e e al più o e e i manifesti «selvaggi» da scendono in campo. A o in cui domenica , in un pò meno i i tavolini e le lampade «old style». e -, non va o giù che dopo la o o del tg2, no o un comitato e - piani abitabili vivono 9mila non c'è una linea . i i pe e di citofoni le ì o nel- coledì o un avvo- al banco di To di Quinto, e he occupa a metà - visita del a di domenica il pe il gusto di e il mo- . l o o , che polemizza - abitazioni e di cancelli i - ciapiede, e , sedie e. o e completi pe j, le e del o - cato pe e o alle vie le- ò non è mai stato ultimato. ge». . . -. - nate dai vigili , le squa- e dove abitano sia sta- o in a pagina», e stato con «l'immagine di c of- pic-nic. o lontano da qui, al o di Ponte , è e di i che hanno e una a che mette a disposizione della - o all'iniziativa e che da- a clientela piccoli oggetti in legno utilizzabili o o e agli addetti e il Comitato e un appello a e a tappeto la città in cucina. Vasto o di mestoli, cucchiai e - dell'Amnu impegnati a but- chettoni (3 utensili costano 1500 , i a volte da \ ta giù i manifesti i una . E poi cestini pe il pane, , sotto- abusivi. * piatti in paglia e i i sale. - -' ' ' oggi l'appuntamento è e è il passino, c in v.mini, i thè e quel- . Occhetto sprona la Quercia lo più e pe e il o o gli gnocchi. Un banco - ' fissato alle e 10,30 a piazza Gioacchino i pe un'azio- le è e anche in via de , nelle vicinanze dell'in- ne a su viale - o . Al o della , in via Sac- . e a , ai chetti, l'ambulante di o e invece giochi in legno. vigili , e alle e «Candidati, andate nelle borgate» o nel o del tempo è il fascino della trottola e . dell'Amnu, o i del o «picchio» dotato di una . Costano i delle associa- wm Comitato e d'ec- e in mezzo alla gente...». e la gente»: ò la voti della a - . -,- > - .- , . . -,,.- zioni che si sono e dispo- cezione; a i i i Lo ascoltano alcuni candi- a e di questa na, a è viene in ù costoso il carro dui pompieri, o o di nibili pe e a - del , i pe e dati del , ci sono volti no- campagna e - Emilia, dove questo o è un e su cui si muovono, o un semplice e questo o e della campagna , ti, l e , An- na. a che Occhetto - sconfitto dal '45?»), avanza meccanismo, piccoli vigili del fuoco laccati di bianco e - ' la campagna . Ci alle 17 a Achille Occhet- tonio Cedema, e un - desse la . o Leoni, dubbi sul i («una a al so (sulle 15 mila . Ci sono poi i puzzle, i giochi educati- ,' o a gli i la Lega to. a una visita di - simbolo, o , che o cittadino, aveva in- o è benvenuta, ma è im- vi con i i di e e da e in un conteni- > pe l'ambiente, le Aci o tesia, e, infatti, in una saletta dieci mesi fa mandò in - sistito mille volte su questo possibile senza una a e adatto e le e di animali da e in un di Villa Fassino si a - , o ce l'ha , il Wwf, a , e chi gli aveva chiesto una punto.: «Non im- con il i di o , «se- paesaggio bucolico. e simile è disponibile anche su di 1 la Consulta pe la città, il pidamente, c'è anche uno . tangente di 20 milioni; un po' o a di manife- o allo sbando». : Achille Occhetto, Ugo Vetere e il neocandldato Pds Paolo Pancino una a in viale Giulio Cesare, subito i dall'u- o dei , scambio di i (il - impacciato, a un o punto sti, come stanno già facendo l nemico da e è la , scita della a «Ottaviano» del . ~ » -. ; l'Associazione pe la tutela del compie 56 an- è stato o a e gli i , o il ma la battaglia del momento o in tema, oggettistica di questo tipo è e del o o e i . ni). ,, Occhetto va la mano al . Che, . E o qual è la a è a o e opposizione, o de «La Sapienza», più e davanti alla * nella sala , dove spesa...». . . to a e uno o nuovo cosi, con una : l o impegno - ha di- adesso, ai candidati dice: «La quindi non si fanno sconti o al , o i che dalla a facoltà di . Qui, talvolta, c'è un o che vende * o a - e quello sono o , assi- lotta a di voi non , la Achille Occhetto, poi, di- pe nessuno. Siamo pe bat- splendidi aquiloni di e , e il kit pe co- ' ste alla discussione, infine in città...». a del , e e . abbiamo , dell'Amnu, 6 di e a campagna e si ce: «Vi faccio un - e tutti i i di - delle : «La a del- quella dell'unità. Ci siamo - e da soli i volanti» (dalle 10 .alle 25 mila e ma si nell'azione o qualsiasi e il , e a e sulla a inventiva, mento o della situazio- no...». - la a immagine deve - i con fatica, ma l'abbia- o anche nel piano o della a «Gli angc- - a di abusivismo nel cen- pe . sulla a capacità d'incon- ne politica», e «no- ,, su , dove e o da qui, dalle - mo...». e se ne va, qual- ; li», via Agostino . Lo stesso o espone calci- < o e quindi o qualsiasi Comincia cosi: «Stiamo at- e la gente». Cioè: non fa- di» di questa campagna elet- «una manifestazione (quella doscopi in , i con un e che di sabato 22 , , gate». È un invito é cuno al o a J tipo di manifesti, anche suc- tenti, i che que- tevi la , andate nelle . È polemico o la questa sia una campagna che domani, davanti al - la a . ,. ' " '-': ', piazze. E nelle sezioni, nei cui molti hanno voluto met- cessivamente alla campagna sta campagna e è le- , a anche sulla e la , ha - e vicina alla gente. - mento, ci à un sit-in sull'o- . gata alla a capacità di caseggiati, nelle . («sostiene di vole e i Achille Occhetto conclude ' biezione di coscienza. - A. Omaggio a c e Queneau in scena al o in e Un » di danze n attesa dell'ultimo ò pe ballettofili

MARCO CAPORALI viene , ciò che non ha ROSSELLA BATTHITI : quello che acca- Sono passati dieci anni, giusto che Queneau, a cui è dedicata, de quando non accade niente, Un compito o quel- o del testo di t oggi, dalla e di s con la messa in scena della se non il e del tempo, lo dello o che si accinge (che ò si limita alle - . il e di mate- commedia passoni, la se- delle , delie macchine a il passato in - zioni dell'800 e del '900). / i , o in conda e dello spettacolo e delle nuvole». spetuva: o pe necessi- grandi balletti ne in mi- abissi . Con - Specie d'incontri, o da l o delle collezioni tà di spazi a e dati ed a lo schema-base con . mond Queneau. e con o o , già - agli individui i di eventi e a i o e una e scheda a " Calvino, c edificò «l'opifi- ce di due video dedicati a - Queneau, nell'usuale o e o , /ulce- di ogni balletto (in cui viene cio di a potenziale», a più o è il compito del- indicato il , gli - y & k . o a che a lo o di danza che. alle dif- , la data e il luogo della > siglato Oulipo. a il 1960, agli video di , i al- l'ultimo , muta il - ficoltà , aggiunge la a ) se- i del o o della , sono un buon viati- sito e o il e di fon- à di i biblio- guita dal o della a ' seconda a nove- co a di e nel vivo do, , la - i con i quali i e spesso da annotazioni enti- ' epopea del folk k centesca, almeno da noi dove dell'azione, in uno o di- sione delle identità nelle cau- (sono a pochissimi i libn , che e aneddotiche. .- il o fu fenomeno la- segnato da o , con sali combinazioni dei segni. che o la danza come l nschio, ahimé non evitato. ' e e in a e indotto. musiche i di o Nella medesima situazione si soggetto di studio) e la quasi è quello di e - Col suo immancabile pacchet- e i , eseguite al violon- capovolgono gli individui-co- totale assenza di documenti vi- - mente la soggettività delle o to di Gitancs papie mais,- cello da o Lopez. pia, agiti e , l'un l'al- sivi di balletti i dalle scelte. Succede a che l'o- c è o sul pavimento La a pièce, o sognati. e il mondo so- scene. a pe o Testa - e e di danze ' o non à mai - ALBASOLARO del o in , in sa- rec, a da Gaia i che ha alle spalle una - delineato da Testa - la , pe una buo- che a , la mo- si delle unioni, come vuole la nale a come inse-. tha m a in i ». na a di e glie dello , in un bian- pantomia del , Gaia gnante, o e studicso di testi italiani), ma dedichi solo i i chi ama la e - anche lui e negli anni i fa e a e danza - queste fatiche sono . e o - e dizione del folk l inglese, Sessanta, nelle fila del lan omaggio, fedele allo o co vestito attillato e - dell'opificio: commistione di to da veli, quasi uscito da un Gaia Riposati è Potette in «Monsieur Perec»; sopra a sinistra Martin Car- passione, col suo en ben note e e a più » d'5lla danza contempo- -'' il o di questa a al Campbell Folk . due in- passoni o Spinella, e come a anche : e Cunningham. - linguaggi, o di , thy e Dave Swarbrick stasera In concerto al Folkstudio - l Folkstudio è un o e o cidono insieme a due al- o alato, è un montaggio a o e o il suo ultimo o / grandi bal- i del o vanno i J invito a nozze, è sono di bum, But two carne by (1968) passione , ultima di indizi , di cause La a o la coppia letti. di quattro seco- piuttost< o nella a scena due dei i - e tleaten (1969), a Tuie del o o il mon- ed effetti, di posizioni assunte e del secondo atto. li del Teatro di Danza, che se- - fitta di i che o Te- gonisti di quella impetibile sta- che k venga o e dell'indistinzione e dell'i- nello spazio, nel tentativo - mento di diapositive che ap- quotidiani , di Con la , ballenna Antonella gue a e distanza la - sta a dal suo o di gione: il cantante e a a le fila dei t Conven- à di , og- scito di e un compendio, puntano i i in , i solito insignificanti e o zione a della sua Sto- e , o in [. n y e il violinista - a e Luca , e ai tion, lo o o della getti, episodi. n tunica , o un'esemplificazione - a della di det- . l fine è e - ' già citati, l'omaggio a c e a ria della danza edel balletto. - e 50 anni di e ve . Le o e si svolta , fondato non da uno stilista ma dal «ten- matica, di i e - tagli da , in un caf- come dice il c o Con / grandi balletti, , del o di danza. i ~- o a quelle delle due nel '67 da Ashley s e ' Queneau à in scena al - v tativo di e un luogo - menti e di una. fè di e Saint Sulpice o in da o Spinella - «ciò che ge- e fino all'8 . Testa si a con un'ottica i e inediti vengono i ," più i band della sce- d Thompson. Ai - gino», fa o nella sala an- per l'uso, col com- una casa mutata in catalogo di e non si nota, non stonca più ambiziosa del sem- o pe le i na folk k a esplosa , il violinista à legato plice , o seleziona - italiane (valga pe lotte la cita- sul e degli anni Sessanta, i fino all'85. sostituendo nel 71, secondo n i 400 titoli * zione esausUva delle e d: t Convention ed i Stee- come vocallst, il fuggitivo di spettacoli di balletto i>e in- i , con le testimo '' leySpan. - .- Thompson, e o anche i in un ideale o di nianze e di Fedele - «È stato ' il successo dello , il tempo di e la via soli- danza. Una a di filo o - mico e o . e skiflle a i sulla a sta. incidendo due dischi, pe e nel o delle ' che o il e del li- della musica - a n Smìddybum e Flittin; attivissi- «A qualcuno piace caldo...il i . quasi un o pe chi voglia . y -. Nel 1956 Lonnie - mo, a anche con Si- » di danze dove - e il o di danza italiano » negan incise un album intitola- mon Nicol, e dal folk k pas- vano posto pe la a volta (nonostante la mancanza di lo Line, che amvò - sa a suoni più acustici e sofisti- LAURA DETTI staccio) , dando vita ad un - cante», «Comune dove sei?». . una bambina che da e anni alcuni i . * un indice pe i che - in testa alle classifiche, e fu al- » cati mettendo in piedi, con pentono fatto di voci e suoni Qualche a - a di a lezioni di a al- Nel suo , il o 0 - be o più agile la consulta- - a che migliaia di i due ex o Shaft, i Whip- 1 o che non ci siano me a suo figlio e a tanti allievi, che si è snodato lungo le - , con un bambino la Scuola e di musica soché inedito nel a zione). E sebbene il , v della mia età si o . scuole cosi nella citta. miei fi- insegnanti, soci esemplici sim- de che costeggiano il - o da o che di Testacelo., o e o italiano, ma - 58.000 , del o - edito da una a e o a Nel o l'amico - gli vengono qui, il più piccolo patizzanti della Scuola popo- o (ino a e in piazza gioca a e la banda, e l'amichetta che le sta accanto: cheggia esempi i illu- e - non lo avvicini a . a la passione thy ha messo da e la chi- suona da tanto il violino e il più e di musica di Testacelo, ha Giustiniani.» di flauti, poi via ad e il - «Se chiudono io ò le- , a i quali e ' studenti e , cioè alle pe lo skiffle e il folk amenca- a acustica pe e , invece, da soli e mesi o al o musicale, clannetti, violini, , . Lungo via o i suona- zioni a casa della a che testo di l t Com- e più e in- no. y si ò o ad quella a ed è o a il fagotto. Questo è un o o dalla Scuola pe , pentole e mestoli, i hanno eseguito o a mi fa lezione di a plete booti of ballets. Senza . ; ma e e più a fondo sul - fa e della seconda - , è una a di - e il . l'edifi- piccolissimi e adulti si sono si- «L'assedio al , una nella scuola». i al - e l'ampiezza di - con pochi . < - de o della musica zione dei Steeley Span fondati, ganizzazione sociale, non una cio annesso all'ex . stemali nella piazzetta di in- a a pe l'occasio- dalla e di via - e inglese,- a un po', dall'ex t semplice scuola di musica. Questa , inutilizzata da o come da copione: lo ne: i flauti e i i leggen- lin, il o assedio»: una cate- do i folk club dove si esibiva Convention, Ashley , Qui, e ad e a suo- anni, è la a che la Scuo- e davanti pe - do le note scntte sui fogli attac- na umana ha costeggiato l'edi- Ewan , ma anche i che qualche anno dopo lo e uno , si - la di Testacelo e utiliz- , subito dopo la banda del- cati alle spalle di chi li - ficio. È il momento culminan- i della a , coinvolge nella Albion y pa a , a i che e pe la sua attività, visto la Scuola, seguita da bambini deva, le pentole battendo a te: pentole e i danno i feste di e - alla a di ballateecanti da : infine, nell'83, y coinvolgono più . Si la- che sta pe e a dal- e adulti i di padelle, pen- tempo (come avevano impa- il meglio. l o finisce in » in chiave . fonda i suoi s y a insieme. e che pe i la vecchia sode di via Galvani. o dalle e della a - piazza Giustiniani con il «con- al o dell a e al «Follia» l suo o o av- (una band di , mando- bambini e i questa espe- o anni di e al Co- tole e pentolini; poi i flauti, i ma), i mestoli sui i » , finale. Sulle note de viene nel 'GS: due anni più - lini e . con cui - a è e anche pe mune non si sono a - , le voci, i violini e le metallici e qualcun . «L'assedio del » il co- di viene sancito dal vinile (con toma alla sua vena più felice- i . Si viene a e vute e e la causa di - i e alla fine i sax e o di , im- o intona il testo della canzo- gli ottoni. o anche - ì , ultimo o di . Questa a al- un album intitolato Bykerhill) mente . n tutti il mondo della musica e a ca- to è giunta i al . i e di ne. Ce ne è pe tutti: «La - , o una e degli anni Venti a anche il suo sodalizio o questi anni, y e k e quanto la musica sia im- E cosi domenica un'ennesi- li di a con su o «A chiavi. «Se chiudono questa le e l'hai messa da , o Costanzi, al e di «La , i e - col violinista e . non si sono mai i di vista, e pe la vita». È la calo- ma : in tanti si sono qualcuno piace caldo il - scuola non ò in nessu- i non e il gioco se o vita con il pubblicoad una festa. Festa pe a Quest'ultimo è una delle co- concedendosi spesso - a testimonianza di Nancy i in o Giambattista , o le idee . questa è bellissima, - degli , «Al Comune gio- notte anche al «Follia» di via Ovidio 17 con lo spettacolo - lonne del folk acustico inglese. e come quella di , che domenica mattina, insie- i (di e a e Te- o questo silenzio soffo- e un o peccato», dice cano al o della fune». doilCanbe». VALERIO VECCHIARELLI “Corriere della Sera”, 05 maggio 2013, p. 10 CORVIALE, SALVATORE GALLO E IL CAMPO SINTETICO DA 400 MILA EURO CHE HA SALVATO IL RUGBY

Le squadre L'Under 16 alle finali scudetto. Ieri rimpatriata tra over 60 Ex giocatore Gallo ottenne il campo dal Comune nel 2007: i tesserati ora sono 500

La felicità ha un sorriso ovale, grande come il serpentone di Corviale all'ombra del quale il 26 luglio 2007 il professor Salvatore Gallo vide diventare realtà il sogno di una vita: un campo da rugby tutto per la sua squadra. Storia romantica quella di questo catanese arrivato a Roma cinquant'anni fa per frequentare l'Isef («A Palermo - ricorda Gallo - non c'era la sezione rugby, qui invece con il Cus Roma ho potuto vivere annate fantastiche») e presto diventato un missionario dello sport. Voleva predicare i valori del gioco nella periferia, nel suo quartiere di Roma Sud quando in città il rugby significava Parioli, Acquacetosa e poco altro. La storia iniziò sul finire degli anni '70, su consiglio di Carlo Piras, il preparatore atletico della Roma di Nils Liedholm: «Piras mi portò a Villa Pamphili e mi suggerì di far allenare i miei ragazzi su quei prati. Per quasi trent'anni ho viaggiato con un sacco della spazzatura in macchina, dentro c'erano tre palloni e le cinghie delle tapparelle che utilizzavo per delimitare un campo volante... Ci siamo sempre allenati là, all'aperto, con le borse degli indumenti lasciate in fila ai bordi del "nostro" prato». Così nacque il Villa Pamphili Rugby Club che per disputare gli incontri ufficiali la domenica si spostava, malvisto, su uno dei campi periferici del Tre Fontane all'Eur. Fino alla promessa dell'allora sindaco Walter Veltroni, al campo tutto per sé, all'esplosione di tesserati (oggi sono 500) e al battesimo dell'Arvalia Villa Pamphili, la squadra di Salvatore Gallo, di tanti ragazzi e di un intero quartiere.Due anni fa il salto nel buio. Vale a dire un mutuo di 400 mila euro sulle spalle del club per realizzare un manto sintetico di ultima generazione, perché sul terreno originario erano affiorati i sassi e i bambini iniziavano ad allontanarsi: «Abbiamo appena pagato la prima rata di ventuno mila euro, ma da quando c'è il campo sintetico i tesserati aumentano ogni anno del 10%, e questo ci dice che la pazzia alla fine ha avuto un senso. Qualcuno ci aiuterà...».Ieri Salvatore Gallo ha giocato una partita unica: in campo gli over 60 (presenti anche ex nazionali del 1938) per una rimpatriata nel vero spirito del gioco. Questa mattina alle 6, invece, salirà sul pullman per Firenze con l'Under 16 che sta disputando la finale nazionale del campionato ed è in corsa per lo scudetto. Il miracolo costruito sulla passione e una bella dose di incoscienza hanno un futuro assicurato.

VALERIO VECCHIARELLI “Corriere della Sera”, 05 maggio 2013, p. 10 SABRINA VEDOVOTTO “Il Giornale” | Roma, 3 luglio 2006 ARTISTI E RESIDENTI A CONFRONTO SU CORVIALE Non vale sempre il motto «purché se ne parli» o perlomeno non per tutti i casi. Del quartiere Corviale, per esempio, se ne dovrebbe parlare, se non sempre quantomeno spesso, con intenzioni e presupposti positivi. Come questo caso preciso, forse una delle poche occasioni nella quale le polemiche legate a questo lungo edificio lasciano il posto alla cultura, all'arte. È infatti da pochi giorni uscito un libro, edito dalla Bruno Mondadori, dal titolo Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale, una sorta di risultato, il frutto delle esperienze di tipo culturale che negli ultimi anni grazie soprattutto alla Fondazione Olivetti, si sono potuto realizzare in questa zona.

Non più nuova ad una politica di riqualificazione, laddove tra il concetto di bello e quello di orrendo si è venuta a creare una intercapedine capace di contenere Corviale appunto. Ed è in questo quartiere di sperimentazione sopra ogni aspettativa, che la fondazione Adriano Olivetti, insieme con il Comune di Roma, ha pensato di realizzare un progetto, «Immaginare Corviale».

Un significativo cambio di rotta rispetto a tutte le altre proposte progettuali volte ogni volta a ricondurre il problema nelle solite e noiose digressioni legate alle strutture fatiscenti, al degrado ambientale. Il progetto, curato dal gruppo Stalker, un collettivo di artisti, ha voluto portare in questa zona lontana dal centro, alcuni artisti, che hanno conosciuto, lavorato, partecipato alle iniziative di Corviale. Non più un osservatorio posto in alto, ma una maniera differente di vedere le cose, percependo lo stesso orizzonte degli oltre seimila abitanti. Non un quartiere border line, ma piuttosto un progetto border line, che ha visto realizzati dei laboratori condominiali, alcuni workshop, un network, insuperabile per la sua straordinarietà, con presupposti e potenzialità al principio quasi incredibili. Di questo progetto, del quale ancora si sentono gli echi dell'entusiasmo, si possono leggere interessanti osservazioni di coloro che nell'idea ci hanno creduto e lavorato assiduamente, e diverse e altrettanto interessanti appunti di filosofi, architetti, storici dell'arte.

SABRINA VEDOVOTTO “Il Giornale” | Roma, 3 luglio 2006 LUCA VILLORESI “La Repubblica”, 19 dicembre 2002 GLI ORTI AI CONFINI DELL'ASFALTO Inglobata nello stradario delle periferie la campagna sopravvive a se stessa tramandando ai posteri quel suo anacronistico repertorio di indirizzi ruspanti, ultime testimonianze di un mondo di vigne e casali: nomi apparentemente senza senso, eppure custodi di un potere evocativo che nemmeno il catrame riesce a seppellire. Se gratti sotto la superficie qualcosa salta sempre fuori. Per esempio, di fronte al fosso di Affogalasino, sotto via del Fontanile arenato, prima di Val Cannuta, scorreva una volta il Fosso di Bravetta. Intubato e convogliato sotto un sentiero, per far posto a uno stradone deserto, il fosso non si vede più. L'acqua, sospinta dalle irriducibili leggi dell'idraulica, però non si rassegna. E ai bordi di quel che resta dell'antico fondo valle - una striscia di terra di circa tre ettari - risbocca, qua e là, alimentando una serie di polle: la benedizione degli orticelli che accompagnano, lungo il marciapiede, i nuovi panorami dello scorrimento veloce. Insalate, broccoli e carote. Una visione surreale; o almeno così pare nei contesti di un capovolgimento di prospettive che induce a considerare fuori luogo non tanto i palazzi quanto (un immondezzaio sarebbe più congruo) queste decine di spazi coltivati. Situazioni come quella di Fosso Bravetta, peraltro, a Roma se ne trovano a decine: a Ponte Mammolo, sotto il Serpentone, dietro il Trullo, a Monte Mario, lungo le sponde del Tevere e dell'Aniene, sotto i viadotti della A 24. Difficile riuscire a ricomporre i tasselli di un arcipelago frastagliato come la frontiera che separa città e campagna (il censimento degli orti urbani, annunciato dal Comune, non è mai stato completato). E difficile inserire quelle coltivazioni senza pretese, confinate nelle dimensioni dell'hobby, tra le componenti dell'economia agricola. Mimetizzati tra i ruderi di un acquedotto o incasellati tra i binari delle ferrovie, questa miriade di spicchi di terra costituiscono tuttavia una presenza tanto diffusa e caratteristica che sarebbe difficile anche non considerarli tra gli elementi più tipici della campagna metropolitana capitolina. In materia di flora ornamentale la tradizione popolare romana non è mai stata all'altezza di quelle settentrionali; in quanto a orti urbani abusivi, però, la Capitale non teme davvero confronti. Come nasce una di queste colonie? All'inizio c'è sempre una terra di nessuno: insomma, un suolo pubblico. Nel caso specifico di Fosso Bravetta l'occasione era lì, abbandonata agli sterpi. «Abitiamo tutti in zona. E vedevamo quei campi ridotti a discarica. Così abbiamo cominciato a ripulirli, levando di tutto: carcasse d'auto, siringhe, calcinacci. Qualcuno ha fatto le prime semine poi, si sa come vanno queste cose: uno tira l'altro. Oggi siamo una settantina». Roberto Gennaretti, è uno degli animatori dell'Associazione Fosso Bravetta, portabandiera di una proposta che potrebbe essere allargata a altre situazioni cittadine. «Vogliamo che il Comune ci assegni quest'area istituendo una sorta di parco produttivo: un luogo di socialità, aperto anche alla didattica delle scuole del quartiere. E una barriera alla speculazione. Guardi lì. Questa doveva essere un'area verde. E invece ci hanno infilato box, ville e villette. Nessuno interviene. E poi multano noi, per occupazione abusiva. Altro che! Se non ci fossero stati i nostri orti qui attorno adesso sarebbe tutto costruito». La botanica è quella, semplice ed essenziale, del broccolo e dell'insalata. Ma, prima ancora delle coltivazioni, a descrivere questi spazi sarebbe utile una panoramica sulla varietà dei materiali utilizzati per attrezzarli: mattonelle, tufi, reti di letto, palanche, vasche da bagno. Riciclaggi e assemblaggi che fotografano la povertà e la precarietà di un mondo effimero, perennemente in bilico tra un ordine di sgombero e una migrazione di zingari. Anche la recentissima ricerca Adapt sull'agricoltura romana, spiega Elena Battaglini dell'Ires, non riesce così a darci informazioni più precise sul fenomeno: «Possiamo dire che i terreni della cerchia urbana sfruttano una superficie irrigabile molto maggiore di quella della media regionale (il 37 contro il 19 per cento). O capire che certi dati - ben il 63 del cento delle aziende agricole capitoline, ad esempio, risultano a conduzione esclusivamente familiare - sono dovuti alla vicinanza con la città che agevola il doppio lavoro, la mattina impiegati, il pomeriggio contadini. Ma ci riferiamo sempre a strutture più o meno stabili. Quanti siano nella realtà gli orti urbani nessuno lo sa. Mille, duemila, tre mila: qualsiasi cifra sarebbe opinabile». Fenomeno sommerso. Eppure evidente come un filare di lattuga e la compagnia riunita attorno a un tavolaccio per una grigliata domenicale. «Che si fa? Un po' se lavora, un po' se chiacchiera». Argomenti semplici: le insalate e le fragole di Peppe, i carciofi del sardo, l'euro e i concimi, gli acciacchi dei pensionati e le sterpaglie che hanno ingoiato l'orto del vicino «perché se manchi qualche settimana l'erbaccia te se magna in un baleno». Agricoltura minimale, metropolitana, incerta, spontaneista. Priva di valenze economiche, o di benemerenze colturali («Io di terra non ci capisco molto», confessa un ex parrucchiere, «però, andarmi a chiudere al bar? Tiè»); eppure ricca di risvolti sociali, psicologici e - perché no, visti i contesti? - perfino estetici. Carote e zucchine, in fondo, sono sempre meglio di una discarica. E la linea degli orti urbani rappresenta l'estrema frontiera dell'agro urbanizzato. Un'ultima sacca di resistenza della campagna, attestata su una fragile trincea di incannucciate, ma sostenuta da una vocazione che, rismuovendo le memorie di una rustica progenie inurbata, come le polle d'acqua ai bordi della valle, riaffiora dai palazzi, ai margini della città.

LUCA VILLORESI “La Repubblica”, 19 dicembre 2002 GIOVANNA VITALE “La Repubblica”, 15 novembre 2002 UNA NUOVA BIBLIOTECA PER FAR RINASCERE CORVIALE Il serpentone salvato dai libri. Resusciterà dalle ceneri di una scuola convertita in un Centro polivalente ancor prima di nascere, l'anima di Corviale. Un ampio susseguirsi di aule, saloni, laboratori e spazi attrezzati in una delle periferie più estreme e degradate della città. «Un'operazione di grande valore simbolico e culturale», spiega il presidente del XV Municipio, Gianni Paris, che per la stessa ragione, circa sei mesi fa, qui trasferì la nuova sede del Consiglio di zona. Motore del nuovo Centro - un basso rettangolo di cemento piazzato proprio di fronte al palazzone lungo un chilometro - è una spaziosa biblioteca che verrà inaugurata il 22 novembre dal sindaco Veltroni. Ottocento metri quadri di scaffali, una sala lettura da 50 posti, una per ragazzi da 20, una per proiezioni e riunioni da 40, tre postazioni per l'ascolto di musica e quattro per guardare i video, un'isola multimediale, un'emeroteca; accanto una ludoteca dove "parcheggiare" i bambini e un punto di ristoro per quanti hanno intenzione di studiare o trascorrere diverse ore fra libri e consultazione di giornali, riviste, persino Internet. Una rivoluzione per il Serpentone, sprovvisto sin dalla costruzione - nel lontano 1975 - dei servizi più essenziali. Spiega Paris: «Prima abbiamo trasferito le sedi istituzionali, Municipio e vigili urbani; ora stiamo organizzando le attività all'interno del Centro: ormai non sono più gli abitanti di Corviale a doversi spostare per usufruire dei servizi, ma è la città che deve venire a Corviale. Il senso è dare finalmente un'identità al quartiere, rendere giustizia alle 8 mila persone che ci vivono, fargli capire che questo posto non è un mostro, un corpo estraneo, ma è parte integrante del tessuto urbano, in grado di attrarre cultura, servizi, persino divertimento». L'inizio è promettente. Il patrimonio della biblioteca, che ha aperto in via sperimentale da appena tre giorni, ancora di più: 12.700 volumi, di cui 3.500 per ragazzi; 450 videocassette e 353 Dvd (in prevalenza fantascienza, horror, thriller, d'animazione); 222 Cd musicali; 147 Cd Rom per viaggi multimediali; una sezione speciale dedicata alla letteratura fantasy, a Roma e alle biografie. Per gli abitanti di Corviale, la biblioteca dei sogni.

GIOVANNA VITALE “La Repubblica”, 15 novembre 2002

BRUNO ZEVI in “L'Espresso”, 1974, n.13

Cancellare l'onta delle baracche romane TRE QUARTIERI PER ONORARE LUIGI LUZZATI

Bando al pessimismo, dice Edmondo Cossu, presidente dell'Istituto autonomo case popolari di Roma: “Oggi la situazione è drammatica: basti pensare che, per 390 alloggi a Torre Spaccata Est, ci sono pervenute 9.300 domande, 24 per alloggio. Ma, con un minimo di volontà politica, nel 1978 potrà essere cancellata l'onta delle baracche e delle abitazioni fatiscenti” Fornisce subito i dati. Dal 1968 al '73 sono stati completati 5.269 appartamenti che ospitano 30.000 persone. I lavori in cantiere alla fine di questo periodo assommano a 3.077 residenze per circa 19.000 senza-tetto. Il fatto più rilevante è che nell'ultimo biennio, malgrado la continua levitazione dei prezzi, si è superata la produzione degli anni precedenti di oltre il 130%. “Nonostante tutte le difficoltà, dunque, la nuova legge sulla casa ha consentito l'utilizzazione di finanziamenti pregressi, contribuendo a ridurre sensibilmente l'ingente ammontare dei residui passivi”.

Cade nel 1978 il settantacinquesimo anniversario della fondazione dell'Iacp romano, creato per iniziativa di Luigi Luzzati, e Cossu punta su questa data: “Dobbiamo riacquistare i prestigio che l'Istituto ebbe nel nel ciclo iniziale della sua attività, quando si costruirono i quartieri di Testaccio, San Saba e Garbatella. Se si considera che, nel dicembre 1974, i lavori in corso interessano circa 8.900 alloggi per 50.000 abitanti, già entro il '76 dovrebbe verificarsi una svolta decisiva per i lavoratori della capitale”.

Sardo, socialista da sempre, esponente di “Unità Popolare” nel periodo della legge-truffa, più volte membro del consiglio comunale, Cossu assunse la presidenza dell'Iacp nel 1968, riversandovi la sua esperienza di funzionario del Ministero del Lavoro e le vaste conoscenze specifiche anche in campo internazionale. Benché parte del patrimonio sia stato ceduto a riscatto, secondo i dettami di una legge sciagurata e demagogica, l'Istituto gestisce tuttora 45.000 alloggi ove dimorano 250.000 abitanti, oltre l'8% della popolazione romana. La routine amministrativa, tuttavia, non lo soddisfa e neppure la prassi degli interventi edilizi episodici, di vecchio stampo. In attesa che la riforma della casa divenga operante, bisogna seminare: approntando progetti, ottenendone l'approvazione, lottando con estrema energia contro la burocrazia statale e capitolina, battendosi per la quantità ma anche per la qualità dei nuovi insediamenti. Cossu si è avvalso della collaborazione di esperti interni, principalmente dell'apporto tenace di Luigi Petrangeli Papini, direttore tecnico centrale; poi si è rivolto alla libera professione scegliendo alcuni tra i migliori architetti disponibili.

I primi frutti di questa azione sono tre quartieri: nel settore sud-est il Laurentino per 32.000 abitanti, progettato dal gruppo di Pietro Barucci; a nord Vigne Nuove per 3.400 abitanti, del un gruppo di Lucio Passarelli, il cui cantiere è già visibile tra Val Melaina e il Tufello; ad ovest Corviale per 6.500 abitanti, al cui disegno, coordinato da Mario Fiorentino, hanno partecipato, fra gli altri, Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Giulio Sterbini e Michele Valori. In che consiste il salto qualitativo? Residenze e servizi vengono appaltati e costruiti simultaneamente, onde evitare gli inconvenienti del passato, esplosi in misura macroscopica nel quartiere di Spinaceto. Quanto ai criteri progettuali, un rapido esame può metterne in risalto le profonde differenze.

Il Laurentino articola, su un'area di 160 ettari, quattordici unità residenziali, con attrezzature scolastiche e servizi primari organizzati a cavallo dell'asse viario. L'arco collinare che circonda la zona valliva dell'Acqua Acetosa viene così rafforzato, il che consente di destinarne l'interno a parco pubblico, con beneficio dell'intero quadrante sud-est della città. Il “cuore” del quartiere funge da cerniera tra l'anello del traffico pedonale e la via Laurentina, ed è scandito su piazze pensili a varie quote. Per emergere sullo squallido tessuto circostante, a Vigne Nuove occorreva un segno eloquente e unitario. Quindi omogeneità lineare di volumi ritmati dei blocchi cilindrici esterni, contenenti scale e ascensori, generosa apertura di visuali nella direzione nord sud; vita comunitaria addensata lungo il filo conduttore dei servizi collettivi, asilo nido, scuola materna, palestra, centro sociale con sale per riunioni e spettacoli, nucleo commerciale, polmoni di verde. Si gioca sull'incastro tra una spezzata a scala vistosa ed un rapido, insistente susseguirsi di strutture basse.

Il problema di Corviale attiene a 60 ettari affacciati verso una campagna non ancora deturpata, che i vincoli di zona agricola dovrebbero preservare. Scenario di peculiare fisionomia: alture con numerosi incavi, strade che le percorrono o si diramano a fondo valle, come la via Portuense. Il progetto vuole offrire una "porta", una testata a quel quadrante urbano, e perciò concentra tutto l'organismo su due assi: uno preminente lungo il crinale, di cui alza il profilo di circa 30 metri uniformemente, per per un chilometro; e quello minore, posto a 45 gradi, che collega i servizi ad altri analoghi previsti dal piano regolatore fuori del comprensorio. Elemento innovatore, nell'edificio principale, tra il 4 e il 5 livello è innestato un piano libero, aperto al transito pubblico, che ospiterà attività extra residenziali, studi professionali, laboratori per artigiani. Impegno ardito, per il quale l'Iacp rischia con fondi propri, a completamento di quelli stanziati dalla Gescal.

Nel lassismo del panorama romano, mentre si moltiplicano le occupazioni e gli abusivismi, questi tre insediamenti indicano uno sbocco positivo. Il linguaggio architettonico moderno, inceppato nel dilemma tra romantiche volumetrie in ordine sparso e rigidi monoblocchi di matrice accademica, cerca una dimensione e un codice che reintegrino l'edificio nella città e nel territorio. BRUNO ZEVI in “L'Espresso”, 1983, n.06

LA LAMA NEL TERRITORIO

L'esordio di Mario fiorentino nato nel 1918, coincide con la Liberazione. Appena laureato, dopo aver patito il carcere come membro del Partito d'Azione, s'impegna nel concorso per il Monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatina, indetto nel 1945. L'affermazione sua e degli amici Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli e Giuseppe Perugini, marcò una svolta decisiva rispetto al monumentalismo fascista, sfociando in una delle testimonianze più significative e poetiche del dopoguerra europeo. La dialettica tra il drammatico, naturalistico percorso delle cave, dove avvenne il massacro perpetrato dai nazisti, e il puro, solenne volume cementizio, sospeso, raggiunge una straordinaria efficacia, comunicativa, accentuata dalle espressionistiche cancellate di Mirko (“Cronache di Architettura”, n.1).

Era la stagione dell'Apao, del movimento organico, di un fervore inquieto e coinvolgente, che riguardava l'arte e la tecnica, la gara per la Stazione Termini come la redazione del “Manuale dell'Architetto” guidata da Mario Ridolfi (n. 523).

Per temperamento, Fiorentino non era incline ad abbracciare una corrente esclusiva: mentre sonda la via del neorealimo nel Quartiere Tiburtino, rievoca in una piccola casa a Lariano raffinati stilemi dell'empirismo scandinavo, innesta nella borgata di San Basilio una serie di edifici semplici e levitanti, punta su un discorso sommesso, un “understatement’ di alto livello nei nuclei residenziali di Cutro in Calabria e di Matera (nn. 174, 599). Si sottrae così agli alibi dialettali e al romanticismo dei vernacoli, preferendo una ricerca di spazi umani, individualizzati.

Lo dimostrano la palazzina a Villa Balestra in Roma, l'esemplare collegio della Facoltà di Agraria a Portici, e numerosi progetti tra cui spicca quello per il Fermi Memorial a Chicago, firmato nel 1958 con Hilda Selem, Michele Valori e Arrigo Caré. Analogo timbro, a scala maggiore, si riscontra negli intensivi di torri binate a viale Etiopia, che respingono indulgenze plastiche ed ingredienti artigianali. Il lessico dei blocchi, ben ritmati sulla scarpata della ferrovia, scaturisce dall'analisi dei particolari degli angoli, dei seghettati profili stradali, e da metodi costruttivi avanzati; per sfuggire ad un'eccessiva ripetitività, nel completamento del '62 rompe la chiusura prismatica a favore di un'articolazione più flessibile, ricca di spigoli vitrei.

L'attività continua tenace negli anni successivi. Una villa a Porto Santo Stefano libra due corpi lungo il pendio della collina e li connette con un patio. Seguono i cantieri di via di Pietralata, l'originale soluzione a cerchi coordinata da Giuseppe Vaccaro per le Tre Fontane, e molti altri lavori, documentati in una monografia delle edizioni Kappa in corso di pubblicazione, ch'egli aveva curato fino a pochi giorni prima della morte.

L'eccezionale capacità realizzativa riesce a fargli superare le “crisi‘, pur essendo sensibile ai suggerimenti che ne discendono. Non ricalca “modelli”, non enuncia rigidi concetti teorici ma, come hanno scritto Federico Gorio e Ludovico Ouaroni, pur nelle necessarie e logiche variazioni, incarna una coerenza che rifiuta il mestierantismo, la faciloneria e le frivole evasioni.

Un capitolo fondamentale nel suo itinerario concerne l'urbanistica. Dopo il piano regolatore di Roma del 1962. si dedica con passione a maturarne l'idea cardine. Nello “Studio Asse” contribuisce a formulare un programma che eviti l'approccio “banale” e metta a fuoco strumenti adatti alle enormi dimensioni dell'impresa. a rapportarla al “cuore” antico nobilitandone le frange. nonché al sistema regionale. Esamina ogni ipotesi. dal metadesign alla partecipazione. reclamando una “qualità globale” che sostituisca “meccanismi di facile obsolescenza” e garantisca lo sviluppo nel tempo di un autentica “immagine” per una metropoli moderna (nn. 698, 998).

Rientra in questo quadro di interessi il tanto discusso insediamento di Corviale. complessa lama estesa per un chilometro. che costituisce la sua più vistosa fatica. È un gesto coraggioso. anzi temerario. che oggi viene facilmente contestato quale dottrinario “tour de force’. Va invece letto come un energico segno sul territorio. un solido “fermo” all'espansione caotica, disomogenea e squallida. Possiamo prevedere che esaurita una spiegabile fase polemica. a questo intervento pur criticabile sotto certi aspetti. saranno riconosciuti plurimi meriti in. 1016).

Va infine ricordato l'apporto di Fiorentino all'insegnamento universitario. Si attenne anzitutto al principio di esigere dagli allievi una conoscenza sicura del funzionalismo, in mancanza della quale ogni sbocco futuro resta succube di arbitrii. Ultimamente lo preoccupavano i problemi dei raccordi con le specificità ambientali e ne investigava le possibili conseguenze con intelligenza equilibrata e incisiva. Nell'attuale momento di incertezze e sbandamenti. la personalità di Mario appariva un riferimento concreto. difficilmente sostituibile.