TEATRO HISTORICO DI

Bonaventura Teoli

MINENTIS. E REVERENDIS. SIG. E PADRON MIO COLENDISS.

L’ANGUSTO Teatro delle Memorie Veliterne ammantato con rozza veste di una bassa dicitura, ardimentoso si rappresenta avanti all’Augusta Machina de’ sopremi meriti di V. EMINENZA, addobbata di Sacra Porpora, ingioiellata di heroiche Virtù, e chiari Gesti. Questo è da Fabro vile fabricato di negri caratteri, che contengono pochi vestiggi d’una Patria insigne; e quella è da sublime Architetto compaginata d’auree note di gloriose imprese, che racchiudono innumerabili splendori d’un’antica, e nobile Prosapia. E generosità de’ Grandi inchinar talvolta le chiare Luci de’ favori alla bassezza de’ soggetti; sarà magnanimità di V.E. se con le lucidissime Pupille della sua Protettione risguardarà chi humilissimo al suo Sacro Nome (tanto GERONIMO risuona) prostrato, si dedica, e consacra. Non s’isdegni (supplichevolmente la priego) V.E. per tanto ardimento, perchè anc’a’ famosi Heroi de’ passati Secoli, più per dimostranza d’ossequio, che per valor dell’opra, particolari Edificij dedicar si solevano, e io, non per il piccolo valor d’un’isbozzata fatiga historica, sotto li benigni Auspicij della sua Maestosa Porpora questo rovinoso TEATRO discuopro, ma per continuar l’ossequiosa servitù mia, che dovutamente professavo all’Eminentiss. FABRITIO suo Zio; à quel Fabritio, che per haver ad onta del Tempo sposato all’Immortalità il suo alto, e giusto sapere, li furono dall’Hore voraci tolti li giorni (ma non la gloria) togliendo à Roma, e al Mondo l’incorrotto Fabritio del nostro Secolo. E se il Fabro nella struttura di esso non haverà ne anco la perspicacità d’un ingegno mediocre dimostrato, haverà almeno l’acutezza d’un occhio purgato palesato, in fissar li sguardi, benchè vacillanti, ne’ luminosi raggi delle sue vaghissime Stelle, dalle quali, e l’Opra, e l’Artefice, ancorchè vili, sperano felicissimi influssi di grazie. Mentre à V. Emin. con profondissima riverenza m’inchino. Di Velletri li 8. di Maggio 1644.

Di V. Em. Reverendis. Divotis. & obligatiss. Servo F. Bonaventura Theuli SUPERIORUM APPROBATIO

Librum, cui Titulus THEATRO HISTORICO di Velletri Insigne Città, e Capo de’ Volsci, Ab. Ad. R.P.G. Mag. Bonavetura Theulo Veliterno elaboratum, Ego infrascriptus, ex Auctoritate à Revendiss. P.Ministro Generali tradita, attentè, accurateq. vidi, nihil in eo, vel contra bonos, vel contra Fidem, imò potius in Patria honorem, Civium Perennitatem, Antiquorum Testimonio, magna cum eruditione, plurima scitu digna reperi, quapropter luci, praloquè dandum censeo. In Fidem Ec.

Dat. Velitris Die 18. Octobris 1642. Ego Fr. Iulius Leonardus ab Aquapendente Minister Provincialis Romæ. Locus † Signi. Fr. Per. Ant. Fulgures Secret.

Librum Inscriptum THEATRO HISTORICO di Velletri Insigne Città, e Capo de’ Volsci, ab. Ad. R.P. Mag. Bonaventura Theulo Veliterno Ordinis Nostri Min. Conv. non parvo sudore elaboratum ab Adm. R.P. Magist Iulio Leonardo ab Aquapendente Provinciæ Romæ Ministro Provinciali, cuius censuræ illum commisimus, præsentium virtute, Typis mandari posse (servatis servandi) licentiam concedimus. In Fidem &c. Dat. Romæ Die 23.Octobris 1642. Fr. Octavius Ariminen. eiusd. ord. in Curia Romana Procur. Gener. & Commiss. de mandat. Reverendiss. P. Gen. Locus † Signi. Fr. Gregorius Sangeorg. Secret. † 3 L’AV

L’AUTORE A CHI LEGGE

Posso persuadermi, virtuoso Lettore, che nel vedere questo piccolo Volume con il titolo di TEATRO Historico, sarete per prenderne materia d’ischernirlo più tosto, che di leggerlo, non che di lodarlo; mentre poche memorie d’una Città sola in esso si racchiudono: nulladimeno, considerando, per vostra cortesia, che cose e particolari, e communi ne’ Teatri à gl’occhi de’ riguardanti si rappresentavano; giudicarete, che non senza raggione io l’habbi honorato di così bel Nome. Era l’altero Regno de’ Volsci da voraci denti del Tempo conciso, e quasi estinto, per farsi ancor vivo ne’ suoi vestiggi vedere, doveva col manto delle sue rovine discoprirsi in un Teatro. Stava Velletri, lontano da gl’occhi de molti, e per iscaresezza de penna amica, rassembrava un sepolto nell’oblio, per rendersi con la luce del Sole oggetto corrispondente à gl’occhi de’ Curiosi, doveva publicamente comparire in un Teatro. Li Parti illustri di questa Patria, oltre alle proprie ceneri, havevano per lor sciagura, anco li fatti heorici, e gloriose imprese convertite in polve; per isvegliar gl’animi de’ Cittadini al preggiato acquisto dell’honore, dovevansi palesare in un Teatro. Non lo scorgerete con vaghezza d’elocuzione, ò con dolcezza di stile adornato, abbellimenti da’ delicati ingegni nelle fabbriche moderne bramati, ma come comporta l’edacità del tempo, e la bassezza della mia penna, rovinoso ne fusi Frammenti, e lagrimoso nelle sue Memorie. Anzi ne pure esposto alla luce veduto l’havereste, se li miei Cittadini non m’havessero con amorosa violenza spinto à far palese à gl’occhi de molti, ciò ch’era, per semplice raguaglio, indrizzato à gl’cchi de pochi, come nel Terzo Libro vederete. Mi rendo sicuro di sperimentare benigno, e che, se ritrovarete in Cimenti tanto remoti, e occulti qualche mancanza di errore, sarete per dire con Servio, Antiquitas ipsa creavit errorem. E così mi bastarà di haver sodisfatto a me stesso, con il manifestar à chi son tenuto, esser stata Velletri una Città Antica, Inclita Celebre, Famosa, Insigne, Nobile, Eccellente, Populosa, Potente, Abbondante, Ricca, Fedele, Divota, e degna senza fallo di quelle Prerogative, e Privilegi, che godè per il passato, e che di presente possiede. Vivete felice. SE

Del Regno d’Italia. Cap. I.

Che la bella Italia, dominante Regina del Mondo, fosse doppo l’Universal Diluvio, nella dolce Età dell’Oro, da rampolli, anzi, da quei felici Ceppi dall’inondatione dell’acque salvatj, habitata; sono chiare l’autentiche Autorità de gl’Historici e Sacri e Profani. Basterebbe per schivar longhezza nel riferire, quella di Q. Fabio Pittore, qual facendo mentione de Popoli primi habitatori dell’Italia, Toscani, cioè, e Romani, ò vogliamo dire Latini, disse, Sub Iano cœperunt in Aureo Sæculo. Ma per più chiarezza aggiungerò quel che registra M. Portio Catone, che più apertamente con queste parole lo confessa, Italiæ splendidissima origo fuit, tum tempore, tum origine gentis. Cœpit enim Aureo Sæculo sub Principibus Dÿs Iano, Camese, Saturno, gente Phœnica, e Saga, qua post inundationem terrarum prima Colonias misit. E’ però d’avertire (dica à suo bell’agio quello che vuole Lilio Gregorio Giraldi) che Giano è l’istesso che Noe, come frà molti gravi Autori afferma Beroso Caldeo, il quale, doppo haverlo più volte Noe chiamato, come nell’accennare la discesa di lui dal Monte di Gordico nell’Armenia, dove per quello habbiamo dal sacro Cronista, cessate l’acque del Diluvio, si fermò l’Arca, nel descrivere l’insegnamento de sacri Riti, nel riferire la partenza dall’Armenia, & in altri particolari ancora, lo chiama Giano, per esser egli stato primo inventore del Vino; non significando Iain, in lingua Hebrea, che Vino in lingua nostra. Ob beneficium inventa vinis, & vini, dignatus est cognomento Iano. Confermò l’istesso Girberto Genebrardo, quando disse, Ab hoc vino invento Ianus fortasse dictus est, nam Iain Hebreis vinum est. Seguitato anco da Gerolamo Bardi, da Giovanni Becano, e da Antonio Fonseca Portoghese, che apertamente dice, Noe esse Ianum exitum ab Area Mense Yanuarÿ quia à Iano sic dicitum. Anzi li Greci per l’istessa caggione del Vino lo chiamarono Oenotrio, asserisce Catone, quem quidam Oenotrium dictum affirmant, quia invenit Vinum & Far. E’ ben vero che fù chiamato Cielo, & Ogige da Senofonte, nel descrivere la sopputazione de gl’Anni de gl’Antecessori à Semiramide potente Regina de gl’Affarij scolpita in una Colonna, dice Atavus Cælus fœnix, Ogiges, ab Ogige ad meum Avum, etc. Fù detto anco Urano, che l’istesso significa, che Cielo, che Diodoro Siculo, narrando la Posterità di lui, Uranum ex multis Uxoribus suscepisse ferunt filios, e lo conferma Lattantio Firmiano dicendo, Uranum potentem virum habuisse coniugem. Anzi afferma, ch’egli fosse il primo Re d’Italia, apportando il parere d’Ennio, Ennius in Eubemero, non primum regnasse Saturnum, sed Uranum Patrem. E per ciò erra Diodoro Siculo in dire, Ex multis Uxoribus, perchè una sola n’hebbe con più nomi chiamata, come più sotto si dirà. Fù, per finirla, chiamato Vertunno, Protheo, e Vadimone, che l’istesso significano, dice Giovanni Lucido Samoteo per parere di Samuele Talmudista, Dictus est Protheus, idest Vertunnus, vel Vadimon, qua tria nomina idem significant, ma in diverse Lingue, perchè quello che denota Vado appresso gl’Aramei, significo Protho appresso gl’Egittij, e Verto appresso i Latini. Quindi ragionevolmente disse Giovanni Nauclero Idem sunt Noe, Noa, Ianus, Ogiges, Vertunnus, Cælum, Sol. E s’altri nomi à Noe furono dati, ne fù caggione la varietà de’ concetti, c’haveva di lui il Mondo, per la congitione che si haveva de’ beneficij apportati da lui alle genti. Noe dunque doppo il Diluvio, veggendo ravvivato (per così dire) il Gener’humano, moltpilicati i figli, e li nepoti in gran numero cresciuti; per toglier via ogni motivo di rissa, divise à quelli i Regni, le Provincie, e le Colonie; divisione autenticata dal sacro Cronista, che disse, Ha familia Noe iuxta Populos, & Nationes suas ab his divisa sunt Gentes in terra post Diluvium. Et havendo à Semo l’Asia, à Giapero l’Europa, e l’Africa à Camo assegnato, come anco à varij Capi di famiglie diverse Provincie, e Regni (questo fù al computo di Giovanni Annio l’Anno C. doppo il Diluvio.) Egli, dubbioso forse, ò più tosto presago della discordia de suoi figli, pigliò l’independente cura del Mondo; il che fu accennato da Ovidio, quando disse

Me penes est unum vasti custodia Mundi.

Fondate haveva Noe, poco avanti che partisse, molte Colonie nell’Armenia, & in altre Contrade ancora, conforme al bisogno: quali stabilite, non molto doppo gl’altri, con la sua consorte Tithea, ò Aretia, ò pure Vetta, overo Esta, ò come in lingua Toscana dice Mirsilo Lesbio Horchia, e con altri figli, e nepoti in copioso numero, se ne venne il primo in Italia. Quod eum ita existimatur est priorem Ianum in Italiam devenisse, ab eoque postea venientem exceptum esse Saturnum dice un’Autore citato da Onofrio Panvino. E con Profetico sapere entrando per le foci del Tevere, tenne à man sinistra, fermando la sua prima stanza, & albergo nel Colle vicino al Vaticano, che dal suo nome di Giano fù detto Gianicolo, Cumque ivisset ad regendum Kitim, quam nume Italiam nominant, dice Beroso. Di questo senso è Giacomo Middendorpio, che per parere di Marco Podiano dice, Noa, quem antiquitas Ianum vocavit, post universale Diluvium in Italiam professus est , et lavam Tiberis ingressus, Colonias, etc. E Vincenzo Scamozzi lo conferma, dicendo, Ianiculo da Iano, che vi hebbe l’habitatione, e fù ìvi sepolto. Anco Andrea Angelo con queste parole, Noe, qui natus est, etc aliàs Ianus fuit cognominatus, primusq. Patriarcha, Rex, et Imperator totius Orbis fuit, et in Ianiculo, seu Vaticano Templum condidit. Questa prima venuta di Noè fù l’Anno O.VIII. doppo il Diluvio, e dalla Creation del Mondo MMM.II. Governò egli con paterno affetto An.XXXIII. l’Italia nel cui seno eresse molte Colonie, e fù il primo Re, che l’Italia havesse; tanto asserisce Paolo Diacono per parer d’alcuni, Primus in Italia, ut quibusdam placet, regnavit Ianus, sono queste formali parole dell’Abate Vipergense, che vien seguitato da Agostino Torniello con queste parole, Oportet capissi Regnum Italia sub primo eius rege Iano, e tutto questo (dice il Middendorpio nel citato luogho) si manifestò per la Nave scolpita nelle monete di Giano. Indicantes venisse Ianum Navi ex Asia in Italiam, et utriusque Orbis partes verum Patrem, et Imperatorem existere, quantunque questa Nave scolpita sia fondamento ad altri per farne diversi giudicij. Penetrò in tanto li rumori de’ Figli, e de Nepoti Noe, cagionati forse dall’edificatione della superba Torre, e confusione delle Lingue; e bramoso di dar rimedio più alli futuri, direi, che alli presenti mali, se ne ritornò veloce nell’Africa, & al governo d’Italia Gomero Gallo soccedè nel MMM.XXXV. Anni del Mondo; mentre nell’Assiria regnava Nembrotte, Saturno Babilonico altramente chiamato.

Vidde Gomero l’Italia, e considerò l’ameno sito di essa, e questi luoghi fatti di Colonie dal suo Avo Noe, per esser egli figliolo di Iapeto, come insegna il sacro Cronista, diede il nome ad alcune Colonie, cosa ordinaria di quei tempi, Comerus loca, scilicet; ubi Ianus Avus ante Colonias posuerat, à se cognominavit, regnava Giovanni Annio, e questo fù il secondo, che solo regnasse in Italia; nel cui tempo cominciarono le Colonie de Francesi, e de Spagnoli. Governò il Regno Gomero anni LVIII. & hebbe per soccessore Ocho Veio suo figliolo, che regnò anni L. e fù anni MM. C. VI. avanti la venuta di Christo Nostro Redentore, e della Creation del Mondo MMM. XCIII.

Si partì dall’Italia Ocho Veio, ma sbarcandovi l’ultimo de primi tre figli di Noe, chiamato Camo, e per altro nome, Saturno Egittio fù nel MMM. C. XLIII. del Mondo, e non trovandovi Prencipi regnanti, pigliò egli il Governo del Regno, e delle Colonie, reggendole per spatio d’Anni XIX. ma con i suoi perversi costumi, e prave sceleraggini si concitò contro questi Popoli, onde ragionevolmente fù chiamato Camo scelerato: quando non fusse per altro, almeno per quello che registrò Giovanni Cassiano, le cui parole sono le seguenti Quantum antiquæ traditiones ferunt, Obam filius Noe, qui superstiniobus, & sacrilegus fuit artibus, & profanis infectus, sciens nullum se posse super his memorialem librum in Arcam prorsus inferre, in quam erat unà cum Patre iusto, & sanctis fratribus ingressurus, scelestas artes, & profana commenta diversorum metallorum laminis, quæ scilicet acquarum non corrumperentur iniuria, & durissimis lapidibus insculpsit; quæ Diluvio peracto, eadem, qua illa calaverat, curiositate perquirens, sacrilegiorum, & perpetua nequitia Seminarium transmisit ad posteros. Non mi dispiace però il sentimento di Giacomo Saliano, à cui non par cosa possibile, ch’un tal’huomo, se fosse stato così scelerato, e perverso, restato fosse salvo dall’Universal inondatione col beneficio dell’Arca; nella quale, come intende Gio. Crisostomo Santo, egli generò un figlio chiamato Canaan. E da questo il pudico fà buon’argomento dell’intemperanza di lui, mentre ne anco l’ira Divina, che giustamente ferina il Mondo tutto, lo ritraheva dalla libidine.

Edificò Camo due colonie fra molte altre, una nell’Umbria, chiamandola dal suo Nome Camerena, detta hoggi Camerino, e l’altra nel nostro Latio vicino ad Albano con l’istesso nome, che poi, come narra Dionisio, fù presa, e data à sacco da Romolo per li suoi Soldati, perchè li Camerini, pigliando occasione della Peste, che crudelmente molestava Roma, persuadendosi, che ne dovessero li Romani restar estinti; fatta ardita risolutione parte de Colani Romani uccisero, e parte ne scacciorno fuora della Città, id scelus, dice l’Alicarnasseo, ulturus Romulus, mœnibus eorum iterum expugnatis, auctores defectionis affecit supplicio, prædaq. concessa militi. Quando questa celebre Città fosse fatta Colonia de Romani, lo dimostra Guglielmo Godelveio dicendo, fosse cinque Anni doppo la fondatione di Roma, per la Guerra fattali contra da Romolo, e Tatio Regi, Romulus & Tatio Reges cum Bello Camerinos vicissent Cameriam, qua Colonia Albanorum fuerat, Romanam deduxerunt Anno Urbis condita quinto. E se bene l’istesso Dionisio asserisce esser stata questa Città fondata prima di Roma, Hanc olim Albani multo ante quam Romam condiderant; con tutto ciò è di parere fosse prima nobile albergo, e stanza de gl’antichi Aborigini, che dà materia di credere fosse da Camo edificata, temporibus autem priscis, Aboriginum fuit domicilium eum primis nobile. E questo fù il quarto dominante assoluto d’Italia, che con la sua pessima vita la riempì di rilassationi, e mali costumi.

Giano in questo mentre attendeva à quietare i tumulti de Figli, e Nepoti, e sedati in parte, doppo haver stabilite alcune Colonie nell’Arabia Felice, e fondatene due nella Spagna, fece ritorno alla sua bella Italia nell’Anno del Mondo MMM. C. LXII. Non voglio lasciare sotto silentio il pensiero di Gilberto Genebrardo, il quale giudica impossibile il ritorno di Noe nell’Italia, sì perchè egli era vecchio molto, com’anco, perche al suo parere non visse più di dieci anni doppo la divisione fatta de Regni, e Provincie, quale à mio giudicio sarebbe stata troppo tarda, e perciò aderisco à Gio. Lucido Samotheo, al Middendorpio, & altri della prima sentenza, che Noe ritornasse in Italia nel XX. Anno di Nino, Terzo Rè de gl’Assirij, che da Gerardo Mercatore è stimato l’istesso che Nembrotte, dicendo, Hunc Ninum esse Nembrot credimus, ma s’inganna, perchè Nino fù nepote di Nembrotte, e figlio di Giove Belo. Ritornato dunque in Italia Noe, vi ritrovò fuor d’ogni suo pensiero Camo figlio scelerato, che come havemo detto, contaminava la gioventù con le sue enormità, sceleragini, e superstitioni. Per veder di ridurlo al dritto sentiero del buon governo, ve lo sopportò tre Anni: ma non havendovi veduta emendatione di sorte alcuna, lo discacciò via; e per honor di lui, permisse, ch’una parte dell’Italia pigliasse il nome di Camerena, così vuol Macrobio, che eccettuato il Gianicolo comportò, Ut residua Regio Camerena nuncuparetur, qual Regione fù il nostro Latio. Noe in tanto attese con ogni prudenza, e giustitia, à rimediare à i disordini, & abusi introdotti da Principe perverso. Questa, direi, fosse stata la prima divisione dell’Italia in Latio, e Toscana, ma però con nome di Gianicolo, e Camerena. D’Italia Camo se ne fuggì in Sicilia, dove edificò alcune Colonie, una delle quali ritenne il suo nome Cameria, della quale fa mentione Paolo Orosio; e non ritornandovi più, come poteva dubitarsi, Noe pigliò di nuovo l’universal cura del Regno, che veduta la difficoltà di svellere li piantati errori, deputò alla riforma de Popolo sconcertati Crano, e Crana suoi figli ultimi nati doppo il Diluvio, e perciò teneramente amati: e così à poco, à poco si diede qualche rimedio à mali presenti, e ne venne la diversità de Prencipi regnanti, come dirremo. E’ vero che S. Epifanio non vuol che Noe havesse altri figli doppo il Diluvio, dicendo Nascuntur autem ex filýs eius (ipse enim non amplius generavit) filÿ, & filiorum filÿ usque ad quintam generationem. E pare, che anco S. Gio. Crisostomo sia dell’istessa sentenza, mentre dice, Cum iam quingentorum esset annorum, babertetq. filios istos tres, istis contentus fuit. Ma trattandosi delle benedittioni, che Dio li diede, cessato il Diluvio, & uscito dall’Arca, nell’istesso luogo Crisostomo dimostra il contrario con queste parole, Postquam accepit mandatum à Domino, & benedictionem, dicentem, crescite, & multiplicamini, exÿt ex Arca, etc. Noe fù obedientissimo, argomentiamo noi, dunque osservò il precetto della propagatione, non per incentivo di libidine, ma per obedienza, e bisogno del Mondo: e quel numero preciso di tre figli soli, s’intende avanti il Diluvio, dal che si discopre la continenza d’un huomo giusto. Alfonso Tostato corrobora la medesima sentenza col parere di S. Methodio Martire, dicendo, che Noe habbia havuti doppo il Diluvio altri figli, Noe centesimo anno tertiæ Ciliadis, idest centum annis post Diluvium, genuit filium nomine Ionicum. Et altrove egli reproba l’altrui oppinione negativa, con dire, Non sequitur falsum esse, quod Noe genuerit Ionicum, si sottoscrive à questo pensiero il Nauclero con le seguenti parole, Præter Sem, Cam & Iaphet, reliquit filios, & filias, etc. Noe quoque genuisse legitur quartum filium, quem vocavit Ionichum, e dice fosse persona virtuosa, e peritissima nell’Astronomia; il che asserì molto tempo prima del Nauclero, Pietro Comestore, chiamandolo Ionito, Trecentesimo Anno dedit Noe dominationes filio suo Ionitho. His accepit à Domino donum sapientiae, et invenit Astronomiam, dicendo che col suo sapere prevedesse anco molte cose future, Ionithus iste futuros quosdam eventus pravidit; maxime de ortu quoatuor Regnorum: e quello fù quel Crano accennato di sopra sostituito per la riforma de’ Popoli corrotti. Anzi se volemo prestar credenza à Diodoro, Noe hebbe quarantacinque figliuoli, Ianum suscepisse ferunt filios quinque, et quadriginta. Ma in ciò si deve stare al parere de’ più autentichi, e veraci Scrittori

Del Regno del Latio. Cap. II.

Chi diede di Latio il nome à quella Regione di quà dal Tevere; dove, come piace à Fabio Pittore nel sopracitato luogo, hebbe i suoi primi natali la Trionfante Roma, fù Saturno Caspio, chiamato per altro Nome Sabatio Saga, Figliolo di Cuso, Nipote di Camo, Pronepote di Noe, che dal Sacro Cronista vien detto Sabatcha, che perseguitato dall’empio Giove Belo, Padre di Nino, e Figlio di Nembrotte, se ne fuggì in queste nostre Contrade, e perciò in questo mi dilungo dal Bardi, il cui intendimento è, che questo Saturno sia figlio di Noe; se però non intendesse di Saturno Egittio, dico Camo, che allhora sarei seco. Che il detto Sabatio sia il nostro Saturno, lo dice Beroso, quando narra la prima fuga di lui ne monti Caspi, e trà li Battriani, & Armeni più remoti, per schivar la Tirannia del crudo Belo, Sabatius (egli dice) delitescebat in Battrianis Sagis, Torello Sarayne conferma l’istesso con le seguenti parole, Postquam paulo post, & Saturnus, qui, & Sabatius Saga dictus est, frater Nembrot Saturni Babilonici, & Patruus Iovis Beli, in Italiam concessit fugiens arma Iovis. Leandro Alberti, l’Annio, Gio. Christostomo Zanco, & il dottissimo Padre Maestro Felice Ciatti chiaro splendore della mia Francisca Religione con altri molti gravi Autori sono del medesimo parere, e trà viventi, Pompeo Angelotti fondato nell’Autorità di Monsignor Vittorij in un Sonetto dell’Istoria di lui manoscritta.

Se ne stava il patiente Sabatio nascosto ne’ sopr’accennati Monti perseguitato dall’ambitioso Nipote, che non poteva adempire la vorace brama di solo regnare, se non prima estinto il nostro Saturno; cercava perciò d’ucciderlo; ma perchè fù la fuga di lui repentina, e segreta, non commise tanta sceleragine. Dovendo poi egli render il debito alla Natura, col far passaggio all’altra vita, doppo haver regnato nella Babilonia XLIII Anni, lasciò per precetto testamentario à Nino suo figliolo soccessore del Regno, e della crudeltà paterna, ch’in esterminio mandar dovesse Sabatio Saga, Iussit filio Nino, ut Sabatium Sagam funditus deleret, dice Beroso. Aspettava tempo più opportuno l’afflitto Sabatio, ò per la recuperatione del Regno, ò per più sicuro scampo della sua persona, ma non vedendovi piega; lasciando al governo de gli Armeni Barzane suo figlio, s’imbarcò per la Sarmatia, Regno così chiamato da Sarmata nipote di Semo. Trascorse ancora nell’Eusino, e fatta rilosutione megliore, e di maggior sicurezza, poiche non poteva tanto guardarsi dall’insidiose mani del nuovo Tiæranno, se non con la partenza; in compagnia di molti seguaci, con la moglie, e fameglia se ne venne veloce à vele spiegate con Navi in Italia, entrando per il Tevere à trovar Giano suo Bisavolo, che molto prima vi era giunto, come accennò Ovidio dicendo,

Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem Primus oberrato Falcifer Orbe Deus. Hac ego Saturnum memini tellure receptum, Cœlitibus Regnis à Iove pulsus erat.

E Vergilio dice:

Primus ab athereo venit Saturnus Olimpo Arma Iovis fugiens, & Regnis exul ademptis; Is genus indocile, & dispersum montibus altis Composuit, Legesq. dedit, Latiumq. vocari Malis, his quoniam tutus latuisset in oris.

Fuga anco registrata da S.Agostino col paere di Eohemero (altri intendono Omero) con le seguenti parole, Et quæ ad hanc rem pertinentia subsequuntur, totam de hoc Euhemerus pandit historiam, quam Ennius in latinum vertit eloquium. Giunse in Italia Sabatio Saga, sicuro dalla persecutione di Semiramide, che regnava nell’Assiria per la morte di Nino suo Consorte, di quel Nino, che diede principio all’Idolatria per la Statua, che eresse à Belo suo Padre, perchè come riferisce Pietro Comestore, Mortuo Belo Ninus in solatium doloris Imaginem Patris sibi fecit, cui tantam exhibebat reverentiam, ut quibuslibet reis, qui ad eam confugissent, parceret. Il corpo di questo Belo fù posto in un’Urna di vetro, con oglio (direi Balsamo) così ritrovato da Serse, narra Claudio Eliano Prenestino, Xerxes Darij filius effosso vetusti Beli monumento, vitream urnam reperit, ubi iacebat in oleo cadaver. Fù Sabatio nell’Anno MMM. CXCV. del Mondo da Giano cortesemente ricevuto, che conoscendo la buona natura del Nipote, l’ingiusta persecutione fattali da Belo,e dal Figlio, li dissaggi sufferti, gl’assegnò il lato destro del Tevere per le sue Colonie, & il monte Capitolino per suo Albergo, e Regia, con il governo de gl’Aborigini, restandosene egli nel Gianicolo, quindi Macrobio Aurelio disse, Hic igitur Ianus cum Saturnum Classe provectum excepisset hospitio, & ab eo edoctus, peritiam ruris ferum illum, & rudem ante fruges cognitas iustum, in melius redegisset, Regni cum societate remuneravit, e furono ambedue così conformi nel giusto governo, che forse per questo ben spesso cambiorno il nome di Saturno in Giano, e di Giano in Saturno, com’hà fatto il Middendorpio. Fabio Pittore, che registra quest’istessa venuta, è di parere, che Giano per divisione del Regno conceduto a Saturno, vi stabilisse, come per linea divisiva, il Tevere; patto osservato ancora molti secoli doppo per separatione trà Latini, e Toscani al tempo d’Ascanio, dice Livio. Ecco le parole di Fabio, Paulo post frementibus undique contra se armis, toto prius pererrato Orbe Saturnus ad Ianum se contulit, eum comi hospitio Ianus receptum, Latio, et Aboriginibus præfecit, et more, quamvis tunc finientis Aurei sæculi, intra fines sese quisque continuit. Ianus in Etruria, Saturnus in Latio, Tiberimque fines Imperÿ esse instituit. E più sotto segue, Etruria a Ianiculo Ianus, Latium à Saturno Saturnus cognominavit. E Sesto Aurelio Vittore dice, Igitur Iano regnante apud Indigenas rudes, incultosq. Saturnus Regno profugus, cum in Italam venisset, benigno exceptus hospitio est. Che Saturno edificasse Roma, la parte dico del Capitolio, con nome di Saturnia, lo dice Vergilio quando vuole dimostrare, che ella indifferentemente nel Latio, e nella Toscana era fabricata.

Hanc Ianus Pater, hanc, Saturnus condidit Urbem Ianiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen

Et Ovidio.

Inde diu genti mansit Saturnis nomen, Dicta fuit Latium terra latente Deo.

E Sesto Aurelio dice, Sed Urbem Saturnus, cum in Italiam venisset, condidisse traditur. Lo conferma ancora Giulio Solino dicendo, Quis ignorat, vel dictum, vel conditum à Iano Ianiculum, à Saturno Latium, atque Saturniam. Et Hisidoro Hispalente ancora, In Italiam autem à Iano Ianiculum, à Saturno Saturnia, atque Latium conditum, eo quod ibi fugiens latuisset. Parimente Arnobio, Ianus Ianiculi conditor, et Civitatis Saturnia Saturnus Auctor. Seguono quest'oppinione Bartolomeo Isernacense, Tommaso Fazzello, Andrea Scotto, Niccolò Perotti, e altri molti.

Sono quasi tutti conformi li Scrittori intorno all'origine del nome Latio, e unitamente affermano, perchè Saturno latuit, si nascondè in esso. Così dice Herodiano, Cuius etiam Saturnum ipsum ab Iove filio pulsum fuisse hospitem pradleant, quod et ibi latuisset nomen Latio inditum. Paolo Diacono, Saturnus, quia in Italia latuit, ab eius latebra Latium appellatum est. L'Abbate Uspergense replica le medesime parole di Paolo Papia, Latium pars Italiæ dictum, quod Saturnus à Iove fugiens, ibi latuerit. Paolo Merula, Latium dictum putatur à Saturno, qui patria profugus in his locis latuisse fertur. Nicolò Perotti finalmente dice, Dictum Latium, quod illic latuerit Saturnus Iovem filium fugiens. Non voglio in questo luogo dimostrare quel Saturno fosse questo fuggitivo, perchè si dirà altrove; e per adesso mi basta in prova, che Latium dicatur à latendo, come Arnobio conferma: benchè, come registra il Perotti, alcuni siano di pensiero così chiamarsi, quia latet inter præcipitia Alpium, et Appennini. In quello nostro Latio fù fondata, et hebbe i suoi natali la famosa Roma, come s'è accennato, così giudica Fabio Pittore dicendo, Prima igitur origo Roma fuit Collis Capitolinus, antea Saturnia dictus. Conferma ciò Lucio Sempronio, qual dice Ubi est Mons Capitolinus aureo saeculo à Saturno habitatus, ubi et nunc Aurea Roma Terrarum caput. L'istesso par che affermasse Plinio quando scrisse, Saturnia ubi nunc Roma est, corroborato ancora da Giustino Historico con queste parole, Itaq. Italia regis nomine Saturnia appellata est, et mons, quæ inhabitabat, Saturnus, in quo nunc veluti à Iove pulso sedibus suis Saturno, Capitolium est.

Stando dunque sicuro, e d'animo quieto Saturno nel suo governo nel Latio, destinò alla cura della Sabina Sabo suo figliuolo, che à quei Popoli diede anco il nome, come, oltre à molti altri buoni Autori, spiegò chiaramente Silio Italico nè seguenti versi:

Ibant, et læti pars Sanctum voce canebant Auctorem gentis, pars laudes ore ferebant Sabe tuas, qui de patrio cognomine primus Dixisse populos magna ditione Sabinos

E fù nell'Anno del Mondo MMM. CC. XVI.. Questo Sabo fù poi il Dio Tutelare, benchè falso, de' Sabini, come Fauno de' Latini, e Quirino de' Romani, dice Polidoro Virgilij. (Io non credo però fosse il primo) Fece molti beneficij al Mondo Saturno, insegnò l'arte dell'Agricoltura, il modo di potar le vite, e gl'arbori, inventò le Falci da mietere, e da tagliar il grano, com'anco insegnò il costume, e riti de' Sacrificij (quantunque Cicerone dica, Principem in sacrificando Ianum esse voluerunt, e Pomponio Leto n'attribuisca l'inventione nel Latio à Fauno) e ridusse al vivere civile le rozze genti; in somma in XLII. Anni di governo fece grand'opre: e se prima di lui haveva fatta qualche cosa Gomero Gallo, fù però con minor esperienza, e maestria. Basta dir solamente che con la sua giustitia, e modo retto di vivere si diede il nome all'Età dell'Oro, come si cava da Giustino, qual dice, Italiæ cultores primi Aborigines fuere, quorum Rex tanta iustitia fuisse dicitur, ut neque servierit sub illo quiquam, neque quisquam private rei habuerit, sed omnia communia, et indivisa omnia omnibus fuerint, velutis unum cuntctis patrimonium. E Claudiano poeticamente per tempo futuro così la descrive

Tunc Tellus communis erit, tunc limite nullo Discernetur Ager, nec vomere sulcus obunco Findetur. subitis messor gaudebit aristis, Rorabunt querceta favis, stagnantia passim Vina fluent, oleiq. lacus, nec murice tinctis Velleribus quæretur honor, sed sponte rubebunt Attonito pastore greges, pontumq. per omnem Ridebunt virides gemmis nascentibus algæ.

Età in vero fortunata, e felice, onde ragionevolmente di Saturno Virgilio disse, Aureus hanc vitam interris Saturnus Agebat. Morì Saturno nel primo Anno di Semei Quinto Rè de gli Assirij, ne gl'Anni del Mondo MMM. CC. XXVII. E Noe visse doppo di lui Anni otto, dice Beroso, Eius Anno primo (parlando di Semei) cum Sabatius obiit. Ianus Pater senissimus filium suum Cranum Coritum creavit, octavoque post anno obiit, ò pure come si computa nelle Tavole di Eusebio, visse Noe Anni Sedici fino al XVII del sudetto Semei; benche il Marliano sia di contrario parere, dicendo, che Noe fosse il primo à far passaggio all'altra vita. Cœterum Iano defuncto, ad eum solum (intende Saturno) Imperium pervenit. Honorò Noe la morte del suo Pronipote, perchè se prima il Latio solamente, e Roma haveva nome Saturnia, volse che l'Italia tutta fosse universalmente Saturnia chiamata: tanto si cava da Dionisio, che dice, Ante adventum Herculis in Italiam, sacer erat Saturno is locus (intende del Capitolio) dictus ab Incolis Saturnius, quia et universa ora, quam nunc vocatur Italia, dicata erat huic Deo, vocata à suis hominibus Saturnia, ut licet videre in Sibyllinis Carminibus, et aliis Oraculis à Diis redditis. Tertulliano, che con ragione vuole, che nissuno scriva più fedelmente di Saturno, che gl'Italiani, dice, Si quaras rerum argumenta, nusquam invenio fideliora, quam apud ipsam Italiam, in qua Saturnus polis multas expeditiones, postquam Attica hospitia consedit, exceptus quam Iano (ut Salii volunt) Mons, quem coluerat, Saturnius dictus, Civitas, quam debellaverat, Saturnia usuqe nunc est. Fece in oltre Giano stampar monete con l'impronta della Nave, sopra la quale Saturno venuto era in Italia, e scampato dal tirannico furor di Belo, il che fù spiegato da Ovidio ne i seguenti due versi.

At bona posteritas Puppim formavit in ære Hospitis adventum testificata Dei

Da Plutarco, che disse, Qua vulgata opinio est in honorem hoc fit Saturni navigio Italiam advecti. E Macrobio lo dimostrò più chiaro, dicendo, Cum primis quoque Ǣra signaret, servavit et in hoc Saturni reverentiam, ut quoniam ille navi fuerat avectus, ex una quidem parte sui Capitis effigies, ex altra verò Navis exprimeretur, quo Saturni memoriam etiam in posteros propagaret. E Tertulliano dice, che perciò Saturno fù fatto Nume tutelare de gli Erarij, Ab ipsa primum Tabula, et Imagine signatus nummus, et inde Ærario præsidet. Da tutto questo si cava, che Giano fosse l'inventore di simili monete, e non Saturno, come vuole Alessandro ab Alexandro, che scrisse, in Latio Saturnus areum nummum reperisse traditur. E ben vero, che à lui, e alla sua consorte chiamata Opis, ò Rhea, come narra Pomponio Leto, fù alzato un superbo Tempio nel Monte Capitolino. Giano doppo la morte di Saturno, pieno d'anni, non potendo, ò non volendo solo reggere cosi vasto Impero, che prima haveva diviso, scorgendosi hormai giunto al fine de' suoi giorni, fece Prencipe del Latio Crano suo figlio, per altro nome chiamato Cronico. Benche il Samoteo gli dia il principio del governo doppo la morte del Padre. In questa occasione si riunì il diviso Regno d'Italia. Crano per riverenza del vecchio Padre fù detto Giano Iuniore, di cui intese quell'Autore, che disse Ianum fuisse filium Noe, che doppo l'Impero di molti Anni, hebbe per soccessore Aurunco (altri dicono) Aurunno suo figlio; fù nell'Anno MMM.CC.LX. del Mondo. Questo diede il nome ad una famosa Colonia nel Latio: & havendo regnato anni XLIII gli succedè Moloc Tagete, & à lui doppo XLII. anni di Regno, seguì il suo figlio Sicano. Non sò determinatamente, s'al tempo di quello, che governò Anni XXX. ò pure al tempo di Enachio, ch'altretanti stette nel Regno, per loro impotenza, ò dapocagine, suscitarono quei Giganti, che crudelmente travagliarono la nostra Italia, onde al pensiero del Bardi, fondato nell'autorità di Orosio Lib. I. Cap. 7. furono forzati gl'Italiani oppressi dalle crudeltà, che dà Giganti à loro si facevano, chiamare in aiuto Osiride, da Andrea Angelo stimato figliolo del nostro Saturno, Sabatius genuit Osiris Principem Ægipti. Da Diodoro in più luoghi, Giove giusto chiamato; da altri detto Apis, così dice Strabone, Memphis Ægiptiorum Regia Apidis Templum habet, qui idem est, quod Osiris, da cui l'Italia per un tempo fu detta Apennina. Era di tanta stima questo nome Apis, appresso i Greci, che per quanto narra il Boccaccio, vi era di pena la testa à qualunque lo nominava. Questo debellato i Tiranni, sedati i rumori, e posto in pacifico stato il Regno, lo governò diec'Anni, e nel suo tempo terminò affatto, e s'estinse l'ultima scintilla del Secol d'Oro; quale pretendesi rinovato (come piace al Samoteo) nel tempo del nostro Augusto Ottaviano, Innovato est Aureum Sæculum tempore Octaviani Augusti, quando cæpit Monarchia Romanorum. Se ne ritornò Osiride in Egitto; ma prima della partenza lasciato haveva il Regno d'Italia à Lestrigone figlio di Nettuno suo fratello; e questo fù ne gl'Anni del Mondo MMM. CD. LIII.. Ed egli da Trifone a tradimento fù miserabilmente ucciso, et in più parti diviso, Osiridem Ægipto iustè regnantem (dice Diodoro) à Triphone fratre impio, atque nefario interemptum, quem ille in sex et viginti partem dissectum, etc. Fù questo empio fratricidio universalmente sentito con grandissimo dispiacere, che per farlo palese, e per manifestare il giovamento, ch'il Mondo haveva ricevuto dal saper di lui, e per haver insegnata alle genti la perfetta Agricoltura; gl'Egittij l'adorarono per Dio, ma con sembianza di Bove di varij colori, così registra Costantino Manasse, Longè verò studiosissimè inter alios cultus, Apim venerabantur, qui variis coloris Bos erat, denotando forsi la Terra, che coltivata di varij colori s'ammanta, e si riveste. Lestrigone stabilì la sua Sede in Formia, dice Plinio, ò pur Hormia, hoggi Mola in Regno; ma si fece sperimentare così crudele nel governo, che dà Greci fù detto Antropofago, che in nostra lingua suona divoratore di carne humana; perciò Hercole Libio, ò Egittio figlio di Osiride, e di Cerere (vuole il Fazello) partendo dalla Spagna nell'Anno del Mondo MMM. CD. XCVIII. e giunto nel nostro Latio, scacciò i Lestrigoni, e Tiranni, che v'havevano regnato anni in circa quarantacinque, e ne pigliò egli l'Impero assoluto, e vi edificò alcune Colonie, dandogli il suo nome, come fù frà l'altre Herculea, over Herculano, così chiamata, perchè Hercole vi sbarcò con molte Navi, come piace al Mazzella, hoggi della la Torre del Greco, vicino à Napoli. Tivoli, forse per l'istessa caggione, fù detto Herculeo, come piace al Perotti. Anzi Andrea Scotti narra, ch'era tanta l'amicitia, che li Tiburtini havevano con Hercole, che risolverono, che la loro Città fosse chiamata Herculeo. Frà Volsci ancora fù plausibilmente accettato in Sessa, per quanto dimostra Lucio Sacco Autor moderno, e edificò Sezza, come à bastanza prova il Ciammariconi Setino; à quali due Città, per quanto questi due virtuosi registrano, lasciò Hercole l'impresa del Leone, e fù avanti la venuta di Christo nostro Salvatore M. D.CC. Anni. Due Porti di Mare ancora pigliarono il nome da Hercole, uno nè Brunij, vicino à Locrensi, hoggi detta Gerace in Calabria, e l'altro nè confini della Liguria, e Toscana, al presente chiamato porto Hercole.

Qual fosse quest'Hercole, di cui si raggiona, non è facil cosa il determinarlo; perchè essendo stati nel mondo più Hercoli, come dimostra Arriano, e Pausania, anzi quaranta tre, scrive il Perotti per parere di Varrone. Varro treis, et quadraginta Hercules nominat, si richiede in ciò altra chiarezza. E perciò è da sapere, che l'Hercole, di cui discorriamo, fù figlio di Osiride, detto Giove, e di Cerere, ò pure Alcmena figlia di Elettrione, dal cui alto valore, e famosi gesti tutti quelli che facevano prodezze non ordinarie, s'usurpavano il nome d'Hercole; così segue il Perotti, Verumtamen omnes, qui robure, et fortitudine præstiterunt, hoc nomine ab Hercule Aclmenæ filio appellato fuisse affirmant. Governò Hercole l'Italia Anni XXX. e havendo richiamato dal Tanai Tusco suo figlio havuto da Araxa e creatolo Prencipe hastato d'Italia, egli (benchè vecchio) se n'andò à i Celtiberi, e lui, doppo maravigliose fatighe di guerra, finì i suoi giorni. A questo Tusco, che diede il nome di Tuscia all'Etruria, doppo XXVII. Anni di Regno, soccedè Altheo suo figlio, in cui, doppo il governo di sett'Anni, terminò la descendenza d'Hercole à regnare assolutamente in tutta l'Italia; perche Atlante Italo, per altro nome detto Kitim, Nipote di Iapeto chiamato Atlante Mauro, e figlio di Iavano, havendo prima discacciato Hespero suo fratello dalla Spagna, s'incamminò verso l'Italia, dove similmente vi ritrovò Hespero, che n'haveva il possesso, non sò in che modo fatto soccessore d'Altheo (da questo Hespero pigliò la Spagna, e l'Italia il nome di Hesperia) ne potendo, ò pure non volendolo quì comportare, doppo la Signoria d'Undeci Anni, anco lo discacciò, e diede il nome d'Italia à questa nostra Hesperia, tanto spiega Dionisio per sentimento d'Antioco Siracusano, dicendo, Quod Regnum tandem Italo delatum, à quo mutato nomine dicti sunt Itali, e più oltre, Italia verò post nominata est à viro præpotente Italo, hunc Anthiocus Siracusanus ait, bonum, et sapientem fuisse, et propinquarum Regionum hominibus, partim oratione persuasis, partim vi coactis, totam eam terram sub iugum suum redigisse. Riferisce l'istesso Dionisio per parere di Hellanico, che l'Italia si chiamasse Vitalia, e con progresso di tempo fosse detta Italia; donde poi havesse quel nome, dice fosse per un Giovenco, ò Vitello fuggito da Hercole, e da lui in più parti cercato, onde tutta quella Regione dal Vitello scorta fù appellata Italia. Sesto Pompeo inclina in parte à questa oppinione, mentre è di senso, che l'Italia venga chiamata dalla moltitudine de Buovi, che in essa si trovano, Italia dicta, quod Magnos Italos, hoc et Boves habeat. Se bene immediatamente segue, Italia ab Italo Rege, eadem ab Attilio putatur appellata. Per lo che si discopre la commune oppinione essere, che Italo habbia dato il nome all'Italia, e la conferma Aristotile, che dice, Tradunt enim periti homines illorum locorum fuisse Italum quemdam Oenotria Regem, à quo, mutato nomine, pro Oenotriis Itali sunt vocati. E da Suida, che scrive, Iidem Latini Itali dicti à Principe quodam Italo, e fù nell'Anno del Mondo MMM.D.LXIII. conforme alle Tavole di Eusebio, che scrive Athlas frater Promothei præcipuus Astrologus, qui ob eruditionem istius disciplina etiam Cœlum sustinere affirmatus est. Ma perche il Samoteo gli dà il principio ne gl'Anni XII. di Mancaleo Duodecimo Re de gl'Assiri, ne segue, che fosse nel MMM.D.LXXIII. Di questo Atlante scrive il Pagnino le seguenti parole, Eo quippe tempore, quo Moises natus est, fuisse reperitur Athlas ille magnus Astrologus, Promothei frater, maternus avus Mercuriis Maioris, cuius nepos fuit Trimegistus ille Mercurius. Dalle citate parole di Suida io piglio certezza, che la Provincia, dove fondò il suo Regno Atlante Italo, sia il nostro Latio. Si corrobora questo mio senso da quello che dice Beroso, quale (come dirremo più sotto) narra, che Atlante dasse Eletra sua figlia magiore per moglie à Cambo figlio di Blascone, che edificò Monte Fiascone, dice Andrea Angelo, Alcæus genuit Blasconum, à quo Mons Flasconus, Principem Tusciæ. Restò Cambo ancor egli Prencipe de' Toscani, con nome di Corito, chiamato ancora Giano Iuniore, che osservato dal Samoteo, per dimostrare la differenza trà questo, et il primo Giano, dice, Considera unum Ianum priscum, plures verò posteriores. Da questo hebbe i suoi principii la Città di Corneto, dice Andrea Angelo, ma lo fà fratello, e non figlio di Blascone. Ne segue dunque, che in quello, come in altro tempo ancora il Principato di Toscana diviso fosse dal Latio, e si conclude, se Atlante Italo pigliò il possesso del Latio, e gli diede il suo nome, che il Latio nostro fosse il primo da lui chiamato Italia, e che i Latini i primi fossero (come dice Suida) ad esser chiamati Italiani.

Non deve dispiacere il pensiero di Fabio Pittore, qual narra c'Hespero fuggendo l'ira del fratello, fosse raccolto da Toscani, e per il suo alto valore fosse fatto Protettore, e Difensore di quel Regno, per esser Cambo ancora giovenetto. Venendoli poi incontro Atlante colmo di furore, e di sdegno, se gli fece avanti Cambo con i suoi Toscani, et impedì il maneggio dell'Armi trà fratelli; anzi con aiuto, e conseglio oprò, ch'egli in Roma, allhora chiamata Saturnia, possedesse il Monte Aventino, e vi fabbricasse un Castello, che fù poi detto Capena, e che à questa Reggione dasse il il nome d'Italia: queste sono le parole di Fabio, Sequens hunc Aventinus fuit habitatus ab Atlante Italo è Sicilia advecto contrà Fratrem suum Hesperum, in cuius tutela erat Etruriæ Imperium, adhuc Iano puero, et immaturo ad munera Regia, et Regni. Porrò Italus dimicare à Iano, et Etruscis prohibitus in Aventino consedit, ad cuius radices, iuxtà Tiberim, ope, atque consilio Iani Capenam oppidulum condidit, et Regionem eius permissu Italiam dixit. Morì indi à poco Hespero, et Atlante pigliò il governo di tutta l'Etruria, con la tutela ancora di Cambo, Mox Hespero fratre rebus humanis excepto, Italus in tutelam Ianum, et Etruriam. Seguita Fabio (ma notisi, che non v'aggiunge Latium, perche lo possedeva, e già si chiamava Italia) suscipiens, omnem circa Tiberim Regionem, extinctis ultrò, citròq. aliis cognominibus, à se Italiam nuncupavit. Acquietato nè suoi pensieri Atlante, collocò in matrimonio Eletra sua primogenita à Cambo, come s'è accennato, e creò Regina del Latio, e sue Colonie Roma sua figlia minore, Romam filiam Italus primò Subreginam Aboriginibus sacrat, dice Beroso; e Fabio, Suscepto igitur Italus Italia Imperio, tùm filiam suam Romam nomine Siculis, et Aboriginibus in Latio præfecit. Et egli se ne ritirò à governare la Toscana con Cambo, ancora giovene; anzi per schivare le moleste cure del Regno, doppo haver'egli governato XIX. Anni in circa, creò Corito Morgete suo figlio, e fù ne gl'Anni del Mondo MMM.D.XCII. così afferma il Barrio, Cum autem consenuisset Italus, regnavit Morges. E se il Sabellico per sentenza di Antioco Siracusano è di senso, che Morgete reggesse il Latio doppo Roma, e non la Toscana, Roma ante Morgetem regnavit; altri sono di contrario parere; perche Morgete governò la Toscana XX. Anni, et hebbe per soccessore Cambo con l'istesso titolo di Corito, che poi se gli conservò per antonomasia. Da questa Roma pigliò il nome la Trionfante Roma, che prima chiamavasi Saturnia, e perciò direi s'ingannassero per motivo di qualche passione quelli Autori citati dal Colonna, cioè Varrone, e Virgilio, ch'attribuirono il nome, e la prima fondatione à Romolo. Cefalone Gergitio, Apollodoro Ateniese, e Demagora, quali dissero fosse edificata da Romolo figlio d'Enea, e ne pigliasse il nome. Heraclide Lembo, o Demaste Sigeo, che vogliono da Ulisse, et Enea edificata fosse, partendo da' Molossi per Italia, e la chiamassero Roma, da Roma donna Troiana. Callia Siracusano, che dona il principio ad una moglie del Rè Latino chiamata Roma. Alcinio, qual disse, che d'Enea, e Tirrenia nacque Romolo, dal quale si generò Alba, e da Alba, Romo, ch'edificò, e diede à Roma il nome. Dionisio Calcidense, ch'assegnò la fondatione à Romo figlio d'Ascanio Troiano. Antigono, che pretende ricevesse il nome da Romo figlio di Giove. E Senagora, ch'è di senso (come registra Dionisio Alicarnass.) che Roma pigliasse il nome da Romo, uno de' tre figli di Circe, et Ulisse. Come anco quelli s'ingannano, che dicono Roma fosse stata fabricata da Pelasgi, dandoli il nome di Roma per il valore mostrato nelle guerre; e quelli, che dissero Roma haver havuto il principio, et il nome da Romo Tiranno de' Latini. Aggiungo finalmente il parere di Salustio, che ne da la fondatione à Troiani, dicendo, Urbem Romam sicut accepi, condidere, atque habuere Troiani, qui Ænea Duce profugi incertis sedibus vagabantur. Da questo forse si mossero poi alcuni à chiamarla (benche falsamente) Eneipoli.

Lasciando da parte la varietà accennata di gravi Autori circa il principio di Roma, che per esser del Capo del Mondo, deve apportar stupore à chi legge, mentre fà verificare il commun Proverbio, Quot capita, tot sententiæ. Dirò solamente, ch'io prendo dalla narrata antichità non poca maraviglia di quelli che lasciatosi trasportare dal troppo affetto, affermano che le Città fabricate da Enea, Compagni, e suoi Successori, avanti à Romolo, sieno più antiche di Roma, come con manco sode raggioni, altri avanti al tempo della suddetta Regina possono dare verace principio d'altra Città prima di Roma; mentre li primi alberghi di Giano, e di Saturno antecedenti ad ogn'altra Colonia d'Italia, sono l'istessa Roma; se però quelli non volessero intendere di Roma di sette Colli, cinta di mura, e con l'istesso nome, che questo si potrebbe concedere, ma di ciò ne lascio il pensiero, à chi la pretende; à me basta dire, che dovendo Roma esser Capo dell'universo, e per la Monarchia Temporale, e per l'Ecclesiastica, dovea esser fabricata, e fondata dal Capo del Mondo rinascente, dico da Noe.

Soccedè à Roma nel Regno del Latio Romanesso suo figlio, nel MMM.DC.XIX. Anno del mondo (questo fù figliuolo di Sicano già Rè de Celtiberi) conservò il nome di Roma alla parte del Capitolio, e dell'Aventino pigliato da Roma sua madre, e fù acclamato da Latini Aborigini col nome di Saturno, e da li à poco, havendo governato An. LXXI. morì; restando nel Regno Pico Prisco suo figliolo, cosi dice l'Aldovrando, Picus etiam Rex Latinorum Saturni filius, Fauni Pater, che fù il primo che del Pico uccello si servisse ne gl'Augurij; e perciò favolosamente si disse, ch'egli da Circe Maga trasmutato fosse in uccello, così notò Servio, Hoc autem ideò fingitur, quia Augur fuit, et domi habuit Picum, per quem futura noscebat, quod Pontificales indicant libri. La caggione di questa Favola l'assegna l'Aldovrando, che dice, Qui à Circe adamatus, cum spreto eius coniugio, Canentem Nimpham duxisset uxorem, ab irata Dea virga percussus, in Avem sui nominis mutatus fertur. Governò Pico LVII. e gli succedè Fauno Prisco, quale al parer di Suida, fù anco chiamato Giove. Moglie di lui fù Fatua, cosi chiamata da Caio Basso, dice Lattantio, perche prediceva le cose future (dice Giustino) Fauni fuit uxor nomine Fatua, quæ assiduè divino spirito impleta, velut per furorem, futura a præmonstrabat. Pomponio Leto vuole, che li fosse sorella, Fauni soror Fatua, vaticinatrix. Ma Lattantio, seguitando il parere di Giustino, vuole che li fosse moglie, e perche s'imbriacò, il Marito la battè tanto crudelmente con verghette di Mirto, che l'uccise, Fatua alii dicunt fuisse uxorem Fauni, quæ, quia contra morem, decusq. Regium clàm vini ollam ebiberat, et ebria facta erat, virgis mirtheis à viro usque ad mortem cæsa. Ma poi pentitosi della usata crudeltà, per il gran desiderio, che di lei haveva, l'adorò per Dea; e per questo mi dò à credere, che Fauno fosse stimato primo inventore del culto de' Dei nel Latio, al parer del Leto, anzi egli lo giudica il primo Rè, dicendo, Faunus omnium Regum antiquissimus in Latio fuit. Questa Fauna fù ancora chiamata la Dea Bona,della quale tanto si burla Arnobio, dicendo, Fauna Fatua, Fauni uxor, Bona Dea quæ dicitur, sed vino melior, et laudabilior potu. Di questo Fauno narra Plutarco, ch'egli dasse albergo ad Hercole, quando da Spagna conduceva li buovi di Gerione, ma perche il crudele soleva sagrifigare li suoi hospiti à Mercurio, di cui vanamente si reputava figlio, volendo far l'istesso d'Hercole, fù da lui ucciso. La varietà del tempo mi dà per sospetto questo racconto. Dirò quello registra Alessandro, che li ciechi Gentili stimarono questo crudele per Semideo, e li fecero sacrificij, ma di capre, Fauno quoquè Capram immolabant, quamvis semideo. Fù suo soccessore, doppo XXX. Anni di Regno, Amno Faunigena nell'Anno del Mondo MMM.DCC.LXXVII. questo possedè il Lago di Perugia, e diede per moglie à Trasimeno figlio di Tirreno, Agellina sua figlia, onde per l'avvenire questo Lago (e segue ancora) si chiamò il Lago Trasimeno. Morì Amno doppo haver regnato LIV. Anni , et hebbe il Regno Vulcano, che visse XXXVI. Anni, a cui seguitò Marte Latino, detto Giano Iuniore: e fù il quarto c'havesse havuto il nome di Giano, governò XXIII. Anni. Doppo lui, regnò Cecolo, chiamato Saturno Iuniore. Questo, come piace à Solino, e Vergilio, edificò nel Monte Arentino, vicino alli Popoli Gabij, la città di Preneste, hoggi detta Pelestrina, Patria di Claudio Eliano antichissimo scrittore. Città nella quale si adorava la Fortuna sfortunata, diceva Clitomaco per parere di Carneade Filosofo, per le Sorti vane, e sciocche, ch'ivi si facevano, come registra il Garzoni.

Finiti li giorni di Cecolo, pigliò possesso del Regno Pico Iuniore nel MMMCM.XXVI. che al parere d'alcuni Scrittori, diede nome al Piceno, hoggi Marca Anconitana, et alli Picenti Popoli vicini à Salerno. Per la morte di Pico, che occorse doppo il governo di XXXIV. Anni, pigliò la cura del Regno Fauno Iuniore suo figlio, persona molto benigna, per quello si puol argomentare dall'accoglienze cortesemente fatte da Evandro, quando lo ricevè amorosamente assieme con Carmenta sua madre, che venivano da Grecia, e gli concedè un Colle nel Latio, dove Evandro fabricò un Castello detto Pallante. Ma l'Annio vuole gli concedesse un Castello chiamato col significato di Roma, cioè Valentia, Evandrum excepit Hospitio, et Oppidum Romam, Valentiam dictum, illi concessit. Questo Fauno fù pronipote di Marte, dice Iodoco, Faunum Pronepotem, ut dicunt, Martis, ma prima di lui l'accennò Dionisio quando disse, Fortè tum apud Aborigines Regnum à Maioribus acceptum tenebat Faunus à Marte, ut referunt, oriundus, Vir fortis, ac prudens, et Romanis post tamquam unus Indigetum sacris honoratus, et carminibus. Hebbe per moglie Marica, stimata per Dea da Minturnesi, che gli raccomandarono caldamente Mario per la prosperità della sua fortuna, mentre era perseguitato da Silla, così riferisce S.Agostino, Omitto, quod Marius à miserantibus Minturnensibus Maricæ Deæ in luco eius comendatus est. Di Marica, e Fauno nacque Latino, dice Vergilio

Hunc Fauno, et Nympha genitum Laurente Marica accepimus intendendo di Latino. E perciò con poca cagione Giustino, benche forse fomentato dal parere di Suida, che dice, Thelaphus enim filius Herculis cognomento Latinus, chiamò Latino bastardo d'Hercole, con dire, che nel passaggio che per Italia fece, quando conduceva li Buovi di Gerione, come s'è accennato, violò la figliola, e ne nacque Latino, Ex filia Fauni, et Hercule, qui eodem tempore, extincto Gerione, armenta victoria præmia per Italiam ducebat, stupro conceptus Latinus procreatur, overo come ad altri piace, nato d'una Giovene, che poi à Fauno fù sposata. No sò in vero con qual caggione procuri Giustino di macchiare li Natali d'un tanto Rè, mentre li tempi di questo, e di Hercole sono cosi differenti, osservazione fatta da Dionisio, che dice, Sed hæc aliis facta sunt temporibus. Ancora Hesiodo registrato dal Vives hà variato nel dire, che Latino fosse figlio di Ulisse, e Circe, Hesiodus dicit Latinum fuisse filium Circes, et Ulissis. L'errore di Giustino si fà chiaro con Sesto Pompeo, che chiama Latino figlio di Telemaco, e di Circe, e ciò per parere di Galata Scrittore antico, qual narra, ch'egli pigliasse l'Impero doppo la morte d'Enea. Galatas scribit eum post obitum Æneæ Imperium Italiæ pervenisset ad Latinum Thelemachi, Circesq. filium. Anzi dà nome di Roma alla moglie di Latino, e pure, altri buoni Autori vogliono si chiamasse Amata. La caggione per la quale Latino sia chiamato figlio di Circe, è notata da Lattantio, che vuole Marica esser l'istessa che Circe, onde potemo affermare l'errore di Scrittori, che in vece di Fauno registrarono Ulisse. Questo Latino diede il nome alle genti del Latio, dice Suida, Eos, quì olim Cætii appellabantur, Latinos appellavit. Di questo senso è Paolo Diacono, dicendo, Regnante Latino, qui Latina correxit linguam, et Latinos de suo nomine appellavit. E' dell'istesso pensiero Cassiodoro, qual dice, Latinus regnavit An. XXXII. à quo Latini sunt appellati. Et il Samoteo ancora, A quo primum Aborigines Latini dici cœperunt. Il che vien confirmato dal Genebrardo, quasi con l'istesse parole del Diacono, Filius Latinus Latinam linguam corripit, et Latinos de suo nomine appellatos relinquit. Osservo in proposito quella parola, correxit, et corripit, cioè corresse, e riformò, non dice, instituit, perche il parlar Latino non hebbe origine dal Rè, ma dalla Reggione del Latio, cosi piace à Sesto Pompeo, Latinè loqui à Latio dictum est, quæ loquutio adeò est eversa, ut vix ulla pars eius maneat innoxia. Lo conferma il Perotti, A Latio Latinus deducitur undè Latina lingua. Dal che mi faccio lecito d'argomentare non esser vero, che i Latini cosi fossero chiamati dal Rè Latino, ma ben si dal paese che habitavano, come disse Vergilio,

Inferretquè Deos Latio, genus undè Latinum. Lo confermò ancora il Sabellico con queste parole, Latini à Latio sunt, non à Latino Aboriginum Rege. E ben vero che li Troiani cortesemente da Latino ricevuti, lasciando il primo nome, furono da questo Rè chiamati Latini, tanto piace à Dionisio, Nec ita multo post veteri appellatione, unà cum Aboriginibus à loci Rege Latini nuncupati sunt. Morì Latino nella guerra contro Turno Rè de Rutuli, non lasciò altri figli, che Lavinia già sposata ad Enea Troiano, che restò assoluto Signore del Regno de' Latini, del quale al parer di Giustino per lungo tempo ne fù capo Alba, hora Albano, Quæ trecentis Annis Caput Regni fuit. E lo conferma il Floro, dicendo, Alba tun erat Latio Caput. Città, ch'al sentimento di Solino, fù fondata da Ascanio assieme con Fidena et Anzo. Enea visse nel Regno III. Anni, à cui succedè Ascanio, che doppo haver regnato XXXVIII. An. non havendo figli, lasciò (dice Servio) à Silvio Postumo il Regno, per essergli frstello, figlio di Lavinia, Ascanius sine liberis reliquit Silvio Postumo Regnum Albæ. Doppo soccessivamente regnarono Enea Silvio, Latino Silvio, Alba Silvio, Athi, ò pure Epito Silvio, Capi Silvio, Capeto Silvio, Tiberino Silvio, che diede nome al Tevere, prima Albula detto, Agrippa Silvio, Arenulo, ò Aremulo, ò pure Romulo Silvio, Aventino Silvio, Proca Silvio, Amulio, e Numitore Silvij Fratelli, e Zij di Romolo, e Remo, quali questi furono Rè de Latini, come registrano gravi Autori, Greci, e Latini.

Del Regno de’ Volsci. Cap. III.

Cinque furono li Popoli principali, c’habitarono il nostro famoso Latio, Latini, cioè, Equi, Hernici, Rutuli, e Volsci: lasciando da parte gl’Aborigini, i Pelasgi, i Siculi, gl’Ausoni, & altre genti, che di quà dal Tevere procurarono di dimorare, e trà li detti cinque, gli più antichi dirrei (eccettuando i Latini) fussero i nostri Volsci. Perchè al tempo di Saturno Cecolo nell’Anno Sesto del suo Impero, era Re de Toscani Osco, le cui genti dal proprio Signore, che portava per impresa un Serpente, detto Oscorzone; furono chiamati Osci, e fù ne gl’Anni del Mondo MMM. DCCC. XC.. Questo Osco, vogliono alcuni, che stasse nella Provenza, alle sponde del fiume Rodano, dove hora è Avignone: ma Manethone nel supplemento à Beroso, afferma che regnasse nella Toscana; ecco le sue parole, Apud Turrenos regnat Oscus, cuius insigne fuit Serpens. Hic ex Vetulonia multas Colonias seminavit. L’istesso conferma l’Alberti, & il Valeriano, che con il fondamento di Manethone dice Oscum, qui Tyrrenis imperavit, insigne Serpentis habuisse constat. Oscum Ǣgiptiorum more Serpentis insigne gestasse, & Oscos eius Colonos inde nuncupatos. Giunsero questi Popoli fino à Capua, & ad altri luoghi convicini, gl’habitatori de’ quali furono poi chiamati Osci, e quelli, che restarono nel nostro Latio antico più vicino à Roma, furono detti Volosci, e per sincope Volsci, cioè antichi Osci; perchè quella sillaba Vol, non significa che antico. Da questo Osco cominciò la scissura del nostro Latio, che con diversi Reggi, quand’hebbe uniti i suoi Popoli, fece sudar la fronte ad altro caldo, che di Sole, e sbattere più volte i denti ad altro freddo, che di Borea, à Roma crescente. Resta pur hoggi il nome della prima Colonia fabricata, ò habitata da Volsci, e se ne vedono li vestigi d’antiche rovine sotto le vigne di Sonnino, passato il celebre Monastero di Fossanova, e chiamasi per ancora senza sincope Volosca.

Chi fosse il primo Rè de’ Volsci, io non hò letto Autore, ch’apertamente lo dica, se però non vogliamo dire, che fosse l’istesso Osco, c’havendo lasciato il Regno d’Etruria à Tarcone Secondo nel MMMCM. XXX. del Mondo, doppo haver egli regnato XXXIV. Anni, se ne venne nel nostro Latio, e pigliando possesso delle Colonie, cominciò nuovo Impero nel Quarto Anno di Pico Iuniore e XCI. An. avanti la morte di Rè Latino, che fù nel MMMM. XXI. come si cava da Eusebio. Non hò trovato ne anco chi fosse figlio di Osco, e suo soccessore nel Regno de' Volsci. Da Scrittori antichi non si registra, che Metabo padre di Camilla, onde mi sarà lecito argomentare non esservi stato altro Rè intermedio; perchè con gl'anni, che regnò nel Latio Osco, con quelli, che regnò Metabo, qual morì vecchio e con quelli di Camilla, che doppo la morte del Padre, morì senza figli nella guerra contro Enea nel Anno MMMM. XXI. si puol far giusto computo di XCI. Anno di Regno.

Morì Camilla Regina, e Guerriera in difesa di Turno Rè de Rutuli per le mani di un Arunte Troiano, con quelle lodi, che li sono date da più saggi Scrittori, e antichi, e moderni; per la cui morte, tutto il Regno de' Latini, e de Volsci restò sotto l'Impero d'Enea, e suoi successori registrati nel precedente Capitolo. E ben vero, che doppo alquanti Secoli, molte Città del Latio si ridussero il libertà di Republica, non sò se Democratica, ò Aristocratica, come si scorge per le Guerre fatte contro Romani, registrate da Livio, Dionisio, e altri Autori gravi, tanto Greci, quanto Latini; nulladimeno se si vuole prestar credenza à quello che scrive Plutarco nella vita di Cicerone, dove discorre della vita di questo gran Padre della Romana eloquenza, si deve asserire, che non ostante la morte della Regina Camilla vergine, e senza heredi, continovassero ancora i Rè de' popoli Volsci; ma doppo qualche intervallo di tempo. Perche apportando quest'Autore l'oppinione di alcuni, circa li principij, e natali di Cicerone, riferisce esservi stati di quelli, ch'asserivano egli pigliasse origine, e descendenza da Tullio Appio Illustre Rè de Volsci, Alÿ genus eius ad Tullum Appium referunt clarum Volscorum Regem. E se ben Sesto Aurelio vuole, che Cicerone sia descendente dal sangue de' Rè Sabini, dicendo, Genus à Tito Tatio Rege duxit, con tutto ciò Eutropio è del parer di Plutarco, e dice, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia nomine, Patre Equestris Ordines ex Regio Volscorum Genere. E lo conferma Eusebio con l'istesse Parole, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia, Patre Equestris Ordinis ex Regio Volscorum sanguine. Onde si scorge, che doppo la morte della Regina Guerriera, continovassero i Rè di Volsci, se non per soccessione, almeno per particolare invasione: non sò se quell'Appio Tullio nominato da Plutarco, sia quello sì famoso Capitano de' Volsci, che guerreggiando valorosamente contro Romani, ricevè à danni di quelli Gneo Martio Coriolano, il quale dall'istesso vien chiamato Tullio Ansidio, e da Tito Livio, Accio Tullo. Quali fossero le Città, e Terre de' Volsci. Cap. IV.

Il sommo Monarca Dio, per dare à divedere à pazzi mortali, che tutte le cose create sono manchevoli, e che egli è solamente immutabile, hà fatto provare con chiara esperienza, che le cose più stabili del Mondo habbino havuta repentina mutatione, come s'è veduto nelle Città, Provincie, Regni, Imperij, e Monarchie; e perciò niuno dovrà maravigliarsi quando da buoni Autori si sentono registrare cose, de loro tempi che à nostri giorni non se ne sentono ne pure i nomi; onde perdono quella credenza, che ragionevolmente le si deve. Hà sperimentato il nostro Latio con tutte le genti in esso racchiuse, l'incostanza del proprio Regno, in tanto che Plinio dice, che Cinquantatre Popoli, e per consequenza Cinquantatre trà Città, e Terre, sono restati estinti, Ita ex antiquo Latio quinquaginta tres Populi interiere sine vestigiis, ne pur l'ombra ve n'è restata. E nella Palude Pontina, cominciando dal Monte Circeio alla costiera del mare vi erano vintitre Città Illustri, et apporta l'autorità di Licinio Mutiano, huomo di credito, per esser stato tre volte Console, A Circeiis Palus Pontina est, quem locum vigintitrium Urbium fuisse Mutianus Consul prodidit. Onde è di concludersi, che la Regione del Latio posseduta da Volsci, sia scemata de Colonie, e d'habitatori. perchè come dice Pomponio Mela, questo nostro Regno de Volsci terminava con i Marsi, Capuani, Sedicini, e Aricini. Non doverà dunque il Lettore restar maravigliato, se non haverà quella contezza di ciò, che potrebbe desiderare, perchè parte de' luoghi sono destrutti, parte n'hanno mutato il nome, e tutti hanno dato saggio, che tutte le cose sono deficienti, eccetto Dio. Sappia il Lettore, che nel descrivere le Città di questo Regno, io hò voluto usar brevità, e perciò in compendio hò scritto quanto hò trovato in Livio, Dionisio, Plinio, Strabone, Solino, Frontino e altri antichi Scrittori, quali si citaranno conforme al bisogno.

Cominciando con ordine Alfabetico; prima Città de' Volsci si chiamava Amiela, differenta dalla Patria di Castore, e Polluce, posta vicino à Terracina, habitata già da Laconi; ma perchè seguitavano la Setta Pitagorica, il cui insegnamento era, che non s'uccidessero Animali di qualunque sorte: furono tanto stretti osservatori di così falsa dottrina, che si lasciarono da serpenti, che ve n'erano in grandissima copia moltiplicati, mordere, avvelenare, e uccidere, onde la Città ne restò destrutta, e Plinio disse, Amiela à serpentibus deleta. Altri però dicono altramente, cioè, che il precetto di tacere lo strepito dell'armi nemiche, quale apportava spavento, e timore à Cittadini, fù caggione, che li nemici l'assalissero, e distruggessero: quindi Silio Italico disse, Evertere Silentia Amielæ e ne nacque quel Proverbio, Loqui volo, nam scio Amielas tacendo periisse.

Ansure, per altro nome detta Terracina, e Trachina, per dove scorre il fiume Ufente, dice Vibio Sequestro, Ufens Terracinæ proximus. Questa Città fù presa in giorno di festa da Fabio Ambusto per mancanza di Sentinella, ò Guardia; ma con molto fastidio, per la fortezza del sito: se ben poco doppo, ritrovandosi le Guardie de' Romani più intente à negotij mercantili, che ad esercitij militari, e ricettando liberamente i Mercanti Volsci, che certo à tal fine moltiplicavano, furono le Sentinelle ingannate, e li soldati oppressi. E' stata Città celebre, e come dice il Mazzella, edificata da Ansure figlio di Giove Belo, à cui si facevano sacrificij, anzi fù detta Anxur, dall'istesso, che ivi fanciullo, e sbarbato si adorava.

Anzo, Città già distrutta, fù presa da Tito Quintio Console nel Cons. XXXIX. ma per assedio: perchè havendo li Volsci ricevuta una gran rotta, et essendosi ritirati in Anzo, furono subito assediati, et alla fine si resero à Romani, che la fecero Colonia. Fù presa un'altra volta da Camillo, li furono tolte le Navi, parte de' quali restarono abruggiate, e parte condotte in Roma, e de gli Rostri, ò vogliamo dire Speroni, se n'ardornarono le Loggie Capitoline, onde pigliarono il nome de Rostri. Se ne vedono le rovine lacrimevoli, et il famoso Porto ripieno, delle quali se ne fabricò un Castello, hoggi detto Nettuno, con Fortezza per impedimento à Corsari, e buona parte del sito è posseduto dal nostro Convento di S. Bartolomeo.

Apiola, quale per parere di Valerio Antiate fù presa da Tarqinio Rè, e delle rovine di essa ne fabricò il superbo Capitolio Seggio de' Trionfanti, della quale, oltre à Messala Corvino, dice Strabone, Apiola Urbs, quam Tarquinius Priscus delevit.

Aquino, fù una Città grande, così chiamata da Strabone, Aquinum Urbs Magna. Fù fatta Colonia dalli Triumviri, così dice Frontino, Aquinum muro ductam, à Triumviris deductam. In questa Città fù come essiliato Dolabella, riferisce Tacito, Sepositus, per tres dies Cornelius Dolabella in Coloniam Aquinatem, dove ancora fu ucciso, Occidi Dolabellam iuissit, quem in Coloniam Aquinatem sepositum ab Othone retulimus; e se bene al presente questa Città è quasi distrutta; nulladimeno è celebre per li natali del Glorioso S. Tomasso Dottor Angelico, di cui disse il Flaminio, In praelcara Patria, in vetusta, et primaria Volscorum Urbem Aquino, ex clarissimis Parentibus, iisque Principibus, è quibus etiam Mater, duorum Regum Sicilia vidilicet, et Aragoniæ Matertera fuerat, magnus hic Doctor natus est. Qui, quantus, etc.

Arce, dalla quale piglia il nome la Villa di Cicerone, chiamata Arcano, e ne scrisse à Quinto suo fratello, dicendo In Arcano fui, ibi Massidiam cum Polixeno, aquamque, quam ii ducebant, non longè à Villa bellè fanè fluentem vidi. Ne habbiamo di ciò il rincontro, perchè nel Martirologio Romano vi stà, Arcani in Latio con la festa di S.Eleuterio Martire per li 14.d'Ottobre; uno de' quali stà non molto distante da Arce, e l'altro dentro la Rocca, onde ragionevolmente si doveva dire, che Arcano sia l'istessa Terra d'Arce.

Arpino, Patria di persone insigni, come di Caio Mario, che fù sette volte Console, e di Cicerone, di cui, come si è registrato di sopra, disse Eusebio, Cicero Arpini nascitur, Matre Helvia, Patre Hequestris Ordinis. E Giovenale Arpinas alius Volscorum in monte solebat. Fù luogo Municipale, riferisce Sesto Pompeo, e vicino vi stava il vico detto Cerreatone, del quale fa mentione Plutarco nella Vita di Mario.

Artena, Città poco lontana da Ferentino, fù presa nel Cons. LXXXIV. essendo Console Gneo Pompeo Cosso, e Lucio Furio Medullino. Restava però intatta la Rocca, e li Romani partivano confusi, e senza vittoria, se un Servo traditore non la dava in mano de nemici, che la combattevano.

Allura, Castello così chiamato dal Fiume, che vi passa vicino, dove furono rotti, e disfatti da Caio Menenio Console gl'Esserciti de gl'Aricini, Lanuvini e Veliterni. Il Castello è distrutto; non vi è altro che una Torre alla costiera del Mare, e nella quale continovamente vi si mantengono Guardie per li Corsari. E loco in vero memorando per la presa, e morte di Cicerone datali dal monstro d'ingratitudine Popilio Lenate, dice Plutarco. E per la prigionia di Corradino figliolo di Henrico, e Nipote di Federico Secondo Imperatori, che vi era fuggito col Duca d'Austria; tanto nota l'Alberti.

Atina Città potente, quest'encomio li è dato da Vergilio,

Atina potens, Tiburque Superbum

E Valerio Martiale disse,

Quo Cive prisco gloriatur Atina

Fù Colonia di Romani fatta da Claudio Nerone, narra Frontino, ma col titolo di Prefettura, disse Cicerone nell'Oratione Pro Cn. Planco, di cui intendeva, quando scrisse, Hic est è Prefectura Atinate.

Aurunca, li cui Popoli assalirono il Contado Romano con subita scorreria, per il che senza dimora fù fatto Dittatore Lucio Furio, e ne restò vincitore; e delle spoglie se ne fabricò per Voto un superbo Tempio à Giunone Moneta: questo fù nel Cons. CVIII. essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino. Da questa Città fece partenza Dardano quando, doppo la morte di Iasio suo fratello, andò nella Frigia, come si dirà altrove. E annoverata questa Città tra Latini, ma l'haver havuto i suoi habitatori rifugio, e ricovero in Sessa Città Volsca, e datoli per qualche il Nome, mi fa scrivere, che di sicuro fosse ancor'ella Città Volsca.

Cassino, ò pure Monte Cassino, vicino dove stava la Villa di Marco Terrentio nominata da Varrone, e da Cicerone, come registra il Cluerio, dove hà li suoi principij il Fiume Scatebra. Alla radice di questo Monte hora si trova situata la Città di San Germano in Regno. Varrone è di parere, che Cassino sia stato edificato dà Sabini, & il suo Nome venga derivato da Casco, che significa antico. Fù fatta Colonia nella sconfitta de' Sanniti da Lucio Papirio Cursore, e Caio Giunio Bubulco Consoli.

Cenone, quale fù pigliato da Tito Numitio Prisco, essendo Console nel Cons. XXXVIII. Non ardì egli assalire Anzo Città ben munita, e forte; e perciò isfogò il suo sdegno contro questa Terra vicina, ma non fù ritrovata molto ricca, come li Romani si pensavano.

Circeio Città piccola, posta in un Promontorio, ò vogliamo dire Isola, dell'istesso nome, hora detto Monte Circello, quale, come narra Clitarco, circondava dieci miglia; e v'habitava Circe Maga, reputata figlia del Sole, per la cognitione, c'haveva della virtù delle Piante , & Herbe, che in quel Monte nascevano. Da questa Città Gneo Martio Coriolano discacciò li Romani, che vi stavano condotti da Tarquinio Superbo. Doppo molto tempo sopra le sue rovine fù fabricata una Fortezza, che talvolta fù sicuro ricovero à Sommi Pontefici, particolarmente à Gelasio Secondo. Al presente vi stà un Castello de i Signori Caetani, chiamato Santa Felice.

Clostra fù un Castello, di cui fà mentione Plinio, e stava vicino alla bocca del fiume Ninfeo, cosi dice il Cluerio, Clostra propè Ostium fuere Nimphei fluvÿ.

Cora chiamata Città da Servio, della quale fa mentione Giulio Ossequente, e la chiama Caura, narrando che dal suo seno scaturissero rivi di sangue, Appio Claudio, & Publio Metello Consulibus, Cauræ sanguinis rivi e terra fluxerunt. Plinio la registra edificata da Dardano Troiano: non intendo però per questo Dardano il fratello di Iasio, perchè (accostandomi per adesso al parer del Poeta) con poca accortezza haverebbe detto Vergilio, che Anchise mostrasse ad Enea suo figlio frà le future Città, che fabricar dovevano i suoi Troiani, e successori, e vi fosse anche Cora, dicendo,

Hi tibi Nomentum, & Gabies, Urbemque Fidenam, Hi Collatinas imponent montibus arces, Pometios, Castrumq. Inui, Bolamq. Coramq. Hac tum nomina erunt, nunc sunt sine nomine terra.

E perciò questo Poeta vuole che Cora sia stata edificata da Corace fratello di Fiburte, e di Catillo figlioli d'un altro Catillo, nipoti d'Amfiarao, pronipoti d'Oicleo descendenti da Giove; ma di questo ne trattaremo altrove con maggior chiarezza. Li Corani assieme con li Popoli di Pometia, benche Colonie de' Romani, s'unirono con gl'Aurunci, e perciò li Romani, essendo Consoli Agrippa Menenio, e Publio Postumio fecero guerra contro detti Aurunci, & al fine si ridusse à Pometia con vittoria de Romani. Da questo Agrippa Menenio, e per l'istessa speditione si fabricò, e chiamò il Ponte Menenio, hoggi detto Ponte Menello nella via Appia, dove il Tenente Francesco Cinelli hà un delitiosa Villa. Un'altra volta, che li Romani s'inasprirono contro Volsci, pigliarono per Ostaggi Trecento teste libere de principali Corani, e Pometini: Hæc ita Consules in Volscum agrum Legiones duxerunt, Volscos consilȳ non metuentes, nec opinata res perculit; armorum immemores obsides dant CCC. Principum à Cora, atque Pometia liberos, tanto narra Livio. Fù poi desolata Cora nel tempo de primi Imperatori, che fù motivo à Propertio di scrivere:

Ultima præda Nomentum, & capta iugera terna Cora.

E Lucano assomigliò la rovina di Cora à quella de' Gabij, e de' Veij, dicendo,

Tunc omne Latinum Fabula nomen erit Gabios, Veiosq. Coramque Pulvere vix tecta poterunt mostrare ruinæ di presente si ritrova in piedi sotto la giurisditione del Senato Romano, e del Vescovato Veliterno.

Corbione, questa Città, par che si debba annoverare, con Dionisio, piu tosto trà gl'Equi, che trà Volsci, per la quale detti Equi tanto guerreggiarono, onde ne furono mandati sotto il Giogo dal Dittatore Lucio Quinto Cincinnato. Li Popoli di Corbione, se bene s'erano dati à Romani, con tutto ciò nel Consol. L. fù la Guardia Romana assalita di notte da gl'Equi, e facilmente la ricuperarono; ma da Marco Horatio Pulvillo Console fù presa di nuovo, combattendo essa ferocemente in Algido, hora Rocca di Papa; alla fine fù disfatta dà Romani. Io l'hò posta trà le Città de' Volsci, perche fù ricuperata da Gneo Martio Coriolano Capitano de' Volsci. Coriolo, Città non solamente buonissima, ma ricchissima; perche dalle parole d'Eutropio, Etiam Coriolos Civitatem, quam habebant Optimam, perdiderunt, altri leggono Opimam. Fù presa nel Cons. XVI. dal suddetto Gneo Martio nobile Cavalier Romano, dalla quale pigliò il nome di Coriolano; ma perche fù fatto esule dalla Patria à voto della Plebe, devenuto Capitano de' Volsci, ripigliò questa, & altre Città; insieme, e se la Pietà Materna non lo raffrenava Roma, che gravemente teneva astretta, pigliava ancora; tornando poi trà Volsci, dicono alcuni, fosse da gli medesimi ucciso; ma il Sabellico per parere di Fabio Pittore dice, che egli morisse vecchio, Eum in exilio consenuisse prodidit Fabius Pictor. L'istesso pure afferma il Zonara. Di questa Città non ve n'è vestiggio alcuno; confinava con Aricia, & Ardea, come si cava per il suo Contado pigliato nelle passate Guerre, e preteso dalle due accennate Città.

Eggetra, ovvero Eccetra, mi persuado fosse dove hora stà posto Monte Fortino de' Signori Borghesi, ò poco lontano, almeno; perche quando li Tribuni mandarono, ò condussero due poderosi Esserciti contro Volsci, dice Livio, che Spurio Furio, e Marco Horatio andarono ad Anzo verso la Marina, e Quinto Servilio, e Lucio Geganio à man sinistra verso Eccetra, e prima nel lib. 4. narrando un fatto d'armi passato trà Romani, e Volsci, dice che, fù inter Ferentinum, & Eccetras, che di già era stata saccheggiata da Fabio Ambusto.

Fabratera, li di cui Popoli fecero ricorso à Romani per particolar ambasciaria, acciò li volessero difendere dall'incursione de' Sanniti. Di presente si chiama Falvatera, ne fece mentione Cicerone con queste parole, Nam & Aquini, Fabrateria consilia sunt inita de me.

Ferentino, se bene da molti è posta trà gl'Hernici, con tutto ciò era della Natione Volsca, come asserisce Livio, che narrando nel Cons. LXXXIV. le caggioni, ch'apportavano gl'Antiati per sollevare tutta la natione Volsca contro Romani, riferisce, che dicevano, la destruttione de Verruggine, e l'haver tolta à loro la Città di Ferentino, e data à gl'Hernici, Sed Ferentinum etiam de se captum Hernicis donasse, l'istesso conferma il Glareano. La presa accennata fù nel Cons. LXXX. essendo Consoli Aulo Cornelio Corso, e L. Furio Medullino, ma doppo tredic'Anni, perche gl'Hernici erano divenuti nemici à Romani, fù presa dà Consoli Lucio Sulpitio, e Caio Licinio Calvo. Si dimostrò Città generosa, che non curando la Cittadinanza Romana, volse star ferma nelle sue antiche Leggi.

Freggelle era Città insigne, e principale de' Volsci, dal Floro chiamata Gesoriaco, Fregellæ, quod Gesoriacum, egli scrive; e da Iornande, Cesarea. Strabone la chiamò Città famosa, dicendo Fregellæ nunc vicus, olim Urbs celebris, multarumquè iam dictarum Caput. Vi s'adorava la Dea Bona, come si cava dalla seguente Memoria ritrovata trà le sue rovine, e registrata dal Grutero.

BONAE DEAE

SANCTAE

SACR.

VOTO SVSC.

MERITO LIBENS.

TERRENTIA

THALLVSA

FECIT

Fù fatta Colonia nel Cons. CXXIV. essendo Console Publio Plautio Proculo, e L.Cornelio Scapula; se bene Giulio Ossequente afferma fosse distrutta, e dice, che il secondo Console fosse Marco Fulvio, Publio Plautio, & Marco Fulvio Consulibus, Fregellæ, quæ adversus Romanos coniuraverant, diruta. Questa è stata una Città sfortunata per li disastri havuti; perchè à Volsci fù dà Sanniti tolta, e disfatta, doppo dà Romani ristaurata; non molto tempo doppo da' medesimi Sanniti con l'aiuto de Satricani ripigliata con inganno. Combattevano valorosamente i Fregellani notte, e giorno, perche si guerreggiava per le cose sagre, e per li Dei; intanto che le donne fatte coraggiose, e martiali, assieme con l'altre persone inutili, combattevano dalle fenestre; quando la falsa voce d'un banditore, che proclamò la depositione dell'armi, à chi voleva esser salvo, fece render la Città soggetta alla crudeltà de' nemici, senza che à pertinaci giovasse la resistenza, & il valore. Era di tanta stima questa Città, che Valerio Massimo narra, che Lucio Opimio, per haverla soggettata à Romani, domandò il Trionfo, Lucius Opimius, Fregellanis ad deditionem compulsis, triumphandi potestatem à Senatu petÿt. Alcuni vogliono fosse dove hora stà Ciprano, tanto accenna il Cluerio; ma il Biondo vuol che fosse dove di presente è Pontecorvo, & il Volaterrano è di pensiero che fosse ivi vicino, Fregellæ nunc, sive ex sive eius ruinis Pontes Curvus Oppidum existimatur. Et il Sigonio il modo del nuovo nome, dicendo, Rodoaldus Gastaldio Aquinas Castrum apud Pontem Curvum construxit, quod ab eo Pontem Curvum, quo in loco Fregellæ quondam inclita Romanorum Colonia fuit. Fu ancora Patria di quel Marco Sestilio, che rispose per le Diecedotto Colone, quali promisero aiuto à Romani, e di Lucio Papirio celebre Oratore.

Frusinone ancora era Città de Volsci, come si trova in Livio, qual riferisce, ch'essendo Consoli Lucio Genutio, e Sergio Cornelio, furono castigati li Frusinati, perche havevano sollevati gl'Hernici contro Romani, Frusinates tertia parte agri damnati, quod Hernicos ab eis sollicitatos contemptum'. Alcuni vogliono, che fosse questa Città espugnata, & il loro Campo venduto; ma Frontino è di parere fosse il Campo assegnato à Soldati veterani, Frusino Oppidum muro ductum, ager eius veteranis est adsignatus. E celebre hora quella Città per esser luogo di Tribunale della Provincia di Campagna, ma più per li due Sommi Pontefici, e Santi Martiri Hormisda, e Silverio.

Fucino, se da Plinio vien posto trà Popoli Marsi, da Livio è computato tra le Città Volsche; perchè essendo stato ceato Dittatore Publio Cornelio, doppo la rotta d'Anzo, riferisce Livio il fatto dicendo, Victor Exercitus depopulatus Volscum agrum Castellum ad Lacum Fucinii vi expugnatum, atque in eo tria millia hominus capta, cateris Volscis intra mœnia compulsis, nec defendentibus agros. Vien confermato dal Glareano con queste parole, intendendo de Fucino, Livius in Volscis ponit. Gabij Città edificata da Galatio, e Bio fratelli Siculi, scrive Solino; alcuni vogliono che sia dove hora è Zagarolo, altri Galicano; ma Giovanni Gobellino è di parere, che questa Città fosse dove è hora si stà Cave. Fù Città in vero celebre, presa da Tarquinio Superbo, ma per inganno di Sesto Tarquinio suo figlio, che finse esser fugitivo dal Padre. Che questa Città fosse de Volsci, lo asserisce il Godelveio, dicendo, Gabios Volscorum Urbem septuaginta millibus passuum ab Urbe sitam, Vergilio è di pensiero, che sia stata questa Città edificata da' descendenti d'Enea.

Interanna, hoggi chiamata l'Isola di Sora, cosiddetta, perchè stà in mezzo à due fiumi; questa Terra fù nel Consolato CLIV. combattuta da Sanniti, ma non riuscendoli l'impresa, saccheggiarono il Contado; ne fa mentione Cicerone quando dice, Cassino salutatum veniebant, Aquino, Interamna. Vi stava un Castello vicino chiamato Succusano; quindi disse Plinio, Interamnates Succusani, qui et Lirinates vocantur".

Lanuvio, viene annoverato trà le Città Volsche, è però differente da Lavinio, come si deduce da più luoghi di Livio, e d'altri Autori. Era posseduta da Romani, ma fù poi ricuperata da Coriolano nel Cons. XVII. E stata honorata dalli natali di due Imperatori Antonino Pio, e Commodo Antonino. Alcuni pensano, che fosse dove hoggi si vedono le rovinde d'un Castello disfatto chiamato San Genaro.

Lautula era un Castello vicino à Terracina trà il Monte, e il Mare, dove si fermò quella Compagnia de' Soldati, che si licentiarono da Capoa, essendo Console Caio Martio Rutilio: qual Compagnia, ò vogliamo dire Essercito senza Capo, se ne scorse senz'ordine à predare, e saccheggiare il Contado d'Albano.

Longola, sin dove furono perseguitati gl'Antiati da Postumio Cominio, essendo Console. Volendo li Longolari far fronte à nemici, uscriono fuora coraggiosamente, ma, come scrive Dionisio, furono forzati à ritirarsi dentro le mura: è pensiero fosse trà Anzo e Ardea. La ripigliò Coriolano per li Volsci: di presente non se ne vedono ne anco li vestiggi.

Metio latinamente Ad Metium, non molto distante da Lanuvio, Non procul à Lanuvio Ad Metium is locus dicitur, Castra oppugnave est adorsus, dice Livio. Fù per il fuoco dato dato à ripari presa, e saccheggiata da Furio Camillo Dittatore, poco avanti repigliasse Sutri dalle mani de Toscani. Credeno fosse dove al presente dicono la Castella: luogo prima chiamato Castel Muzzo, come per un Instromento di Feudo fatto da Leone Vescovo Veliterno ad un certo Demetrio Console, e Capitano, sotto Marino Secondo, detto Iuniore Sommo Pontefice. Ma Diodoro Siculo lo chiama Ad Martium dicendo Volsci Bellum ipsis moverunt, Tribuni igitur Consulares delectu Militum, et copiis in apertum deductis, Ad Martium quod vocant. Castra posuere CG. ab Roma Maciis. E Plutarco narrando quell'istesso di Livio, e Diodoro, lo chiama parimente Ad Martium, dicendo, Dictator tertium Camillus dictus Legiones cum Tribunis Militum à Latinis, et Volscis obsideri, delectum habere non iuniorum solum, sed maiorum natu quoque coactus est, ac longo flexu Martium Monte exercitum circumducto, Castra à tergo hostium clam est metatus. Il Cluerio vuole, che il Colle Martio fosse vicino à Velletri, onde mi dò à credere, che sia il Colle dei Magnafichi, detto hoggi Colle di Marmi, distante dal preteso Lanuvio mezzo miglio, nel quale si trovano bellissime Antichità.

Mezze in Latino dette, Ad Medias, era un Castello de' Volsci posto trà il Foro Appio, e Terracina, come si cava dall'Itinerario Gerosolimitano.

Mucamite, dal Sigonio detto Ulcamite, questa Città hebbe la medesima fortuna, et nell'istesso tempo, che Longola, avanti alla presa di Coriolo, non ve n'è minimo vestigio, ne hò potuto trovarne altra memoria.

Norba, di presente Norma chiamata, fù fatta dalle prime Colonie de Romani con Velletri, scrive il Flavio, Dehinc Velitras, et Norbam in Pontino ex primis Coloniis. Fù Fortezza de Volsci, e perche riguardava verso il mare, stando posta in un Monte, li Romani la stimarono come Rocca in difesa della Città di Pontia. Fù nel Cons. CXI. saccheggiata con subita scorreria da' Pipernesi.

Piperno, ò Priverno, per dove scorre il fiume Amaseno, cosi conferma Vibio Sequestro dicendo, Amasenus Privernatium, Città insigne, amica di Velletri, Patria di Camilla Regina, e valorosa Guerriera; la di cui Historia ha scritta il Padre Teodoro Valle Domenicano Privernate, nella quale si contengono cose molto honorevoli per la Patria, estratte da varij Autori, perciò nel far mentione di questa Città io non mi diffondo, anzi lascio sotto silenzio le sue grandezze.

Polustia, cosi chiamata da Dionisio, è posta vicino à Longola, di cui scrisse, Duxit Polustiam non procul à Longula dissitam. Dal Sidonio è detta Polusca, Adduxit autem Exercitum ad alteram Civitatem Volscorum, quæ Polusca vocatur, spatio antem non longè à Longula distat. Non stava molto lontanza da Anzo per Velletri, fù pigliata da Romani, ma poi da Gneo Martio ricuperata con Satrico, Longola, Coriolo, et altre molte.

Pometia Città, che stava poco lontana dal Mare nel tratto di Terracina per la Palude Pontina; che per la fertilità de suoi campi, come per Antonomasia di quelli si disse, Territorium Pometinum. E percio al tempo di Ligurgo Legislatore de' Spartani, passando per queste contrade i Lacedemoni, si fermarono negl'accenati Campi, dalla fertilità de quali s'indussero ad imporgli il bel nome di Feronia, com'anco alla Feronia Dea un superbo Tempio edificarono, tanto narra Dionisio, Cumquè delati essent ad Pometinos Campos Italiæ, quò primum venerunt, appellasse Feroniam, memores, quod eos huc, illuc per mare ferri contigerat: Templo quoque construxisse Divæ Feroniæ, cui vota fecerunt. Con le spoglie di questa Città Tarquinio Superbo pensava edificare il famoso Tempio di Giove.

Pontia era una Città fabricata nell'Isola dell'istesso nome dirimpetto à Terracina, quale fù fatta Colonia de' Romani, e fù nel Cons. di Lucio Papirio Cursete, e Caio Iunio Bruto.

Sacriporto Città, o Castello vicino à Segni; forse delle sue rovine se n'è fabricato Gavignano, dove come narra Orosio, Silla, e Mario il giovene figliolo del Console crudelissimi nemici fecero sanguinosa battaglia, e vi morirono de' Mariani 25.mila Soldati, Silla etiam, et Marii adolscentis maximum tunc prælium apud Sacriportum fuit, in quo de Exercitu Marii cæsa sunt viginti quinque milia. E Lucano Poeta disse:

Iam quot apum Sacri eccidere cadavera portum. Sàtrico fù Piazza d'Armi de gl'Antiati, fù presa da Furio Camillo, essendo la quarta volta Dittatore, fù poi abbruggiata da Latini per sdegno contro detti Antiati, che non volsero esser con loro uniti à far guerra contro Romani, tutta la Città restò disfatta, eccettuato il Tempio della Dea Matuta. Fù risarcita da Volsci nel Cons. C.V. ma da Romani, essendo Consoli Marco Valerio Corvino, et Gneo Petilio. Fù di nuovo abbruggiata, restandovi pure in piedi il suddetto Tempio; ma perche poco doppo fù presa da Sanniti, Lucio Papirio Cursore l'espugnò, e ricuperò, dice Orosio, Idem deinde Papirius , expulso inde Samnitico præsidio expugnavit, et cæpit. Tengono alcuni fosse dove al presente stà Conca Ferriera famosa del S.Officio di Roma, e con qualche raggione, perche Livio narrando la partenza delle Leggioni Volsche,dice che si movessero da Anzo, à Satrico, da Satrico à Velletri, da Velletri à Tuscolo, Ab Antio Satricum, ab Satrico Velitras, inde Tusculum Leggiones missas: distanza in vero per le giornate d'Esserciti, che marciano, molto convenienti, se bene altri con giusto compito di miglia, vogliono che sia dove stà Campo morto Castello distrutto, perche da Anzo à questo luogo, d'onde à Velletri, e poi à Tuscolo, non passano otto miglia di strada, ch'appunto fanno una giornata de Militia, et à questo parere più facilmente mi sottoscritto, riportandomi però à maggior chiarezza.

Segni Città situata nel Monte Lepino, dice Columella, Qua Marrucini, qua Signia Monte Lepino. Fù Colonia di Tarquinio Superbo, non già da lui fabricata, come altri pensano, ma ben si (come dice Alicarnasseo) applicata à Tito Tarquinio suo figliolo, in quella guisa, ch'ad Arunte Tarquinio l'altro figliolo assegnò Circeio, come se ne fossero stati fondatori, Has ambas cum duobus filiis, ut conditoribus dicasset, Circeios Arunti, Tito Signiam, securus iam de Regno, etc. Nella sollevatione procurata da Lucio Annio Setino, e Lucio Numidio Circeiense, fù unita Segni con Velletri, à non consentire con l'altre Colonie. Fù Patria di S.Vitaliano Papa, come si legge nel Martirologio Romano. Era de' Signori Sforza; ma di presente è dell'Eminentis. Cardinal Antonio BABERINO Nipote dignissimo di URBANO Ottavo Pontefice vivente Ottimo Massimo.

Sessa, ò Suessa, chiamata ancora Sessa Pometia; non già quella Pometia accennata di sopra, ben sì da Cittadini di quella, che per un tempo v'habitarono, fù così chiamata; com'anco per l'istessa caggione fù detta Arunca; tanto dimostra l'Alberti. Fù saccheggiata da Tarquinio, essendo Rè Servio Tullio. In questa Città dimorarono in Esilio li figlioli di Anco Martio IV. Rè de' Romani. E ben vero, che da moderni Autori molte cose di Pometia s'applicano à Sessa, per la denominatione, che da quella ottenne. Lucio Sacco hà diffusamente con molta eruditione descritta questa sua Patria.

Sezze, se bene il suo moderno Scrittore hà à schivo la natione Volsca, per lo che la mette frà Latini; con tutto ciò molti Autori, e particolarmente il Cluerio la chiama Antichissima, e la pone trà Volsci. Il Perotti, dice, Setia Urbs est Campania, et il Schradero scrive, Setia antiquissimum Volscorum Oppidum, cosi ancora Iodoco Hondio. Titinnio Comico in honor di Sezze compose un Opra intitolata Setina, vien citato da Nonio Marcello in più luoghi nel libro che fà de Proprietate Sermonum. Gioseppe Ciammaricone Setino ha descritta eruditamente questa sua Patria, à quello rimetto il Lettore.

Sora, rattiene per ancora il nome, che fusse de Volsci, lo dice Livio, Sora agri Volsci fuit, et il Sabellico lo conferma, narrando la sua presa, Consules Dictatoris Exercitu ab Bellum usi Soram de Volscis vi cæperunt, perche fù presa all'improviso da' Romani, ma con l'Essercito del Dittatore Furio Camillo, essendo Consoli Marco Fabio Dorsuo, e Servio Sulpitio Camerino; quindi scrisse Livio, Soram ex hostibus incautis adorti cæperunt. Si diede poi à Sanniti nel Consolato C.XXXV. per lo che ne venne un crudel fatto d'armi vicino à Lautula, col peggio de' Romani; ma poi per tradimento d'un Sorano, fù da' Romani ripresa, ch'altrimente vi voleva un lungo, e penoso assedio. Giovenale la chiama Città bonissima, dicendo Optima Sora. Fù detta ancora Saura. Di questa patria era Caio Attelio, che nel Consolato CC.XXXVI. fù Pontefice Massimo, e Valerio Sorano ancor egli Sacerdote. Fù formidabile à Romani, registra il Floro, Sora (quis credat) et Algidum terrori fureunt. E Ducato de' Signori Buoncompagni. In questa Città hà havuto i suoi natali l'Eminentiss. Cesare Baronio Scrittore celeberrimo d'Annali sacri, che per le sue qualità meritò dal Som. Pontef. Clemente Ottavo la sacrata Porpora Cardinalitia.

Le Spose, era un Castello nella via Appia distante da Cisterna tre miglia in circa, cosi registra il Cluerio, Locus igitur iste Ad Sponsas tria circiter millia passum à tribus Tabernis abfuit Romam cunctibus. Tengo di certo (stante la correspondente lontananza) che questo sia il luogo detto la Civitate, posseduta dal Cap. Cesare Lucarelli, overo il luogo chiamato Sole Luna del Cap. Cesare Filippi già Sergente Maggiore in Ferrara, perche in questi luoghi ambedue vicini, e posti in detta via, vi si seggono gran rovine d'antichi Edificij, e vi si trovano molte belle memorie.

Sulmone, hoggi detta Sermoneta, differente da Sulmona ne' Peligni Patria d'Ovidio. Di questa ne fa mentione Plinio, e Virgilio ancora, quando dice,

Coniicit: basta volans noctis diverberat umbras, et venit adversi in tergum Sulmonis, ibiquè, Frangitur, ac fixo transit præcordia ligno.

Et un'altra volta introducendo la spietata vendetta, che fece Enea per la morte di Pallante, scrive che abbruggiasse vivi otto Gioveni, quattro di Sermoneta, e quattro d'un'altra Città, nelle sponde del Fiune Ufente, dice,

Sulmone creatos Quattuor hic iuvenes, totidem quos educat Ufens.

Torri Bianche, era un Castello lontano tre miglia da dove sbocca il Fiume Ninfeo, poco distante da Clostra, cosi dice il Cluerio, Alterum igitur istum locum ad Turres Albas tria milliam passuum ab Nimphei Ostio abfuisse crediderim.

Tre Taverne, hora chiamate Cisterna ce' Signori Caetani, e se bene alcuni pensano, che il luogo delle Tre Taverne sia hora Ninfa, con tutto ciò il Cluerio è d'altro senso, e dice, Ipsa Tre Tabernæ apud Asturam Flumen fuisse derpehenduntur, ubi locus nunc vulgo Cisterna. Dove Severo Imperatore fù da Heraclio ucciso, narra Paolo Diacono; e Zosimo, parlando di Severo, dice, Quo ille pergens, cum ad locum cuimdam venisset, quem Tre Tabernas vocant, ab infidiis, quas ibi Maxentius locaverat, comprehensus necatur, inserta laqueo Cervice. Fù doppo da Lodovico Bavaro Imperatore nel M.CCC.XXVIII. abbruggiata, dice il Villani, ma al presente, è populata molto, abbondante, e bella Terra.

Verruggine, di cui disse Livio, Verruginem in Volscis eodem Exercitu receptam. Fù presa da' Romani, e fortificata nel Consolato LX. per il che li nostri Volsci ne fecero strepito grandissimo, fù però ricuperata; ma al Consolato di Gn. Cornelio Cosso, e Lucio Furio Medullino, fù perduta di nuovo. Era una buona Fortezza per li Volsci, mentre ne fecero quel risentimento, che si narra.

Volosca, prima sede dirrei de Volsci, di cui habbiamo detto di sopra, e se ne vedono le rovine, delle quali si crede da molti, che se ne fabbricasse Sonnino Terra ancor ella Volsca. Queste, et altre Città, Terre, e Castelli erano de Volsci, c'hanno per la voracità del tempo perduti i vestiggi, et il nome. E perciò bisognarà, che il Lettore si contenti, e s'appaghi delle accennate; a queste aggiungerò Velletri, del quale principalmente si scrive. S'è fatta mentione in questo Capitolo di molte Colonie, se il curioso vorrà sapere la differenza di esse, e quali havevano Ius Romanum, e quali Ius Latii, legga Vvolfango Lazio, Biondo Flavio, et altri Autori da me lasciati per brevità, che ne haverà compita contezza.

Chi edificasse la Città di Velletri. Cap. V.

Chi gittasse i fondamenti, e alzasse della Città di Velletri, le prime mura, per la molta antichità di essa, non v'è Autore, ne Scrittore, che ne faccia parola: li danno ben sì titolo d'Antica, Bella, Inclita, Nobile, Celebre, Insigne, Potente Ricca, Populosa, Abbondante, e con altri molti Encomij l'inalzano; ma il primo Fondatore niuno l'assegna. Il nostro Sig. Conte Gioseppe Barsi, persona, che per l'antichità della Patria, hà consumati più giorni, nella compendiosa Descrittione di Velletri data in luce nel 1631, dimostra non haverne potuto trovar il Principio, dal che maggiormente la sua antichità argomenta, come di cosa immemorabile.

Si persuadono alcuni Virtuosi, che Velletri sia stata edificata da Atlante Italo, chiamato Kitim, ò Cetim, Pronipote di Noè, Nipote di Iapeto, e Figlio di Iavano, come s'è accennato di sopra; nel principio del Regno di Mancaleo XIV. Rè de gl'Assirij, che fù, come si deduce per la sopputazione di Beroso, DC. LIX Anni, ò con il Samoteo DC. LXX. doppo il Diluvio universale; pensiero, che io stimo di buon fondamento per quanto hò potuto raccogliere da qualche rincontro. Perchè venendo Atlante vittorioso dalla Spagna, e dalla Sicilia, per haverne discacciato Hespero suo fratello; giunto in questo elevato Colle alla falda d'un Monte più vago, e riguardevole di qualsivoglia spatiosa campagna; è da credere, che vi edificasse la Città, e gl'imponesse il nome di Eletra, che così chiamavasi la sua Primogenita, che fù moglie di Corito, e madre di Dardano fondatore di Troia; sicome l'altra figlia chiamata Roma (già s'è accennato di sopra) e in quella guisa, ch'essa vien detta Vesta, Elia, Velia; e Eneti, Veneti, così Eletra, col tempo fù detta Veletra, ò Beletra, che così la chiama Stefano Greco, per essere cosa ordinaria appresso Greci del B, per V, scambievolmente servirsi. Havendo poi Dardano ucciso Iasio suo fratello, per la pretensione, c'haveva nella dignità di Corito (Dionisio è di senso, che Iasio, e fosse senza moglie, Iasius mansit celebi, e che morisse percosso dala fulmine perchè hebb'ardimento di pensare lascivamente in Cerere dicendo Iasius fulmine periit attentata Cereris pudicitia) edificare alcune Colonie nel Latio, se ne fuggì nella Frigia, à cui impose nome Dardania, dal cui sangue per retta Linea hebbe i suoi natali Enea Troiano, come dimostrano l'autorità di Manethone, Archiloco, Dionisio, Vergilio, e con altri molti antichi, e moderni Scrittori, d'Ovidio, che apertamente dice

Dardanon Electra quis nescit Athlantide natum, Scilicet Electra concubisse Iovem Huius Eryctionius, Tros est generatus ab illo, Assaracus creat hic, Assaracusquè Capim Proximus Anchises, quo cum commune parentis Non dedignata est nomene habere Venus

Impercioche doppo, che Dardano dalla prima Moglie nomata Criseide Figlia di Pallante, hebbe havuti due figlioli, Ideo e Diamante; da Bostea Figlia di Tenero, hebbe due altri figlioli, uno chiamato Zacinto, che diede il nome all'Isola del Zante, e l'altro Erittonio, che pigliando l'Impero doppo il Padre, volse, ch'Erittonia quella Provinca si chiamasse. Da Erittonio,e Calliroe Figlia di Scamandro, overo, come piace ad Apollodoro, da Astioche figlia di Simeonte, ne nacque Troo. Questo, perchè ampliò la Città fabricata dall'Avo, volse, che dal suo nome si chiamasse Troia. Da Troo, e Acalide figlia d'Eumede, overo da Calliroe, dice, Apollodoro, ne nacquero Ilio, che diede il nome alla Fortezza di Troia, con Euridice figlia d'Adrasto, generò Laomedonte, per il cui mancamento di parola, Hercole, non l'Egittio, ma il Greco, espugnò la Fortezza di Troia, perchè li negò la sua Figlia Hesione promessali per haverla liberata dalla Balena. Anzi alcuni tengono, che perciò Laomedonte ne restasse morto, e Priamo suo figlio fatto priggione, e riscattato à grossa somma di denari de' vicini. Darete Frigio narra, che questo risentimento fatto da Hercole fosse, perche, andando egli con i Compagni à far preda del Vello d'Oro nell'Isola di Colcos, dando di capo nel Porto di Sigeo, Laomedonte non lo volse ricevere, ma con molt'asprezza lo discacciò, del che sdegnatosi Hercole, nel ritorno pigliò Troia, diede Hesione per moglie à Telamone suo compagno; e fatta la preda, uccise ancora Laomedonte. Da Laomedonte, e Strime figlia di Scamandro, ne nacque Priamo, che fù ucciso da Pirro figlio d'Achille nella Guerra Troiana. Priamo con Hecuba figlia di Cisseo Rè di Tracia, come narra Vergilio per parere di Euripide, ò pure di Dimante, dice Servio per sententia di Homero, generò Hettore tanto celebrato da Scrittori per la sua fortezza. Da Assaraco fratello Germano di Ilio, e Clitodora figlia di Laomedonte, overo da Hieramnome figlia di Simeonte, nacque Capis. Da questo, e da Naiade Ninfa, ò pure da Temide figlia d'Ilio, nacque Anchise, il quale con Venere generò Enea. Ecco dunque la retta linea di Hettore, e Enea congionti in quarto grado, e veracemente discendenti da Dardano figlio di Corito detto ancor Giove, e di Eletra.

Di dove partisse Dardano originaria radice de' Rè Latini, li Fautori, e SCrittori sono conforme alle loro passioni, diversi ancora nè pareri, esplicando quelli versi di Vergilio,

Atquè equidem memini, fama est obscurior Annis Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris Dardanus, Idæas Frigiæ penetravit ad Urbes

Giovanni Annio vuole, che quelli Popoli, da' quali parti Dardano, si chiamassero Arunti, e non Aurunci, che stassero nella Toscana, vicino à Viterbo, e che da quel luogo egli partisse per la Samotracia. Altri molti l'istesso confermano circa la Regione; ma variano nel luogo. Giovanni Villani afferma, che partisse da Fiesole, e questa opppinione è dal Claramontio applaudita, mentre chiama Dardano Fiesolano. Sopra di che dico esser vero, che il Regno di Corito fosse in Toscana; ma che la Regia fosse Cortona, come il Ciatti afferma, overo Corneto, com'altri pensano, poco importa al mio intento. Mi maraviglio ben si del capriccio del Villani, quale quanto sia vero, si potrà raccogliere dall'altre falsità, che dice; trattando di simili antichità; cioè che Lavinio fosse vicino a Teracina, e pure è distante più di quarantacinque miglia; che Turno fosse Rè de' Toscani, e pure era Rè de' Rutuli; e che Ardea sia hoggi Cortona, e pure li vestigi di questa famosa Città, celebrano il suo sito nel Latio vicino Roma. Li difensori dell'oppinione per la Toscana asseriscono, che gl'Aurunci del Latio per ancora non havevano havuto il loro principio, per haver fondata la di loro Città Ulisse, overo Ausone suo figlio, e si fanno forti con il seguente verso di Vergilio,

Hinc illum Coriti Tyrrena ab Sede profectum

Cioè, che partito dal Regno di Corito suo Padre, ch'era nella Toscana, se ne gisse nella Frigia ad acquistare nuovi Regni. Con tutto ciò io trovo, che gl'Aurunci erano Popoli antichissimi del Latio, e che dal Latio Dardano partisse, come nel Latio hebbe i suoi natali. Che questi Popoli fossero antichissimi, lo conferma Donato, dicendo, Auruncos Antiquissimos Populos Italia ab Aurunca Civitate; ma senza ragione soggionge, Quam Auson filius Ulyssis, et Calipsus ædificavit. Essendo Ulisse coetaneo d'Enea; e Latino, di cui sono quelle parole, di più anni di Ulisse, non poteva ragionevolmente far mentione d'Aurunca; Vergilio dice in questo luogo per bocca di Latino Rè, che gl'Aurunci non facevano Historie, ne Annali, ma si servivano delle Traditioni, e Relationi fatte da vecchi à posteri, e perciò soggionge, Auruncos ita ferre senes. Se Ausone, overo Ulisse suo Padre, fosse stato il loro fondatore, non vi sarebbono stati ne anco li vecchi, non che le loro Traditioni, e forse ne anco le Città. Che fossero Popoli nel Latio, oltre à quanto si è detto di sopra con Livio, lo conferma un Toscano, che è il Fabrino, con queste parole, Aurunca era una Città Antichissima nel Latio, e il Lorito, ch'espressamente à favor nostro l'autenticò, dicendo, Aurunci sunt veteris Latij, quod à Tiberi Circeios usque erat, Incolæ. Ma per maggior prova del mio intento, mi servirò dell'istesso Vergilio, ch'introducendo Ilioneo à spiegar l'imbasciata à Didone, e la caggione del viaggio, e dove s'andava, dice, ch'era nel Latio, nel quale i suoi posteri dovevano regnare,

Tendere ut Italiam læti, Latiumquè petamus

E poco più sotto dice,

Saturniaque Arua. chiamandosi il Latio Saturnia, come s'è accennato. Doppo un'altra volta rappresentando l'istesso Ambasciatore mandato da Enea al Rè Latino, dice,

Hinc Dardanus hortus, Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo.

Perchè l'Oracolo, come l'istesso registra, tanto gl'haveva promesso, dicendo, Dardanide duri, quæ vos à Stirpe Parentum, Prima tulit Tellus, eadem vos obere læto, Accipiet reduces antiquam exquirite Matrem Hic domus Æneæ cunctis dominabitur oris, Et nati natorum, et qui nascentur ab illis

Giovanni Fabrino spiegando queste parole, scrive, Perche Apollo haveva commesso loro espressamente, che dovessin venire ne' paesi del Latio, donde haveva havuto origine Dardano. E se ben Vergilio dice,

Tyrrenum ad Tiberim, et Fontis vada sacra Numici

Non si deve già intendere, che doveva Enea tornar in Toscana; perchè Tyrrenus Tiber, vuol denotar, che scorre nel Mar Tirreno, così spiga l'Ascentio, Ad Tiberim Tyrrenum, idest, qui influit ad Mare Tyrrenum, in qual senso anc'Ovidio lo chiamò fiume Toscano, quando disse, Tuscum rate venit in amnem. Si stabilisce tutto questo con le sopr'accennate parole di Vergilio, cioè, Et Fontis vada sacra Numici; il Fonte ò Fiume Numico scorre nel Latio, vicino ad Ardea, così dimostrano li Scrittori. Matteo Veggio lo mette vicino Laurento, Città ancor'ella nel Latio, dicendo,

Laurentumq. petit vicina Numicius undis,

Servio dice, che fosse un fiume grosso, nel quale fù ritrovato il Cadavero d'Enea, ma poi si seccò, e perciò vien detto Fonte, e non Fiume.

Da questo dunque si deduce, che nel Latio Dardano nascesse; dal Latio partisse per la Frigia, sicome nel Latio ritornò la sua prole, dico, Enea. Il possesso finalmente del Regno corrobora il tutto: perchè Enea, e suoi Posteri furono Rè de' Latini, e non de' Toscani; dunque se ritornò nel Latio, dal Latio, nel quale hebbe i suoi natali, partì. Altrimente, e gl'Oracoli introdotti dal Poeta, sarebbero stati fallaci, e gl'Ambasciadori buggiardi, se le promesse fossero state della Toscana, e il possesso del Latio, di cui intendeva l'istesso quando disse, Terra antiqua potens armis, ac ubere glebæ Et à dire il vero non vi è stata Gente più feroce, et armigera, de' Popoli del Latio; ne vi è campagna più fertile, e feconda di quella nostra, di cui disse il Sabellico, Ferax Terra, omniumquè frugum præstantia nobilis. E se bene Vergilio disse, Tyrrena ab Sede profectum, l'Ascensio in questo luogo dice, Qui profectus est ab hac Regione, à Sede Coriti, illius Oppidi, quod est ad mare Tyrrenum, e questa fù partenza di pretensione di regno, no di Sito. E quantunque Servio in questo verso,

Italiam quæro patriam, et genus ab Iove summo dica parlando di Enea, che respondeva à Didone Regina di Cartagine, Tria ergo quarit, Provinciam, scilicet, Italiam, Patriam Coritum Tuscia Civitatem, undè Dardanus fuit, etc. Con tutto ciò il Badio nell'istesso luogo dice, Ego quaro Italiam patriam, è d'adiettivo, e non di sostantivo. Altra prova più efficace sarebbe quella di Varrone, quando da noi fedeli se li dovesse dar credenza. Narra questo Autore, che partendosi Enea da Troia già abbruggiata, e distrutta, mettendosi in Mare con i suoi compagni per la volta d'Italia, sempre fù accompagnato dalla Stella di Venere, infin tanto, che gionse alle riviere di Laurento, dove abbassate le vele, gettate l'ancore per far ivi il suo albergo, disparve la Stella; dando à divedere à quelli, che ciechi si lasciavano dal Demonio ingannare, che quella era la Terra à loro per Fato promessa, Ex eo quo à Troia est profectus Æeneas, Veneris per diem Stellam semper vidisse, donec in Laurentium agrum veniret, ubi non est amplius visa; quarè cognovit Terras esse fatales. Tanto scrive Varrone. Ma se voglio allontanrami dal Poeta, e dire con gl'Historici, che Dardano sia stato il fondatore di Cora, mi sarà più facile à provar il mio intento. Così dice Plinio, Solino, e Martiano Capella seguitati dal Salmasio, che dice, Plinius Coram à Dardano Troiano orti, Martianus Capella, Coram Dardanus, atqui ille habet à Solino. E se bene Corito regnava nella Toscana, egli quasi Essule dal Padre, credo dominasse nel nostro Latio, da dove fece partenza.

Dal Latio dunque partì Dardano, e forse in quella guisa, ch'al parer di Giovann'Annio, Iasio fatto Corito edificò alcune Colonie nella Toscana, chiamandole con queste quattro lettere, C.O.R.T. che egli conforme alla superstitione di quelli tempi, chiama sacre; Dardano ad onta del fratello, altre Colonie, si potrebbe pensare ch'edificasse nel Latio, dove haveva fautori, e parteggiani, dando à quelle il nome con l'istesse lettere CORT, perche oltre à quello si è detto di Cora pretesa già edificata da lui, distante da Velletri otto miglia: più vicino alla Città nel territorio Veliterno, una di presente rattiene il nome CORTE, nella quale si son trovate, e si trovano bellissime antichità di Marmi, Statue, Mosaici, e altre cose di memoria, che dimostrano quello ch'il tempo ha divorato, e li Scrittori non hanno registrato. Altri belli Ingegni pensano, che Velletri sia stata edificata da Saturno primo habitatore, e fondatore del Latio; sopra di che io vado osservando chi sia questo Saturno, per non caminare in compagnia di molt'altri nella spatiosa strada de gl'errori, e persuadendomi gir sicuro, e veloce, non sia forzato d'arrestar il passo. Saturno nostro dunque non è quel Re Candiotta, ò Cretense, come da molti si presuppone, chiamato per altro nome Aptera, overo Abderide; e vogliono provare il principio, e fondatione delle proprie Patrie con la fuga, e nascondimenti di lui; cosa contraria all'oppinione di molti buoni Scrittori antichi, e moderni; e lontane dall'assignatione de' tempi, perche Saturno Cretense fù nell'età del Ferro, è il nostro Saturno è nell'età dell'Oro, di cui disse Vergilio,

Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat come s'è accennato di sopra. Quello cominciò à regnare in Creta nel MMM. DC. XCVIII. del Mondo, D. e più anni Anni doppo la morte di Nino, che fù nel MMM. CXCVII. e regnò, come scrive Eusebio, XLII. Anni, e hebbe per soccessore Lapis; questo fù al tempo di Nino, e venne in Italia à trovar Giano il prim'anno di Semiramide nell'Anno MMM. CXCVIIII. Quello fù persona empia, e scelerata, che s'incredulì contro il Padre, fece guerra à Fratelli, e uccise i proprij Figli. Questo riverì i suoi Maggiori, schivò fuggendo l'ira de' suoi Cugini, e Parenti, e honorò Barzane suo figlio in Armenia, qual fù superato da Nino; e honorò l'altro suo figlio in Italia chiamato Sabo, creandolo Prencipe de' Sabini. Quello si chiamava Aptera, overo Abderide. Questo Sabatio Saga. Quello venne dall'Isola di Creta. Questo dà Monti Caspi. Quello finalmente morì Cinquecento, e più Anni doppo Noè, e questo nostro Saturno morì Otto, ò Sedici Anni avanti Noè. Tutto ciò si deduce da Beroso, tanto dimostra l'Annio, così tiene l'Alberti, il Ciatti, l'Angelotti, e altri. Fù dunque il nostro Saturno Sabatio Saga, che diede il nome al nostro Latio, essendo in esso entrato per il fiume Tevere, come s'è detto di sopra. Sono alcuni che non stimando per vero tutto ciò che di Saturno s'è accennato; si ridono in sentire ch'egli per isfuggire lo sdegno, e crudeltà di Belo, si nascondesse nelle montagne, con l'autorità di Vergilio, e di Ovidio, l'uno de' quali dice,

His quoniam tutus latuisset in oris e l'altro,

Dicta fuit Latium terra latente Deo perchè questi non fanno mentione de Monti, et ora, come vuol Cicerone, significa Regione, e Parte del Mondo, e non luoghi montuosi, Omnibus hominibus, qui ubiquè sunt quacumquè in ora, ac parte terrarum. Et un'altra volta disse, Globum terræ fixum in medio Mundi universi duabus oris distantibus. Et il Calepino l'istesso afferma per sentenza di Plinio, Plinius ora appellatione ferè semper Regionem litoralem appellat, e maggiormente l'esprime Sesto Pompeo, con quelle parole, Ora extremæ partes terrarum, idest maritimæ dicuntur; per finirla Vergilio ancora dimostrò l'istesso quando disse,

Arma virumquè cano Troia qui primus ab orbis,

Soggiongono che Saturno non stette nascosto, ma si palesò a Giano suo Bisavolo, che se ne stava nel suo Gianicolo, hoggi per il color dell'arene chiamato Montorio, dice Giovanni Rossino, Hodiè à flavis arenis Mons aureus nominatur, et corrupto vocabulo Montorius. Nè meno haveva una tal necessità, perchè Belo primo suo persecutore era morto, e morto il suo figlio Nino, e essendo egli partito dall'Armenia, non dava più materia di persecutione, come ne anco di sospetto à Semiramide, che regnava. Anzi participando egli il Regno d'Italia con Giano, viveva sicuro, tranquillo, e perciò quella parola, Latere, de gl'accennati Poeti, dicono, ch'intender si debba in riguardo delli persecutori, perche s'allontanò da gli occhi loro, ne sapevano dove egli dimorasse; non già, che realmente si nascondesse, ne c'havesse necessita dell'asprezza de' Monti per celar la sua persona. Io, però, per non discostarmi dalla volgata oppinione, mi faccio lecito dire, che il nostro Saturno si nascondesse in qualche monte; il che parmi volesse accennar Vergilio, quando disse,

Is genus indocile, ac dispersum Montibus altis. perche l'istesso nome di Saturno tal nascondimento dimostra; così dice Gioseppe Scaligero, Saturnum Tuscum esse nomen, et Siriaca lingua significare latentem. Gerolamo Marafiote asserendo, che Giano regnasse in Cuma, dice che ivi fosse ricevuto Saturno, e che in Cuma principiasse il nome del Latio; pensiero molto discostante dalla commun'oppinione. Il Padre Valle, e il Ciammariconi fondati nelle parole del Gonzaga, vogliono, che Saturno si nascondesse nella montagna di Bassiano; sentimento, che per non trovarvi rincontro di sorte veruna, non mi par punto verisimile, non che vero. Ecco la mia raggione: Ovidio riferisce, che Saturno venisse in barca con le sue genti, che si chiamavano Sagi, per il Tevere, dicendo,

Causa ratis superest, Tuscum rate venit in amnem.

Se per il Tevere se n'entrò Saturno à trovar Giano, come è credibile ch'à piede egli se ne venisse per nascondersi con le sue Genti nell'asprezza della Montagna di Bassiano distante da Roma, forse Quaranta, e più miglia, come pensano li citati Autori? Concludasi dunque, che in altro monte più vicino à Roma Sabatio Saga con i suoi Sagi si nascondesse, e per li rincontri, che si diranno, posso persuadermi fosse il Monte di Velletri, al quale lasciò il nome di Sagiola, che poi per la mutatione della prima lettera fù detta Fagiola. Sagiola, cioè habitatione, e stanza de' Sagi; (perche Ola, conforme si deduce dall'Hebreo, significa Tabernacolo, e Habitatione) di dove discendendo, si tiene c'hedificasse la Città di Velletri; onde non sia maraviglia, se havendo Saturno insegnato alli primi habitatori di Velletri il modo di far Sagrificij, di potar le vite, coltivare i Campi, e far tutte le cose sopraccennate. Doppo la morte di lui gl'alzarono un Tempio con la sua Statua, e l'adorarono vanamente per Dio, cosi disse l'Abbate Uspergense, Pro quibus meritis ab indocili rustica multitudine Deus appellatus est. L'adorarono si per Dio, non con nome di Saturno, ma di Sango, o Sago, registrato da Livio, mentre narra i prodigij di quell'Anno, e dice fosse toccato dal fulmine, del quale più diffusamente si discorrerà à suo luogo. Da questo si doverà concludere, che da Velletri, ò dalla sua Montagna habbia avuto il suo principio il nome del Latio, sia di Provincia, come dice Ovidio, ò di Città da Saturno fabricata, come afferma Marciano Capella, e Papia, che dice, Latium Urbs Italiæ à Saturno condita. Stimo perciò volontario il pensiero del Clavelli, quale vuole, che Saturno edificasse cinque Città, cioè il suo Arpino, Aquino, Atino, Alatri, e Anagni, e apporta per raggione, e prova una certa antica somiglianza, che in quella guisa, che per parere d'Ilino Rabino, Semo primo figliolo di Noè edificò alcune Città, dandogli il nome con la prima lettera del suo, che è la S. e furono Siponto, Salerno, Surrento, Sannio, e Siena la vecchia, così Saturno le cinque accennate Città edificasse col nome, c'hà per principio la lettera A, prima ne gl'Alfabeti di tutti i linguaggi. Si che lascino di vantarsi Roma, Rieti, Piperno, et altre Città, mentre il lor nome non cominciando per A, non possono affermarsi edificate da Saturno. Ma s'inganna il Clavelli, e ogn'altro per lui, se intende del nostro Saturno Sabatio Saga; siccome se il suo sentimento è di Aptera Cretense, se gli puol concedere, perche il nome comincia per A, et à noi poco importa, mentre si raggiona di più antico Saturno. Soggiongo, che gl'antichi Heroi imponevano alle cose il nome, e non la loro prima lettera, che se ciò fosse vero, molte Città haverebbono pretensione à più alto principio di quello se li deve. Consideri il Lettore quante Città cominciano per S, e quante per A, e quanti Autori ancora registrano la fondazione di Saturnia, cioè Roma, e poi giudichi quanto sia verace, e ben fondata quest'oppinione del Clavelli. Io mi confesso molto appagato delle due accennate oppinioni circa il principio di Velletri, e per li rincontri da me apportati, mi par c'habbiamo toccata qualsivoglia sodezza: ma però non mi contento di questo, e con più chiari rincontri stimo più alto il principio di questa Città, e dico, che l'edificassero alcuni di quelli, che vennero in Italia con Noè. Perche gionto questo secondo Adamo, Noè giusto nel Gianicolo per il Tevere, ivi fece la sua stanza, e stabilì il suo albergo; ma perche li suoi seguaci Nipoti chiamati Gianigeni, ò Gianidi, erano molti, mi si fà credibile, che parte di loro morsi dall'humana curiosità procurassero d'esplorare anco il paese della parte destra del fiume; cosa molto verisimile, e per la novità del luogo e per l'amenità del sito, e per la suavità dell'aria contraria affatto à quella di Trastevere, dove erano sbarcati, e dimoravano; onde con una, ò più barche di quelle, nelle quali erano venuti da Fenicia, facessero tragitto all'altra sponda del fiume, e caminando, e scorrendo il paese, gionti alla vista del Colle, e Campagna di Velletri, dove, come piace ad Antonio Magino, cominciava il piano della palude Pontina; quale veduta, e considerata vaga, amena, e fertile, stabilirono di fermarvi il piede, e farvi il loro domicilio, che dal primo Esploratore fù chiamato Veletro, ò Beletro, ch'altro non suona in lingua Latina, che Vetustus Explorans, nome composto da Vel, ò Bel, e Ietro : Vel e Bel, al parere de gl'Espositori della lingua Hebrea significa Vetustus, in lingua Latina, e Ietro suona Explorans; congiungendo dunque queste due parole con la sincope del I, over del E, componevano Velitro, ò Beletro, che in nostra favella dirà Antico Esploratore. E percio ad imitatione, et emulatione de gl'altri Gianigeni questi nostri edificarono altre Colonie vicine denominate da Giano, nelle quali i posteri alzarono il Simulacro di lui, come quelle, ch'erano nella Toscana col nome di Araini, per quanto registra il Valeriano, Quidam Ara Iani Simulacro asculpi solitæ sint, quid id facturi putent, quod Ianus Aras duodecim Etruriæ Coloniis sacrasset. Delle nostre una se ne conserva di vestigi, e di nome nel territorio Veliterno, e chiamari sin al giorno d'hoggi Araiano & Ariano, dalle cui rovine, doppo che fù demolito, e destrutto da' Velletrani, fù ritrovata una statua di Giano Bifronte con sembianze di Giovene, e di Vecchio, la di cui testa si conserva nel Claustro del nostro Convento, e è la qui intagliata. Et un altra Testa pure Bifronte somigliante à questa conserva tra molt'altre belle antichità il Cavalier, e Dottor Theocrito Micheletti, qual fù ritrovata poco distante dal suddetto luogo. Che cosa significhi la duplicata sembianza di Giano, sono varij li pensieri de' Virtuosi, come sono diverse l'intelligenze. S. Agostino registrato dal Vines, dice, che col rappresentarsi Giano Bifronte, si dimostrava la di lui gran prudenza, che consiste in prevedere le cose future, e contemplar le passate, Alii hunc Regem Bifrontem fuisse referunt, quod fuerit prudentissimus, pravideritquè procul ventura, et nespexerit praterita, onde il Cedreno disse Præteritorum, ac futurorum notitia fuisse præditum, eum à Romanis Bifrontem pingi. Il Mddendorpio vuole, che le due faccie di Giano significassero la congitione di lui delle cose del mondo, Quippè qui utriusquè ante, et post Diluvium Orbis certissimam rationem sciebat. Herodiano intende per le due Faccie il principio, e fine dell'Anno. E S. Cipriano lo conferma con queste parole, Ipse Bifrons exprimitur, quod in medio constitutus, Annumincipientem pariter, et recedentem spectare videatur; e perciò Plinio dice, che Numa Pompilio fece alzar la Statua di Giano Bifronte, c'haveva Trecento sessanta cinque deti, rappresentanti Trecento sessanta cinque giorni dell'Anno, Præterea Ianus geminus à Numa Rege dicatus, qui pacis, belliquè argumento colitur, digitis ita figuratis, vi trecentorum sexaginta quinquè dierum nota, per significationem Anni, Temporis, et Ævi se Deum indicaret. Il nostro Mancinelli havendo considerato, che Giano vien chiamato tal volta Sole, è di senso, che le due faccie dinotino il princpio, e fine del Giorno, dicendo,

Sit propter Bifrons occasum Solis, et ortum, Per Ianum Solem monstrari namquè tulere, Qui exoriens aperit Lucem, clauditque cadendo

Giovanni Rosino considerando, ch'il Tempio di Giano fù fabricato doppo la pace fatta trà Romani, e Sabini per le Vergini Sabine rapite, dice, che le due faccie di Giano significano li due accennati Popoli insieme uniti, per Romolo, e Titio Tatio loro Reggi, Ut significaretur duos Populos coiisse in unum. Altri intendono il principio, e fine della vita humana, che più chiaramente per il sopraposto intaglio s'esprime. E chi ne forma un concetto, e chi un'altro, conforme all'intelligenza di ciascuno. E ben vero, che talvolta Giano si dipinge Quadrifronte, cioè con quattro faccie, dice Macrobio, e Pomponio Leto lo conferma con queste parole, Ianus Quadrifrons erat, et apportandone la raggione con il significato dice, Hic quatuor Anni tempora significabat, e perciò il nostro Mancinello con buona raggione prese à dire, che denotava ancora le qattro Parti del Mondo, essendo Giano talvolta chiamato e mondo, e Cielo, tanto scrive,

Est Ianus quadrifrons partes ob quattuor Orbis, Est etenim Mundus, quod Cælum dicitur ipse.

Dalla parte verso Ponente distante meno di quattro miglia dalla Città vi era l'altra Colonia, ch'ancora rattiene il nome, e chiamasi Prisciano, dove era il Tempio di Giano Prisco, cosi detto à differenza de gl'altri chiamati Giani Iuniori, come s'è accennato di sopra. Dalla parte di Mezzo Giorno ve n'è un'altra col nome di Carciano, cioè Città di Giano, perche Char, in lingua Hebrea non significa altro che Città in lingua nostra. Verso Levante vi è un altro luogo chiamato di presente il Colle del Cavaliere della Fameglia Catelina, che si deduce dalla parola Moosia, ò Maresa, l'una delle quali significa Habitacolo, e l'altra Heredità, ch'altro non dimostra, che luogo dove s'adorava Giano; et in tutti quest'accennati luoghi si vedono rovine sotterranee, e vi si trovano belle antichità, e frammenti, che danno materia di credere con qualche sodezza quello, che si pretende che sia. Si corrobora tutto questo con la moltitudine delle Monete, ò Medaglie di Giano, che giornalmente sparso si trovano nel nostro territorio Veliterno, delle quali per dimostrare la diversità, tre solamente n'hò fatto intagliare. Più dell'altra antica stimo la seguente, tanto per la forma, quanto per il metallo, datami dal Dottor Plinio Babbo. Somiglianti à questa ne hà due il Dot. Angelo de Prosperi, ritrovate nell'antica Villa del nostro Cesare Ottaviano Augusto, l'hò avuta dal Dottor Regolo Coluzzi rirovata in altra parte del nostro territorio. Quest'ultima da me stimata di minor antichità, sì per il metallo, come per il rovescio, mi è stata data dal Capit. Francesco Calcagni, e nella Nave apertamente si scorge.

Il Dottor Nicola Santorecchia Protonotario Apostolico, et Arciprete della Catedrale trà molt'altre belle Medaglie, ne conserva otto di Giano tutte differenti di grandezza, di metallo, e di forma; benche tutte lo rappresentino Bifronte da una parte, e dall'altra mostrino la Nave. Dalle quali si puol argomentare la stima, che li Velletrani accecati nella superstitiosa Gentilità facevano di Giano. Da quanto sin'hora s'è detto sopra al particolare di Giano, mi sarà lecito argomentare, che l'antichità di Velletri avanzi, ò almeno pareggi qualch'altra pretesa da moderni Scrittori. Perche Mirsilo Lesbio volendo dimostrare, che li Turreni popoli particolari, e principali della Toscana, (questi popoli stavano vicino alle sponde del Lago di Bolseno, dice l'Annio, Sed ea est, Volturrena, cioè antica Turrena, circà Volsinos, e doppò altre parole, Cives Volturrent in quorum parte eadem sunt Volsinienses, non molto distante dalle Grotti, dove stà un vago sito chiamato con nome corrotto Tugliena, e vi si trovano ben spesso bellissime antichità, oltre alle rovine de gl'Edificij, che da Lavoratori si scoprono alla giornata; onde possono persuadersi gli habitatori delle Grotti essere de gl'avanzi di quella famosa Città distrutta. Altri hanno diverso sentimento) Che questi popoli, dico, erano antichissimi, et originarij da quella Regione, dice esser ciò vero, perchè erano ne' Dei e ne' Riti differenti. Perchè l'altre genti di Toscana adoravano Giano e Vesta, da loro chiamati Vadimone et Horchia, Quandoquidem, queste sono le parole del Lesbio, vetustissimis differunt Diis, et moribus, etc. Nam cunctis Tuscis Dii, et Dea sunt Iuppiter, et Iuno, soli Turreni volunt Ianum, et Vestam, quos lingua sua vocant Ianib Vadimona, et Labith Horchiam. Questo Giano adoravasi da Velletrani per quanto s'è detto di sopra, dunque bisogna confessare esser Velletri Città antichissima. L'istesso Annio à questo argomento fatto per il Latio, ò Roma Latina risponde, che non erano adorati Giano, e Vesta come Dei municipali, e principali, perche nel Latio tali erano Saturno, et Opis, altramente chiamata Rhea, e n'attesta Varrone de Lingua Latina. Et io servendomi della sua risposta mi farò lecito di dire, che sicome li Toscani tutti adoravano altri Dei, eccetto li Turreni, Vadimone, et Horchia, cosi, s'altri Popoli del Latio adoravano communemente Saturno, et Opis, li Velletrani nulladimeno, con alcun'altre genti ancora adoravano Giano per Dio principale, come dall'accennate memorie chiaramente apparisce.

Sono stati alcuni, che curiosi dell'Antichita m'hanno interrogato, perche caggione Vergilio havendo composto il suo Poema in honor d'Augusto Ottaviano ne' giorni del suo Impero, sapendo, che l'origine, e natali di lui fossero da Velletri, non n'habbia fatta mentione? e pure la Patria del suo Mecenate, e Protettore, non deve tacersi, e tanto più, che Velletri era, et è Città insigne, di Popolo famoso, quanto è il Volsco, et in Regione principale, quant'è il Latio. A dire il vero è cosa di grandissima maraviglia un tal silentio, et io non saprei addurne altra raggione, che l'humana passione, che talvolta serve per Occhiale del Galileo, e tal volta per Benda, e che ben spesso trasforma lo Scrittore in Lince, e ben spesso in Talpa. E per non dimostrarmi tale ancor'io, eccone l'Autorità di più.

Nola è stata, et è una Città illustre nella Campagna Felice, et in quella Regione ha havute poche pari à suo tempo, Vergilio dovendo raggionar di quella nel suo Poema, doppo haver fatta mentione di molte Città, di Nola non ne raggiona; ma nel silenzio la sepelisce. Aulo Gellio Autore di consideratione, apporta la raggione di mancamento cosi manifesto, e riferisce haver letto, che Vergilio haveva una delitiosa Villa vicina à Nola, havendo bisogno d'acqua per vaghezza del luogo, e per sua commodità, la domandò à Nolani, quali liberamente (non s'accenna il perche) glie la negarono, del che Vergilio di tal maniera restò sdegnato, et insieme offeso, che pensando di levare dalla memoria de gl'huomini il nome di Città tanto celebre, scancellò dal suo Poema il nome di Nola, e perche era forzato à farne parola, in vece di Nola, scrisse, Ora: ecco le parole del Gellio, Scriptum in quodam Commentario reperi versus istos à Virgilio ita primùm esse recitatos, atquè editos: Talis erat Capua, et vicina Veseuo Nola Iugo. Postea Virgilium petiisse à Nolanis aquam, uti ducerat in propinquum Rus, Nolanos beneficium petitum non fecisse, Poetam offensum, nomen Urbis eorum, quasi ex hominum memoria, ex Carmine suo derasisse, Oraquè pro Nola mutasse, atquè ita reliquisse. Et vicina Veseuo Ora Iugo. Servio narra un'altra cosa simile pur contro di Nola nell'espositione del seguente verso del Poeta.

Et quos Malisfera despectant Mœnia Bella

Dice questo Commentatore, che in vece di Bella, doveva star Nola, ma havendo i Nolani negato à Vergiolio l'albergo, ne restò molto cruccioso, e sdegnato, onde dal suo Poema scancellò il nome di Nola, e vi scrisse Bella, Multi Nolam volunt intelligi, et dicunt iratum Virgilium nomen eius mutasse propter sibi negatum hospitium, et ita apertè noluisse dicere, sed ostendere per Periphrasim, nam illic punica Mala nascuntur.

Perugià è stata, et è ancora Città famosa, et una delle dodeci prime Colonie dell'antica Toscana, che per il valor dell'Armi doveva movere il Poeta à farne mentione, con tutto ciò trattando della Guerra di Enea, registra molti Popoli de Città Toscane, e lascia sotto silentio Perugia. Il Padre Ciatti apporta egli la raggione con queste parole, Et avvegna ch'altrove io mostrato habbia ciò facesse Virgilio per non offendere l'orecchie d'Ottavio Augusto, à cui egli le sue Eneade scriveva, ed il quale con odio immortale de Perugini, fece il funestissimo Sacrifitio di trecento miserabili vittime de Cittadini Perugini, come à suo luogo dirassi, e per colpa di cui Perugia fù arsa, e distrutta. Questo dice nel Pr. Tomo dell'Hist. di Perugia Lib. Terzo; dove apporta un'altra raggione, che per brevità tralascio: ecco chiare le passioni del Poeta; defetto ordinario d'alcuni Scrittori, quali per qualche mondano, ò indegno interesse, tacciono le glorie altrui, ò pure le sminuiscono, overo con qualch'aggionta disdicevole denigrano il candore d'una Patria insigne, d'una Città Illustre. Danno sperimentato da Velletri, ch'essendo Città, nobile, e degna d'esser nominata da un Poeta, che cantava le glorie di quell'Imperatore Velletrano, à cui erano indirizzate le sue fatighe; e pure appassionato le ricopre con il manto del silentio. Mi riservo le raggioni per altro luogo più al proposito.

Guerre Antiche di Velletri. Cap. VI.

Quanto li Velletrani sieno stati bellicosi, et armigeri, bastaranno Dionisio, e Livio à testificarlo, che nell'Opre loro in più luoghi registrano le battaglie di Popolo cosi feroce, e martiale, che per CC. anzi CCC. e più Anni tormentò la fortunata Roma: e perciò raggionevolmente Genebrardo disse: Volsci, qui bellum cum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum, per ducentos annos continuarunt. E Livio, di cui sono le parole di Genebrardo, registra dodeci, e più Trionfi riceuti da Capitani vincitori de' Volsci dicendo, Volsci, qui bellum Romanis sub Tarquinio Superbo inchoatum per CC propè Annos, incredibili pervicacia, et continuis motibus protulerunt, de quibus supra duodecim Triumphi sub acti sunt. Erano così pronti all'Armi, et cosi coraggiosi li Volsci, che parevano dal Fato destinati à Romani, non per altro, che per eternamente mantenergli un continuo travaglio, Præter Volscos, velut forte quadam, propè, et in æternum exercendo Romano Militi datos, dice l'istesso; et Iornande chiama li Volsci nemici continui, dice quotidiani, de' Romani, Pervicacissimi tamen Latinorum Aequi, et Volsci fuere, et quotidiani (sic dicerim) hostes. L'istesso afferma il Sabellico, Volsci, et Aequi æterni Romani nomini hostes, cosi dissero in Senato gl'Ambasciadori Latini. Anzi l'istesso Sabellico narra, che non si poteva caggionar maggiore spavento nel petto de' Romani, quanto il veder'uniti assieme li Volsci nell'Armi, Nullius Gentis opes magis quàm Volscorum Romano formidolo fas esse, si in unum conspirent. E perciò furono stimati Feroci sopra ogn'altra Natione, Quid Volscis ferocius? disse chi haveva forse sperimentato l'altrui valore. Narra à questo proposito Livio la maraviglia di molti in vedere, che cosi presto ne' conflitti tanto sfortunatamente continuati, doppo le perdite, anzi disfacimenti d'Esserciti intieri, in un batter d'occhio, per cosi dire, congionti con gl'Equi, ancor loro Popoli del Latio, risarcissero i Campi, e ne formassero de nuovi più copiosi, e formidabili; la stimava però cosa miracolosa. Dice in oltre, che furono cosi continuate, e tanto numerose le Guerre de Volsci, che leggere solamente i Volumi, ne' quali stavano registrate, apportava fastidio à Lettori: e perche altri di ciò havevano tacciuto le raggioni, egli l'apporta conforme al suo parere, e dice, che questo avveniva, perche negl'intervalli delle Guerre cresceva la gioventù, e conforme richiedeva il bisogno, cosi si rinovavano gl'Esserciti con la scelta di gioveni, overo perche non sempre gl'Esserciti si formavano de' medesimi Popoli; benche l'istessa Natione facesse Guerra; overo, perche allhora trà Volsci, et Equi era una moltitudine di Teste libere; e queste coraggiose givano contro Romani, Non dubito præter satietate m tot iam Libris affidus Bella cum Volscis gesta legentibus illud succursurum (quod mihi percensenti propiores temporibus harum rerum Aucoters Miraculum fuit) undè toties victis Volscis, et Aequis suffecerint milites, quod eum ab antiquis tacitum, prætermissumquè sit, cursus tandem ego rei præter opinionem, quæ sua, cuisquè coniectanti esse potest, Auctor sim, simili veri est, aut intervallis Bellorum, sicut nunc in delectibus fis Romanis, alia, atquè alia Sobole innorum, ad Bella instaurando toties usos esse, aut non ex iisdem semper Populis Exercitus scriptos, quamquam eadem semper gens Bellum intulerit, aut innumerabilem multitudinem liberorum Capitum in eis fuisse locis, e poi conchiude, Ingèns certè Volscorum Exercitus fuit; tanto dice Livio.

Io per me non resto già appagato dell'accennate raggioni di Livio, perche anco degl'altri Popoli nemici à Romani l'istesso dir si potrebbe, essendo solito nelle Guerre servirsi degli Ausiliarij, Amici, e Confederati; far scelta trà la gioventù nativa de Soldati più habili alle fatiche, et al maneggio dell'Armi: e servirsi degl'intervalli ancora, quali erano cosi brevi, che talvolta non giongevano all'Anno; anzi che per le autorità registrate di sopra, erano giornali. Quindi direi la caggione, per la quale tante volte, e tante li Volsci mossero guerra à Romani, che giunsero all'estrema strettezza, essere, perche la Natione Volsca era più dell'altre copiosa de genti, e perche le vittorie de' Romani descritte da' Fautori non erano cosi celebri, e franche, come si registrano; cosa ordinaria de tali, che per ingrandir le vittorie d'una Natione, e le perdite dell'altra, non fanno differenza d'aggiongere all'uno, uno zero, ò due; e perciò è necessario dire con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine, e raggionevolmente, perche Gneo Martio Coriolano volendo vendicarse de' Romani con l'Armi straniere, dice Dionisio, che solamente da Capitano cosi bravo fù giudicata la Natione Volsca uguagliarsi nella potenza à Romani, Unam Volscorum potentiam parem Romanis inveniebat. Si rende, da quanto si è detto sopra di ciò, manifestamente chiaro, essere con nulla, ò piccola raggione apportata l'autorità di Livio, che dica, Volsci nec in Bello fideles, nec in Pace constantes: propositione non già di Livio, ma da altri forse inventata, se però non si volesse per questa intendere quella dell'istesso Livio nella Deca pr. al lib. 4 dove registra le parole, non uscite dalla sua mente, ma dalla bocca d'un Capitano zelante chiamato Vetio Messio, mentre riprendeva li suoi soldati Volsci di trascuraggine, e freddezza nel combattere, e gl'animiva à farsi la strada col ferro, già che stavano dalli Soldati del Dittatore Aulo Postumio circondati; e pigliar esempio da lui, come fecero, dicendo, Iam orbem voluentes suos increpans clara voce: Hic præbituri, inquit, vos Telis hostis estis indefensi, inulti? Quid igitur Arma habetis? Aut quid ultrò Bellum intulistis? In otio tumultuosi, in Bello segnes? Quid hic stantibus spei est? An Deum aliquem protecturum vos, rapturumquè hinc putatis? Ferre via facienda est re. Se bene la Pugna non hebbe quest'esito, che si sperava corrispondesse all'ardire. E perciò non deve pigliarsi per autorità di verace sentimento quello, che usci dalla bocca d'un Nationale amoroso, che cosi anco l'ingiurie dette da' Padri affettuosi a' proprij figli sarebbono ignominiose. E se furono tali, quali questo moderno Autore li stima, domandiamolo à Dionisio, che vi dirà, che Tito Sicinio ricevè de' Volsci famoso Trionfo, perche haveva liberata Roma da grandissimo spavento. Et ad Aquilio non si concedè, che l'Ovatione, perche debellò gl'Hernici, Sed Sicinio, qui à maiore terrore Urbem liberasse videbatur, deleto Volscorum iniurioso Exercitu, Duceq. cæso, Triumphus concessus est, et invectus est Urbem prælatis spoliis, captivis currum præcedentibus, equis tractus insignibus aureis faleris, cultus, ut mos est, Regio; Aquilio contigit Ovatio. Si puol descrivere Trionfo più pomposo di questo? concedutoli solamente per haver destrutto un Essercito de' Volsci, che fù risarcito di subito? anzi da Livio, à cui più facilmente si doverà credere, si cava, che questo Trionfo fosse senza vittoria particolare, ma di pare conflitto, ecco le sue parole, Sicinio Volsci, Aquilio Hernici, (nam ii quoquè in Armi erant) Provincia evenit. Eo Anno Hernici devicti, cum Volscis æquo Marte discessum est.

Io non voglio in questo luogo far lunga tessitura delle Guerre de Volsci, perche sarebbe un usurpare il commun valore d'un Regno intiero, per una Città sola; ne meno intendo narrare le Guerre Moderne di Velletri fatte con Città, e Terre vicine, e Prencipi confinanti, che numerose sono; ma solamente di quelle antiche, nelle quali particolarmente li Velletrani si ritrovarono come Popoli di Città principale, et insigne de Volsci, mentre Roma era crescente nell'Impero: quantunque in tutte le Guerre della Natione Velletri si ritrovò pronta, ma non in tutte registrata. Lascio dunque da parte il timore, c'havevano li Latini, e gl'Hernici dell'Armi Volsche; il valore di Coriolano, Attio Tullo, Vetio Messio, e d'altri coraggiosi Capitani, le guerre di Anzo, Piperno, Terracina, Sessa, e d'altre Città Nationali; le occisioni fatte da' Romani, e da' Volsci; le Città dall'una, e l'altra parte saccheggiate; le copiose, e ricche prede scambievolmente fatte; gl'incendij da' Volsci dati, e ricevuti; li danni fatti a' Romani, et à Popoli confederati; li conflitti pari; le vittorie de nemici; le prospere, et adverse fortune di Natione cosi guerriera, replicando con S.Cipriano, Madet Orbis mutuo sanguine. E quelle solamente scriverò, nelle quali Velletri vi trovarò espressamente involto, come Città potente, di cui disse un'Autore, Velitræ Oppidum antiquitate, et potentia clarum.

La prima Guerra de' Volsci contro Romanila fecero li Velletrani, non già nel tempo di Tarquinio Superbo, quando intende Livio di sopra accennato, ma nell'Impero di Anco Martio Quarto Rè de'l Romani, più di Cento Anni avanti, cosi registra Dionisio; perche terminata la Guerra de Veienti, li Velletrani cominciarono loro ad infestar Roma, con saccheggiargli il proprio territorio, per lo che fù di mestiere, che Anco Martio spedisse numeroso Essercito per far resistenza al valore, e furor de' Volsci, come fece; dal quale scacciati i Soldati, che depredavano, acquistata la nostra Campagna, assediata la Città con fortificazioni, e ripari, voleva dar l'assalto, ma à preghiere de' Cittadini, che s'obligarono di risarcire gli danni fatti, e dargli in mano li Soldati colpevoli, si fece tregua, e poi si stabilì la pace, con rinovatione d'amicitia trà Velletrani, e Romani, Nec à Volscis pacata sunt omnia, et Obsessisq. Velletris, et a Vallo circumdatis, toto agro potitus Urbem ipsam parabat invadere, sed cum grandævi Oppidorum supplices progressi pollicerentur se iuxta Regis existimationem, illata damna persoluturos, et fontes dedituros ad supplicium, rebus per inducias restitutis, infædus eos recepit, et amicitiam. Di Tarquinio Superbo Velletri ne fece poca stima, perche doppo aver questo Rè Tiranno usata una crudeltà incredibile contro Turno Herdonio Coriolano huomo ricco, di gran seguito, e molto esperto nell'arte militare, con farlo gittar dentro una cupa voragine, sotto falso pretesto, ch'egli congiurato havesse contro li Nobili de' Latini, per lo che gli fede da' servi metter di nascosto molt'armi di quelli tempi nel proprio albergo; usato, dico, questo tradimento, voleva il crudele l'amicitia de gl'Hernici, e de' Volsci, et esser di questi Popoli, com'era de' Latini, dichiarato Signore. Tutti gl'Hernici si resero pieghevoli alla tirannia di Tarquinio, ma non già li Volsci, perche da gli'Antiati, et Eccetrani in poi, Velletri con l'altre Città tutte, come libere non fecero conto, ne di Tarquinio, ne del suo Impero, Tatquinius gentis Imperio potitus Legatos misit ad Volscos, et Hernicos, eorumquè amicitiam, et societatem expetens, Volscorum duo tantum populi assenserunt, Heccetrani, et Antiates; Hernici universi societatem decreverunt; questo registra Dionisio. E vero, che nel Consolato Undecimo, essendo Consoli Q. Clelio Siculo, e Tito Largio Flavo, ò l'Anno avanti, volendo Mamilio Ottavio favorire le parti di Tarquinio Superbo suo socero, già discacciato da Roma, procurò la confederatione de molti popoli contro Romani, frà quali vi furono ancora li Velletrani, forse perche Capo di questa sollevatione era il detto Ottavio parente, ò discendente da gli Ottavij di Velletri, alla di cui richiesta fecero i Velletrani quello, che non havevano fatto per un Rè regnante. Tanta era l'autorità di questo Ottavio, che Fenestella dice, che sollevasse trenta Popoli, de' quali egli con Sesto Tarquinio fù fatto Capo; e Dionisio scrive, Ex his omnibus populis dilectu iuniorum habito, tantum copiarum contractum, quantum Octavio Mamilio, et Sexto Tarquinio satis visum est, penès quos erat imperium. Fù disfatta però questa Lega o Sollevatione de' Congiurati, perche si fece una Guerra crudele, nella quale restò morto Marco Valerio fratello del Publicola; Tito Ebutio Maestro de' Cavalieri ne restò ferito; e Mamilio malamente offeso nel petto, e poi ucciso da Tito Herminio; e li Latini, et altri confederati universalmente sconfitti nella Riva del Lago Regillo, Tantusque ardor fuit, ut eodem impetu, quo fuderant hostes Romani Castra caperent. Hoc modo ad lacum Regillum pugnatum est, nel fine del racconto dice Livio. Questo Ottavio Mamilio, se bene era primate trà Latini, con tutto ciò era Volsco di Natali, perche era descendente da Telegono figlio d'Ulisse, e Circe, generato, et allevato nell'isola Aeea, detta poi Circeio dalla suddetta Circe, cosi vuole Ditte Cretense, Per id tempus Telegonus, quem Circe editum ex Ulisse apud Æææm Insulam educaverat; e da questo figlio fù per sinistro caso Ulisse inavedutamente ucciso.

Nel Consolato XV. Aulo Virginio, e Tito Veturio, li Volsci, e particolarmente li Velletrani, ò perche i Romani non volsero restituirgli il Contado preso l'Anno avanti, ò per abbassare gl'avanzamenti della Republica, fecero nuova, e numerosa levata di gente, quando li Sabini, e gl'Equi facevano per altra parte l'istesso; e mentre s'incaminavano all'impresa, s'oppose à quelli Veturio; et à nostri Virginio, che se ben era di numero de Soldati inferiore con tutto ciò, senza dar tempo à più grave apparecchio, andò veloce ad incontrar il campo de' nostri, havendo prima dato il guasto alla Campagna. Si venne à giornata, e perche li Volsci erano Superiori di forze (ma inferiori di fortuna) beffeggiavano li Romani, nulla stimando l'Armi nemiche; anzi tenendo certa la vittoria dal canto loro, stavano accampati senz'ordine. Ciò visto, e considerato da' Romani, scorgendoli ancor fermi, e pigri, senza punto allestirsi alla pugna, come non aspettassero l'impeto nemico, e si fossero scordati della solita bravura, gli corsero repentinamente addosso, che fatti vili, e codardi voltarono al nemico, che feriva, le spalle, e corsero fuggendo per ricovero, e scampo à Velletri. Li Romani più freschi, aiutati dalla Sorte, che gl'acompagnava, con maggior vigore li seguitavano, et entrando con meschianza e vincitori, e vinti, e Romani, e Volsci, in Velletri, fecero più cruda strage, che nel Campo fatta non havevano, et à quelli solamente si condonò la vita, che gettate l'armi in terra, ricorrevano alla pietà Romana. Fù in quella guerra tolto il territorio Veliterno, perdita di gran consideratione, et alla Città fatta Colonia, furono mandati nuovi habitatori, non sò se per uccisione fatta de' Soldati Cittadini, ò per tenere la Città in freno. Castrum exutum hostem Velitras persecuti uno agmine victorem cum victis in Urbem irrupere, plusque ibi sanguinis promiscua omnium generum cæde, quam in ipsa dimicatione factum, paucis data venia, qui inermes in deditionem venerunt. Volscis devictis Veliternus ager adeptus, Velitras Coloni ab Urbe missi, et Colonia deducta, cosi scrive Livio, ma Dionisio, Fidentes enim (dice) maioribus copiis, et obliti superiorum cladium ut primum Romanos videre, Castra contulerunt cum eis, progressiquè in aciem, post acrem pugnam maiore clade accepta quam reddita, in fugam versi sunt, simulq. Castra vi capta, Velitræ expugnatæ Nobile gentis Oppidum, dalle quali parole di Dionisio si scorge la differenza nelle passioni di questi due Scrittori, mentre non pigri, e timorosi li Volsci, ma arditi, e pronti furono li primi à muovere coraggiosamente le Squadre, e solleciti à menar le mani; e se restarono perditori, non fù senza molto sangue de' nemici Romani.

Doppo qualche guerra fatta con gl'istessi, restarono li Volsci intimoriti, non già dall'armi Romane, ma dalla Peste, che fece in poco tempo in tutte le loro Città, e Terre grandissima strage, e più per quello, che fece in Velletri, dove nel Cons. XVII. essendo Consoli Tito Geganio, e Publio Minutio, furono da Roma mandati nuovi habitatori, che se non havessero havuto tal flagello, di sicuro non sarebbbero restati li Velletrani di far quello, à che la natura martiale gl'eccitava, così dice l'istesso, Ni Volscos iam moventes Arma pestilentia ingens invasisset, ea clade conterritis hostium animis, ut etiam ubi ea remississet terrore aliquo, et Velitris auxerunt numerum Colonorum Romani. Ma non finirono per ciò le Guerre.

Perche nel Consolato XX. essendo Consoli Tito Sicinio, e Caio Aquilio, si guerreggiò contro Romani, invadendo il loro territorio li nostri Volsci congionti con gl'Equi, e perche si mossero ancora gl'Hernici, contro quelli andò Caio Aquilio, che di tal maniera gl'intimorì, che se ne fuggirono veloci sparsi in diversi luoghi, e lasciarono la loro campagna in preda à nemici, Nemine audente congredi (dice Dionisio) Sicinio venne contro Volsci, e con il nervo dell'Essercito gionse in Velletri, dove come in Città principale della Natione stava Attio Tullo con bellissimo, e copiossissimo Essercito, Sicinius in Volscos missus cum robure copiarum in Veliernum agrum irrupit, nam ibi erat Tullus Actius Volscorum Dux cum florentissimo Exercitu volens Romanorum socios debellare primum, sicut Martius in initio fecerat. Voleva seguitar l'impresa di Martio il Capitano, perche vinti, e debellati gl'amici, e confederati de' Romani, gli si rendeva facile di atterrare col suo poderoso Essercito la Romana Repubblica; si guerreggiò poco distante dalla nostra Città verso la montagna in luoghi disastrosi, e pieni di sassi, molto fastidiosi per li Cavalieri dell'una, e l'altra parte, Fuit autem locus medius, in quo pugnandum erat Tumulus saxosus, et salebrosus, ubi Equitatus neutris esset usui. Si combattè per qualche buono spatio del giorno, senza vantaggio, e questo veniva per la dissuguaglianza del sito, ch'apportava hora à Volsci, et hora à Romani notabile giovamento, intanto, che non lasciava prendere la vittoria più all'una, ch'all'altra parte, Itaque ad multum diei Marte æquo certatum, quia loci natura inæqualis, nunc hos, nunc illos innabat; s'incrudeliva la guerra, li Romani riempivano le Fosse con rami d'arbori, et altre materie, et Tullo coraggiosamente con una squadra de' suoi più valorosi scorreva, e soccorreva ove vedeva maggior bisogno; faceva egli gloriose prodezze, ma alla fine ne restò ferito, e morto, Occurrit Tullus Actius cum valentissimis, et audacissimis edens multa præclara facinora, erat enim pugnator robustus, et manu promptus, sed Imperio parum idoneus, ibi labore fessus, opplessusq. vulneribus cecidit; tanto riferisce Dionisio, e lo conferma il Sabellico con queste parole, In Veliterno Agro cum Tullo Actio iusto, cruentoq. Bello concursum, ibiq. Actium Tullium fortiter dimicantem pluribus vulneribus acceptis, mortem occubuisse, etc.

Continovarono le Guerre de' nostri Volsci con scambievoli fortune, quali non racconto, perche voglio registrar solamente le particolari de' Velletrani, come fù quella al tempo del Dittatore Cornelio Cosso, che se bene fù Guerra mista di più Nationi, cioè Volsci, Latini, et Equi, vi s'aggiunsero specialmente le Genti di Circeio, e di Velletri, dice Livio, Volscorum Exercitus fuit, etc. Ad hoc Latini, Hernici accesserunt, et Circeiensium, et Coloni à Velitris. Havendo il Dittatore fatto Maestro di Cavalieri Tito Quintio Capitolino andò di persona all'oppugnatione di Essercito cosi formidabile; s'accampò in luogo avantagioso, e doppo gl'augurij superstitiosi, e sacrificij vani fatti à falsi Dei, si presentò la mattina per tempo avanti à suoi Soldati, che di loro arnesi s'armavano per la futura battaglia, per la quale aspettando stavano attenti il segno propostoli per ordine dell'istesso Dittatore. Questo con breve concione per darli coraggio, et animo al ben ferire, gli diede speranza della vittoria, e gli promisse, per li felici augurij havuti, il favore de' Dei. Finalmente doppo haver dato al Maestro de' Cavalieri gl'ordini necessarij, si diede principio alla zuffa. Furono in questa battaglia li Cavalieri Romani li primi à dar con impeto sopra la Fanteria de' Volsci, à quali cagionarono tanto scompiglio, e disordine, che n'apportò timore fino all'ultima schiera; onde li Soldati, che dovevano con l'armi in mano difendere la vita, la libertà, e la Patria, gettate l'armi altrove, si davano in fuga. Durò il conflitto fino alla notte, ne furono fatti molti prigioni, de' quali la maggior parte fù riconosciuta essere de' Latini, et Hernici; e perche non erano gente vili, e della plebe, si concludè che simili Soldati non potevano essere stipendiarij, ma franchi. Vi furono trovati alcuni Capi principali della gioventù nobile, ch'apportarono chiarezza, che li Volsci erano stati in questa sollevatione aiutati dalla Republica. Furono parimente riconosciuti alcuni di Circeio, e di Velletri, e mandati tutti à Roma, manifestarono à Senatori la loro sollevatione, Pars maxima captivorum ex Latinis, atquè Hernicis fuit, nec hominum de plebe, ut credi posseti, mercede militasse, sed principes quidam Iuventutis inventi, manifesta fide, publica ope Volscos hostes adiutos, Circeiensium quoquè quidam cogniti, et Coloniæ à Velitris, Romam omnes missi. La colpa maggiore di questa sollevatione fù de' Velletrani; quindi volendosi scusare, e richiedendo li prigioni, tutti hebbero da' Padri Senatori aspra risposta, ma più cruda, et aspra li Velletrani, et Circeiensi, Tristia responsa reddita, tristior a Colonis, e questo, perche essendo loro Cittadini Romani, havessero acconsentito, e con l'Armi, e col Conseglio alli danni di Roma, ch'era lor Patria, Quod Cives Romani Patriæ oppugnanda nefanda Consilia iniissent, seguita Livio, e perciò con poco gusto furono dal Senato mandati via gl'Ambasciatori senza li richiesti prigioni.

Non lasciarono però li nostri Volsci il naturale ardire, ma più inaspriti l'Anno seguente radunarono un'altro Essercito con la confederatione de' Lanuvini più copioso, e poderoso del primo. Questa levata di gente cosi repentina fù da' Romani sentita, e stimarono li Senatori, che fosse stata caggionata da' Velletrani, onde dissero, che se fossero stati castigati nella passata guerra, di sicuro non haverebbono suscitate nuove fattioni in dispreggio della Romana Repubblica, Id Patres rati contemptu accidere, quod Veliternis Civibus suis tamdiù impunita defectio esset. Si risolvè da' Senatori la Guerra contro Volsci; e se bene li Tribuni erano di contrario parere, nulladimeno erano cosi temuti li Volsci, e particolarmente li Velletrani, che tutte le Tribu ad onta de gl'istessi Tribuni approvarono contro Volsci la Guerra; et aspettando la creatione de' nuovi Tribuni con potestà Consolare, furono (trà gl'altri compagni restati alla Guardia di Roma) eletti Spurio, e Lucio Papirij. Questi condussero direttamente l'Essercito à Velletri, Insequenti anno Spurius, et Lucius Papirii novi Tribuni Militum Consulari potestate Velitras Legiones duxerunt, dice l'istesso. Furono li nostri aiutati da' Prenestini, con li quali sempre passò buona amicitia; si venne al fatto d'arme con la solita fortuna de' Romani; e perche la battaglia fù vicino à Velletri, li Volsci scorgendo il pericolo, che li soprastava, si missero con maturo consiglio in fuga verso la Città, dove e li Velletrani, e li Prenestini hebbero sicuro ricovero, Ita ut propinquitas Urbis hosti, et causa maturioris fuga, et unum ex fuga receptaculum esset. Era ben munita, e forte la Città di Velletri; perciò stimando li Romani, ch'il combattere non apportarebbe sicurezza di vittoria, ma più presto pericolo di perdita, fecero altra risolutione, Oppidi oppugnatione Tribuni abstinuere, quia et anceps erat, etc. Se ne scrisse perciò à Senatori in Roma, incolpandone più li Prenestini aussiliarij, che li Velletrani principali, et à quelli intimarono la guerra col conseglio de' Padri Senatori, e del Popolo. Li Prenestini coraggiosi congionti con li Volsci amici, et in particolare con li Velletrani, formato un buon'Essercito, pigliarono à viva forza Satrico de' Volsci, ma Colonia de' Romani, usando contro li defensori Romani grandissima crudeltà, che caggionò nel cuore de' Senatori dispiacere non poco, onde crearono subito Tribuno militare la settima volta Marco Furio Camillo. Nacque in Roma nell'istesso tempo un certo che di seditione, e fù per la strettezza, e rigore, che s'usava contro debitori, essendo Consoli C. Sulpitio Camerino, e Spurio Postumio, che risaputa da' Prenestini, e certi, che le discordie della povera Plebe non havevano permesso il descrivere l'Essercito; dichiararono i Capi della Guerra, e fatti animosi, con l'armi in mano, diedero il guasto alla Campagna Romana, e giunsero senza ritengo alcuno predando fino alla Porta Collina, con tanto gran timore de' Romani, che s'uguagliò à quello ricevuto da' Galli, quando giunsero al Capitolio. Fù per questo dichiarato Dittatore Aulo Sempronio, che radunato buon'Essercito, procurò di subito incontrar l'inimico, come fece nel Piano d'Allia, luogo celebre, ma infausto per la rotta, ch'una volta vi riceverono i Romani; si venne alla zuffa, nella quale restarono perditori li Prenestini, in tanto, che furono necessitati fuggire alla sicurezza della loro Città, e vi perderono alcuni Castelli della loro Signoria, senza che molto si contrastasse. Il Dittatore doppo haver ricevuta la vittoria, condusse il suo Essercito à Velletri, come Città confederata de' Prenestini, che doppo non molto battagliare, per non ritrovarsi ben munita, fù espugnata, Deincepsquè haud magno certamine captis, Velitras Exercitus ductus, ea quoque expugnata, et alla fine di Preneste ancora l'istesso fù fatto, come Livio narra, Tum ad caput belli Præneste ventum, id non vi, sed per deditionem receptum est.

Si conservarono nell'innato ardimento li nostri Velletrani, perche essendo nata gara in Roma trà li Tribuni, e li Patritij per la pretensione, che quelli havevano di fare eleggere un Console Plebeo, onde si trattennero l'Elettioni de' Supremi Magistrati da cinque Anni in circa, e si lasciarono in abbandono li più importanti affari della Republica. Da questo li nostri Velletrani divenuti più altieri, et invigoriti per l'otio di qualche tempo, scorsero, predando più volte il territorio Romano, e con molta bravura tentarono di pigliare Tuscolo. Erano i Tuscolani amici, anzi Cittadini Romani, e perciò ricorsero per aiuto al Senato. Sentito ciò, e li Padri, e la Plebe di simile novella si vergognarono non poco, che fù caggione di far nuovi Tribuni Militari, quali con prestezza radunaron'un'Essercito, e s'opposero a' Velletrani, li scacciarono dall'assedio, gl'inculcarono sin dentro le mura di Velletri, et assediarono la Città con maggior strettezza, che non havevano li nostri assediato Tuscolo, Veliterni Coloni gestientes otio, quod nullus Exercitus Romanus esset, et agrum Romanum aliquoties incursavere, et Tusculum oppugnare adorsi sunt, etc. Obsidebanturq. haud paulò vi maiore Velitræ quam Tusculum obsessum fuerat. Da' Tribuni, et Soldati assedianti non si fece cosa di rilievo, che fusse stata degna di memoria, stante il valore de' Cittadini, e fortezza della Città, Nihil ne ab vis quidem Tribunis ad Velitras memorabile factum. Quanto fosse grave quest'Assedio, si puol argomentare da questo, che li Romani non potevano celebrare li Comitij, se prima non tornavano li Soldati da Velletri, dove ne stava un grandissimo numero, cosa mai, o pochissime volte occorsa in altri assedij, Velitris in Exercitu Plebis magnam parte abesse, in adventum militum Comitia differre debere. Hor consideri il Lettore, quanto numeroso fosse l'Essercito de' Romani, qual fosse la fortezza della Città, e quanto il valore de' Velletrani. Si congregarono alla fine li Comitij, ne' quali si proposero molte cose, particolarmente la creatione di Dieci huomini in vece di Due, per le cose Sagre, che parte fossero della Plebe, e parte de' Patritij, ma niuna cosa si risolvè, se non doppo levato l'assedio da Velletri, Omnium earum rogationum Comitia in adventum eius Exercitus differunt, qui Velitras obsidebat. Ma perche li nostri Cittadini si portarono coraggiosamente in defender la Patria; scorse più d'un'Anno avanti, che senza frutto alcuno si levasse l'assedio, Priùs circumactus est Annus, quam à Velitris reducerentur Legiones. E fù così lungo l'Assedio, et à Romani noioso, che si cominciò a mormorare alla gagliarda, che la gioventù Romana stasse occupata, e trattenuta nell'Assedio di Velletri, come in Esilio. Così tra gl'altri richiami diceva Licinio Sesto, Deinde ablegatione Iuventutis ad Veliternum Bellum, perche tutte le Guerre terminarono, tutti li motivi de' Stranieri s'ismorzarono, e tutti li Popoli nemici si quietarono, solamente rimase l'Assedio di Velletri, quale stimavano ancora di sicura vittoria, benche di lungo tempo, Cum præter Velitrarum Obsidionem tardi magis rerum exitus, quam dubii, quietæ externæ res Romanis essent, tanto registra l'istesso Livio. Quello ch'io noto in questo Autore, è che per non registrare il valore de' nostri Cittadini, et il poco profitto de' Romani in questo assedio, sicome non poteva registrare la vittoria, ne meno hà voluto scrivere la di loro poco honorevole partenza, e perciò raggionevolmente il Loritho d'un tal silentio si maraviglia, dicendo Mirum cur non vel dissolutionis, vel expugnationis alicubi meminerit Livius.

Continuavasi l'Assedio in Velletri, e quantunque poi suscitassero nuovi rumori, e si facessero per altre parti levate di genti contro Romani, mai abbandonarono la nostra Città, tanto assediata, quanto odiata; perche sapevano li Padri del Senato molto bene quanto potente essa fosse; e se doppo molt'anni partirono, fù senza profitto; perche nel Cons. XCV. essendo Consoli Caio Fabio, e Caio Plautio, li Privernati, e Velletrani, come popoli non solamente di natione, ma d'amicitia, fecero grandissimo impeto in dar il guasto al Contado Romano, con danno notabilissimo della Republica, e fù in quel mentre, che li Tarquiniensi in un fatto d'armi roppero l'Essercito di Caio Fabio Console, e fecero un scelerato Sacrificio di Trecento, e sette Soldati Romani, crudeltà tanto horrenda, che più dispiacque al Senato, che la sconfitta dell'Essercito, Accessit ad eamdem Cladem, et Vastatio Romani agri, quàm Privernates, Veliterni deinde incursione repentina fecerunt, disse Livio.

Doppo Diecedotto anni, ne' quali molte Guerre si fecero trà Romani, Volsci, et altri Popoli, Lucio Annio Setino, e Lucio Numicio Circeiense, le Patrie de' quali erano Colonie Romane, givano sollevando li popoli, tanto della nostra Natione, quanto della Latina, e de' Confederati, fecero grandissima impressione ne' petti di molte genti; eccetto che de' Velletrani, e de' Segnini, che come generosi ricusarono tal'unione, non comportando il dovere, c'havessero à muovere le loro armi à richiesta d'altri, come solevano fare per la loro grandezza, Prætores tum duos Latini habebant, Lucium Annium Setinum, et Lucium Numicium Circeiensem, ambo ex Coloniis Romanis, per quos, præter Signiam. Velitàsque, et ispas Colonias Romanas, Volsci etiam exciti ad Armaverant, questo scrive Livio. Io non mi posso persuadere, che questi due Pretori fossero della Natione Latina differente dall'altre, ch'allora habitavano nel Latio, cioè Volsci, Equi, et Hernici, ma del Latio in commune, perchè Circeio era de' Volsci, cosi ancora Sezze, come s'è provato di sopra; nè haverebbono due Volsci tentata tal unione senza la participatione d'una Città cosi insigne, com'era Velletri. E Velletri, quando havesse considerata giusta, e raggionevole la motione dell'Armi contro Romani, non haverebbono ricusata l'impresa, che da quelli se gl'antiponeva.

Quanto sia vero, che solamente per honorati rispetti ricusassero i Velletrani di muover l'Armi à richiesta de gl'accennati Pretori, si puol dedurre da questo, che l'Anno seguente, essendo Console Tito Emilio Mamerco, e Quinto Publio Filone, si mossero li nostri Cittadini à favore di Pedo, come fecero ancora li Tiburtini, e Prenestini, Popoli amici, e confederati, e poco doppo li Lanuvini, et Antiati. Si venne al fatto d'Arme, nel quale li Romani restarono superiori, ma con non molto guadagno, perchè la Città restò intatta, e gl'Esserciti amici senza perdita. Si lasciò la Guerra per l'Anno seguente, e li nuovi Consoli proseguirono l'impresa contro Pedo. Non potevano l'altre genti del Latio formar campo reale, e far guerra aperta, perche per le passate rotte, havevano perduta quasi tutta la più bella gioventù, ne meno potevano sopportar la pace con la soggettione all'altrui Dominio; e tanto meno, quanto che quasi tutto il territorio della Regione, cominciando da Piperno sin al fiume Volturno, che scorre vicino alle mura di Capua, era di già stato pigliato, e distribuito, et assegnato alla Plebe: perciò con maturo conseglio risolverono di non muover guerra, ma solamente d'aiutare, e soccorrere quelle Città, che fossero state da' Romani, ò assalite, overo assediate. Tanto fecero à Pedo, al di cui aiuto andando gl'Aricini, li Lanuvini, e li Veliterni, gionti al fiume Astura, furono all'improviso, mentre s'univano con gl'Antiati, da Caio Menio Console combattuti, e rotti, Tiburtes, Prænestiniq. quorum Ager proprior erat, Pedum pervenere: Aricinos, Lanuvinos, et Veliternos Antiatibus Volscis se coniungentes ad Asturæ Flumen, Menius improvisò adorsus fuit. Sono queste parole di Livio. Fù questa una vittoria delle maggiori, c'havessero in quei tempi li Romani, perche per essa restò soggiogato tutto il Latio. Nec quievere antequam expugnando, aut in deditionem accipiendo singuals Urbes. Latium omne subegere, Ricevuta una tal vittoria li Romani, volsero mortificare con qualche risentimento, tutti quelli Popoli, che restarono nella passata Battaglia superati, et à chi un castigo particolare, et à chi l'altro fù dato à lor capriccio. Li Velletrani solamente furono con più severi trattamenti castigati. Li Lanuvini restarono astretti, che la loro Selva sacra dovesse per l'avvenire esser commune à Romani, com'anco il Tempio di Giunone Sospita, e se hebbero la Civiltà, fù con la perpetua soggettione al Popolo Romano. Gl'Aricini, li Numentani,e li Pedani furono trattati con le medesime conditioni. De' Tuscolani quelli pochi solamente furono castigati, che stimarono Capi della loro ribellione. A' Tiburtini, e Prenestini fù parte del loro Contado tolto, non tanto per caggione di questa Guerra, quanto, perche una volta gli havevano fatta lega con li Galli. A gl'Antiati furono tolte le Navi lunghe, e l'uso del navigare. A chi fù prohibito il comercio, à chi il poter apparentarsi insieme; in somma furono diversi li castighi dati à quelli popoli, à chi poco, et à chi molto. Velletri solamente, forse come più potente dell'altre Città, e di maggior contrasto à Romani, fù più severamente, e senza pietà trattata. Furono demolite le mura della Città, gettate à terra l'habitationi, et il Senato Veliterno confinato in Roma di là dal Tevere, con Decreto, che chi fosse gionto di quà dal fiume, pagasse mille Lire, ne potesse esser liberato, e sciolto da chi pigliato l'haveva, se non doppo pagato intieramente il denaro; ne' poderi de' nostri Senatori deputarono nuovi habitatori, che furono poi chiamati Coloni. E volendo l'Historico apportar la caggione di tanto rigore, per non dir lo sdegno, che portavano li Romani à Città così potente, et il dispiacere della grande, e lunga resistenza fattagli nel passato Assedio; dice, fosse, perche li Velletrani, essendo Cittadini Romani, tante volte s'erano ribellati; poteva pur dire, ch'à ciò gl'haveva introdotti il timore che gl'apportava, questa Città. In Veliternos veteres Cives Romanos, quod toties rebellassent, graviter sævitum, et muri desiecti, et Senatus indè abductus, iussiquè trans Tiberim habitare, ut eius quis eis Tiberim deprehensus esset, usquè ad mille pondo clarigatio esset, nec priusquam æere persoluto is, qui cœpisset, extra vincula captum haberet, in Agrum Senatorum Coloni missi. E vero però, ch'in breve tempo furono risarcite le mura, la città ripopolata con la Romana Cittadinanza, e con tutte quelle honorevolezze, che solveano concedere li Padri, e che godevano ancora l'altre Colonie, Quibus adscriptis, speciem antiquæ frequentiæ Veliternæ receperunt. La caggione, per la quale fossero risarcite le mura della Città, l'hò sentita da un curioso, che sia stata questa; perche un nostro Cittadino fece un servitio non ordinario in tempo di perigliosa guerra alla Repubblica Romana, tanto dal Senato Romano ottenne. In ciò mi riporto al vero, perche l'Autore, nel quale, dicesi, che vi sia registrato, non mi è capitato alle mani. Trovo ben si in Livio, che Piperno fosse con l'istesso rigore che Velletri maltrattata, De Senatu Privernate ita decretum, ut qui Senator Priverni post defectionem ab Romanis mansisset tran Tiverim, lege, qua Veliterni, habitaret, cosi termina Livio. Erano queste due Città, Piperno, e Velletri pari nella potenza, ambedue popolate, e principali de' Volsci; onde non sia maraviglia, se per la gloria, che mostravano, e lo splendore, che promettevano per l'avvenire, le fece uguali nelle sciagure, e nell'asprezza del castigo, Et era tanto lo sdegno de' Romani contro queste due Città, ch'incrudelirono ancora sopramodo contro Tuscolani, per havergli nelle passate guerre prestato aiuto; quindi dalla Tribù Pollia fù fatto Decreto (benche le Donne vestite di lugubre, con piccoli Bambini in braccio, et abbandonati di lagrime supplicassero misericordia, e pietà) che li Giovenetti di quattordeci Anni in sù, fossero con verghe battuti, e morti; e che le Donne, e li Fanciulli fossero all'incanto venduti sotto la Corona: Sentenza tanto stravagante, quanto cruda, ma dall'altre Tribù rivocata, Marcus Flavius Tribunus Plebis tulit ad Populum, un in Tusculanis animadverteretur, quorum ope, et consilio Veliterni, Privernatesq. Populo Romano Bellum fecissent. Scrive l'istesso Autore. Abbassate per tanto l'altere Cervici queste due insigni Città, respirarono li Romani; perche s'impose fine alle Guerre de' Volsci, più feroci, e più potenti nemici della Repubblica: e ben li fù necessario per la Guerra, che li fecero li Cartaginesi sotto la scorta, e comando d'Anibale, che gionse fin'alle Porte di Roma: la quale contro tutte le Nationi si fece conoscere Fortunata; onde con Plutarco si potè dire, che Roma era il vero Albergo dell'humana Fortuna, Postquam transmisso Tiberi ad Palatium appropinquavit, alas deposuit, Talaria exuit, ac infideli, et versatili illo globo misso facto, ita intravit Romam, ut mansura. E perciò come nota il Dempsero Roma si puol chiamare Città eterna, così scrive Ammiano Marcellino, Orphitus Præfecti Potestate regebat Urben æternam. E lo conferma Tibullo con li seguenti due versi.

Romulus æternæ nondum fundaverat Urbis Mœnia consorte non habitanda Remo.

Velletri Capo de' Volsci. Cap. VII.

Sette Sono le Città insigni, che per testimonianza di gravi Autori, hanno goduto il Primato de' Volsci, in questa guisa (direi) che sette Città famose hebbero civil contesa, per essere stimate dal Mondo Patria del gran Poeta Homero, quindi, se di quelle da persona indifferente si lasciò scritto,

Septem Urbes certant docto quæ Patriæ Homero

Di queste parimente potrò dimostrare Io à qualunque sia curioso Letore, che,

Septem Urbes certant Volsca quæ Regiæ Genti

E se quelle furono Smirna, Colofone, Rodi, Salamina, Chio, Argo, et Atene. Queste sono Anzo, Eccetra, Ferentino, Piperno, Sessa, Terracina, e Velletri. Sono alcuni, che pretendono poterci connumerare Coriolo, e Fregelle, ma à mio giudicio s'ingannano, perche se bene furono Città principali in comparatione à molt'altre, e di quelle furono stimate come Capo, con tutto ciò non hebbero la preeminenza in tutto il Regno de' Volsci. In prova di quanto dico, per Coriolo, recitarò le parole di Dionisio, che facendo mentione di Postumio Cominio Console dice, Sequenti die cum Ecercitu Coriolos petiit Urbem nobilem, et quasi Caput Volscorum. E per Fregelle registrarò le parole di Strabone, che sono queste, Fregellæ nunc vicus, olim Urbs celebris, multarumq. iam dictarum caput.

Non voglio in questo luogo per narrar la grandezza di ciascheduna di queste Città far lunga tessitura, e noioso racconto d'Autori et antichi, e moderni, bastandomi far solamente vedere à curiosi, ch'ogn'una di esse ha il suo assertore patrocinante. Che Anzo sia stato Capo de' Volsci, l'asserisce Livio, che narrando come furono li nostri abbandonati da' Latini, et Hernici, debellati da Furio Camillo, doppo la presa de' Veij, e di Faleria, dice, Volsci abiectis armis, sese dederunt cæterum animus Ducis rei maiori Antio imminebat, id Caput Volscorum. Per Eccetra ne fa chiara memoria Dionisio, che registrando la vittoria di Fabio Vibulano in Algido contro Volsci, et Equi, e la condotta del suo Essercito, dice, Non diù hic moratus duxit Eccetram, quæ tum Volscorum Caput erat.

Di Ferentino ne fà autentica il Sabellico, che scrivendo il Concilio fatto dà Volsci disgustati dà Romani per astutia di Tullo Attio, dice, che si radunassero in Ferentino. Qui suos longo agmine abeuntes ad Caput Ferentinum excipiens multa de præfesenti Romanorum iniuriam quæstus.

Piperno ha il suo vivente difensore, dico il Padre Teodoro Valle, che con molta eruditione prova esser stata questa Città Capo de' Volsci, et apporta quelle raggioni, che congionte con l'autorità, ha stimate bastevoli per honore della sua Patria.

Sessa vien protetta con l'autorità di Strabone, il quale facendo mentione della presa di questa Città dal figlio di Tarquinio Prisco Rè de' Romani (non sò se avanti, ò pur doppo la morte del Padre) dice, Filius eius Suessam cæpit Volscorum Caput.

Di Terracina ne fanno chiarissima fede le parole di Catone, et sono le seguenti, Volosci, quos vocamus Volscos, quibus Metropolis fuit Anxur, nunc Terracina. Di Velletri se ne farà chiara dimostranza seguentemente, per dire con Historica verità. Septem Urbes certant Volscæ, quæ Regia genti

Che Velletri ancor ella Città insigne habbia goduta questa honorevolezza, apertamente lo provarò, mostrando con autorità, e con raggione la verità. E d'avertire, avanti, ch'io dia di mano alle prove, che non nego l'altrui pretensioni, ne meno voglio pigliarmi briga di contrariare a' Scrittori moderni, et antichi, de' quali diversamente chi l'una, e chi l'altra delle accennate Città hanno registrato Regia, e Capo de' Volsci; ne tampoco intendo, che nell'istesso tempo Velletri insieme con l'altre ne fosse Capo, perche sarebbe stata una Repubblica, et un Regno mostruoso, e quasi un'Idra favolosa. Il Regno, ò Republica de' Volsci, per quanto s'è detto di sopra, soggetta a' furori Martiali, hà continuamente con l'adversità, e diversità della fortuna combattuto, e perciò hà variato l'Impero, e la Regia, et hora l'una, et hora l'altra Città col peso sostenuto della Guerra nemica, hanno goduto il nome di Metropoli, e Capo di Popolo così fiero, come da Dionisio si cava, che parlando d'Eccetra, dice, Quæ tum Volscorum Caput erat, tum, allhora cioè, e non sempre. Prima prova per la nostra Città è il superbo Tempio di Marte (del quale raggioneremo à suo luogo) Tempio principale, in cui s'adorava questo falso Nume delle Battaglie, come Dio tutelare della Natione Volsca; Era cosa ordinaria appresso qualunque Natione, ò Popolo, di alzare simili Tempi, ne' quali s'esibiva culto non ordinario al preteso Nume, e se più ve n'erano, in più Città si fabricavano Tempi sontuosi. Roma, benche con vana Religione, e culto s'adorasse, per un certo modo di dire, un'infinità d'Idoli, à quali alzarono Staute, et edificarono Altari, e Tempi; nulladimeno il Tempio di Giove fù il principale, in quello si facevano Sacrificij, et offerivano Voti; à quello s'applicavano spoglie, e particolarmente al Capitolino; quello era in cui spendevano le loro ricchezze, e tesori. L'Annio vuole, che il Nume Tutelare de' Romani fosse Romanesso, per l'augurio, e presaggio buono di tal nome: apportando in sua prova Plinio, che con gl'Autori da Verrio Flacco stimati, narra, che li Sacerdoti avanti alle guerre, e conflitti solevano invocare alle loro bramate vittorie quel Nume, alla di cui tutela stava quella Città, ò Castello, ch'essi espugnar volevano; e facevano superstitiose deprecationi, ferme promesse, e Voti deliberati di maggior Culto, e di più famoso Tempio appresso di loro Romani, che non haveva nel luogo, che si procurava di vincere; quali deprecationi sono registrate da Macrobio. Costume, che si conservava appresso Pontefici: e per questa caggione li Romani furono in ciò prudenti, et astuti, mentre non volsero, che mai si sapesse il nome del Dio loro Tutelare, temendo che li Popoli nemici non si servissero di quelle preghiere à danni loro, Verrius Flaccus (dice Plinio) Auctores ponit, quibus credat, in oppugnationibus ante omnia solitum à Romanis evocari Deum, cuius in tutela id Oppidum esset, promittiq. illi eumdem, aut ampliorem locum apud Romanos, cultumquè Durat in Pontificum disciplina id Sacrum. Constatq. ideò occultatum, in cuius Dei Tutela Roma esset, nè qui hostium similis modo agerent. L'istesso Plinio narra che tal secreto era affattp scancellato dalla memoria de gl'huomini; onde potevano star sicuri, che mai altri popoli nemici gl'haverebbero tolto il loro Nume Tutelare, e per conseguenza ne anco fatto acquisto della Città; e Valerio Sorano, c'hebbe ardimento di revelarlo, ne fù severamente punito. Roma ipsa, cuius nomen alterum dicere arcanis Ceremoniarum nepha habetur, optimaq. et salutari fide abolitum enunciavit Valerius Soranus, luitq. mox pœnæ. Da tutto questo potremo dedurre quanta fosse la moltitudine delli Dei de' Romani: perche, se per pigliare una Città, una Terra, facevano promesse, e voti al Tutelare di quelle, per mettere in esecutione le fatte promesse, e perciò terminata la Guerra, ricevuta la Vittoria, gionto à Roma il Vincitore, e rappresentato à Padri Senatori il voto fatto, si dava subito principio all'opra; così fece Camillo à Giunone, doppo la Guerra de' Veienti; così Marco Emilio all'istessa Giunone Regina, per haver vinto i Liguri; così Q. Fabio alla Fortuna Equestre, vinti li Cletiberi; così Caio Bibulco Censore, alla Salute vinti li Sanniti, e tutti gl'altri Capitani vittoriosi, come nelle Romane Historie si legge. Concludiamo, ch'ogni Natione, e Città haveva il suo Nume Tutelare, e per li Volsci era Marte in nostra antica lingua chiamato Mamerte, dice Festo, e stava in Velletri, come in Città Principale della Natione. Concedo, ch'in Anzo vi fosse il superbo Tempio della Fortuna, in Piperno di Diana; in Terracina di Giove Fanciullo; in Pometia di Feronia; di Giunone de' Gabij; di Matuta in Satrico, et in altre Città de' Volsci altri Numi, ben che bugiardi, follemente s'adoravano ; ma il Tempio di Marte Nume della Natione, come registra Svetonio, stava in Velletri. Secondariamente si prova l'intento per l'Amfiteatro, che stava in questa nostra Città,. Perche era costume nelle Città Metropoli, e Capi di Nationi, e Regni fabricar Amfiteatri con Portici, Archi, et altri ornamenti, e commodità, ne' quali li Gioveni della Natione s'essercitavano, nel maneggio dell'Armi, s'assuefacevano alle fatighe di Marte con lottare, schermire, lanciar Dardi, vibrar Aste; e facevano mostra del proprio valore in finto Agone, per rendersi in vera battaglia, contro nemici, tanto formidabili, quanto instrutti. Vi si facevano ancora li giuochi gladiatorij, si combatteva con Tori, Leoni, et altri fieri Animali, contro quali ogn'uno mostrava il suo ardire, il suo valore. Era il nostro Anfiteatro, con li Portici posteriori, e con tutte quelle commodità, che l'Architettura richiedeva, e che si bramava da' spettatori, che concorrevano à veder allegri, ò mesti Spettacoli. Chi l'edificasse, non ve n'è memoria: fù ben sì un tanto edifici, perche rovinoso stava, nell'Impero di Valentiniano, e Valente ristaurato da un tale Lolcirio Capo, e Rettore della Curia, come si puol vedere dalla seguente mal condizionata Memoria in marmo:

DD. NN. VALENTINIANO ET VALENTE SEMPER AUGUSTIS ...... LOLCYRIUS PRIN. CUR. ET ERITOR DUODENA PROPRIO SU ...... VETUSTATEM CONLAPSUM AT STATUM PRISTINUM REDUX ...... AMPHITEATRUM CUM PORTICIS POSTICIIS ET OMNEM FABRICAM ARENE NEPUS LOLCYRI PRINC. CUR. ET ANTE ERITORIS FILIUS CLAUDI PRINC. ET PATRONI CURIAE PRONEPOS MESSICOR ...... PRINC. FELICITER.

Questa Pietra fù ritrovata in una Torre detta de' Foschi, hora de' Marcelli, e si conserva nel Palazzo Senatorio affissa nel Muro tra le due Curie Civili. Questo risarcimento fù fatto nel Pontificato di S. Damaso tra il CCCLXXV et il LXVIII. Anno della nostra Salute: nel quale morì Valentiniano, dice il Samoteo; overo nel CCCLXXV. come piace al Ciaccone. Terzo le sopr'accennate Guerre, è la prima, che si cominciasse con Romani dalla Natione Volsca, la paura della sua fortezza, il castigo severo, il fine delle Guerre caggionato a' Romani per l'abbassamento di Velletri, possono far prova di quello si pretende. Ma mi servirò dell'autorità (come hò fatto per l'altre) di più Autori. Adriano Romano dice, Belitre Caput antiquorum Volscorum, unde originem traxit Augustus primus Mundi Imperator. L'Anania con le medesime parole conferma l'istesso, dicendo, Belitri Capo de gl'Antichi Volsci, onde hebbe origine Augusto. E quelli Autori, che la chiamano insigne, Nobile, Celebre, Potente, e con altri simili encomij l'inalzano, parimente per Capo la confessano, cosi mi dò à credere, perche solamente à Capi di Nationi si convengono. Concludo dunque, che con la varietà della fortuna si variasse anco la Regia di popolo cosi feroce, e nemico al nome Romano, e con raggione le accennate Città debbano scambievolmente chiamarsi Capo, onde si possa dire,

Septem Urbes certant, Volscæ quæ Regia genti.

elletri Patria d'Augusto. Cap. VIII.

Una delle maggiori imprese, ch'io habbi pensato tirarmi addosso in queste mie rozze fatighe di nullo, ò poco momento, è il poter vincere gl'humani intelletti de' Moderni con il provargli esser Velletri Patria d'Augusto, e ch'un tanto Imperatore habbia in questa Città havuti li suoi natali, e non altrove, Et à far ciò, doverò prima defendermi da Messala Corvino, da Vergilio, e da Svetonio, da' quali tutti gl'altri, et antichi, e moderni Scrittori, par che habbino havuto la norma di registrate, ch'Ottaviano sia nato in Roma; e m'ingegnarò d'apportar à mio favore Autori altrettanto favorevoli, quanto veraci, e cosi spero render chiaro al Lettore quanto altri se siano lasciati ingannare sopra l'asserto della Patria d'Augusto.

Non voglio già riempir le carte di lunga serie di Scrittori d'ogni tempo circa l'origine della Fameglia Ottavia da Velletri, essendo notissimo, che questa Imperial Fameglia sia originaria da questa Città, che sarebbe un presumere di voler accrescere chiarezza al Sole. Li primi honori non conceduti ad altri Cittadini, quello dimostrano, quindi raggionevolmente lo spiegò l'istesso Tranquillo, quando disse Gentem Octaviam Velitris præcipuam fuisse multa declarant; come dire il Vico Ottavio dentro la Città; l'Altare à quell'Ottavio consacrato, che vinse li nemici; il Decreto fatto, che gl'avanzi del sacrificio di Marte si dassero solamente alla fameglia Ottavia, et altre prerogative da Scrittori assegnate. Dalla fama, valore, e potenza di questa Nobile fameglia si mosse Tarquinio Superbo ultimo Rè de' Romani à dar la sua figlia à Mamilio Ottavio, onde n'hebbe tanta sequela, et aiuto. E vero, che dal Prisco Tarquinio Rè de Romani questa Fameglia fù fatta Senatoria, e dal Successore, che fù Servio Tullo, fù ascritta trà le Patritie; doppo con processo di tempo si trasferì, non sò come, trà le Plebee. E Gneo Ottavio padre d'Augusto, prima che fosse Pretore della Macedonia, fù Edile della Plebe, come narra Livio, nel Consolato CC.XLVII. Ma poi Giulio Cesare con la sua molta potenza fece ritornare questa Fameglia con alcun'altre frà le Patritie, cosi nota il Panvino, Cæsar ex Plebeis fecit Patritios, Tullios, Octavios, Iunios, Actios, Pædios, et multas præterea Familias. Si divise questa Fameglia in due rami, per due figli di Caio Rufo Ottavio, ch'era stato Questore, uno chiamato Caio, e l'altro Gneo. Li discendenti da Gneo hebbero li primi honori della Patria, e della Republica, Siquidem Cn. et deinceps ab eo reliqui omnes functi sunt honoribus summis, narra Svetonio. Ma Caio, e suoi Posteri, ò per humani accidenti, ò per proprio volere sempre si conservarono nell'Ordine Equestre fino à Caio padre d'Augusto, che morì in Nola di morte repentina, quando stava per ricevere il supremo Consolato, essendo prima stato Tribuno de' Soldati in Sicilia, Prefetto della Macedonia, e come nota il Vittore, anco Senatore, Octavianus igitur Patre Octavio Senatore genitus. Caius (cioè il primo, sedue Svetonio) eiusq. posteri, seu fortuna, seù voluntate in Equestri Ordine consistere usquè ad Augusti Patrem, e mi dò à credere, che questa Fameglia nel ramo di Caio doveva con qualche presaggio mantenersi nell'Ordine inferiore all'altra di Gneo, perche haveva da godere la suprema Degnità del Mondo, quale ottenne Ottaviano, che fù il primo Imperator dell'Universo, e l'ultimo rampollo di questa Linea. Contro di che alla gagliarda s'oppone il silentio di Messala Corvino, il quale nel libro De Progen. Aug. volendo dimostrare l'antichità della Prosapia di lui, non dice una minima parola di Velletri. Io osservando in questo particolare l'adulatione di questo grave Autore racchiusa apertamente in tutto il suo Libello, ma più quando vuol dare à divedere, che la Prosapia d'Augusto sia maggiore di quella di Romolo; e pure Romolo è discendente da' Rè Latini, e dal Sangue Troiano, ecco le sue parole, Namquè Romulum Romanæ Urbis, Imperiisq. tui Conditorem, Materna Linea, incognito Patre, ortum, tuæ stirpis non censeo, si maiorum Genealogiam rectè complector. Osservi di gratia il Lettore l'adulatione quanta falsità partorisce. Poco avanti Corvino narra, che Numitore Rè di Alba Longa privato fosse del Regno per tirannia del suo fratello Amulio, come per sinistro Fato era privo di figl maschi, e che una sola figliuola havesse, chiamata Rhea Silvia, quale violentata dall'istesso Tiranno fù aggregata trà le Vergini Vestali, che fatta gravida da un Ministro del Tempio di Marte, overo da Marte istesso, come altri pazzamente credevano, partorisse due Fanciulli, Remo e Romolo, Rhea (dice Messala) Geminos edidit Remum scilicet, et Romulum à Marte compressa, ut traditur. Ma forse è più verisimile quello, che registra il Vittore per sentimento di Marco Ottavio, e di Licinio Macro, quali lasciarono scritto, che l'istesso Amulio havesse con inganno violata, e con incesto stuprata la Nipote, At verò Marcus Octavius, et Licinius Macer tradunt Amulium Patruum Rheæ Sacerdotis amore eius captum, nubilo Cœlo, obscuroq. aere, cum primum illucescere cœpissit in usum Sacrorum Aquam insidiatum in Luco Martis compresisse eam. Parlando poi il Corvino di Numitore, dice, Hunc scito Cæsar Auguste Gentis Iuliæ Albanorum Regem ultimum, eamq. Gentem ad Iulium usquè Cæsarem, tequè Principum Decus, sine Imperio, privata in tuæ fœlicitatis tempora terminasse. Dunque dico io, Romolo era della Stirpe Giulia per madre, Ottaviano fù dell'istessa stirpe per madre, doverà necessariamente concludersi, che tanto Ottaviano, quanto Romolo, Materno sanguine, fossero dell'istessa stirpe. Perche dunque di Romolo ad Ottaviano dice, tua stirpis non censeo? Ecco la Falsità figlia dell'Adulatione.

Piglia vigore la mia raggione, perche egli promette ad Ottaviano di scrivere la sua Prosapia, nulla di meno mai fa mentione d'Ottavio Padre, nè della Fameglia. Io non sò che modo di narrare gl'altrui principij sia questo, mentre si tace la stirpe, et il padre; e pure come s'è detto di sopra era fameglia antichissima, e nobilissima. Ecco l'errore caggionato dall'adulatione, che per farlo discendente dalla fameglia Giulia, tace l'Ottavia, e non osserva punto di quello, che all'Imperatore Ottaviano promette. Non doverà per tanto maravigliarse chi legge, se Corvino non scrive ch'Augusto sia nato in Velletri, perche havendo egli lasciato sotto silentio la stirpe, et il padre, per continuare li suoi falli, doveva tacere ancora la Patria.

Anco Vergilio lascia nell'Opere sue di registrare Velletri, cosa in vero da far maravigliare ogni prudente: Perche Vergilio fù al tempo d'Augusto, l'hebbe per Mecenate patrocinante del suo Poema, e tace la Patria. Cadde egli ancora nell'istesso precipitio di Corvino, e gionse tant'oltre dell'adulatione, che pigliò ardimento di chiamarlo Dio, cosi scrisse nella sua Buccolica, dicendo

O Meliobœ, Deus nobis hæc otia fecit; Namquè erit ille mihi semper Deus, illius Aram Sapè tener nostris ab ovilibus imbuet agnus

Servio sopra questo luogo conferma, ch'il Poeta parlasse d'Augusto, chiamandolo Dio, perche lo stipendiava, dicendo, Deus, idest Cæsar. Nella Georgica volendo annoverare Augusto suo Signore trà li Dei, mostra di non potere, ò non sapere risolversi se lo deve collocare trà li Dei Terreni, trà li Marini, overo riporlo trà li Celesti, il che sagacemente spiega il nostro Mancinello sopra quelli versi,

An Deus immensi venias Maris, ac tua nautæ Numina sola colant, tibi serviat ultima Thule

E nell'Eneide lo fa di Stirpe Divina ristoratore del dolce Secolo d'Oro, dicendo,

Augustus Cæsar Divum genus Aurea condet Sæcula, qui rursus Latio regnata per arva Saturno quondam super et Garamanthas, et Indos.

E perciò non istimò conveniente asserire, che Velletri fosse patria di lui, perche se bene questa era Città celebre, e famosa, non era però patria de Dei. Potrei aggiongere un'altra raggione, e scusare in parte il Poeta, et è questa, che Vergilio considerasse quanto li Volsci furono contrarij ad Enea nella Guerra di Turno, e quanto li Velletrani furono nemici al nome Romano, laonde non volesse nominar Velletri, per non dar à divedere, ch'il suo Padrone era de Patria fattiosa, e contraria, onde havesse potuto apportare sinistro pensiero nella mentre de gl'huomini, ch'essendo egli di Città tale (seguitando l'instinto della Patria) havesse potuto, ò voluto soggiogar Roma alla natione Volsca.

Resta, che noi soddisfacciamo à Tranquillo, il quale non solo non dice, che Augusto sia nato in Velletri, ms vuole che sia nato in Roma, In Regione Palatii, Ad Capita Bubula, e che in Velletri sia nella Villa de' suoi Antenati stato educato, e nutrito: e questo luogo sia come sacro communemente da tutti reputato, queste sono le parole di Tranquillo. Monumentum eius obstenditur adhuc locus in atavo Suburbano iuxta Velitras permodicus et Cellæ penuariæ instar, e poi soggionge, Tenetq. vicinitatem opinio, tamquam et natus sit ibi. Da queste parole di Tranquillo Io faccio vero concetto della sua passione, e dico, se è oppinione antica, e quasi traditione, ch'Ottaviano sia nato in Velletri, perche la sprezzi, e t'appigli al capriccioso parto del tuo cervello? Se non è tuo capriccio, ma sentimento d'altri tuoi maggiori, perche non registri l'Autore? S'è tuo pensiero, dunque doverà fermarsi il Lettore, all'appassionato volere d'uno, e lasciar il sentimento di molti, ch'in tante centinaia d'Anni prima di te continovamente hanno tenuto il contrario? E qual raggione lo vuole, ch'io m'appigli al capriccio d'uno, per lasciare il parere di molti? Da persona sagace non si puol capire. Seguita Svetonio, e dice, ch'il luogo dove fanciullo fù nutrito Ottaviano, fosse luogo sacro, in tanto che non vi si poteva entrare, se non per qualche grave necessità, e da persona casta, e pia; e che quelli, che per curiosità, et humano ardimento v'entravano, erano subito ingrombrati da un insolito timore, e spavento, e repentinamente con violenza invisibile n'erano scacciato fuora. Anzi narra un fatto d'un nuovo Padrone di quello, che (non sò se à caso, ò pure per isperimentare virtù cosi maravigliosa) v'andò dentro per dormirvi, ma gli avvenne, che doppo poche hore di notte tutto conturbato, con forza occulta, fù quasi senza spirito, e privo de'sensi gittato fuora, e con tutto il letto, mezzo morto ritrovato lungi dalla porta, Huc introire, nisi necessariò, et castè religio est, concepta opinione veteri quasitemerè, adeuntibus horror quidam, et metus obiiciatur, sed mox confirmata est, etc. Narra di più cosa di maggiore stupore, cioè, che quando fanciullo cominciò Augusto à balbutire, nel sentir lo strepitar delle Rane, egli li comandò il silenzio, e quelle fatte pronte al di lui precetto subito s'ammutirono, Cum primum fari capisset in aviso Suburbano obstrepentes, fortè Ranas silere iussit. Non posso non maravigliarmi mentre considero, che Svetonio Gentile, e superstitioso com'ogn'altro di suo tempo, non habbia saputo, ò voluto osservare il luogo del natale d'Augusto. E chiaro che tanto da gl'Astrologi, quanto da gl'Auguri s'osservano li giorni natalitij, quali da simili soggetti son chiamati fatali, et egli li osservò in Augusto istesso, in Tiberio, in Caligola, in Claudio, Nerone, Galba et in altri ancora. Anzi osservò ne' medesimi giorni le parole d'alcuni in presaggio, ò buono, ò cattivo di quelli che nascevano, come le parole di Nigidio per Augusto; quelle di Domitio per Nerone suo figlio, e non seppe nell'istesso Augusto osservare con più diligenza il luogo del nascimento, come pensò di penetrare li presaggi del luogo dell'educatione, chiamandolo sacro, e pure più sacro, come di maggior presaggio, deve stimarsi il luogo de' natali, che il luogo dell'allievo: e se bene egli scrisse, ch'era nato (come s'è detto di sopra in Roma, In Regione Palatii, ad Capita Bubula), nulladimeno non si registra tal luogo, che sia sacro. Concludesi dunque, ch'essendo cosi superstitiosamente stimato questo accennato luogo, più presto de' natali, che d'allievo creder si debba, onde si possa affermare, che l'oppinione commune, et antica de' Popoli sia certa, ch'Augusto sia nato in Velletri, e non il suo capriccio, che per esser Romano haveva per scopo d'accrescere honore, e fama alla Patria con li natali del primo Imperator del Mondo, come Roma era Capo, e Regina del Mondo.

Resta convinto Tranquillo con quello, ch'egli stesso dice, trattando de' portenti, et augurij, che presaggivano le felicità d'Ottaviano; frà quali narra, che le Guerre immortali nate trà Romani, e Velletrani fossero, perche essendo stata una parte della Città di Velletri toccata dal Fulmine (chiamato Fulmen Regale) li nostri Cittadini andarono all'Oracolo, e ne riportarono per risposta, che un Cittadino di Velletri doveva dominare il Mondo; dal che insuperbiti, si mossero subito, e con l'armi alle mani coraggiosamente cominciarono à far Guerra à Romani, che durò lunghissimo tempo, con esterminio quasi della propria Città. E se bene l'Oracolo era per se stesso fallace, e bugiardo, con tutto ciò verificossi il suo detto (ancorche tardi) in Augusto nostro Cittadino, che fù il primo Imperator del Mondo, Velitris antiquitùs tacta de Cælo parte Muri, responsum est eius Oppidi Civem quandoquè rerum potiturum, qua fiducia Velitrini, et tunc statim, et postea sæpius pene ad exitium sui cum Populo Romano belligeraverant, serò tandem documentis apparuit ostentum illud Augusti potentiam portendisse. Dall'Oracolo, che da pazzi Gentili si stimava verace, viene Augusto chiamato Cittadino di Velletri, à cui, come à tale dal Cielo si prometteva l'Imperatore, che prima d'ogn'altro ottenne; come dunque non nato in Velletri, ma in Roma? Perche non disse Romanus Civem, se egli in Roma era nato, ò nascere doveva? Ecco la passione di Tranquillo, ch'in questo chiamarò Tempestoso per Velletri, contro di cui mostrò non poco livore in toglierli quello che la Natura li diede.

Ma è tempo hormai, che si corrobori la verità, che si pretende con l'autorità de' Scrittori, et il primo sia Dione Histor. tradotto in nostra lingua da Nicolò Leoniceno stampato in Venetia nel M.DXLVIII. che dice, Antonio faceva tali cose ma Gaio Ottavio Cepia, perche così era nominato il figlio di Attia sorella di Cesare, era di Velletri de' Volsci. E Gio. Sifilino conferma più espressamente l'istesso, dicendo, Caius Octavius, nam id fuit nomen filio Attiæ filiæ sororis Cæsaris, Velitris Oppido natus; et il Zonara dice, C. verò Octavius, qui et Pius, sororis Cæsaris filius nuptæ Octavio Veliterno, (sunt autem Velitræ Volscorum municipium) pupillus relictus apud matrem educatus est. Lorenzo Schradero, Velitræ, Vulgo Belitri, Latii Oppidum, Octaviæ Familiæ, et Augusti natalibus celebre. Andrea Scotto, Augusti Patria Velitræ. Giacomo Lauro Illustre Antiquario de' nostri tempi lo dice più chiaramente, quando discorre d'un Arco d'Ottaviano di già demolito, non molto distante da quello di Domitiano, conforme registra Francesco Albertini ne' suoi Opuscoli dell'Antichità di Roma; queste sono le sue parole, Octavianus fuit è Regia Octaviorum Familia, quæ Velitris incepit, ac floruit, ibique natus est: ut ex ruina, et inscriptione, quam vidi, et si bene memini legi, mihi, aliisq. constitit. E perciò un di lui temporaneo scrive, Velletri Città de' Volsci antica e celebre, perche di qui hebbe origine Augusto Cesare, quì fu allevato, e come altri pensano, quì ancora nacque. L'istesso volle insinuare il Campano, quando per enfasi disse, che le fortue di Pietro Cardinal Riario nato in Savona superavano quelle d'Augusto, e che perciò doveva à Savona cedere Velletri,

Nunc Vada Velitras superare Sabatia possunt

Ecco dunque che, per Parere tanto d'antichi, quanto de' moderni Autori Velletri è veramente Patria d'Augusto, e luogo de' suoi natali, come apertamente il nostro Mancinello lo dimostra in più luoghi,

Augusti Patriam prisci dixere Latini Est Urbs insignis Volscorum nempè Velitræ Antiquo in Latio, magna, populosa, feraxquè Cæsari Augusti Patriam dixere Latini

E perciò senza raggione deve stimarsi l'oppinione del Barrio, e del Marafiore, quali pretendono con l'autorità di Tranquillo, ch'il nostro Ottaviano sia nato in Calabria nella Città de Turi, hoggi detta Terranova, e questo, perche da fanciullo Ottaviano fù detto Turino; e pure tal denominanza li fù data, perche il Padre Ottavio vinse li Servi fuggitivi in Turi, onde dal beneficio fatto alla Repubblica, e per l'allegrezza, che ne receverono li suoi, e non per li natali fù chiamato Turino. Ma di tanta pretensione devo poco maravigliarmi, perche han preteso ancora usurparsi li natali d'Agostino Niso Suessano famosissimo Filosofo. Concedasi dunque raggionevolmente questa gloria alla Città di Velletri, alla natione Volsca, et alla Reggione del Latio, mentre v'hanno havuto li natali altri Cesari, come Tiberio in Fondi, Caligola in Anzo, Galba in Terracina, et Antonino Pio, e Commodo Antonino in Lanuvio, splendore del nostro Clima, destinato alli Scettri, et alle Corone.

Tempij Antichi in Velletri. Cap. IX.

Molti Tempij, et Are stavano in Velletri eretti a' Numi bugiardi, mentre regnava la cieca Gentilità, de' quali perche non se n'è potuto haver piena contezza, ne farò mentione al meglio, che potrò, registrando, e discrivendo quelli principali, che più autenticati hò trovato ne' Scrittori, e per altri rincontri più chiari. Primo sia quello di Giano, che per il Nome, e per le Stature ritrovate, si discuopre più che certo ch'in Velletri, e nelli suoi territorij si ritrovasse; e se bene di sopra se n'è detto à bastanza, nulladimeno non stimo fuor di proposito dimostrarne più apertamente il vero. E chiaro per quello, ch'apporta Livio, che per dimostrare l'Imperio grande, che li Toscani havevano nell'Italia dall'uno all'altro Mare, cioè dal Tirreno all'Adriatico, dice, Quantum potuerint, Nomina sunt Argumento, onde da gl'antichi nomi procura autenticare li suoi detti; e perciò l'Annio vuole, che l'argomento caggionato da nomi antichi, ò di persone, ò di nationi, ò di luoghi, sia di maggior valore, et efficacia di qualsivoglia grave Autore; la raggione è, perche gl'Autori si possono ingannare nel riferire, ò restano ingannati per l'altrui relationi di cose, che registrano ne' loro scritti, e cosi si trovano lontani dal vero. Ma li nomi imposti, almeno in parte, si conservano, e cosi non ingannano il Lettore, ma più tosto lo stabiliscono nella vera antichità dell'Historia, Argumentum à Nominibus vetustis Gentium, et Locorum est validius quocumquè Auctore, quia Auctores falluntur, et fallunt, non autem Nomen impositum; onde concludo, che il nome di Giano Prisco, di cui disse Herodiano, Ad Ianum vetistissimum Italiæ Deum, in più luoghi di Velletri, e le Statue Bifronti in più, e diversi siti ritrovate, rendono prova più che bastevole per la verità del Tempio, o Tempij di Giano; e forse per il beneficio, ch'à suo tempo, almeno de' suoi Nipoti, ricevè la nostra Città; perche come Alessandro ab Alexandro narra, Iani autem Bifrontis nota, et Navis Prora ideò insculpta feruntur, ut Priscos Latinos tunc esserum Genus, cum pastoritiam vitam agerent, et feræ, agrestiquè vita, legibus, et omni rerum affluentia, quæ illuc terra, mariq. importabantur à Iano, qui cultoris vitæ modum invenit, ex cultos denotaret. Se bene queste attioni sono da altri con qualche raggione più evidente attribuite à Saturno, come di sopra s'è detto.

Vi era anco il Tempio del Dio Sango, che come registra Livio, toccato fù dal fulmine assieme col Tempio d'Apolline, tanto narra nel riferire li prodigij di quell'Anno, Et Veliterni Apollinis, et Sangi Aedes. Chi fosse questo Sango sono diversi li pareri de' Scrittori. Sesto Pompeo vuole, che sia l'istesso che Hercole, dicendo, Gratia Herculi, aut Sanco, qui scilicet idem est Deus. Il Baronio è di pensiero, che sia il medesimo che Giove, come dimostra ne' suoi Annali, trattando di Simon Mago. L'Angelotti pensa, che Sango sia Sabo figlio di Saturno, chiamato ancora Hercole da' Greci, e da Catone, Sangus, e Sangnus, in lingua Etrusca, e Sabina è l'istesso, che Sanctus in lingua Latina, e che Saga in lingua Aramea, ch'altro non significa, che Sacerdote, e sacrificante, dice Sesto Pompeo. Viene autenticata questa oppinione da Catone, il quale parlando dell'origine de' Sabini, dice, Sabini à Sabo conditi Sabatio Sangni Gentili edito. Qual Sabo communemente da tutti s'afferma Figliolo di Saturno. Più espressamente Sigismondo Gelenio sopra il citato passo di Livio in vece di Apollinis, et Sangi Aedes, dice Apollinis, et Saturni. Et il Nardi Fiorentino conferma l'istesso; che dove il Testo Latino dice Sangi Aedes, registra, Il Tempio di Saturno, à cui li Velletrani alzarono questo Tempio per li beneficij da quello ricevuti, overo per essere stato Fondatore della Città, come di sopra s'è detto.

Vi stava ancora il Tempio d'Hercole, nel quale, essendo Consoli Lucio Cornelio Lentulo, e Publio Giulio Appulo, vi nacquero de' Capelli humani, Et in Herculis Æde Capillum enatum, registra Livio. Io non hò saputo penetrare quello, che di male, ò di bene appresso gl'Auguri portentava simil cosa, e perciò ne lascio la cura à più Virtuosi. Alzarono, come posso persuadermi, li nostri Velletrani il Tempio ad Hercole poco doppo, che dibellata la Spagna, passò per Sessa, e Sezze, come affermano li loro moderni Scrittori, facendo la strada di Velletri, se ne trascorse à Roma; dove per quiete de' Prencipi, li fù necessario di vincere Cacco ladrone, che fuggito dalle Carceri di Tarconte Rè di Toscana, andava predando gl'Armenti per la Campagna di Roma, e vicino à Velletri, come da Solino deduce l'Annio, il quale cosi registra, Caccus in Laberinthum, sivè Carcerem à Tarconte Turreniæ Rege convictus fuit, sed frustratus vincula et compedes, Campaniam et Loca proxima tenuit, atquè communivit. Anzi più sopra dice, Caccum præpotentem Campaniæ, atquè Regni Ducem. Questo Cacco era reputato Figliolo di Volcano, non già, perche cosi fosse, ma perche predando abbrugiava tutti li luoghi convicini. Alla fine fù da Hercole ucciso, ma preso (direi) nella Campagna di Velletri, per un luogo, che vi sta con una Fonte col nome Caccattera, ch'altro non dinota, che Caccum tenens; onde li Velletrani liberati dalla molestia d'un famoso ladrone gl'alzarono Tempio, et Altare, solite pazzie di quelli tempi. Tengono alcuni virtuosi, che questo Tempio d'Hercole sia hora la Chiesa di San Giovanni in Plagis, distante dalla detta Fonte, un tiro di sasso. Bella metamorfosi d'un Hercole profano in un'Hercole sacro, e d'un'immondo in un Santo, et innocente. Una Statua d'Hercole molto bella, ma senza testa, fù ritrovata nella Contrada detta Colonnella, qual conserva tra l'altre antichità il Cavalier Teocrito Micheletti. Vicino all'istessa Fonte vi sta una Contrada chiamata Rijoli, nella quale si trovano alla giornata bellissime Antichità sotterranee con edificij rovinosi. Io intorno à questo non m'appago del senso di quelli, che pensano, che Rijoli venga detto da Ri Iolao, il quale fù Nipote d'Hercole, Figlio d'Hipicleo, che, come scrive Diodoro, fù mandato in Sardegna con li Tospiadi à fondar nuove Colonie, dove messe in pace quelli Popoli pur troppo discordi, et edificò molti Castelli; ma sono di parere, che fosse un luogo così chiamato da Iole moglie d'Hercole, di cui narra Fenestella, che essendo stata veduta da Fauno Rè del Latio, ardentemente se n'accese, Nonnulli verò Iolem uxorem Herculis ab hoc Fauno visam, ac per ardorem libidinis concupitam asserunt. Per gelosia di questa Iole, Dianira avvelenò Hercole con le proprie vesti, dice Diodoro, e forse li Velletrani, per far cosa grata ad Hercole, tennero ancor'in preggio questa sua Donna.

V'è stato il Tempio d'Apolline, che parimente fù percosso dal Fulmine, segno, che l'istesso falso Nume col Fulmine superstitiosamente consacrava à se stesso questo Tempio, con l'Altare à lui inalzato, e si faceva dalla cieca Gentilità follemente adorare; questo è il parere di Sesto Pompeo, Fulguritum id, quod est Fulmine ictum, qui locus statim fieri putabatur religiosus, quod eum Deus sibi dicasse videretur: onde non è da maravigliarsi se da' nostri Cittadini furono spediti Ambasciatori al Senato per dar raguaglio di questo, e d'altri prodigij. A questo Apolline facevano li Velletrani sacrificij cruenti, come si dirà altrove per una certa bella Antichità ritrovata.

Sopra tutti gli altri vi è stato un celebre, e famoso il Tempio di Marte; Tempio non solamente della Città, ma di tutta la Natione, e perciò ragionevolmente li Volsci furono stimati Martiali, e di Velletri si dice, Urbs Inclita Martis. Stava questo Tempio vicino al Regal Palazzo di Metabo, Rè de' Volsci, e Padre di Camilla, dove ben spesso egli con la Consorte faceva la residenza, et hoggi con nome corrotto è detto Metao, e Metano, e se ne vedono ancora li vestiggi. Se bene altri vogliono, che si debba dire Matano à Mactando, luogo dove si conducevano, et uccidevano le vittime da farsi à Marte, et è credibile, che simil luogo servisse à quelli ch'erano destinati al Ministerio del sacrificio di Marte, e che stasse vicino all'istesso Palazzo. Questo Marte dice il Casabuono, fù uno de' piu vigorosi, forti, e di migliore stomaco tra gl'altri Dei stimati da gl'antichi Romani, Fuerunt et Dii Romanorum tam bono stomaco, quam Mars Veliternus, e la raggione è questa, Nam his cruda, nedum semicruda exta data, etc. Narra Svetonio, ch'uno della Fameglia Octavia (non hò potuto trovare chi, nè di qual ramo fosse) sacrificando in questo Tempio, e non essendo per ancora compito il Sacrificio, fù assalita la Città da gl'inimici, egli coraggiosamente per salvezza della Patria, e suoi Cittadini, lasciò la Vittima incombusta, il Sacrificio, e Libami imperfetti, e senza punto badare alla Religione, che (benche falla) per tal parvenza si profanava, pronto, e veloce s'oppose a' nemici, e di quelli, ancorche numerosi, ne riportò subita, e gloriosa vittoria. Ritornò Ottavio senza dimora al Tempio per dar fine al sacrificio, ma lo ritrovò compito; cosa insolita, che in quelli giorni da supertitiosi Gentili fù riputata à grandissimo favore ricevuto da quel mentito Nume, mentre il lasciare il sacrificio per qualsivoglia caggione era abominevole,e di pessimo augurio. Questo Tempio si vede al presente consacrato à S. Clemente Papa, e Martire, come à Santo Tutelare, e Protettore, oriundo da Velletri della Fameglia Ottavia, per esser egli figlio di Faustino Ottavio; ma di questo Santo ne trattaremo più diffusamente altrove.

Poco lontano dalla Città stava il Tempio di Diana, così si tiene da' Curiosi, che vogliono fosse nel luogo chiamato Carrara, dovendosi dire con miglior vocabolo Cariara, che conforme all'espositione delle parole Hebree, suona Urbs Luna, Città della Luna; et in questo luogo vi si scorgono molti edificij antichi, ma destrutti, et il sito è posseduto dalla Fameglia Landi. Io stimo certamente, che in Velletri sieno stati altri più Tempij, de' quali non se ne trova memoria, perche il tempo ha divorato li Tempij, e li vestigij di quelli, et perciò il Lettore si contenterà delli di sopra accennati, e del possibile.

Ville d'Antichi Romani. Cap. X.

Che nel territorio di Velletri sieno ne' passati secoli state molte delitiose Ville d'Antichi Romani, è da credersi per la bellezza del Sito, per la soavità dell'Aria, per la vaghezza della vista, e per la fecondità della Terra, oltre alla vicinanza di Roma; onde hebbe raggione Iodoco Hondio di chiamar Velletri Venustissimi Situs; Georgio Bruino di dire Velitræ Scriptorum monumento celebres iucundissimo oculorum intuitu conspici possunt; et il Merula, che più espressamente l'autentica, dicendo, Antiqua Civitas in Tumulo Velitræ Oppidum vetustissimum Volscorum, venustissimi Situs, iucundissimi Prospectus, Mœnibus undiquè cinctum, etc. Ager fructuum omnis generis, nunc etiam ferax est, ut olim propter Urbis Romæ vicinitatem Villis, et Hortiis Nobilium expolitus; e lo conferma ancora il Campognano, che così dice di Velletri, Hà buonissimo Territorio, e già fù pieno d'Horti, e di Palazzi per la vicinanza, che tiene con Roma.

Fra l'altre delitiose Ville v'è stata quella di Tarquinio Superbo, non sò se avanti, o doppo, che Sesto Tarquinio suo figlio commise quella dishonesta violenza con Lucretia, onde egli, et il Padre Rè, con tutta la Fameglia furono scacciati da Roma. Era situata nella contrada detta Carrara accennata di sopra, vicino al Tempio di Diana, e per l'antiche memorie, che si ritrovano alla giornata apertamente si conosce, che fosse bella. Vi fù ritrovata una Statua del detto Tarquinio Rè, qual hebbe l'Eminentiss. Scipione Borghese, et hora si conserva (per quanto intendo) trà le preggiate Antichità, ch'egli lasciat'habbia. E posseduto questo luogo dalla Fameglia Petrimarchi.

Ottone Imperatore haveva la sua Villa vicino alla strada Romana, lontana un miglio dalla Città, e per ancora conserva il nome Colle Ottone, e vi si vedono rovine bellissime di Palazzo, con Archi, e pavimento à mosaico, che rappresentano à chi le contempla la magnificenza del luogo. In questa Villa il misero Imperatore havendosi data per se stesso la morte con due pugnali, comandò esser sepolto, così registra Tranquillo, Celeriter apud Veliternam (ita præceperat) funeratus. E Giovanni Cuspiniano descrivendo il modo, ch'egli tenne in darsi la morte, dice, Divisit pecuniam deindè domesticis, et cum duos Pugiones arripuisset, explorata utriusq. acie, alterum pulvino subdidit, quo post somnum se uno ictu infra lævam mammillam interfecit trigesimo octavo ætatis Anno, nonagesima quinta Imperii die apud Veliterna vulneratus. Questo luogo è di bellissimo sito, et al presente è posseduto dalla Fameglia Toruzzi Padroni di Torricchiola.

Non molto distante, in positura uguale, vi stà una proprietà del nostro Conv. di S. Francesco, detta Coscone, e vi si vedono ne' siti intorno molte rovine. In questo luogo vogliono alcuni, che vi stasse la Villa de' Cosconi Romani, che se bene questa Fameglia era delle Plebee, nulladimeno era delle principali, come si puo argomentare da gl'officij, e gradi havuti nel governo della Repubblica, perche sono stati Pretori, Questori, Tribuni della plebe, Edili , e Tribuni militari, trà quali assieme con Marco Menio, vi fù Marco Cosconio, che morì in Benevento nella Guerra contro Cartaginesi, dice Livio.

Ottaviano Cesare, ò per dir meglio la Fameglia Ottavia, haveva la sua Villa, della quale s'è detto di sopra, e vi sono vestigi belli d'antichità, e non cosi bassi, et humili, che faccino avverare quello, che dice Svetonio, che la chiama luogo piccolo à guisa di conserva di vettovaglie, con queste parole, Locus permodicus, et Cellæ penuariæ instar. Conserva per ancora il nome, benche corrotto, di santo Cesale, che rappresenta, come per un'ombra, l'antico splendore, tanto per l'amenità del sito, quanto per le fabriche rovinate, che vi si vedono. E posseduta al presente dalla Fameglia Prosperi, e vi si trovano alla giornata bellissime medaglie dell'istesso nostro Ottaviano.

Tiberio Imperatore, ancora egli haveva la sua Villa distante alquante miglia da Velletri, e con nome corrotto hora si chiama Tivera, luogo de' Signori Caetani. In questo sito vi era un piccolo Castello, nelle cui rovine, doppo che fù demolito, furono ritrovati li Corpi delli gloriosi, e Santi Martiri Pontiano Papa, et Eleuterio Vescovo, de' quali fa mentione il nostro Mancinello, dicendo Apud Tiberiæ Oppidulum, etc.

Anco Nerva Imperator di poco tempo, che come Dione Cassio riferisce, non visse più d'un Anno, quattro Mesi, e nove giorni, hebbe la sua Villa nel territorio Veliterno, e sin hora conserva il nome di Colle di Nerva, e le rovine dimostrano, che fosse una delle belle Ville di quelli tempi, et il sito al presente è posseduto da Monsig. Domenico Laurentij Vicario Lateranense, Cittadino Velletrano.

Anche Caio Caligola uno delli dodeci Cesari hebbe in Velletri una Villa delitiosa, nella quale, fra l'altre cose memorande vi stava quel maraviglioso Platano celebrato da Plinio, che per la sua grandezza, larghezza, e dispositione di rami, serviva in un'istesso tempo per Padiglione, per Tavola, ò Mensa, e per scanni da sedere in un Convito à quindici persone, oltre alla commodità di credenza, che n'haveva il Ministro, à cui era data la cura di provedere; per lo che dall'istesso Imperatore fù chiamato per un'ischerzo, Nido d'uccelli, ecco le sue parole, Aliud Exemplum Caii Principis, in Veliterno Rure mirati unius tabulata, laxisq. ramorum trabibus scamna patula, et in ea epulati, cum ipse pars esset umbræ, quindecim Convivarum, ac misterii capaca Triclinio, quam Cœnam appellavit ille Nidum.

Caio Mario Arpinate, benche havesse una Villa vicino à Bauco (mi persuado sia Boville) chiamata al presente Casa Mara; et un'altra vicino ad Algido, hora chiamata Marino; nulladimeno haveva un'altra Proprietà vicino à Velletri, hoggi detta Piazza Mara, cioè Platea Marii, dove si trovano bellissime Antichità di Statue, Colonne, et altri Frammenti, et in particolare l'Anno passato vi furono ritrovate molte belle Statue, cioè una di Bacco assettato sopra d'un Utre, con il Tirso alla destra, et un Lucertone alla sinistra; la statua di Leda in piede con Giove convertito in Cigno nel seno; un'altra d'Esculapio, un'altra con sembianza di Donna, che tiene nel braccio destro un Serpe, che beve in una tazza sostenuta con la man sinistra; e le tre Gratie abbracciate insieme.

Giugliano, Castello de' Signori Salviati, si tiene che fosse Villa di Giulio Cesare Dittatore. Il luogo, dove (come se dirà) fù ritrovata la Cassa di Giulia, stimasi fosse Villa dell'istessa. Un sito vicino il Conv. de' PP. Agostiniani col titolo di S. Maria dell'Horto, posseduto dalle fameglie Barsi, e Bellonzi per li belli Edificij antichi, che vi sono, si giudica Villa di qualche Nobile Romano; similmente molt'altri vestigi, che in diversi luoghi del nostro Territorio si scorgono, e molte fabriche rovinose, et Archi sotterranei, quali alla giornata si scuoprono, porgono materia di credere, che fossero Ville, e delitie di Prencipi, et Imperatori Romani; ma perche hanno perduto il nome, et altra memoria non se ne trova, bisogna contentarsi del poco, e credere quello, che n'hanno sentito il Merula, er altri sopra citati Autori.

Antichi Frammenti ritrovati in Velletri. Cap. XI.

Per far breve racconto d'alcune antiche memorie ritrovate in Velletri, e nostro Territorio, io non registrarò le Statue di sopra accennate, ne quella di Profido negro rappresentante Venere ignuda alta da nove palmi in circa, di positura in piedi, con capelli lunghi assai sin sotto alla cintura, ritrovata dal Capitan Francesco Giliberti nel piano dell'Ariano, e furtivamente (non si sa da chi) portata via; nè quella bella testa di Donna con cerchio in fronte di molta stima, ritrovata nella Carrara, c'hora conserva in casa Teodoro Monticelli. Nè voglio scrivere altre Antichità dà diversi narrate, ma solamente quelle, che sono state ritrovate à mio tempo, e da me attentamente considerate; sopra delle quali non mi curarò di far gravi espositioni, e lunghi discorsi, con palesare l'intelligenza di ciascheduna, perche questo honorevol peso io lo lascio à qualch'altro più virtuoso, e curioso, che penetrando li sentimenti historici, dimostrerà quella verità, ch'appresso di me non è gionta; e per dar principio al mio intento, registrarò quelle, che si trovano nella nostra Cathedrale, nel pavimento, poco distante l'una dall'altra; una delle quali è la seguente.

D.M.

C.IVLII MALGIII

BELETRANI AVG AE

LIA IULIA QIVX

ET HEREDES HVIVS

B. M. P.

E perche da questa Pietra marmorea sepolcrale se ne puole argomentare la continuata parentela trà persone della fameglia Giulia, et altri Velletrani, nell'autentica ricognitione di essa, se n'è rogato G.A. Cancelliero della Curia Episcopale. L'altra, che segue, stà nel medesimo piano, e se non fosse corrosa, e spezzata, di sicuro mostrarebbe con la sua antichità molta honorevolezza per la Patria; perche da queste tre parole si puol dedurre, che sia memoria sepolcrale di qualche gran personaggio.

......

......

......

......

...... NEPOTI......

...ABNEPOTI......

.....I...PARTICI......

......

Quest'altra similmente nell'istesso Piano della Chiesa, è memoria sepolcrale fatta da persona grande ad una sua Liberta, cosa ordinaria di quelli tempi.

D.M.

C. L. VICTORINAI

TI. CL. PHIIETVS

LIB. BENEMERENTI

Non deve maravigliarsi chi legge, in vedere, che queste memorie di Gentili si ritrovano in questa Chiesa, perche sono Pietre estratte dalle rovine de' Tempij antichi, e quivi sono state poste, come in altre Chiesa ancora, per bisogno di marmi, e non per sentimento di memoria. Nella nostra Chiesa di S.Francesco, vi sta il seguente Frammento di Marmo scornicciato ritrovato nella Contrada di Rijoli, molti Anni sono, e perche è smezzato, priva il lettore del vero senso di honoratissima memoria, che ne potrebbe ricevere.

L. MA......

L. FIL......

MAX......

AVRE......

FETI......

BIS CO......

ASI......

PROCO......

AFRI......

VRBS PI......

PATR......

Nell'istessa Contrada fù ritrovata una Cassa di Marmo fino di basso rilievo, e dentro un'armatura di Corazza d'isquisitissima tempra, come l'esperienza hà fatto più volte vedere, et hora la conserva il Tenente Gioseppe Cacciatelli. Dalli rovinosi edificij, ch'in detto luogo si scorgono, si possono sperare alla giornata altre belle memorie. Nella Chiesa di S. Lorenzo nel pavimento poco distante dall'Altare Maggiore vi stà la seguente memoria sepolcrale in marmo, per la quale si scorge qualche scintilla della nostra Fameglia Ottavia.

.... L. VRBANA......

Q. AMMIO Q. L. OPTATO

VIRO SVO

C. OCTAVIO SPE ANTIATI F.

OCTAVIÆ L. FORTVNATA

SIBI POSTERISQVE SVIS.

Nella Chiesa della Madonna della Neve sotto l'Altare si ritrova la seguente memoria in marmo molto bella, per essere intiera e compita

M. QVUINTILIVS

PHOEBVS

PRO TESTAMENTO

FIERI IVSSIT

SIBI ET

QVINTILIÆ DANAI

VXORI SVÆ BENE DE SE

MERITÆ ET

QVINTILIÆ PROBÆ

FILIÆ

QVÆ VIXIT ANNIS X

ET POSTERIS QVO

QVE SVIS

EIVS MONVMENTI IVRIS

ESSE PERMISIT

In alcune rovine della Chiesa di S. Lucia fù ritrovata la seguente memoria sepolcrale, intagliata in Marmo finissimo, ma spezzato, come si vede.

D.

CLAVDIÆ S. ...

QVÆ VIXIT A. ...

AVRELIÆ RVF. ...

KARISSIMÆ ...

ANN. XXV. M. ...

SATVRNI ...

MERENTI ...

QVE SVE ...

ERTABUS ...

Nella Chiesa di S.Giovanni vi stà una Cassetta Sepolcrale di marmo con la seguente memoria.

DIS MANIBVS

ÆMILIÆ

SECVNDÆ

Nella Villa d'Eleuterio Toruzzi, nel luogo detto li Prati delle Questioni (cosi chiamato, perche essendovi un luogo in forma di Circo, non sò se dalla natura, ò pure dall'arte; alcuni si persuadono, ch'ivi si facessero li duelli, e terminassero le contese, e questioni con l'armi ne' passati tempi) v'è una Cassa sepolcrale di marmo intagliata à mezzo rilievo, longa palmi sette, et alta tre, con le seguenti parole intagliate in un tondo sostenuto da due Amorini.

CLODIA LVPER

CILLA IN PACE

BENE DORMITQVE

VIXIT ANNIS XXVIII

M. VIII DIES VIII MECVM

ANN. VIII M. VIII D. XVIIII

AVR. TIMOTHEVS COIVG. B.M.

Vi sono ancora altre Urne sepolcrali con teste proportionatamente grandi, ma sono spezzate, esenza inscrittioni, come parimente molte Colonne di marmo abbruggiate, e pezzi di Profido fino, che dimostrano la magnificenza del luogo, quale per le molte ceneri ritrovate, quasi in tutto il sito, dà inditio d'essere stato soggetto à lacrimoso incendio.

In casa del Cap. Sisto Gregna vi stà un grosso frammento di Colonna, nella quale si veggono intagliate molte parole, ma tanto corrose, e consumate, che non si possono leggere, ma solamente queste tre non continuate hò potuto capire, MARCELLI. GENIVM. VALERII. Vi stà ancora una Colonna piccola, che serve per piede d'un Tavolino di pietra, nella quale stà intagliata la seguente memoria.

M OTASIVS

FIRMVS MARVS

CORNELIVS MARI F.

CIV. COSSINVS

PRÆFECTVS FABRVM

TRIBVUNVS MILITVM

LEG. XIIII GEMINVI CIRIC.

CVRATOR LVSVS IVVEN.

IIVIR. PATRONVS COLON.

FORTVNIS ANTIATIBVS D. D.

In casa del Cavalier Teocrito Micheletti vi stà la seguente memoria

VARRONIVS NICIA ......

MAG. QVINQV. CONLEG. FAB ......

TIGNVARIORVM LVST......

VIXIT ANN. XCIII......

In casa del Dottor Giacinto Basso vi stà una Cassetta sepolcrale con le seguenti parole.

GELLIÆ

QVINTÆ

PIÆ

Nel Colle Martio accennato di sopra, vi sono state ritrovate da' nostri Velletrani bellissime Antichità di Medaglie, e Marmi, e particolarmente una Pietra grande con le seguenti Lettere, Q. POM. MVS. CONS. cioè Quinto Pomponio Musæ Consuli. Forse questo Pomponio è quel Poeta così famoso celebrato da C. Plinio Seniore, di cui descrisse la vita in due Libri, come Plinio Secondo significa à Marco, e lo chiama Poeta Consolare. Questo Pomponio (come vogliono alcuni osservatori di tempi antichi) fù Console, non per elettione, e suffragij, ma per sostitutione, stante la mancanza di Collega, e per breve tempo; fù però persona degna, et illustre; e di lui il Totti registra una bella Medaglia con una delle Muse con la Cetra in mano.

Nell'Arboreto della Fameglia Bonese, sei Anni sono, fù ritrovata una Cassa lunga, bella di marmo fino, di basso rilievo, ma consumata dalla terra, e dal tempo, dentro della quale furono ritrovate l'ossa di Giulia figliola del nostro Ottaviano, v'era la testa intiera, che fù fatta riconoscere da Medici peritissimi, e da Professori d'antichità, e fù stimata di bellissima, e grandissima Donna, di statura di nove palmi, argomentata dalla simmetria dell'ossa; v'erano alcune piccole inscrittioni in terra cotta, che manifestavano Giulia Augusta, Gneo Domitio, e Tallo. Da alcuni si tiene, che questa famosa Donna, essendo stata discacciata dal Padre, fosse relegata in lontane parti, ma da questa antichità si cava, che doppo haver ella girato un pezzo il Mondo, alla fine, morto il Padre, e forse anco prima, palesemente, ò di nascosto, si riducesse alla stanza paterna, finì li suoi giorni, e da' suoi più cari, che la servivano, e seguivano, benche fuggitiva, con pochissima pompa funerale, non già in Piramide, ò Mausoleo, come si conveniva alla sua nobiltà, ma in una semplice Cassa marmorea sepelita fosse.

L'Anno passato vicino al Colle Ottone, dove come s'è detto, era la Villa d'Ottone Imperatore, Proprietà di Frà Girolamo Toruzzi Cavalier di Malta, vicina all'antica Strada Romana, e dalla Città un miglio, e poco più distante, fù ritrovata un Urna sepolcrale, delle più belle, et antiche memorie, che forse si possino vedere à tempi nostri. Perche per le cose ivi ritrovate si scuopre uno de' Sacrificij humani fatti dalla cieca Gentilità à falsi Dei. In tutte le parti del mondo, in ogni tempo, e da qualsivoglia Natione si sono fatti Sacrificij cruenti, et abhominevoli à Numi fallaci, à Demonij; e la Divina scrittura l'autentica, mentre per bocca del Salmista dice, Imolaverunt filios suos, et filias suas Dæmoniis. Chi sia stato l'inventore di tanta crudeltà, io non hò potuto ritrovarlo prima di Fauno, ch'essendo Rè del Latio, istituì tali Sacrificij, e per dire meglio, Sacrilegij, in honore di Saturno suo Avo, così riferisce il Vives, Tum etiam ante Herculem, homo Saturno imolabatur, quod sacrum Faunus instituit Avo Suo Saturno; lo disse ancora Lattantio, Ante Pompilium Faunus in Latio, qui et Saturno nefaria Sacra constituit, et Picum Pater inter Deos honoravit. E perciò il Nauclero scrisse, Saturnus in Latio eodem genere Sacrificii cultus est humano sanguine. E prima di loro lo scrisse Dionisio, dicendo, Fertur etiam Veteres Saturnum placare solitos humanis victimis. Anzi narra, che tanta crudeltà fosse tolta via da Hercole, che non potendo sopportar Vittime cosi horrende, ordinò un'Altare nel Monte Saturnio, hoggi Capitolio, et in vece di Sacrificij humani, facesse preparare trenta Statue, ò Simulacri humani, chiamati Argei, e li facesse gettare nel Tevere, Herculem verò, ut aboleret hunc morem Sacrorum, et Aram fundasse in Colle Saturnio, etc. Simulacra hominum triginta numero de sacro Ponte mittunt in Tyberim fluvium, quæ Argeos nominant. Pescennio Festo narra, che anco li Cartaginesi sacrificavano à Saturno vittime, Cartaginenses Saturno humanam hostiam solitos immolare. Lo disse Dionisio pure, aggiungendo, che anco li Francesi, et alcun'altre Genti Occidentali facevano il medesimo, Sicut Cartaginenses, dum stetit eorum Urbs, et apud Gallos idem fit nunc quoquè, aliasq. Gentes Occidenti proximas. Il Vives nel citato luogo racconta, che anco dà Popoli Latini si facevano à Giove Sacrificij essecrandi di Vittime humane, quali durarono sin'al tempo di Lattantio Firmiano, Iuppiter Latialis colebatur sanguine humano tempore Lactantii. Il Vergilij scrive, che li Germani facevano gl'istessi Sacrificij à Mercurio, Germani itidem Mercurio certis diebus, humanis litare hostiis fas habebant. E li Sanniti Popoli vicini l'istesso facevano ad Apolline, dice Sesto Pompeo; onde dovemo dire quello, che lasciò scritto Tertulliano, Sed enim Scitharum Dianam, aut Gallorum Mercurium, aut Afrorum Saturnum, hominum victima placari apud sæculum licuit. Questi horrendi Sacrificij (oltre quello, che s'è detto d'Hercole) furono prohibiti, come à Teodoro Cirenense piace, da Tiberio Cesare, ò da Claudio Imperatore, dice Svetonio, e prima di loro dal nostro Augusto, ma però solamente de' Cittadini (e forse doppo il Sacrificio fatto de' Perugini) finalmente cessarono culti cosi crudeli al tempo d'Adriano imperatore.

Le caggioni per le quali si movevano quelli stolti à sacrificare carne humana, erano li flagelli di Peste, ch'oltre alle Guerre tormentavano le Città, ò le Nationi, cosi afferma Sesto Pompeo, Eusebio, et altri. Et il Sacrificio, ò Vittima esser doveva di Giovenetti principali, e trà figli, de' più cari, et amati, cosi riferisce Orosio, dicendo, Sed cum inter cætera mala etiam Peste laborarent, homicidiis pro remediis usi sunt, quippè homines, ut victimas imolabant, ætatemque impuberem, quæ etiam hostium misericordiam provocaret, aris admonebant. Et Eusebio dice, Phœnices bellorum, aut pestilentiæ calamitatibus, amicissimos Saturno solebant imolare. E se creder vogliamo al Vergilij, il Capo, et il Principe della Città, e della Natione offeriva, e sacrificava con le sue mani il più caro, et amato figlio, tanto scrive per parere di Filone Istorico, Priscis morem fuisse tradit, ut in magnis periculis Princeps dilectissimum ex liberis ulciscenti Dæmoni, quasi redemptionis præmium traderet, et sic traditum iugularet. Narra Sesto Pompeo, che Metio Prencipe de' Sanniti disse, d'haver veduto Apolline, che comandava, se le sue Genti volevano liberarsi dalla Peste, che dovessero fargli Sacrificij humani; e perche non intesero bene il detto del falso Nume, ch'era, Vt Ver Sacrum voverent, cioè, quæqunquè Vere proximo nata essent; benche facessero il voto, et osservassero la promessa, in capo dell'Anno ritornò la Peste, e fatto di nuovo ricorso al bugiardo Apolline, rispose, che ciò gl'era avvenuto, perche non havevano sacrificate Vittime humane, Rursus itaquè consultus Apollo, respondit non esse persolutum ab iis votum, quod homines imolati non essent. Gerolamo Colonna saggiamente nota, che nel nostro Latio habbia havuto principio questa crudeltà, dicendo, Traditum quidem est immania huiusmodi in Latio sacra ex Dodonæi Apollinis responso reddito, initium habuisse, e lo deduce da Ennio in quel verso,

Ille suos Deiis mos sacrificare puellos.

E nel Consolato LXII. essendo Consoli Marco Manilio, e Quinto Solpitio, per la medesima caggione di Peste si fece voto in Roma di fare un Tempio ad Appolline, qual fù poi dedicato da Caio Giulio Console, Aedes Apollini pro valetudine Populi vota est, etc. C. Iulius Consul Aedem Apollinis, absente Collega, sine sorte dedicavit, così registra Livio.

Per ritornare all'intento nostro, è da sapere, che quest'Urna è di Porfido rosso finissimo, alta poco meno di due palmi, d'un palmo quasi di larghezza, di forma colonnare, sottilmente lavorata, e con tanta maestria, ch'apporta maraviglia à chi la mira; ha un cordoncino ne gl'estremi, con il coperchio, e suo pometto, ch'incastra à pennello; lavoro per certo di tanta finezza, ch'il nostro Cittadino Silvio Calice nuovo inventore di simile artificio, e persona rara nel nostro Secolo, stima che quest'Urna non habbi prezzo, sicome non hà pare. Dentro vi erano carboni, ceneri, et ossa, non ancora totalmente consumate. Ed io hò tenuto nelle mani di quelle una mascella con denti piccoli, che dimostrano li pochi anni del Fanciullo sacrificato. Fuora del Vaso stavano due Ampolline dette Lagrimarole, di vetro, piene di sangue corrotto, e quasi impetrito (direi sia del sangue dell'istesso sacrificato Fanciullo). Furono ancora ritrovati dentro dell'Urna due Anelli d'oro finissimo, uno ben grosso di valore di sedici Scudi in circa, con una pietra detta Corniola, nella quale stà intagliato Appolline in piedi appoggiato ad una Colonna con la Cetra in mano. L'altro più piccolo, di valore di tre Scudi in circa, col rilievo della testa del Fanciullo sacrificato, con ricci, che dimostra esser stato di nobilissima Stirpe. E questo Vaso con tutte le suddette cose, stava sopra una Pietra, nella quale si leggono intagliate queste due parole, APOLLINI SACRUM, segno evidentissimo, che questo sia stato un Sacrificio fatto ad Appolline. Vi è stata in oltre ritrovata una Lucerna di terra, con lettere, che dicono COMMVNIS, che qualche significato in se racchiudono. Io non voglio stare à speculare il tempo di questo essecrando Sacrificio, perche la mia professione è di Religioso, e non d'Antiquario; mi persuado nulladimeno, che questo Fanciullo fosse figliolo d'Attio Tullo, di cui s'è fatta mentione di sopra, e che nel Cons. XVII An. CCLII. doppo la fondatione di Roma, quando per tutte le Città, e Terre de' Volsci, e particolarmente in Velletri, fù una crudelissima Peste, fosse dal proprio Padre sacrificato. E chi ben considerasse quel tanto, che dice Dionisio intorno al luogo dove morì Attio Tullo, et il luogo, dove è stato ritrovato questo Sacrificio cruento, direbbe di sicuro, che nell'istesso luogo il Padre restò da' Romani ucciso (almeno non molto distante) dove tre anni avanti sacrificato haveva il proprio figlio per salute del suo Regno, della Natione Volsca, e di questa Città Principale trà l'altre; come dimostra quella parola COMMVNIS, nell'accennata Lucerna, ma in ciò mi riportò à maggior chiarezza. L'Urna la conserva trà le sue cose più care il suddetto Cavaliere, con altri frammenti di detta antichità, e gl'Anelli con l'Ampolline, si ritrovano appresso Filippo Filippi.

Un'altr'Urna sepolcrale di Marmo bianco come Alabastro, per esser trasparente, alta poco meno di tre palmi, col suo coperchio, che se bene è consumata dal tempo, nulladimeno dimostra essere stata piena delle Ceneri di qualche Personaggio principale, et illustre. Questo vaso è stato ritrovato nella falda della Faggiola, vicino ad una fonte detta Acqua Lucia, et hora la conserva Camillo Attiverij.

Nella Contrada, chiamata li Gionci (Forse, per esser nome corrotto, de' Giunij, antica Fameglia Romana) furono ritrovate due Teste, una di Bacco, et l'altra di Sileno con la seguente Memoria in Marmo, ma mezza consumata.

......

GEMINVS ......

PRÆTORQ. III

.. SVCCE ......

.. ANTONI .....

......

ÆDES FORTUNÆ

e si ritrova appresso Eleuterio Toruzzi. Da questa memoria io faccio chiaro argomento, ch'in Velletri ancora fosse il Tempio della Fortuna, del quale non hò fatta mentione nel proprio luogo, come dovevo, per haver hauta tardi nelle mani la presente inscrittione. Altri Frammenti di vera antichità il nostro Territorio contiene in se racchiusi, e sepolti, ch'uscendo fuora (piacendo à Dio) alla vista humana, si potranno da più diligente Cittadino far palesi al Mondo con altro più degno Volume, come devo sperare dalla vivacità degl'ingegni de' nostri Cittadini Velletrani.

Persone Insigni della Fameglia Ottavia. Cap. XII.

Hò à sufficienza di sopra provata la descendenza della nobilissima, et Imperial Fameglia Ottavia da Velletri, perciò in questo luogo non intendo di registrare, che quelle persone, quali originate da Prosapia cosi degna hanno apportato splendore al Mondo et alla Patria con li loro chiari gesti, e con le Cariche honorevoli ottenute, et eggregiamente essercitate.

Trà primi, e principali di questa Fameglia (perche non si puol havere distinto raguaglio di quelli, che, prima, e doppo di Tarquinio Prisco V. Rè de' Romani fin'à Tarquinio Superbo furono di preggio, e stima) registrarò Mamilio Ottavio, che dal medesimo Rè Superbo fù così stimato, che riputò cosa honorevole apparentar seco, e li diede la sua figlia per moglie. Questo fù huomo di tanta autorità, e così potente, che, oltre alla guerra de' Latini, e de' Sabini, concitò contro Romani trenta Popoli, come di sopra si è detto per parere di Fenestella; fù poi in guerra, in difesa del suo suocero Tarquinio ucciso da Tito Herminio vicino al Lago Regillo, così registra Livio.

Caio Rufo Ottavio, Principio, et Origine della divisione di questa Fameglia, in Geni, et in Caij, così riferisce Svetonio. Questo fù il primo eletto ad Officij di Magistrato, perche fù Questore, ne altro di lui si trova. Primus ex hac Magistratum, Populi suffragio, cœpit C. Rufus. Is Quæstorius Cn. et C. procreavit, à quibus duplex Octaviorum Familia defluxit, conditione diversa.

Un'Altro Ottavio registra l'istesso Tranquillo, ma di lui tace il nome, et il tempo, narrando solamente il suo alto valore, che sacrificando nel Tempio di Marte, sentendo l'arrivo de' nemici à danno della nostra Città, lasciò imperfetto il Sacrificio, e la vittima, s'oppose all'essercito assalitore, e ne riportò gloriosa vittoria, Nunciata repentè hostis incursione, semicruda exta rapta foco prosecuit, atquè ita Prœlium ingressus victor rediit; per lo che fù decretato, che per sempre alla Fameglia Ottavia si dassero gl'avanzi delle vittime di Marte.

Gneo Ottavio Figliolo del sopradetto, fù Questore di Provincia con Marco Giunio nel DXLI. Anno della fondatione di Roma, fù Proquestore con Lucio Cornelio; Tribuno della Plebe con Quinto Luttatio; Edile della Plebe con Spurio Lucretio; Pretore della Sardegna; Propretore e Proquestore più Anni dell'istessa Provincia per la Squadra, che conduceva, della quale fù fatto Ammiraglio, se bene poi gionto in Sicilia consegnò la sua armata a Gneo Cornelio Console. Fece preda di ottanta Navi cariche di viveri, ch'andavano per servitio d'Anibale; fù Propretore in Africa assieme con Publio Cornelio.

Gneo Ottavio nel DLXXXV., fù Pretore della Macedonia, e Prefetto dell'Armata Navale, essendo Consoli Lucio Emilio Paolo, e C. Licinio Grasso; fù destinato ancora in Puglia, ma poi andò con L. Emilio in Grecia dove s'affatigò valorosamente con l'acquisto di molte vittorie; fù Questore di Provincia assieme con Lucio Anicio, e poco doppo dechiarato Propretore, e Proquestore in Puglia; fù Edile Qurule. Era intendente di Lingua Greca, onde, mentre il Console Emilio parlava con il Rè Perseo, egli era l'Interprete. Prima era stato Ambasciatore assieme con C. Popilio in Grecia, con ordine di publicare, che nesuna Città contribuir dovesse cosa alcuna à Ministri Romani in quelle parti per la guerra, se non quanto havesse deliberato il Senato. Trionfò finalmente per detto Rè Perseo, per la vittoria Navale, havendo pigliate molte Città principali, e particolarmente Melibea alle radici del Monte Ossa, verso la Tessaglia. Di quell'Ottavio, penso dicesse Giovenale,

Thessaliæ Campis Octavius abstulit udo Cædibus assiduis gladio

Questo hebbe l'honore delle Cose Sacre, perche fù uno de' dieci deputati à tal ministero. Gli fù alzata la statua, per lo che disse Cicerone, Cn. Octavii clari, et magnifici viri, qui primus in eam Familiam, quæ postea viris fortissimis floruit, attulit Consulatum, Statuam vidimus in Rostris. Fù Console con Tito Manlio, e di lui narra l'istesso Cicerone, ch'edificasse un superbo Palazzo, che poi li fù dimolito, et abbrugiato da Scauro, Cn. Ocatvio, qui primus ex illa Familia Consul factus est, honori fuisse accepimus, quod præclarum ædificasset sibi in Palatio, et plenam dignitatis Domum, hanc Scaurus demolitus, accensionem adiunxit Ædibus. Sesto Pompeo da' nome à detto edificio di Portico, fabricato vicino al Teatro di Pompeo, ch'essendo stato abbrugiato, fù ristaurato da Ottaviano Augusto, Fecit Porticum iuxta Theatrum Pompei, quam combustam resiciendam curavit Cæsar Augustus. Questo Octavio introdusse lo Squaro Marino in questi nostri mari vicini, portandolo di lontane parti, così scrive Macrobio, Nam Octavius Præfectus Classis sciens Sebarum adeò Italicis Litibus ignotum, ut nec nomen latinum eius Piscis habemus, incredibilem Sebarorum multitudinem, in variis Navibus huc aduectam, inter Hostiam, et Campania Litus in mare sparsit.

Gneo Ottavio figlio dell'accennato Console, fù nell'Anno DCIX. Questore di Provincia con Tito Annio; Tribuno della Plebe insieme con Spurio Lucretio; Pretore Urbano con Lucio Anconio; Pretore di Provincia con Caio Antonio; Propretore con l'istesso; Propretore in Francia, e finalmente fù Console con Tito Annio.

Gneo Ottavio con soprannome di Rufo, figlio del detto Gneo, nel DCXLVI. fù Questore con Lucio Cornelio; Tribuno della Plebe con Lucio Rubino; Edile della Plebe con Tito Cicereio; di nuovo Questore con Lucio Vslerio; Pretore di Provincia con Sesto Giulio; Pretore con Marco Portio; Pretore con Aulo Plautio; e finalmente Console con Cornelio Cinna. Questo Ottavio viene stimato da Velleio Patercolo per persona d'animo piacevole, benche acerrimo propugnatore contro il suo Collega, che lo scacciò di Roma, non che dal suo officio. Lucio Floro apporta di ciò la raggione, e dice, Cornelius Cinna, cum perniciosas Leges per vim ferret, pulsus Urbe à Gneo Octavio Collega. Fù questa una grandissima contesa, perchè Ottavio come persona più saggia haveva il seguito de' Nobili Vecchi, e Cinna de' Giovani; succede' in luogo di Cinna nel Consolato Lucio Merula Flemendiale, et egli se n'andò à ritrovar Mario, dal quale aiutato con molti della fattione contraria entrò in Roma per far vendetta d'Ottavio, il quale, benche consigliato da' suoi più cari, à fuggir sollecito l'impeto de' nemici volse protervo star saldo alla difesa, ma alla fine fù crudelmente ucciso, e da Censorino parteggiano di Cinna gli fù levato il Capo dal busto, et appeso ne' Rostri, tanto registra Appiano Alessandrino, Is autem professus numquam se Urbem deferturum, dum Consul esset, in medio Ianiculi constipatus, perstans cum illustrioribus, etc. Tunc Censorinus, Capite abscisso, ad Cinnam detulit, quod in Foro, ante Rostra affixum pependit. Quanto fosse valoroso il nostro Ottavio, lo notò Lucio Floro, che nel libro 80 scrive ch'egli scacciasse dal Gianicolo Mario, Cinna, Carbone e Sertorio con tutti li loro seguaci; e perciò dalli medesimi fù saccheggiato Anzo, Aricia, e Lavinio; sicome per la morte di lui, e di molti altri Nobili, Roma fù data in preda in quella guisa appunto, che se fosse stata presa per guerra da' crudi nemici. Non posso fare in questo luogo di non maravigliarmi di Giulio Essuperantio, che chiamò questo nostro Ottavio con nome di Satellite di Silla, dicendo, Atquè Octavium Sillæ satellitem suspensum necaverunt; mentre il Paterculo lo chiamò d'animo benigno, e piacevole, dicendo, Octavius vir lenissimi animi iussit Cinnæ interfedtus est. E se l'Essuperantio havesse considerata la caggione della resistenza, e costanza d'Ottavio, ch'era per la Giustitia, e per la Republica, forse non haverebbe senza raggione macchiato il nome d'una persona cosi illustre.

Marco Ottavio Cecinna fù Tribuno della Plebe con Tiberio Gracco nel DC.XIV. per tre Anni continovi; fù Edile della Plebe con C.Fannio; Questore con Gn.Domitio; Questore di Provincia con l'istesso Fannio, e Propretore con Tito Iuventio. Questo, perche s'oppose al Gracco suo Collega nel publicar la Legge Agraria; fù deposto dall'officio di Tribuno, onde vedendo tutta la Plebe concitata contro di se, secretamente se ne fuggi di Roma, Octavius igitur quamprimum Tribunatu eiectus, clanculum aufugit, dice Appiano. Se bene Gracco poco doppo, perche si concitò addosso l'ira de' Nobili, fù ucciso nel Capitolio.

Gneo Ottavio, questo nel Cons. DCLI. fù Proquestore con Lucio Giunio; Tribuno della Plebe con C.Geminio, e poi Edile della Plebe con Marco Portio. Mi persuado, che sia quello, che fù Capo degl'Ambasciatori destinati per la Grecia, e furono Tito Quintio, Gn. Servilio, e Publio Giulio, così dice Appiano Alessandrino; e Plinio narra, che havendo Ottavio esposta l'Ambasciata ad Anthioco Rè, lo costrinse in un Circolo à dar la resposta, prima, che da quel luogo partisse. Fù finalmente questo Ottavio da un tal Leptino in Laodicea, dentro un Ginnasio miserabilmente ucciso, e poi sepolto da Lisia, per l'uccisione, che fù fatta, degl'Elefanti. Quo spectaculo commotus quidam in Laodici Urbe Leptinus Cn. Octavium Legatorum Principem deprehensum instra Gymnasium occidit, quem deindè Lysias sepulchro dedit. Giulio Ossequente è di senso, che Lisia fosse stata la caggione di tanta crudeltà, dicendo, Cn. Octavius Legatus in Siria per Lysiam Tutorem Anthiochi puer in Gymnasio occisus, P. Scipione, et Cn. Marcio Consulibus; per il che risolverono li Romani di farne crudelissima vendetta.

Marco Ottavio Figliuolo di Gneo, fù nel DCXXX. Proquestore; credo di questo volesse intendere Marco Celio, quando scrisse à Cicerone per la pretensione d'un Officio in Magistrato, chiamandola Persona Nobile, dicendo, Incidi in competitorem nobilem.

Marco Ottavio, cognominato Ligure, di cui parlando Cicerone, lo chiamò Senator ornatisimus. Fù Pretore, e Questore di Provincia con Lucio Giunio; Tribuno della Plebe con C.Licinio; e Proquestore con Lucio Ottavio Balbo nell'Anno di Roma DCLXVIII. Un'altro Marco Ottavio nipote del primo, fù Questore di Provincia; Edile Curule, e nel DCLXXII fù Tribuno della Plebe con Lucio Ottavio Ligure.

Gn. Ottavio Figlio del primo Marco, che contendè con Tiberio Gracco; fù nel DCLXI. Questore di Provincia con Lucio Domitio, Proquestore con l'stesso; Tribuno della Plebe con Aulo Sempronio; Pretore di Provincia con Marco Minutio, e finalmente fù Console nel DCLXXVII. con Caio Scribonio. Questo Ottavio fù Nipote d'un Caio, ma non hò potuto trovare, che gradi egli habbia havuto, cosi registra il Grellio per parer di Verrio Flacco, Verrius Flaccus Consules edit Cn. Octavium M. Fil. C.Nep. et C.Scribonium Curionem; l'istesso dicono altri Autori ancora. Di questo disse Cicerone Illum mallem levares, quo optimum, atquè humanissimum virum Cn. Octavium Marci Filium familiarem meum confici vidi.

Lucio Ottavio Fratello di Gneo Ottavio Console ucciso da Cinna, questo nel DCLXII. fù Questore di Provincia con C. Calpurnio; Tribuno della Plebe con Marco Minutio; e doppo Questore di nuovo con l'istesso Calpurnio. Lucio Ottavio Figlio di Gneo, Nipote di Gneo, cognominato Balbo, Cicerone dice, che fosse Senatore, e perito nelle Leggi, fù nel DCLXVII. Questore di Provincia con Marco Canuleio, Proquestore con Marco Ottavio, Tribuno della Plebe con Marco Giunio; Edile della Plebe con Marco Cestio; e finalmente fù Console nel DCLXXVII. con C.Aurelio Cotta. Questo fù Nipote di quello Gneo, che fù Console con Tito Annio. Un'altro Lucio Ottavio cognominato Ligure (credo sia Figlio di quel Marco, detto ancor'egli Ligure) fù Tribuno della Plebe con Marco Ottavio nel DCLXXII. fù Pretore Urbano con Lucio Furio. Di questo penso che fosse Figlio quel Lucio Ottavio, di cui Fulvio Orsino registra la seguente Memoria:

C. RVSTIVS C.V. FLAVVS ITER L. OCTAVIVS L.F. VITVLVS IIIIVIR. D.S.S. VIAM INTEGENDAM CVRAVER

Un'Altro Marco Ottavio io trovo in Dione, che seguitando le parti di Pompeo, si portò valorosamente contro Cornelio Dolobella; perchè essendo Ottavio Prefetto della Squadra assieme con Lucio Scribonio, lo disfece nella Dalmatia, Marcus Octavius, et Lucius Scribonius Libo P. Cornelium Dolobellam Cæsaris Administratorem, in qua tunc fortè erat, profligaverunt Classe Pompei usi; et il Sabellico lo conferma, dicendo, Circa Illiricum ab Octavio Dolobella Navali Prœlio superatus in hostium potestatem venit. Finita poi la guerra di Farsaglia, s'uni con Catone; ne più hò trovato di lui. Trovo un'altro Gneo Ottavio, che nell'Ann. DCXCVI. fù Questore con Caio Salustio; questo fù figliuolo di Lucio Ottavio; non sò però se del Balbo, ò del Ligure, che furono nelli medesimi tempi.

Caio Ottavio cognominato Rufo, Padre di Ottaviano Imperatore, fù nel DCXCII. Questore con Caio Toranio; Tribuno de' Soldati; Edile della Plebe; Giudice delle Questioni, Pretore e Proconsole della Macedonia, fù Persona di gran bontà, e valore; e per non discrivere à lungo la vita, e l'heroiche attioni di lui, recitarò solamente le parole di Tranquillo, che dice, Amplis enim innutritus opibus, honores ed adeptus est facilè, et egregiè administravit. Et Prætura Macedoniam sortitus fugitivos, residuam Spartati, et Catelinæ manum, Thurinum agrum tenentes, in itinere delevit, negotio sibi in Senatu extra ordinem dato. Provinciæ præfuit non minore iustitia, quàm fortitudine. Namquè Bellis, ac Thracibus magno prœlio fusis, ita socios tractavit, ut Epistolæ M.T. Cic. extent, quibus Quintum Fratrem eodem tempore, parum secunda fama, Proconsolatum Asiæ administrantem, hortatur, et monet imitetur in promerendis sociis vicinum suum Octavium.

Morì Caio Ottavio in Nola, ritornando dalla Macedonia di morte repentina mentre doveva ricevere il Consolato, cosi dice Svetonio. Quanta fosse la virtù, et il merito di questuo huomo, lo spiegò Velleio con le seguenti parole degne veramente d'esser registrate da qualunque Autore, non che stampate da' suoi Cittadini; Fuit Caius Octavius, et non Patritia, ita admodum speciosa Equestri genitus Familia, gravis, sanctus, innocens, dives. Hic Prætor inter nobilissimos Viros creatus primo loco, cum ei dignatio Iulia genitam Actiam conciliasse uxorem, ex eo honore sortitus est Macedonim, appellatusq. in ea Imperator, decedens ad petitionem Consulatus obiit. Fù di più Senatore, come s'è detto di sopra, per parere di Sesto Aurelio Vittore; e dal Figlio Augusto li fù doppo morte alzato un'Arco molto sontuoso, dice Plinio. Tutte le sopra accennate honorevolezze, e cariche ritenute, vengono espresse nella seguente Memoria registrata da Giano Grutero nelle sue Descrittioni Auguste

C. OCTAVIVS C. F. C. N. C. PR. PATER AUGUSTI TR. MIL. BISQ. ÆD . PL. CUM C. TORANIO IVDEX QÆSTIONVM PR. PRO. COS. IMPERATOR APPELLATUS EX PROVINCIA MACEDONIA

Hebbe Ottavio un Fratello chiamato Lucio Filippo, à cui (oltre alla Madre) lasciò in cura Ottaviano, dice Dione: hebbe due Mogli, una chiamata Ancaria, e di questa nacque Ottavia maggiore, che fù Moglie prima Marcello, e poi di Marco Antonio.

Questa Ottavia fù Donna di grandissima prudenza, e valore, che bramosa di rimediare in qualche modo alle discordie, che passavano trà Ottaviano suo fratello, e Marco Antonio suo Marito, andò in Atene con molta pompa, con denari, suppellettili, e donativi, ma fece poco profitto, perche per amor di Cleopatra, e per altri rispetti, Antonio la rimandò in dietro, senza haverli usato quelle accoglienze maritali, che se le convenivano. Dispiacquero grandemente ad Ottaviano li portamenti fatti à sua Sorella, e perciò la consegliò, ch'ella dalla Casa del Marito si partisse, ed habitasse sola in altra Stanza; ma ella sagace, per non dare à divedere al Mondo esser ella caggione, e fomento di nuova discordia, non solamente volse restar'in Casa, ma con grandissima Carità, ugualmente, e li suoi proprij Parti, e li figliastri nati di Fulvia prima Moglie d'Antonio allevava. Perche di lui hebbe solamente due figlie femine, ambedue chiamate Antonie, una detta Maggiore, la quale fù maritata à Lucio Domitio Enobarbo, e l'altra Minore, che fù Moglie di Nerone Claudio Druso cognominato Germanico. Octavius Sorori ex Athenis reversa, quoniam ab Antonio sperneretur, author erat, ut mariti Domo relicta, seorsum habitaret; quod negavit illa se facturam, ne materia novæ discordiæ, civiliumq. bellorum extitisse videretur, quin Antonii domo esse perseveravit, fovebatq. interim, non tantùm communes Liberos, sed eos etiam, quos ex Fulvia extulerat, incredibili charitate, dice il Sabellico. Non fù ricompensato, nè conosciuto dall'ingrato Marito amore tanto singolare, ma con il contrario cambiato, perche da Atene mandò uno à posta in Roma, che la scacciasse di casa, come fece; et ella accompagnata da tutti li figlioli se ridusse à stare in una Casa privata; nè d'altro piangeva, e s'affliggeva, che per la stima, che si poteva far di lei, d'essere stata caggione di quella discordia Civile tanto grande, e pure altro non haveva procurato, che unione, e pace. Mœsta, et lamentabunda quod civilis discordia causu haberetur, cuius tollenda sempre author fuisset, dice l'istesso.

LIBRO SECONDO

Arme della Città. Cap. I.

Ancorchè in un'altra mia Operetta di poco momento, che contiene le Armi particolari delle Fameglie più principali di Velletri, io sia per fare un Discorso dell'Arme universale della Città; con tutto ciò hò giudicato convenevole farne in questo luogo breve mentione. La prima Arme della Città di Velletri non haveva Impresa alcuna; ma conteneva solamente quattro Lettere, cioè S.P.Q.V. le quali, si come nel tempo, che regnavano li Volsci, dicevano, Senatus, Populusquè Volscorum de' quali (come chiaramente s'è dimostrato), a'un tempo fù Capo; così, mentre questa Città fù Republica, et avanti all'Impero d'Augusto, dicevano, Senatus, Populusque Veliternus. Si continuò quest'Arme fin'a gl'Anni del nostro Ottaviano, che facendo per Impresa della sua Fameglia Ottavia una Rocca, over Torre Merlata, li nostri Cittadini la pigliarono per propria Arme della Città. Che la Fameglia Ottavia habbia havuto per Impresa questa Rocca, o Torre, è ben chiaro per quello, che si ha della Fameglia di Sant'Eustachio originata, e dependente dall'Ottavia, che se bene, per il Lupo, et il Leone, che rapirono S.Agapito, e S.Teopisto fanciulli Figlioli del Santo, alza per Impresa questi due Animali con due Fanciulli in bocca; con tuttociò, essendo il Campo dell'Arme diviso, a man destra porta depinta una Torre, ò Rocca, come antica Impresa di questa Prosapia, e della Fameglia Ottavia, dalla quale la S.Eustachia deriva. Cornelio Vitignani, trattando della Stirpe Austriaca, vuole, che la Torre, ò Rocca Bianca, in Campo vermiglio sia l'Impresa della Fameglia Anicia; nè à tal sentenza io contradico, tenendo che la Fameglia Anicia sia l'istessa che l'Ottavia, e che la Giulia. Perche doppo la morte dell'Imperatore Ottaviano, stante l'unione, che haveva con la Fameglia Giulia, per essere Accia sua madre, sorella, come s'è detto, di Giulio Cesare, in vece di Giulia fù detta Giuliana con voce derivativa, come potrei provare con Epitafij, e Memorie autentiche di gravi Scrittori. Questa Fameglia Giuliana, perche hebbe soggetti, che fecero imprese per la Republica, fù detta Anicia, voce Greca, che non suona altro, che invitta; il che apparisce per molte Inscrittioni collocate in Roma; et autenticate dal Baronio, una delle quali è la seguente.

PETRONIO PROBINIANO, ET ANICIO IVLIANO COSS. PRID. KALENDAS APRILES COLONI, ET COLONIÆ ÆLIÆ HADRIANÆ

Questo Giuliano Console, come afferma il Bardi, lasciò doppo di se Anicio suo figliolo, circa gl'Anni del Signore CCCXXVIII. E così la Fameglia continuò ne' Posteri il Cognome d'Anicio, lasciando quello di Giuliano, la quale in Roma fù sempre grande, e fece imprese eroiche, come confermano Giu. Lipsio , et Ald. Manutio. E ne gl'antichi Annali di Roma si leggono le seguenti memorie.

ANICIVS IVLIANVS COS. PRIMVS CHRISTIANVS ANNO DOMINI CCCXXII. ANICIVS IVLIANVS PRÆTOR VRBIS ANNO DOMINI CCCXXVI.

L'istesso provano li due seguenti Epitaffij trà gl'altri mandatimi dal Sig. Cavalier Francesco Serra persona degna d'esse ammirata per ogni qualità, che rende riguardevole un Cavaliere, ma principalmente per l'essatta, et universal notitia dell'Historie, come uno trà principali di questa honoratissima professione.

DIS MANIBVS TIRANNIÆ ANICIÆ IVLIANÆ C. F. CONIVGI Q. CLODI HERMOGENIANI OLIBRI V. C. CONSVLARIS CAMPANIÆ PROCON. APHRICÆ PRÆFECTIS VRBIS PRÆF. PRÆT. ILLIRICI PRÆF. PRÆT. ORIENTIS CONSVLIS ORDINARII FL.CLODIVS RVFVS V.P. PATRONÆ PERPETVÆ

Di questa Tirannia, dice il Baronio le seguenti parole, Dicta est hæc Tirannia Anicia Iuliana uxor Quinti Clodii Hermogeniani, Olibrii V.C. ut produnt antiquæ Inscriptiones, etc. Quest'altro Epitaffio, che stà nel Palazzo de' Signori Cesi.

SEXTO PETRONIO PROBO ANICIANÆ DOMVS CVLMINI PROCONSVLI APHRICÆ PRÆFECTO PRÆTORIO QUATER ITALIÆ ILLIRICI APHRICÆ GALLIARVM CONSVLI ORDINARIO CONSVLVM PATRI ANICIVS HERMOGENIANVS OLIBRIVS V.C. CONSVL ORDINARIVS ET ANICIA IVLIANA C.F. EIVS DEVOTISSIMI FILII DEDICARVNT

E perciò l'Abb. Caetano hà scritto Aniciam Cæsarum Stirpem. Dal che raggionevolmente si dimostra, che l'Arme della Fameglia Anicia sia l'istessa, che dell'Ottavia, antica Impresa di Velletri. Potrebbono alcuni pensare, che l'Arme del nostro Augusto fosse una Stella, perche, mentre si celebravano li Giuochi Funebri in honore di Giulio Cesare Dittatore suo Zio materno, e Padre adottante; e sagrificava egli à Venere, fù veduta di giorno una lucidissima Stella nel Cielo, dal che pigliò buono augurio, e portò sempre in honor, e memoria del suo Zio, e Padre nella Celata scolpita una Stella. Forse da questo gesto d'Ottaviano alcuni pigliano il principio dell'uso comune di alzare una Stella per Impresa. Alessandro ab Alexandro narra, che nelle Monete d'Argento, che fece stampare Augusto, vi stava impresso il segno di Capricorno; e questo, perche egli sotto tal segno nacque, Augustus Octavius nota Sideris Capricorni, sub quo in Lucem natus erat, Argenteum nummum perculsisse dicitur. Svetonio registra, che l'impresa d'Augusto, della quale egli si serviva nelle Lettere, Diplomi et altre Scritture, fosse una Sfinge, ch'altro non rappresentava, ch'un Animal biforme, In Diplomatibus, Libellis, et Epistolis signandis initio Sphinge usus est. Prospero Rossetti registra, che nell'Anello d'Augusto vi stavano scritte le seguenti parole, Nosce te ipsum. Altri vogliono, che quell'Animal biforme tutto composto di mezza Capra, e mezzo Pesce; al che aggiongono un Globo mundiale, un Timone di Nave, et il Vaso delle Dovitie. Volendo forse per quelli due mezzi Animali significare (in riguardo di quello che notò Alessandro) li due Segni celesti, che furono favorevoli a' suoi natali; per il Globo mundiale, il Mondo soggetto al suo Impero; per il Timone, lo Scettro, col quale reggeva l'Universo; e per il Vaso delle Dovitie, la Pace e l'Abbondanza de' suoi giorni.

Lascio da parte queste, e simili altre inventioni, parti dell'humano ingegno, e dico, che l'Arme antica della Fameglia Ottavia sia un Rocca; Castello, ò Torre, che nell'Impero di lui, o poco doppo, pigliò per Impresa la nostra Città. La Rocca, e Castello, è Simbolo di Fortezza, che, non senza raggione vien'ancora Fortezza chiamata e per questa dinotavasi il valore, e fortezza di questa Fameglia, che con la sua alta Cavalleria diffese la Città propria, vinse gl'inimici, fece resistenza a' rebelli, e soggiogò il Mondo intero. Che questa Impresa la nostra Città l'habbia havuta dalla Fameglia Ottavia, lo dimostrano li due seguenti versi, che stavano nell'antico Palazzo Priorale.

Hinc Genus, hinc Proavi, divi sum et Cæsaris ortus, Hic fuit, hic tribuit Civibus arma suis.

E nel Libro delli nostri Statuti si leggono altri due versi stampati sotto l'Arme della Città, che esprimono l'istesso, e sono li seguenti.

Augusti Natale, Solum celebresquè Velitræ Quæ dedit Arma suis, Cæsar Alumnus habet

S'aggionge per altra metà dell'Arme tre Arbori insieme ligati, quali da alcune sono stimati Pini; e da altri, Cipressi, denotando forse la stabilità della Città, et il terrore di Morte apportato à genti nemiche. Io nulladimeno sono di parere, che siano Lauri , significanti le tre Fameglie de' Cesari, unite assieme; cioè la Giulia, la Ottavia, e la Claudia, delle quali solamente li Cesari si coronavano di quel Lauro fatale, che si ritrovò nel grembo di Livia Augusta, ultima moglie del nostro Ottaviano. Narra Svetonio nella vita di Sergio Galba Imperatore, che subito che fù sposata Livia Drusilla ad Augusto, volendo andare ad una certa sua Villa, si pose à sedere nel Grembo di lei una Gallina di maravigliosa bianchezza, Conspicui candoris (dice Plinio) che teneva con il rostro un Ramoscello di Lauro verdeggiante, con frondi e con bacche; caso in vero di tanto stupore, che subito furono chiamati Auguri, Auruspici, et altre persone saggie, acciò spiegassero quel che di buono, ò di cattivo dinotava. Fù risposto da quelli, che il Ramo di Lauro si dovesse piantare, e la Gallina conservare, come ancora tutti li Polli che alla giornata da quella nati fossero. Tanto fù esseguito, in guisa tale, che quella Villa, (ch'era vicina al Tevere, nove miglia distante da Roma per la via Flaminia) pigliò, e ritenne poi il nome, Alle Galline. Anzi nota Enea Vico, che, perche si conservavano tutti li parti di quella Gallina, sia originato quel trito Proverbio, Voi siete figliolo della Gallina bianca, significando l'essentione di alcuno da qualche peso, ò gravezza, come quei Polli erano essenti dall'uccisione. Di quel Ramo di Lauro, piantato, e divenuto Arbore, se n'incoronava , e ne portava in mano un Ramo Ottaviano, quando trionfava, e gl'altri Imperatori ancora suoi soccessori, come dice Plinio, che registra l'istesso caso, Ex ea triumphans postea Cæsar Laurum in manu tenuit, Choronamquè Capite gessit, ac deindè Imperatores Cæsares cuncti. Dovevano gl'Imperatori trionfanti, subito finito il trionfo, piantar quel Ramuscello di Lauro, c'havevano portato in mano; e perciò in quella Villa si vidde ad un tempo un Laureto non piccolo. Ma avveniva questo di stupore, che morto l'Imperatore, si seccava subito quella pianta di Lauro, ch'egli doppo il trionfo piantato haveva. Quando poi morì Nerone Claudio, ultimo delle Fameglie de' Cesari, si seccò à fatto tutta la Selva di Lauri; e morirono tutte le Galline, e Polli assieme; segno manifesto, che terminava la Serie de' veri Cesari. Registrarò le parole di Tranquillo, Liviæ olim post Augusti statim nuptias Veientanum suum revisenti prætoruolans Aquila Gallinam albam Ramum Lauri rostro tenentem, ita ut rapuerat, demisit in Gremium. Cumq.; nutriri Alitem pangiquè Ramulum placuisset tanta Pullorum Soboles provenit, ut hodie quoque ea Villa ad Gallinas vocetur. Tale verò Lauretum, ut triumphaturi Cesares inde Laureas decerperent, fuitq. mos triumphantibus, alias confestim eodem loco pangere: et obsernatum est sub cuiusque obitum Arborem ab ipso institutam elanguisse. Ergo novissimo Neronis Anno, et Sylva omnis exaruit radicitus, et quicquid Gallinarum erat, interiit. Concludasi dunque, che li tre Arbori della nostra Impresa significando le tre sopraccennate Fameglie, siano Lauri, e non Cipressi, ò Pini.

Vengo confermato in questo pensiero da quel che registra Pierio Valeriano, il quale per sentenza di Proclo, dicendo, che il Lauro sia simbolo di salute; vuole che però per custodia, tanto delle case, quanto delle persone si usasse; anzi ne' due seguenti versi d'Ovidio.

Postibus Augusti eadem fidissima Custos Ante Fores stabis, etc.

Egli intende che la Corona Civica (questa si soleva dare à chi liberava di morte un Cittadino Romano) fosse di Lauro, et una tal Corona stasse sospesa nella facciata del Palazzo d'Ottaviano, come per Custodia. Se bene alcuni per le medesime parole del Poeta, pensano ch'avanti al Palazzo d'Augusto non la Corona Civica, ma le proprie piante di Lauro piantate fossero, Eadem verò specie Civicam eam fuisse crediderim, quam Augusti Foribus affixam, Ovidius ait; quamvis nonnulli Arbores ipsas satas putent, quia ita scriptum à Poeta sit; Postibus, etc.

Confermasi quest'ultima sentenza per quello che scrive Dione, il quale registra, che frà gli altri honori, che furono fatti dal Popolo Romano al nostro Ottaviano, quando orò in Senato per la rinuncia del Governo, e per la divisione delle Provincie alla cura de' principali Cittadini Romani, fù decretato, che avanti al suo Palazzo si piantassero li Lauri. Recitarò le sue parole, Cæsari, cum Orationem de eiurando Regno, ac dividendis Provinciis habuisset, multi erant honores delati, nempè ut antè ipsius Domum il Palatio Lauri penerentur. Diciamo dunque raggionevolmente che li nostri antichi Velletrani non Pini, ò Cipressi, ma Lauri alzassero per parte dell'Impresa della Città. Il Lauro fù ne' passati di tanta stima, che Empedocle (riferisce Pierio) s'havesse havuto à fare trasmigratione in altra specie, sicome non haverebbe scelto trà gli animali, che il Leone, cosi trà le piante non haverebbe eletto, che il Lauro. Lauro dico, ch'è Presaggio d'Imperio, Impresa de Trionfanti, e segno di Vittoria, come si sperimentò in Alessandro Severo Imperatore, nella di cui Casa un Lauro piccolo trà lo spatio d'un'Anno, crebbe tanto, che superò un Persico di molti Anni, presaggio, ch'egli doveva superare, e vincere li Persi, come fece; e perciò, se bene era dedicato ad Apollo, si portava, e metteva avanti à Giove, dice Plinio, Ex his in Gremio Iovis Optimi Maximis deponitur, quoties lætitiam nova victoria attulit. Scaccia i Veleni; quindi Esculapio si coronava anticamente di Lauro. E simbolo della fatiga virtuosa per l'amarezza delle sue foglie. Non è percossa dal Fulmine, se non con infausto presaggio, e cattivo augurio di qualche futura calamità grave; e perciò Tiberio Cesare, mentre tonava, si coronava di Lauro, cosi scrive il Rovellio, Laurus Fulmine non teritur, nisi futuræ calamitatis prodigio, ideo Tiberius Imperator, tonante cælo, coronabatur Lauro. E manifesto segno di Pace, registra Plinio, Ipsa pacifera, ut quam prætendi, etiam inter armatos hostes, quietis sit indicium. Il Lauro finalmente è simbolo di Libertà, il che vien'autenticato dall'istesso Plinio, col caso di Lucio Giunio Bruto, il quale fù il Capo à scacciar li Tarquinij, e li Regi, et introdurre di nuovo nella Repubblica Romana l'antica Libertà. Dice egli, che la terra, che baciò questo Bruto, fosse feconda, et abbondante di Lauri, Fortassis etiam in argumentum quoniam in Libertatem publicam is meruisset, Lauriferam tellurem illam osculatus ex responso.

Narra Alicarnasseo, che simulando questo Lucio Giunio Bruto d'esser pazzo, per evitar gl'effetti della cruda Tirannia di Tarquinio Superbo, già per cupidigia dell'altrui ricchezze contro il padre, et il fratello di lui essercitava, fù mandato per ischerzo, e per gioco assieme con Arunte, e Tito (ò pur Sesto) Tarquinij figliuoli del Rè, al'Oracolo d'Apolline in Delfo per caggione della Peste, ch'affliggeva (anzi per la morte de' putti, vergini, e donne gravide) distruggeva Roma et il suo Dominio, Eo quippe tempore, quando ignotum pestilentiæ genus per ditionem eius grassabatur, quod in pueros maximè sæviebat, et virgines, sed pregnantibus perniciosissimum, matres una cum ipso fœto passim stervens per vias. Esseguiti i commandamenti reggij, e fatti da Prencipi giovanetti li particolari donativi, e preghiere al fallace Nume; Bruto offerì ad Appolline un bastone di legno incavato, ma secretamente ripieno d'oro purissimo. Da' curiosi Giovani si richiede' all'Oracolo, chi di loro doveva haver l'Impero della Repubblica Romana doppo la morte del Rè, e gli fù risposto, che quello sarebbe stato il regnante, che primo sua Madre baciata havesse, Responsum est, cum qui primus Matrem osculatus fuerit; il che saggiamente inteso da Bruto, non la propria Madre, che generato l'haveva (come già concordemente li due Giovani Tarquinij havevano risoluto) ma la Madre terra, con sembianza di caduta, baciò; ed egli per la Libertà della Patria, con l'occasione della violenza fatta à Lucretia moglie di Collatino, fù il primo, c'havesse il supremo honore del Consolato, e scacciati li Tarquinij da Roma, introdusse di nuovo nella soggiogata Repubblica l'antica Libertà. Concludasi dunque per ogni raggione, ch'essendo il Lauro simbolo della Libertà, della quale la nostra Città ne gode l'honore, et il titolo; che li nostri tre Arbori siano Lauri, e non d'altra specie, come altri pensano. Una moneta con la Rocca, e tre Arbori da una parte, dall'altra col volto del nostro Ottaviano Augusto haveva Antonio Foschi, et io l'hò veduta, dalla quale si poteva argomentare l'antichità, e verità dell'Arme di Velletri. E' vero, che vi stava impresso un Fiume, ch'usciva dalla Rocca, ò Castello, forse per lo stillicidio d'acque dalle nostre montagne, cosi copioso, che se ne aduna il Lago di Nemo, e se ne forma il Fiume di Campomorto, quale scorre al Mare vicino ad Astura. Altro pensiero non posso farne; perche non mi pare possibile, che Velletri havesse, ne' passati secoli, Fiume vicino, mentre non vi si vide minimo vestiggio di letto, nè si scorgono apertamente unite tali vene d'acque, c'habbino potuto vicino alla Città formar un Fiume. E se nella salita della Faggiola vi stà una fontana chiamata del Fiume, ma ben sì da qualche insolita affluenza di vena, in comparatione d'altri tempi, dal volgo, ch'ogni momento per quel luogo passa, pigliasse il nome di fontana del Fiume. L'Arme dunque di Velletri è una Rocca di tre Torri, ò Torre con tre Merli, con tre Lauri ligati assieme; li colori del Campo sono d'argento, e la Rocca d'argento in Campo vermiglio. Oltre à questo, stà nell'Arme, sopra lo Scudo un verso di molto honore, e riputatione, che contiene la già accennata Libertà, et è il presente.

EST MIHI LIBERTAS PAPALIS, ET IMPERIALIS

Donde habbia havuto principio scritto tanto honorevole, io non l'hò potuto trovare; si tiene però communemente, c'habbia havuto origine dall'haver da Velletri una Fameglia havuto i suoi natali, la quale è stata Seminario de Pontefici, e d'Imperatori, come se dirà à suo luogo. Hò trovato ben sì, che Gregorio Nono Sommo Ponefice ci confermò questo titolo di Libertà, com'apparisce per un Breve, che comincia, Antiqua Progenitorum vestrorum, et vestra fidelitas dudum ab Apostolica Sede promuerit, etc. Dat. Perusiæ per manus Mag. Bartholomæi S.R.E. Vicecancellarii.3.Non.Ianuar.Indit.8.Incarnationis Dominicæ anno 1235. Nel qual Breve in conferma della nostra Libertà espressa nell'Arme, si leggono le seguenti parole, Disponimus vos velut domesticam familiam in sinu Matris diligentiùs confovere, diligere propensiùs, et consuetæ Libertatis insigniis decorare. Finalmente l'Arme di Velletri è ornata di Corona, non solamente perche la Città è stata Capo, e Regia di Natione, ma anco, perche hà havuto il Dominio di Terre, e Castelli con il Mero, e Misto Impero, cum Potestate Gladii, delle quali si trattarà nel Terzo Libro. Ingresso di Fede in Velletri. Cap. II.

Questa nostra Città, lasciando il falso culto de' Numi bugiardi, e vane superstitioni del Gentilesmo, nelle quali accecata stava involta; per Divina pietà, nel bel principio della primitiva Chiesa, e della Christiana Fede s'apprese alla verità evangelica; perche se Pietro Prencipe de' gl'Apostoli, piantata la Fede nell'Oriente, se ne venne veloce à stabilire la Apostolica Sede nell'Occidente, e fù dieci, ò dodeci Anni doppo la morte di Christo Nostro Signore; ma richiamato dalle discordie di Gerosolima intorno alla Circoncisione, et altri Riti Mosaici, partì Pietro di Roma, dove era stato tre Anni, e fù nel tempo di Claudio Imperatore, e si trattenne in quelle parti molt'Anni, occupandosi grandemente ne gl'affari della Chiesa Orientale. Morto Claudio, Pietro ritornò in Roma alla sua Sposa, nel primo Anno di Nerone, et quivi egli fece grandissimo acquisto di fedeli. Partì di nuovo da Roma per ritrovarsi presente al glorioso transito di MARIA sempre Vergine nostra Signora; e doppo haver instituiti, et ordinati molti Vescovi in varie Provincie, e Regni, per incremento della Christiana Fede, e stabilimento della Romana Chiesa, per consolare con la sua presenza la misera Roma, ch'afflitta stava per le tiranniche crudeltà di Nerone; assieme con Paolo, se ne ritornò nelle nostre Contrade Occidentali. Gionto in Roma Pietro atterrò col valore dell'oratione la dannosa ambitione di Simon Mago familiare del Tiranno, dal cui furore, e sdegno, egli assieme con Paolo ricevè la gloriosa Palma del Martirio, che fù ne gl'Anni di Christo Salvatore LXIX. li 29. di Giugno, essendo Cons. L.Fonteio Capitone, e Caio Giul. Rufo. Assodate le cose di Roma, Pietro se ne scorreva per gl'altri luoghi d'Italia, per piantarvi la Christiana Fede, e perciò deputò alla cura de' Fedeli in Roma Lino Volterano, e per i luoghi convicini Cleto Romano, registra il Ciaccone. Linum Tuscum, qui Urbi, Cletum Romanum qui suburbiis eiusdem præsset, ordinavit, et interim dum aberat, substituit. L'istesso dice il Baronio ne' suoi Annali. Da questo faccio argomento, che Pietro, ò nel partir di Roma, ò nel venir da Napoli, egli instruisse nella Fede di Christo li Popoli Veliterni; se non vogliamo dire, che fosse Cleto, deputato, come s'è detto, al medesimo effetto ne' luoghi vicini. Il pentimento del Dott. Quintiliano Crespini, figliolo di Valerio Dot. di Leg. che fioriva nel M.CD.XCV. significato, anzi con giuramento attestato da Gaspare Catelini Gentilhuomo Velletrano, persona già nonagenaria, perche egli non haveva dall'Archivio di Cora, mentre era colà Giudice, pigliata una Scrittura in carta pergamena, nella quale stava registrata una maledittione, che S.Pietro dava à quelle genti, che molestavano li Popoli Veliterni. Mi fà tutto ciò persuadere; ma mi riporto però al vero, perche con le diligenze usate, non s'è potuta ritrovar Scrittura tale; non è però cosa di maraviglia, perche gl'Archivij delle Communità per il passato, ordinariamente non sono stati tenuti in quel conto, che dovevasi da chi governava. V'è stato chi hà detto, che S. Paolo predicasse in Velletri la Christiana Fede, nel passaggio, che, doppo il naufragio di Malta, fece da Siracusa à Reggio, à Pozzuolo, e poi à Roma per la strada Appia, che sentito da Christiani, gl'andarono incontro sin'al Foro Appio, passando per le Tre Taverne, come si hà ne gli Atti Apostolici, Et cum venissemus Siracusam, mansimus ibi triduò, indè circumlegentes devenimus Rhegium, et post unum diem, stante Austro, secunda die venimus Puteolos, ubi inventis Fratribus, rogati sumus manere apud eos dies septem, sic venimus Romam, et indè, cum audisse Fratres, occurrerunt nobis usquè ad Forum Appii, ac Tres Tabernas. Non giudico necessario provar in questo luogo, dove fosse il Foro Appio; mentre alcuni Scrittori moderni si palesano di differenti pareri. Dirò solamente delle Tre Taverne, che se bene dal Ciaccone, registrando l'incoronatione, e Congregatione d'Alessandro Terzo Sommo Pontefice, si tiene, che fossero dove hora stà Ninfa Castello distrutto, dicendo, Vicum ad Tre Tabernas, alias Nimpham, accessit, ab Episcopis Cardinalibus consecratus, etc. che fù nel M.C.LVI. alli 20. di Settembre, con tutto ciò con il Cluerio, come s'è detto di sopra, le Tre Taverne erano, dove hora stà Cisterna, otto miglia distante da Velletri, che stando nella strada Appia, non mi porge materia di credere, che, se Paolo fosse gionto in Velletri, non havesse S.Luca Scrittore de gl'Atti Apostolici registrata questa Città nostra, come hà notato le Tre Taverne. Io sono di pensiero, che li nostri Velletrani fossero anch'instrutti nella Christiana Fede da S.Clemente, oriundo da Velletri, per esser'egli (come dice il Zazzera) discendente della stirpe Ottavia, e figliolo di Faustino Ottavio, e che però li Velletrani, doppo il glorioso Martirio di lui, li dedicassero il superbo Tempio di Marte. Anzi stimo, che egli fosse Vescovo Veliterno; perche, quando li Prencipi, e Capi della Chiesa Pietro, e Paolo riceverono il Martirio dall'Empio Nerone, Clemente era Vescovo, Clemens eius Discipulus, et Episcopum maximè venerandum, et sanctum eius corpus magnificè composuisset in ima Vaticani parte. Creato avanti alla morte, che sostenne in Croce, così scrive il Ciaccone per autorità di S.Ignazio Martire, A Beato Petro Apostolo Baptizatus, et Diaconus sibi assistens, dein Presbyter, mox Episcopus ordinatus. Non era allhora Clemente, attualmente Vescovo, e Pontefice Romano, perche era ancor vivo Pietro; doppo di lui succedè immediatamente senza vacanza Lino, e poi Cleto; dunque di qualche Chiesa era Vescovo il nostro Clemente. Mi dirà il Turriano, che Clemente fosse Vescovo Romano, ordinato da S.Pietro poco avanti, che ricevesse il Martirio, Clemens verò electus, et ordinatus est Episcopus Romanùs ab ipso Petro, cum Passio eius instaret, cosi scrive contro li Migdeburgensi. Io non dico, che Clemente non fosse da S.Pietro destinato, et ordinato Vescovo Romano à luo soccessore; ma stimo verisimile, che nel Pontificato di Lino, e di Cleto, che durò, frà ambedue XXIII. Anni, IX. Mesi, e XXV. Giorni; et avanti alla Morte di Pietro, che forse vi passò di mezzo qualch'Anno, Clemente, come già ordinato Vescovo, fosse applicato a cura d'altra Chiesa, e con qualche motivo posso persuadermi, ch'egli fosse applicato alla Chiesa Veliterna, essendo sempre stato solito anticamente di crear Vescovi delle proprie Patrie, se v'erano soggetti idonei à tal peso. Ne mi vale il dire, che, se cio fosse vero, sarebbe stato Clemente dal Baronio diligentissimo Scrittore d'Annali Sagri, e da altri Scrittori ancora connumerato nella Serie degl'altri Vescovi ordinati da S.Pietro per altre Città; il che non si trova. Perche à questo rispondo con l'istesso Baronio, che dice di non haver potuto registrar tutti li Vescovi instituiti da S.Pietro, ma solamente quelli, c'hà trovato da altri, in più scritti, espressamente nominati; ecco le sue parole, Quinam fuerint, in diversis temporibus, ad diversas instituendas Ecclesias à Petro missi Discipuli, et ordinati Episcopi, licet scriptum penè obscurum remanserit, aliquot tamen, quos recentiores invenumus, hic enumerasse volumus. Dunque non tutti li Vescovi ordinati da S.Pietro sono registrati, se bene basta, che Clemente sia regiatrato come Pontefice, e Vescovo Romano. Piglia vigore il mio pensiero da quello, che dice Giovanni Diacono nella vita di S.Gregorio Papa, le di cui parole sono queste, Ego autem divina spei fiducia roboratus, quia Gaudericus (altri leggono Gaudentius) Episcopus Veliternus espostulat, ad Clementem Romana Urbis Antistitem, suffragante Domino, filium convertam. Scriveva Giovanni Diacono la Vita di San Gregorio Papa, e Gauderico Vescovo Veliterno lo richiedè a volersi affatigare anco in scrivere la Vita di S.Clemente. Io non posso penetrare li Cuori humani, nè devo speculare gl'altrui pensieri, ma mi voglio far lecito cercare la caggione, per la quale un Vescovo Veliterno richiedesse con premura un Scrittore à scrivere la Vita d'un Pontefice, benche Santo, morto già DCC.LXX. Anni prima. Perche il Martirio di S.Clemente fù al tempo di Traiano, e Giovanni Diacono scrisse al tempo di Carlo Calvo. Mi si puol rispondere, che ciò facesse, ò perche S.Clemente era oriundo da Velletri, ò perche era il Titolare, e Tutelare della sua Chiesa Veliterna; ma io vi voglio aggiongere, che ciò facesse il buon Vescovo, perchè S.Clemente era stato il primo Vescovo della sua Chiesa; essendo cosa ordinaria, ch'ogn'uno procuri di far palese li grandi, e nobili principij della sua Dignità; onde risultava in grandissima riputatione di Gauderico, l'esser Vescovo di una Chiesa, il cui primo Pastore era poi stato Sommo Pontefice, e Santo Martire; e se non si registra per Vescovo Veliterno, dico non esser stato costume molto pratticato in quelli primi tempi della Chiesa, registrarsi de' Sommi Pontefici, che la Chiesa Romana Madre universale della Vera Fede, come si puol vedere nell'opre di Scrittori antichi. E' ben vero, che poi, mentre li Scrittori non hanno havute le crude persecutioni de' fieri Tiranni, si sono dilatati nelle Fatighe Historiche, et hanno più diffusamente discritte le Vite, e le Attioni delle Persone insigni, e virtuose è perpetua memoria di quelli, et essempio de' Posteri. Servami per ultima prova del mio intento una Pietra piccola di Marmo, ritorvata nell'antiche rovine della Chiesa del Salvatore, nella quale si leggono le seguenti parole, degne in vero di farne Publica mostra à gl'occhi del Mondo.

DEO. ALVATORI OPT. MAXO VE AC DIVE GENITRICI ...... SAC. ... AN. DNI. C.

Che per haver'alcune Lettere corrose, e consumate, ci toglie quella certezza, che sarebbe necessaria al nostro intento (colpa del Tempo vorace) con tutto ciò negare non si puole, ch'ella non dimostri una antichità non ordinaria di Dedicatione. Questa Pietra si ritrova al presente nella detta Chiesa per diligenza dell'Arciprete di essa con la seguente Memoria in Marmo, che discuopre brevemente à chi legge quel che si pretende, che sia. ANTIQVISSIMVM HOC CHRISTIANÆ RELIGIONIS MONVMENTVM VETVSTATE COLLAPSVM QVOD E RVINIS OLIM ECCLESIÆ HVIVS EXSTRACTVM HAVD NOBILI LOCO DIV IACVIT HIC SPECTB. COLLOCANDVM CVRAVIT A.R.D. FRANC. SPAVENTA VELITERNVS EIVSDEM ECCLESIÆ ARCHIPRESBITER ANNO DNI M.DC.XL. V. ID. NOVEMB.

Non mi contradice chi asserisce, che la Consecratione, ò Dedicatione delle Chiese pigliasse principio da S.Silvestro Sommo Pontefice nel tempo di Costantino Magno Imperatore, circa gl'Anni del Signore CCCXXVII. perche ciò s'intende della Dedicatione Solenne, e publica, e non della privata, quale hebbe principio nel tempo de gl'Apostoli, come apertamente dimostra il Breviario Romano, che nella Festa della Chiesa del Santissimo Salvatore (dico della Chiesa Lateranense) per li nove di Novembre, ci rappresenta le seguenti parole, Nam, etsi ab Apostolorum tempore lòca fuerunt Deo dicata, quæ à quibusdam Oratoria, ab aliis Ecclesia dicebantur, ubi Collecta fiebant per unam Sabbati, et Christianus Populus orare, Dei Verbum audire, et Eucharistiam sumere solitus erat: non tamen illa adeò solemni Ritu etc. Si che è credibile che in quei primi tempi li Christiani in Velletri havessero questo luogo dedicato al Salvatore, e sua Santissima Madre, da poter fare oratione, sentire la Divina parola, ricever il Santissimo Sacramento dell'Eucharistia, et essercitarsi in tutte quelle cose, che riguardavano il vero culto di Dio. Da quanto si è fin hora detto, apertamente si conclude, che la verità della Santa Fede Evangelica fosse in Velletri predicata, e ricevuta à tempo della Primitiva Chiesa.

Velletri Vescovato Cardinalitio. Cap. III.

Che la nostra Chiesa Veliterna sia stata sempre Cardinalitia, et uno de' primi Vescovati di Chiesa santa, più vicini à Roma, e più insigni, avanti che a questo fosse aggionto, et unito il Vescovato Ostiense, è chiaro per quello che hora diremo. E percio con nulla raggione il Merula chiamò il Vescovato di Velletri aggionto à quello d'Ostia; come anco il Barbosa, che, stimando moderna questa unione, e scrivendo del Vescovato d'Ostia, dice, Cui de novo unitus est Veliternus; mentre il nostro Vescovato è ugualmente principale, ben che unito. Che sia stato anticamente il nostro Vescovato Cardinalitio, è verità apertamente dimostrata dal Ciaccone, che nell'Anno MXCIX. nella Creatione de' Vescovi Cardinali, fatta dal Sommo Pontefice Pascale Secondo, registra Riccardo Vescovo Cardinale d'Albano, D.Leone Marsicano di Campagna Vescovo Cardinal d'Oriente, Leone Vescovo Cardinale Veliterno, e Cinthio Romano Vescovo Cardinale Sabinense, e poi gl'altri, che non erano Vescovi. E nella Creatione de' Cardinali, fatta dal Sommo Pontefice Leone IX nell'Anno MXLIX. registra trà gl'altri un Vescovo Cardinale Veliterno chiamato Giovanni Mincio di Guidone de' Conti di Galera e Tuscolano, oriundo da Velletri, con queste parole, Ioannes Mincius Guidonis Filius, ex Comitibus Galeriæ, et Tusculani, summo loco natus, Episcopus Cardinalis Veliternus, quæ Ecclesia tum inter Cardinalitias numerabatur. Dalla sopraccennata Serie de' Vescovi si puol'argomentare, che trà questi Vescovi, e Vescovati non fosse differenza, ne ordine di precedenza, come al presente trà l'Ostiense, Portuense et altri. Trovo più anticamente autenticata quella Dignità Cardinalitia nella Chiesa Veliterna, perche Leone Secondo Sommo Pontefice assonto alla Sede di Pietro nel DCLXXII. fù consagrato da tre Vescovi Cardinali, e furono l'Ostiense, il Portuense, et il Veliterno; Leo Secundus, Iunior, etc. à tribus Episcopis Ostiensi, Portuensi, et Veliterno consecratus, etc., cosi scrive l'istesso Autore. E nella vita di Papa Giovanni V. il Platina, com'anco l'istesso Ciaccone, registra il simile, con differenza solamente d'ordine, che il Platina mette il Veliterno nel terzo luogo, dicendo, Ioannes itaque vir singularis Religionis, et mansuetudinis, uno omnium consensu, Pontifex creatus, in Ecclesia Salvatoris, quæ Constantiniana appellatur, ad Lateranum, ea ratione, qua Leo Secundus, à tribus Episcopis Ostiensi, Portuensi, et Veliterno. Et il Ciaccone registra il Veliterno nel secondo luogo, dicendo, Ioannes Quintus Ciriaci filius, etc. Consecratus à tribus Episcopis Romæ vicinioribus, et insignioribus, Ostiensi, Veliterno, et Portuensi; qual consacratione è narrata ancora dal Vergilij. Si cambiò poi questo modo di consacrare il Sommo Pontefice; concedendosi tal honorevolezza al Vescovo Ostiense, e poco doppo al Cardinal Decano, benche non fosse Vescovo Ostiense; à cui Marco Primo Sommo Pontefice concedè il Pallio. Ma al presente il Vescovo Ostiense, e Veliterno, per esser sempre Decano del Sacro Collegio, è quello, che consacra, et incorona il Sacro Pontefice. Chi congionse la Chiesa Ostiense alla Veliterna, fù Papa Eugenio Terzo; perche Ostia antica Città, fabricata (come scrive Lucio Floro, et altri) da Anco Martio, nipote di Numa Pompilio, Quarto Rè de' Romani, restò distrutta, e per le Guerre Civili di Roma, ò per il nocumento dell'Aria, priva quasi d'habitatori; il Pietoso Pontefice, acciò non si perdesse la memoria di Titolo cosi antico, e degno, la congionse al Vescovato Veliterno; cosi vuole il Ciaccone, dicendo, Eugenius Tertius Ecclesiam Ostiensem, quæ ab Incolarum defectum ab nihilum ferè redacta erat, Ecclesiæ Veliternæ coniunxit. Da queste parole io scorgo, che l'Ostiense al Veliterno, e non il Veliterno all'Ostiense unito fosse. E mi persuado, anzi tengo per fermo, che se ad Ostia mancavano gli habitatori, à Velletri mancasse il Vescovo Cardinal Pastore; e che il Vescovo Cardinal d'Ostia volesse più presto godere il primo Titolo d'Ostiense, che il secondo di Veliterno; e cosi s'è continovato fin'al giorno presente; mercè alla scarsezza de' Soggetti favorevoli di quei tempi; che forse, se fosse stato rappresentato alla somma prudenza, e giustizia del Pontefice, la maggior antichità di Velletri, l'ugual dignità Episcopale, li favori, e gratie da Sommi Pontefici concedute à Velletrani, la fedeltà di questa Città in molte, e diverse occasioni mostrata verso la Chiesa, e sua Apostolica Sede, di sicuro non l'haverebbe che lasciata nelle sue antichissime prerogative, et honori, che dal bel principio godeva, e che per le accennate raggioni se li convenivano. Ma bisogna di quello concentrarsi, che han partorito gl'accidenti di quei Secoli.

Serie de' Vescovi Cardinali Veliterni. Cap. IV

Ho sempre stimata cosa di molta difficoltà il poter compitamente scrivere, e dimostrare la perfetta Serie di Vescovi Cardinali Veliterni, avanti però all'unione, che fece (come s'è detto) Papa Eugenio Terzo, perche questa Patria (come l'altre ancora) è stata sottoposta alli Sacchi, à gl'Incendij, et alle ruine; onde si sono abbrugiate le scritture, perdute le antiche memorie, e per conseguenza oscurata quella fama, che si poteva far chiara con il negro d'un inchiostro amico. Non doveva pertanto maravigliarsi il Lettore, se quì non iscorgerà quella esatta, e compita Serie, che sarebbe necessaria. Bisognerà dunque concentrarsi del poco, e credere, che le diligenze usate da più virtuosi, non habbino potuto schermire contro l'ingorde fauci del tempo.

Primo Vescovo Veliterno, per quelle congetture e raggioni assegnate di sopra, potrà dirsi S.Clemente, descendente da Velletri per la Stirpe Ottavia, essendo (come dice il Zazzera) figliuolo di Faustino, ò pure Fausto Ottavio, e di Matidia; di cui parlando Niceforo Calisto, e narrando il camino, che la madre di Clemente fece in Athene assieme con gl'altri due figliuoli Fausto, e Faustino (come registra ancora S.Antonino Arcivescovo di Fiorenza) disse, Clementem filium Fausti Cæsarem genere attingentem, di cui mi persuado anco intender volesse S.Paolo, quando, scrivendo à Filippensi disse, Salutant vos omnes Sancti, maximè autem, qui de domo Cæsari sunt. Di qual valore, e di quanti meriti, e santità fosse Clemente, bastarà dire, ch'alla Nobiltà del Sangue congionse l'eccellenza delle Fede, alla Fede l'Eminenza della Dignità, et alla Dignità la Gloriosa Corona del Martirio, sotto Traiano Imperatore, l'Anno della nostra salute C. doppo haver retta la Chiesa Romana Anni IX. Mesi VI. e Giorni VI.

Doppo S.Clemente per CCCLXV. Anni non si trova de Vescovi Veliterni altra memoria, che di Deodato, quale se ritrovò nel Concilio celebrato sotto Ilario Sommo Pontefice in Roma, con la radunanza di Quarant'otto Vescovi, da quali si prohibì à Pontefici l'elettione del Soccessore, e si decretò contro di quelli, ch'ardissero violare le Constitutioni, et Ordinationi Pontificie. Celio Bonifacio soccedè à Deodato, perche nell'Anno CD.LXXXI. si ritrovò nel Concilio celebrato in Roma sotto Felice Secondo Sommo Pontefice, et anco in quello celebrato sotto Papa Simmaco Primo nel CD.XCIX. nel quale convennero Settanta due Vescovi, e si dichiarò il vero, e legittimo Pontefice.

Silvano Santo, da alcuni detto Silviano, e Silvino, fù Vescovo di Velletri nel D.I. si ritrovò ne' Concilij celebrati sotto Simmaco Sommo Pontefice contro Scismatici. Nel Martirologio Romano è posto nella Campagna con queste parole, In Campania S.Silviani Episcopi, et Confessoris; ma il Baronio nelle sue Annotationi tiene, che sia il nostro Vescovo Veliterno, che si ritrovò in detti Concilij. Perche anco nel Concilio celebrato sotto Agatone Sommo Pontefice, nella sottoscrittione di Vescovi; di Placentio si legge, Placentius Episcopus Veliternus Provinciæ Campaniæ, chiamandosi per ancora la Regione del Latio, dove stà Velletri Città Volsca, Campagna di Roma. Anzi il detto Autore vuole, che simil difficoltà si sperimenti in altri molti ancora. Si celebra la Festa di questo Santo Vescovo per li 10. di Febraro.

Chi soccedesse à Silvano immediatamente, io non hò potuto saperlo, trovo ben sì, che Giovanni fù Vescovo di Velletri nel D.XCVI. perche come si hà in un Codice della Libraria Vaticana, si ritrovò nel Concilio celebrato da San Gregorio Sommo Pontefice per li 5. di Luglio del detto Anno. Anzi, come si vede nel Registro, il medesimo Santo Papa li scrisse, che stante il pericolo che li soprastava de' Barbari, dovesse ritirarsi in un luogo sicuro della sua Diocese, chiamato Arenata, Ad Sanctum Andream Apostolum, comincia la lettera, Temporis qualitas admonet, etc. et in un'altra lettera li diede in cura la Chiesa delle Tre Taverne, hora Cisterna, e comincia, Postquam hostilis impietas, etc.

Doppo questo Giovanni l'Abbate Ughelli registra Vescovo nostro Veliterno Giraldo Moroveo santo, che con le sue preghiere, e meriti, per salvezza della Città sua impetrò da Dio la Grandine di Ghiande de Piombo, che fecero crudelissima strage de' Saraceni, quali volevano dar l'incendio à Velletri; di cosa tanto miracolosa ne fa mentione il Ferrari nel suo Martirologio de' Santi d'Italia, et il nostro Mancinelli scrive esser stato Monaco, et Abbate, ma non fa mentione del Monastero: forse fù Abbate del Monastero di S. Rufo, dove come si dirà, vi fù ancora Abbate Anastasio Quarto Sommo Pontefice; finalmente Giraldo fù dal Magno Gregorio destinato Vescovo Veliterno, Eius deinde fama illectus Gregorius Pontifex Summus Veliterno Clero Episcopum stauit, scrive il Mancinello. Hà fatto, e fà questo glorioso Pastore molti miracoli; hà liberato indemoniati, data la vista à ciechi, consolidato paralitici, liberato schiavi; et un tal Pietro servo basso del Cardinal Alberico Beluacense Francese, che fù Vescovo Veliterno nel M.XLVI. essendoli nato un osso nella gola, che lo tormentava, raccomandandosi alli meriti del santo Vescovo, lo vomitò fuora nelle proprie mani, e rassembrava l'osso un puttino con le membra humane. Molti altri miracoli hà fatto, e fà Dio benedetto per l'efficaci intercessioni di questo suo servo, quali non si registrano, ma alla giornata si sperimentano da diversi Cittadini. La Festa di questo Santo si celebra in Velletri per li sette di Decembre, giorno, come nota il Mancinello, del suo felice transito da questa Valle di miserie all'ameno Giardino del Cielo, dove gode eterna gloria.

Chiamato Giraldo dal suo Signore à godere in Cielo quello, c'haveva meritato in terra, fù fatto Vescovo Veliterno Humile, il quale nel D.C.I. si trova sottoscritto in un Constituto di S.Gregorio Papa per certi Monaci, come registra il Baronio.

All'Humile soccedè Potentino, il quale si ritrovò nel Concilio Romano adunato, e celebrato con cento, e cinquanta Vescovi sotto Martino primo Sommo Pontefice, e Santo Martire, contro Constante Imperatore heretico, non solamente perché difendeva nell'Heresia Paolo Patriarca Constantinopolitano, ma anco perché malamente egli trattò i Legati Apostolici. Potentino Belitrensi, si legge nel Codice impresso Coloniæ Agrippinæ M.DC.XVIII..

Soccedè nel Vescovato Placentio, ò Placentino, il quale si ritrovò nel Concilio Romano celebrato sotto Agatone Sommo Pontefice nel DC.LXXIX. nel quale si determinò la verità, che in Christo siano due Nature, e due Volontà, Divina, & Humana, di cui s'intende la sopr'accennata sottoscrittione.

Giovanni Secondo si ritrovò nel Concilio Romano sotto Gregorio Secondo Sommo Pontefice nel DCC. XXI. come si vede in un manoscritto della Biblioteca Vaticana, e si sottoscrisse in un Decreto fatto contro li maritaggi illeciti. Grosso overo Gratioso si ritrovò né tre Concilij celebrati sotto Zaccaria, e sotto Paolo Primo Sommi Pontefici, nel DCC.LXI. e si sottoscrisse ad alcuni Decreti di grandissima consideratione.

Teodoro fù Vescovo di Velletri sotto Adriano Primo Sommo Pontefice che salì alla Sede di Pietro nel DCC.LXXII..

Gregorio fù Vescovo di Velletri, e si ritrovò nel Concilio Romano celebrato sotto Eugenio Secondo Sommo Pontefice nel DCCC.XXVI.

Giovanni Terzo si ritrovò nel Concilio Romano sotto Leone Quarto Sommo Pontefice negli Anni DCCC.LIII. nel quale li Padri decretarono molte cose spettanti alla Disciplina Ecclesiastica.

Gauderico, o Gaudentio fù Vescovo di Velletri, e si ritrovò nel Concilio Romano sotto Adriano Secondo Sommo Pontefice nel DCCC.LXXI.. Fù Legato di Papa Giovanni Ottavo à Carlo Calvo Imperatore, acciò l'essortasse di venire in Roma. Alla richiesta di questo Vescovo, Giovanni Diacono scrisse la Vita di San Clemente Papa, e Martire; come egli confessa, e vien registrato dal Baronio, Ego autem divinæ spes fiducia roboratus, quia Gaudericus Episcopus Veliternus expostulat, ad Clementem Romanæ Urbis Antistitem, suffragante Domino, stilum convertam.

Nel CM.XLII. era Vescovo Veliterno Leone, come per Instromento d'Emphiteusi fatto tra esso Vescovo, et un tal Demetrio, quale si conserva nell'Archivio de' Signori Canonici, stipolato sotto Marino Secondo Sommo Pontefice. Teobaldo era Vescovo di Velletri nel CM.XCVI.

Giovanni Quarto era Vescovo Veliterno nel M. Dicesi, che questo Vescovo con grandissima diligenza, e prestezza nascondesse molte Reliquie de Santi, e molt'altre cose pretiose spettanti al Culto Divino, acciò non andassero in mano de' Saraceni, che scorrevano à depredare, e distruggere in più parti d'Italia. Odone fù Vescovo Veliterno nel M.II.

Teobaldo Secondo de' Conti di Tuscolano, oriundo da Velletri, fù Vescovo Cardinal Veliterno nel M.XLIX. sotto Leone Nono Sommo Pontefice, così registra il Ciaccone, trattando di Giovanni Mincio, con queste parole, In locum Theobaldi suffectus. E se bene un'altra volta dice, Iohannes verò à Leone IX. propinqui sui Theophilacti obitu, Veliternus Episcopus, et Cardinalis creatus est, con tutto ciò stimo sia errore di Stampa, perchè l'Abbate Ughelli, lo registra con nome di Teobaldo; si però non volessimo dire, che Teofilatto della istessa Fameglia, che fù Papa nel M.XXXII. con nome di Benedetto Ottavo, detto Nono, fosse ancor egli Vescovo Cardinal Veliterno, che è cosa credibile. Questo Teobaldo si trova sottoscritto prima in un Breve di Papa Giovanni Decimonono nel M.XXVIII. à favore del Monastero, e Chiesa di Selva Candida. Soccedè, come s'è accennato, Giovanni Mincio, oriundo da Velletri, creato Vescovo Cardinal Veliterno da Papa Leone Nono nel M.XLV. ma di lui ne faremo mentione altrove.

Pietro Damiano Ravennate, per cognome detto Honesto, huomo santo, come la sua vita riformata dimostra, se bene nel M.LIX. io lo trovo Vescovo Ostiense, Cardinale creato da Stefano Decimo Sommo Pontefice, nulladimeno nell'Archivio della Catedrale à tempo d'Alessandro II. Sommo Pontefice, che fù nel M.LXI. lo trovo nostro Vescovo Cardinal Veliterno; dal che non posso pensar altro, se non ch'essendo egli con santo Zelo stato contrario al Mincio Antipapa, doppo la Relegatione di lui in Velletri, overo doppo la morte che li soccedè d'Aprile del M.LX. sotto Nicolò Secondo Sommo Pontefice, fosse sostituito in suo luogo nel Vescovato Veliterno esso Pietro, come persona saggia, e dotta, per la riforma del nostro Clero, che riuscì in breve, e ne scrisse à Don. Annone Arcivescovo con queste parole, Refero tibi de Canonicis nostris, Sanctæ videlicet Velitrensis Ecclesia, etc.

Rinunciò questo sant'huomo il Vescovato per poter maggiormente servire il suo Signore, poco avanti la morte di Alessandro Secondo, che avvenne nel M.LXXIII. ò LXXV. e fù fatto nostro Vescovo Cardinale Odone, ò pure Othone, di cui habbiamo l'intrascritta memoria in pietra nella Chiesa di San Silvestro dentro di Velletri della Compagnia de' Falegnami.

ANO DNI MLLO OCTVAGESIMO V. IN DITIONE V. M. IVLII DIE XX. ODO EPS DE DICAVIT ECLAM BEATI SILVESTRI AD HONORE ET LAVDE DI OIPOTEN TIS OI ANNO ASOLVIT XII. DIES ET HEC SVNT RELIQVIAE QVE REQVIE SCVT IN ECLA S. SILVESTRI S. CC. IE RONIMI STEFANI PP. LAVRENTII MAR. S. XISTI CORNELII ET CIPRIANI ET SCORV. IOHIS ET PAVLI S. AGNES. ET S. PRAXETI ET ANASTASIE.

Alcuni sono di parere, che questo Odone sia l'istesso che Othone Francese, che fù creato Pontef. nel M.LXXXVIII. con nome di Urbano Secondo, il quale fù molto favorevole à questa Città; ciò, se bene li tempi concordano, non ardisco affermare, bastandomi di provarlo Vescovo Veliterno.

Nel M.XCIX. era Vescovo Cardinal Veliterno Leone creato da Pascale Secondo Sommo Pontefice, quale assieme con il Cardinal Tuscolano fù ripreso dal medesimo Papa, per lettere scritte da Terracina, perché havevano sciolta la lingua contro Sua Santità, come riferisce il Ciaccone.

Questi sono li Vescovi e Cardinali, c'hò potuto trovare avanti all'unione accennata; onde bisognarà affermare, che questo Leone suddetto vivesse nel Vescovato Veliterno da quarant'otto Anni in circa, overo, che doppo la morte di lui altro soccedesse, di cui non vi è memoria; ò pure che vacasse la Chiesa Veliterna sin che li fù unita Ostia.

Primo Vescovo Cardinal Veliterno, et Ostiense, doppo detta unione, fù Alberico Beluacense Francese, così lo registra il Ciaccone nel Catalogo de' Card., che si ritrovarono alla Creatione di Papa Celestino Secondo Sommo Pontefice, fatta l'Anno M.C.XLIII. et il nostro Mancinello in un Sermone di San Geraldo. Fù huomo molto dotto, e prudente, onde fù mandato Legato Apostolico in Inghilterra, e nella Soria da Innocentio Secondo, e poi da Eugenio Terzo in Francia. Fù molto grato à San Bernardo, come dimostrano alcune lettere di esso Santo à lui dirette; morì nell'Anno M. CL. et hebbe per Soccessore Hugo Francese, già Monaco, et Abbate Cisterciense, Discepolo caro dell'istesso San Bernardo; morì sotto il Pontificato di Papa Adriano Quarto, nel M.CLIX.. In suo luogo hebbe la cura Pastorale Ubaldo Alluccignolo Lucchese, che poi fù Sommo Pontefice con nome di Lucio Terzo, à cui, essendo Cardinal Decano, e Vescovo nostro, da Papa Alessandro Terzo fù donato un Casale per la Chiesa Veliterna, qual donatione si conserva nell'Archivio della Catedrale.

Vacò il Vescovato dall'assuntione d'Ubaldo al Sommo Pontificato sin'al nuovo Vescovo Cardinale, quasi due Anni, perché essendo creato Cardinale Teobaldo Francese Monaco, et Abbate Cluniacense da Lucio Terzo, fù fatto ancora nell'istesso tempo nostro Vescovo, quale doppo cinque Anni di Cura pastorale, morì in Roma, e fù sepelito nella Chiesa di S. Paolo. Li fù Soccessore, doppo due Mesi di vacanza, Ottaviano Romano, soggetto molto prudente, e liberale, che da semplice Prelato fù Nuncio in Francia da Papa Alessandro Terzo, e da Innocenzio Terzo essendo Vicario di Roma mandato Legato in Sicilia à ricevere il giuramento di fedeltà da Costanza Augusta, à suo nome, e di Federico Secondo suo figlio à favore della Sede Apostolica, morì nel M.CC. Ugolino Conte, Pronipote di Papa Innocentio Terzo de' Conti d'Anagni ottenne il nostro Vescovato, fù huomo di gran sapere, fù carissimo al Serafico Padre S. Francesco, come diremo nel nostro Apparato Minorico della Provincia di Roma. Nel M.CCXXVII. fù creato Sommo Pontefice, chiamato Gregorio Nono. Mostrò grandissimo affetto alla Città di Velletri, come si vedrà à suo luogo. Fece un Breve, diretto all'Arciprete di Velletri, e Clero, acciò intimassero à Cittadini il dare aiuto alla Chiesa per le guerre di Campagna, che tanto danneggiavano lo Stato Ecclesiastico. Comincia il Breve, Cuius sit causa, quæ ad præsens, et c. dat Dat. Laterani quartodec. Kal. Iulii Pontificatus Anno Quarto. Per l'assontione al Sommo Pontificato di Ugolino, fù creato dall'istesso nel M.CCXXXI. Vescovo Cardinal noro Rainaldo de Conti di Segni, figliolo di Filippo, fratello del Pontefice, che doppo trentadue Anni di Vescovato, per li suoi gran meriti, e virtù, fù creato Sommo Pontefice col nome di Alessandro Quarto.

Vacò il nostro Vescovato per l'assontione di Rainaldo al Sommo Pontificato, sett'anni; cioè sin'alla creatione di Papa Urbano Quarto, che fù fatta nel M.CCLXI. che fatto nostro Vescovo Cardinale Henrico Francese Arcivescovo Ebredunense huomo molto dotto, compose un Libro sopra le Decretali con il titolo Apparatus; morì in Leone sotto Papa Gregorio Decimo.

A questo soccedè Fra Pietro di Tarantasio Borgognone Domenicano, Arcivescovo di Leone; questo orò nel Concilio di Leone per la morte di S. Bonaventura Dottor Serafico, fù huomo di gran dottrina, finalmente fù Papa con nome d'Innocentio Quinto nel M.CCLXXVI. ma visse solamente nel Pontificato cinque mesi, e due giorni. Vacò il nostro Vescovato più di due anni, e da Papa Nicolò Terzo fù fatto nostro Vescovo Cardinale Fra Latino Malabranca Ursino Dominicano, Nipote del Pontefice, soggetto di gran dottrina, e prudenza congionta con liberalità. Morì in Perugia nel M.CCXCIIII. et il suo corpo trasportato in Roma, fù sepelito nella Minerva.

Li Soccedè F. Hugone de Biliomo Francese, dell'istessa Religione, che scrisse dottamente sopra li Quattro delle Sentenze; morì in Roma nel M.CCXCVIII. e sepelito in S. Sabina. Fra Nicola Bocasino da Treviso dell'istessa Religione ottenne il nostro Vescovato, fù per la sua dottrina, e prudenza mandato Legato da Papa Bonifacio Ottavo in Polonia, Dalmatia, Croatia, Dania, Serbia, et Ungheria, finalmente salì alla Sede di Pietro con nome di Benedetto Undecimo nel M.CCC.III. ma visse solamente nel sommo Pontificato otto Mesi, e dieci giorni. Il Vicelio riferisce il parere d'alcuni, che questo Pontefice morisse in odor di santità.

Velletri Albergo de' Grandi. Cap. V.

Che li primi Regi, non dico solamente i Volsci, ma li Romani ancora, e li primi Cesari dimorassero per qualche tempo in questa nostra Città, è cosa tanto chiara, che non ho stima convenevole di affatigarmi a ritrovarne l'autorità di Scrittori per autenticarla, perché havendo per indubitato, che Velletri sia stato à un tempo Capo de Volsci, Patria d'Agusto, e luogo, dove sono state fabricate sontuose Ville de' principali Romani, come apertamente s'è provato nel primo Libro; sarà più che sicuro, quivi degl'istessi l'albergo, e perciò non mi curo di far racconto di loro, ma d'altri personaggi à loro uguali, e maggiori.