GLI ANGELI DELLA PIETÀ Intorno a Giovanni Bellini

UMBERTO ALLEMANDI & C. TORINO ~ LONDRA ~ VENEZIA ~ NEW YORK GLI ANGELI DELLA PIETÀ, intorno a Giovanni Bellini Poche parole di presentazione della mostra Museo della città, via Tonini, MARCO BONA CASTELLOTTI - MASSIMO PULINI 19 agosto - 4 novembre 2012

Mostra realizzata da Ufficio stampa Inoltre si ringrazia Matteo Lessi, Fondazione Meeting per l’Amicizia Giovanni Agosti uesta mostra che ha per titolo «Gli angeli della Pietà» si sviluppa intorno a quello che, con ogni probabilità, è il dipin- fra i popoli Daniele Benati Qto più importante conservato nel Museo della Città di Rimini: il «Cristo morto con quattro angeli» di Giovanni Belli- Emilio Salvatori, Ufficio Stampa Comune Matteo Ceriana ni. Nonostante la sua notorietà, ci è parso giusto ripresentarlo al pubblico in una rassegna incentrata solo su tale opera, come è di Rimini Rosita Copioli Oreste Delucca opportuno che avvenga in tempi di strettezze economiche nei quali le grandi mostre si fanno sempre più rare e le grandi mostre Gestione sala espositiva Vincenzo Gheroldi d’argomento non ancora consumato, ancora di più. Museo della Città John Lindsay Opie Questa rassegna - organizzata dal Comune di Rimini e dal Meeting per l’Amicizia fra i popoli - consegue a quella monografi- Comune di Rimini - Musei Comunali Paolo Prosperi Servizi assicurativi Giulia Semenza ca che si tenne a Roma nelle Scuderie del Quirinale nel 2008, dove il capolavoro del pittore veneziano era esposto, quindi per Società Lloyd’s Camillo Tarozzi molti particolari d’ordine critico e cronologico si rimanda al catalogo curato da Mauro Lucco e Giovanni Carlo Federico Vil- Banca popolare Valconca la. Ciò non toglie che il «Cristo morto con quattro angeli» non finisca mai di stupire e di riaccendere la curiosità tanto degli stu- Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Progetto dell’allestimento Moca Musei della città – Ufficio Mostre diosi specializzati in problemi belliniani, che di singoli critici e storici dell’arte cui è concessa qualche incursione in campi di A cura di Partner non loro specifica competenza; nella fattispecie di noi due che abbiamo concertato insieme, sino dall’inizio, di puntare l’atten- Marco Bona Castellotti Immagine grafica zione sul quadro di Giovanni Bellini, senza spostarlo dalla sue sede. Il suo fascino magnetico è tale da attirare molteplici con- Massimo Pulini fronti.Ciò si è verificato senza sprechi e in misura essenziale e limitata a opere radunate in numero ridotto, come la situazione Segreteria organizzativa generale impone. L’abbiamo fatto nella certezza che la stupenda tavola di Bellini non abbisogni di folti corteggi per riafferma- Annamaria Bernucci Trasporti re sempre la propria bellezza, una bellezza commovente, visibile in ogni sua parte, dalla figura di Cristo a quelle degli angeli, il Orietta Piolanti Gianpaolo Gnudi Trasporti Bologna cui ««sviluppo» tipologico - come aveva pungentemente osservato Roberto Longhi nel 1914 - la faceva ritenere della maturità e Catalogo a cura di Coordinamento promozione databile oltre il Polittico di Pesaro. Filippo Piazza Daniela Schettini Le vicende della tavola del Museo della Città di Rimini, in parte ancora da delineare, conoscono un punto fermo nel testamen- Autori dei saggi Albo dei prestatori to del febbraio 1499, reso noto da Augusto Campana (1962), nel quale il giureconsulto Rainerio Migliorati, consigliere di Ro- Marco Bona Castellotti Pesaro, Musei Civici berto Malatesta, lasciava all’altare della chiesa di Sant’Antonio Abate di Rimini una «tabulam depictam manu Joannis Belli- Alessandro Giovanardi Faenza, Pinacoteca Comunale di Arte Antica ni in qua est depicta imago Domini Nostri Iesu Christi Salvatoris mortui et sublati de cruce in formam pietatis». È pressoché Massimo Pulini e Moderna Bologna, Pinacoteca Nazionale certo che il dipinto citato nel testamento - e in un inventario successivo - sia lo stesso pervenuto in seguito alle soppressioni na- Autori delle schede Collezionisti privati poleoniche in quello che sarebbe poi diventato il Museo della Città, tuttavia non sappiamo con certezza chi ne fosse stato il com- Marco Bona Castellotti mittente; si avanza soltanto una nuova ipotesi. Giacomo Alberto Calogero Si ringraziano per la gentile collaborazione prestata Gianluca del Monaco Francesca Banini, Gianpiero Cammarota, Giovanni Bellini non era al primo cimento del tema di Cristo morto con angeli, avendolo già esperimentato nella tavola oggi Michele Andrea Pistocchi Claudio Casadio, Mino Devanna, Luigi Ficacci, al Correr e in quella inserita nel polittico di San Vincenzo Ferreri in Santi Giovanni e Paolo a Venezia e in altri dipinti. Il sog- Massimo Pulini Emanuela Fiori, Mimma Manfredi, getto di Cristo morto con angeli aveva iniziato a diffondersi a partire dal prototipo di Donatello dell’altare del Santo a Padova, Maria Rosaria Valazzi Stefano Mazzotti, Dacia Manto, Alessandro Marchi, Giulio Oliva, incontrando grande fortuna a Venezia, per ragioni che lasciano ulteriori margini di ricerca. Sezione didattica Adele Pompili, Serenella Santoni, Mario Scaglia, Uno dei campi di indagine della mostra riminese verte sulla particolare scelta iconografica, e sullo straordinario sviluppo nei ti- Marco Bona Castellotti Maria Rosaria Valazzi. pi angelici, che Bellini non rese in nessun altro esempio in modo così intenso e toccante. In questa rassegna l’iconografia viene riconsiderata grazie al paragone con il «Cristo e angeli» di Marco Zoppo del Musei Civici di Pesaro, il rilievo quattrocentesco in cartapesta del Museo di Faenza, riferito dubitativamente al Bellano e a una insigne derivazione bolognese, vale a dire la tavo- In copertina la di Francesco Francia della Pinacoteca Nazionale di Bologna, mentre all’iter iconografico che si dipana dai prototipi di Do- GIOVANNI BELLINI, «Cristo morto con quattro angeli», 1475 circa natello la mostra intende contribuire con la segnalazione, sinora rimasta un po’ in ombra, della magnifica medaglia di Matteo (foto Delucca & Casalboni fotografi). Sommario

de’ Pasti con il «Cristo» di profilo al diritto e il «Cristo morto sostenuto da due angeli e la croce» al rovescio, di cui esiste un in- 7 Cristo morto con quattro angeli discutibile modello (quasi certamente un precedente) nei rilievi della seconda cappella a destra, detta «degli Angeli che gioca- MASSIMO PULINI no», nel Tempio Malatestiano. Sul piano figurativo l’ascendente che il Cristo riminese esercita sulla pittura romagnola - da Benedetto Coda a Marco Palmez- 11 Il Re della gloria MARCO BONA CASTELLOTTI zano - rappresenta un altro capitolo di notevole interesse, ma allo «specchio romagnolo» si è potuto accennare solo in catalogo. Durante il cammino che ci ha condotti sino a qui è tornata alla ribalta l’attribuzione allo stesso Giovanni Bellini della «Testa 17 La Docta religio di un dipinto. Erudizione e devozione di San Giovanni Battista» (presente nella mostra) dei Musei Civici di Pesaro, tradizionalmente riferita dalla critica a Marco nella «Pietà» riminese di Giovanni Bellini Zoppo (vedi la scheda di Maria Rosaria Valazzi in questo catalogo anche per quanto concerne la provenienza ). L’attribuzio- ALESSANDRO GIOVANARDI ne a Bellini non è del tutto inedita, annoverando tra i suoi sostenitori Roberto Longhi, Vittorio Moschini, Rodolfo Pallucchi- ni, Alessandro Conti e altri che ora usciranno allo scoperto. Chi la rilancia è un giovane studioso che lavora all’Università di 20 Lo specchio romagnolo Bologna, Giacomo Alberto Calogero, confortato in questa sua niente affatto infondata idea non solo da ragioni di stile, ma an- MASSIMO PULINI che dal fatto di avere riletto un documento conservato nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro nel quale si dice che il tondo con la «Testa di San Giovanni Battista» fu donato alla chiesa di San Giovanni Battista in Pesaro «dalli SS. Duchi», i Della Rovere, 25 Schede e che di conseguenza non faceva in origine parte del polittico pesarese dello Zoppo. L’interessante duplice contributo filologico e critico di Calogero - che sicuramente susciterà discussioni - conferisce alla mostra 42 Bibliografia un motivo ulteriore per non chiudere il «caso» di Bellini, di Zoppo e del «Cristo morto con quattro angeli» definitivamente, co- sa che - del resto - nessuno avrebbe auspicato. GIOVANNI BELLINI circoscriverebbe l’opera entro il 1468, an- continuava a prevalere questa tesi, ben do- (Venezia, 1438 circa - 1516) no di morte di Sigismondo, ma Vasari po il ritrovamento del testamento Miglio- scrive a quasi un secolo di distanza. rati a opera dello storico Augusto Cam- Cristo morto con quattro angeli La maturità aulica della composizione e pana (1962, pp. 405-427). Credo tutta- 1475 circa la cifra classica delle forme fisiche non so- via vadano meglio considerate le parole Tempera e olio su tavola, no compatibili con una data così preco- del Vasari: «Né ancora dirò tutto quel che 80,5 x 120 cm. ce, anche se Lucco (2004, p. 91), ripren- di suo egli mandò per il dominio di Ve- Rimini, Museo della Città, dendo pareri di Fry (1900, pp. 32-33) e nezia, et molti ritratti di principi che egli inv. 18 PQ. Huse (1972, pp. 17, 18) la ritiene attendi- fece, senza le altre cose spezzate di alcuni bile. Tutti gli altri studiosi concordano quadroni fatti loro, come in Rimino al s. per una prossimità alla pala pesarese (rea- Sigismondo Malatesta un quadro di una a prima notizia documentaria che lizzata tra il 1471 e il 1475) e Tempestini Pietà...» (VASARI 1550, ed. 1986, vol. Labbiamo di una «tabulam depic- (in Marco Palmezzano 2005, p. 216) la col- III, p. 97). Se la tavola riminese era una tam manu Johannis Bellini in qua est de- loca strettamente vicina al 1475. Più an- «cosa spezzata», parte di un «quadrone» picta imago domini nostri Iesu Christi cora della magnifica e sontuosa «Incoro- fatto a uno dei «principi», allora si può Salvatoris mortui et sublati de cruce in nazione» di Pesaro, l’opera si affianca al- anche immaginare un polittico iniziato formam pietatis» è del 17 febbraio 1499 e lo stile della «Santa Giustina» del Museo per volere di Sigismondo, di cui la «Pie- la dice collocata nella chiesa di Sant’An- Bagatti Valsecchi e al «Ritratto di Giovi- tà» doveva costituire quasi certamente la tonio facente parte dell’allora complesso netto» di Birmingham, che insistono sul- cimasa, dunque nulla vieta che questa po- di edifici pertinenti al Tempio Malatestia- le medesime cronologie e che prestano tesse essere stata eseguita quando il primo no riminese. È il testamento del giurecon- confronti fisionomici alle figure degli an- committente era già defunto. Nell’edizio- sulto Rainerio di Ludovico Migliorati, gioletti riminesi. Anche gli analoghi sog- ne del 1568 non si parla più di «cose spez- consigliere di Pandolfo e di Roberto Ma- getti belliniani del Museo Correr, del- zate» e il «quadrone» si perfeziona in «un latesta, che la intende legare all’altare del l’Accademia Carrara e di Palazzo Du- quadro grande». Restano comunque pos- proprio sepolcro. Malgrado alcuni stu- cale mostrano nelle forme un carattere più sibili altre ricostruzioni e di certo merita diosi abbiano tenuto aperta l’ipotesi che arcaico e aspro, per certi versi ancora go- un approfondimento di studi la figura del la citazione si riferisse a un altro dipinto tico, mentre nel dipinto del Museo della giureconsulto Migliorati (vedi saggio di (cfr. VILLA,in Giovanni Bellini 2008, p. Città il disegno degli angeli e del Cristo Giovanardi in questo catalogo). 178), fino a prova contraria va ritenuta acquista un respiro unitario e di misura ri- Nella tavola levigata, sottilmente segnata questa la prima collocazione presunta del- nascimentale. «Le masse muscolari con- al centro da una crepa che la percorre in la tavola in parola, nonostante si parli di tratte cominciano a rilassarsi nel deposto longitudine, si rappresenta la visione del un’opera eseguita probabilmente più di di Berlino e di Rimini. La fatica dell’eroe corpo umano del figlio di Dio, martoria- vent’anni prima. è oramai compiuta, ma davanti all’intat- to e ucciso, ma ancora bello, possente, Vasari ricorda, come dipinto da Bellini ta bellezza delle carni, l’osservatore stupe- proprio come un eroe omerico morto in per Sigismondo Malatesta, «un quadro di fatto quasi non se ne ricorda più, e alla de- battaglia. Sul largo gradino di base, che una Pietà che ha due puttini che la reggo- vozione subentra l’ammirazione» (SA- imita un marmo rosato, quattro angiolet- no, la quale è oggi in San Francesco in RACINO 2007, p. 303). ti in piedi lo assistono e uno di loro è im- quella città» (VASARI 1550 e 1568). La Nel 1929 Paoletti avanzò l’ipotesi di iden- pegnato a porre la salma del Cristo in po- discrasia sul numero degli angeli, non ra- tificare, quale committente, Carlo Mala- sizione seduta, facendola ruotare sul baci- ra nel travaso dagli appunti alla stampa testa, nipote di Sigismondo e figlio di Ro- no. A voler seguire la sequenza dei fatti de Le vite, può considerarsi trascurabile, berto, e fino a poco tempo fa (TEMPESTI- evangelici quel corpo era già stato mostra- meno credibile invece la cronologia che NI, in Marco Palmezzano 2005, p. 216) to vivo solo qualche giorno prima, vesti-

7 rianti, seppur per idea simbolica restitui- Ma è la sublime distrazione degli angeli, re con gli angeli afflitti del bassorilievo do- sapevolezza della resurrezione che impe- sce un ultimo atto di esposizione pubbli- in quest’opera capitale del Bellini, a resta- natelliano di Padova, precedente impre- disce loro di recitare il dramma senza cor- ca del corpo, da un nuovo tragico balco- re un unicum e insieme un sottile mistero. scindibile, ma nel quale la disperazione rere il rischio dell’ipocrisia. Fino a questo ne che è il sepolcro. Allora quel corpo po- I tre giovani inoperosi appaiono obietti- viene urlata, assolutamente condivisa coi punto era arrivato Giovanni Bellini a tre stula la propria divinità attraverso l’invito vamente distratti dal centro sentimentale dolenti. Accordate sulla variabile sono quarti del Quattrocento e forse non si a meditare sullo scempio compiuto, sul- dell’iconografia, ma concentrati ognuno anche le ali degli angeli riminesi, che ap- comprende a pieno la portata del suo pen- l’involucro fisico dell’uomo svuotato del- in sé, quasi stessero ripassando a mente la paiono liberamente ispirate a piccoli uc- siero se non si procede a uno sforzo di la vita, sull’eroe che stoicamente accetta di propria parte. In fondo il corpo non è an- celli variopinti, anche se per almeno due esclusione di tutto quello che è stato il cor- morire per far comprendere un supremo cora pronto nella posizione del «Cristo di questi credo sia possibile giungere a so successivo della storia dell’arte. Botti- ideale, anche a chi lo ha vituperato e offe- Passo» e quasi si può immaginare che una identificazione. Molto prossime alle celli non aveva ancora orchestrato l’alte- so. A memoria del momento blasfemo re- l’angelo dalle ali verdi e rosse, quello che ali di una Cinciarella (Parus minor) sono rità neoplatonica della «Nascita di Vene- sta la corona di rovi che da elemento di tor- ne regge la mano sinistra, attenda il per- infatti quelle che nel dipinto del Museo re» e della «Primavera», Mantegna non tura diviene cimiero di quello stoicismo re- fetto innalzamento del busto per poter si- della Città aprono uno spicchio di ruota aveva inventato la prospettiva tragica del gale del Cristo, restano ferite insanguinate stemare il braccio nella posa conserta, nor- attorno alla testa di Cristo. Appartengo- «Cristo morto» e Leonardo era ancora al- e piaghe, su un corpo umiliato ma fiero, mativa. Intanto, con una eleganza altera, no all’angelo reggente e mostrano una li- la bottega di Andrea del Verrocchio. A marmoreo, ellenistico nella forma. che si direbbe botticelliana, osserva la fe- vrea che dal verde muschio diventa blu al- parte Piero, che aveva già fatto quasi tut- Per quanto possente nel torace, che sem- rita. Al suo fianco l’angelo dalla camicio- le estremità. Mentre le più bianche, cresta- to, solo qualche scultore come Donatello bra ancora espanso dal supplizio della la gialla, quello più centrale e accorato, ha te con piume turchesi rigate di nero, si era andato oltre, ma seguendo un’altra croce e modellato su solidi muscoli, il cor- gli occhi imploranti rivolti verso la parte rifanno al corredo interno della Ghianda- strada di tragedia, una via che spesso dal- po del Cristo mostra una propria legge- sinistra dell’opera, ma non nella precisa ia (Garrulus glandarius). Prossime a quel- la materia terrena tendeva al terribile. rezza, non solo in quanto un unico angio- direzione del volto di Gesù, in prospetti- le di un Gruccione o di un piccolo Pap- Un’opera aulica come quella di Rimini letto basta a sollevarlo, ma perché è reso va lo oltrepassano da dietro. Meraviglio- pagallo sono invece le verdi che virano in riesce non solo a parlare la lingua dei più attraverso un chiaroscuro privo di contra- samente incantato è infine l’ultimo ragaz- rosso, mentre più enigmatiche restano le grandi contemporanei, ma precorre anche sti (nel 1900 Fry lo paragonava addirittu- zino alato, la sua posizione di riposo è la ultime, all’estrema sinistra del quadro, buona parte di quella di Raffaello e perfi- ra a un vaso greco, anche per la scelta del più esplicita, le braccia intrecciate, il pe- violette con un riverbero rossastro sul cri- no di Dürer. Se infatti dagli angeli di Ri- fondo nero), quasi l’autore volesse imita- so poggiato su un unico piede e la perdi- nale dell’articolazione. mini scocca una linea che interseca la gra- re un bassorilievo. Viene così da chieder- ta di fuoco dello sguardo che dona un leg- Al pari delle ali, anche le camiciole dei zia raffaellesca e che in prima gittata pas- si se il genio veneziano abbia programma- gero strabismo da sovra pensiero. giovani si distinguono tra loro, per colo- sa dal dipinto di Francesco Francia, ticamente cercato un rapporto armonico Ma è proprio attraverso questa «dissemi- re, scollo e consistenza, dato che ognuna esposto in mostra, le forme fisiche del Cri- con questa tecnica, magari pensando allo nata concentrazione», questa tenera sva- di queste piega in modo diverso. Quella sto, la loro ossatura nervosa, le curve ari- stiacciato delle formelle di Agostino di gatezza dei servi di scena che si esalta, fos- dell’angelo in primo piano, di foggia an- stocratiche dei polsi servirono non poco Duccio che dominano, e dominavano se anche per contrasto, il fulcro mistico del tica, si increspa in tornanti mantegneschi, ad Albrecht Dürer per il proprio alfabe- GIOVANNI BELLINI, «Cristo morto con quattro angeli», anche all’epoca, la decorazione del Tem- dolore. L’invenzione di una variante ico- mentre le altre scendono più o meno linea- to di contrazioni espressive, di articolazio- particolare in riflettografia. Courtesy Giovanni C. F. Villa. pio. Avevo già avuto modo di notare un nografica che fissa l’immagine sul mo- ri e tornite. ni sentimentali. Sappiamo con certezza analogo indizio nell’affresco riminese di mento di allestimento scenico dell’icona Siamo di fronte a un corredo di sottili de- che il genio tedesco fece visita allo studio to di ironici simboli del potere: la canna di ne del sinedrio, la farsa del proprio re, Ge- Piero della Francesca (peraltro più legato canonica rischia di essere una lettura con- clinazioni che cinguettano attorno al Cri- veneziano del grande maestro Giovanni fiume al posto dello scettro, uno straccio sù il Nazareno venne spinto dai sacerdoti nella cronologia all’intervento di Agosti- dizionata dai nostri tempi, ma ben più di sto temporaneamente addormentato, allo- Bellini, verso la metà dell’ultimo decen- rosso invece del mantello e la corona di all’umiliazione e offerto all’ingiuria della no), la disposizione a profilo del ritratto una veggenza compositiva traspare da un ra gli angeli sono inviati a disporre le co- nio del secolo e da lì scese a Bologna. For- spine a sostituire quella d’oro del vero re- stessa folla, che infine lo condannò al sup- malatestiano e l’attenuazione dei toni genio come Bellini intenzionato non di se nel modo migliore e svolgono il se aveva avuto occasione di vedere una re- gnante. L’Ecce Homo nell’iconografia cat- plizio per acclamazione. Così il momen- d’ombra sembrano muovere da una di- rado ad aprire varchi nel sistema lingui- compito con una leggera svagatezza litur- plica del dipinto riminese in laguna altri- tolica rappresenta infatti il momento in cui to della pietà, mai raccontato dai vangeli mensione medaglistica, stiacciata per ec- stico. Vero è che questi giovani ben petti- gica, da chierichetti. C’è qualcosa di fa- menti si è tenuti a ipotizzare un passaggio il popolo giudeo vide, affacciata al balco- ma nondimeno raffigurato in infinite va- cellenza (PULINI 2008). nati e contemplativi hanno poco a che fa- volistico in tutto questo e aleggia una con- costiero che farebbe meglio comprendere

8 9 il lascito della «Madonna di Cotignola» di un’ala, altrimenti rispetta un «primato naro 1948, pp. 242-249; Brizio 1949, p. 38; Du- (ora nella Fondazione Magnani Rocca) del Disegno» che Vasari riteneva essere ssler 1949, p. 89; Giovanni Bellini 1949, pp. 124- Il Re della gloria 125; Longhi 1949, p. 281; Marini 1951, p. 29; o le consistenti influenze dureriane sulla prerogativa toscana, avversata dagli arti- Samek-Ludovici 1957, p. 34; Pallucchini 1959, MARCO BONA CASTELLOTTI pala cesenate di Girolamo Genga. sti veneti. Solo sul finire del Quattrocen- pp. 137-138; Robertson 1960, pp. 55-56, 58-59; Giovanni C. F. Villa, a preparazione to Bellini inizierà a tracciare disegni più Campana 1962, pp. 405-427; Heinemann 1962, dell’ultima esposizione monografica su sommari, lasciando alla pittura una mag- vol. I, pp. 49-50; Bottari 1963, vol. I, pp. 14, 40; Parronchi 1965, pp. 148-150; Quintavalle 1965, Giovanni Bellini (Roma, Scuderie del giore autonomia creativa che la porterà fi- p. 7; Zuffa 1967, p. 118; Robertson 1968, pp. Quirinale, 2008), ha condotto una cam- no a sublimi soluzioni atmosferiche. 62-64; L’opera completa 1969, pp. 92, 94, 96; Pa- ella seconda delle due sole note in calce all’illuminato saggio su Piero della Francesca e lo sviluppo della pittura venezia- pagna di rilievi riflettografici i cui risulta- sini, in Sigismondo 1970, pp. 100-101; Huse Nna, Roberto Longhi scrive in poche righe che «non pare possibile che la Pietà di Giovanni Bellini a Rimini sia anterio- 1972, pp. 17, 18; Robertson 1976, p. 33; Bena- re alla pala di Pesaro» per la finezza del contrasto pittorico e «lo sviluppo nei tipi angelici»1. La questione del rapporto cronolo- ti hanno smantellato alcuni luoghi comu- MASSIMO PULINI ti, in La pittura a Rimini 1979, pp. 40-41; Pasini ni circa il processo esecutivo dell’artista. 1983, p. 92; Belting 1985, pp. 10-11; Goffen gico che intercorre tra il «Cristo morto con quattro angeli» di Giovanni Bellini - uno dei suoi vertici - e il polittico pesarese si Dai dati raccolti dallo studioso emerge 1989, pp. 83-85, 287, 289; Huse e Wolters 1989, trascina ancora, ma quel che interessa qui osservare è lo «sviluppo nei tipi angelici», sottolineato da Longhi non solo come evi- che il Giambellino realizzava, sopra la ta- BIBLIOGRAFIA: Vasari 1550, ed. 1986, vol. III, pp. 215-216; Lucco 1990, p. 432; Olivari 1990, denza di stile, ma anche per richiamare l’attenzione sulla au- p. 91; Vasari 1568, ed. 1878-1885, vol. III, p. p. 8; Benedicenti 1992, pp. 3-9; Tempestini tonomia dei quattro angioletti rispetto a qualsiasi altro tipo vola levigata e preparata con una impri- 170; Adimari 1616, vol. I, p. 68; Marcheselli 1992, p. 97; Kasten 1994, p. 491; De Marchi mitura chiara, un attento e ombreggiato 1754, p. 31, ed. 1972, pp. 61-62; Costa 1765, p. 1996a, pp. 57-79; Delucca 1997, pp. 535, 587, angelico riscontrabile nelle varie redazioni del tema di «Cri- disegno monocromatico. Anche sotto al 50; Battaglini 1794, vol. II, p. 68; Crowe e Ca- 691; Gentili 1998, p. 28; Tempestini 2000, pp. sto morto» e della «Pietà» che il pittore veneziano mise in sce- dipinto di Rimini si ritrova una dettaglia- valcaselle 1871, p. 190; Lermolieff [Morelli] 72-74, 177, 188; Schmidt Arcangeli, in Il pote- na nell’arco all’incirca di quarant’anni. 1886, p. 377; Fry 1900, pp. 32-33; Crowe e Ca- re e le arti 2001, pp. 374-376; Finocchi Ghersi ta impalcatura grafica, poi ricoperta da un valcaselle 1871, ed. 1912, vol. I, p. 188, vol. II, 2003, pp. 34, 86, 140; Armiraglio 2004, pp. colore che ancora seguiva una tecnica mi- p. 132; Longhi 1914, p. 244; Venturi 1915, pp. 104-105; Humfrey 2004, p. 7; Lucco 2004, p. È utile rileggere le parole con cui Vittorio Moschini commen- sta tra tempera e olio. La stesura pittorica 318-319; Symons 1920, p. 173; Fogolari 1921, 91; Tempestini, in Marco Palmezzano 2005, p. ta questo quadro che giudica «mirabile», riconducendolo a si discosta raramente da quel sensibile p. 15, fig. 28; Ricci 1924, pp. 225-243; Paoletti 216; Villa, in Antonello 2006, pp. 302-305; Bät- un momento successivo alla pala pesarese per lo «splendore 1929, p. 147; Gronau 1930, pp. 43, 202; Dussler schmann 2008, p. 57; Villa, in Giovanni Bellini programma disegnato, si aggiusta sulla 1935, p. 138; Berenson 1936, p. 63; Gamba 2008, pp. 178-180; Agosti 2009, pp. 60-61 no- adamantino delle carni tornite e taluni accenni volumetrici di pettinatura di un angioletto o sulle penne 1937, pp. 69-70; Moschini 1943, p. 22; Marce- ta 32; Passion in Venice 2011, pp. 23-24. sapore antonelliano, in particolare nella testa dell’angelo di profilo che sembra anticipare il Lotto giovane»2. E prosegue trovando «geniale» il partito che Bellini seppe ricavare in quel- la «Pietà» dal «fondo nero, sul quale le figure risaltano non già nella loro plastica consistenza ma piuttosto in zone di lu- minoso colore», sì che «quest’opera appare in prima vista di un gusto per così dire “primitivo”. Uno splendore coloristi- co raro vive nelle carni dei caldi riflessi, nelle tuniche succin- te degli angeletti, nelle loro ali di farfalle». E pensare che l’ave- va davanti agli occhi prima dell’ultimo restauro (Ottorino Nonfarmale 1967-1969). «D’altra parte il doloroso accento espressivo delle Pietà belliniane s’attenua, mentre l’interesse più vivo dell’artista si avverte in quei putti, più che angeli ge- nietti». Oltre ad anticipare in questo suo articolato ed essen- ziale giudizio concetti iconografici di cui la storiografia arti- stica sembra non riconoscere l’origine, s’avverte una certa cau- tela nel definire quegli infanti che attorniano il corpo di Cristo morto seduto sul sepolcro di marmo rosa, di un colore molto 3 GIOVANNI BELLINI, intenso nel contrasto con il fondo nero, da pittura vascolare , «Cristo morto con quattro angeli», più classico che primitivo. In verità tutto è classico a partire 1475 circa, particolare. Rimini, Museo della Città.

10 11 dal senso di fervida e controllata armonia che da un Cristo sospeso tra la morte e il sonno, tra la morte e la risurrezione, si diffon- mente ristrutturata verso la metà del Cin- de negli angeli increduli: l’uno a sinistra, che lo contempla con più di una punta di tristezza, l’altro che nello sforzo di voler sol- quecento. Fatto sta che il quadro, nel levare il corpo del Salvatore finisce quasi per scomparire dietro di lui; un altro che tiene stretto un chiodo della croce4 come una 1547, si trovava nella sacrestia di San reliquia e negli occhi ha lacrime così trattenute e scintillanti da farci intendere che l’idea di Bellini di imperlarli non nasceva dal Francesco. voler registrare un moto puramente sentimentale; infine quello a destra, che si è concentrato sulla piaga impressa nella mano co- Migliorati nutriva interesse «alle cose del- me uno che stenti a capacitarsi che il figlio di Dio possa essere finito così male. Ognuno indossa tuniche succinte e una è chiu- l’archeologia» condividendole con il sa da un fermaglio, specie di cammeo che conferma gli interessi di Bellini - e forse del committente5 - per l’antico. Ciò comun- poeta riminese Roberto Orsi17 e nell’in- que non giustifica le diverse denominazioni di questi angeli bambini, che preferisco seguitare a ritenere tali piuttosto che «spiri- ventario dei beni lasciati in eredità dal telli» di derivazione pagana6 (con la circospezione dello storico dell’arte che, trovandosi di fronte a complessi casi iconografici, giureconsulto compaiono alcune mone- deve cedere il passo all’iconografo, evitando rischiose invasioni di campo, ma che vi si avventura ugualmente attratto da elemen- te antiche18. Esiste poi un documento - ti che velano verità così profonde da legittimare, almeno un po’, un’incorreggibile spericolatezza). forse ignoto allo stesso Campana - del 16 settembre 1488, che riguarda Elisabetta Dal punto di vista figurativo possiamo pervenire al seguente consuntivo basato sui ragionamenti della critica. Il modello al qua- degli Atti, figlia di Antonio fratello di le in parte si ispira è il rilievo donatelliano oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, controverso, ma secondo John Po- Isotta. Nel 1488 Elisabetta dispone la pe-Hennessy - la cui autorevolezza ha conosciuto ben poche flessioni - di Donatello e aiuti7. La ripresa belliniana verte sostan- propria sepoltura nella chiesa di San- zialmente sulla classica monumentalità del corpo di Cristo e sul gesto compiuto dall’angelo che lo sostiene, non sulle tipologie t’Antonio Abate prossima al convento GIOVANNI BELLINI, «Cristo morto con quattro angeli», degli altri che nel rilievo di Londra indossano soffici camici e sono meno commossi. I quattro di Bellini presentano caratteri di di San Francesco «in capella Crucifixi 1475 circa, particolare. Rimini, Museo della Città. più stretta parentela con i piccoli cantori della «Pala di santa Caterina» già nella chiesa di San Zanipolo a Venezia, distrutta da in sepulcro sui patris»19. Elisabetta aveva un incendio nel 1867, la cui memoria è sopravvissuta nell’incisione di Francesco Zanetti del Museo Correr, come per primo sposato Adimari di Nicolò Panzuto degli Adimari consigliere di Sigismondo Pandolfo nonché parente di Rainerio Migliora- aveva osservato Moschini8, seguito da Pallucchini9 e da Robertson10. Per quest’ultimo i cantori di San Zanipolo discendereb- ti20. Certo il documento non offre la soluzione del problema della committenza del «Cristo morto con quattro angeli», tuttavia bero dagli «Angeli» di Pietro Lombardo, sottostanti i tondi con gli «Evangelisti» nei pennacchi della cupola di San Giobbe, ci fa sapere che nella chiesa di Sant’Antonio la cappella degli Atti - a quanto sembra scomparsa dalle piante di padre Righini realizzati probabilmente intorno al 1470. Se fossero di questo momento costituirebbero certamente un precedente per Bellini, - era intitolata al Crocifisso. «Verso lo scorcio del Quattrocento» (C. Ricci) la chiesa perse il titolo di Sant’Antonio e assunse ma la datazione dell’intero complesso plastico di San Giobbe è oggetto di discussione. Si passerebbe quindi dai rilievi di San quello della Croce, poiché vi si era insediata una compagnia così denominata, «che aveva residenza nell’antica chiesa di Santa Giobbe alla «Pala di santa Caterina» al «Cristo morto» di Rimini, non immune da una folgorazione antonelliana (primo ad Croce detta anche dei SS. Cosma e Damiano», e non scarterei l’ipotesi che lo stesso Migliorati fosse affiliato, da laico, alla com- accennarvi Moschini, secondo Pallucchini poi altri), che spicca specialmente nell’angiolino a sinistra, ma non solo in lui. Ta- pagnia, di cui mi pare si posseggano ben poche notizie21. In tale contesto poteva inserirsi con perfetta corrispondenza concettua- li elementi hanno portato la critica negli ultimi anni a stabilire una datazione del dipinto riminese intorno al 147511, che Palluc- le una tavola «in qua est depicta imago» di Cristo «sublati de cruce in formam pietatis». Da chi il Migliorati l’avesse avuta non chini aveva preferito avanzare verso lo scorcio dell’ottavo decennio, a mio avviso a ragione per la complessità della composizio- si sa. Non escluderei che il committente fosse stato lui in persona, o che per legami diplomatici o di parentela l’avesse acquista- ne e dello sviluppo nei tipi angelici. La datazione si connette ovviamente con la questione del presunto committente, che si era ta da qualcuno del giro dei discendenti più o meno diretti di Sigismondo Pandolfo. aggrovigliata a cominciare dal Vasari, mentre gli studi - e in particolare il saggio fondamentale di Augusto Campana del 196212 Sul piano iconografico il tema della rappresentazione dell’«Uomo dei dolori» si complica nell’intrecciarsi in modo spesso inso- - incitano a infoltire la rosa dei candidati che comunque si basa su indizi storico-culturali piuttosto scarsi. Depennato il nome lubile di testi figurativi d’Oriente e d’Occidente. Limitando il campo d’indagine all’arte italiana si direbbe che l’Imago pietatis di Sigismondo Pandolfo Malatesta, morto nel 1468, buttato là da Vasari forse perché il signore di Rimini era il più autorevole si fondi su basi più teologiche che liturgiche, e che, nel XV secolo, di entrambe spesso si siano perduti i riferimenti con la lette- ad assumersi gli onori di simile commissione, venne poi avanzato quello di Roberto Malatesta13, figlio naturale di Sigismondo ratura. In un bel saggio del 1927 Erwin Panofsky22 tracciava un percorso della rappresentazione dell’«Uomo dei dolori» «gre- Pandolfo, indi quello di Carlo, capitano generale dei veneziani, iscritto alla Scuola di San Marco a Venezia nel 148214. Ma goriano» (termine non accettato da Belting), così chiamato perché derivato da quello che per tradizione apparve a san Grego- l’unica notizia certa riguardo il «Cristo morto» è che nel 1499 il giureconsulto Rainerio Migliorati, consigliere di Pandolfo IV, rio Magno durante la celebrazione della messa, un’icona di devozione in micro mosaico conservata nella basilica romana di lasciava il dipinto con testamento alla chiesa di Sant’Antonio Abate che sorgeva nei pressi di San Francesco ed era a sua volta Santa Croce in Gerusalemme, che il Mâle considerava il prototipo di tutte le rappresentazioni di ugual soggetto successive23. officiata dai francescani15. Cristo è ritratto a mezza figura, con le mani trafitte dai chiodi e conserte e il capo volto verso sinistra. È stato ampiamente dimo- strato che questa icona non è databile prima del Trecento e che probabilmente proviene dalla Puglia o dal Monte Sinai24. Do- Le poche informazioni circa questo edificio, di cui non resta pietra su pietra, vennero raccolte dal padre Francesco Antonio Ri- po il restauro apparve in condizioni di leggibilità assai migliori di come si fosse presentata agli occhi di Mâle e di Panofsky; per ghini poco dopo la metà del Settecento e riportate fedelmente, insieme a varie planimetrie, nella monografia di Corrado Ricci sul rendersene conto basta osservare l’immagine ante restauro che ne evidenzia le diffuse lacune, pubblicata nel saggio di Bertelli. Tempio Malatestiano16. Secondo le deduzioni di Campana, la cappella «instruenda» per volontà del Migliorati in realtà non fu Già il Millet (1916) aveva segnalato che nell’Oriente cristiano esistevano raffigurazioni dell’«Uomo dei dolori» anteriori al ti- mai costruita, e nella pianta della chiesa di Sant’Antonio con l’elenco a margine delle cappelle e dei sepolcri esistenti prima del- po «gregoriano» di Santa Croce di Gerusalemme25, inoltre rendeva nota un’incisione piuttosto rozza di un contemporaneo di la demolizione, resa nota da padre Righini, non compare, almeno sotto il nome del Migliorati. Si sa che la chiesa venne pesante- Dürer, Israhel van Meckenem, derivata dall’icona di san Gregorio Magno che sarebbe per Panofsky all’origine del Cristo in

12 13 pietà26. Sulla croce alle spalle di Cristo troviamo un’iscrizio- grandi angeli alati agli estremi del corpo giacente di Gesù. È plausibile che nel «Cristo morto con quattro angeli» il pittore ab- ne «O Basileus tes doxes», il Re della gloria, che venne ma- bia voluto - per quali vie e in forza di quali suggerimenti non si sa - «tornare al tema dello stupore angelico di fronte alla soffe- lamente ricopiata nell’incisione di Van Meckenem dall’esem- renza del Logos divino. È in fondo il tema della frixis angelica, lo sbigottimento di fronte all’evento inaspettato e incomprensi- plare di Santa Croce di Gerusalemme, e si legge molto fre- bile dell’abbassamento del Re della Gloria» (Prosperi) e della sua umiliazione. Certo qui lo stupore degli angeli è come filtra- quentemente nell’Oriente cristiano e raramente in alcune to attraverso una disciplina che governa ogni eccesso doloroso o patetico, disciplina che si fonde nella contemplazione e che crocifissioni duecentesche umbre27. In Italia questa inscrizio- distingue questa «Pietà» di Rimini dalle altre. Nella teologia orientale «l’oggetto dello stupore non è tanto la risurrezione, quan- ne venne soppiantata dalla scritta INRI. Secondo Panofsky - to la croce e l’amara umiliazione del Verbo: “Come? Tu che sei la vita, giaci senza vita? come? Tu che non sei circoscrivibile sei ed è un passaggio molto significativo e direi incontestato - il rinchiuso in una tomba? come? Tu che reggi l’universo sprofondi nell’ade?”». Forse «il significato di questi angeli» - da quello Basileus tes doxes bizantino, che sottolineava il contrasto fra la che guarda la piaga della mano di Cristo, a quello con gli occhi imperlati che tiene il chiodo, a quello che contempla il Salva- morte e la vita, nel Trecento si trasforma in un «uomo mor- tore in un trepidante silenzio consiste nel fatto «che essi esprimano la traduzione occidentale del tema dello stupore angelico che to»28, mentre gli angeli, quando iniziano a comparire, «fun- diviene qui una quasi infantile curiosità, fra il timoroso e l’attratto, la curiosità aristotelica di colui che chiede il senso di ciò che gono da intermediari fra l’io e il soggetto», in una «moltepli- vede per la prima volta, dell’aprosdoketon, l’imprevisto senza precedenti e analogie» (Prosperi). cità di atteggiamenti che destano compassione»29, così che nel Tutto ciò non significa che Bellini - o un suo ignoto teologo ispiratore - intendesse riprendere il concetto del Basileus tes doxes, il Quattrocento le loro espressioni si intridono di un «pathos do- Re della gloria, così come lo troviamo espresso nelle scritture e più insistentemente che altrove nel Salmo 23, che di per sé non può loroso», che - come si è detto - nel «Cristo morto con quattro considerarsi una fonte di ispirazione figurativa35, pur tuttavia è legittimo ipotizzare che il tema degli angeli che osservano stupiti angeli» di Bellini è attenuato, mentre il loro rapporto con il le piaghe fosse ancora vivo, nel Quattrocento, anche in Occidente, data fra l’altro la sua diffusione nella letteratura dei Padri. Salvatore «si concentra nell’azione esplicita di appoggio e so- Da ultimo: ebbe anche in Occidente un’enorme fortuna l’Omelia sull’Ascensione di Gregorio di Nissa che ruota intorno al ful- stegno» a Lui. Poi prende forma la rappresentazione donatel- cro del Basileus tes doxes, risorto e asceso al cielo con le piaghe della Passione che non si rimarginano neppure dopo la sua risur- liana del «Cristo passo», che ormai non rientra nell’azione li- rezione. L’omelia rilegge il Salmo 23, «“Chi è questo re della gloria”, come un dialogo tra Gesù e gli angeli, che non vogliono turgica, pur richiamando - così almeno nel caso paradigma- lasciar passare il Signore asceso perché non lo riconoscono, essendo ricoperto di inconcepibili piaghe, ma che poi - stupiti - si tico del rilievo di bronzo incastonato nel complesso dell’ altare arrendono e gli aprono le porte» (Prosperi)36. Lo stupore angelico non svolge un semplice ruolo di contorno, al contrario è con- della Basilica del Santo a Padova - l’Eucarestia. In chiave eu- sustanziale al trionfo del Re della gloria, così come la triste contemplazione lo era alla sua morte terrena. caristica Belting interpreta anche il «Cristo morto» di Rimi- ni30, ipotesi legittimata dall’angelo che tenta di sollevare il cor- Sono grato a tutti quelli che hanno contribuito, in un tempo così ristretto, alle mie ricerche segna dei testi del catalogo, di compiere ricerche nell’archivio del restauratore bolognese po del Salvatore, compiendo un gesto che, almeno dal pun- sul tema del «Cristo morto con angeli», alle traduzioni dal greco di alcuni testi, in partico- Nonfarmale mi sento di lasciare momentaneamente aperta la questione, tenendo in consi- GIOVANNI BELLINI, to di vista simbolico-evocativo, è paragonabile a quello lare a Paolo Prosperi per i suggerimenti sull’interpretazione degli angeli del quadro di Bel- derazione il giudizio di Pulini, e di tornarvi quando avrò altri elementi. In ogni caso che «Cristo morto con quattro angeli», lini di Rimini. Nella speranza di non avere dimenticato qualcuno: A. Marcheva (La rap- l’angiolino tenga in mano un chiodo simbolo della Passione o no, non sposta l’interpreta- 1475 circa, particolare. Rimini, Museo della Città. dell’elevazione dell’ostia. L’interessante opinione assumereb- presentazione della Pietà nell’arte veneziana tra Trecento e Cinquecento, tesi di laurea magistrale, zione del soggetto. L’angelo «che nel giorno del Giudizio porta gli strumenti della Passio- a.a. 2010-2011, Università Cattolica, sede di Brescia, relatore M. Bona Castellotti); M. M. ne, è conosciuto nella letteratura già dal IV secolo». Qui si fa riferimento a Ephrem il Syro be un supplemento di verosimiglianza se si potesse dimostra- D’Alessio (La Pietà di Rimini di Giovanni Bellini, tesi di laurea triennale, a.a. 2005-2006, (E. PANOFSKY, «Imago Pietatis», Ein Beitrag zur Typengeschichte des Schmerzensmanns des «Ma- re che la tavola riminese, assolutamente autonoma (per una diversa ipotesi si veda M. Pulini in questo catalogo), venne com- Università degli Studi di Bologna Alma Mater, relatore A. Ottani Cavina); Stefano Can- ria Mediatrix», in Festschrift für Max J. Friedländer zum 60. Geburtstage, Lipsia 1927, ed. ita- diani, Caterina Vaglio Tessitore, Irene Paruta, Isabella Stoja, Anna Maria Marconi, liana Torino 1998, p. 80 nota 47). missionata per essere collocata su un altare, cosa che credo. Altra suggestiva e più recente idea è che i quattro angeli sarebbero Claudia Piantanida, Elena Drufuca, Gabriella Andreatta, Marta Panciera, Giuseppe Bel- 5 Per i riferimenti belliniani al mondo antico G. AGOSTI, Un amore di Giovanni Bellini, in intenti a preparare il corpo di Cristo per la risurrezione31, ma simile proposta non è giustificata da riferimenti testuali, e al mas- luzzi per le traduzioni e le ricerche. Ad Alessandro Conti (1946-1994), a cura di F. Caglioti, M. Fileti Mazza e U. Parrini, Pi- sa 1996, pp. 45-84 (ripubblicato in G. AGOSTI, Un amore di Giovanni Bellini, Milano 2009) simo spiega lo sforzo del solito angioletto indaffarato, senza però motivare l’interrogativa contemplazione degli altri tre. e C. SCHMIDT ARCANGELI, in Il potere, le arti, la guerra. Lo splendore dei Malatesta, catalo- 1 32 R. LONGHI, Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana, in «L’Arte», XVII go della mostra (Rimini, Castel Sismondo, 3 marzo - 15 giugno 2001), a cura di R. Bar- Tutto considerato, ritengo più convincente la lettura che mi accingo a esporre . La presenza nella tavola di Giovanni Bellini dei (1914), pp. 198-221, 241-256 (ripubblicato in R. LONGHI, Scritti giovanili, 1912-1922, vol. toli, A. Donati e E. Gamba, Milano 2001, pp. 374-376. quattro angeli così compunti nella loro triste curiosità riesce a mantenere viva la memoria, ormai lontana e sbiadita, di un «Uo- I, Firenze 1961, p. 106 nota 2). 6 Passion in Venice. Crivelli to Tintoretto and Veronese. The Man of Sorrows in Venetian Art, ca- 2 V. MOSCHINI, Giambellino, Bergamo 1943, p. 22; cfr. anche Giovanni Bellini, catalogo talogo della mostra (New York, Museum of Biblical Art, 11 febbraio - 12 giugno 2011) mo dei dolori» nonché Re della gloria, Basileus tes doxes, che qui assume uno spessore religioso proporzionale alla loro infantile e della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 12 giugno - 5 ottobre 1949), a cura di R. Palluc- a cura di C. Puglisi e W. Barcham, New York-Londra 2011, pp. 22-23. Ma quali spiri- trepidante umanità. Lo stesso impegno d’intensità profuso con evidenza da Bellini in questo quadro mi spinge a reputarlo auto- chini, Venezia 1949, pp. 124-125. telli? Riguardo a costoro cfr. C. DEMPSEY, Inventing the Renaissance Putto, Chapel Hill 3 R. FRY, Giovanni Bellini, Londra 1900, pp. 32-33, ed. italiana a cura di C. Elam, Mila- (NC) 2001, p. 8 sgg. nomo e destinato certamente all’altare della cappella che il giureconsulto Migliorati era intenzionato a costruire in Sant’Antonio no 2007, p. 49. 7 Secondo lo studioso «questo rilievo dal punto di vista iconografico rappresenta un arche- 4 33 Secondo Massimo Pulini non si tratta di un chiodo bensì di una lacuna nel pigmento. tipo molto importante e può avere ispirato il dipinto di uguale soggetto di Giovanni Belli- Abate, poi intitolata alla Croce; che il Migliorati fosse il «primo proprietario» di questo dipinto per ora non si può affermare . Le foto del restauro compiuto da Nonfarmale e pubblicate nel catalogo della mostra cura- ni a Rimini e un certo numero di altre opere di Bellini e da Bellini», tuttavia la relazione Senza indulgere a riflessioni dolciastre torniamo a osservare le espressioni degli angeli che Bellini teneva ad approfondire nella ta da Daniele Benati (in La pittura a Rimini tra Gotico e Manierismo. Recupero e restauro del pa- figurativa con Bellini potrebbe essere concepibile solo se fosse stato scolpito a Padova o per trimonio artistico riminese. Dipinti su tavola, catalogo della mostra [Rimini, Sala delle Colon- Padova e fosse stato eseguito non prima del 1440 o poco dopo il 1443» (J. POPE-HEN- loro diversità. Stanno guardando Cristo morto come un Dio-uomo umiliato, nei modi che sono propri di un’opera italiana del ne, agosto-ottobre 1979], Rimini 1979) sono troppo poco eloquenti per stabilire quale fos- NESSY, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Mu- secondo Quattrocento e concepita in pieno umanesimo cristiano, non certo nei termini applicabili a un archetipo bizantino co- se realmente lo stato del dipinto prima dell’intervento, tuttavia dalle riflettografie pubblicate seum, Londra 1964, pp. 73-75). da Pulini si capisce che nel punto del chiodo vi sia stato un’intervento invasivo, ma non 8 MOSCHINI, Giambellino cit., p. 24. me lo si sarebbe potuto trovare raffigurato in relazione agli inni liturgici del venerdì e del sabato santo34, nei quali comparivano essendo stata resa nota la relazione del restauro, né avendo avuto modo, per urgenza di con- 9 Giovanni Bellini cit., 1949, p. 124.

14 15 10 Secondo ROBERTSON (Giovanni Bellini, Oxford 1968, pp. 57-65) la pala perduta di San nianze e riflessi d’arte e cultura bizantina nelle chiese d’Italia, catalogo della mostra (Ravenna, Zanipolo seguirebbe agli «Angeli» di Pietro Lombardo di San Giobbe e anticiperebbe il Convento di San Vitale, 27 luglio - 4 novembre 1990), Milano 1990, p. 110 (con biblio- «Cristo morto» di Rimini. Su vari pareri della critica riguardo la cronologia delle opere di grafia precedente in parte desunta da BERTELLI, «The Image of Pity» cit., pp. 197-231). La Docta religio di un dipinto. Erudizione e devozione San Giobbe cfr. L. FINOCCHI GHERSI, Il Rinascimento veneziano di Giovanni Bellini, Ve- 25 G. MILLET, Recherches sur l’iconographie de l’Evangile aux 14., 15. et 16. siecles: d’apres les mo- nezia 2003, p. 76 nota 16. numents de Mistra, de la Macedoine et du Mont-Athos, Parigi 1916, pp. 483-488. nella «Pietà» riminese di Giovanni Bellini 11 Non è qui il caso di ripercorrere l’iter del giudizio della critica riguardo la cronologia di 26 PUGLISI e BARCHAM, Gli esordi cit., p. 13 questo dipinto riminese. Si ricorda che D. BENATI (in La pittura cit., pp. 40-41) giudica- 27 J. CANNON, The Stoclet «Man of Sorrows»: a thirteenth-century Italian diptych reunited, in ALESSANDRO GIOVANARDI va con cautela il quadro precedente la pala di Pesaro ed eseguito negli anni che seguono «The Burlington Magazine», CXLI, 1999, pp. 107-112 (per l’iscrizione «O Basileus tes immediatamente il 1468. Del 1475 circa lo ritengono A. TEMPESTINI (in Marco Palmez- doxes» cfr. p. 107 nota 6 e p. 112 nota 38). zano e il Rinascimento nelle Romagne, catalogo della mostra [Forlì, Museo San Domenico, 4 28 PANOFSKY, «Imago Pietatis» cit., 1927, p. 66 dicembre 2005-30 aprile 2006], a cura di A. Paolucci, L. Prati e S. Tumidei, Cinisello 29 Ibid., p. 67. Se sei sceso nella tomba, o Immortale, hai distrutto il potere dell’Inferno Balsamo 2005, p. 216); G. C. F. VILLA (in Giovanni Bellini, catalogo della mostra [Ro- 30 BELTING, Giovanni Bellini cit., ed. italiana 1996, pp. 23, 56-57; A. TEMPESTINI, L’ico- (Tropario della liturgia pasquale ortodossa) ma, Scuderie del Quirinale, 30 settembre 2008-11 gennaio 2009], a cura di M. Lucco e nografia del Cristo morto nelle regioni adriatiche occidentali, in Giovanni Santi, atti del convegno G. C. F. Villa, Cinisello Balsamo 2008, pp. 178-180) e altri. internazionale di studi (Urbino, Convento di Santa Chiara, 1º-19 marzo 1995), a cura di 12 A. CAMPANA, Notizie sulla «Pietà» riminese di Giovanni Bellini, in Scritti di storia dell’arte R. Varese, Milano 1995, pp. 171-176; H. BELTING, Das Bild und sein Publikum im Mitte- in onore di Mario Salmi, a cura di V. Martinelli, vol. II, Roma 1962, p. 405 sgg. lalter: Form und Funktion früher Bildtafeln der Passion, Berlino 1981, ed. italiana Bologna 1986, uasi all’incrocio tra due diversi ellenismi - quello classico che ne caratterizza lo stile e quello bizantino che ne detta le istan- 13 C. GAMBA, Giovanni Bellini, Milano 1937, p. 69; TEMPESTINI, in Marco Palmezzano pp. 87-88. ze teologiche - la «Pietà» riminese di Giovanni Bellini ha trovato in Augusto Campana l’interprete più acuto dei suoi cit., p. 216. 31 PUGLISI eBARCHAM, Gli esordi cit., p. 23. Secondo gli stessi Puglisi e Barcham il «Cri- Q 14 P. PAOLETTI, La Scuola Grande di San Marco, in «Rivista di Venezia», 8, 1929, p. 147, sto morto con quattro angeli», autonomo rispetto a tutte le altre versioni dello stesso tema, fondamenti storici. Nelle brevi, fondamentali Notizie ordinate con la consueta acribia dallo studioso romagnolo e pubblicate in nota 1. è un «Uomo dei dolori». una miscellanea in onore di Mario Salmi nel 1962, si trova ancora lo spartiacque da cui prendere le mosse per ogni ulteriore af- 15 C. CLEMENTINI, Trattato de’ luoghi pii e de’ magistrati di Rimino, vol. I, Rimini 1617, p. 32 Mi riferisco a una comunicazione scritta di don Paolo Prosperi del 16 aprile 2012 a com- 1 475 (cfr. A. TURCHINI, Il Tempio Malatestiano. Sigismondo Pandolfo Malatesta e Leon Batti- mento del quadro di Giovanni Bellini, che gli avevo sottoposto per un parere d’ordine teo- fondo critico , facilitato oggi dall’edizione di una ricca messe di documenti meticolosamente raccolti da Oreste Delucca. sta Alberti, Cesena 2000, p. 124 nota 184). logico. 16 C. RICCI, Il Tempio Malatestiano, Milano 1924, pp. 179-188. 33 BELTING, Giovanni Bellini cit., ed. italiana 1996, p. 14, si tratta evidentemente di una svista. È Campana a indagare con acume paleografico la firma in caratteri gotici «Ioannes bellinus pingebat.» incisa all’estrema destra 17 C. TONINI, La coltura letteraria e scientifica in Rimini. Dal secolo XIV ai primi del XIX, vol. I, 34 MILLET, Recherches cit., p. 487 nota 2 e anche BELTING, Das Bild cit., ed. italiana 1986, del piano (la pietra del sepolcro) dove poggiano le figure di Cristo e dei quattro angeli che ne piangono la morte. Il graffito, qua- Rimini 1884, p. 147. Un riferimento al poeta Roberto Orsi è anche in AGOSTI, Un amo- pp. 118 nota 40, 119 nota 42, 146. 2 re cit., 2009, pp. 19, 61; così Alessandro Giovanardi in questo catalogo. 35 Ibid., p. 118. si nascosto, è inconsueto tra le autografie di Bellini e quindi di poco probabile autenticità : lo studioso avanza l’ipotesi che po- 18 CAMPANA, Notizie sulla «Pietà» cit., p. 425. 36 Per l’Omelia «In Ascensionem Christi» cfr. MIGNE, PG, 46, Parigi 1863, pp. 690-694. tesse trattarsi di un’aggiunta del committente o del possessore, comunque un proprietario ben consapevole del valore artistico 19 TURCHINI, Il Tempio Malatestiano cit., p. 165 nota 6; per un’ icona «sanctissimi Cruci- Trascrivo qualche passo di questo testo meraviglioso: «È ormai compiuto il mistero della fixi con imaginibus beate M.V. et S. Ioannis evangeliste», «vicino all’epigrafe detta dei morte ed è stata riportata una vittoria sui nemici e contro di loro è stato agitato il trofeo del- dell’opera posseduta e desideroso di lasciare chiara memoria del suo autore3. quattro centenari presso la chiesa di Sant’Antonio detta di Santa Croce» si veda il riferi- la croce. Salì in alto portandosi via la cattiva prigionia [della morte] colui che diede agli mento in ibid., p. 156 nota 306. Probabilmente non attinente alla cappella degli Atti. uomini la vita... Le porte chiuse furono di nuovo aperte per Lui. Tuttavia accorsero i no- Anche in questo caso la ricerca di Campana risulta dirimente: Giorgio Vasari che risedette a Rimini tra il 1547 e il 1548, men- 20 Ibid., p. 218 nota 225. stri custodi [gli angeli] e ordinarono che fossero rinchiuse perché Egli non ottenesse la glo- tre Le vite già concluse venivano trascritte in bella copia dal monaco benedettino olivetano Gian Matteo Faetani, testimonia di 21 RICCI, Il Tempio cit., p. 186 sgg. ria. Infatti non riconobbero colui che si era vestito della veste imbrattata della nostra vita. 22 PANOFSKY, «Imago Pietatis» cit., ed. italiana 1998, pp. 262-308. La letteratura sul tema Le sue vesti erano rosse a causa della tribolazione dei mali umani. Così, nuovamente, i aver visto il dipinto nella chiesa di San Francesco a Rimini, il Tempio Malatestiano, attribuendone la committenza a Sigismon- della «Pietà» e dell’«Uomo dei dolori» è vastissima, ricordo soltanto alcune delle opere fon- compagni furono interrogati da quelle voci: “Chi è questo Re della gloria?” Si rispose in mo- do Pandolfo4; una suggestione forse raccolta da una tradizione orale e ancor oggi non del tutto abbandonata dalla critica5, mal- damentali: E. VETTER, Iconografia del «Varón de dolores». Su significado y origen, in «Archivio do non diverso: “È forte e potente in battaglia”. Il Signore delle virtù, che ottenne il principa- espanõl de arte», XXXVI, 1963, pp. 197-231; C. BERTELLI, «The Image of Pity» in San- to del mondo e al culmine raccolse in sé ogni cosa e in ogni cosa detiene il primato e resti- grado la maggior parte degli storici ritenga - e Campana con loro - che l’opera vada datata per ragioni stilistiche almeno dopo ta Croce in Gerusalemme, in Essays in the History of Art Presented to Rudolf Wittkower, a cura tuì ogni cosa alla stato primigenio, questi è il Re della gloria». Trovo citata l’omelia di Gre- di D. Fraser, H. Hibbard e M. J. Lewine, Londra 1967, pp. 40-55 (con bibliografia re- gorio di Nissa in R. F. TAFT, The Great Entrance. A History of the Transfer of gifts and a other il 1475, quando Sigismondo è deceduto da sette anni. lativa alla Messa di san Gregorio, cfr. p. 40 note 1, 3, in parte desunta da VETTER, Icono- pre-anaphoral Rites of the Liturgy of St. John Crysostom, Roma 1985, p. 108; citato anche in Tuttavia, la tavola non pare fosse destinata al Tempio, dove la vide Vasari, ma a una cappella da costruirsi nella vicina e dipen- grafia cit.; G. SCHILLER, The Man of Sorrows - «Imago Pietatis», in Id., Iconography of Chri- BELTING, Das Bild cit., ed. italiana 1986, p. 118 nota 40. Ma il tema dello stupore angeli- stian Art , New York 1968, vol. II, pp. 197-228; H. W. VAN OS, The Discovery of an Ear- co legato alla morte, e in questo caso alla sepoltura di Cristo, si ritrova anche nella stupen- dente chiesa di Sant’Antonio, ora non più esistente, dove desiderava essere seppellito Rainerio di Lodovico Migliorati legum doc- ly Man of Sorrows on a Dominican Triptych, in «Journal of the Warburg and Courtald da «Omelia del sabato santo» di autore ignoto (forse del IV secolo o prima) in MIGNE, PG, tor e notabile della corte malatestiana, con la quale fu imparentato6. Già consigliere di Sigismondo e di Roberto Malatesta pri- Institutes», XLI, 1978; H. BELTING, An Image and its Function in the Liturgy: The Man of 43, Parigi 1864, pp. 439-464: «Precedettero i cherubini sollevando su se stessi Dio e tra- Sorrows in Bithantyum, in «Dumbarton Oaks Papers», XXXIV-XXXV, 1980-1981, pp. sportandolo. Fatti ministri di Dio precedettero gli angeli dotati di sei ali e non con le ali, ma ancora che del figlio di quest’ultimo, Pandolfo IV, ultimo e famigerato signore di Rimini, il Migliorati fu una figura di spic- 1-16; S. RINGBOM, Icon to Narrative, The Rise of the Dramatic Close-Up in Fifteenth-Centu- ma con le sindoni avvolsero Dio e lo onorarono. I cherubini lo temono; Giuseppe e Nico- 7 ry Devotional Painting, Doornspijk 1984, p. 66 sgg.; H. BELTING, Giovanni Bellini: Pietà. demo lo portano sulle spalle e tutti gli ordini degli spiriti incorporei si stupiscono. Giun- co nella politica e nella cultura del tempo . È difatti Rainerio nel suo testamento del 17 febbraio 1499 a prescrivere che in tale Ikone und Bilderzälung in der venezianischen Malerei, Francoforte sul Meno 1985, ed. italiana gono Giuseppe e Nicodemo e accorreva tutto il popolo degli angeli di Dio. I cherubini li luogo sia collocata «unam ipsius testatoris tabulam depictam manu Iohannis Bellini, in qua est depicta imago domini nostri Ie- Modena 1996; M. RUBIN, Corpus Christi, the Eucharist in Late Medieval Culture, Cambrid- precedono e accorrono insieme ai serafini, mentre i troni portano [il corpo di Cristo] insie- 8 ge 1991, pp. 308-309; A. DE MARCHI, Un raggio di luce su Filippo Lippi a Padova, in «Nuo- me a [Giuseppe e Nicodemo] e quelli dotati di sei ali Lo coprono e inorridiscono gli an- su Christi salvatori mortui et sublati de cruce in formam pietatis» . Stesso anno, stesso mese l’inventario dei suoi beni redatto in vi Studi», I, 1996, pp. 5-23; C. PUGLISI e W. BARCHAM, Gli esordi del Cristo passo nel- geli dotati di molti occhi vedendo che Gesù incarnato è privato della vista. Le potestà lo l’arte veneziana e la Pala feriale di Paolo Veneziano, in Cose nuove e cose antiche. Scritti per Mon- ricoprono e i principati cantano e le schiere inorridiscono. Tutti gli eserciti delle torme ce- vernacolo ricorda: «una ancona o vero taula dove è dipinta la imagine del nostro signore Iesu Christo in forma de pietà descese signor Antonio Niero e don Bruno Bertoli, a cura di F. C. Romanelli, M. Leopardi e S. R. lesti si stupiscono e attoniti esitano e si domandano: Cos’è questa terribile parola e questa de la croce»9. Minelli, Venezia 2006, pp. 403-430. paura? Cos’è questo tremore? Cos’è questo spettacolo grande, che supera ogni pensiero, in- 23 E. MÂLE, L’art religeux de la fin du moyen âge en France, Parigi 1922, p. 98 sgg. comprensibile? Egli che in cielo per noi esseri incorporei è invisibile come un Dio nudo, Difficile dire se Rainerio potesse essere il committente o se avesse acquistato oppure ricevuto la tavola per vie indirette. D’altro 24 Cfr. a proposito del luogo di esecuzione S. ROMANO, in Splendori di Bisanzio. Testimo- in terra per gli uomini, nudo è veramente visibile». canto Migliorati, vicario delle gabelle, sovrintendente dei lavori del palazzo di Elisabetta Aldobrandini madre dell’ultimo si- gnore di Rimini10, residente nel quartiere di Santa Maria in Trivio, ma possessore di un importante podere nell’attuale zona si- tuata tra San Lorenzo in Corregiano e San Martino Monte l’Abate ch’egli destinava alla propria villeggiatura11, fu conosciuto anche per la sua cultura antiquaria, di «spirito umanistico» come giustamente annota Campana12. È l’erudito settecentesco An- gelo Battaglini a ricordarci che Rainerio intrattiene rapporti con l’intellettuale riminese Roberto Orsi che gli dedicò un epigram- ma latino, accompagnando lo scambievole dono di manufatti antichi13. Rainerio, bibliofilo, fu in vero possessore di un’impor- tante raccolta di codici tra cui un’opera di Roberto Valturio con disegni14; nella sua vita seppe collezionare, pur in modo non

16 17 sistematico, sculture antiche, medaglie, monete, ceramiche15. Ma Rainerio mantenne stretti contatti con gli artisti del suo tem- tando sia il dettato evangelico, sia la liturgia eucaristica che mesce acqua al vino. Il Cristo morto sorretto dagli angeli è parados- po: il 22 aprile del 1482 ospitò a casa propria la firma di un contratto d’affitto per l’ultima, infeconda residenza riminese di Pie- salmente il pane vivo «disceso dal cielo» (Gv. 6, 51); le creature celesti, ministranti una liturgia invisibile resa accessibile dal pit- ro della Francesca, per cui aveva probabilmente mantenuto i rapporti coi Malatesta; alla firma fu testimone un altro pittore, Ga- tore, sono qui quattro secondo un simbolismo cosmico che sottintende la pienezza e l’universalità dell’evento: le stesse ali, rese briele di Stefano16. Sempre nella propria magione, tra il 1482 e il 1485, lavora il miniatore Marco di Giovanni17. con un verismo non letterale, porterebbero a interpretarli secondo una simbologia sofisticata ancora da indagare. Lo sguardo stupito dei fanciulli celesti (su cui si sofferma l’indagine di Marco Bona Castellotti) contempla un mistero che le Scritture non La consuetudine con artisti e opere, il suo stesso ruolo di mediatore culturale accreditatogli dagli storici, rende particolarmente narrano: quello del Redentore «sublatus de cruce», dove il termine latino «sublatus», nel testamento del Migliorati - corretta- interessanti le espressioni utilizzate da Rainerio per descrivere la «Pietà» riminese del Giambellino, lì dove il latino e il volgare mente tradotto col vernacolo «descese de la croce» - evoca di contro anche l’essere «innalzato». L’«Uomo dei dolori» mentre sta si rispondono perfettamente, ma con varianti significative e non casuali. Un interesse che diverrebbe esponenziale se nel Miglio- per essere seppellito mantiene la serena bellezza di un eroe classico32, pacificato come nelle icone antiche, come nelle tavole tre- rati potessimo scorgere il colto committente e non solo l’erudito collezionista. D’altra parte l’aver destinato a una cappella mi- centesche riminesi e veneziane, quasi che i gesti quieti degli angeli anticipino ciò che sarà nel più tardo dipinto di Sebastiano nuziosamente descritta una pittura di dimensioni non facilmente adattabili a qualsiasi luogo, un dipinto che ha evocato nei com- Florigerio al monte di Pietà di Treviso: i «Preparativi della Resurrezione»33. Sul nero intatto dello sfondo, privo di luci terrestri, mentatori l’idea di un grande frammento, raccolto tra «le altre cose spezzate di alcuni quadroni» come intendono Le vite del Va- Bellini fa sorgere nell’avvenenza della carne di Cristo «l’altra luce, non ancora perduta a Occidente, umilmente trionfale»34. sari nel 155018 (e come oggi ripropone Massimo Pulini) o che fa pensare a uno studiato antependium, suggeriscono o una committenza precisa o un’accurata ricerca da intenditore tra le opere belliniane. 1 A. CAMPANA, Notizie sulla «Pietà» riminese di Giovanni Bellini, in Scritti di storia dell’arte 21 Cfr. M. GEORGOPOULOU, Venice and the Byzantine Sphere, in Byzantium. Faith and Pow- Non è, infine, da dimenticare l’elemento devoto che si tende troppo facilmente a trascurare, sottovalutando il nesso fecondo fra in onore di Mario Salmi, a cura di V. Martinelli, vol. II, Roma 1962, pp. 405-427, cfr. S. er (1261-1557), catalogo della mostra (New York, Metropolitan Museum of Art, 23 mar- cultura umanistica e desiderio di Dio: nelle raccolte del Migliorati non sono poche le tavole a fondo oro raffiguranti la Vergine, NICOLINI, Augusto Campana per la storia delle arti figurative, in Augusto Campana e la Roma- zo - 4 luglio 2004), a cura di H. C. Evans, New Haven-Londra 2004, pp. 494, 503-504; gna, a cura di A. Cristiani e M. Ricci, Bologna 2002, pp. 289, 314. A. NOVA, Icona, racconto e «dramatic colse-up» nei dipinti devozionali di Giovanni Bellini, in Gio- vere e proprie icone che evocano la dimensione religiosa dell’eredità culturale di Rainiero, in cui s’inserisce e si spiega il posses- 2 Cfr. A. TEMPESTINI, Bellini e belliniani in Romagna, Firenze 1988, p. 34: «firma non au- vanni Bellini, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 30 settembre 2008-11 19 tografa ma attendibile». gennaio 2009), a cura di M. Lucco e G. C. F. Villa, Cinisello Balsamo 2008, pp. 105- so della «Pietà» riminese . Solo in questa dimensione il testo pittorico dischiude in vero i suoi significati: la «taula» del testa- 3 CAMPANA, Notizie sulla «Pietà» cit., p. 410. 115 (vedi anche le schede alle pp. 132-135, 160-163, 164-167). mento latino diviene, nell’inventario italiano «ancona», termine che discende dalla storpiatura del termine greco «eikóna». Pro- 4 G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori, Firenze 1550, ed. a cura di 22 Cfr. A. GIOVANARDI, «Belliniani in Romagna». Benedetto e Bartolomeo Coda nell’arte sa- L. Bellosi e A. Rossi, Torino 1986, p. 437 e ID., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e ar- cra del primo Cinquecento, «L’Arco», VI, 1 (2008), pp. 28-43. prio le Imago pietatis in Bellini sembrano conservare, come è stato più volte osservato, la duplice natura di dipinto umanistico, chitetti, Firenze 1568, ed. Roma 2011, p. 460. 23 Cfr. ad esempio P. G. PASINI, Il Museo di Stato della Repubblica di San Marino, Milano modernamente colto, e di arcaica immagine sacra20. All’origine della sua pittura le forme iconografiche bizantine sono, in effet- 5 Cfr. P. G. PASINI, Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Milano 2000, pp. 132-135 (scheda su una «Deposizione» belliniana opera di un madonnaro adri- 2000, p. 174; M. CENTANNI, Antichità classica e rivelazione cristiana. Un dialogo con «testo a atico). 21 ti, un percorso assai frequentato fin dagli esordi . E se le invenzioni del Giambellino saranno spesso oggetto di quella «ripeti- fronte» tra le cappelle del Tempio Malatestiano, in «Parola e Tempo», VI, (2007), p. 229. 24 Cfr. BELTING, Giovanni Bellini cit., ed. italiana Modena 1996, pp. 29-32, 49, 55-57. 6 25 22 R. COPIOLI, Gli Agolanti e i Malatesti e la Tomba Bianca di Riccione. Orgogli fiorentini nelle Cfr. C. SCHMIDT ARCANGELI, L’eredità di Costantinopoli. Appunti per una tipologia del- zione differente» che è sottesa alla pittura d’icone , non sembra superfluo ricordare che alcuni maestri cretesi tradurranno cele- sabbie della Romagna, in Gli Agolanti e il castello di Riccione, a cura di Id., Rimini 2003, le ancone veneziane nella prima metà del Trecento, in Il Trecento adriatico. Paolo Veneziano e la pit- bri pietà belliniane nel lessico solenne della loro arte sacra23. p. 94. tura tra Oriente e Occidente, catalogo della mostra (Rimini, Castel Sismondo, 19 agosto - 7 O. DELUCCA, Artisti a Rimini tra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Ri- 29 dicembre 2002), a cura di P. Flores d’Arcais e G. Gentili, Cinisello Balsamo 2002, mini 1997, p. 118. pp. 97-103 (e scheda pp. 170-171); cfr. A. GIOVANARDI, Giovanni Baronzio pittore e «teo- Nell’Imago pietatis riminese le formule del pathos che la caratterizzano come derivanti dalla tradizione figurativa e funeraria anti- 8 Ibid., p. 535. logo» della Passione di Cristo, in «Parola e Tempo», VI (2007), pp. 140-144, 159-160. 9 Ibid., p. 691. 26 BELTING, Giovanni Bellini cit., ed. italiana 1996, p. 21. 24 ca - elementi che avranno indubbiamente sedotto il colto Migliorati - si sovrappongono e si fondono senza soluzione di conti- 10 Ibid., p. 392. 27 H. BELTING, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, ed. 11 O. DELUCCA, L’abitazione riminese nel Quattrocento. La casa rurale, Rimini 1991, pp. italiana Roma 2001, p. 575. nuità con le tipologie medioevali del soggetto, che la tradizione gotica veneziana e adriatica ha ereditato direttamente da quella 733-734. 28 Cfr. O. DEMUS, L’arte bizantina e l’Occidente, a cura di F. Crivello, Torino 2008, pp. bizantina: non c’è quasi necessità di citare le tavole di Pietro da Rimini o di Giovanni Baronzio, o di ricordare come il «Cristo 12 CAMPANA, Notizie sulla «Pietà» cit., pp. 425-427; G. AGOSTI, Un amore di Giovanni 240-254. Bellini, Milano 2009, pp. 19, 60-61 (n. 32). 29 Cfr. J. LINDSAY OPIE, Manolis Chatzidakis e l’arte post-bizantina, in Per Manolis Chatzi- passo» di Paolo Veneziano avesse preso il posto del Pantokrator al centro della «Pala feriale» in San Marco, a sottolinearne l’ico- 13 A. BATTAGLINI, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basinii parmen- dakis. «In memoriam», a cura di M. Bonfioli, Roma 2000, p. 36. nografia sacrificale ed eucaristica25; la discussa tavola belliniana del museo Poldi Pezzoli è la più schietta discendente di questa sis opera praestantiora, vol. II, Rimini 1794, p. 195. 30 Cfr. T. VERDON, Attraverso il velo. Come leggere un’immagine sacra, Milano 2007, p. 99; 14 A. CAMPANA, Due note su Roberto Valturio, in Studi riminesi e bibliografici in onore di Car- M. SCHMITT, Tipologie e funzioni della pittura senese su tavola, in Duccio. Siena fra tradizione serie26. Tutte le «Pietà» di Bellini sono variazioni musicali di questi temi arcaici: operano, come scrive Belting, «una sintesi tra lo Lucchesi, Faenza 1952, pp. 13-14. bizantina e mondo gotico, catalogo della mostra (Siena, 2002), a cura di A. Bagnoli, R. Bar- 15 27 O. DELUCCA, Ceramisti e vetrai a Rimini in Età Malatestiana. Rassegna di fonti archivistiche, talini, L. Bollosi e M. Laclotte, Cinisello Balsamo 2003, pp. p.532. l’antica icona e la poesia dipinta di nuova concezione» . L’invenzione riminese miscela la tipologia della «Suprema umiliazio- Rimini 1998, pp. 429-430, 444 e ID., Artisti a Rimini cit., pp. 535, 691. 31 Cfr. M. G. BALZARINI, in Iconografia e arte cristiana, a cura di R. Cassanelli e E. Guer- ne», la perfetta kenosis del Verbo, con quella del Threnos, del «Compianto sul Cristo morto» che dagli affreschi di Nerezi a quel- 16 Ibid., pp. 122, 142. riero, vol. II, Cinisello Balsamo 2004, p. 1062. 17 32 28 Ibid., p. 204. F. SARACINO, Cristo a Venezia. Pittura e cristologia nel Rinascimento, Genova-Milano li di Giotto a Padova, mette in scena il pianto celeste degli angeli ; Bellini darà ai suoi il ruolo d’ufficio funebre altrove attribui- 18 VASARI, Le vite cit., ed. 1986, p. 437. 2007, p. 303. to ai discepoli di Cristo. «Pietà» e «Lamento», temi strettamente connessi fin dai prototipi bizantini, mantengono una funzio- 19 DELUCCA, Artisti a Rimini cit., pp. 535, 691. 33 Ibid., pp. 323-324, tav. XXIX. 20 H. BELTING, Giovanni Bellini: Pietà. Ikone und Bilderzälung in der venezianischen Malerei, 34 P. P. PASOLINI, Bozzetto, in Id., Tutte le poesie, a cura di W. Siti, vol. II, Milano 2003, ne simbolica legata al sacramento della comunione29 da cui non si discosta la cultura figurativa italiana. Non è forse inutile Francoforte sul Meno 1985, ed. italiana Modena 1996, pp. 20-28. p. 294. ricordare l’identificazione tradizionale fra il sacello di Cristo e la tavola del sacrificio, lì dove la tradizione liturgica ricorda che la parte centrale di un altare cristiano è detta tumba o sepulcrum, per le reliquie ivi custodite30, mentre la cultura popolare chiama sepolcri gli altari della reposizione del Giovedì Santo. Si guardi alla «Pietà» belliniana di Palazzo Ducale dove i ceri posizio- nati sulla tomba del Redentore sono autentici lumi d’altare. È celebre la leggendaria visione di san Gregorio Magno, in cui il Cristo gli apparve proprio sull’ara sacrificale nell’atto di uscire dal sepolcro con i segni della passione, a fugare ogni dubbio sul- la sua reale presenza nelle specie eucaristiche31: il Salvatore di Rimini fa sgorgare dalla piaga del costato sangue e acqua, rispet-

18 19 Lo specchio romagnolo MASSIMO PULINI

uando Giovanni Bellini dipinse il «Bacco bambino» (ora a Washington, QNational Gallery of Art), si trovava nell’ultima stagione della propria esi- stenza, ma doveva avere ancora nitidi nella memoria i puttini di Agostino di Duc- cio visti nel Tempio Malatestiano. Lo sguardo incantato del dio infante, la paciosa pinguedine e la chioma femminea, la camiciola discinta, il piede sinistro in pieno profilo, quello destro scorciato in una prospettiva da bassorilievo e infine la mano che poggia sul masso con un vezzo di pura decorazione, sono tutti elementi che si ritro- vano sparsi nel vasto repertorio fisionomico dispiegato nel Tempio riminese dall’ul- timo cantore di un gotico felice. Ma di certo anche la Romagna si ricordava del Giambellino. Facendo seguito alle riflessioni di Antonio Paolucci a introduzione del libro di An- chise Tempestini Bellini e belliniani in Romagna1, se la storia avesse svoltato diversamen- te o fosse durata più a lungo quella breve stagione in cui la Romagna di costa era en- trata sotto l’egida veneziana (Ravenna già dal 1441 e Rimini dal 1503, dominio che si concluse per entrambe le città nel 1509), forse leggeremmo anche la «Pietà» belli- niana in altro modo. Sicuramente diverrebbe ai nostri occhi un avamposto cultura- GIOVANNI BELLINI, «Bacco bambino». le nella strategia espansiva della Serenissima che, dopo i lontani tempi di Paolo Ve- Washington, National Gallery of Art. neziano e Jacobello del Fiore, tornava a diffondere nella regione la propria egemonia artistica, prima che politica. Ma le idee culturali veicolate anche dal commercio, han- no da sempre gettato ponti tra sponde diverse e saputo collegare terre lontane. Tra FILIPPO MAZZOLA, Quattro e Cinquecento gli artisti siciliani, attraverso la lingua delle immagini, si in- «Cristo morto assistito da quattro angeli». Baltimora, The Walters Art Museum. tendevano coi portoghesi o coi fiamminghi molto meglio di quanto non si potessero comprendere i rispettivi governanti. Giovanni Bellini aveva madre pesarese e nella vicina città marchigiana lasciò, intor- no al 1475, un monumentale complesso di dipinti che equivale a un arco trionfale piamo disporre di una «Pietà» dipinta da Giovanni Bellini, almeno vent’anni prima (cfr. scheda dell’opera). In ogni caso quel- dedicato alla più tersa pittura veneziana. l’unica tavola, nei suoi primi due decenni di vita, dovette rimanere esposta in pubblico (nulla vieta immaginarla nello stesso Non sappiamo invece se la tavola riminese «Cristo morto assistito da quattro ange- Tempio Malatestiano) dato che il dipinto del Francia, parte della pala bolognese dei Felicini (cfr. scheda in questo catalogo), li» fosse parte di un progetto altrettanto articolato non andato a buon fine. Non stri- intimamente ispirato alla «Pietà» riminese, è databile con precisione al 1490. Ma alle spalle delle tante «Madonne» di France- derebbe pensarla a cimasa di un polittico2 e nulla osta che l’idea di una commissio- sco, disseminate sulla lunga carriera, si ritroveranno volti con la stessa posa degli angioletti di Rimini, portatori di un analogo ne anche più vasta potesse essere venuta allo stesso Sigismondo sul finire della pro- incanto e si potrebbe fare ampia cernita pure nel catalogo di Lorenzo Costa. Mentre se si volesse stilare una graduatoria su qua- pria vita, a conferma parziale delle parole di Vasari3. Ci sono tuttavia ignoti i motivi le dipinto di fine Quattrocento riverberi maggiormente lo spirito dell’opera romagnola di Bellini credo che il primato spetti a un che spinsero il pittore veneziano, pochi anni dopo la morte dello stesso Malatesta, a altro «Cristo morto assistito da quattro angeli» (Baltimora, The Walters Art Museum, di Filippo Mazzola, anche se c’è da realizzare quell’opera. Ma il mancato compimento di un’idea più ambiziosa, desti- scommettere su un’esecuzione veneziana, durante il soggiorno lagunare del pittore di Parma. La scena è resa silenziosa da un AGOSTINO DI DUCCIO, no dello stesso Sigismondo e dell’intera chiesa albertiana, potrebbe giustificare un «Angioletti alla fontana». medesimo fondo nero, anche il rimugino individuale degli angioletti è percepibile e solo un minore disincanto aleggia sul sepol- passaggio del dipinto nelle mani del giurista Rainerio Migliorati, che nel 1499 lo sap- Rimini, Tempio Malatestiano. cro. Anche quest’opera, secondo Federico Zeri, è collocabile intorno al 14904.

20 21 Ma ancora prima di tutto questo, intorno al 1480, è difficile pensare che Pedro Berruguete non avesse visto la nostra ta- vola quando dipinse la sua «Pietà con due angeli», ora alla pinacoteca milanese di Brera eppure proveniente dalla chie- sa di San Girolamo in Sant’Agata Feltria, nell’entroterra ri- minese. Sul valico del secolo è invece Antonio Aleotti, che a quel tempo faceva ancora spola tra Argenta e Cesena, a chiedere parziale prestito all’icona di Rimini. Il risultato è dialettale e asprigno, dimesso e tuttavia sincero nella tavoletta, anch’essa conservata a Brera. Il forlivese Marco Palmezzano, che svolse un ruolo cardine e per certi versi primario nella pittura romagnola di inizio Cin- quecento, forse va escluso dai belliniani (TEMPESTINI 1998) a patto che per questo si intenda solo la stretta bottega dei col- GIOVANNI BELLINI, MARCO PALMEZZANO, , laboratori, ma belliniano lo fu molto più, nei modi, di quan- «Unzione del corpo morto di Cristo». «Unzione del corpo morto di Cristo». «Unzione del corpo morto di Cristo». Roma, Musei Vaticani. Londra, Courtauld Institute. Budapest, Szépmüvészeti Múzeum. to fosse melozziano. Il suo soggiorno veneto ci impedisce di valutare a pieno il lascito di influenze dell’unico dipinto ri- minese, ma la «Pietà con dolenti» di Colonia5, che vira in controparte la figura del Cristo, ne è un esplicito richiamo. ce lettura dell’opera di Budapest, firmata dal Marchesi, parlando di figure cadaveriche e di occhi stretti, che sembrano aver per- Numerose sono le sue opere che muovono dallo stesso tema e duto l’anima7. Lo stesso pittore di Cotignola, che lavorò a più riprese per chiese di Rimini e di Pesaro, ci ha lasciato anche un’al- PEDRO BERRUGUETE, «Pietà e due angeli». quasi tutte hanno un debito nei confronti del Bellini, per lu- tra lunetta che interseca il tema dell’«Unzione del corpo morto di Cristo» con la citazione in controparte della pietà riminese Milano, Pinacoteca di Brera. ce o per colore, composizione o stile, fisionomie o disegno. (Lille, Palais des Beaux-Arts,). Anche se Marco non riuscirà mai a superare le forme dell’al- Di certo si saranno dispersi nei secoli altri riverberi del capolavoro belliniano sul variegato tessuto romagnolo8, così questo elen- bero, dei gesti scolpiti nel legno, mai uscirà da quella geome- co inevitabilmente frammentario trova parziale compimento davanti alle opere di Benedetto Coda, che si firmava «riminese», tria primaria che disinnesca quasi ogni affetto, ogni morbi- nonostante lo fosse solo d’adozione. Nella sua produzione, talvolta seriale ma mai avulsa da sentimenti, il tema della «Pietà» ri- dezza. corre con una cadenza e un’attenzione particolare. Il risultato più alto lo si apprezza in un «Cristo morto con quattro dolenti» Incide maggiormente su Palmezzano e sugli artisti dell’en- riapparso di recente (già Prato, mercato antiquario), che aggiunge al silente impianto originale una intonazione nordica, un ni- troterra ravennate la cimasa pesarese di Bellini (ora conser- do intrecciato di corpi e di tessuti piegati a tornante. Più esplicita la rielaborazione belliniana nella tavola del museo di Trevi, vata nella Pinacoteca Vaticana), nella sua assoluta moder- nità di sguardo e di sentimento. Il forlivese annulla tutta- via il geniale scorcio da sott’insù, nelle proprie declinazioni di quell’«Unzione di Cristo» e trasforma la suprema inven- zione belliniana in una giostra cromatica, in una tarsia di panneggi, come è nella tavola del Courtauld Institute di Londra6. Taglio e spirito più aderenti al dramma si ritrovano nel coti- gnolese Girolamo Marchesi, maggiormente disposto a rece- pire le aperture di ricerca, anche se la sua interpretazione non tiene il passo del modello pesarese e sente comunque il biso- MARCO PALMEZZANO, GIROLAMO MARCHESI, BENEDETTO CODA, «Pietà con dolenti». gno di ribaltare la prospettiva mettendo una montagna goti- «Unzione del corpo morto di Cristo». «Cristo morto con quattro dolenti». Colonia, Wallraf-Richartz Museum. ca alle spalle di Nicodemo. Adolfo Venturi diede un’effica- Lille, Palais des Beaux-Arts. Già Prato, mercato antiquario.

22 23 Schede

BENEDETTO CODA, BENEDETTO CODA, «Cristo morto con nove dolenti». «Testa mozzata del Battista». Trevi, Museo. Milano, collezione Koelliker.

che segnalai già nel 1993 come opera di Benedetto9. Intorno al «Cristo» riminese, trasformato in una sagoma ormai priva di qual- siasi fierezza, i quattro angioletti pensanti lasciano posto a un funerale di nove figure, nel quale si innestano Compianto e De- posizione. Non si è più in procinto di allestire l’esposizione del corpo sacro in formam pietatis, né vi è sufficiente spazio per la con- templazione, ma appare evidente che l’immagine si sospenda nel concitato momento che precede l’inumazione. Benedetto Co- da replicò più volte questa formula, fino agli anni trenta del Cinquecento, fino a farla diventare un’icona. Nella fototeca Zeri si conservano varie immagini di una lacerata versione su tela, mentre presso la Galleria Altomani di Pesaro si trova un’altra reda- zione su tavola, pubblicata da chi scrive nel 2008, ma si può dire che anche tutta la sequenza di opere che ritma il tema della «Testa mozzata del Battista»10, venga da quella sorgente iconografica. Si troverà un’ultima eco del modello belliniano pure nella produzione dei figli di Benedetto11, a tre generazioni di distanza dal- la sua creazione, anche se l’aura magnetica e inestinguibile di quel faro trova ormai uno specchio appannato nelle opere rimine- si di metà Cinquecento.

1 A. PAOLUCCI, San Marco in Romagna, in A. Tempestini, Bellini e Belliniani in Romagna, 8 A. Tempestini, nella scheda dedicata alla «Pietà» riminese del Bellini (in Marco Palmez- Firenze 1998, pp. 10-24. zano cit., p. 216), affermava di conoscerne una derivazione puntuale eseguita dal cosiddet- 2 Tra Quattro e Cinquecento l’iconografia della «Pietà» veniva spesso inserita in cima a to Maestro dei Baldraccani e conservata in collezione privata. Purtroppo non ne pubbli- complessi polittici e, malgrado le altre opere belliniane di analogo soggetto e destinazione cava la foto, sarebbe stata un’aggiunta preziosa a questo repertorio entro il quale vanno ri- presentino uno sfondo di cielo, non è raro trovare anche casi con fondi neri, si pensi alla ci- cordate altre copie conosciute: una nel Museo Diocesano di Pennabilli, un’altra a Milano masa del polittico di Recanati di Lorenzo Lotto. in collezione privata e la terza a Rimini nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Marino. 3 G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori, Firenze 1550, ed. a cura di L. 9 Chi scrive segnalò nel 1993, alla Direzione del Museo di Trevi, l’attribuzione dell’opera Bellosi e A. Rossi, Torino 1986, p. 437. a Benedetto Coda. Una foto, estratta dall’archivio Zeri, venne poi pubblicata da S. Tu- 4 F. ZERI, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora 1976, pp. 274-275. midei (in Marco Palmezzano cit., pp. 46-47). Vedi anche M. PULINI, La scelta riminese di 5 Cfr. S. TUMIDEI, Marco Palmezzano (1459-1539). Pittura e prospettiva nelle Romagne, in Benedetto Coda, in «L’Arco», 6, 1, 2008, pp. 44-53. Marco Palmezzano e il Rinascimento nelle Romagne, catalogo della mostra (Forlì, Museo San 10 Sia per quanto riguarda la versione Altomani del Coda che la pubblicazione delle va- Domenico, 4 dicembre 2005-30 aprile 2006), a cura di A. Paolucci, L. Prati e S. Tumi- rianti della «Testa mozzata del Battista» cfr. PULINI, La scelta cit., 2008. dei, Cinisello Balsamo 2005, pp. 46-47. 11 Per i riflessi del dipinto riminese di Giovanni Bellini sull’attività dei figli di Benedetto 6 Deriva dalla tavola vaticana del Bellini anche l’opera di Palmezzano conservata al Mu- Coda cfr. A. GIOVANARDI, «Belliniani in Romagna». Benedetto e Bartolomeo Coda nell’arte seo Civico di Vicenza. sacra del primo Cinquecento, «L’Arco», VI, 1 (2008), pp. 28-43. 7 A. VENTURI, I quadri di Scuola italiana, in «L’Arte», III, 1900, pp. 185-240: 206-207.

24 GIOVANNI BELLINI sparigliare la questione negando risoluta- Andrea Mantegna (1961). Nel catalogo, (Venezia, 1438 circa - 1516) mente la consueta attribuzione e a indi- Paccagnini segnalava peraltro l’estrema care nel tondo un capolavoro giovanile di problematicità dell’attribuzione, anche Testa di san Giovanni Battista Giovanni Bellini. L’opinione dello stu- in virtù della presunta vicinanza tra la 1465 circa. dioso fu resa nota per la prima volta, sen- «Testa del Battista» e il «Cristo in Pietà Tempera su tavola, diametro 28 cm. za essere condivisa, da Giuseppe Fiocco fra angeli» dello stesso museo, già ricono- Pesaro, Musei Civici, inv. 4545. (1922), per poi essere ribadita dallo stes- sciuto da Filippini (1939, p. 354) e da so Longhi nel 1927. Ancora in Officina Zeri (1958, p. 40) quale cimasa della pa- ferrarese lo studioso mostrava disappunto la eseguita dallo Zoppo nel 1471 per gli econdo una testimonianza riportata nel rilevare che il dipinto, «forse il più al- Osservanti di Pesaro (ora Berlino, Staa- Sda Marcello Oretti, nel 1777 il ton- to fra tutti quelli presenti» nella grande tliche Museen, Gemäldegalerie). Il rife- do con la «Testa mozzata di san Giovan- mostra del 1933, fosse «esposto senza spe- rimento allo Zoppo fu dunque ripreso da ni Battista» si trovava nella sagrestia del- ciali onori, accanto al polittico bologne- Ruhmer (1966) e dalla Armstrong la chiesa di San Giovanni Battista a Pe- se di Marco Zoppo». Contestualmente (1976), ma trovò un fiero oppositore in saro, costruita a partire dal 1543 su Longhi proponeva dei confronti fra la Alessandro Conti, che, riproponendo progetto di Girolamo Genga. Nello stes- «Testa» e i brani più arrovellati del polit- con forza l’attribuzione a Bellini, addu- so luogo, la tavola fu segnalata, insieme a tico di San Zanipolo o della «Pietà» di ceva argomentazioni di natura stilistica e un «Cristo in pietà fra angeli», da Anto- Brera, nella speranza che ciò bastasse al tecnica. nio Becci (1783), che assegnava entram- comune riconoscimento della paternità Da questa breve rassegna emerge chiara- bi i dipinti a Marco Zoppo da Bologna, di Bellini. Lo stesso accostamento fu ri- mente come il riconoscimento dell’auto- autore della grande pala firmata che si ve- proposto da Moschini (1943) e da Pal- grafia del bellissimo tondo pesarese costi- deva «nel coro dietro l’altar maggiore», lucchini, che decideva di esporre il ton- tuisca un problema aperto, su cui la cri- ma che l’erudito dice provenire dall’«an- do di Pesaro fra i capolavori belliniani tica si è sempre mostrata divisa. In questo tica chiesa» quattrocentesca, già distrutta della mostra da lui curata nel 1949. senso, la posizione più emblematica è for- nel 1536. Dopo la soppressione delle con- Questa scelta suscitò l’accesa reazione di se quella adottata nella sua autorevole gregazioni religiose marchigiane, seguita Cesare Brandi, che, dopo aver accolto monografia su Giovanni Bellini da Ro- all’Unità d’Italia, le due tavole conserva- nel 1935 il parere di Longhi, si era ormai bertson (1968), che, pur optando per lo te in sagrestia furono incamerate dal mu- ricreduto in favore della tradizionale at- Zoppo, ammetteva la plausibilità di una nicipio pesarese, confluendo prima nelle tribuzione a Marco Zoppo. L’opinione diversa lettura in favore del maestro vene- raccolte del Museo Oliveriano e in segui- dello studioso, espressa in una recensione ziano. to in quelle dell’attuale Pinacoteca Civi- della mostra del 1949, si basava sul con- Detto ciò, e rilevato che la soluzione di ca. Tenendo conto delle indicazioni set- fronto tra la «Testa del Battista» e l’«Ec- uno dei più affascinanti problemi attri- tecentesche, la critica ha inizialmente ri- ce Homo» di Zoppo allora in collezione butivi del quattrocento italiano non può tenuto il tondo con la «Testa del Battista» Schiff-Giorgini, ma, soprattutto, su uno certo dipendere dal confuso schizzo trac- opera certa di Marco Zoppo: così, per schizzo raffigurante una «Naiade a caval- ciato sul retro della tavola, bisogna rile- esempio, Crowe e Cavalcaselle (1871), lo di un delfino» da lui scoperto sul retro vare come negli ultimi anni lo stimolan- Berenson (1907), Frizzoni (1913). Già della tavola e ritenuto testimonianza del- te dibattito attributivo abbia subito una Venturi (1914) dubitava però che il di- la più tipica grafica zoppesca. Nonostan- netta battuta d’arresto. Ciò in seguito agli pinto, «per la sua sentimentalità come per te ciò, il dipinto fu esposto come opera di interventi di Mauro Lucco e Catarina la forte quadratura», potesse spettare al- Bellini ancora alla «Mostra della pittura Schmidt, che nel 1990 hanno suggerito l’aspro pennello del pittore emiliano. veneta nelle » curata da Zampet- un’ipotesi ricostruttiva della pala di Pe- Come è noto, fu però Roberto Longhi a ti (1950) e in quella di Paccagnini su saro di Zoppo, in cui, oltre agli scompar-

26 centro della predella avrebbe avuto la (ora Milano, Brera) alla pala con l’«In- in base all’asserita provenienza del ton- funzione di sportello per il tabernacolo coronazione della Vergine» (Brera) rea- do dall’antica chiesa di San Giovanni del Santissimo, con una soluzione che lizzata dal romagnolo per la chiesa degli Battista a Pesaro, che si desumerebbe nel 1524, a quanto ci tramanda il contrat- Osservanti di Cotignola, che non risul- dalla testimonianza fornita da Becci nel to, anche Gerolamo Savoldo avrebbe ri- ta in alcun modo documentata (A. 1783. Quest’ultimo, in realtà, specifica preso nella grande pala per l’altare mag- MAZZA, in Pinacoteca 1991, pp. 291- una tale provenienza solamente in rela- giore della chiesa domenicana di Pesaro 292) e anzi viene per lo più motivata pro- zione alla grande ancona posizionata nel (ora Milano, Brera). Il pittore bresciano prio sulla base dell’ipotetica ricostruzio- coro del nuovo edificio. avrebbe cioè «deliberatamente tentato di ne del precedente complesso zoppesco (F. Sorprende perciò che non sia mai stata evocare l’opera monumentale che era sta- NANNI, in Marco Palmezzano 2005, pp. presa in debita considerazione un’ulte- ta commissionata dal precedente signore 236, 240). riore fonte, già pubblicata da padre Ci- di Pesaro mezzo secolo prima», ossia la L’ipotesi sostenuta da Schmidt, Lucco ro Ortolani (1930). Si tratta di un inven- pala eseguita da Zoppo nel 1471 su pro- e Humfrey non risolve inoltre l’innega- tario settecentesco, in cui viene specifica- babile commissione di Alessandro Sfor- bile problema posto dall’accostamento to che la «Testa», a differenza della pala za. Nonostante la distanza cronologica tra il tondo di Pesaro e gli altri scompar- già sull’altare maggiore dell’edificio che separa i due dipinti, l’argomentazio- ti che la critica ha ricollegato alla predel- quattrocentesco, era pervenuta nella ne è certamente intrigante, ma non può la della pala pesarese di Zoppo, tutti di nuova chiesa dei frati zoccolanti in segui- valere che come pura suggestione, visto formato rettangolare. Né appare possibi- to a una donazione ducale. L’importan- GIOVANNI BELLINI, «San Cristoforo» che lo sportello dipinto da Savoldo con le ipotizzare una modificazione succes- te segnalazione di padre Ortolani è stata (particolare del Polittico di san Vincenzo Ferrer). la «Testa di san Pietro Martire» è andato siva della tavola, poiché le tracce di do- per vero ripresa dalla Armstrong, che Venezia, chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. perduto e dunque non è possibile istitui- ratura che si scorgono sul bordo della su- tuttavia ne ha frainteso la natura. La stu- MARCO ZOPPO, «Madonna col Bambino», re nessun confronto morfologico con la perficie dipinta, e in certi punti al di sotto diosa datava infatti l’inventario al 1535, particolare. Washington, National Gallery of Art. presente «Testa del Battista». di essa, sembrano riferirsi alla cornice riferendolo alla primitiva chiesa abbat- Si può inoltre aggiungere che la stessa ti- originale, pensata dunque fin dall’inizio tuta l’anno successivo, e su questa base dunque certamente relativa al nuovo edi- baldo II. Alle cc. 378 e 379 l’anonimo pologia dell’oggetto, appartenente al for- per contenere un tondo. Appare inoltre considerava il tondo «a small commis- ficio voluto dai Della Rovere. Ciò appa- fornisce quindi un dettagliato inventario tunato genere dello Johannesschüssel poco plausibile che, in una predella in sion done at the same time as the Pesaro re ancora più evidente se si consulta il della chiesa, in cui si legge appunto che (vassoio di Giovanni), sembra indicare cui dovevano essere riprodotti in manie- altarpiece», dunque un lavoro autonomo manoscritto originale, conservato nella «nel Choro dietro l’altare maggiore vi è una più probabile funzione autonoma. ra simmetrica i santi del registro princi- rispetto alla pala, ma eseguito negli stes- Biblioteca Oliveriana di Pesaro (ms. il quadro della chiesa antica del vecchio A questo proposito, secondo quanto ha pale, venisse poi duplicata l’immagine si anni per la medesima chiesa, fatto che 456, II, lettere E-M), che si rivela un’im- convento dipinta da Marco Zoppo da ricordato Isabel Combs Stuebe in un in- del Battista. Anche in virtù di quest’ul- a suo avviso contribuiva a confermarne portante memoria manoscritta, redatta Bologna, l’anno: 1471 ed è in stima». teressante e ancora valido studio su tale ti- tima considerazione, la Armstrong ave- l’autografia zoppesca. da un anonimo estensore nel 1735. Alla Passando alla sagrestia, si segnala la pre- pologia di origine nordica (1968-1969, va più coerentemente escluso dalla sua ri- Già la parziale trascrizione fornita da pa- c. 373 si legge infatti «Notizia dell’anti- senza della «testa di San Gio. Battista de- GIOVANNI BELLINI, «Testa di san Giovanni Battista». p. 1), già Panofsky aveva osservato che costruzione il tondo di Pesaro, avendo dre Ciro Ortolani offriva però elementi co convento di San Gio. Battista di Pe- collato di mano di Marco Zoppo da Bo- Pesaro, Musei Civici. «the head of St. John the Baptist in the già individuato quale più plausibile tali da escludere la datazione dell’inven- saro, raccolta da diversi scrittori in que- logna, parimenti stimata e donata dalli charger was singled out from representa- scomparto di predella la tavoletta con il tario ipotizzata dalla Armstrong. Basti st’anno 1735, e da conservarsi in memo- SS. Duchi». Non viene invece citato in ti già problematicamente individuati da tions of the Salome episode and transfor- san Giovanni Battista nel deserto della dire che nel coro, insieme alla pala di ria, non essendovi nell’archivio altra alcun modo il «Cristo fra angeli», a quel Lillian Armstrong, avrebbe trovato po- med into an isolated devotional image collezione Cini, posizionato dalla stu- Zoppo, viene citato un «quadro di San notizia distinta come la presente». Nella tempo evidentemente ancora posiziona- sto, al centro della predella, anche il ton- (Andachtsbild) in the northern countries diosa in corrispondenza dell’omologo Giacomo della Marcha di mano di Si- prima sezione sono tramandate diverse to sulla pala. do in esame. L’assunto è stato in seguito and North in the fourteenth and fif- santo dello scomparto centrale. A dispet- mone Cantarini da Pesaro». Si tratta informazioni relative all’edificio quattro- Ciò che conta è però che l’anonimo spe- condiviso e più distesamente argomenta- teenth centuries». Né potrà servire come to di ciò, l’ipotesi di un’originaria collo- perciò, con ogni evidenza, di una testi- centesco. Nella seconda parte vengono cifichi come la «Testa del Battista», a dif- to anche da Peter Humfrey (1993b), se- prova contraria la presunta appartenenza cazione della «Testa» nella pala di Pesa- monianza ben successiva all’abbatti- narrate le complesse vicende costruttive ferenza della pala, non provenisse dalla condo il quale la «Testa del Battista» al della «Testa del Battista» di Palmezzano ro è oggi generalmente accettata, anche mento della vecchia chiesa sforzesca e della nuova chiesa finanziata da Guido- vecchia chiesa distrutta, ma fosse invece

28 29 Il rilancio della paternità belliniana non bile con quella del tondo di Pesaro. BIBLIOGRAFIA: Notizie dell’antico convento 1735, può che partire dalle strette affinità, già Credo però che avesse ancora una volta cc. 368-386; Oretti 1777, c. 12; Becci 1783, pp. 60-61; Crowe e Cavalcaselle 1871, p. 349; Be- riscontrate da Longhi, tra il tondo e il ragione Alessandro Conti nel rilevare renson 1907, p. 304; Crowe e Cavalcaselle 1912, polittico di san Vincenzo Ferrer in San che il confronto con il san Cristoforo, p. 52; Frizzoni 1913, pp. 169-170; Venturi Zanipolo, in cui Robertson leggeva, a anche se efficace, non sia pienamente uti- 1914, pp. 33-34; Fiocco 1922, p. 41; Longhi 1925-1926, ed. 1995, pp. 381-382; Longhi mio parere giustamente, chiari echi zop- le ai fini della precisa datazione della 1927, ed. 1967, vol. I, p. 181; Ortolani 1930, p. peschi. Non vi è dubbio, infatti, che nel «Testa del Battista». Rispetto a quest’ul- 40; Berenson 1932, p. 608; Catalogo 1933, p. 65; corso degli anni sessanta le formulazioni tima, mi sembra infatti che nel polittico Serra 1933, p. 583; Longhi 1934, ed. 1956, pp. 27-28, 96-97 n. 54; Filippini 1939, p. 354; Mo- Ms. 456, II, lettere E-M, c. 379. di Giovanni Bellini risentano di un teso di San Zanipolo, databile intorno al schini 1943, p. 14; Giovanni Bellini 1949, p. 62 n. Pesaro, Biblioteca Oliveriana. plasticismo e di una vigoria espressiva di 1468, Bellini sperimenti ormai un nuo- 37; Brandi 1949, pp. 288-289; Longhi 1949, ed. chiara impronta padovana, suscitata cer- vo uso della luce, non più solo sbalzan- 1978, p. 103; Pallucchini 1949, pp. 175-176; un dono dei duchi, ossia dei Della Ro- cende di bagliori argentei le ciocche me- velata da un fitto tratteggio incrociato, to dall’ammirazione per il grande cogna- te, ma già plasticamente costruttivo, che Brandi 1950, pp. 561-562; Robertson 1950, p. 26; La pittura veneta 1950, pp. 10, 30; Pallucchi- vere. L’oggetto dovette dunque giunge- talliche, possa accostarsi alle forme cri- ben diverso dalla raffinatissima modula- to Andrea Mantegna, ma altresì rinfoco- quasi prelude alla grande sintesi croma- ni 1959, pp. 38, 133; Andrea Mantegna 1961, pp. re nella nuova chiesa in una data impre- stallizzate e di legnosa durezza esibite nei zione chiaroscurale che si riscontra nella lata dall’arrivo in laguna di Marco Zop- tico-luministica elaborata nel corso del 90-91; Longhi 1962, ried. 1978, p. 152; Ruh- cisata, ma comunque successiva al 1543. suoi dipinti da Marco Zoppo. Nemme- tavola in esame. Al di là di taluni inne- po intorno alla metà del settimo decennio successivo. Non riesco peraltro mer 1966, p. 88; Robertson 1968, p. 53, tav. D’altronde, in più di un caso l’inventa- no nella sua fase più intensamente belli- XXVIII; Combs Stuebe 1968-1969, fig. 8; Ar- gabili rimandi tipologici e «morelliani», decennio. Proprio il dialogo ravvicinato a condividere la precocissima datazione mstrong 1976, pp. 381-384; Nicolson 1977, p. rio fa una distinzione fra dipinti prove- niana, collocabile negli ultimi anni del non sembra dunque possibile rintraccia- con quest’ultimo sembra giustificare proposta dallo stesso Conti e credo che 292; Conti 1980, pp. 1112-1113; Bacchi 1987, nienti dall’antico convento e altri dona- settimo decennio, il pittore si dimostra re nel catalogo di Zoppo nulla che pos- l’adozione da parte di Bellini di taluni sia invece più ragionevole riferire il ton- p. 771; Conti 1987, pp. 283-284; Valazzi 1989, ti ai frati dai duchi. È chiaro perciò che infatti capace di un miracolo naturalisti- sa reggere il confronto, per qualità esecu- p. 352 n. 100; Zampatti 1989, p. 194; Lucco caratteri morfologici che, di fatto, hanno do a una fase appena precedente a quel- 1990, p. 430; Schmidt Arcangeli 1990, p. 707, l’estensore della memoria disponesse di co di tal sorta, che si rivela totalmente tiva e di concezione, con il tondo di Pe- a lungo alimentato la spinosa diatriba at- la del polittico, ossia intorno al 1465. Si fig. 867; Conti 1993, p. 99; Dipinti e disegni 1993, precise indicazioni archivistiche a ri- estraneo al suo più radicato habitus men- saro. Si potrebbe però obiettare che la tributiva. I capelli come lamine, i linea- tratterebbe di un momento più acerba- pp. 53-54 (con bibl. prec.); Humfrey 1993a, pp. guardo, cosa che in effetti egli stesso di- tale. Se è vero che i dipinti riferibili a memoria settecentesca, qui utilizzata per menti rigonfi, il risentito contorno del vi- mente padovano, di poco successivo ai 189-192, 344; Humfrey 1993b, pp. 71, 75-78; Agosti 1996, ed. 2009, p. 9; Valazzi 2000, pp. chiara nell’incipit del suo resoconto. Non questa precisa fase dell’artista, come il smentire l’appartenenza della «Testa» al- so si riscontrano in effetti in certi passag- trittici della Carità, in cui di fatto ricor- 101-103; Schmidt Arcangeli, in Il potere, le arti è certo peregrino pensare che, contestual- «Cristo passo» ora in deposito al Metro- la pala del 1471, tramanda anche un’at- gi del polittico dei Santi Giovanni e rono tipologie molto simili a quelle del- 2001, p. 378; Tempestini, in Marco Palmezzano mente all’edificazione del nuovo San politan Museum di New York o la «Ma- tribuzione a Marco Zoppo. In merito bi- Paolo, per esempio nella testa del san la «Testa» di Pesaro. 2005, pp. 242-243; Facchinetti 2007, pp. 140- 141; Valazzi, in Arte francescana 2007, pp. 191- Giovanni, Guidolbaldo II fornisse arre- donna col Bambino» della National sogna precisare che, se l’anonimo esten- Cristoforo, la cui sottigliezza luministi- 192; Ceriana 2008, p. 96; Valazzi, in Emozioni di d’altare e oggetti liturgici di vario ti- Gallery di Washington, mostrano un sore si rivela quasi certamente affidabile ca e chiaroscurale è parimenti confronta- GIACOMO A. CALOGERO in terracotta 2009, pp. 109-110. po, per risarcire i frati dell’abbattimento certo ammorbidimento, esso è però sem- riguardo l’origine dei dipinti che erano della loro sede originaria. In quest’otti- pre smorzato entro uno schema lineare conservati nella chiesa, non sembra però ca, un’immagine di forte valenza simbo- tagliente e da un manierismo quasi grot- esserlo in merito alla loro esatta paterni- lica e direttamente legata alla rinnovata tesco, che non lascia spazio al libero flui- tà: basti citare l’inverosimile attribuzio- intitolazione della chiesa non doveva re dei sentimenti di cui trasuda, invece, ne dello stesso progetto dell’edificio a certo stonare. Il prezioso inventario indi- la mirabile «Testa» di Pesaro. La stessa Donato Bramante, che nel 1543, allor- ca dunque una diversa provenienza del surriscaldata temperatura cromatica po- ché fu fondata la chiesa, era ormai scom- tondo e smentisce, in maniere definitiva, co ha a che vedere con le superfici smal- parso da quasi tre decenni. È chiaro dun- la sua presunta collocazione all’interno tate così tipiche del pittore emiliano. Co- que che a molti secoli di distanza si era della pala di Zoppo. me già notava Alessandro Conti (1993), ormai perduta la memoria della reale au- A questo punto è possibile riaprire an- l’autografia zoppesca è poi smentita dal tografia delle opere più antiche e che nel che il problema attributivo. Per ragioni tipo di stesura adottata: tutti i dipinti ci- caso specifico l’anonimo accostava senza stilistiche non sembra infatti che questa tati, ma lo stesso vale per le parti super- troppe remore la «Testa del Battista» al «Testa del Battista», in cui una morbida stiti della pala di Pesaro, sono accomu- nome del pittore che si leggeva sulla pala luce digradante intesse l’incarnato e ac- nati da un’insistita modalità grafica, ri- ancora posizionata nel coro della chiesa.

30 31 MARCO ZOPPO ne fu ricostruita, spostandone l’ubica- anche politica (VALAZZI 1989, pp. immagini come di dura materia. Il trono, (Cento, 1433 - Venezia, 1478) zione, anche la chiesa dal medesimo ti- 317-318). in pietra intagliata culminante in un ser- tolo, su progetto di Girolamo Genga). La grande «macchina», come si è detto, to di frutta e fiori, si mostra in questa sua Cristo morto tra due angeli Alessandro Sforza, signore di Pesaro tra fu smembrata in tempi assai precoci, cer- primaria qualità, incorruttibile all’azio- 1471. il 1445 e il 1473, ebbe un rapporto privi- to legati in prima istanza allo spostamen- ne della luce che ne investiga le curve e i Tempera su tavola, 120 x 95 cm. legiato con il fratello Francesco, il quale, to dalla sede originaria, ma sembra che meandri. Sulla base squarcionesca si in- Firmata e datata: «1471». nel momento in cui volse i propri inte- soltanto in epoca posteriore, presumibil- nestano altre aperture: verso i ferraresi e Pesaro, Musei Civici, inv. 4546. ressi verso la signoria milanese, oltre a la- mente nel corso del XIX secolo, le diver- Mantegna, verso Venezia per l’accezione sciargli il governo di Pesaro, gli affidò un se parti, oggi ubicate in sedi assai lonta- del colore (HEINEN 2005, p. 276 con bi- ruolo cardine nel gioco politico-militare ne le une dalle altre, abbiano seguito i bliografia), ma anche verso dati di cultu- a tavola è riconosciuta quale ci- dei potentati centro-italiani. Alessandro percorsi, spesso tortuosi e tra loro interse- ra diversi. Nel nucleo centrale della «Ma- Lmasa della grande «macchina» strinse un nodo di indissolubile alleanza catisi, del collezionismo dei «primitivi»: donna col Bambino», nella resa del volu- pittorica che Marco Zoppo dipinse, nel con Federico di Montefeltro. Vespasia- del resto soltanto in extremis fu evitata la me regolare del volto della Madonna, 1471, per la chiesa pesarese di San Gio- no da Bisticci scrive che egli era l’unico vendita alla «R. Pinacoteca di Londra» nella saldezza della massa entro lo spazio vanni Battista dell’Osservanza. L’ipo- signore italiano degno di stare al pari di della pala che Giovanni Bellini dipinse arioso è riconoscibile una specifica ade- tesi, formulata nel 1961 dal Paccagnini, Federico e sottolinea le affinità tra i due, - con una evidente e, allo stato attuale, sione alle proposte di Piero della France- è stata in seguito concordemente accet- in particolare la creazione da parte di en- non pienamente analizzata rispondenza sca, all’inizio degli anni settanta certa- tata (bibliografia, Ambrosini MASSA- trambi di splendide biblioteche (malau- con la pala dello Zoppo - per l’altra chie- mente attivo a Urbino. È incontroverti- RI, in Dipinti e disegni 1993, pp. 26-27). guratamente scomparsa quella sforze- sa francescana di Pesaro. A tutt’oggi non bile che quest’opera rappresenti Antonio Becci (1783, pp. 60-61) ne se- sca). Comune ai due fu anche l’interes- si conosce l’assetto originario del com- un’importante evoluzione nel linguaggio gnalò la presenza, alla fine del XVIII se- se per la città, intesa quale espressione plesso che certamente, per affinità con al- dello Zoppo, una più aperta adesione a colo, nella sacrestia della chiesa di San fondamentale cui affidare, mediante va- tre prove dello Zoppo e con opere coeve temi di spazio e volume, anche se è stato Giovanni Battista «nuovo». Scrive il lori fisicamente riscontrabili, la «comu- - con la pala belliniana in particolare -, sottolineato che fin dalle prime opere - co- Becci: «Nel coro dietro l’altar maggio- nicazione» degli ideali culturali e politi- doveva essere di grande impatto. La ta- me la «Madonna con il Bambino e ange- re vi è il quadro che stava nell’antica ci più profondi del Rinascimento, da en- vola centrale è oggi a Berlino: vi è raffi- li» del Louvre - la più libera circolazio- chiesa di Marco Zoppo da Bologna. trambi vissuti intensamente (VALAZZI gurata la «Madonna col Bambino in tro- ne, già pierfrancescana, di aria e luce di- Autore assai raro, del quale pure sono 1989, pp. 305-356). È Vespasiano a in- no tra i santi Giovanni Battista, France- stingue immediatamente il linguaggio due quadretti nella sagrestia che rappre- formare che Alessandro, assai legato al- sco, Paolo e Girolamo. Reca», su un dello Zoppo rispetto a quello degli altri sentano il primo la testa recisa di San la devozione francescana, promosse la cartiglio posto al sotto del trono della squarcioneschi (ARMSTRONG 1976, Giovanni, l’altro una mezza figura di costruzione della chiesa di San Giovan- Vergine, firma e data: «MARCO ZOPPO pp. 379-380; DE NICOLÒ SALMAZO Gesù-Cristo Signor Nostro fra due ni Battista con tutti i suoi «ornamenti» DA BOLO/GNIA PINSIT MCCCCLXXI 1990, pp. 522-523; CHAPMAN 1998). Angeli». Il prezioso riferimento all’«an- (Vespasiano da Bisticci 1951, p. 229). La IN VINEXIA». Potrebbe essere comunque un’ipotesi cre- tica chiesa» riporta al luogo per il quale presenza di quest’ultima precisazione ha La composizione, che costituisce uno dei dibile pensare che il pittore abbia immes- erano stati originariamente realizzati i fatto ipotizzare che «l’ornamento» del- prototipi in area adriatica di un tema ico- so nella pala pesarese un rinnovato e più dipinti testé citati, tutti ad evidentiam per- la pala dello Zoppo era stata già men- miglia Sforza, la quale, tra il 1445 e il l’altare maggiore - che è stato concorde- nografico che ebbe poi grandissima dif- puntuale interesse per la cultura artistica tinenti a un medesimo complesso pitto- zionata da Giorgio Vasari (1568, ed. 1513, fu detentrice della signoria di Pe- mente identificato nella pala di Marco fusione, la «Sacra conversazione», per- dell’Italia centrale, evidente anche nella rico, giunto assai precocemente e assai 1878-1885, vol. III, p. 405). saro. Esso fu demolito circa un secolo e Zoppo, trasferita nel «nuovo» San Gio- mette di conoscere la cultura pittorica di concezione eroica del corpo del Cristo precocemente smembrato, nel «nuovo» La costruzione del primo San Giovan- mezzo più tardi, intorno al 1635, quan- vanni - fosse stato anch’esso commissio- Marco Zoppo attraverso tutti i suoi dati. defunto, e in particolare per quella di ma- San Giovanni Battista. Con la dizione ni dei frati francescani dell’Osservanza do fu edificata la nuova e più ampia cin- nato dal signore pesarese: certo la com- L’alunnato presso lo Squarcione a Pado- trice pierfrancescana. Non vi sono dati «nella chiesa Nuova di San Giovanni (o zoccolanti) fu voluta da Alessandro ta muraria a opera dei Della Rovere, la plessità e la qualità artistica dell’opera in- va dette al pittore emiliano quel gusto per certi, ma è da rilevare che tra il 1468 e il Evangelista» (evidentemente con un Sforza: l’edificio, collocato extra moenia, cui casata succedette a quella degli Sfor- ducono a pensare a un impegno di tipo le superfici delineate dal piegarsi metalli- 1471 il pittore non risulta documentato fraintendimento del titolo della chiesa) fu destinato a essere il mausoleo della fa- za nel governo della città (nell’occasio- formale e programmatico di rilevanza co dei profili e delle lumeggiature che crea nella città lagunare (RUHMER 1966, p.

32 33 38; ARMSTRONG 1976, pp. 379-380; so poteva far parte delle cornici lignee o BIBLIOGRAFIA: Vasari 1568, ed. 1878-1885, «Cristo morto sorretto da due angeli» vanni e Paolo, 1464-1468). Il volto del- vol. III, p. 405; Becci 1783, pp. 60-61; Berenson BARTOLOMEO BELLANO DE NICOLÒ SALMAZO 1990). di sezioni di raccordo. Le cornici, insie- scolpito dal maestro toscano per l’altare l’angelo centrale, fortemente scorciato è, 1907, p. 304; Vaccaj 1909, p. 105; Venturi attr. Sono pressoché concordemente ricono- me agli altri elementi della pala, sono al- 1914, p. 32; Serra 1920, pp. 11-12; Serra 1921, (Padova 1437? - post 1496?) del Santo a Padova. Il volto più scorcia- a mio parere, una intelligente traduzione sciute quali parti della «macchina» zop- lo stato attuale scomparse: è tuttavia si- pp. 200-201; Ortolani 1930, p. 40; Berenson to e le braccia allargate derivano invece del sottinsù del «Cristo morto» di Man- piana altri dipinti - «San Giovanni Bat- gnificativo che le vicende della tavola 1932, p. 608; Catalogo della esposizione 1933, p. dalla tavola di Bellini con lo stesso sog- tegna (1456). All’interno del corpus di 65, n. 69; Fiocco 1933, p. 304; Longhi 1934, p. Cristo in Pietà e tre angeli tista nel deserto» (Venezia, collezione centrale, della cimasa e del tondo siano 27; Brandi 1949, p. 288; Pallucchini 1949, pp. anni sessanta-settanta del XV secolo. getto, conservata a Venezia (Museo Cor- opere simili ricordiamo quelle segnalate Cini); «San Girolamo penitente» (Bolo- state, perlomeno fino alla metà dell’Ot- 175-176; Pallucchini 1950, p. 18; Zampetti, in Cartapesta su supporto ligneo con rer, 1460 circa), a sua volta derivazione da De Marchi a Parma (Galleria Nazio- La pittura Veneta 1950, p. 19; Polidori 1956, p. gna, Pinacoteca Nazionale; HEINEN tocento, comuni (VALAZZI 2000, pp. rinforzi in tela, 84 x 88 cm. dal rilievo donatelliano. Altre ascenden- nale), Malatolo (San Lorenzo), Berlino 10, n. 18; Paccagnini, in Andrea Mantegna 1961, 2005, p. 276, con bibliografia) - tra i qua- 101-103). Faenza, Pinacoteca Comunale di Arte ze belliniane si riscontrano nell’Imago pie- (Bode-Museum, ex Kaiser Friedrich p. 97; Michelini Tocci 1965, p. 48; Ruhmer Antica e Moderna, inv. 204. li è particolarmente importante la tavolet- La cimasa, rimasta a Pesaro, reca la raf- 1966, p. 38; Battisti 1971; Mulazzani 1970, pp. tatis, parte sommitale del polittico di San Museum), Princeton (University Art ta (35,6 x 46,7 cm) raffigurante «Le stim- figurazione del «Cristo morto sorretto da 114-116; Armstrong 1976, pp. 379-380; Bacchi Vincenzo Ferreri (Venezia, Santi Gio- Museum), Verona (Sant’Anastasia, af- 1987, p. 771; Conti 1987, p. 284; De Nicolò mate di san Francesco», pertinente alla angeli». La versione dello Zoppo risul- Salmazo 1990, pp. 521-525; Valazzi 1989, pp. predella come gli altri, oggi conservata, ta a una prima visione in qualche modo 317-318; Giovannucci Vigi 1993, p. 42 sgg.; l manufatto policromo in cartapesta con numerose altre opere provenienti dal- arcaica, nella espressività dolente e ratte- Humfrey 1993b, pp. 189, 344; Tempestini 1995, Iproviene dal mercato antiquario; nel pp. 171-176; De Marchi 1996a; Chapman 1937 fu acquistato dall’antiquario Mon- le Marche, nella collezione Walters di nuta della figurazione, ma anche in essa 1998, pp. 51-54; Valazzi 2000, pp. 101-103; Baltimora. È Federico Zeri, il quale pu- si evidenzia una risentita plasticità volu- Schmidt Arcangeli, in Il potere, le arti 2001, pp. ti di Fermo. Il riquadro centrale con la re negava la pertinenza della tavoletta al- metrica nel corpo di Cristo, una conce- 378-379; Heinen 2005, p. 276; Arte francescana scena figurata è racchiuso da una corni- 2007, pp. XX; Valazzi, in Emozioni in terracotta ce architettonica. Alcune soluzioni nella la pala pesarese, a sottolinearne il legame zione eroica del nudo, che ne indica la 2009, p. 109. territoriale (ZERI 1976, pp. 208-213). distanza dal più giovanile disegno di col- continuità delle fasce fanno ipotizzare un Eugenio Battisti ne indica invece un ele- lezione Colville (DE NICOLÒ SALMA- montaggio della cornice realizzato con mento di straordinaria importanza: la ZO 1990, p. 512; TEMPESTINI 1995). piccoli moduli decorati già pronti da raffigurazione dell’edificio alle spalle del Da questi elementi, anche se la ricostru- comporre a piacere. santo. La chiesa, sulla scorta delle paro- zione del complesso pittorico risulta as- Dal punto di vista compositivo il rilievo le di Vespasiano da Bisticci e grazie al sai parziale, si può dedurre comunque è costruito su un quadrato (scena figura- confronto con l’immagine perfettamen- che esso mostra stringenti analogie con la ta oltre alle lesene), al cui centro è inca- te corrispondente nella mappa lignea monumentale pala che Giovanni Belli- stonato un esagono (le spalle e le braccia delle tarsie del coro della chiesa di San- ni dipinse qualche anno più tardi, intor- del Cristo e il bordo del sarcofago). La t’Agostino a Pesaro, viene riconosciuta no al 1475, per la chiesa dei conventuali testa dell’angelo centrale, in prospettiva, nella stessa San Giovanni Battista, mo- pesaresi: dall’organizzazione architetto- è il punto culminante della piramide su numento pregno di significati cultuali e nica - tavola principale e cimasa di di- cui si dispongono i tre angioletti. I ma- simbolici nella inusuale e nuovissima, mensioni pressoché sovrapponibili - e nufatti in cartapesta conoscono in epoca per quegli anni, proposta della pianta dalle figurazioni alle rispondenze tema- rinascimentale una discreta fortuna sia centrale (BATTISTI 1971). tiche secondo una precisa sequenza. Il per l’allestimento di scenografie effimere È da considerarsi parte dell’ancona an- dipinto, la cui situazione conservativa sia per economizzare e divulgare reitera- che il tondo con la «Testa del Battista», permette di leggerne ancora la raffinata zioni e varianti di modelli di sicuro suc- che da Roberto Longhi era ritenuta ope- pratica esecutiva di Marco Zoppo, è sta- cesso sul piano estetico e commerciale ra di Giovanni Bellini (LONGHI 1934, to oggetto di diversi interventi di restau- (GENTILINI,in Dal Trecento al Seicento p. 27). Tuttavia, la scoperta sul retro di ro (AMBROSINI MASSARI 1993, pp. 1991, pp. 43-44). disegni nettamente riconducibili alla 26-27). Ben documentato quello del Il rilievo faentino trova perfetta conso- temperie grafica dello Zoppo ha fatto sì 1970 (MULAZZANI 1970). nanza con le opere del Bellano, collabo- che anche questo piccolo dipinto fosse ri- ratore padovano di Donatello. La figura collegato alla pala di San Giovanni: es- MARIA ROSARIA VALAZZI del Salvatore è un puntuale richiamo al

34 35 fresco staccato dalla cappella Pellegrini) ziosa all’interno del manufatto faentino - BIBLIOGRAFIA: Moschetti 1909-1910, ed. FRANCESCO RAIBOLINI, gelo suonatore», anch’essa oggi nella Pi- dell’artista, ma apparentemente senza e da Gentilini a Washington (National oro e finto damasco - è un richiamo alla 1992, vol. III, pp. 233-236; Corbara 1951-1957, nacoteca Nazionale di Bologna (inv. leggere l’iscrizione sul cartiglio. D’altra n. 81; Cessi 1965, vol. VII, pp. 589-591; Ghiot- DETTO «IL FRANCIA» Gallery) e a Padova (chiesa degli Eremi- produzione dei Crivelli e dei Vivarini se- to 1969, pp. 87, 91; Draper, in Donatello e i Suoi (Bologna, 1447 circa - 1517) 583), mentre la predella era formata dal- parte, già Carlo Cesare Malvasia affer- tani). condo il gusto ereditato da Gentile da Fa- 1986, pp. 257-258; Gentilini, in Dal Trecento al le «Stigmate di san Francesco» (collezio- mava di non sapere cosa vi fosse scritto L’attribuzione al Bellano è sostenuta da briano. Seicento 1991, pp. 43-44; Casadei 1991, p. 40; ne privata), dalla «Natività» del Kelvin- in passato sotto la firma dell’artista nei Rosenauer 1993, pp. 146, 228, 236-237, 268- Gesù Cristo in pietà fra due angeli un’indicazione verbale di Fiocco (COR- Su un piano semantico l’opera di Bella- 269, 272-273; De Marchi 1996a, p. 72; De Mar- 1494 (?) grove Museum di Glasgow (inv. 146) e suoi appunti preparatori per la Felsina BARA 1951 [1951-1957], n. 81; CASA- no è prossima alla cultura ermetica tipi- chi 1996b, p. 19; Tempestini 1997, pp. 88-93, Olio su tavola, 82,5 x 62 cm. dal «Battesimo» del Museu Calouste pittrice (Bologna, Biblioteca Comunale 196-197; Petrucci, in Il potere, le arti 2001, pp. DEI 1991, p. 40). Chi scrive ha in prece- ca dell’Umanesimo. Le due colonne de- Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 573. Gulbenkian di Lisbona (inv. 2358). dell’Archiginnasio, ms. B 16, c. 318). È 332-333, 372-373; De Marchi 2008, pp. 84-85; denza rilevato tratti di forte congruenza a limitano lo spazio dell’azione sacra. Gentilini 2008, p. 29 fig. 3, p. 32; Pistocchi, in L’abbinamento dell’immagine del Cri- significativo rilevare che la data «1490» livello scultoreo tra l’opera faentina e i L’evento è posto al di là di una porta La forma del Rinascimento 2010, pp. 228-229; sto in forma pietatis nella cimasa con una era effettivamente letta nel XVI secolo sul- Weyl, in Passion in Venice 2011, pp. 72-73. pannelli dei pulpiti realizzati da Bellano ideale, un «gradino» costituito dal sarco- a tavola ha subito un restauro nel «Sacra Conversazione» nella tavola la «Pala Manzuoli», anch’essa del Fran- per la chiesa di San Lorenzo a Firenze fago: un gradino al di là del quale esiste L1967-1968 da parte di Rosalia Al- principale deriva dalle pale d’altare di cia e conservata in Pinacoteca a Bologna («Martirio di San Lorenzo» e «Discesa il «sacro». L’oro del drappo assume il va- liana Montroni, che ha rivelato l’origi- Marco Zoppo (1471) e Giovanni Belli- (inv. 589), posta nella cappella prospi- di Cristo al Limbo»; PISTOCCHI, in La lore di a-temporalità e a-spazialità; siamo naria stesura. La pulitura ha infatti eli- ni (Pesaro, ante 1475 circa). ciente la Felicini nella chiesa della Mise- forma del Rinascimento 2010, p. 228). Pro- quindi spettatori di un evento eterno e minato una ridipintura autografa data- La pala in cui la tavola in esame funge- ricordia (cfr.: LAMO 1560, ed. 1996, p. pongo in questa sede un’origine marchi- universale a cui l’uomo può assistere sen- bile intorno al 1511, quando la chiesa va da cimasa, detta anche «del Gioiello» 65; DELBIANCO 1995, pp. 253-257). giana del rilievo faentino. Si riscontrano za accedervi. Il materiale con cui è realiz- subì ingenti danni a causa dei tumulti per il pendente con una perla appeso al Più tardi, Jacopo Alessandro Calvi alcune congruenze stilistiche tra l’angelo zato il sepolcro è il porfido, pietra «impe- della primavera contro i Bentivoglio (ve- di sopra del capo della Vergine, fu volu- (1812) riportava che la data della «Pala piangente faentino e quello di Carlo Cri- riale» per eccellenza. L’interno candido di Negro e Roio 1998, pp. 137-138). Il ta per la cappella fatta erigere nella chie- Felicini» era stata abrasa con un coltello. velli nella pala di Montalto. L’intreccio del sarcofago dove avviene l’«immersio- rifacimento, di cui già si accorse Caval- sa della Misericordia subito dopo le noz- Ancora Bolognini Amorini (1841) non tra il braccio dell’angelo a sinistra e quel- ne» di Cristo simboleggia il rinnovato caselle (1871), è ancora visibile nelle fi- ze fra Dorotea Ringhieri e Bartolomeo dava attestazione dell’esistenza della da- lo di Cristo è identico sia nel rilievo di battesimo purificatore. Il fianco della gure della tavola principale, escluso il Felicini (1481). Rimase in situ fino al ta, che si trova invece nelle guide di Gae- Berlino (DE MARCHI 2008, p. 85) sia tomba è scandito in due riquadri contor- gruppo della Madonna con il Bambino. 1799, quando, in seguito alle soppressio- tano Giordani (1826, 1827, 1835) come nell’esemplare in questione. Questo par- nati d’oro, identici per misura; è l’unio- Il dipinto rappresenta Cristo morto se- ni napoleoniche del 1797, venne acqui- «1490». Cavalcaselle (CROWE eCA- ticolare - sconosciuto ad altri modelli di ne tra il maschile e il femminile (così co- duto su un sarcofago classico sostenuto sita dall’Accademia Clementina. Nel VALCASELLE 1871) leggeva la data co- Imago pietatis - passerà nel «Cristo morto me avviene per le lesene laterali), che crea da due angeli fanciulli su fondo scuro. 1818 la predella fu venduta a Roma, me «1494». Questi faceva notare però sorretto da due angeli» nel polittico di e delimita il luogo dove avverrà il mira- L’immagine riprende in una versione mentre la cimasa e l’immagine principa- che le astine verticali del «IIII» doveva- Serrapetrona (Macerata, 1496; VASTA- colo della risurrezione. più concentrata ed essenziale la splendi- le rimasero nella quadreria dell’Accade- no essere state aggiunte in seguito, quin- NO, in I pittori del Rinascimento 2001, pp. da invenzione di Giovanni Bellini del mia di Belle Arti, antenata della Pinaco- di accoglieva ancora la datazione del 188-199). La profusione di materia pre- MICHELE ANDREA PISTOCCHI «Cristo morto con quattro angeli» di Ri- teca Nazionale. Vasari. In realtà, probabilmente la data mini. Come questo capolavoro bellinia- L’attribuzione a Francesco Francia non era stata interamente riscritta. Poco do- no, l’opera di Francia invita a una medi- è mai stata messa in discussione grazie al- po, Giulio Cantalamessa (1890) riferi- tazione intensa sul mistero del dolore per la firma apposta dal pittore in un cartiglio va che le quattro astine erano originarie la morte del Salvatore. In origine essa co- in basso nell’immagine principale: OPVS ed erano state anzi coperte dall’allora di- stituiva la cimasa della pala d’altare di FRANCIAE AURIFICIS. È stata invece og- rettore della Pinacoteca Gaetano Gior- Bartolomeo Felicini in Santa Maria del- getto di letture differenti la data in cifre ro- dani per non contraddire il Vasari; tut- la Misericordia a Bologna, retta dagli mane dipinta al di sotto della firma, che tavia asportata la ridipintura posticcia Eremitani di sant’Agostino. Il pannello attualmente risulta: MCCCCLXXXXIIII. erano ricomparse. In effetti, in una copia centrale era costituito dalla «Madonna Giorgio Vasari (1568), e dopo di lui tut- del libro di Calvi di sua proprietà (Bo- col Bambino in trono e i santi Agostino, ti gli scrittori antichi, datava l’opera al logna, Biblioteca Comunale dell’Archi- Francesco, Giovanni Battista, Procolo, 1490 e presentava la «Pala Felicini» co- ginnasio, ms. Giordani, cartone XV), Sebastiano, Monica, il donatore e un an- me la prima importante prova in pittura Giordani ha annotato a pagina 16 che la

36 37 data venne riscritta come «1490», seguen- mäldegalerie, inv. 125), la piccola «Cro- BIBLIOGRAFIA: Vasari 1568, ed. 1878-1885, do il Vasari, ma, vedendosi le tracce di cifissione» delle Collezioni Comunali di vol. III, p. 537, n. 537; Malvasia 1686, ed. 1969, p. 319; Oretti, ms. B 110, c. 8; Oretti, ms. B 123, quattro aste verticali, queste ultime erano Bologna, il «Santo Stefano» Borghese c. 168; Malvasia 1782, p. 353; Malvasia 1792, p. state coperte dipingendovi sopra un or- (inv. 65) e il «Ritratto di Bartolomeo 387; Calvi 1812, p. 15; Bassani 1816, p. 85; nato di fiori e foglie. Anche Giuseppe Bianchini» della National Gallery di Giordani 1826, p. 59, n. 83; Giordani 1827, p. 14; Giordani 1835, p. 70; Bolognini Amorini Lipparini (1913) e Adolfo Venturi Londra (inv. 2487). 1841, p. 47; Crowe e Cavalcaselle 1871, ed. (1914) ritenevano la data integra e consi- Il «Cristo in pietà» di Bologna è mira- 1912, vol. II, p. 275, n. 2; Cartwright 1881, p. deravano dunque preferibile leggere bile esempio dei modi classici, quasi «at- 114; Cantalamessa 1890, pp. 36-37; Guadagni- ni 1899, p. 65; Williamson 1901, p. 149; Gua- «1494». Questa nuova opzione si è man- tici» si potrebbe dire parafrasando Ro- dagnini 1906, p. 65; Lipparini 1913, p. 36 sgg; tenuta per alcuni anni fino a che il restau- berto Longhi (1934, ed. 1956, p. 58), Venturi 1914, pp. 880, 881, fig. 647, 884; Gro- ro del 1967-1968 offrì ulteriori elementi che Francia presenta tra gli anni ottanta nau 1916, p. 321; Piazzi 1925, p. 29; Malaguz- zi Valeri 1928, p. 61; Berenson 1932, p. 206; La stilistici per la datazione. Anna Ottani e novanta in parallelo alla contempora- regia Pinacoteca 1935, p. 51; Berenson 1936, p. Cavina (1967), su suggerimento di nea produzione fiorentina di Perugino e 178; Rodriquez 1957, p. 44; Raule 1961, p. 38; Maurice Poirier, pur non pronuncian- Lorenzo di Credi, dei quali appare un La Pinacoteca Nazionale 1967, p. 201, n. 104; Ot- tani Cavina 1967, p. 127; Berenson 1968, p. dosi sull’autenticità dell’iscrizione con la parente più prossimo di quanto non fos- 146; La Pinacoteca Nazionale 1968, pp. 8-9, n. 7; data, al seguito di Vasari proponeva di se debitore alla stessa cultura figurativa Rapporto 1968, pp. 8-10; Emiliani, in Malvasia anticipare al 1490 la datazione della «Pa- bolognese, legata a Francesco del Cossa 1686, ed. 1969, p. 319/10; La Pinacoteca Nazio- nale 1969, p. 160; Rossi Manaresi 1971, p. 45; la Felicini», in virtù dell’esame della ci- ed Ercole dei Roberti. La riconsidera- L’opera dell’Accademia 1971, pp. 45, 71, 117, 129, masa. La Rossi Manaresi (1977) torna- zione della vicenda relativa all’iscrizio- 164; Conti 1973, pp. 45-46, figg. 44-45; Bac- va a considerare la data «1494» falsa. ne con la data del dipinto spinge a guar- chelli De Maria 1974, p. 134; Rossi Manaresi 1977, p. 342; La Pinacoteca Nazionale 1979, p. 84; Anche Carlo Volpe (1984) sosteneva la dare di nuovo con interesse l’eventuali- L’arredo sacro e profano 1979, pp. 395-427; Bacchi datazione vasariana, seguito più tardi da tà che la pala fosse originariamente 1984, p. 323; Volpe 1984, p. 281, fig. 270; Sta- gni 1986, p. 7; Bernardini, in La Pinacoteca Na- Nicosetta Roio (NEGRO e ROIO 1998), datata «1494». D’altra parte la cimasa zionale 1987, p. 80, n. 116; Bernardini, in La Pi- la quale ha giustificato la sua lettura sul- mostra di essere vicina alla «Pala Benti- nacoteca Nazionale 1997, n. 114; Cammarota la base di una possibile anticipazione ri- voglio» nell’espressività composta dei 1997, pp. 151, 207, 636, 680; Negro e Roio spetto alla pala della cappella Bentivo- personaggi e nella qualità tersa e cristal- 1998, pp. 134-135, 137-138, n. 8.a; Roio, in Pi- nacoteca Nazionale 2004, pp. 356-360, n. 156a; glio in San Giacomo Maggiore a Bolo- lina del lume, così come una parentela è Sampaio 2009, p. 32; Humfrey 2012, p. 69. gna, eseguita entro il 1494, quando fu riscontrabile anche tra le due aperture consacrata la cappella. La medesima paesistiche della pala di San Giacomo (Pinacoteca Nazionale 2004) ha inoltre con i paesaggi dipinti della predella Fe- menzionato alcuni dipinti che preludo- licini. no alla cimasa della «Pala Felicini», tra cui la «Sacra Famiglia» di Berlino (Ge- GIANLUCA DEL MONACO

39 MATTEO DE’ PASTI Oppenheimer (94 mm). Questo presen- nello». Degenhart (1945, p. 44) invece «humani.generis.salvator.». Sul piano smondo Pandolfo e per converso afferma- (Verona, 1420 circa - Rimini, 1467-1468) te in mostra è di qualità superiore al- lo attribuisce a Pisanello «nel periodo na- dei riferimenti figurativi sono stati gene- ta una certa autonomia concettuale e re- l’esemplare Kress (HILL e POLLARD poletano», mentre Hill lo dice «presumi- ricamente proposti i nomi di Piero della ligiosa, questa medaglia - visti i soggetti D/ Cristo rivolto a sinistra 1967, p. 16). Secondo Hill sarebbe da bilmente» di Matteo de’ Pasti. Le analo- Francesca, Desiderio da Settignano e ov- al diritto e al rovescio - si stringe al «Cri- con manto e nimbo. inserire tra le opere giovanili di Matteo gie fra medaglia e disegno sono evidenti, viamente Donatello. Entrerebbe nel no- sto morto» riminese di Bellini per un le- JESUS.CHRISTUS.DEUS.DEI.FILIUS.H de’ Pasti insieme alle medaglie di Gua- ma è verosimile che quest’ultimo derivi vero anche il «Cristo morto con quattro game essenzialmente culturale, ma signi- MANI.GENERIS.SALVATOR rino Veronese e Leon Battista Alberti e dalla medaglia dato il carattere assai me- angeli» di Giovanni Bellini, mentre i due ficativo grazie a Matteo de’ Pasti impe- pertanto databile fra il 1446 e il 1450. Per no vibrato del volto. P. G. Pasini (1987, putti che piangono al rovescio ricorde- gnato nel Tempio Malatestiano. Pertanto R/ Cristo a mezzo busto nel sepolcro A. Calabi e G. Cornaggia (1927, p. 24 pp. 152-154; 2009, pp. 92, 94) sposta la rebbero (PASINI 1987, pp. 143-159; mi viene da avvicinarla cronologicamen- davanti alla croce con due angeli uno dei n. 3) il diritto è incongruo rispetto alla fi- datazione della medaglia al periodo tar- 2009, pp. 92, 94) il codice delle Esperidi te proprio a quei «Putti che giocano», quali gli sorregge la testa, mentre l’al- gurazione del rovescio, giudizio inaccet- do o estremo dell’attività di Matteo, fra il di Basinio conservato a Oxford. A mio senza necessariamente ritardarla alla me- tro piange levando le braccia. tabile e respinto anche da Hill (1920, p. 1464 e il 1466, in concomitanza con il ri- avviso la rappresentazione che compare tà degli anni sessanta del Quattrocento. MATTHAEI.PASTII.VERONENSIS.OPUS 11). Il volto di Cristo di profilo è stato torno di Sigismondo Pandolfo Malate- sulla medaglia non è riconducibile a nes- La croce alla spalle di Cristo nel sepol- Bronzo fuso, diametro 94 mm. messo a confronto con un disegno a pen- sta dalla guerra di Morea contro i turchi sun esempio belliniano, mentre presenta cro, raffigurato a sinistra con un taglio es- Collezione privata. na del codice Vallardi (Parigi, Louvre, e la volontà di Sigismondo Pandolfo di una stretta parentela con i «Putti che gio- senziale e intensamente simbolico, è una inv. 2305) che M. Fossi Todorow riprendere i lavori del Tempio Malate- cano» della seconda cappella a destra del palese evocazione della deposizione del (1966, p. 153) descrive come «studio di stiano che si erano interrotti. Per Turchi- Tempio Malatestiano (TURCHINI 2000, Signore. i questa rara medaglia Hill (1930, medaglia con l’effigie di Cristo di profi- ni (2000, p. 488) forse conseguente alle pp. 488-489), databili poco dopo il 1450 Dvol. I, p. 39) elenca alcuni esem- lo verso destra e l’iscrizione “JESUS vicende e al precipitare della situazione o al più tardi nel 1454. Sull’attribuzione MARCO BONA CASTELLOTTI plari fra i quali ritiene originali soltanto CHRISTUS FILIUS DEI”» e che ritiene politica negli anni 1461-1463 e in tal sen- di questa decorazione mi sembra oppor- «Putti». Rimini, Tempio Malatestiano, quelli di Berlino (diametro 93 mm), Bo- giustamente «non di mano di Pisanello» so concepita dal Malatesta come «stru- tuno riprendere in mano quanto afferma seconda cappella destra. logna (93,5 mm), Dreyfus (93 mm), bensì «di un seguace imitatore del Pisa- mento di propaganda» data la legenda J. Pope-Hennessy (1964a, pp. 89-90, BIBLIOGRAFIA: Hill 1920, pp. 12-13, fig. 1, fig. 328-329) anche alla luce della medaglia. 2; Calabi e Cornaggia 1927, p. 24 n. 3; Hill 1930, vol. I, p. 39; Hill e Pollard 1967, p. 16, n. Una volta attenuate - come ritengo - le 57; Pasini 1987, pp. 152-154; Turchini 2000, supposte motivazioni politiche di Sigi- pp. 488-489; Pasini 2009, pp. 92, 94.

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46 47 Referenze fotografiche

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