XXIII CONGRESSO NAZIONALE AIPS Associazione Italiana Psicologia dello Sport e dell'Esercizio

CORPO-MENTE IN MOVIMENTO: Attività motoria e prestazione nell'arco della vita

21-23 maggio 2021

ABSTRACT BOOK relazione tra clima motivazionale, enjoyment e benessere in giovani rugbisti Elisa Bisagno, Alessia Cadamuro, Gian Antonio Di Bernardo, Loris Vezzali, Claudio Robazza, Francesca Vitali

Introduzione. Una letteratura scientifica consistente suggerisce una relazione tra clima motivazionale generato dall’allenatore e orientamento individuale dei giovani atleti (Harwood et al., 2015). Inoltre, è noto che un clima motivazionale orientato sulla competenza (mastery climate), ovvero al miglioramento anziché al risultato, previene il burnout in giovani atleti (Vitali et al., 2015) e favorisce comportamenti prosociali nello sport (Kavussanu et al., 2007). Meno indagato è l’effetto che il clima motivazionale determina nella quotidianità dei giovani atleti in termini di enjoyment e benessere.

Obiettivi. In questo studio è stata indagata la relazione tra clima creato dall’allenatore, orientamento individuale, enjoyment e benessere in un gruppo di giovani rugbiste e rugbisti. L’ipotesi era di riscontrare una relazione positiva fra clima motivazionale centrato sulla competenza e orientamento individuale sul compito (task-orientation) e, in ragione di questo, maggiore enjoyment e benessere. Similmente, ci si attendeva di osservare un’associazione positiva fra clima motivazionale centrato sulla prestazione (performance climate) e orientamento individuale sull’io (ego-orientation), con conseguente minore enjoyment e benessere.

Metodo. Grazie al patrocinio della FIR, 446 giovani rugbiste e rugbisti (età media: 13.1 ± 1.5 anni) provenienti da 35 Club e 6 regioni hanno preso parte a questo studio. I partecipanti sono stati intervistati online previo consenso informato da parte dei genitori. Durante l’intervista sono stati somministrati i seguenti strumenti nella versione italiana: •Perceived Motivational Climate in Sport Questionnaire (PMCSQ-12; Newton et al., 2000; Bortoli & Robazza, 2004); •Task and Ego Orientation in Sport Questionnaire (TEOSQ; Duda, 1989; Bortoli & Robazza, 2003); •Short Physical Activity Enjoyment Scale (Morano et al., 2019) adattata al contesto del rugby; •WHO-5 Index (WHO, 1988) per misurare il benessere.

Risultati. È stata condotta un’analisi di mediazione, attraverso structural equation modeling, inserendo: le due dimensioni del clima motivazionale come variabili indipendenti, i due orientamenti individuali come mediatori, benessere ed ejoyment come variabili dipendenti. Dai risultati sono emersi tre path indiretti significativi: il mastery climate era associato positivamente sia ad enjoyment (B = .10, SE = .02, p <.001) che benessere (B = .16, SE = .04, p <.001) attraverso l'effetto indiretto dell’orientamento al compito, mentre il performance climate era associato negativamente al benessere (ma non all’enjoyment) attraverso la mediazione dell’orientamento all’io (B = -.11, SE = .03, p <.001).

Discussione. I risultati confermano quasi totalmente le previsioni, mostrando come promuovere un clima motivazionale orientato sulla competenza anziché sulla prestazione favorisca non solo il piacere di giocare a rugby in ragazze e ragazzi, ma abbia anche un impatto più esteso sul loro benessere individuale. Questo studio è in linea con ricerche precedenti (Vitali et al., 2015) che hanno riscontrato maggiore resilienza e minori livelli di burnout in atleti allenati in un clima centrato sulla competenza anziché sulla prestazione. Da un punto di vista applicativo, è importante sottolineare il ruolo di allenatori ed educatori non solo quali facilitatori della partecipazione sportiva, ma anche quali garanti del benessere generale dei giovani. A ogni sport le sue caratteristiche: una ricerca preliminare al Festival della Psicologia 2019

Ambra Nagliati, Luana Morgilli, Sergio Costa

Spesso i bambini (ma anche ragazzi e adulti) scelgono lo sport in base ad agenti esterni (es. amici), senza riflettere molto sui propri gusti o predisposizioni. Questo potrebbe portare a non trarre gratificazione dallo sport praticato e ad abbandonarlo. Perciò, abbiamo pensato di aiutare le persone a individuare lo sport adatto partendo proprio da loro stessi, cioè dalle loro capacità psico-fisiche. Per farlo, però, è necessario sapere quali capacità ogni sport sviluppi maggiormente.

Durante il Festival della Psicologia 2019, organizzato dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, abbiamo hanno fatto provare il basket, l’atletica e il karate ai visitatori dell’evento: ciascuno sport è stato proposto in una fascia oraria diversa e la sua sperimentazione è stata gestita da un allenatore qualificato che proponeva un circuito di esercizi semplici della durata di 15 minuti, a ripetizione. Successivamente, coloro che avevamo provato lo sport, compilavano un questionario ad hoc supervisionati dagli psicologi dello sport. Il test è semistrutturato e consta di 7 domande tra cui non viene richiesto sesso ed età; il suo obiettivo principale è quello di stimolare il ragionamento nei partecipanti (92) sulle capacità – motorie, cognitive e psicologiche - che ciascuno sport può sviluppare, attraverso delle domande a risposta chiusa (es. “In base alla tua esperienza di oggi, scegli massimo 5 capacità motorie che pensi si sviluppino in questo sport”).

Dall’analisi è emerso che lo sport più provato durante il Festival è stato il basket (45 persone), seguito dal karate (24) e dall’atletica (23), e più della metà del campione (66%) non aveva mai praticato prima lo sport in cui si è cimentato.

In merito all’analisi sulle capacità motorie è emerso che, secondo i partecipanti, la principale capacità che viene sviluppata da tutti e tre gli sport è il controllo del movimento (atletica: 91,3%; basket: 91,1% e karate: 84%). Nello specifico nel karate viene anche incrementato l’equilibrio (76%), nell’atletica l’accoppiamento e la combinazione dei movimenti (65,2%), così come nel basket (57,8%).

Invece, per quel che riguarda le capacità cognitive il karate sviluppa maggiormente la concentrazione (88%) e la memoria spaziale (64%), mentre l’atletica incrementa di più la memoria spaziale e la concentrazione (entrambe al 73,9%). Anche il basket aumenta molto la concentrazione (82,2%), così come la precisione (68,9%).

Infine, in merito all’analisi sulle capacità psicologiche maggiormente stimolate da ciascuno sport pare che la fiducia in se stessi si sviluppi di più nel karate (68%) seguita dal rispetto e dalla disciplina (entrambe al 64%), anche nell’atletica si sviluppa in primis la fiducia in se stessi (65,2%) e poi la determinazione (60,9%); invece nel basket troviamo il concetto di collaborazione (82,2%) e poi di rispetto (57,8%).

Come si può osservare dai dati, ogni sport può sviluppare (più o meno) certe capacità e quindi essere caratterizzato da specifiche qualità o problematiche: conoscerle e comprenderne tempi e fasi di apprendimento, sia a livello amatoriale che agonistico, è la chiave per poter essere più consapevoli nella scelta dello sport giusto per sé, ma soprattutto per mantenere la voglia e il piacere di continuarlo nel tempo. La rappresentazione del femminile nello sport di Endurance

Cesare Picco, Silvia Ciocca, Alessandra Mosca, Chiara Pidello, Barbara Rossi

Obiettivi Il presente studio è finalizzato ad esplorare la rappresentazione delle qualità psicologiche attribuite al genere femminile, da parte delle stesse atlete donne, nello sport di Endurance di alto livello, indicato in letteratura come un ambito elettivo per il maschile (Deaner, 2013). In particolare si è indagata l'esistenza di possibili differenze nelle caratteristiche mentali associate a uomini e donne e l'eventuale impatto che le stesse possono avere sulla performance. Tale studio si va ad inserire, perciò, in un territorio scientifico, ad oggi, poco indagato.

Metodo La ricerca è stata condotta coinvolgendo sette atlete di primo piano internazionale, contattate telefonicamente. Si è optato per una metodologia di tipo qualitativo, utilizzando come strumento l'intervista semi-strutturata in profondità (Jones, Torres, Arminio, 2014). La griglia di conduzione è stata sviluppata ad hoc, sulla base di un'antecedente analisi della letteratura scientifica e sperimentata preliminarmente con atlete non coinvolte nello studio. I colloqui, della durata di circa 30 minuti, sono stati trascritti ed è stata operata un'analisi del contenuto “carta e matita” attraverso la classificazione delle tematiche ricorrenti, che sono state poi raggruppate in categorie tematiche, ricostruendo così la struttura della rappresentazione.

Risultati Dall’analisi del corpus testuale emergono 6 categorie tematiche, in grado di raggruppare in nuclei rappresentazionali il materiale discorsivo delle interviste: 1) Caratteristiche individuali: successo sportivo determinato da caratteristiche soggettive e non differenze di genere; 2) Forza mentale e debolezza fisica: a fronte di un gap fisico su base biologica, rispetto al maschile, conseguente sviluppo di una marcata forza mentale; 3) Successo e cultura: centralità dell'impegno e della determinazione per emergere in un mondo, quello sportivo, che agevola principalmente il maschile; 4) Qualità mentali a vantaggio: maggiore predisposizione alla fatica, alla sopportazione del dolore e superiore resistenza mentale; 5) Qualità mentali di ostacolo: presenza di una maggiore conflittualità nei rapporti personali; 6) Qualità anti-fragili: caratteristiche funzionali a trarre vantaggio dalle vulnerabilità insite nel femminile.

Discussione La ricerca mostra come la rappresentazione del femminile nello sport di Endurance si strutturi intorno ad un nucleo di contenuto, ricorrente e stabile, individuabile nella debolezza che diventa punto di forza. Emerge infatti come una situazione di svantaggio biologico o culturale costituisca una leva per acquisire competenze di natura mentale, quali una marcata motivazione, una competenza nel pianificare il piano di allenamenti, il passo scelto in gara e soprattutto una decisa attitudine nel saper sostenere carichi di allenamento importanti, sopportare la fatica e resistere al dolore Tale processo di sviluppo è presentato come talmente consistente da essere in grado di colmare il gap di partenza con il maschile, caratterizzare il femminile come particolarmente predisposto per lo sport di Endurance o addirittura di produrre un vantaggio competitivo. In linea con la letteratura scientifica, le skill mentali che emergono dalla rappresentazione si contraddistinguono per essere dinamiche e suscettibili di cambiamento e sviluppo. E' quindi ipotizzabile un loro allenamento attraverso un programma strutturato di Mental Training, anche in atlete e atleti esterni della ricerca. Predittori della spinta alla muscolosità in un gruppo di sportivi: influenze del coach, interiorizzazione di ideali di attraenza e muscolosità e confronto sociale

Cristian Di Gesto, Giulia Rosa Policardo, Camilla Matera, Amanda Nerini

Obiettivi. Lo studio si è proposto di indagare, in un gruppo di sportivi, il ruolo predittore delle influenze del coach, dell’interiorizzazione degli ideali di attraenza e muscolosità e del confronto sociale, rispetto alla spinta alla muscolosità. Di quest’ultima variabile sono state prese in considerazione entrambe le dimensioni che la caratterizzano, ossia l’atteggiamento che l’individuo nutre verso il raggiungimento di un corpo muscoloso (spinta alla muscolosità-atteggiamento) e il desiderio di ricorrere a comportamenti volti ad accrescere la propria massa muscolare (spinta alla muscolosità- comportamento).

Metodo. Ai partecipanti alla ricerca, 162 sportive (età media = 20 anni, SD = 4.51) e 66 sportivi (età media = 36 anni, SD = 11.41), sono state somministrate le versioni italiane delle seguenti scale: Weight-Related Coach Pressure Scale (de Bruin et al., 2007) per la misura delle pressioni del coach relative al peso; Facilitative Coach Behavior Measure (Ladegard & Gjerde, 2014) volta a misurare il grado in cui i comportamenti del coach facilitano la prestazione degli atleti; Coaching Behavior Questionnaire (Williams et al., 2003) (solo alle sportive) per misurare quanto i comportamenti del coach attivano l’atleta negativamente (attivazione negativa) o costituiscono fonte di sostegno emotivo (supporto emotivo); Interiorizzazione- Attraenza generale e Interiorizzazione-Muscolosità del Sociocultural Attitudes Towards Appearance Questionnaire-4-revised (Stefanile et al., 2019) volte a rilevare, rispettivamente, l’interiorizzazione degli ideali socioculturali di attraenza e muscolosità; Physical Appearance Comparison Scale (Stefanile et al., 2010) per la misura del confronto sociale relativo all’apparenza fisica; Drive for Muscularity Scale (Nerini et al., 2016) volta ad indagare le due dimensioni che caratterizzano la spinta alla muscolosità, cioè l’immagine corporea orientata alla muscolosità (spinta alla muscolosità-atteggiamento) e i comportamenti volti ad accrescere la propria massa muscolare (spinta alla muscolosità-comportamento). Risultati. Dalle analisi di regressione è emerso che, nelle donne, l’immagine corporea orientata alla muscolosità (spinta alla muscolosità-atteggiamento) risulta predetta in modo statisticamente significativo dalle pressioni del coach relative al peso, dai comportamenti facilitanti del coach, dall’interiorizzazione della muscolosità e dal confronto sociale; negli uomini, tale variabile criterio risulta predetta dai comportamenti facilitanti del coach, dall’interiorizzazione della muscolosità e dal confronto sociale. I comportamenti volti ad accrescere la massa muscolare (spinta alla muscolosità-comportamento), nelle donne, risultano predetti dalle pressioni del coach sul peso, dai comportamenti facilitanti del coach, dai suoi comportamenti di supporto emotivo e dall’interiorizzazione degli ideali di attraenza e muscolosità; negli uomini, risultano predittori statisticamente significativi del desiderio di ricorrere a comportamenti volti ad aumentare la muscolosità solo i processi di interiorizzazione degli ideali di attraenza e muscolosità.

Discussione e conclusioni. I risultati dello studio mostrano come le influenze del coach, i processi di interiorizzazione degli ideali di attraenza e muscolosità e il confronto sociale predicano in modo diverso la spinta alla muscolosità in sportivi uomini e donne. I risultati ottenuti possono essere utili per pianificare interventi di prevenzione e promozione della salute volti a ridurre la spinta alla muscolosità tra uomini e donne che praticano sport. Tali interventi risultano importanti se si considera che una maggiore spinta alla muscolosità correla positivamente con scarsa autostima, depressione, disturbi alimentari e utilizzo di sostanze dopanti. Può un corso di vela contribuire a ridurre il distress psicologico e migliorare la qualità di vita di donne operate per tumore al seno?

Daniela Mirandola, Giovanna Franchi, Maruelli, Manuela Vinci, Maria Grazia Muraca, Guido Miccinesi, Mirko Manetti1 and Mirca Marini

Obiettivi: Sono ormai noti i numerosi benefici dovuti all’attività fisica e/o sportiva sugli outcomes psicofisici (es. dolore, ridotta mobilità arto superiore, ansia, depressione) e sulla qualità di vita (QoL) di donne operate di tumore al seno. Inoltre, alcuni studi recenti suggeriscono che la vela possa migliorare il benessere psicofisico e la QoL di soggetti con disabilità. Pertanto, lo scopo di questo studio pilota è stato quello di valutare per la prima volta l'efficacia di un’esperienza strutturata di vela nel ridurre il distress psicologico e migliorare la QoL di donne operate per tumore al seno.

Metodi: Un gruppo di 19 donne operate di tumore al seno (età media 53,6 ± 5,9 anni; range 43-68 anni), frequentanti il Centro di Riabilitazione Oncologico fiorentino (Ce.Ri.On) e invitate a partecipare ad un corso di vela, hanno compilato un questionario online strutturato per valutare il distress psicologico e la QoL sia alla partenza (baseline) che una settimana dopo il ritorno (follow-up). In particolare, il questionario somministrato al baseline comprendeva una prima parte mirata ad indagare le caratteristiche sociodemografiche e l’eventuale pratica di attività fisica/sportiva attuale e pregressa, mentre una seconda parte era costituita dal questionario SF-12 per valutare la QoL (indice fisico e mentale) e il questionario State/Trait-Anxiety Inventory form Y (STAI-Y) per indagare l’ansia di stato e di tratto, nonchè il termometro del distress per valutare lo stress psicologico. Nel questionario proposto al follow-up, la seconda parte restava invariata, mentre la prima parte andava ad indagare come quest’esperienza di vela fosse stata percepita dalle partecipanti. Nello specifico, è stato chiesto alle partecipanti di esprimere se l’esperienza fosse stata positiva o negativa, se l’avrebbero ripetuta, se fosse stata fisicamente faticosa e all’altezza delle loro aspettative. Il corso di vela della durata di una settimana e adattato alle necessità delle partecipanti è stato svolto presso il centro nautico di Levante, a Palau in Sardegna. Il programma ha previsto sia lezioni teoriche che pratiche con la navigazione su piccoli cabinati (Nytec 20). Le partecipanti sono state seguite da un gruppo multidisciplinare per un percorso integrato costituito non solo da istruttori di vela, ma anche da due psicologhe e da uno specialista in attività fisica facenti parte dello staff del Ce.Ri.On.

Risultati: Il confronto dei dati baseline/follow-up ha evidenziato un miglioramento significativo dell’indice mentale SF-12 (p=0,04) e un’importante riduzione sia delle componenti dell’ansia di stato (p=0,007) e di tratto (p= 0,03) che dei punteggi del termometro del distress (p=0,04) dopo una settimana di scuola vela. La stima dell’effetto dell’intervento ha evidenziato una buona efficacia nel ridurre l’ansia di stato (d di Cohen=0,53) e il distress (d di Cohen=0,59).

Conclusioni: Pertanto, riteniamo che la pratica della vela potrebbe rappresentare un intervento fattibile per aumentare il benessere psicofisico delle donne operate di tumore al seno. Inoltre, la presente esperienza potrebbe costituire un utile modello di lavoro per futuri interventi di riabilitazione psicofisica su misura per queste pazienti che tengano anche in considerazione le preferenze sportive personali in modo da favorire una migliore aderenza a lungo termine all’attività. Stati psico-bio-sociali e prestazione sportiva: uno studio con giovani tennisti agonisti

Debora Ginocchio (studentessa, Università degli Studi di Genova), Elisa Bisagno (Assegnista di ricerca, Università di Modena e Reggio Emilia). Francesca Vitali (Università di Verona), e Sergio Morra (Università degli studi di Genova)

Finalità/Obiettivi. Utilizzando come riferimento teorico il modello IZOF (e.g., Hanin, 1978, 2000), questo studio si è proposto di indagare la predittività degli stati psico-bio-sociali sulle prestazioni di giovani tennisti agonisti. È stato ipotizzato che l’ammontare dello scarto nei punteggi degli stati psico- bio-sociali pre-gara da quelli rievocati ottimali e scadenti fosse predittivo della prestazione dell’atleta. Metodo. Alla ricerca hanno partecipato 9 tennisti e 3 tenniste (età 13-24 anni), di due società sportive genovesi. Sono stati raccolti anche dati relativi a: Esperienza agonistica dei partecipanti (anni di pratica di tennis); Classifica federale ed età dei partecipanti (variabili di controllo). Gli atleti hanno compilato il questionario IZOF per determinare le baseline di confronto ottimale e scadente. Dalla baseline è stato ricavato, per ogni atleta, un questionario personalizzato a 28 item (14 descrittori per la prestazione ottimale e 14 per quella scadente), da compilare prima di ogni partita disputata (annata tennistica aprile-ottobre 2019), indicando l’intensità con cui veniva sperimentato ogni stato. La prestazione è stata misurata come punteggio di ciascuna partita, pesata rispetto alla differenza tra ranking di partecipante e avversario e tenendo conto della differenza di games tra vincitore e perdente.

Risultati. Dalle analisi principali di regressione l’unica variabile predittiva della prestazione è l’esperienza (ß = .30, p < .05), mentre tutti i predittori IZOF risultano ns. Si è ipotizzato che la causa potesse essere un’insufficiente meta-consapevolezza (data dalla giovane età dei partecipanti e/o dalla quasi totale inesperienza nell’uso degli strumenti psicologici) per fornire una baseline adeguata attraverso la rievocazione. Sono state effettuate, quindi, analisi alternative, selezionando, tra i totali, i sei atleti che avessero una prestazione eccellente e una prestazione insoddisfacente tra quelle analizzate, che costituissero le baseline reali per la prestazione ottimale e scadente. Questo modello funziona meglio, poiché nell’analisi di correlazione la differenza tra la distanza dalla zona di funzionamento scadente e quella di funzionamento ottimale correla positivamente con la prestazione (r =.43, p <.01). Analizzando nel dettaglio i singoli partecipanti, i dati di 2 soggetti più esperti si adattano bene al modello: nel soggetto 1, si evidenzia una correlazione negativa tra prestazione e distanza dalla baseline ottimale elevata (r = -.79, p <.002); mentre nel soggetto 2 la prestazione correla negativamente con la distanza dalla baseline ottimale (r =-.53, p <0.47) e positivamente con quella dalla baseline scadente (r =.56, p <.038).

Discussione/Conclusioni. Un’ipotesi che spiega i risultati è il fatto che i giovani partecipanti non siano abituati a portare attenzione agli aspetti mentali e abbiano, quindi, ridotta consapevolezza dei propri stati psico-bio-sociali. Pertanto, è possibile che la modalità di rievocazione degli stati psico-bio-sociali si sia dimostrata un compito eccessivamente sfidante per loro. È possibile pensare a prospettive future in termini di perfezionamento del metodo di costruzione della baseline, basato non più sulla rievocazione, bensì su modalità più dirette e ancorate alla prestazione ottimale oggettiva. Qualora si volesse, invece, utilizzare nuovamente il metodo della rievocazione, si potrebbero sottoporre preliminarmente gli atleti ad un training di meta-consapevolezza rispetto ai propri stati psico-bio-sociali. Monitoraggio dei parametri della variabilità della frequenza cardiaca negli atleti: studio di elite di katà. Tognalini Federica, Bianchi Alice

L’obiettivo di questo studio di un caso è quello di monitorare l’andamento di alcuni parametri della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) in un atleta di 28 anni di alto livello di katà, specialità del karate, durante un percorso di preparazione mentale finalizzato alla qualificazione olimpica. Nello specifico, sono stati monitorati prima e durante la somministrazione di un protocollo di ‘Training HRV’, la frequenza cardiaca (HR) ed i parametri RMSSD e logHF della HRV. In letteratura tali parametri sono, infatti, correlati con un buono stato di equilibrio neurofisiologico e ritenuti rappresentativi anche in rilevazioni di intervalli di tempo ridotti (3\5 minuti). Lo RMSSD è un parametro della variabilità della frequenza cardiaca costituito dalla radice quadratica media delle successive differenze ed in letteratura si ritiene sia un buon indicatore del tono vagale, sia per la sua capacità di correlare efficacemente con le alte frequenze dell’HRV (HF) che per quella di essere scarsamente influenzato dalle variabili respiratorie (Laborde et al., 2017). La banda delle HF (high-frequency HRV) è il risultato di un’analisi del dominio delle frequenze della variabilità cardiaca che si rifà nello specifico ai dati compresi tra 0.15 e 0.40 Hz. Si ritiene che questo parametro esprima le variazioni nella HR in relazione al ciclo respiratorio e d in letteratura il logaritmo naturale di questa banda è ritenuto un indice valido del tono vagale (Task Force of the European Society of Cardiology and the North American Society of Pacing and Electrophysiology, 1996).

Le misurazioni sono state ottenute in un periodo di circa 34 settimane tramite un’applicazione commerciale (HRV elite) ed una fascia cardiaca (POLAR 10) per 3 minuti supino e 3 minuti in piedi al risveglio. I dati estratti sono stati successivamente elaborati con il software Kubios HRV Premium e l’azione di pulizia da eventuali artefatti è stata eseguita manualmente attraverso questo strumento. La raccolta è avvenuta ogni mattina per un periodo di 1 mese al fine di stabilire il funzionamento baseline dell’atleta e successivamente 3 volte a settimana per i successivi 7 mesi durate i quali l’atleta è stato sottoposto ad un protocollo di ‘Training HRV’ (2 volta al giorno per 5 ‘). Questo protocollo è stato sviluppato all’interno di un lavoro di Mental Training (MT) di stampo psicofisiologico, idiosincratico e multidimensionale mirato al miglioramento di strategie auto-regolatorie. L’attività di MT si è basata su una prima fase di assessment psicofisiologico attraverso l’individuazione della zona individuale di funzionamento ottimale (IZOF, Haninet al., 2007) e dei relativi core component (MAP MODEL, Robazza et al., 2011) dell’atleta. Si è dunque proseguito con l’individuazione di strategie finalizzate al raggiungimento di tali stati basate su tecniche di Imagery, su attività finalizzate alla regolazione dell’attenzione, sulla costruzione di una routine pre-performance e naturalmente, sul training HRV BFB.

In prima lettura si evidenzia una modificazione post-intervento dei parametri baseline HF e RMSSD nella direzione ipotizzata: riscontriamo, infatti, un abbassamento della frequenza cardiaca (HR), nella condizione sdraiato ma soprattutto in piedi ed al contempo, un aumento di entrambi i parametri relativi alla variabilità della frequenza cardiaca. Tale aumento della variabilità della frequenza cardiaca è associato, in letteratura, ad un aumento della capacità potenziale di adattamento della regolazione cardiaca da parte del sistema nervoso autonomo come risposta a stimoli sia psicologici che fisici ( Morgan et al., 2017).

I dati preliminari emersi in questo studio pilota costituiscono un incoraggiante punto di partenza per future ricerche che indaghino l’efficacia dei ‘Training HRV’ all’interno dei protocolli Mental Training tenendo in considerazione anche i fattori contestuali, in grado di impattare su questi parametri. sulle intenzioni di comportamento prosociale fuori dal campo in rugbiste e rugbisti Francesca Vitali, Elisa Bisagno, Gian Antonio Di Bernardo, Antonello Antonio Livrieri, Alessia Cadamuro, Loris Vezzali, Claudio Robazza

Obiettivi. Lo scopo dello studio era di esaminare gli effetti della coesione di squadra e dell’empatia disposizionale sul comportamento prosociale in campo (fairplay) e sulle intenzioni comportamentali prosociali fuori dal campo, ovvero nella vita quotidiana, in rugbiste e rugbisti. Nello specifico, sono state prese in considerazione due dimensioni della coesione di squadra (coesione sul sociale e coesione sul compito) e, in linea con la letteratura, abbiamo avanzato due ipotesi: la prima ipotesi era che la coesione sul sociale fosse associata positivamente all’empatia disposizionale; la seconda ipotesi era che la coesione sul compito fosse associata positivamente al fairplay in campo. In entrambi i casi (coesione sul sociale e coesione sul compito) ci si aspettava che la coesione di squadra fosse associata positivamente alle intenzioni di comportamento prosociale nella vita quotidiana.

Metodo. Grazie al supporto della Federazione Italiana Rugby, 497 giocatrici e giocatori di rugby (F = 25%; età media: 28.41 ± 11.33 anni) hanno preso parte a questo studio compilando un questionario online. Di questi, il 28% erano atleti di alto livello, il 58% giocavano in categorie di livello intermedio, i restanti erano amatori. I partecipanti hanno compilato le versioni italiane di Group Environment Questionnaire (GEQ; Carron et al., 1985; Andreaggi et al., 2000), Prosocial and Antisocial Behaviour in Sport Scale (PABSS; Kavussanu e Boardley, 2009), Interpersonal Reactivity Index (Albiero et al., 2006, sottoscala “empathic concern”) e Prosocialness Scale for Adults (PSA; Caprara et al., 2005 per valutare le “off-field prosocial behavioural intentions”).

Risultati. È stata condotta un’analisi di mediazione inserendo coesione sul compito e coesione sul sociale come variabili indipendenti, fairplay ed empatia come mediatori e intenzioni di comportamento prosociale nella vita quotidiana come variabile dipendente. In linea con le ipotesi, la coesione sul sociale si è rivelata indirettamente associata con intenzioni di comportamento prosociale fuori dal campo attraverso l’effetto dell’empatia (B = .06, SE = .03, 95% CI = .002, .122), ma non attraverso il fairplay (B = .01, SE = .01, 95% CI = -.015, .038). Sempre in linea con le ipotesi, la coesione sul compito ha dimostrato un’influenza indiretta su intenzioni di comportamento prosociale fuori dal campo attraverso l’effetto del fairplay (B = .08, SE = .02, 95% CI = .049, .127). In modo inaspettato, la coesione sul compito si è rivelata associata indirettamente con le intenzioni di comportamento prosociale nella vita quotidiana attraverso l’empatia (B = .09, SE = .03, 95% CI = .044, .146). Il genere e il livello di abilità sportiva non hanno moderato gli effetti.

Discussione. Dai risultati è emersa un’associazione positiva fra fairplay e coesione sia sul sociale che sul compito. Di conseguenza, si è osservato come entrambi i mediatori (fairplay ed empatia) fossero associati positivamente con la variabile dipendente (intenzioni di comportamento prosociale nella vita quotidiana). Questi risultati sostengono l’assunto che incoraggiare nei giocatori il fairplay in campo possa migliorare anche il loro comportamento prosociale nella vita quotidiana. Il ruolo delle componenti psicologiche nel misure restrittive del Covid-19

Irene Leo, Enrico Rubaltelli, Marta Caserotti

La pandemia COVID-19 ha portato gravi minacce al benessere psicologico in tutto il mondo. Le misure di restrizione e di contenimento, con le relative limitazioni per la pratica delle attività fisiche e sportive hanno avuto molteplici effetti sul comportamento abitudinario delle persone e di conseguenza sul benessere psicofisico (di Fronso et al., 2020).

Lo scopo del presente studio esplorativo è quello di indagare alcune componenti psicologiche coinvolte nella pratica di attività fisica durante due periodi di misure restrittive nazionali per il COVID-19: blocco totale (BT; Marzo-Aprile2020) e blocco semi totale (BST; Dicembre2020-Gennaio2021). A tal fine è stato costruito un questionario online composto da: informazioni demografiche personali (genere, età),informazioni su abitudini comportamentali (alimentazione, attività fisica, consumo di alcolici, comportamenti tabagici),test standardizzati per misurare motivazione (schedaCBA-Sport; Spoto, 2018), intelligenza emotiva di tratto (TEIQue SF; Di Fabio e Palazzeschi, 2011), ansia di stato e di tratto (STAI-Y; Pedrabissi e Santinello, 1989). Il campione dati raccolto durante BT è di 256 adulti (71% femmine, Metà=31.8 ± 11.1 anni) mentre nella seconda raccolta, durante BST è di 420 adulti (70% femmine, Metà=30.6 ± 13.9 anni). La composizione dei due campioni non differisce in modo significativo in termini di età (p=.25) o genere (p=.80). La maggioranza delle persone ha riportato di fare attività fisica individuale, con una prevalenza di questo tipo di allenamento durante il BT (81.50%) rispetto al BST (66.80%).

Dalle analisi statistiche emergono differenze nella pratica della attività fisica tra le due raccolte dati (test chi-quadrato: MBT=.76-MBST=.63, X2=14.83 p<.001), nella frequenza degli allenamenti (t-test: MBT=4.93-MBST=4.24, t=3.90, p<.001) e nella durata media delle sedute di allenamento (t-test: MBT=1.65-MBST=2.13, t=-6.93 p<.001). Per valutare il ruolo delle dimensioni di personalità sono state condotte delle regressioni logistiche e regressioni lineari: l’attività fisica, l’unica differenza è dovuta al periodo della raccolta dati, la differenza tra BT e BST è moderata dalla motivazione nel caso della frequenza degli allenamenti (B=.59,SE=.06, p=.04); la durata degli allenamenti, invece, oltre alla differenza BT-BST (B=.43,SE=.28, p=.04), sono emersi gli effetti della motivazione (B=.31,SE=.06, p<.001) e dell’età (B=.008,SE=.003, p<.01); la dieta, persone con bassa intelligenza emotiva hanno riportato di mangiare più del solito (B=-.37,SE=.16, p=.02), mentre in generale le persone riportano di aver mangiato più del solito durante il BT rispetto al BST (B=-1.02,SE=.24, p<.001); il consumo di alcolici, l’effetto della motivazione sull’assunzione di acolici è moderato dall’intelligenza emotiva (B=- .27,SE=.11, p=.01), mentre non si riscontrano effetti del periodo in cui sono stati raccolti i dati. Una differenza tra BT e BST si riscontra invece in relazione alla quantità di alcolici consumati (maggiore nel BST;B=.58,SE=.28, p=.04); questa differenza è inoltre moderata dall’intelligenza emotiva (B=-.11,SE=.06, p=.04). Risultati opposti sono stati trovati in relazione al fumo di sigaretta (differenza tra BT-BST:B=- .59,SE=.22,p=.01;moderazione dell’intelligenza emotiva: B=.11,SE=.04,p=.01).

Complessivamente, i risultati sembrano suggerire che la pratica dell’attività fisica abbia risentito del diverso grado di restrizioni imposte durante i due periodi della pandemia presi in esame (BT-BST). La motivazione e l’intelligenza emotiva hanno contribuito a modulare: -quanto spesso e quanto a lungo le persone praticavano attività fisica e -altri comportamenti legati al benessere individuale. sport durante la pandemia da Covid 19

Manuela Cantoia, Maria Chiara Crippa, Michela Guzzetti & Caterina Simoncelli

Finalità. Lo studio intende valutare gli effetti della Pandemia da Covid-19 sugli atleti, in termini di vissuti, orientamento motivazionale, resilienza e stress percepito. Metodo. Lo studio ha coinvolto 84 atleti professionisti (Maschi = 47.6%; Femmine = 52.4%; M=24 anni SD=4.184) di diverse discipline sportive, con oltre 10 anni di esperienza e almeno una convocazione nella squadra nazionale italiana negli ultimi due anni. Sono stati somministrati quattro questionari in modalità online: domande ad hoc sul vissuto soggettivo dell’esperienza pandemica, la Scala ridotta dello Stress Percepito (PSS; Cohen, Kamarck & Mermelstein, 1983; Fossati, 2010); il questionario sull’Orientamento Motivazionale (TEOSQ-Sport; Bortoli & Robazza, 2005); la Resilience Scale (RS14; Callegari et al., 2016).

Risultati. Nel complesso, gli atleti risultano avere livelli medi di resilienza e stress percepito e un orientamento motivazionale più orientato al compito che all’Io. Le atlete hanno livelli di stress percepito maggiori (t82=-2.095 p<.05). La percezione di un cambiamento personale dovuto al Covid-19 impatta sulla percezione degli effetti sull’allenamento (t82=2.000 p<.05), i pensieri di abbandono dell’agonismo (t81,945=2.103 p<.05) e i livelli di stress percepito (t82=3.452 p<.001). Gli atleti che hanno fatto una quarantena hanno livelli minori di orientamento al Compito (t82=-2.012 p<.05) e hanno risentito maggiormente l’impatto della pandemia sull’allenamento, mentre per gli altri atleti il maggior sacrificio è stato la mancanza delle competizioni (X2 52;4= 13.039 p<.05). L’analisi di regressione lineare indica che lo stress percepito è predetto dalla valutazione dell’impatto sull’allenamento e da bassi livelli di resilienza e orientamento all’Io (R2change=.269 F=8.654 p<.001). Specificamente, negli atleti uomini le variabili di predizione sono impatto sull’allenamento e l’orientamento all’Io (R2change=.235 F=3.998 p<.01), mentre nelle donne è la bassa resilienza (R2change=.303 F=5,664 p=.001). La resilienza è invece predetta dall’orientamento al Compito, bassi livelli di stress e secondariamente da un basso orientamento all’Io (R2change=.303 F=13.038 p<.001).

Discussione. La mancanza di allenamento e la quarantena non hanno avuto un impatto diretto sui livelli di resilienza degli atleti, bensì sul loro orientamento motivazionale che risulta essere fattore predittivo della resilienza. In modo simile, anche nel caso dello stress percepito non emerge un impatto diretto del periodo di pandemia, ma si delineano fattori di predizione diversi a seconda del genere degli atleti: per gli uomini lo stress è predetto dai cambiamenti percepiti nelle routine di allenamento e dal basso orientamento all’Io, mentre nelle donne da bassi livelli di resilienza.

I risultati sembrerebbero indicare che l’orientamento al compito e all’io siano fattori protettivi primari nella situazione pandemica, mentre resilienza e allenamento sarebbero fattori protettivi indiretti. Alla luce dei risultati emersi e delle tipologie di cambiamento personale percepito dagli atleti durante il periodo di pandemia, vengono discusse alcune linee di intervento per un supporto psicologico negli atleti di alto livello. Il ruolo dei fattori di personalità nella moderazione della reazione allo stress durante la performance. Marianna Bottiglieri, Emily J. Oliver, Martin Roderick

Obiettivi: Lo studio è finalizzato ad analizzare l’interazione tra fattori situazionali e personali che determinano la percezione e il mantenimento dello stress durante la performance. La costruzione di un modello trans-teorico è proposta, integrando tre cornici teoriche ampiamente validate: Basic Psychological Needs Theory (Deci e Ryan, 2002), modello biopsicosociale di “sfida” e “minaccia” (challenge and threat states, Blascovich, 2008) e il modello Big Five di personalità (McCrae e John, 1992). L’ipotesi di ricerca è che fattori di personalità modererebbero l’effetto della frustrazione dei bisogni psicologici di base (autonomia, competenza e relazionalità) sulla conseguente percezione di stress come sfida o minaccia durante una performance.

Metodi: Un gruppo di studenti (N=56) dell’Università di Durham, ha compilato un questionario di personalità e tenuto una presentazione accademica in laboratorio in presenza di un’assistente accademica (la sperimentatrice). Le istruzioni del compito, le parole e i comportamenti dell’assistente, sono stati manipolati per indurre la frustrazione dei bisogni psicologici di base (es. distacco personale, feedback negativo). Durante l’esperimento, indici di attività cardiaca (es. frequenza cardiaca, volume di eiezione, pressione arteriosa media) sono stati monitorati durante la presentazione e in due baseline pre e post-compito, utilizzando un dispositivo di impedenza cardiografica (VU-AMS, Vrije Universiteit Amsterdam) e un monitor per la pressione. Inoltre, self-report riguardanti la percezione di frustrazione dei bisogni e gli indici cognitivi di sfida e minaccia sono stati somministrati durante l’esperimento. In fase di analisi gli indici fisiologici di sfida e minaccia sono stati calcolati e derivati dalla variazione dell’attività cardiaca tra baseline e presentazione.

Risultati: Analisi della regressione sono state condotte in SPSS, testando un modello di moderazione in cui la personalità accrescerebbe o attenuerebbe l’effetto della percezione di frustrazione sugli indici di sfida e minaccia. I risultati hanno confermato l’ipotesi principale del modello per alcune variabili. Ad esempio, l’estroversione modererebbe l’effetto della frustrazione di bisogni specifici sugli indici di minaccia: frustrazione di competenza e relazionalità provocherebbero un aumento degli indici associati allo stato di minaccia, ma in presenza di alti livelli di estroversione, l’effetto risulterebbe invertito (p<.05). Un effetto speculare è stato ottenuto per gli indici di sfida: la frustrazione del bisogno di competenza ne ha predetto una significativa diminuzione, relazione che si è invertita al crescere dell’estroversione (p<.05).

Discussione: I risultati gettano luce sul meccanismo con cui i fattori di personalità influenzano la percezione dello stress in situazioni di pressione. Nel caso specifico, l’estroversione potrebbe influenzare positivamente la valenza di stressor che minano alla competenza o al bisogno di relazione. Successivi sviluppi della ricerca saranno mirati ad indagare le esperienze di stress e conseguenti strategie di coping in performances ecologicamente più valide, come quelle atletiche. Il modello teorico testato potrebbe avere importanti implicazioni sulla targetizzazione delle dinamiche d’intervento psicologico, includendo la personalità come fattore protettivo o di vulnerabilità in contesti specifici. Changing attitudes related to doping in sport: Elaboration and validation processes

Javier Horcajo y Rafael Mateos

General introduction: Attitudes are among the most reliable psychological determinants of doping intentions and behaviors (e.g., Ntoumanis, NG, Barkoukis & Backhouse, 2014, for a review). Targeting attitudes can be an effective strategy for inducing changes in actual doping-related behaviors (e.g., see Backhouse, et al. 2016; Ntoumanis, et al., 2014; for reviews). The influence of primary (e.g., elaboration) and secondary (e.g., validation) cognition processes in changing athletes’ attitudes towards doping has been recently studied.

Review purposes: Primary cognition refers to the content (e.g., “Banned performance- enhancing substances are unhealthy”) of the thoughts generated, and research has found that it can have an influence on doping-related attitude change (e.g., Horcajo et al., 2020; see also, Horcajo & Luttrell, 2016). On the other hand, individuals can also generate additional thoughts by reflecting on their primary thought (or their thought processes) in a meta-cognitive manner (e.g., “I am certain that banned performance- enhancing substances are unhealthy”), and this is what is called “secondary cognition” or meta-cognition (see, e.g., Petty et al., 2017). A recent study analyzed the effects of a meta-cognitive process (i.e., thought validation) on attitude change related to doping.

Method: Firstly, to explore the effects of primary cognition processes, studies conducted by Horcajo and colleagues either manipulated (e.g., varying the personal relevance and responsibility) or measured (e.g., assessing the individuals’ need for cognition) the extent of elaboration (i.e., the amount of thinking). Secondly, in order to study the influence of secondary cognition, participants were randomly assigned to read a message either against or in favor of legalizing several doping behaviors and listed their thoughts regarding the proposal. Finally, they indicated the perceived validity in their thoughts (i.e., meta-cognition) and then reported their attitudes.

Results: Primary cognition studies found that when doping-related attitudes changed through relatively thoughtful processes (i.e., high elaboration), this led to greater attitude certainty, persistence, resistance to change, as well as greater relationship between attitudes and intentions, than when attitudes changed through relatively non- thoughtful processes (i.e., low elaboration; see Horcajo & De la Vega, 2014, 2016; Horcajo et al., 2019; Horcajo & Luttrell, 2016). On the other hand, consistent with the meta-cognitive thought validation process, results revealed that thought favorability was a better predictor of attitudes for participants with higher (vs. lower) perceived thought validity. Thus, thoughts alone are not sufficient for predicting subsequent attitudes. Rather, people must also rely on their thoughts (because they think that their thoughts are valid).

General discussion: These findings demonstrate that attitude change in the context of doping can occur via a process of primary cognition (i.e., the amount of elaboration), but also through a process of secondary cognition, or meta-cognition (i.e., thought validation). In conclusion, this research has shown that both thought dimensions (i.e., primary and secondary) are relevant factors deserving of consideration when attempting to describe, explain, and predict doping-related attitude change. The relevance of studying both primary and secondary cognition processes in the change of attitudes related to doping is demonstrated and should be considered in the future to implement effective doping prevention programs in sports. Un approccio multidimensionale come strumento di lavoro nella didattica natatoria per persone con disabilità cognitiva e fisica Anna Barlassina, Chiara Mazzuccato, Riccardo Pennati

Finalità/Obiettivi: Presentazione di un progetto finalizzato al benessere psicofisico e all’apprendimento del nuoto di persone con disabilità cognitiva e motoria. Il progetto prevede strategie di lavoro multidimensionali che operano su più aree in maniera sinergica e integrata: cognitivo-relazionale, comunicativa e didattico-sportiva. Gli obiettivi sono legati ad una progressione ludico-funzionale: dal primo contatto con l’acqua al mantenimento del gesto tecnico e neuromotorio per soggetti già acquatici.

Metodo: l'offerta formativa è strutturata in una serie di step dove il passaggio al livello successivo prevede sia progressi nella tecnica natatoria (dall’ambientamento sino alle nuotate nei 4 stili), sia in quelli relativi al grado di autonomia, benessere psico-fisico e padronanza nell'ambiente acquatico raggiunta dalla persona. Principio chiave è l’abilitazione funzionale del soggetto in un contesto che tenga conto della dimensione emotivo-affettivo-relazionale. L’acqua funge un ruolo di mediatore/facilitatore nel superare i limiti sia fisici che psichici, in quanto avvolge il corpo, lo sostiene, lo modella, lo massaggia come l’aria non può fare. Creando una resistenza al movimento ed al gesto, l’acqua permette alla persona di agire su schemi che percepisce fuori da ogni possibile automatismo, consentendo una globalità di sensazioni ed emozioni, stimolando concetti topologici e di contrasto; il tempo è scandito da passaggi ritualizzati, la percezione di sé, quindi, deve basarsi anche su aggiustamenti spazio-temporali. L’acqua favorisce un’esperienza globale di vissuti corporei, emotivi e di integrazione sociale, scanditi da momenti di successo, con l’incremento della fiducia in sé e dell’autostima. La psicomotricità in acqua, attraverso graduali sequenze di gioco, è strumento per poter conseguire il raggiungimento di alcune tappe evolutive (esplorazione, coscienza, rappresentazione) che si sostengono e si condizionano vicendevolmente, indispensabili alla costruzione dell’io corporeo. Accanto a questi aspetti, vengono perseguiti anche quelli relazionali, con la persona come individuo singolo ma anche parte di un gruppo, nell'interazione con i tecnici e con l’ambiente circostante. Il rapporto con tecnici e compagni di corso viene considerato sin dall’inizio del percorso didattico, con lo svolgimento di più lezioni individuali in contemporanea e sfruttando lo stesso spazio corsia. L'obiettivo è quello di fornire al soggetto stimoli legati alla presenza dell’altro nello stesso spazio, con la proposta di esercitazioni comuni dove, oltre all'aspetto tecnico, viene introdotto anche quello relativo alle regole di gruppo. Lo scopo è quello di far coincidere i vari percorsi personalizzati strutturando “lezioni individuali di gruppo” per giungere ai corsi collettivi come quelli con normodotati. Ciò che cambia sarà il rapporto tecnico-atleti che all’alzarsi sia del livello tecnico che di quello relazionale/cognitivo tenderà ad aumentare (da 1/2 a 1/molti).

Risultati: Il progetto ha evidenziato cambiamenti continui nel tempo e calibrati a seconda di ciascuna persona, al’interno di un ambiente favorevole al benessere psico-fisico. Sono risultati che spaziano dall’acquisizione dell’autonomia in acqua sino alla pratica agonistico/paraolimpica, passando attraverso la possibilità di lavorare in gruppo con altre persone.

Conclusioni: questo modo di operare ci ha consentito di poter dare a ciascuno un’esperienza a livello acquatico completa e positiva, ma anche di raggiungere un’armoniosa e strutturata organizzazione dei corsi di gruppo. Miglioriamo lo stile di vita dei bambini dei bambini umbri: un progetto di prevenzione per bambini di sei anni Roberto Pippi, Livia Buratta, Carmine Fanelli, Claudia Mazzeschi.

Finalità/Obiettivi La recente letteratura ha dimostrato come negli ultimi anni i bambini abbiano la tendenza ad impegnare più tempo in comportamenti sedentari e minor tempo nella pratica di attività fisica. Tali comportamenti sono associati a una serie di patologie non trasmissibili (cardiovascolari, metaboliche e mentali) e a un aumento del rischio di mortalità. L’OMS per supplire a questo calo di partecipazione ad attività fisiche da parte dei bambini suggerisce lo sviluppo di interventi specifici per i bambini che prevedano il coinvolgimento delle comunità in cui essi trascorrono la maggior parte del loro tempo (es. scuola e famiglia)

L’obiettivo di questo studio è quello di valutare possibili cambianti indotti da un intervento school-based di tipo lifestyle rivolto ai bambini iscritti alle classi di prima elementare del territorio umbro e ai loro genitori, la cui finalità era intervenire su alcuni fattori di rischio associati a sovrappeso/obesità (con particolare attenzione all’;attività fisica, alle abitudini alimentari e al benessere psicofisico), attraverso la promozione curriculare dell’educazione motoria a scuola (2 ore di attività fisica alla settimana), favorendo lo stato di salute e benessere generale.

Metodo Il seguente studio longitudinale ha coinvolto 4674 bambini umbri di prima elementare e loro genitori che hanno preso parte al progetto “Miglioriamo lo stile di vita dei bambini dei bambini umbri” durante l’anno scolastico 2015/2016. Dei 4674 bambini sono stati analizzati i dati di 2609 bambini che avevano partecipato a tutte le valutazioni sia nella fase di baseline che che nella fase di follow-up a fine intervento. Tutti i bambini sono stati sottoposti a valutazioni attraverso l’utilizzo di strumenti oggettivi e questionari self-report validati e standardizzati per la misurazione di variabili antropometriche (BMI e WHtR), performance fisiche (velocità, forza e flessibilità), livelli di attività motoria svolta (PAQ-C) e benessere percepito (Kiddy-KINDL). Risultati L’Analisi della Varianza a Misure Ripetute ha evidenziato alla fine dell’intervento una diminuzione significativa dell’indice WHtRe del rischio cardiovascolare ad esso associato, un incremento di tutte le capacità motorie valutate (velocità, forza degli arti inferiori e flessibilità = p≤.01), un aumento significativo dei livelli di attività svolta settimanalmente (PAQ-C = p≤.01) e un incremento del benessere percepito in particolare del benessere emotivo della soddisfazione nei rapporti con i pari e della soddisfazione scolastica (p≤.01).

Discussione/Conclusioni: Il progetto Miglioriamo lo stile di vita dei bambini umbri, sembra aver permesso l’incremento dei livelli di attività fisica dei bambini ed un miglioramento del benessere percepito, confermando l’importanza di agire sin dall’infanzia attuando interventi di comunità (es. interventi school-based) per la promozione di una cultura ai sani stili di vita ed una prevenzione nello sviluppo di conseguenti patologie non trasmissibili come l’obesità ed il rischio cardiovascolare ad essa associato. Anticipare o non anticipare, questo è il problema. Studio dei correlati neurali durante

Sergio Costa, Pierpaolo Croce, Maurizio Bertollo e Filippo Zappasodi

In sport di precisione e velocità come il tennis l’anticipazione visiva e motoria riveste un ruolo fondamentale per una buona prestazione, sia nella identificazione degli stimoli che nella selezione della risposta.

Attraverso questo science slam cercherò di presentare sul campo da tennis i processi cognitivi e corticali sottostanti l'anticipazione visiva in giocatori di tennis, per comprendere: a) l’influenza del livello di expertise su accuratezza e tempi di risposta (e i rispettivi Event Related Potential - ERP); b) gli effetti della modalità di presentazione dello stimolo (2D o 3D), sulla anticipazione e sulle dinamiche cerebrali.

Allo studio hanno partecipato 37 tennisti (19 esperti e 17 poco esperti, in base alla classifica italiana), i quali dovevano rispondere a stimoli che prevedevano occlusioni spaziali, cioè fermi immagini durante il contatto pallina-racchetta senza alcune parti (no pallina, no gambe, no braccio-racchetta, no busto e nessuna occlusione), e occlusioni temporali, cioè video interrotti in diversi tempi rispetto al contatto pallina-racchetta (-320ms, -240ms, -160 ms, -80ms, contatto e +80ms).

Ai soggetti sono stati presentati una serie di video o immagini, in base all’occlusione, in modalità 2D e 3D, che mostravano un atleta palleggiare di diritto o rovescio da fondocampo. I partecipanti dovevano quindi rispondere scegliendo in quale zona del campo sarebbe finito il colpo (corta-lunga, destra- sinistra), premendo il corrisponde pulsante sulla tastiera. Simultaneamente veniva valutata l’attività corticale tramite EEG ad alta intensità (128 canali).

L’analisi dei dati comportamentali ha mostrato una accuratezza più bassa in assenza del tronco e della pallina e più alta nelle risposte dove l’occlusione temporale era minore e la pallina più vicina al contatto con la racchetta, con differenze tra esperti e meno esperti, non evidenziando tuttavia differenze significative rispetto alla modalità (2D e 3D).

Per quanto riguarda gli ERP è stata trovata, nell’occlusione del tronco rispetto alla no occlusion, una positività bilaterale occipito-parietale (P1) e una negatività fronto-polare mediale (pN1), nell'intervallo tra 80 e 110 ms; una componente negativa nella regione occipito-temporale (N1), più pronunciata nell'emisfero destro, e una positività mediale fronto-centrale (pP1) nell'intervallo tra 110 e 160 ms. Inoltre, è stata rilevata un'attività centro-parietale positiva mediale nell'intervallo di tempo tra 160 e 280 ms (P2 anteriore), nonchè una componente positiva nelle aree parieto-occipitali (P2 visiva) e nell'area parietale mediale (P3). Inoltre i tennisti esperti hanno mostrato un’ampiezza maggiore nella P3 rispetto ai meno esperti nelle aree parieto-centrali mediali e una più alta pN2-pN3 nelle regioni fronto-polari. Durante le occlusioni temporali, invece, non sono state rilevate diversità prima di 700 ms, osservando le prime differenze nei tempi vicino al contatto con la pallina, in particolar modo nelle aree parietali e centrali (motorie). Inoltre, nel momento della risposta motoria si è osservata, per ogni occlusione, una prima positività centro-frontale, seguita da una positività centro-parietale, in particolar modo intorno ai canali Fz e a Pz.

La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo di paradigmi ecologici che permettano di comprendere al meglio l’anticipazione visiva, e i correlati neurali sottostanti,dei tennisti. Le convinzioni di efficacia e le percezioni di stress negli arbitri italiani

Sergio Costa, Giampaolo Santi e Vanessa Costa

La figura dell’arbitro o giudice di gara risulta fondamentale all’interno degli eventi sportivi , ma la sua prestazione cambia in base alla tipologia di gioco, non risultando legata esclusivamente ad aspetti tecnici o atletici, ma anche a qualità personali come la buona comunicazione, la capacità di giudizio, la motivazione e la fiducia in se stessi. Queste capacità possono essere influenzate da numerosi fattori psicologici, tra cui le convinzioni di efficacia personale, ovvero la fiducia che l’arbitro ha nelle proprie capacità in specifiche situazioni, e le percezioni delle situazioni stressanti, che possono suscitare reazioni soggettive di ansia, tensione e perdita di concentrazione.

Pertanto, abbiamo realizzato un questionario online e deciso di approfondire le convinzioni di efficacia negli arbitri, verificando che tipo di relazione avessero con le differenti fonti di stress arbitrali. Confermando altresì la validità delle scale utilizzate: - la Referee Self-Efficacy Scale (Myers et al. 2012), nella versione italiana di Diotaiuti e colleghi (2020), per le convinzioni di efficacia; - il Questionario di Stress per gli Arbitri (Bortoli e Robazza, 2001), tradotto e modificato dallo Sports Officials Stress Survey (Goldsmith e Williams, 1992).

Abbiamo coinvolto 1079 arbitri (m = 832; f = 247) provenienti da tutta Italia e da diverse discipline sportive (Baseball = 216; Basket = 101; Calcio = 104; Ciclismo = 14; Golf = 41; Pallavolo = 444; Tennis = 159). Gli arbitri coinvolti variavano in età da 14 a 80 anni (età media = 39,64 anni; DS = 14,85) e in anni di esperienza da 1 a 50 anni (esperienza media = 10,66 anni; DS = 9,34). In base all’esperienza, gli arbitri sono stati classificati in tre fasce: 1-6 anni; 7-15 anni e 16 anni e oltre.

Due MANOVA 7x3 (sport X fascia d’esperienza) sono state calcolate per osservare le differenze in termini di convinzioni di efficacia e di fonti di stress. Inoltre, sono state osservate le correlazioni fra di loro.

Dalla prima MANOVA sulle convinzioni di efficacia, sono emerse differenze significative fra sport in termini di convinzione nella propria comunicazione. Differenze significative sono anche emerse in base alla fascia di esperienza, con gli arbitri più esperti che hanno mostrato maggiore convinzione nelle proprie capacità decisionali, nella gestione della pressione e nella comunicazione.

La MANOVA sulle fonti di stress ha dimostrato differenze fra sport per quanto riguarda tutte le fonti di stress (timore di aggressione fisica, paura di sbagliare, situazioni di tensione, inconvenienti di ruolo, conflitto di impegni e mancato riconoscimento). Non sono emerse, invece, differenze significative sulla base della fascia di esperienza. Infine, deboli ma significative correlazioni sono emerse fra le convinzioni di efficacia e le fonti di stress. In particolare, al crescere delle convinzioni di efficacia si può osservare una riduzione di alcune o di tutte le fonti stress.

Questi risultati potrebbero aiutare a spiegare gli alti tassi di abbandono tra gli arbitri. Per questo motivo gli psicologi dello sport dovrebbero prestare maggiore attenzione al lavoro arbitrale, sviluppando metodi di allenamento efficaci, nonché sistemi di supporto e aiuto per sostenerli al meglio. Disturbo di Dismorfismo Muscolare e caratteristiche psicologiche associate nel genere femminile: un confronto tra atlete praticanti bodybuilding e power- lifting e donne fisicamente attive Silvia Cerea Finalità/Obiettivi: Il disturbo di Dismorfismo Muscolare (DM) è un disturbo psicologico caratterizzato dalla preoccupazione circa il fatto che la propria costituzione corporea sia troppo esile e/o non abbastanza muscolosa (Pope et al., 1997); tuttavia, gli individui con DM presentano una costituzione corporea nella norma e, talvolta, sono molto più muscolosi della media delle persone. Il DM è stato ampiamente indagato nel genere maschile, mentre pochi studi si sono concentrati sull’indagine di questo disturbo nel genere femminile. Tuttavia, recentemente, un nuovo ideale corporeo femminile è emerso, prendendo il posto dell’ideale corporeo di magrezza: un corpo femminile atletico e caratterizzato da muscoli ben definiti (Gruber, 2007). L’enfasi sulla muscolosità del corpo femminile rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di sintomi tipici del DM nel genere femminile, rendendo cruciale l’indagine di questo disturbo anche nelle donne (dos Santos Filho et al., 2016). In accordo, l’obiettivo del presente studio è l’indagine dei sintomi tipici del DM e delle caratteristiche psicologiche (autostima) e psicopatologiche (ansia sociale, ortoressia nervosa e distress generale) associate nel genere femminile.

Metodo: Due gruppi di donne hanno preso parte alla ricerca: atlete praticanti bodybuilding e power-lifting a livello amatoriale (n = 165) e donne fisicamente attive (n = 353). Le atlete hanno dichiarato di praticare bodybuilding e power-lifting a livello amatoriale in media da 29,69 mesi (DS = 24,06; range: 1-168 mesi) e di allenarsi in media 3,89 (DS = 1,12; range: 1-7) volte a settimana. Le donne fisicamente attive hanno dichiarato di praticare attività fisica in media da 35,93 mesi (DS = 57,02; range: 1-420 mesi) e di allenarsi in media 4,30 (DS = 1,89; range: 1-7) volte a settimana. Le partecipanti alla ricerca sono state reclutate online e, dopo aver fornito il consenso informato alla ricerca, hanno compilato una batteria di questionari self-report in formato online volti all’indagine della sintomatologia tipica del DM (Muscle Dysmorphic Disorder Inventory: MDDI; Santarnecchi & Dettore, 2012), autostima (Rosenberg Self-Esteem Scale: RSES; Prezza et al., 1997), sintomatologia di ansia sociale (Social Phobia Scale: SPS; Sica et al., 2007), comportamenti ortoressici (ORTO-15; Donini et al., 2005) e distress generale (Depression Anxiety Stress Scale-21: DASS-21; Bottesi et al., 2015).

Risultati: I risultati emersi mostrano una prevalenza del DM pari al 9,7% nelle atlete praticanti bodybuilding e power-lifting (n = 16) e pari al 3,12% nelle donne fisicamente attive (n = 11). Per quanto concerne, invece, la sintomatologia tipica del DM, il gruppo delle atlete praticanti bodybuilding e power-lifting ha riportato maggiore presenza di pensieri relativi all’essere di corporatura troppo esile e/o non abbastanza muscolosa (p < 0,001), maggiore compromissione nel funzionamento derivante dal rigido regime di allenamento (p < 0,001) e maggiore sintomatologia tipica del DM (p < 0,001) rispetto alle donne fisicamente attive. Per quanto concerne, infine, le caratteristiche associate al DM, le atlete praticanti bodybuilding e power- lifting hanno riportato maggiori comportamenti ortoressici (p < 0,001) rispetto alle donne fisicamente attive.

Discussione/Conclusioni: Il DM non è un disturbo psicologico raro nel genere femminile e non caratterizza esclusivamente le atlete che praticano attività sportiva volta a ottenere un fisico atletico, scolpito e muscoloso (ad esempio, bodybuilding e power-lifting). Tuttavia, le atlete che praticano queste discipline sportive presentano maggiore prevalenza del disturbo, maggiore sintomatologia tipica del disturbo e maggiori comportamenti ortoressici rispetto alle donne fisicamente attive. Di conseguenza, la partecipazione a queste discipline sportive potrebbe rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di questo disturbo nel genere femminile. In termini di prospettive future sarebbe interessante suddividere il campione della presente ricerca in diversi sottogruppi e condurre analisi statistiche specifiche. Le abilità di locomozione e controllo degli oggetti nei bambini della scuola primaria: risultati di un intervento didattico interdisciplinare. Simona Nicolosi, Carla Greco, Adriano Ancona

Finalità/Obiettivi. L’educazione fisica interdisciplinare consiste nella combinazione di obiettivi e contenuti dell’educazione fisica, intesa come disciplina scolastica, con quelli di un’altra materia in una nuova attività integrata (Cone et al., 2009). L’apprendimento interdisciplinare potenzia e arricchisce ciò che gli studenti imparano: diversi studi sulla didattica integrata con l’educazione fisica hanno dimostrato il miglioramento in matematica, lingue, musica, arte e geografia, oltre a sostenere i benefici nelle abilità sociali e nella motivazione ad apprendere (per una rassegna, Nicolosi et al., 2016). Tuttavia, pochi studi hanno effettivamente osservato i risultati nelle competenze apprese in educazione fisica o di specifiche abilità grosso-motorie. L’obiettivo dello studio è stato quello di realizzare un intervento didattico che ha integrato l’educazione fisica nel curriculum della scuola primaria, valutando gli effetti nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti e nelle abilità fisiche percepite. Sono state verificate le differenze nelle stesse variabili con un gruppo di bambini che ha seguito la prevista programmazione di educazione fisica, e le differenze di genere nelle variabili misurate.

Metodo. Hanno partecipato al progetto 76 bambini (m=40; f=36) di due scuole primarie, di età compresa tra i 7 e i 9 anni (M=8.40; DS=0.30) suddivisi in due gruppi: sperimentale (n=37) e di controllo (n=39). Il gruppo sperimentale ha partecipato al programma di educazione fisica (1 ora a settimana) e ad un programma interdisciplinare (1 ora a settimana), condotti dal tutor sportivo scolastico. Il gruppo di controllo ha partecipato al programma di educazione fisica, condotto dallo stesso tutor sportivo, per due ore la settimana. Entrambi i programmi didattici, regolare e combinato, sono stati realizzati nell’arco del secondo quadrimestre. Le attività didattiche interdisciplinari sono state co-progettate dalle docenti curriculari e dal tutor sportivo. I docenti curriculari hanno svolto la parte disciplinare in classe, il tutor sportivo ha realizzato la parte relativa all’educazione fisica (disciplinare e integrata) in palestra. All’inizio e alla fine degli interventi didattici, sono stati somministrati: il test delle abilità grosso-motorie (TGM, Ulrich, 1992) e la scala di percezione delle abilità fisiche del Self-Description Questionnaire for Children (QDS, Camodeca et al., 2010).

Risultati. I risultati dell’ANOVA per misure ripetute hanno mostrato differenze statisticamente significative tra i gruppi sperimentale e di controllo, nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti (TGM), con un’interazione significativa tra tempo e intervento. I bambini del gruppo sperimentale hanno avuto miglioramenti significativamente più alti rispetto ai bambini del gruppo di controllo, nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti. Non sono state riscontrate differenze significative nella percezione delle abilità fisiche. Considerate le differenze tra bambini e bambine emerse dai confronti con l’ANOVA, le variabili sono state analizzate separando i gruppi in base al genere. Per quanto riguarda le abilità di locomozione, l’indice d di Cohen ha rivelato effetti elevati dei bambini di entrambi i gruppi, nelle bambine invece è stato possibile osservare effetti elevati nel gruppo sperimentale ed effetti piccoli nel gruppo di controllo. Nelle abilità di controllo degli oggetti sono stati osservati effetti elevati nelle bambine e nei bambini del gruppo sperimentale, rispetto ad effetti moderati in entrambi i generi del gruppo di controllo.

Conclusioni. L’ipotesi iniziale può essere parzialmente accettata: il programma interdisciplinare ha avuto effetti maggiori nelle abilità di locomozione delle bambine del gruppo sperimentale e nelle abilità di controllo degli oggetti delle bambine e dei bambini del gruppo sperimentale. Anche se ci sono delle differenze nelle abilità di locomozione in favore dei bambini del gruppo sperimentale, comunque sono stati rilevati effetti elevati in entrambi i gruppi. I risultati consentono di discutere dell’efficacia dell’integrazione tra educazione fisica e altre discipline, in termini di miglioramento nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti, e della valorizzazione delle differenze di genere nella programmazione e nella realizzazione delle attività motorie nella scuola primaria. Valutazione di un intervento online di media literacy

Tommaso Palombi, Francesco Giancamilli, Andrea Chirico, Thomas Zandonai, Luca Mallia, Arnaldo Zelli, Fabio Lucidi, Federica Galli

Obiettivi: Lo studio è finalizzato alla valutazione di un intervento di media literacy sull’utilizzo di Performance and Appearance Enhancement Substances (PAES), rivolto a studenti di licei sportivi. L’ipotesi di ricerca era che tale intervento potesse aumentare la consapevolezza dell’influenza esercitata dai media, la capacità percepita di gestire correttamente i messaggi mediatici in riferimento all’utilizzo di sostanze nello sport, il realismo percepito dei media e che potesse diminuire gli atteggiamenti positivi verso l’utilizzo di PAES.

Metodo: Studenti di otto licei sportivi hanno preso parte al progetto: 162 al gruppo d’intervento e 158 al gruppo di controllo. Entrambi i gruppi hanno compilato il medesimo questionario somministrato pre e post intervento (Lucidi et al., 2017), volto a valutare le ipotesi di ricerca. In una prima fase, l'intervento prevedeva sei sessioni (90 minuti) affidate a tre esperti (un esperto di scienze motorie, un giornalista e uno psicologo dello sport), ciascuno dei quali ha condotto due sessioni. In una seconda fase, gli studenti hanno partecipato ad ulteriori sei sessioni in cui hanno sviluppato autonomamente un messaggio antidoping finalizzato alla condivisione sui social media, con l’obiettivo di dissuadere le persone all’utilizzo di sostanze dopanti. A causa della pandemia da Covid-19, tutte le sessioni sono state svolte in modalità telematica permettendo di valutare l’efficacia di un intervento di media literacy svolto interamente online.

Risultati: L’analisi dati ha previsto una serie di MANOVA miste a due fattori (gruppo = intervento vs controllo; tempo = pre-intervento vs post-intervento). L’attendibilità delle misure utilizzate risulta accettabile (.64 ≤ α ≤ .91). Il gruppo di intervento mostra un aumento nella consapevolezza dell’influenza esercitata dai giornali (F(1,318)= 3.73, p=.05) e un aumento marginalmente significativo per quanto riguarda l’influenza esercitata dalla TV (F(1,318)= 3.65, p=.06) e dai social media (F(1,318)= 3.24, p=.07). Inoltre, i risultati mostrano un aumento significativo nel gruppo di intervento della capacità percepita di gestire correttamente i messaggi mediatici in riferimento all’utilizzo di PAES (F (1,318) = 49.41; p<.001) rispetto al gruppo di controllo (F (1,239) = .318; p=.372). Per quanto riguarda il realismo percepito dei media e gli atteggiamenti positivi verso l’utilizzo di PAES, i risultati non mostrano alcun effetto significativo.

Discussione: A seguito dell’intervento, gli studenti hanno mostrato un alto livello di consapevolezza in merito all'influenza esercitata dai giornali, includendo seppur marginalmente anche TV e social media. È plausibile che il giornalista, particolarmente esperto in casi di doping riportati sui giornali, potrebbe aver condotto gli studenti a percepire la carta stampata come una delle fonti principali che influenza l’uso di PAES. Coerentemente con altri programmi media literacy svolti “faccia-a-faccia” (Mallia et al., 2020), il presente intervento, erogato online, ha avuto un effetto significativo sulla percezione, da parte degli studenti, delle proprie capacità di gestire correttamente i messaggi mediatici in riferimento all’utilizzo di PAES. Contrariamente a quanto ipotizzato, l’intervento non ha avuto un effetto significativo sugli atteggiamenti positivi nei confronti dell'uso di PAES. Ciò consente di riflettere sul mancato equilibrio degli argomenti trattati, maggiormente incentrati sull’influenza esercitata dai media e sulle fake news a scapito della prevenzione all’uso di PAES. The relationship between job burnout, resilience and physical activity of elementary school teachers Judit Boda-Ujlaky, Martina Uvacsek, Máté Petrekanits, Lilla Török

Aims: Research on physical activity or workout and job burnout element, exhaustion shows a negative relationship, with other elements findings are inconsitent (Naczenski, De Vries, Hoof & Kompier, 2017). There is also some evidence that physical activity fosters psychological resilience (Dunston et al., 2020). The aim of our study was to investigate job burnout, job satisfaction, psychological resilience and physical activity patterns among elementary school teachers in Hungary. Although physical activity has many forms, this investigation is focussed on sport and workout activities.

Methods: In our correlational cross-sectional study we gathered data from n= 98 (age: 50.5± 6.7 yrs) at least 35 year old female elementary school (K 1-8) teachers with 10 years of teaching experience. Workout habits, anthropometric, cardiovascular, and health indicators, and work involvement (Areas of Worklife Survey), burnout (Maslach Burnout Inventory – for educators), psycholgical resilience (CD-RISK), positive and negative affectivity (PANAS), workplace satisfaction (Index of Organizational Reactions) and general self-efficacy (GSEQ) questionnaires were adminidstered. The statistical analyses were conducted with JASP 0.13.1.0 statistical software.

Results: Teachers under 40 find their workload higher (due to the engagement in raising their own children) than those over 55. The groups created accoring to the differences in the amount of physical activity, earlier sport activity, overweight, obesity status did not show any difference on the psychological measures, except for (a) who exercise at least 5 times a week (vigorous physical activity) seem to be more resilient (or more resilient teachers play more sports/do more workout); and (b) those ones who are able to exercise at least as much as the recommended amount of physical activity: they find their workplace environment more pleasant (causality is not clear again – better time management or actually better working environment both are plausible explanations).

Discussion: Similarly to Dunston et al. (2020), we found that teachers who are involved in vigorous physical activity are more resilient (or vica versa). Moreover, contrary to the intervention study from Roessler et al. (2013) our work suggests that regularly, are more satisfied with their workplace environment. As our results are correlational, further investigation and statistical analysis is needed to determine the direction of effects. dalla teoria alla pratica

V. Costa, E. Ciofi, E. De Gregorio, S. Costa

Nell'ultimo decennio l’interesse accademico nei confronti dei genitori e del loro coinvolgimento nello sport giovanile è cresciuto notevolmente, soprattutto nel tennis, fornendo spunti interessanti sui fattori di stress, sulle esperienze e sui comportamenti positivi e negativi associati alla genitorialità (Holt & Knight, 2014). Negli ultimi anni, abbiamo quindi sviluppato due ricerche, volte ad indagare le caratteristiche che i genitori di giovani tennisti ritengono necessarie per essere “genitori perfetti”, con l’obiettivo di favorire una crescente consapevolezza di sé da parte dei genitori ed aprire una riflessione rispetto all’importanza di strutturare formazioni ad hoc per queste figure.

Ai genitori è stato chiesto di compilare un Profilo di Prestazione, con 10 spazi disponibili per identificare e descrivere le caratteristiche del “genitore perfetto” e di auto-valutarsi da 1 a 10 rispetto alle proprie competenze. La prima ricerca ha coinvolto 89 genitori provenienti da 9 tennis club italiani. I dati rilevati sono stati sottoposti ad analisi quali-quantitativa, in linea con le procedure dell’analisi tematica del contenuto. L’analisi interpretativa è stata condotta utilizzando il software MAXQDA ed ha permesso di identificare 5 aree tematiche (qualità personali; risorse nei confronti dei figli; disponibilità; abilità comunicative; aspetti emotivi). L’analisi quantitativa, attraverso il calcolo delle presenze e delle medie dei voti e l’identificazione di 19 micro-categorie, ha permesso di comprendere la rilevanza attribuita dai genitori rispetto alle differenti caratteristiche e di identificare in quali aree si sentano più o meno abili.

L’abilità maggiormente presente, e quindi ritenuta fondamentale dai genitori, è quella di supportare il proprio figlio (143) soprattutto attraverso la pazienza e la comprensione nei momenti di difficoltà. Le caratteristiche meno presenti, e quindi ritenute meno importanti, sono la capacità di rimanere distanti dal campo (12), non intromettendosi e lasciando autonomia al ragazzo, ed il fornire feedback negativi (9), quali durezza e critiche, che sempre meno genitori utilizzano nel rapporto con i propri figli. Per quanto riguarda la media dei voti, i genitori si sentono maggiormente disponibili (8,76) e in grado di far divertire i propri figli (8,62), rispetto a quanto si sentano in grado di dare feedback negativi (7,07) e di gestire le proprie emozioni (7,26), come se avvertissero la necessità di essere più abili nel gestire i propri vissuti e di comunicarli efficacemente.

Al fine di superare alcuni dei limiti di questo primo lavoro (numerosità e omogeneità del campione, difficoltà di categorizzazione), è stato strutturato un nuovo progetto di ricerca, tutt’ora in essere, più rigoroso ed articolato. Con la collaborazione della Federazione Italiana Tennis, abbiamo coinvolto 116 genitori di figli u14 appartenenti a 10 Centri Periferici di Allenamento Federali. Entrambe le ricerche hanno messo in luce la necessità di abbandonare le tradizionali modalità formative preconfezionate, privilegiando la strutturazione di programmi educativi tagliati su misura per rispondere alle esigenze degli specifici genitori coinvolti. A partire dai risultati emersi nella prima e, in forma preliminare, nella seconda ricerca, verranno quindi presentate le ricadute applicative, sia in termini di intervento che di possibili ulteriori sviluppi nell’ambito della ricerca in differenti contesti e discipline sportive. Lo sport come strumento di terapia: alla scoperta del volteggio equestre

Antonella Piccotti

Tra i disturbi del comportamento alimentare troviamo l’anoressia nervosa, psicopatologia caratterizzata da intensa paura di prendere peso, alterata relazione con il proprio corpo e aumento dell’esercizio fisico giornaliero eccessivo. Recenti studi hanno però evidenziato come, in una fase stabilizzata della malattia, lo sport da sintomo, possa trasformarsi in strumento terapeutico, per la possibilità di intervenire su aspetti psicologici (percezione dell’immagine corporea) e per contrastare patologie conseguenti l’anoressia, (osteoporosi).

Finalità/Obiettivi Questo studio propone una riflessione su come la pratica del Volteggio Equestre, con le sue potenzialità di intervento fisico e psicologico, possa rivelarsi strumento produttivo nell’approccio all’anoressia, sia dal punto di vista strettamente motorio sia su quello della mente. La tecnica sportiva prescelta, ha consentito un approccio multidisciplinare, attraverso lo sviluppo delle strutture muscolari e il consolidamento delle principali capacità coordinative.

Metodo Partendo da tali presupposti, è stato recentemente svolto in Italia un progetto pilota in cui un piccolo gruppo di adolescenti con AN, in trattamento ambulatoriale, ha partecipato per 2 mesi ad un programma sportivo basato sulla pratica di un'attività motorio-espressiva come il VE, mirando ad ottenere un'efficacia, valutata tramite test standardizzati, relativamente ai vari aspetti del disturbo alimentare ed in particolare alle capacità motorie. Al campione di studio, 4 partecipanti, sono stati somministrati test per valutare la mobilità delle principali articolazioni, all' inizio, a metà e al termine del progetto (10 incontri, uno a settimana, della durata di circa un’ora e mezza l’uno); contestualmente, al gruppo di controllo sono state proposte altre attività corporee, come danzaterapia e musicoterapia.

Risultati Palesi i benefici generali, (prevenzione osteoporosi, miglioramento condizioni respiratorie e cardiovascolari, gestione dell’ansia e regolazione tono dell’umore), ma soprattutto, risulta evidente che, un lavoro improntato sul VE, sia strumento funzionale per apportare migliorie o mantenere costante il ROM (Range Of Motion), in ragazze che manifestano AN, come si evince dai risultati dei test effettuati.

Discussione/Conclusioni Se l’esercizio fisico è stato una delle parti fondamentali della patologia (perché utilizzato come strumento per perdere peso) è interessante come possa invece “trasformarsi” in strumento naturale e sano che incide positivamente sul benessere psicofisico generale; è molto più che un semplice esercizio fisico, perché può rimettere in moto un corpo bloccato dalla paura di crescere, trasformarsi, essere visibile; grazie alla presenza del cavallo, figura maestosa e imponente si crea una relazione di reciprocità con quella nascosta e negata delle pazienti. Sebbene si tratti di un progetto pilota, il protocollo rappresenta un primo passo per promuovere l'applicazione del V. E. in pazienti con AN, per studi più ampi e ulteriori approfondimenti. Effetto di un training intensivo mindfulness- neurofeedback neurocognitiva e le abilità di autoregolazione: confronto tra atleti e non-atleti

Davide Crivelli, Giulia Fronda, Michela Balconi

Finalità/Obiettivi: Ottimizzare le capacità mentali, oltre che fisiche, di un atleta per ottenere una performance massimale rappresenta, oggi, un obiettivo fondamentale nell’allenamento sportivo. Di recente è stato proposto che le pratiche di mental- training per la resistenza mentale, la focalizzazione e l’ottimizzazione della risposta da stress possano essere rese più accessibili ed efficaci se supportate da dispositivi indossabili in grado fornire all’atleta dei feedback in tempo reale sulla modulazione dei parametri di attivazione fisiologica che accompagna il training. Questo studio ha, in particolare, indagato gli effetti di protocollo intensivo di brain-training basato su pratiche mindfulness supportate da un dispositivo neurofeedback indossabile sulle abilità di autoregolazione e l’efficienza neurocognitiva in un gruppo di atleti e non- atleti.

Metodo: 50 volontari hanno preso parte allo studio e sono stati divisi in gruppi di atleti e non-atleti sottoposti a protocollo di training sperimentale o a training di controllo. Il protocollo sperimentale era basato su pratiche di consapevolezza della respirazione supportate da un neurofeedback indossabile, mentre quello di controllo attivo includeva solo pratiche di respirazione. Entrambi i protocolli hanno avuto durata pari a due settimane, con sessioni giornaliere di pratica di durata incrementale (da 10 a 15 minuti per sessione). Gli effetti dei training sono stati testati tramite sessioni di assessment neuropsicologico e psicofisiologico standardizzato (resting-state EEG, potenziali evento-relati - ERPs durante compiti cognitivi) in ingresso e al termine del periodo di training.

Risultati: Le analisi statistiche inferenziali hanno evidenziato, solo nel gruppo degli atleti che hanno completato il protocollo sperimentale, una significativa riduzione dei tempi di risposta e dei falsi allarmi durante l’esecuzione dei compiti cognitivi computerizzati (TR Stroop task: M-pre = 567.31, SD-pre = 107.09; M-post = 509.05, SD-post = 75.24; p ≤ .001, d =1.006; falsi allarmi ComplexRT: M-pre = 1.29, SD-pre = 1.64; M-post = 0.43, SD-post =0.65; p =.001, d =0.782), nonché un significativo aumento dell’ampiezza dell’ERP N2 (M-pre = -5.93, SD-pre = 2.77; M-post = -7.69, SD-post = 3.07; p = .011, d =0.791) - un marcatore dei processi di regolazione dell'attenzione. È stata inoltre rilevata una significativa riduzione dello stress percepito, misurato tramite la Perceived Stress Scale, sia nel gruppo degli atleti sia nel gruppo dei non-atleti che hanno completato il protocollo sperimentale (M-pre =17.94, SD-pre = 5.42; M-post = 16.01, SD-post =5.02; p =.011, d = 0.418).

Discussione/Conclusioni: Nel loro insieme, i risultati suggeriscono che il protocollo integrato di mindfulness-neurofeedback abbia comportato una migliore regolazione dell'attenzione e dei meccanismi di controllo cognitivo, in accordo con precedenti studi sperimentali e applicati, soprattutto nel gruppo degli atleti. Inoltre, le evidenze suggeriscono che l'integrazione con il sistema di neurofeedback indossabile abbia incrementato l’efficacia delle pratiche di mental-training anticipando la comparsa di effetti significativi di potenziamento, in particolare, negli atleti. Questo risultato suggerisce la presenza, nel gruppo degli atleti, di una curva di apprendimento implicito ottimizzata. Pre-Gara dei portieri. Strumenti applicativi per il preparatore dei portieri.

Edoardo Ciofi e SIlvio Gonella

Finalità Uno dei temi più importanti della psicologia dello sport, ovvero l’arousal/attivazione, è stato riassunto in maniera ottimale nella nota Teoria di Yerkes e Dodson (1908) della U rovesciata. Questa teoria ha portato la psicologia dello sport a focalizzarsi sulla fase ottimale di prestazione, strutturata con il concetto del Flow (Csíkszentmihályi, 1975) ma anche sulle fasi di ipo-attivazione o di iper-attivazione. Tramite l’utilizzo di strumenti specifici è quindi possibile supportare l’atleta nella gestione della sua attivazione psico-fisiologica con l’ottica di allenarsi per portare il suo livello di attivazione verso una fase ottimale di prestazione. Lo scopo di questa presentazione orale è quella di proporre una ricerca (in fase di sviluppo) che verrà portata avanti unendo le conoscenze e le capacità della psicologia dello sport e dell’allenamento tecnico dei portieri. Diversi lavori (Jordet e Elferink-Gemsen, 2011; Allen, 2013) indicano l’importanza della corretta gestione delle emozioni da parte dei portieri di calcio poiché una cattiva gestione di esse (ad esempio l’ansia da prestazione) ha un’influenza sulla prestazione in campo.

Metodo La nostra proposta è quella di studiare uno strumento che permetta di identificare il livello di attivazione dei portieri durante la fase di riscaldamento pre-partita e, successivamente, quella di applicare delle modifiche al tipo di riscaldamento da far eseguire al portiere, al fine di poter migliorare il livello di attivazione nella preparazione alla partita. Il nostro lavoro si basa quindi sulla creazione di strumenti pratici e applicativi che la figura del preparatore dei portieri può utilizzare per supportare gli atleti nel raggiungere il livello ottimale di prestazione. Il procedimento è sviluppato in tre fasi: 1.Riconoscimento del livello di attivazione durante il riscaldamento pre-partita tramite l’utilizzo di comportamenti osservabili da parte dell’allenatore, utilizzo di una fascia cardiaca collegata ad uno strumento di biofeedback e schede di autovalutazione dello stato di attivazione e sensazioni corporee del portiere, 2.utilizzo di esercizi di riscaldamento durante la fase del pre-gara creati appositamente per agire sull’aumento o diminuzione del livello di attivazione dell’atleta, 3.analisi del livello di attivazione successiva alla fase di riscaldamento tramite autovalutazione e, autovalutazione alla fine della gara. Durante la presentazione verranno quindi enunciati gli strumenti utilizzati e gli esercizi creati per poter lavorare sull’obiettivo.

Risultati La nostra finalità è quella di presentare un lavoro che verrà strutturato in una ricerca per validare in maniera scientifica questo tipo di programma. L’ipotesi è che, con l’utilizzo di strumenti di valutazione dell’attivazione e, successivamente, con l’utilizzo di esercizi di riscaldamento adeguati al livello di attivazione, il preparatore dei portieri possa supportare i suoi atleti in modo tale da aiutarli, durante la fase pre-gara, nel raggiungere la zona ottimale di prestazione.

Conclusione Un lavoro in collaborazione tra lo psicologo dello sport e il preparatore dei portieri può quindi portare a strutturare, in modo pratico e funzionale, una preparazione pre-gara che sia efficace su tutti i livelli, da quello fisico, tecnico e tattico comprendendo anche l’area mentale. Anche gli sportivi disegnano - come lavorare con il gruppo e gli allenatori con uno strumento pratico e applicativo Edoardo Ciofi e Sergio Costa

È ampiamente riconosciuto che gli allenatori svolgono un ruolo principale nello sviluppo del talento dei loro atleti attraverso la guida, l'istruzione e un'attenta gestione delle risorse (Cushion, 2007). Il modo in cui gli allenatori e gli atleti interagiscono, si relazionano e comunicano tra loro può avere un profondo impatto sul successo dell'atleta, sulla loro percezione e coesione (Jowett e Cockerill, 2003; Leo, Sánchez-Miguel, Sánchez-Oliva e García-Calvo, 2010). In un contesto sportivo di squadra anche l’efficacia collettiva risulta essere determinante per il successo e per il buon funzionamento di un gruppo. Gli atleti, infatti, trascorrono molto tempo sia con i propri compagni di squadra sia con gli allenatori, e sarà proprio la natura di queste interazioni, insieme ai fattori di personalità dei singoli atleti, ad influenzare le convinzioni di efficacia personale e collettiva dei giocatori (Beauchamp, 2007).

Il ruolo dello psicologo dello sport è quello di creare consapevolezza sulle dinamiche mentali che coinvolgono il singolo atleta ed il gruppo e, successivamente, supportare gli atleti nell’allenare le proprie capacità mentali nell’ottica del miglioramento della prestazione ma anche del proprio benessere mentale.

Uno degli strumenti spesso utilizzati in psicologia è sicuramente quello del disegno, con intento proiettivo nello sport, tuttavia, poche sono le applicazioni pratiche di tale strumentazione, soprattutto perchè viene scambiato come applicazione clinica. In questa presentazione, il nostro obiettivo sarà quindi quello di portare uno strumento che potrà essere utilizzato per lavorare su diverse dinamiche, tra le quali consapevolezza, goal setting, motivazione, team working e autoefficacia di gruppo. Lo scudo è, infatti, uno strumento basato sul disegno e sulla creatività, che riporta l’atleta o la squadra a dover ragionare su alcuni aspetti di consapevolezza.

Questa presentazione verterà quindi sulla conoscenza dello strumento e di qualche input teorico che possono aiutare l'atleta a prendere coscienza dei propri punti di forza e di debolezza, degli obiettivi personali e di squadra, delle dinamiche relazionali e comunicative di gruppo.

Questo semplice, quanto delicato lavoro, permetterà di sviluppare ulteriori evoluzioni per poter lavorare in team, affrontando tematiche fondamentali quali la comunicazione, la cooperazione e la fiducia nel proprio compagno/allenatore. Compito della psicologia dello sport è proprio quello di educare ciascuna persona all’autoconsapevolezza, al fine di favorire la migliore espressione dei diversi potenziali, individuali e collettivi. #StiamoalGioco - Gli 11 Punti Del Sistema Di Gioco Vincente FIGC - SGS

Sara Landi, Edoardo Ciofi, Ilaria Fischietti, Vittoria Froiio, Francesco di Gruttola, Gianna Manca, Luca Modolo, , Alessandro Todesch

L’intera comunità sportiva è stata fortemente colpita dall’emergenza sanitaria legata alla diffusione del COVID-19. A tutti i livelli, eventi e stagioni agonistiche sono stati annullati o differiti, molte strutture sportive sono state chiuse e alcune delle nostre abitudini più consolidate sono state stravolte. In questo periodo complesso e pieno di incertezze, famiglie e società sportive sono quotidianamente messe alla prova nel riorganizzare i propri obiettivi e far fronte a nuove esigenze. Da sempre, uno dei principali compiti dell’Area Psicologica del Settore Giovanile e Scolastico della Federcalcio è quello fornire ascolto, supporto e psico-educazione a tutte le realtà di calcio giovanile dei Club dell’intero Territorio italiano attraverso percorsi di formazione e informazioni destinati ad atleti, famigliari, allenatori e dirigenti. L’obiettivo è quello di garantire a tutti gli adulti coinvolti a vario titolo nel progetto, uno spazio di incontro e ascolto finalizzato ad una riflessione su esigenze e problematiche che essi possono incontrare nello svolgere il proprio ruolo.

Lo Science Slam ci permetterà di illustrare il Programma denominato “#Stiamo al Gioco: Gli 11 Punti del Sistema di Gioco Vincente FIGC-SGS” in forma di role playing così da rappresentare in maniera chiara e concreta il format di lavoro dell’area psicologica ai tempi del Covid-19. L’obiettivo è quello di proporre una modalità di lavoro replicabile nei contesti sportivi giovanili.

La fascia di età degli atleti e delle atlete cui si rivolge il programma è compresa tra i 6 e i 16 anni. Gli psicologi coinvolti nell’Evolution Programme FIGC-SGS, nel corso della passata e attuale stagione sportiva, attraverso un calendario di specifici incontri a distanza hanno raccolto la forte e costante la richiesta del Territorio di supporto e indicazioni specifiche per gestire l'attuale momento storico dal punto di vista psico-emotivo e relazionale.

Per questo motivo, lo staff di area psicologica del Settore Giovanile e Scolastico FIGC, all’interno del Programma #StiamoalGioco, ha ideato “Gli 11 Punti del Sistema di Gioco Vincente FIGC-SGS”. Si tratta di una “guida” pensata per gli adulti di riferimento con l’obiettivo di fornire loro supporto, indicazioni e spunti di riflessione. Ad ogni punto, a cui è stato assegnato un titolo metaforico legato al gioco del calcio e una posizione “in campo”, corrisponde un momento di psico-educazione e una strategia operativa per poter essere di supporto ai ragazzi durante questo periodo. La cornice teorica dentro cui si muove l’intero format è la Teoria dell’Autodeterminazione (Decy & Ryan, 1985, 1991, 2000). Tale proposta viene utilizzata all’interno dei momenti di formazione e informazione multidisciplinari condotti in sinergia da area psicologica, medica, organizzativa e tecnica. Gli psicologi coinvolti nel programma sono 91, gli incontri realizzati nelle Scuole Calcio del Territorio tra marzo 2020 e febbraio 2021 sono stati 101 per un totale di 2929 di persone coinvolte tra genitori, allenatori e dirigenti.

La finalità a lungo termine del programma è quella di diffondere i valori e le buone prassi che caratterizzano FIGC-SGS creando un dialogo costante col Territorio, diventando un vero e proprio punto di riferimento per il movimento sportivo giovanile. In tandem sport tra clinica e performance.

Pazzaglia I., Tortorelli D.

Finalità/Obiettivi: Il lavoro relativo all’area della psicologia dello sport clinica illustra una possibilità applicativa dell’epistemologia relazionale: la psicologia dello sport, intesa come mental training e intervento clinico connesso alla prestazione sportiva. La finalità di tale presentazione è illustrare una metodologia d’intervento già riconosciuta come un’opportunità di rendere il lavoro degli psicologi dello sport più completo rispetto alle diverse committenze. Viene proposto un caso in cui una prima psicoterapeuta, contattata per un progetto di mental training, ha avuto necessità di una ridefinizione della richiesta di aiuto e ha svolto un primo lavoro psicoterapeutico seguito poi da un intervento di ottimizzazione della performance sportiva svolto da una seconda terapeuta con cui ha lavorato “in tandem”.

Metodo: Il lavoro presentato prevede l’osservazione di un caso clinico affrontato attraverso una procedura di lavoro analoga al cosiddetto “Duo psico-sportivo” (Nascimbene, 2011). Sono stati proposti “in tandem”, in successione, un intervento clinico relazionale, in cui viene co-costruito un senso al problema e un intervento di ottimizzazione della performance che tenga conto delle dinamiche personali e relazionali significative per l’atleta.

Risultati: Gli obiettivi raggiunti sono stati ottimi in termini di benessere e performance. Questo si è potuto evincere dalle testimonianze dirette dell’atleta circa i suoi vissuti emotivi e dalla fine delle somatizzazioni e dei comportamenti di evitamento. Sul piano sportivo i risultati ottenuti sono stati nettamente superiori a quelli degli anni passati fino alla vincita del campionato mondiale e le performance dall’inizio dell’intervento fino ad oggi sono state accompagnate da vissuti forti e crescenti di consapevolezza e soddisfazione.

Discussione/conclusioni: L’intervento in tandem, ha permesso nella prima fase di creare connessioni e dare un senso, di sciogliere il nodo che bloccava l’attività sportiva e il benessere dell’atleta preparando così il terreno per l’ottimizzazione della performance attraverso un adeguato programma di mental training svolto dalla seconda psicoterapeuta. L’anno in cui abbiamo iniziato questo percorso l’atleta ha immediatamente migliorato la sua performance e quindi i risultati, raggiungendo, nell’anno successivo, il primo gradino del podio ai mondiali della sua disciplina. Come stimolare alcune abilità mentali per un giovani ginnaste. Pellizzari Melinda

Obiettivo L’obiettivo del seguente lavoro è quello di illustrare un breve percorso di allenamento integrato al mental training per l’apprendimento di elementi tecnici specifici della ginnastica ritmica.

Metodo Hanno partecipato all’esperienza 9 ginnaste di età compresa tra gli 8 ed i 10 anni a cui sono stati insegnati tre elementi tecnici: il passé, l’attitude e la tenuta della gamba alla seconda. Le ginnaste sono state impegnate un’ora la settimana per 4 settimane. Sono state utilizzate schede, costruite ad hoc, per aiutare l’insegnante nella guida dell’allenamento e altre schede per le giovanissime ginnaste nel guidarle ad eseguire utilizzando varie abilità mentali tra cui: il self talk, la modulazione dell’arousal, l’imagery, il focus attentivo, l’autovalutazione dell’esecuzione con la rilevazione e la correzione dell’errore. Per verificare gli apprendimenti le ginnaste sono state fotografate, prima e dopo il trattamento, nelle tre specifiche posizioni riproducenti gli elementi tecnici sopra descritti. Una volta raccolte tutte le foto queste sono state attentamente valutate dall’allenatrice seguendo dei parametri codificati riportati su una griglia, ricavati dal codice dei punteggi di ginnastica ritmica FGI: (1 punto per esecuzione corretta; 0 punti per errore esecutivo). Inoltre, ad una seconda allenatrice esperta è stato richiesto di valutare, attraverso la comparazione delle foto, quale esecuzione fosse la migliore senza che sapesse l’ordine in cui erano state scattate. Infine, anche le ginnaste hanno avuto modo di confrontare le foto pre-post trattamento e di valutare quale fosse, per loro, in base alle loro conoscenze acquisite, la migliore esecuzione.

Risultati I risultati derivanti dalle valutazioni delle allenatrici dimostrano, in generale, un miglioramento nell’apprendimento dei tre gesti tecnici (24 miglioramenti su 27 elementi eseguiti; 89% di miglioramenti) ed una concordanza tra le valutazioni delle insegnanti e quelle delle ginnaste (21 concordanze su 27 elementi eseguiti; 78% di concordanze).

Discussione e conclusioni Seguono considerazioni sul fatto che il miglioramento sia dovuto sicuramente alle ripetute esecuzioni ma probabilmente anche dalla modalità in cui le esecuzioni erano richieste stimolando specifiche abilità mentali ed un lavoro di riflessione in autonomia. Viene enfatizzata l’importanza di uno stile di insegnamento induttivo che lasci spazio a diverse modalità di approccio al compito, alla libertà di espressione pur all’interno di uno sport tecnico compositorio a closed skills. Comportamenti alimentari disfunzionali e autostima: un confronto tra atlete praticanti sport estetici Casali Nicole, Cerea Silvia, Caputo Mimì Marycarmen, & Ghisi Marta

Obiettivi: La partecipazione a discipline sportive che enfatizzano la magrezza (sport estetici) è risultata associata a comportamenti alimentari disfunzionali e a bassa autostima (Krentz & Warschburger, 2011). Gli studi concordano infatti nell’indicare maggiori comportamenti alimentari disfunzionali e minore autostima negli sport estetici rispetto ai non estetici e all’assenza di pratica sportiva. Eventuali differenze tra sport estetici sono invece state oggetto di pochi studi. Alcuni studi hanno evidenziato la danza come sport estetico maggiormente a rischio per la messa in atto di comportamenti alimentari disfunzionali (Arcelus et al., 2014); altri studi, invece, non hanno riscontrato differenze significative tra sport estetici (Maya & Moria, 2018). L’obiettivo del presente studio è di analizzare possibili differenze nei livelli di autostima e in caratteristiche associate ai disturbi dell’alimentazione in tre gruppi di atlete praticanti sport estetici.

Metodo: Allo studio hanno partecipato 258 atlete che praticano sport estetici, di cui 94 praticanti danza (30 danza classica, 34 danza moderna, 22 hip-hop, 6 ginnastica artistica e 2 ginnastica ritmica), 99 pattinaggio artistico e 65 nuoto sincronizzato, di età compresa tra i 13 e i 35 anni (M = 18,64, DS = 3,98), aventi dai 2 ai 28 anni di anzianità nella pratica sportiva (M = 11,35, DS = 5,38) e un Indice di Massa Corporea (IMC) compreso tra 14,88 e 27,64 (M = 20,44, DS = 2,26). Alle atlete che hanno preso parte alla ricerca è stato chiesto di compilare una scheda anagrafica, l’Eating Disorders Inventory-2 (EDI-2; Rizzardi et al., 1995) e la Rosenberg Self-Esteem Scale (RSES; Prezza et al., 1997).

Risultati: L’analisi della varianza univariata (ANOVA) ha rivelato differenze significative tra i

tre gruppi per l’età (F(2,257) = 37,07, p < 0,001) e l’anzianità della disciplina (F(2,158) = 7,04, p = 0,001) e differenze non significative nell’IMC (F(2,251) = 2,68, p = 0,07). Le analisi correlazionali hanno tuttavia escluso la necessità di considerare età e anzianità come covariate. L’ANOVA condotta per RSES e sottoscale dell’EDI-2 ha rivelato differenze significative tra i tre gruppi

nella RSES (F(2,250) = 14.71, p < 0,001) e nelle sottoscale Bulimia (F(2,250) = 6,24, p = 0,002), Inadeguatezza (F(2,243) = 3,63, p = 0,03), Impulsività (F(2,247) = 3,13, p = 0,04) e Insicurezza Sociale (F(2,247) = 3,80, p = 0,02). Dai confronti multipli post-hoc è emerso che il gruppo danza ha presentato punteggi significativamente minori rispetto a nuoto (p = 0,004) e pattinaggio (p < 0,001) alla RSES e significativamente maggiori nella sottoscala Bulimia (p = 0,003 e p = 0,026). Inoltre, tale gruppo ha ottenuto punteggi significativamente maggiori rispetto al solo gruppo nuoto nelle sottoscale Inadeguatezza (p = 0,035) e Impulsività (p = 0,04) e rispetto al solo gruppo pattinaggio nella sottoscala Insicurezza Sociale (p = 0,042).

Discussione: I risultati del presente studio indicano un effetto dello sport estetico praticato sull’autostima e su alcuni aspetti associati ai disturbi dell’alimentazione (bulimia, inadeguatezza, impulsività e insicurezza sociale). In particolare, le discipline legate alla danza sembrano essere quelle maggiormente associate a questi costrutti psicologici e quindi maggiormente a rischio di sviluppo di disturbi dell’alimentazione. Stimolare la mente pedalando. Un nuovo progetto videocyclette

Landra Pietro, Casti Roberta Benedetta, Domocos Alexandru, Seminara Antonio

Il progetto nasce all’interno della RSA Il Trifoglio di Torino. Il concetto innovativo, è stato quello di riuscire a trasformare una normale cyclette da palestra in un qualcosa di diverso, cioè, in un dispositivo dove pedalando, si ha l’opportunità di “viaggiare”, attraverso l’inserimento di un monitor che riproduce dei percorsi, immergendosi in un tragitto preregistrato, dove i luoghi possono essere familiari o sconosciuti. L’aspetto interessante è che la velocità del video è dipendente dal ritmo della pedalata del soggetto. I pazienti presi in esame hanno diagnosi di demenza senile con deterioramento cognitivo (da lieve a grave).

Le finalità: la finalità è duplice, sulla parte motoria e sulla parte psicologica. Sull’aspetto motorio, stimolare i soggetti sedentari a praticare un’attività motoria, andando a mantenere o migliorare la propria performance, sull’aspetto psicologico, il focus è stato quello di migliorare o raggiungere determinate capacità cognitive, comportamentali e relazionali. L’obiettivo principale è stato quello di incrementare lo stato generale di benessere psicofisico della persona. Sono stati presi in esame tre gruppi di osservazione: 5 grandi anziani in assenza di deterioramento cognitivo, 5 grandi anziani con deterioramento cognitivo lieve e 5 grandi anziani con deterioramento cognitivo moderato grave.

Metodo: il metodo utilizza l’osservazione diretta dei pazienti selezionati che hanno partecipato con 5 sedute individuali a cadenza bisettimanale in orario pomeridiano, con durata di 15 minuti a seduta (pedalata). Si è monitorato il battito cardiaco in relazione all’attivazione cognitiva e ai KM percorsi attraverso un’apposita scheda di osservazione. Durante gli incontri erano presenti 1/2 osservatori.

Risultati: da un punto di vista cognitivo/relazionale i dati raccolti evidenziano che con questo intervento, si possono produrre degli effetti positivi. Dal punto di vista motorio, la pedalata, non è più fine a sé stessa, ma si condivide un percorso che offre nutrimento psicofisico globale.

Conclusioni: la Videocyclette fornisce una buona motivazione alla partecipazione della seduta fisio-motoria, che diversamente risulterebbe poco stimolante. Attraverso questo intervento la sedentarietà tipica di chi vive in una condizione di ricovero permanente è diminuita, il tutto è correlato da un’attivazione psico-cognitiva volta al migliorare la qualità della vita dei grandi anziani ricoverati in RSA. Gli aspetti psicologici nel contesto sportivo italiano -1

Sergio Costa, Giampaolo Santi, Luana Morgilli, Francesco Di Gruttola, Cristina Montesano e Maurizio Bertollo

Dai primi mesi del 2020, il contesto sportivo italiano ha fronteggiato l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19. Gli atleti si sono trovati di fronte a diverse sfide e difficoltà legate all'isolamento sociale, alle interruzioni di carriera, all’incertezza del diverse competizioni. Anche gli allenatori si sono trovati ad affrontare una situazione stressante che li ha costretti a un autoisolamento a casa, limitandoli nella possibilità di impegnarsi a livello professionale e di interagire di persona con i propri atleti.

Pertanto, abbiamo deciso di analizzare tramite l’Athletic Identity Measurement Scale (AIMS – Brewer & Cornelius, 2001) come la pandemia avesse influenzato il costrutto di identità degli atleti, valutando poi, con il Cognitive Emotion Regulation Questionnaire (CERQ – Balzarotti et al., 2016), la loro regolazione emotiva (Costa et al., 2020). Inoltre, tramite l’Italian Perceived Stress Scale (IPSS-10; Mondo et al., 2019) e l’Emotion Regulation Questionnaire (ERQ – Balzarotti et al., 2010) abbiamo misurato rispettivamente lo stress percepito da parte degli allenatori e la loro capacità di regolare le emozioni in questa situazione di forte crisi (Santi et al., 2021). Tali questionari sono stati somministrati attraverso una batteria online.

La collaborazione con la Scuola dello Sport del CONI ci ha permesso di reclutare 1125 atleti (610 donne e 515 uomini), con un’età compresa tra 18 e 50 anni (età media = 27,47±8,5), di cui 539 atleti di sport individuali e 586 di sport di squadra, 572 atleti d'élite (nazionali e internazionali) e 553 atleti non d'élite (regionali e locali). Il campione di allenatori, invece, era costituito da 2272 tecnici (1532 uomini e 740 donne), con un’età compresa tra i 18 e gli 80 anni (età media=41.57 e SD=11.99), provenienti da differenti discipline e che allenavano atleti di diverso livello competitivo (889 élite e 1383 non-élite).

I risultati hanno evidenziato come gli atleti di élite e quelli praticanti sport di squadra, durante il lockdown, abbiano mostrato una più forte identità atletica. Sono inoltre emerse differenze significative riguardo le strategie di regolazione cognitiva delle emozioni in relazione al genere, al grado di identità atletica e al livello competitivo. Nello specifico, le donne e gli atleti con un maggior livello di identità – indipendentemente dal livello competitivo – hanno mostrato un maggior ricorso a strategie quali “Catastrofizzazione” e “Ruminazione”.

L’indagine sugli allenatori ha evidenziato livelli di stress percepito significativamente superiori rispetto ai dati registrati prima del COVID-19. Inoltre, le donne hanno riportato livelli maggiori di stress percepito rispetto agli uomini. In riferimento al livello agonistico, gli allenatori d'élite hanno riportato un maggiore controllo della situazione ("stress positivo"). Per quanto riguarda la regolazione delle emozioni è emerso come gli uomini tendano a ricorrere maggiormente a strategie meno adattive (“soppressione”) rispetto alle donne.

Sulla base dei risultati, si evidenzia la necessità di fornire ai vari attori del contesto sportivo indicazioni su come intervenire per ridurre lo stress e migliorare la propria gestione dei pensieri e delle emozioni negative, al fine di rivalutare in modo funzionale e adattivo una situazione critica. Le abilità di locomozione e controllo degli oggetti nei bambini della scuola primaria: risultati di un intervento didattico interdisciplinare. Simona Nicolosi, Carla Greco, Adriano Ancona

Finalità/Obiettivi. L’educazione fisica interdisciplinare consiste nella combinazione di obiettivi e contenuti dell’educazione fisica, intesa come disciplina scolastica, con quelli di un’altra materia in una nuova attività integrata (Cone et al., 2009). L’apprendimento interdisciplinare potenzia e arricchisce ciò che gli studenti imparano: diversi studi sulla didattica integrata con l’educazione fisica hanno dimostrato il miglioramento in matematica, lingue, musica, arte e geografia, oltre a sostenere i benefici nelle abilità sociali e nella motivazione ad apprendere (per una rassegna, Nicolosi et al., 2016). Tuttavia, pochi studi hanno effettivamente osservato i risultati nelle competenze apprese in educazione fisica o di specifiche abilità grosso-motorie. L’obiettivo dello studio è stato quello di realizzare un intervento didattico che ha integrato l’educazione fisica nel curriculum della scuola primaria, valutando gli effetti nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti e nelle abilità fisiche percepite. Sono state verificate le differenze nelle stesse variabili con un gruppo di bambini che ha seguito la prevista programmazione di educazione fisica, e le differenze di genere nelle variabili misurate.

Metodo. Hanno partecipato al progetto 76 bambini (m=40; f=36) di due scuole primarie, di età compresa tra i 7 e i 9 anni (M=8.40; DS=0.30) suddivisi in due gruppi: sperimentale (n=37) e di controllo (n=39). Il gruppo sperimentale ha partecipato al programma di educazione fisica (1 ora a settimana) e ad un programma interdisciplinare (1 ora a settimana), condotti dal tutor sportivo scolastico. Il gruppo di controllo ha partecipato al programma di educazione fisica, condotto dallo stesso tutor sportivo, per due ore la settimana. Entrambi i programmi didattici, regolare e combinato, sono stati realizzati nell’arco del secondo quadrimestre. Le attività didattiche interdisciplinari sono state co-progettate dalle docenti curriculari e dal tutor sportivo. I docenti curriculari hanno svolto la parte disciplinare in classe, il tutor sportivo ha realizzato la parte relativa all’educazione fisica (disciplinare e integrata) in palestra. All’inizio e alla fine degli interventi didattici, sono stati somministrati: il test delle abilità grosso-motorie (TGM, Ulrich, 1992) e la scala di percezione delle abilità fisiche del Self-Description Questionnaire for Children (QDS, Camodeca et al., 2010).

Risultati. I risultati dell’ANOVA per misure ripetute hanno mostrato differenze statisticamente significative tra i gruppi sperimentale e di controllo, nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti (TGM), con un’interazione significativa tra tempo e intervento. I bambini del gruppo sperimentale hanno avuto miglioramenti significativamente più alti rispetto ai bambini del gruppo di controllo, nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti. Non sono state riscontrate differenze significative nella percezione delle abilità fisiche. Considerate le differenze tra bambini e bambine emerse dai confronti con l’ANOVA, le variabili sono state analizzate separando i gruppi in base al genere. Per quanto riguarda le abilità di locomozione, l’indice d di Cohen ha rivelato effetti elevati dei bambini di entrambi i gruppi, nelle bambine invece è stato possibile osservare effetti elevati nel gruppo sperimentale ed effetti piccoli nel gruppo di controllo. Nelle abilità di controllo degli oggetti sono stati osservati effetti elevati nelle bambine e nei bambini del gruppo sperimentale, rispetto ad effetti moderati in entrambi i generi del gruppo di controllo.

Conclusioni. L’ipotesi iniziale può essere parzialmente accettata: il programma interdisciplinare ha avuto effetti maggiori nelle abilità di locomozione delle bambine del gruppo sperimentale e nelle abilità di controllo degli oggetti delle bambine e dei bambini del gruppo sperimentale. Anche se ci sono delle differenze nelle abilità di locomozione in favore dei bambini del gruppo sperimentale, comunque sono stati rilevati effetti elevati in entrambi i gruppi. I risultati consentono di discutere dell’efficacia dell’integrazione tra educazione fisica e altre discipline, in termini di miglioramento nelle abilità di locomozione e di controllo degli oggetti, e della valorizzazione delle differenze di genere nella programmazione e nella realizzazione delle attività motorie nella scuola primaria. Riserva motoria e funzionamento cognitivo

Veronica Pucci, Carolina Guerra, Sara Mondini

La ricerca nell’ambito dell’invecchiamento si rivolge principalmente ad individuare soluzioni per preservare il funzionamento cognitivo degli anziani migliorandone la qualità di vita. Molti studi hanno evidenziato che training di attività ed esercizio fisico influenzano positivamente la cognizione. Tuttavia, anche l’esperienza di attività fisica accumulata nell’arco di vita potrebbe, indirettamente, correlare con una buona attività mentale in tarda età.

L’ipotesi del nostro studio è che l’attività fisica praticata nel corso della vita possa costituire una riserva motoria (RM) in stretta relazione con l’efficienza cognitiva. Inoltre, alla luce di quanto riportato finora in letteratura, un effetto maggiore potrebbe presentarsi sulle funzioni esecutive, funzioni sovraordinate che regolano processi cognitivi superiori (e.g., pianificazione, ragionamento, ecc.). La RM rappresenta un costrutto flessibile, dinamico e cumulativo negli anni che include non solo l’attività fisica strutturata, cioè svolta con l’intento di mantenere/migliorare la forma fisica (Esercizio Fisico, EF), ma anche l’attività fisica incidentale, ovvero qualsiasi attività quotidiana che porti ad un dispendio metabolico superiore al basale (e.g., spostamenti a piedi, faccende domestiche, ecc.).

La RM è stata quantificata tramite un questionario costruito ad hoc e somministrato a 75 individui sani di età compresa tra i 50 e gli 89 anni. Inoltre, ad ogni partecipante sono stati somministrati una batteria cognitiva completa (CFD, Schuhfried), al fine di verificare l’effetto della RM sul funzionamento cognitivo globale, ed il Cognitive Reserve Index questionnaire per misurare la riserva cognitiva (RC). La RC descrive la resilienza individuale al danno cerebrale e viene costruita attraverso le attività intellettualmente e socialmente stimolanti svolte nella vita adulta (e.g., scolarità, complessità occupazionale, attività del tempo libero) ed è in stretta relazione con l’efficienza cognitiva. Successivamente, un ulteriore campione di 101 partecipanti (range età: 50- 84), è stato sottoposto agli stessi questionari di riserva motoria e cognitiva e ad un insieme di strumenti specifici per le funzioni esecutive al fine di approfondire il ruolo della RM in questo dominio.

Per verificare l’effetto della riserva motoria sulla cognizione in generale, è stato costruito un modello di regressione lineare multipla avente come variabile dipendente l’indice di funzionamento cognitivo globale e come predittori l’età, la RC e la RM. L’età è risultata il miglior predittore (i giovani hanno ottenuto punteggi migliori; β=.947, p<.001), seguita dalla RC (ad una maggior riserva corrisponde una migliore prestazione; β=.301, p<.001). Rilevante ed in linea con le ipotesi, è risultato che anche la RM ha un effetto significativo (β=.276, p=.004) sulla prestazione cognitiva ed il modello spiega circa il 50% della variabilità dei punteggi (Adj.R2=.500, AIC=361, p<.001). Anche considerando la RM come unico predittore il modello risulta significativo (Adj.R2=.239, AIC=406, p<.001). Per quanto concerne il campione in cui sono state valutate le funzioni esecutive, la RM relativa all’esercizio fisico (β=.379, Adj.R2=.189, p<.001) è risultata in grado di predire l’efficienza della prestazione ai test.

Concludendo, l’attività fisica svolta nel corso della vita sembra essere un fattore rilevante nello spiegare la variabilità cognitiva in adulti ed anziani. Inoltre, l’esercizio fisico eseguito nel corso degli anni predice l’efficienza cognitiva globale, ed in particolare il funzionamento esecutivo. Il ruolo dello sport nei genitori e negli allenatori: attraverso uno sguardo funzionale. Marinella Coco, Paola Magnano, Paola Fecarotta, Orazio Arancio, Andrea Buscemi & Donatella Di Corrado Finalità. L’ambiente sportivo è uno tra i campi sociali maggiormente ricco di stimoli che concorre al miglioramento del proprio Sé, a prescindere dal ruolo rivestito. Il presente lavoro di ricerca focalizza l’attenzione sul tema della sportività, della genitorialità e del Fair Play secondo la prospettiva Neo-funzionalista che considera la persona nella sua complessità e interezza, analizzando le singole Funzioni e i Piani psicocorporei, senza tuttavia perdere mai una visione globale ed unitaria della persona. L’interesse nasce da una specifica richiesta d’aiuto da parte del CONI per aiutare gli allenatori a stabilire un dialogo funzionale con i genitori. La ricerca si è posta come obiettivo di individuare le Esperienze di Base (EBS) coinvolte nel dialogo genitore allenatore al fine di comprendere al meglio il funzionamento e fornire gli strumenti necessari per un confronto costruttivo.

Metodo. Hanno preso parte alla ricerca 100 genitori e 100 allenatori. Sono state individualizzate le Esperienze di Base (EBS) coinvolte nel dialogo genitore allenatore, attraverso la realizzazione di due distinti questionari che vanno ad indagare le esperienze di base del sé, per il genitore di chi pratica sport e per l’allenatore sportivo. Le EBS indagate nei genitori sono state: Percepire, Fidarsi, Aspettare, Condividere, Rabbia, Controllo, Giocare, Piacere, Forza Calma, Dare/Darsi, Progettualità, la State-Trait Anger Expression Inventory (STAXI-2), il Parenting Stress Index (PSI), Autoefficacia sportiva, Scala di Assertività Generale. Le EBS indagate nei genitori sono state: Assertività, Aprirsi, Tenerezza, Consistenza/Determinazione, Vitalità e Prendere l’altro. Sono stati valutati, inoltre, nel gruppo genitori anche Autoefficacia genitoriale la State-Trait Anger Expression Inventory (STAXI-2), il Parenting Stress Index (PSI), Autoefficacia sportiva, Scala di Assertività Generale. Mentre nel gruppo allenatori sono stati valutati State-Trait Anger Expression Inventory (STAXI- 2), l’Autoefficacia sportiva, Scala di Assertività Generale.

Risultati. Il campione è stato analizzato relativamente alle EBS focalizzando l’attenzione sulla tendenza delle risposte A+B e C+D agli item proposti, in cui A+B rileva i Funzionamenti migliori, mentre C+D quelli alterati. Le Esperienze di Base di nostro interesse sono presenti e ben conservate nei genitori e allenatori del nostro campione. Tuttavia emergono degli elementi contrastanti all’interno di alcuni gruppi di item che indagano le stesse EBS: Percepire; Fidarsi; Aspettare; Condividere; Rabbia; Controllo; Giocare; Piacere; Forza Calma; Dare/Darsi; Progettualità. È emerso un dato significativo relativamente alla dimensione rabbia, i genitori a differenza degli allenatori mostrano un livello di rabbia repressa maggiore.

Conclusioni. I risultati ottenuti dalla presente ricerca mostrano un’alterazione della Forza Calma e del Giocare, che non si traduce nell’attribuire importanza al risultato della competizione rispetto all’intero percorso, piuttosto come l’alterazione porta a snaturare il gioco presente nell’attività sportiva. Un dato su cui riflettere e successivamente prevedere attività di miglioramento è senza dubbio la presenza nei genitori di rabbia repressa che si traduce in un’oggettiva difficoltà di dialogo fra genitori e allenatori. Endurance a 50 anni: cui prodest? Revisione della letteratura.

Luca Burroni, Elena Campanini

Finalità Scopo della presente relazione è la revisione della letteratura su pregi e difetti di natura psicologica e fisica dello sport aerobico, in particolare di tipo “endurance”, dopo i 50 anni di età.

Metodo Sono stati presi in considerazione tutti i più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste con Impact Factor ricercati su Pubmed che avevano valutato gli aspetti fisici e psicologici dello sport di lunga durata, in particolare corsa, ciclismo e nuoto. Sono state ricercate le spinte motivazionali per le quali un ultracinquantenne dedica molto del proprio tempo libero all’allenamento per gare di lunga o lunghissima durata, magari in individui che sotto i 30 anni non avevano mai praticato sport a livello agonistico. Sono stati poi valutati i benefici psicologici positivi e negativi che possono incidere sull’individuo durante la preparazione e dopo la prestazione agonistica, nella valutazione intima dei successi e degli insuccessi. Infine sono state valutate accuratamente le differenze ottenute su valori ematici e su test medici, nonché le prestazioni mnemoniche e psicologiche tra atleti amatoriali e pari età sedentari: sono state confrontate anche le incidenze di alcune patologie cardiovascolari gravi. Infine sono state valutate le patologie (in particolare quelle muscolo-tendinee) che incidono su atleti anziani che sottopongono il proprio organismo a uno stress significativo.

Risultati Praticare resistenza aerobica significa migliorare la propria condizione di salute. Tale attività permette infatti di mantenere il peso corporeo, prevenire e curare diabete e ipercolesterolemia, contrastare l'osteoporosi, ridurre le malattie cardiovascolari e migliorare il benessere personale dell'individuo. Rispetto alla popolazione normale, i dati hanno mostrato una alta prevalenza per allergie e/o febbre (25.1%) e asma (13.0%) indotte dall’esercizio , ma una bassa prevalenza per tumori (4.5%), malattie cardiovascolari (0.7%), diabete (0.7%) e HIV (0.2%). Nonostante una percezione di benessere da parte dell’atleta, i test psico-mnemonici non hanno mostrato significative differenze rispetto alla popolazione sedentaria. Nonostante l’evento morte sia trascurabile (0.00039%), è da considerare il numero di traumi (30 ogni 1000 ore di allenamento), che incidono negativamente sul benessere psicologico dell’atleta, ma che potrebbero migliorarne la resilienza.

Discussione L’attività fisica di endurance negli atleti ultracinquantenni è indubbiamente positiva sia dal punto di vista fisico che psicologico, ma deve essere controllata dall’atleta stesso che conosce i propri limiti. La molla giusta è la sfida che si propone l’atleta amatoriale nel confronto con se stesso e non con gli altri. Applicazione del modello sfera in età geriatrica: post trauma. Roberta Benedetta Casti, Chinesiologa, specializzata in Adapted Physical Activity, Psicologa Il Modello SFERA, ideato dal prof. Giuseppe Vercelli e dal suo team all’interno del Centro di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana – Umbro Marcaccioli, è stato presentato alla comunità scientifica internazionale in occasione del XII IPPS World Congress of Sport Psychology (Marrakech, Giugno 2009). Il Modello SFERA, ha una vasta adattabilità in vari contesti che vanno anche “al di fuori” del quadro prettamente sportivo di alto livello. Dall’esperienza professionale dell’autore in ambito psico-motorio con grandi anziani istituzionalizzati (Residenza Sanitaria Assistenziale), nasce il presente studio, dove si è adottato il Modello SFERA nel contesto geriatrico riabilitativo, presentato in occasione della discussione delle tesi al corso di perfezionamento in Psicologia dello sport di Torino, nell’anno 2019. Finalità/obiettivi: migliorare i tempi e la qualità del recupero motorio e della deambulazione dopo frattura pertrocanterica per caduta accidentale di un soggetto grande anziano. Migliorare la propria capacità di autovalutazione e diminuire lo stato di ansia, segnalata in Cartella Clinica. Il monitoraggio è avvenuto attraverso l’utilizzo integrato di test motori e psicologici propri del Modello SFERA e attraverso la somministrazione del test Area Disturbi Comportamentali A.Di.Co all’ingresso e alle dimissioni della paziente.

Metodo: il metodo ha preso in esame una donna di novantacinque anni con presenza di polipatologie entrata in RSA per ricovero riabilitativo temporaneo. Sono state effettuate cinque sedute, con tempi variabili, da un’ora e mezza a quarantacinque/cinquanta minuti. Il metodo ha previsto l’applicazione di alcuni tipici strumenti del modello: SFERA MANDALA, esercizi motori relativi ai 5 attrattori (FISIOSFERA, quindi la Sincronia, la Forza, l'Energia, il Ritmo, l'Attivazione), il rilassamento progressivo di Jacoboson, SCHEDA DI VALUTAZIONE AUTOEFFICACIA. Le sedute sono state condotte da una chinesiologa specializzata in Adapted Physical Activity e Geromotricista, Psicologa specializzata in Psicologia dello sport e della prestazione in collaborazione con i fisioterapisti, OSS e personale medico-infermieristico della struttura, durante l’iter riabilitativo, in orari pomeridiani.

Risultati: per questo studio, è stata compiuta un’indagine qualitativa per l’area motoria, attraverso l’utilizzo della scala Barthel mobilità, strumento utilizzato per valutare le capacità motorie presenti della persona. Dall’analisi iniziale la signora presa in esame presenta difficoltà nel gestire la carrozzina, nel compiere i trasferimenti in autonomia e nella deambulazione, ha perso la capacità di compiere le scale (salita e discesa). Il punteggio all’ingresso della Scala Barthel è di 40/40, mentre alle dimissioni è di 10/40. Anche per quanto riguarda i risultati inerenti all’ottimizzazione della prestazione, cioè relativi alla valutazione della propria autoefficacia si rilevano dei punteggi migliorati rispetto alla valutazione iniziale. Tra l’altro si è notata una riduzione dei tempi di recupero motorio, rispetto alla media di casi simili. Una maggiore consapevolezza di sé, data da una maggiore percezione delle proprie capacità e dei propri limiti grazie alla conoscenza dei cinque attrattori, al loro utilizzo in maniera efficace, ha indotto dei miglioramenti tangibili, apportando benessere a carattere psicofisico globale.

Discussione/Conclusioni: il presente studio conferma l’utilizzo positivo del Modello Sfera anche in età geriatrica. Quando un grande anziano ha un infortunio, occorre riconquistare il più possibile le facoltà motorie, ripristinando a livello di prestazione quelle abilità che si sono perse a causa del “disuso forzato” e anche dall’inevitabile declino psicofisico dato dall’età. Grazie a quest’approfondimento sull’adattabilità del Modello SFERA, il grande anziano, che deve recuperare le autonomie, e nello specifico caso qui presentato, dopo un trauma da caduta, diventa maggiormente consapevole delle proprie risorse, raggiungendo risultati positivi in termini di performance motoria, un elemento a titolo esemplificativo è l’acquisizione di maggiore sicurezza nella deambulazione autonoma e relativa diminuzione dell’ansia correlata (paura di cadere) andando a migliorare la qualità della vita. Effetto di un training intensivo mindfulness- neurofeedback neurocognitiva e le abilità di autoregolazione: confronto tra atleti e non-atleti

Davide Crivelli, Giulia Fronda, Michela Balconi

Finalità/Obiettivi Ottimizzare le capacità mentali, oltre che fisiche, di un atleta per ottenere una performance massimale rappresenta, oggi, un obiettivo fondamentale nell’allenamento sportivo. Di recente è stato proposto che le pratiche di mental-training per la resistenza mentale, la focalizzazione e l’ottimizzazione della risposta da stress possano essere rese più accessibili ed efficaci se supportate da dispositivi indossabili in grado fornire all’atleta dei feedback in tempo reale sulla modulazione dei parametri di attivazione fisiologica che accompagna il training. Questo studio ha, in particolare, indagato gli effetti di protocollo intensivo di brain-training basato su pratiche mindfulness supportate da un dispositivo neurofeedback indossabile sulle abilità di autoregolazione e l’efficienza neurocognitiva in un gruppo di atleti e non-atleti.

Metodo 50 volontari hanno preso parte allo studio e sono stati divisi in gruppi di atleti e non-atleti sottoposti a protocollo di training sperimentale o a training di controllo. Il protocollo sperimentale era basato su pratiche di consapevolezza della respirazione supportate da un neurofeedback indossabile, mentre quello di controllo attivo includeva solo pratiche di respirazione. Entrambi i protocolli hanno avuto durata pari a due settimane, con sessioni giornaliere di pratica di durata incrementale (da 10 a 15 minuti per sessione). Gli effetti dei training sono stati testati tramite sessioni di assessment neuropsicologico e psicofisiologico standardizzato (resting-state EEG, potenziali evento-relati - ERPs durante compiti cognitivi) in ingresso e al termine del periodo di training.

Risultati Le analisi statistiche inferenziali hanno evidenziato, solo nel gruppo degli atleti che hanno completato il protocollo sperimentale, una significativa riduzione dei tempi di risposta e dei falsi allarmi durante l’esecuzione dei compiti cognitivi computerizzati (TR Stroop task: M-pre = 567.31, SD-pre = 107.09; M-post = 509.05, SD-post = 75.24; p ≤ .001, d =1.006; falsi allarmi ComplexRT: M-pre = 1.29, SD-pre = 1.64; M-post = 0.43, SD-post =0.65; p =.001, d =0.782), nonché un significativo aumento dell’ampiezza dell’ERP N2 (M-pre = -5.93, SD-pre = 2.77; M- post = -7.69, SD-post = 3.07; p = .011, d =0.791) - un marcatore dei processi di regolazione dell'attenzione. È stata inoltre rilevata una significativa riduzione dello stress percepito, misurato tramite la Perceived Stress Scale, sia nel gruppo degli atleti sia nel gruppo dei non- atleti che hanno completato il protocollo sperimentale (M-pre =17.94, SD-pre = 5.42; M-post = 16.01, SD-post =5.02; p =.011, d = 0.418).

Discussione/Conclusioni Nel loro insieme, i risultati suggeriscono che il protocollo integrato di mindfulness- neurofeedback abbia comportato una migliore regolazione dell'attenzione e dei meccanismi di controllo cognitivo, in accordo con precedenti studi sperimentali e applicati, soprattutto nel gruppo degli atleti. Inoltre, le evidenze suggeriscono che l'integrazione con il sistema di neurofeedback indossabile abbia incrementato l’efficacia delle pratiche di mental-training anticipando la comparsa di effetti significativi di potenziamento, in particolare, negli atleti. Questo risultato suggerisce la presenza, nel gruppo degli atleti, di una curva di apprendimento implicito ottimizzata. Le emozioni nei giovani tennisti: S.P.E.T. Una nuova scala specifica per rilevarle

S. Costa., V. Costa, R. Martoni, A. Daino

Obiettivi Lo studio è finalizzato all’elaborazione di uno strumento specifico per la rilevazione delle emozioni nello sport del tennis. Ansia, tristezza paura e rabbia sono molto frequenti e i giovani giocatori non sono in grado di comprendere il perché e tanto meno come gestire le emozioni che provano e da cui si sentono schiacciati.

Metodo Al fine di capire, comprendere e cercare di rispondere all’inadeguata gestione del problema dell’emozione soprattutto in competizione, abbiamo sviluppato la S.P.E.T. (Scala Percezione Emozioni Tennis) un questionario Self Report, con una valutazione del vissuto mentale di tipo Likert a 4 gradazioni (mai, talvolta, spesso, sempre). La S.P.E.T. è composta da 20 items che afferiscono a tre differenti aree interconnesse: Pensieri (alla mia mete si presentano troppi pensieri), Emozioni (in gara mi sento troppo teso) e Comportamenti (saltello sugli avampiedi per rimanere attivato) tipici della prestazione agonistica del tennis. I partecipanti (136, età media 20.27 sd 8.6) sono stati raggruppati rispetto a tre variabili: a) ranking -alto medio basso nessuno; b) genere -maschi (93) femmine (43); c) ruolo - coach, giovani élite selezionati dalla FIT Under 16, agonisti di medio livello U16 e tennisti senza classifica U16.

Risultati È stata effettuata l’analisi dei clusters attraverso la Kruskal-Wallis e Mann-Whitney U Test. Dai risultati si evince che i coach e gli atleti d’élite hanno conseguito punteggi più alti e relativamente simili nel gestire le emozioni, rispetto agli agonisti e ai tennisti senza classifica. Il confronto tra gli items ha inoltre evidenziato due clusters omogenei al loro interno: Il primo composto dagli “esperti”, prevalentemente giocatori selezionati dalla FIT U16 e maestri, e il secondo dai “meno esperti”, ossia in prevalenza agonisti e non classificati. La discrepanza sembra essere più evidente nelle risposte agli items relativi all’area dei pensieri, quindi a seguire quelli relativi alle emozioni e ai comportamenti.

Discussione Lo studio sembra indicare come la consapevolezza nella gestione delle emozioni sia maggiormente correlata all’abilità tecnica e dalla competenza acquisita piuttosto che all’età e al genere dei giocatori, ed in particolare dal modo in cui i giocatori pensano, si parlano e agiscono per gestire tali emozioni. S.P.E.T. rappresenta un primo strumento applicativo per i preparatori mentali, o i coaches sensibili all’aspetto emotivo, per incominciare a distinguere la loro visione dell’emozione rispetto a quella dei loro atleti. Tuttavia, dato il ruolo esplorativo dello strumento, sono necessari ulteriori approfondimenti e analisi per la verifica del costrutto, e delle aree di riferimento delle componenti indagate. Perfezionismo, motivazione e performance soggettiva nello sport: un confronto longitudinale tra Italia e Spagna Alessandra De Maria, Luca Mallia, Inés Tomás, Isabel Castillo e Arnaldo Zelli

Obiettivi All’interno del quadro teorico della teoria dei bisogni psicologici di base (Ryan & Deci, 2000), il presente studio ha testato a) un modello strutturale di relazioni in cui le aspirazioni perfezionistiche e le preoccupazioni perfezionistiche sono state complessivamente associate alle valutazioni soggettive del successo percepito dagli studenti-atleti attraverso la soddisfazione dei bisogni psicologici di base e b) la possibilità che questo modello di relazioni fosse “invariante” tra i dati raccolti in due paesi (ovvero, Italia e Spagna).

Metodo Questo studio ha coinvolto due campioni di studenti-atleti universitari appartenenti a due paesi: l’Italia (N = 215; media = 21.1 anni; SD = 2.9; 40% femmine) e la Spagna (N = 107; media = 21.4 anni; SD = 3.6; 35.2% femmine). Entrambi i campioni hanno fornito dati sul perfezionismo sportivo, sulla soddisfazione dei bisogni psicologici di base nello sport (2 mesi dopo) e sulla percezione soggettiva della propria performance (4 mesi dopo). L’invarianza strutturale del modello di relazioni è stata testata attraverso un’analisi multi-gruppo di equazioni strutturali usando il metodo robusto della massima verosimiglianza e confrontando in termini di differenza di Chi- quadrato corretto in scala Satorra-Bentler un modello privo di vincoli sui parametri (configurale) con un modello in cui i paths di regressione erano stati fissati invarianti tra i due paesi.

Risultati Il modello ipotizzato ha mostrato indici di adattamento accettabili sia nel campione italiano (χ2/gl = 1.66; CFI = 0.97; TLI = 0.96; RMSEA = 0.06) che in quello spagnolo (χ2/gl = 1.75; CFI = 0.94; TLI = 0.92; RMSEA = 0.08), così come nel modello configurale (χ2/gl = 2.4; CFI = 0.91; TLI = 0.89; RMSEA = 0.09). Tuttavia, è stata supportata un’invarianza parziale dei paths del modello in cui l'effetto diretto delle aspirazioni perfezionistiche sulla performance soggettiva era lasciato libero di variare tra i due paesi (SBχ2 = 8.81; p = 0.066; CFI = 0.91; TLI = 0.89; RMSEA = 0.09). In particolare, è emerso un effetto diretto significativo di segno positivo per il campione spagnolo (β = 0.29) e di segno negativo per il campione italiano (β = -0.18). In aggiunta, sono emersi effetti indiretti significativi ed invarianti tra i due paesi delle due dimensioni del perfezionismo sulla performance soggettiva: le aspirazioni perfezionistiche hanno mostrato un effetto indiretto positivo (abItalia = 0.16, abSpagna = 0.15), mentre le preoccupazioni perfezionistiche hanno evidenziato un effetto indiretto negativo (abItalia = -0.10, abSpagna = -0.09).

Discussione Il presente studio ha indicato che gli studenti-atleti italiani e spagnoli con elevate aspirazioni perfezionistiche e che mostrano meno preoccupazioni per gli errori tendono a riportare prestazioni superiori grazie ad una maggiore percezione della propria competenza, autonomia ed appartenenza. Ciononostante, le aspirazioni perfezionistiche non hanno mostrato la stessa associazione con la performance nei due paesi. Nel complesso, questi risultati estendono la comprensione delle dimensioni adattive e disadattive del perfezionismo con esiti soggettivi di performance ed all’interno del contesto sociale che collega il perfezionismo alla motivazione, nonché suggeriscono l’importanza di considerare l’impatto di possibili differenze cross- nazionali nello studio dei correlati psicologici del perfezionismo nel contesto sportivo. INsailing, la vela come strumento di apprendimenti trasversali Life Skills e tecnico specifici nelle persone con disabilità intellettivo-relazionale Cimmino Giuseppe, Fera Daria, Marotta Anna

OBIETTIVI Insuperabili SSDRL, insieme ad ASD Vela Tradizionale, sviluppa dal 2015 il progetto INsailing con l’obiettivo di fornire a persone con disabilità intellettivo - relazionale un’esperienza sportiva rivolta all’incremento di abilità veliche e Life Skills trasversali inerenti la sfera relazionale, emotiva, cognitiva e delle autonomie personali.

METODO Ogni anno si imbarcano sulla Goletta Pandora 30 atleti con disabilità divisi in gruppi omogenei per funzionalità che veleggiano per una settimana. Insieme a loro sale a bordo un Team formato da Psicologi dello Sport, Esperti in Autismo e Istruttori FIV che li accompagnano lungo tutto il percorso e che, sin dai mesi antecedenti la partenza, lavora in équipe con l’equipaggio fisso di Pandora nello sviluppo della rotta e delle attività. Ciascun equipaggio è coinvolto in un percorso strutturato formato da incontri pre imbarco; attività in itinere; e incontri post sbarco. Incontri pre-imbarco: - in singolo, con la famiglia e l’atleta con l’obiettivo di raccogliere informazioni sull’atleta e conoscerlo - di gruppo, con l’obiettivo di permettere agli atleti di conoscersi e iniziare, tramite strumenti di supporto visivo, a familiarizzare con l’esperienza che andranno a vivere (Video – Storie Sociali, Task Analysis) Attività durante l’imbarco: - momenti strutturati settimanali: creazione delle regole condivise a inizio imbarco, rielaborazione dell’esperienza vissuta a conclusione - momenti strutturati quotidiani: riunione con presentazione della giornata nel dopo colazione; momenti pasto e di cura degli spazi condivisi - momenti di attività variabili in base alle condizioni atmosferiche: didattica velica strutturata tramite strumenti di supporto visivo; apprendimento esperienziale occupandosi direttamente del timone, delle cime, delle vele, dei parabordi e dell’ancora; escursioni a nuoto o a piedi. Incontri post-sbarco: - di gruppo con l’obiettivo di riprendere insieme le esperienze estive, alimentare le relazioni positive createsi e gli apprendimenti sviluppati

RISULTATI Lo sport della Vela, avendo caratteristiche ambientali singolari, come la ristrettezza del luogo condiviso inserito nell’immensità e mutevolezza del mare, tende a coinvolgere il singolo nel profondo diventando uno strumento di apprendimento dove ogni gesto o comportamento ha un riscontro immediato (Lo Iacono, 2009). Troviamo, quindi, alcuni elementi definiti da Dehaene (2019) fondamentali per un buon apprendimento: coinvolgimento attivo, riscontro immediato dell’errore, importanza dell’attenzione. Nello specifico i risultati osservati nei partecipanti sono stati: Incremento abilità trasversali (Life Skills): - capacità relazionali e comunicative, con una conseguente miglior capacità di inserimento in situazioni gruppali - sviluppo spirito di squadra con conseguente aumento di fiducia reciproca in un’ottica collaborativa - autoconsapevolezza inerente le proprie abilità e potenzialità, con un conseguente aumento di autostima - riconoscimento dell’altro in quanto differente da sé - incremento delle abilità cognitive di concentrazione e memoria procedurale osservabile attraverso l’apprendimento delle manovre veliche - autonomie personali Apprendimento competenze veliche: - Utilizzo di termini specifici - Autonomia nelle manovre veliche

CONCLUSIONI L’attività sportiva incrementa abilità fisiche e Life Skills utili a sviluppare un approccio consapevole e positivo alla quotidianità (Cortese, 2015). Gli atleti a bordo di Pandora incrementano e consolidano competenze veliche e Life Skills. La conferma di questa crescita è esplicitata nell’ampliarsi delle rotte che, da brevi tragitti sono diventate lunghe traversate. Il judo sviluppa le nostre abilità visuo-spaziali?

Tommaso Feraco, Paola Ispiro, Petra Jansen & Chiara Meneghetti

Obiettivi Le abilità visuo-spaziali sono abilità cognitive che permettono di percepire, immaginare e trasformare mentalmente forme e oggetti e si possono dividere, secondo la classificazione di Uttal e collaboratori (2013), in intrinseche-statiche, intrinseche-dinamiche, estrinseche- dinamiche, ed estrinseche-statiche. Le abilità visuo-spaziali sono importanti per le abilità di navigazione su larga scala, così come per la risoluzione di problemi STEM. Per questo motivo, comprendere come si sviluppano può essere di fondamentale importanza. Sulla base delle teorie della embodied cognition, l’interazione senso-motoria dell’individuo con l’ambiente ha un ruolo chiave per il suo sviluppo cognitivo, suggerendo come la pratica sportiva possa avere un impatto significativo sullo sviluppo delle abilità cognitive visuo-spaziali della persona. Il presente studio si prefigge quindi l’obiettivo di indagare se la pratica del judo, con le sue particolari richiesto visuo-spaziali, è associata a maggiori abilità visuo-spaziali, in special modo per quanto riguarda le abilità intrinseco-dinamiche.

Metodo 95 partecipanti, di cui 52 esperti di judo e 45 persone che non praticano sport con regolarità, hanno completato quattro differenti prove carta matita così da indagare tutte e quattro le dimensioni visuo-spaziali. In particolare i partecipanti hanno completato: una prova di percezione spaziale (il Water Level Test, WLT, estrinseco-statico), una prova di rotazione mentale (il Mental Rotations Test, MRT, intrinseco-dinamico), una prova di assunzione di prospettiva (l’Object Perspective Taking Test, OPT, estrinseco-dinamico) e una prova di visualizzazione spaziale (l’Embedded Figure Test, EFT, intrinseco-statico).

Risultati I risultati di una serie di regressioni multiple multivariate, mostrano che, al netto delle differenze di età, genere e intelligenza cristallizzata, gli esperti di judo mostrano performance decisamente migliori dei controlli nelle abilità intrinseco-dinamiche (βMRT = .92), così come nelle due abilità statico-intrinseca (βEFT = .51) e statico-estrinseca (βWLT = .48). Non risultano invece differenze significative per quanto riguarda le abilità estrinseco-dinamiche (βOPT = .37, p = .052).

Discussione In linea con le precedenti evidenze sperimentali e l’impianto teorico della embodied cognition, i risultati di questo studio estendono tali evidenze a uno sport raramente studiato in letteratura. I vantaggi maggiori della pratica del judo, inoltre, sono riscontrabili a livello delle abilità intrinseco-dinamiche, evidenziando il legame tra le specifiche attività svolte dai judoka durante l’allenamento e i randori e lo sviluppo di abilità spaziali speculari. Il judoka, infatti, deve ruotare frequentemente attorno al proprio asse (intrinseco-dinamico), monitorare la posizione delle proprie parti del corpo prima di attaccare (intrinseco-statico) e considerare la posizione di quelle dell’avversario per anticiparne i movimenti (estrinseco-statico), ad esempio, sviluppando di conseguenza le corrispondenti abilità cognitive visuo-spaziali. La discussione dei risultati verterà inoltre sull’importanza pratica delle abilità visuo-spaziali a livello di navigazione e apprendimento. sport

Francesco Di Gruttola

Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale (AI), definita come l’abilità di una macchina di effettuare autonomamente compiti paragonabili a quelli dell’intelligenza umana, ha invaso la nostra quotidianità. Oltre a semplificare la nostra vita con l’introduzione della guida autonoma o il riconoscimento vocale delle parole, è in grado di leggere i big data che ogni giorno raccogliamo ed estrarre informazioni altrimenti inaccessibili che ci permettono di utilizzare i numeri a nostro vantaggio. Difatti, sulla base di alcuni dati di partenza, possiamo costruire modelli che prevedano l’esisto di un evento futuro, come la vittoria o la sconfitta di una squadra, oppure visualizzare, leggere e interpretare una grande quantità di dati svelando caratteristiche altrimenti nascoste, ad esempio raggruppando gli atleti in diversi cluster sulla base della loro forma fisica e mentale. Il mio intervento ha lo scopo di illustrare la letteratura recente e le possibili applicazioni dell’AI nello sport e nella Psicologia sportiva.

Per tale scopo, attraverso lo studio di un dataset che racchiude le statistiche di tutti i giocatori di basket che hanno partecipato all’Eurolega e all’NBA negli ultimi 20 anni, presenterò due modelli di supervised learning che sono in grado di prevedere il punteggio di un giocatore in partita sulla base di alcune statistiche di partenza, nello specifico il numero di tentativi al tiro da 2 e da 3 punti e al tiro libero. I modelli, costruiti rispettivamente sui dataset di NBA ed Eurolega, presentano un R2 di .97 (MSE= 1.2, MAE= .8) e .93 (MSE= .93, MAE= .8). Oltre alla predizione, i risultati ci permettono di evidenziare anche similitudini e differenze nello stile di gioco delle due leghe. In entrambi i campionati il tentativo al tiro da 2 punti è la statistica più rilevante al fine della predizione del punteggio finale di un giocatore tipo. Tuttavia, la sua importanza rispetto alle altre scelte di tiro è molto più marcata in NBA che in Eurolega. Questo dato sottolinea come, seppur il numero medio di tentativi da 3 negli ultimi anni stia aumentando nelle franchigie americane, il tiro da 2, eseguito sempre più sotto canestro, rimane ancora la scelta più frequente, sicura e redditizia. Concluderò la presentazione illustrando i punti di forza e i futuri sviluppi dell’AI, che insieme alle Neuroscienze costituisce una nuova e potentissima arma a sostegno della performance fisica e mentale degli atleti. degli atleti e sulla coesione di squadra. Uno studio esplorativo sul rugby pugliese. Giancaspro Maria Luisa, Manuti Amelia, Borreggine Alessandra

Obiettivi. Il presente studio è finalizzato all’analisi del rapporto allenatore-atleta nel rugby e si propone di verificare se e in quale misura il comportamento dell’allenatore influenzi la motivazione degli atleti e la coesione di squadra.

Metodo. I partecipanti alla ricerca sono state le squadre maschili e femminili del campionato unico di rugby pugliese. In particolare, il campione comprende 16 squadre, di cui 7 femminili e 9 maschili, con un totale di 155 atleti (118 uomini e 37 donne; età media 26.34 anni; DS=5.9) e 17 allenatori (16 uomini e 1 donna; età media 37.84 anni; DS=10.29). Ai partecipanti è stato somministrato un questionario composto da una sezione socio anagrafica e dalle seguenti scale: Leadership Scale for Sport (Chelladurai & Saleh, 1980) (α=.921), con 40 item, utilizzata per misurare la percezione degli atleti del comportamento dell’allenatore e la percezione, da parte di quest’ultimo, del suo stesso comportamento; Group Environment Questionnaire (Carron et al., 1985) (α=.941), utilizzato per valutare il livello di coesione di squadra e composto da 18 item; Sport Motivation Scale (Pelletier et al. 1995) (α=.900), utilizzata per valutare le motivazioni che guidano gli individui a praticare sport, consta di sette sottoscale, tre per la misurazione delle motivazioni intrinseche, tre per le motivazioni estrinseche e una per l’amotivazione, per un totale di 28 item. Le modalità di risposta prevedono di indicare il proprio grado di accordo utilizzando una scala Likert a cinque punti (1=per niente d’accordo; 5= del tutto d’accordo). La somministrazione del questionario è avvenuta in una duplice modalità a seconda della disponibilità delle squadre. In presenza e in modalità cartacea in un momento successivo alla fine della partita e online tramite link di google moduli.

Risultati. Sono state condotte delle analisi di regressione gerarchica lineare, mediante l’utilizzo del software di analisi statistica SPSS. I risultati hanno evidenziato come la percezione della leadership abbia un impatto positivo sulla motivazione intrinseca (β=.469 p<.001) ed estrinseca (β= .233 p<.005) degli atleti, e un impatto negativo sulla amotivazione (β = -0.274 p<.001); inoltre, la percezione della leadership degli allenatori da parte degli atleti ha un effetto positivo sull’aumento del senso di coesione di squadra (β = 0,368 p<.001).

Discussione. Il presente studio esplorativo ha mostrato interessanti conferme alla letteratura, comprovando l’importante effetto della leadership del coach sia sui livelli di motivazione degli atleti, e in particolare sulla motivazione intrinseca (Fransen et al, 2017; Sari & Bayazıt, 2017), che sulla coesione di squadra (Nascimento-Júnior et al, 2018; Luo & Xie, 2018; Baird, Martin & Benson, 2020). Questi risultati suggeriscono l’importanza della formazione e del training specifico per i tecnici, al fine di favorire l’acquisizione di competenze relazionali e di leadership tali da garantire un impatto positivo sugli atleti e sulla squadra. Il ruolo delle risorse personali negli sport individuali

Giancaspro Maria Luisa, Manuti Amelia, D’Arcagelo Marialessia

Obiettivi Lo studio si pone l’obiettivo di verificare quanto le risorse personali siano fondamentali e incisive in ambito sportivo e in particolare sugli atleti di sport individuali. Nello specifico, la finalità è quella di indagare l’impatto dell’autoefficacia, della motivazione e della resilienza sull’ansia/stress da prestazione.

Metodo Il campione è composto da 522 atleti di sport individuali (21,8% tennis, 22,4% nuoto, 48,1% atletica leggera, 8,3% altri sport), di cui 199 donne (38%) e 323 uomini (62%), di età tra i 14 e i 59 anni (µ=25.9; DS=8.7), suddivisi tra coloro che praticano sport a livello dilettantistico (45,2%), regionale (27,2%) e nazionale/internazionale (27,6%). Ai partecipanti è stato somministrato un questionario contenente le seguenti misure: Self Efficacy Scale (Sherer et al. 1982) per la valutazione dell’autoefficacia (α=.856); Sport Motivation Scale-II (Pelletier et al. 2012) per la valutazione della motivazione (α=.873); Connor-Davidson Resilience Scale (Pacheco et al. 2011) per la valutazione della resilienza (α=.896); Sport Anxiety Scale (Smith et al. 2006) per la valutazione dell’ansia nelle prestazioni sportive (α=.916); Le risposte agli item sono state misurate su una scala Likert a 5 punti (1=per nulla; 5=del tutto).

Risultati L’ANOVA ha evidenziato che coloro che praticano sport a livello nazionale/internazionale hanno maggiori livelli di resilienza (F=4,950; p=.007) e di ansia-preoccupazione (F=7,985; p=.000); mentre coloro che praticano sport a livello nazionale/internazionale e regionale (F=7,687; p=.001) mostrano livelli più elevati di motivazione. L’analisi di regressione ha confermato che l’autoefficacia e la resilienza contribuiscono a contenere i livelli di ansia (β=-.352; p=.000; β=-.207; p=.000). Al contrario, la amotivazione contribuisce a innalzare i livelli di ansia (β=.159; p=.000), ma in generale non si registra un impatto significativo della motivazione sull’ansia da prestazione.

Discussione I risultati hanno confermato il ruolo strategico delle risorse personali di natura psicologica nel gestire e contenere l’ansia da prestazione e migliorare le performance sportive (Olefir, 2018). Nello specifico, lo studio ha evidenziato l’importanza del senso di autoefficacia, inteso come la convinzione di avere le capacità per poter portare a termine un compito (Bandura, 1996; 1997), e della resilienza come fattori di protezione dai livelli di ansia legati alla prestazione sportiva (Nicholls et al. 2010; Aliyyah et al. 2020; González-Hernández et al. 2020; Wu et al. 2021). Alla luce di questi risultati, risulta fondamentale attivare strategie di potenziamento delle risorse personali al fine di migliorare la qualità delle performance e del benessere psicofisico degli atlet Evoluzione della psicoterapia cognitiva, modelli integrati e possibili applicazioni nel trattamento dello sport

Gianfranco Gramaccioni

Questo contributo si pone come obiettivo la sintesi critica delle fasi evolutive dell’orientamento cognitivo-comportamentale, la sua possibile integrazione con altre tecniche e la possibile ricaduta applicativa nell’ambito della psicologia clinica dello sport, in particolare nel trattamento dei disturbi d’ansia dell’atleta, sulla cui prevalenza in ambito sportivo esistono pochi studi, nonostante la rilevanza del problema. Il lavoro evidenzia come il disturbo d’ansia sia uno dei motivi più frequenti di richiesta di intervento per lo psicologo dello sport e possa presentarsi come ansia competitiva funzionale alla prestazione, in forma lieve, ma anche con modalità spesso sfumate, subcliniche, oppure in comorbidità con altri disturbi, sino ad arrivare ai classici quadri clinici definiti nella classificazione DSMV, che nel contesto sportivo corrispondono alla classe “Decadimento della Prestazione” (significativo deterioramento prestativo dovuto a cause cliniche) del modello Classificazione Multidimensionale in Psicologia Clinica dello Sport (Gardner e Moore, 2006; Gramaccioni e Robazza, 2008). Un corretto inquadramento del disturbo da parte dello psicologo dello sport è pertanto indispensabile al fine di distinguere un’ansia funzionale alla prestazione da un disturbo che invece richieda un intervento psicoterapeutico e/o psichiatrico.

Il lavoro si sofferma sul Modello Integrato Educativo-Esperenziale (Gramaccioni, 2011) ed in particolare sull’Integrative CBT Model (Alladin, 2017): quest’ultimo si è rivelato particolarmente utile nel trattamento dei disturbi d’ansia, in quanto integra il metodo ipnotico con strategie di accettazione, self-talk, imagery guidata, meditazioni guidate e strategie per migliorare la coerenza cardiaca. Questo approccio integrato, ha raggiunto numerosi progressi negli ultimi anni; tra questi emergono: l’applicazione ad una vasta gamma di disturbi psicologici e medici, la metodologia chiara e le misure volte a facilitarne la replicabilità, la validazione empirica, le meta-analisi e le reviews, la concettualizzazione come modello riconosciuto di psicoterapia integrativa ed infine l’aumento delle pubblicazioni nel campo. Ipnosi e imagery guidata online: possibilità e limiti in psicologia dello sport

Gianfranco Gramaccioni

Il presente contributo intende porre in evidenza i limiti ed i vantaggi di un intervento di ipnosi ed imagery guidata attuato in modalità on line. A tal fine

di Alert Hypnosis (ipnosi vigile) ed il possibile utilizzo del telemonitoraggio della

a realizzare un rilassamento fisico e mentale, e per cercare di riprodurre lo stato di peak performance. Più specificamente, è stata utilizzata per indurre comportamenti ed emozioni facilitanti la performance ottimale e una

modello ipnotico sulla base del presupposto che solo un intervento in presenza potesse risultare efficace. Recentemente, nonostante lo scetticismo iniziale manifestato da molti operatori,

far emergere nuove opportunità di intervento, favorendo anche in alcuni casi una riduzione delle resistenze, che spesso si presentano nel setting tradizionale. Musica preferita versus musica motivazionale: effetti psicofisiologici durante un esercizio di forza isometrica massimale in individui adulti Francesca Greco, Elisa Grazioli, Attilio Parisi, Attilio Carraro, Luca Rotundo, Antonio Paoli, Giuseppe Marcolin, Gian Pietro Emerenziani

Finalità. Studi scientifici evidenziano come l’ascolto della musica motivazionale durante esercizi di forza possa migliorare la performance stessa. In particolare, l’ascolto della musica preferita potrebbe agire come stimolo esterno in grado di aumentare la performance fisica migliorando lo stato psicofisiologico degli individui. Di conseguenza, l’obiettivo dello studio era quello di indagare gli effetti di diverse tipologie di musica (preferita vs motivazionale) sulle variabili psicofisiologiche durante un esercizio di contrazione isometrica massimale.

Metodo. Quattordici maschi adulti sani (età: 51.5 ± 8.0 anni) hanno eseguito un esercizio di contrazione isometrica massimale alla leg extension durante tre condizioni diverse: ascoltando musica preferita, musica motivazionale e senza musica. La forza massima espressa durante l’esercizio è stata valutata sull’arto inferiore dominante mediante dinamometro di forza. Durante la condizione di musica preferita i partecipanti hanno ascoltato tramite cuffie canzoni che avevano precedentemente selezionato in base al loro gradimento mentre, durante la condizione di musica motivazionale, le canzoni sono state selezionate dai ricercatori da una lista di canzoni motivazionali. Prima dell’esercizio sono state somministrate la Feeling Scale (FS) e la Felt Arousal Scale (FAS) mentre la fatica percepita è stata valutata al termine dello stesso. Inoltre, durante l’intera prova, la frequenza cardiaca media è stata misurata tramite cardiofrequenzimetro.

Risultati. L’analisi della varianza per misure ripetute è stata condotta per verificare differenze tra le condizioni per le variabili di forza massima, FS, FAS, fatica percepita e frequenza cardiaca media. La forza massima è risultata significativamente più alta (p<0.01) durante l’ascolto di musica preferita rispetto all’ascolto di musica motivazionale (495.1 ± 104.7 N vs 468.0 ± 99.1 N); la FS e la FAS hanno mostrato valori significativamente più alti durante l’ascolto di musica preferita rispetto alla condizione senza musica (FS=3.57 ± 1.34 vs 2.79 ± 1.67, p<0.01; FAS 3.71± 1.14 vs 3.00 ± 1.18, p=0.03). Nessuna differenza significativa tra le condizioni è stata riscontrata nei valori di fatica percepita e di frequenza cardiaca media.

Conclusioni. L’ascolto della musica preferita ha avuto maggiori effetti positivi sulla performance di forza massima comparata con l’ascolto della musica motivazionale. Tale risultato potrebbe dipendere dalle emozioni che la musica preferita ha evocato nei partecipanti che l’hanno ascoltata. Si può ipotizzare che le caratteristiche intrinseche della musica abbiano un effetto minore rispetto alla preferenza personale della musica scelta. In conclusione, l’ascolto della musica preferita potrebbe agire come stimolo esterno in grado di aumentare l’espressione di forza durante un esercizio di contrazione isometrica massimale, migliorando lo stato di attivazione pre-esercizio senza variare la fatica percepita e la frequenza cardiaca media. Inoltre, potrebbe influenzare positivamente la percezione del proprio stato d’animo. Al contrario, l’ascolto di musica motivazionale ma non preferita potrebbe influenzare negativamente la performance di forza deviando l’attenzione dell’individuo dal compito stesso. Benessere, Yoga e Tai Chi

Marta Ghisi, Silvia Cerea, Gioia Grigolin, Rosa Nardelli, Antonio Paoli

Finalità/Obiettivi Recentemente è aumentato l’interesse per interventi volti a ridurre lo stress, incrementare la salute mentale e promuovere l’attività fisica tra i lavoratori. Il National Institute for Health and Clinical Excellence raccomanda di aumentare l’attività fisica sul posto di lavoro per migliorare il benessere (Hartfie et al., 2011). Discipline come Yoga e Tai Chi hanno ottenuto ampio consenso alla luce dei numerosi effetti benefici fisici e mentali riscontrati nei lavoratori (Cocchiara et al., 2019; Love et al., 2019; Puerto Valencia et al., 2019). Scopo del presente studio è valutare gli eventuali cambiamenti nei livelli di benessere percepiti successivi a un corso di Yoga o Tai Chi in un gruppo di dipendenti dell’Università degli Studi di Padova.

Metodo Settantatre dipendenti universitari, con un’età media di 42,15 anni (DS=11), frequentanti corsi di Yoga o di Tai Chi, organizzati gratuitamente presso l’Università degli Studi di Padova, hanno compilato on line una batteria di questionari all’inizio e al termine dei corsi. La batteria era costituita da: Beck Anxiety Inventory (BAI, Sica, Coradeschi, Ghisi, & Sanavio, 2006) per valutare l’intensità di manifestazioni fisiologiche dell’ansia; Penn State Worry Questionnaire (PSWQ; Morani, Pricci, & Sanavio, 1999) per indagare la frequenza di preoccupazioni intrusive e disturbanti; Scale for Interpersonal Behaviour-forma ridotta (SIB-r; Arrindell, Sanavio, & Sica, 2002) per valutare il disagio esperito nel mettere in atto comportamenti assertivi; Scala di Cooperazione versione Breve (SCB; Bonaiuto, 1997) per rilevare gli atteggiamenti cooperativi; Depression Anxiety Stress Scale-21 (DASS-21; Bottesi et al., 2015) per indagare il distress generale; Questionario sullo stato di salute (SF-12; Apolone, Mosconi, Quattrociocchi, Groth, & Ware, 2001) per valutare lo stato di salute fisica e mentale. Duecentosei dipendenti universitari, con età media 43,11 anni (DS=11,18), hanno compilato lo State-Trait Anxiety Inventory- forma Y1 (STAI-Y1; Pedrabissi, & Santinello, 1989) per indagare l’ansia di stato all’inizio e alla fine della seconda lezione di Yoga o Tai Chi e 157 dipendenti con età media di 44,20 anni (DS=12,12) all’inizio e alla fine dell’ultima lezione.

Risultati Dal confronto dei punteggi ai questionari compilati all’inizio e alla fine dei corsi è emersa una diminuzione statisticamente significativa dei punteggi al BAI (t(72)=2,64; p=0,01) e del PSWQ (t(72)=3,50; p=0,001), oltre che un aumento statisticamente significativo ai punteggi della scala Vantaggi della cooperazione dell’SCB (t(72)=-2,10; p=0,04) e della scala Salute fisica dell’SF-12 (t(72)=-2,09; p=0,04). Inoltre, si sono registrate riduzioni statisticamente significative dei punteggi allo STAI-Y1 tra l’inizio e la fine sia della seconda lezione (t(205)=13,81; p<0,001) sia dell’ultima lezione (t(156)=13,84; p<0,001).

Discussione/Conclusioni Tra l’inizio e la fine dei corsi si sono riscontrati una riduzione della sintomatologia fisiologica dell’ansia, della frequenza di preoccupazioni generalizzate, intrusive e disturbanti, un incremento della consapevolezza dei vantaggi della cooperazione e della percezione della propria salute fisica. Infine, sia nella seconda sia nell’ultima lezione si sono riscontrati riduzioni dei livelli di ansia di stato tra l’inizio e la conclusione della lezione. Pertanto, l’esercizio fisico sembra essere associato a un generale miglioramento del benessere percepito. nella pallacanestro

Sara Gabrieli, Davide Romanato

Obiettivi L’obiettivo di questo studio pilota è quello di progettare un protocollo di allenamento specifico sulle funzioni esecutive, in particolare l’attenzione, e valutarne l’efficacia considerando l’impatto sulla prestazione nella pallacanestro.

Metodo Il campione consiste in una squadra di pallacanestro di 18 giocatori di 11-12 anni. Affinché sia provata la validità di tale training, sono stati utilizzati per ogni singola somministrazione, nell’ordine, un questionario di autovalutazione dei propri stili attentivi su scala Likert, il TAIS forma abbreviata (D. Di Corrado et al., 2006), e un protocollo tecnico costruito ad hoc composto da quattro esercizi di pallacanestro mediante l’ausilio delle Fitlight, che rilevano i tempi di reazione. Si adotta un test-retest tra la prima e la seconda somministrazione, intervallate dal suddetto allenamento, di cui le Fitlight sono parte integrante, e si procede con un follow-up dopo circa quattro mesi dalla seconda somministrazione. Si ricorre al t-test tramite i test t di Student e il test di Wilcoxon per sondare l’esistenza di una differenza significativa delle medie tra le diverse somministrazioni. Successivamente, mediante matrici di correlazione, attraverso il test r di Pearson e il test rho di Spearman si testa l’effettiva correlazione tra il questionario e gli esercizi.

Risultati Tra le prime due somministrazioni gli atleti hanno incrementato il focus attentivo esterno ampio (t = -3.58, p = 0.002; W = 8.00, p = 0.005) nel terzo (t = 2.3, p = 0.035; W = 131, p = 0,048) e nel quarto esercizio (t = 5.45, p < .001; W = 149, p < .001). Data correlazione con i tempi di reazione del primo esercizio (r = -0.475, p = 0.046), il training è efficace soprattutto per la capacità di integrare più stimoli esterni simultaneamente. Inoltre, i tempi di reazione del terzo esercizio correlano con il sovraccarico di stimoli esterni (r = 0.568, p = 0.014; rho = 0.564, p = 0.015), dimostrando come l’attenzione venga rafforzata all'aumentare degli stimoli. Tra la terza e la quarta somministrazione i tempi di reazione di tutti gli esercizi sono migliorati, in particolare i tempi di reazione del primo (t = 3.92, p = 0.002; W = 111, p = 0.004) e del terzo esercizio (t = 3.74, p = 0.002; W = 116, p = <.001). Dalle correlazioni si evince che grazie al terzo esercizio gli atleti acquisiscono la capacità di restringere il focus attentivo quando è necessario (r = 0.554, p = 0.036; rho = -0.633, p = 0.011), tendendo a compiere meno errori (r = 0.550, p = 0.034; rho = - 0.603, p = 0.009).

Conclusioni Analizzando i cambiamenti degli stili attentivi dei soggetti, l’allenamento specifico risulta efficace nella misura in cui si rilevano miglioramenti nell’esecuzione degli esercizi proposti, confrontando tra loro le medie dei tempi di reazione. Anche i profili attentivi dei ragazzi si sono modificati, benché non siano visibili degli sviluppi in tutte le scale del test. Dato l’incremento dei risultati nei diversi stili attentivi dei soggetti, sono auspicabili possibili rielaborazioni della ricerca, riutilizzando la medesima procedura adattata al metodo split-half, oppure prolungando i tempi degli allenamenti specifici. Ansia e autostima in bambini praticanti sport ritenuti pericolosi, sport di squadra e non sportivi

Daniela Senarega

Finalità/Obiettivi. Si è voluto verificare se i bambini che praticano sport sono effettivamente più tranquilli, meno stressati e con un livello di autostima più elevato rispetto a coetanei che non praticano alcun tipo di attività sportiva. In seconda battuta si è voluto confrontare l’ansia e l’autostima in bambini praticanti sport di squadra e sport ritenuti pericolosi. Fra gli sport ritenuti pericolosi, secondo la classificazione AICS in cui sono considerati pericolosi gli sport con maggiori frequenze di infortuni, abbiamo scelto la ginnastica artistica e come sport non pericolosi gli sport di squadra più comuni: pallacanestro, calcio, pallavolo. Allo scopo di verificare l’ipotesi abbiamo utilizzato alcuni test mirati. Al campione di 53 bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni (età media 9; DS 1,21) di cui il 76% sono femmine (38) e il 23% maschi (12) e 3 maschi e femmine non sportivi sono stati somministrati due tipi di test: la W-E Scale strutturata in 18 item adattata per l’Italia e il TMA. Si sono scelti questi due test in quanto ritenuti più adatti per i bambini dell’età del campione. Si sono distribuiti ai bambini e ai genitori in modo che, questi ultimi potessero eventualmente aiutare i figli nella compilazione, il tutto dopo aver svolto con loro incontri preliminari. Inoltre, è stato richiesto agli sportivi anche il tipo di sport praticato e la frequenza a quello sport. Il 66% delle femmine pratica ginnastica artistica (25), il 67% dei maschi pratica sport di squadra (8), 3 maschi praticano ginnastica artistica e 11 femmine praticano giochi sportivi, tutti con una frequenza almeno bisettimanale. Dopo aver somministrato i test si sono raccolti e analizzati i dati.

Risultati. Riguardo all’ansia i soggetti, sia maschi sia femmine, che non praticano sport, presentano un moderato livello d’ansia, l’80% dei soggetti che praticano sport di squadra risultano meno ansiosi, se sottoposti a situazioni stressanti, i soggetti che praticano sport ritenuti pericolosi evidenziano un livello d’ansia molto basso. L’85% sia dei maschi sia delle femmine della ginnastica artistica presenta un livello di ansia minore o inesistente in situazioni d’esame. Si può quindi affermare che, da questo tipo di test, risulta concretizzarsi l’ipotesi iniziale secondo cui i soggetti che praticano sport, di qualsiasi tipo, anche se pur con limitata frequenza, presentano uno stato d’ansia minore o addirittura inesistente in situazioni d’esame rispetto a soggetti che invece non praticano alcun tipo di attività sportiva. Riguardo all’autostima si è riscontrato che il livello di autostima nei soggetti non risulta molto elevato nei 3 gruppi che abbiamo preso in considerazione. In tutti i soggetti che non praticano sport (3) si riscontrano 5 valori tendenti al negativo risultando inferiori al punteggio medio di 62,5: le dimensioni interessate dal valore negativo sono: scolastica e corporea per i maschi, familiare, scolastica e ambientale per le femmine. Nei soggetti che praticano sport di squadra si riscontrano 2 soli valori tendenti al negativo risultando inferiori al punteggio medio, le dimensioni interessate dal valore negativo sono: interpersonale per i maschi, scolastica per le femmine. Nei soggetti che praticano sport ritenuti pericolosi si riscontra solo 1 valore tendente al negativo in quanto inferiore al punteggio medio, la dimensione interessata dal valore negativo è quella scolastica solo per i maschi, tutte le ginnaste hanno punteggi superiori al punteggio medio, quindi un buon livello generale di autostima.

Discussione/Conclusioni Dall’analisi dei risultati ottenuti con il test W-E, sembra concretizzarsi l’ipotesi iniziale secondo cui i soggetti che praticano sport, di qualsiasi tipo, anche se pur con limitata frequenza, presentano uno stato d’ansia minore o addirittura inesistente in situazioni d’esame rispetto a soggetti che invece non praticano alcun tipo di attività sportiva. Il test TMA, rispetto agli altri questionari somministrati che valutano l’autostima in generale o in un solo ambito specifico, indica aspetti diversi: come il soggetto valuta i suoi rapporti sociali, con i suoi pari o con gli adulti, come si relazioni a contatto con fallimenti o successi a livello scolastico, come gestisce le emozioni dentro e fuori casa. Dai dati rilevati si può constatare che le aree in cui si riscontrano punteggi più alti e quindi più positivi, sono quella corporea e quella familiare, soprattutto negli sportivi, sia frequentanti sport di squadra sia ginnastica artistica. I soggetti praticanti sport pericolosi hanno ottenuto i punteggi migliori, anche rispetto agli sportivi degli sport di squadra, con un valore negativo solo nell’area scolastica per i maschi. Il lavoro verrà presentato come poster. Allenare e misurare l'attenzione nel calcio con il metodo Biofeedback Powermens

Paolo Tirinnanzi

Finalità/Obiettivi Nel campo della Psicologia dello Sport l’utilizzo del biofeedback (BFB) è diventato sempre più frequente ed è una procedura sperimentale non invasiva che permette ad uno sportivo di regolare le proprie funzioni psicobiologiche e aiutare a prendere consapevolezza dei processi interni che non sono tipicamente controllati coscientemente. La risposta galvanica della pelle (GSR) è uno dei metodi più utilizzati in psicofisiologia e assieme allo studio della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) sono un valido strumento per aiutare gli atleti a regolare ed affrontare lo stress della competizione per migliorare la funzione neuromuscolare. Sul fondamento di ciò è stato ideato un nuovo metodo, PowerMens, che per la prima volta utilizza queste conoscenze scientifiche ai fini di un allenamento specifico dell’attenzione visiva dei calciatori. L’obiettivo di tale ricerca è stato quello di esaminare sugli atleti gli effetti derivanti da attività ad elevata pressione determinate da compiti di attenzione visiva che provocano un carico attentivo e cognitivo, e come gli atleti hanno imparato ad autoregolarsi favorendo l’omeostasi corporea a fronte di eventi stressanti.

Metodo La ricerca, strutturata in pre-test, training, post-test, ha coinvolto 20 calciatori divisi in due gruppi, sperimentale e controllo, della categoria Primavera 3 della società SS Arezzo Calcio. I calciatori, nel pre- e nel post-test, hanno eseguito una prova con i Semafori Witty SEM che induce un carico attentivo, e sono stati profilati nelle loro funzioni psicobiologiche, GSR e HRV, con la strumentazione Biofeedback. Il test seguiva tre periodi: livello basale, carico attentivo, recupero. Durante il periodo bimensile tra il pre- e post-test il gruppo di controllo ha svolto un training con tecniche di allenamento mentale e visione di filmati motivazionali, mentre il gruppo sperimentale è stato formato con il metodo PowerMens, che integra il BFB con Mental Games e promuove il controllo del livello di arousal e il ripristino dell'omeostasi tramite l’utilizzo di giochi che provocano cambiamenti psicofisiologici.

Risultati I risultati di questa ricerca hanno evidenziato nel gruppo sperimentale una maggiore capacità di autoregolazione cognitiva ed emotiva e una evidente adattabilità a compiti stressanti, nello specifico la capacità e l'efficienza nel tornare all'omeostasi dopo un carico attentivo (GSR t (9) = 4.54, p = 0.001; HRV t (9) = 2.92, p = 0.017), ed il miglioramento del tempo nelle prestazioni negli esercizi di attenzione selettiva visiva (t (9) = 1.94, p = 0.042). È stato applicato un t-test per campioni appaiati, per esaminare le differenze in ciascun gruppo prima e dopo il training, ed è stato applicato un t-test per campioni indipendenti al fine di esaminare le differenze dei due gruppi prima e dopo il training.

Discussione/Conclusioni I risultati descritti suggeriscono che il nuovo metodo PowerMens, sperimentato in questo studio per la prima volta, ha migliorato nel gruppo sperimentale la capacità di autoregolazione e adattabilità a compiti stressanti potenziando l'interazione tra funzioni vegetative e cognitive. Tuttavia, nonostante sia uno studio preliminare incoraggiante, al fine di avvalorarne ulteriormente i risultati, è auspicabile approfondire tale tecnica con ulteriori studi aumentando il campione di atleti ed il periodo temporale di applicazione