DANTE “A MENTE” DI BENIGNI Nei Primi Giorni Di Febbraio Del 2007, In

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DANTE “A MENTE” DI BENIGNI Nei Primi Giorni Di Febbraio Del 2007, In RINO CAPUTO DANTE “A MENTE” DI BENIGNI Nei primi giorni di febbraio del 2007, in occasione dei festeggiamenti giubilari per il pensionamento di Franco Musarra, prestigioso maestro dell’Italianistica di Lovanio, Roberto Benigni, reduce dagli ormai planetari successi cinematografici, ha recitato “a mente”, secondo la sua stessa espressione e, cioè, a memoria, il canto V dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca. Non era, del resto, la prima volta che l’artista eseguiva tale performance: già alcuni anni prima, in sedi universitarie come in molti teatri e istituzioni culturali estere, e soprattutto, archetipicamente, nel suo memorabile intervento nel corso della trasmissione televisiva Babele (un programma di divulgazione libraria e cul- turale, condotto da Corrado Augias, che ha avuto un buon seguito di audience, in particolare per la capacità di rendere spettacolare il dibattito intellettuale), Benigni aveva, per così dire, “improvvisato” il canto V dell’Inferno. Ma, oltre al riconoscimento dovuto all’abilità del protagonista dei suddetti eventi e all’importanza dello spazio massmediale interessato – la televisione – e prima di accennare almeno ad alcune tra le esperienze significative di esecuzione “ad alta voce” e, cioè, oralmente, della Commedia per tutto il corso degli anni Ot- tanta e Novanta, occorre premettere alcune considerazioni solo apparentemente di contorno. La prima è che Dante è un autore che presso il pubblico italiano funzio- na ancora e sempre. Le ragioni di tale persistente interesse superano la spiegazione più ovvia e, cioè, il valore storico-culturale del poeta fiorentino e della sua opera. Dante, ormai, com’è stato già da tempo rilevato, è un autore quasi naturalmente audiovisivo, ben inserito nella connessione contemporanea dei vari mezzi di comu- nicazione di massa1. Eppure il ricordo del significato assunto dall’opera dantesca 1 Cfr. AMILCARE A. IANNUCCI, Dante, Television and Education, in «Quaderni d’Italianistica» X (1989), 1-2, pp. 1-33 e, anche, Dante autore televisivo, in «Le Forme e la Storia», n.s., VI (1994), pp. 107-124. I testi suddetti prendono le mosse dal convegno Dante at the Movies and on Tele- vision. A Charles Speroni Chair Colloquium, organizzato dal Department of Italian della UCLA 57 4. Caputo.indd 57 17/02/2020 12:17:12 Rino Caputo dal primo Ottocento in poi e, soprattutto, per tutta la fase del Risorgimento na- zionale, è per il pubblico italiano la premessa di ogni attenzione emotiva e di ogni sensibilità, per così dire, mediatica. Non si spiegherebbe, se così non fosse, il titolo solo apparentemente singolare di un articolo, uscito alle soglie degli anni Duemila, che fa la cronaca di una lectura dantis di Vittorio Sermonti, di fronte a un (sempre più) vasto pubblico di ascoltatori: Dante for President («Il Diario», III, 1998, 7). Si noti che questo titolo costituisce il centro tematico e grafico della copertina del periodico che, appunto, presenta la “conversazione” del giornalista Luca Fontana con Vittorio Sermonti accompagnata dal significativo commento: «Alla ricerca della nostra lingua, della nostra identità na- zionale e del nostro senso di comunità: perché l’Alighieri continua ad essere attuale (e fantastico)». E, del resto, il più appropriato titolo dell’articolo contenuto nelle pp. 16-24 è: «Il piacere di leggere Dante». Da questo consolidato punto di vista, si può affermare che il Dante italiano diverge ancora molto da quello nordamericano, di Ch. Eliot Norton e di Charles S. Singleton, come di John Freccero e dell’ultima generazione di esegeti canadesi e statunitensi: Dante è per gli italiani, fin dai banchi della scuola, il «ghibellin fuggiasco», quello un po’ storicamente e ideologicamente contraddittorio, ma poeticamente riuscito, dei Sepolcri di Ugo Foscolo, lo stesso autore che consegna alla generazione successiva di intellettuali e patrioti, di poeti e soldati (garibaldini e regolari), la formula canonica della fondazione della civiltà, non solo letteraria, italiana: «Dante tenzona, Petrarca suona» ovvero Dante lotta e trasforma lo stato di cose e Petrarca, invece, modula versi che, pur non incidendo immediatamente sulla realtà, consente di leggerla, per così dire, soprattutto in relazione agli stati d’animo emozionali. Dal canto suo Francesco De Sanctis, il grande critico e stori- co della letteratura italiana dell’Ottocento, proseguirà su questa linea, con la sua acuta esegesi venata di motivazioni romantico-risorgimentali, fino a stabilire Dante come archetipico genitore dell’Italia unita in Stato e Nazione2. Di qui le tante vie e piazze intitolate – come ogni visitatore delle più belle città italiane, piccole e gran- di, può agevolmente notare – innanzitutto a Dante, oltre che a Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele II e Cavour, i quattro più celebri protagonisti del Risorgimento nazionale italiano. (Los Angeles, 29-31 maggio 1997) sulla base dell’iniziativa del sempre compianto illustre dantista canadese, ma di intensa cultura linguistica e letteraria italiana, Amilcare A. Iannucci. In quell’occa- sione chi scrive riferì i primi risultati della ricerca svolta intorno alle “esecuzioni” dantesche nella radiotelevisione italiana, e di Roberto Benigni in particolare, rammentate dagli accademici dell’U- CLA all’attenzione del Nostro, nell’occasione prestigiosa del ritiro dell’Oscar nel marzo del 1999. 2 Rinvio, per un più ampio sguardo sull’intera problematica, al mio Per far segno. La critica dantesca americana da Singleton a oggi, Roma, Il Calamo, 1993, rielaborato nel più largo Il pane orzato. Saggi di lettura intorno all’opera di Dante Alighieri, Roma, Euroma, 2003. 58 4. Caputo.indd 58 17/02/2020 12:17:12 Dante “a mente” di Benigni Occorre premettere, tuttavia, che le performances di Benigni non esauriscono il panorama di «Dante on television». È, quindi, allora possibile delineare una produttiva sequenza negli scorsi ultimi decenni. E le lontane premesse sono, poi, da ricercare nella duttilità del mezzo televisivo, in grado di contenere il teatro come la poesia, il cinema come il servizio quotidiano d’informazione giornalistica (quest’ultimo avviato, peraltro, sempre più progressivamente, a irreversibile spet- tacolarizzazione e, oggi, al predominio del mezzo digitale). Basterà ricordare, in proposito, e a titolo esemplare, l’importante messinscena televisiva dell’Orlando Furioso, adattata dall’opera di Ludovico Ariosto a cura di Luca Ronconi, e l’uso, allora sempre più crescente, dei grandi attori teatrali e cinematografici nello spazio televisivo, culturale e non: si pensi a Eduardo De Filippo, a Carmelo Bene oppure a Vittorio Gassman, al quale, in particolare, si debbono, com’è noto, le più reite- rate e rimarchevoli attenzioni televisive a Dante e alla Commedia. E tutto ciò ha avuto, inoltre, un benefico effetto per la letteratura italiana in quanto tale: si pensi alle varie ricorrenze centenarie per Petrarca, Leopardi, ecc. È però davvero proverbiale la difficoltà di rendere la Commedia attraver- so il mezzo audiovisivo. L’arduo compito è stato svolto, tuttavia, da volenterosi quanto ardimentosi autori e registi cinematografici fin dai primi anni del Nove- cento. E saranno da ricordare, allora, l’Inferno di Dante, diretto e interpretato da Giuseppe de Liguoro alla fine degli anni Dieci del Novecento e Dante e Beatrice di Mario Caserini del 19123. E più numerosi e noti sono, poi, gli esperimenti e le produzioni effettive realizzate al di qua e al di là dell’Atlantico nei decenni successivi, fino alla comparsa del mezzo radiotelevisivo: sarà, forse, da ricordare, in Italia, la Vita di Dante realizzata nel 1965, in occasione del settimo centenario della nascita del poeta, dal regista Vittorio Cottafavi con protagonista Giorgio Albertazzi. È però singolare (come, pure, è stato già evidenziato) che la resa televisiva della Commedia in Italia si sia configurata, all’inizio, come un’impresa soprattutto accademica, con gli indubbi meriti intrinseci ma, anche, con gli inevitabili difetti di appesantimento dello specifico risultato spettacolare. Si deve, infatti, al compian- to Giorgio Petrocchi, editore critico della Commedia, coadiuvato da un ristretto manipolo di colleghi dantisti, storici della lingua e della letteratura italiana, la pre- disposizione di una lectura dantis in cui il “commento” critico-esegetico si unisce all’esecuzione vocale e visiva di tre grandi attori “dicitori” come Giorgio Albertaz- zi, Giancarlo Sbragia e Enrico Maria Salerno. Ma non si tratta di contrapporre sensibilità scenica a rigore scientifico; di cer- to, una maggiore reciproca libertà avrebbe valorizzato la specifica resa audiovisiva, 3 Cfr. Il Dante di Gassman. Cronaca e storia di un’interpretazione della “Divina Commedia”, a cura di MAURIZIO GIAMMUSSO, Milano, Mondadori, 1994, p. 67 ma, soprattutto, in seguito, Dante nel cinema, a cura di GIANFRANCO CASADIO, Ravenna, Longo, 1996. 59 4. Caputo.indd 59 17/02/2020 12:17:12 Rino Caputo impedendo forse l’esito più scontato di una sorta di “teatro in televisione”. Un teatro, si badi, privo, peraltro, della sua peculiare attrazione drammatica. Quello che risalta, paradossalmente, dall’esperienza di Petrocchi e del suo re- gista Marco Parodi, svoltasi verso la metà degli anni Ottanta, è appunto la conge- niale “oralità” del testo della Commedia, come se esso fosse stato scritto da Dante per essere letto e scritto per essere “detto”. Tale dotazione dell’opera dantesca è apparsa evidente in tutte le operazioni di sceneggiatura teatrale e audiovisiva susseguitesi, appunto, negli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta.
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