Il Fansubbing Come Mediatore Della Cult-Testualità Nell'industria Culturale Italiana
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Il fansubbing come mediatore della cult-testualità nell'industria culturale italiana Dipartimento di Storia dell'arte e Spettacolo Dottorato di ricerca in Musica e Spettacolo Candidato Maria Martina Cervino Matricola 1432742 Tutor Co-tutor Mauro Di Donato Andrea Minuz Anno Accademico 2016/2017 Indice Introduzione p. 4 Capitolo 1 – Civiltà di massa e culture minoritarie p. 10 1.1 “Una delle tre o quattro parole più complicate della lingua inglese”. Breve storia della “cultura” a cavallo tra XIX e XX secolo p. 10 1.2 La “struttura del sentimento”: cultura e pubblico di massa p. 15 1.3 Codifica e decodifica: media, ideologia e polisemia p. 22 1.4 Il paradigma incorporazione/resistenza tra post-strutturalismo e populismo p. 26 1.5 L’audience diffusa: i Media studies verso la società performativa p. 29 1.5.1 L’esperienza contro le retoriche della resistenza p. 34 - 1.5.2 Creatività culturale vincolata: gli Audience studies alla prova del quotidiano p. 36 Capitolo 2 – I Fandom studies p. 39 2.1 Che cos’è un fan? Evoluzione di una categoria p. 39 2.2 La comunicazione di massa e l’ “audience vulnerabile” p. 48 2.3 Incorporazione e resistenza: il fandom nella teoria della subculturalità p.50 2.4 Fan activities: letture scorrette p. 53 2.5 Cultura della convergenza tra partecipazione ed economia affettiva p. 57 2.6 I media come spazio transizionale p. 62 2.7 Grassroots: il confine tra produzione e consumo p. 67 Capitolo 3 Il fansubbing: dal Giappone all’Italia, passando per gli States p. 77 3.1 Anime giapponesi e fansubbing americano p. 77 3.2 Serialità americana e fansubbing italiano p. 86 Capitolo 4 – La teoria dell'adattamento p. 95 4.1 Gli Audiovisual translation studies p. 95 4.2 La “cultural turn” e la scuola di Tel Aviv p. 97 4.3 Strategie e parametri tecnici nelle pratiche della traduzione dell'audiovisivo p. 102 4.4 Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e culturali p. 105 4.4.1 Audiomedialità p. 107 - 4.4.2 Invisibilità p. 108 - 4.4.3 Doppiaggese p. 111 4.5 La sottotitolazione: una “traduzione vincolata” p. 113 4.5.1 I vincoli tecnici p. 114 - 4.5.2 I vincoli culturali p. 116 4.6 Tradurre l’umorismo p. 118 Capitolo 5 – Le strategie dell'adattamento tra umorismo, cultura e (auto)censura p. 125 5.1 Oggetto dell'analisi p. 125 5.2 Termini dell'analisi p. 134 5.3 Risultati dell'analisi del corpus p. 139 5.3.1. La subcultura nerd: faglia culturale, linguaggio condiviso p. 142 - 5.3.2. Le religioni tra tabù e political uncorrectness p. 148 - 5.3.3. The Mid- dle: variazioni sociolinguistiche dell'America di mezzo p. 157 Conclusioni p. 165 Appendice – Il corpus: The Big Bang Theory p. 169 Bibliografia p. 279 Introduzione Questa ricerca è prodotto di tre anni di studio a cavallo di una delle più grandi rivoluzioni mediali e culturali degli ultimi decenni, l'avvento di Netflix, approdato in Italia nell'autunno del 2015. È un fenomeno figlio della rivoluzione che Chris Anderson raccontava già nel 2004: laddove un cinema non può permettersi di proiettare un film se non riesce a raccogliere 1500 persone in due fine settimana, o lo spettro radiofonico non può contenere che un numero limitato di stazioni, e la logica dell'analogico impone di affidarsi solo a sicuri successi commerciali per sopravvivere, nell'era di Internet e della banda larga con costi contenuti ci si garantisce spazi pressoché illimitati. Il discorso che Anderson faceva in merito ad Amazon e l'industria editoriale vale anche per l'industria audiovisiva: la scarsità di un tempo lascia oggi spazio a una sconfinata abbondanza che mette lo spettatore nelle condizioni di scegliere. Da un lato pochi successi assicurati, dall’altro tanti prodotti adatti ognuno a piccoli frammenti di audience. Naturalmente il costo di produzione di un film o di una serie televisiva è enormemente più alto di quello di un libro; l'audiovisivo non potrà mai permettersi l’infinita rosa di alternative che invece può offrire mercato editoriale. Eppure, se mai c'è stata un'epoca in cui l'audiovisivo è sembrato somigliare alla libreria più grande del mondo, è proprio questa. Ormai anche il piccolo schermo ha le sue nicchie. L’attuale abbondanza di emittenti e di contenuti, che indicheremo con la categoria ombrello di narrowcasting, proprio a significare l’opposto del broadcasting tradizionale e generalista, allude a un tipo di telecomunicazione a raggio ristretto (narrow), specializzato, per un pubblico più targetizzato. Negli ultimi anni, prodotti non mainstream, potenzialmente rischiosi, hanno riscosso un buon successo. Improvvisamente, i network hanno iniziato ad ascoltare le voci di un pubblico più esiguo e più esigente, ad apprezzare la creazione delle subculture di fandom e ad inseguire i telespettatori su tutti i mezzi di comunicazione disponibili. Il sistema, collaudato nel caso di Amazon, mostra ancora forti segni di incertezza nel caso della televisione. 4 La televisione statunitense sta vivendo quella che è stata definita l'era della Peak TV, un'era che sconfina la semplice “abbondanza” della famosa nomenclatura di John Ellis, che entra nel merito della qualità oltre che della quantità, a indicare le decine e decine di nuovi titoli prodotti ogni anno, tra i quali, spesso, prodotti che raggiungono un pubblico molto piccolo ma hanno una risonanza mediatica e un successo di critica tali da accaparrarsi premi prestigiosi. Almost Nobody Watches Most Emmy-Nominated Shows era il titolo di un articolo comparso su Variety a ridosso degli Emmy del 20171, che presentava i dati di uno studio sul pubblico della programmazione “di prestigio” tra broadcaster tradizionali e piattaforme over-the-top: a differenza dei dati d'ascolto ufficiali prodotti giornalmente da Nielsen, al campione veniva chiesto semplicemente di rispondere se avesse mai visto o anche solo sentito nominare i titoli in questione. Il vantaggio non dichiarato era quello di poter misurare in qualche modo il pubblico delle OTT, che rifiutano di divulgare dati precisi sulla fruizione dei loro prodotti. La comedy che nel 2017 ha vinto il suo terzo Emmy consecutivo, Veep, era stata vista dal 10% del campione. This Is Us, il primo drama di uno dei big three network ad essere nominato dai tempi di The Good Wife nel 2011, era stato visto dal 35% del campione ed era almeno conosciuto da un ulteriore 21%, ma l'Emmy è andato a The Handmaid's Tale di Hulu, che era stato visto solo dal 5% del campione. Peak TV significa anche una difficoltà da parte delle serie ad emergere nel mare magnum di prodotti offerti al pubblico tra broadcasting e OTT. Aldilà della manciata di serie che raggiungono la shortlist degli Emmy e dei Golden Globe, esistono decine di titoli che cercano di farsi spazio. La stessa definizione di Peak TV è stata coniata da John Landgraf, CEO del canale via cavo FX, che da anni propone una programmazione di qualità e coraggiosa nella scelta di temi e voci nuove. In un panorama come quello 1 D. Holloway, Almost Nobody Watches Most Emmy-Nominated Shows (Consultato il 15/09/2017) Disponibile al link http://variety.com/2017/tv/news/almost-nobody-watches- emmy-nominated-shows-1202559617/ 5 del 2017 in cui si può scegliere fra 534 programmi di fiction in onda2, la battaglia per l'attenzione del pubblico è durissima. A questo processo non è del tutto estranea neppure la televisione italiana, che pur non potendo contare sui numeri della produzione interna, tenta di stare al passo della domanda con un'offerta che nella moltiplicazione delle piattaforme comprende circa 360 canali in chiaro e a pagamento3. In uno sforza paragonabile a quello delle emittenti commerciali negli anni Ottanta, la televisione italiana riempie i propri palinsesti di programmi d'importazione fiction e factual cercando di inseguire il pubblico, testimoniando un trend di redistribuzione delle quote di ascolto dalle reti generaliste ai canali tematici. Le forme di narrowcasting che anche in Italia si vanno sperimentando riguardano non solo l'offerta e la programmazione in senso stretto, ma anche nel modo in cui si riconfezionano i prodotti importati. Il doppiaggio, da sempre forma di intermediazione preferita dell'audiovisivo d'importazione in Italia, vede un lento ma inesorabile slittamento da un orientamento integralista e protezionista a uno più flessibile e liberale. Si tratta un passaggio obbligato: alle ragioni istituzionali, economiche e professionali imperanti nel Novecento, hanno iniziato a contrapporsi logiche derivanti da altre considerazioni. Gli inserzionisti, ad esempio, che, assorbito l'impatto della frammentazione delle audience, accettano di scommettere su programmazioni sempre più orientate a segmenti di pubblico. Un'altra fascia di resistenza atavica come quella rappresentata dagli addetti ai lavori dell'industria dell'audiovisivo si trova a fare i conti con un mercato in evoluzione, stretta fra culture produttive dalle radici profonde e spinte all'innovazione da parte dell'utenza. L'8 luglio 2016 si scatena l'indignazione del Twitter italiano per un episodio di How To Get Away With Murder (“Le regole del delitto perfetto”) trasmesso nella prima serata di Rai 2 con il taglio di una scena di bacio gay. 2 P. Viruet, FX Is Still Waging the War Against Peak TV (Consultato il 20/08/2017) Disponibile al link https://www.vice.com/en_us/article/mbbj3x/fx-are-still-waging-the- war-against-peak-tv 3 Confindustria Radio Televisioni, I canali tv in Italia. Primo semestre 2017 (Consultato il 15/09/2017) Disponibile al link http://confindustriaradiotv.it/wp-content/uploads/2017/01/Canali-TV-1H-2017-testo.pdf 6 L'autocensura da parte delle reti di prodotti d'importazione