Intervista a Anja Harteros di Ingrid Haas traduzione in italiano a cura di Bruno Tredicine

Durante l’Opera Festival di Monaco di Baviera del 2010 ho avuto modo di intervistare Anja Harteros, uno dei soprani più importanti dell’attuale scena lirica. Qui a Monaco si è esibita come Donn’Anna in “”, Elsa in “”, e in un recital con Lieder di Schubert, Wolf, Brahms e Strauss. Nata a Bergneustadt il 23 luglio 1972, Anja Harteros è divenuta ben presto uno dei soprani più significativi della sua generazione. Dopo aver vinto nel 1999 il Concorso Singer of the World a Cardiff, è apparsa sulle scene più importanti, come la Bayerische Staatsoper, il Metropolitan di New York, la Scala di Milano, la Staatsoper di Vienna, la Royal Opera House di Londra, la Deutsche Oper di Berlino, la di Dresda, e i teatri di Amburgo, Lione, Ginevra, Amsterdam, Firenze più il Festival di Salisburgo. Ascoltare la Harteros per la prima volta è un’esperienza magica: la sua voce è grande, con un colore caldo, acuti squillanti e centri pieni e ricchi. Ha una presenza scenica imponente con un carisma naturale che cattura l’attenzione, e ha la capacità di fare suoi i ruoli che interpreta: la sua Violetta è una delle migliori degli ultimi anni, in Elsa è magnetica ed è perfetta come Donn’Anna. Come Contessa nelle “Nozze di Figaro” è considerata una delle migliori della scena operistica odierna. E’ meravigliosa in Mozart come in Verdi, o Strauss, Wagner, e anche Händel (che ha cantato a Monaco, alla Scala e a Vienna, in ). Per la nostra intervista ci siamo incontrate alla Bayerische Staatsoper. Aveva appena cantato in una delle due repliche di “Lohengrin”, in un allestimento di Richard Jones che aveva già interpretato l’anno precedente con grande successo, ora disponibile in DVD. E’ una donna affascinante, alta, con grandi occhi, uno sguardo delicato e una personalità radiosa. Abbiamo cominciato a parlare di fronte al grande specchio del suo camerino, e ci ha parlato dei suoi inizi, dei ruoli che ha interpretato e della sua visione della musica e dei personaggi che affronta.

Quando è stato il suo primo incontro con l’opera? Fu quando ero a scuola e andai in gita coi miei compagni fino a Colonia, per vedere il “Flauto magico” per bambini. Fu un’esperienza emozionante, e poi andammo a vedere “Hänsel e Gretel”, “”, “La Bohéme” e molte opere che si davano sempre a Colonia.

Quale fu la sua prima impressione? La trovò piacevole e nulla di più, o immaginò che un giorno avrebbe potuto far parte di quel mondo? La trovai una cosa bellissima, e pensai che sarebbe stato emozionante trovarsi sul palcoscenico, ma non fu allora che decisi di diventare una cantante.

Suona qualche strumento? Suonavo il flauto dolce, e poi, quando mi feci più grande, il violino. Facevo parte dell’orchestra e del Coro della scuola e a 15 anni decisi di prendere lezioni di canto. Per me cantare era una cosa tanto meravigliosa, che decisi di sostenere l’esame per essere ammessa al Conservatorio di Colonia, cosa per cui era necessario saper suonare il pianoforte, così presi lezioni anche di questo strumento.

Quando canto la sua prima opera? Fu al liceo, in una versione da concerto di “Don Giovanni”, come Zerlina. Avevo 13 anni e fu solo per divertimento, ancor prima che iniziassi a studiare canto. Da professionista ho debuttato come Servilia nella “Clemenza di Tito” a 23 anni, poi fui Gretel in “Hänsel e Gretel”. Dopo due anni, quando andai all’Opera di Bonn, cambiai verso un repertorio più pesante e a 25 anni cantai la Contessa, Fiordiligi, Mimì, Agathe…

Quando passò a questi ruoli più impegnativi, lo fece perché pensò che fosse la cosa più giusta per come era maturata la sua voce? Fu il suo insegnante di canto a dirle che era il passo giusto? A questo tipo di ruoli, la mia voce è arrivata naturalmente. Per compiere i primi passi da professionista, prima sono dovuta tornare verso un repertorio più leggero, una cosa che ha fatto bene alla mia voce, che all’inizio non era pronta per ruoli più pesanti. Nei due anni che ho passato al teatro di Gelsenkirchen presi lezioni di canto nel liceo musicale di quella città e anche a Colonia, dove mi recavo il lunedì, giorno libero per il teatro. In queste lezioni che ho imparato a cantare la Contessa, Fiordiligi e tutto il resto.

Questo ha segnato l’inizio del suo rapporto con un compositore che è stato, è e sarà (ci auguriamo) nel suo repertorio ancora a lungo: Wolfgang Amadeus Mozart. Ha cominciato cantando Servilia e Zerlina, ruoli più leggeri, poi la sua voce si è evoluta e ora canta Donn’Anna, Fiordiligi, la Contessa. Secondo lei Mozart è un elemento chiave sia i cantanti più giovani che per quelli in carriera? Per me Mozart è alla base di tutto. Se sono capace di cantare la Contessa nel modo giusto, la mia voce può lavorare con i colori, con la chiarezza e la precisione di uno strumento, ma con emozioni e sentimenti. Questa è la difficoltà di Mozart, bisogna essere precisi come uno strumento dal bel suono.

A proposito della Contessa, secondo lei è un personaggio che cambia da quando canta ‘Porgi amor’ rispetto a ‘Dove sono i bei momenti’? C’è un’evoluzione anche nel suo aspetto vocale o è sempre un lirico? No, per me il suo carattere cambia molto. In un dato momento è triste, subito dopo appare felice e sorride perché non deve mostrare la sua tristezza davanti agli altri dato che è la Contessa! Deve controllarsi sempre . E’ bellissimo vederla nei vivaci intrighi con Cherubino, perché in quel momento perde un po’ del suo rango di Contessa e in “Porgi, amor”ci apre anche il suo cuore e ci mostra la sua malinconia. Per il pubblico è coinvolgente vedere una Contessa in un tale stato d’animo.

C’è stato un cambiamento nel modo in cui le opere di Mozart vengono messe in scena e cantate negli ultimi cinquant’anni? Sì, c’è stato un grande cambiamento. Basta osservare il ruolo di Pamina, ad esempio. Non l’ho mai cantata ma penso che se avessi vissuto negli anni ’50 avrei avuto la voce giusta, mentre oggi non sarebbe possibile per me cantarla senza essere criticata.

Lei ascolta molto cantanti come Elizabeth Schwarzkopf o Lisa della Casa. Partendo da quel tipo di tradizione, la sua interpretazione degli stessi ruoli ci pare più moderna, specialmente dopo avere ascoltato la sua Donn’Anna. Lei ha l’intensità lirica e la nobiltà per ‘Or sai chi l’onore’ e l’eleganza, i suoni leggeri e la coloratura per ‘Non mi dir’. Ci sono cantanti che riescono bene in un’aria e non tanto nell’altra, lei le fa entrambe in modo perfetto. Come interpreta un personaggio così ambiguo? Penso che i personaggi più ‘lirici’ di Mozart abbiano una personalità molto mutevole, hanno più di un aspetto, sono umani. Possono cambiare, come la Contessa o Fiordiligi. Noi cantanti dobbiamo essere capaci di esprimere questa mutevolezza di comportamenti non solo nella recitazione ma anche nel canto. Le due arie di Donn’Anna sono completamente differenti fra loro: ‘Non mi dir’ è divisa in due parti che possono sembrare due arie diverse. Prima bisogna risolvere questi problemi tecnici, poi bisogna lavorare sull’estetica del ruolo, ed è necessario avere una certa elasticità mentale per eseguirlo. Non ho mai cantato Donn’Anna come l’ho fatto qui a Monaco, questa produzione mi ha aiutato a sviluppare il personaggio. A New York, o in altri posti, l’ho fatto in modo diverso. Prima di affrontare un allestimento penso sempre a cosa voglio fare con il mio ruolo, quali sono i momenti fondamentali, qual è l’aspetto più importante del personaggio, e poi quando inizio le prove, a volte, devo cambiare idea. Qui a Monaco ad esempio ho dovuto rivedere tutto: non avrei mai potuto immaginare che Donn’Anna potesse baciare Don Ottavio in modo così erotico dopo aver cantato ‘Non mi dir’. Per me è stato un po’ sconvolgente e credo che non lo farò mai più, comunque è stata un’esperienza.

Un altro ruolo mozartiano che per lungo tempo è stato associato a lei, grazie alla sua splendida esecuzione, è Fiordiligi, un altro personaggio con molti cambiamenti emotivi, da “Come scoglio” a “Per pietà”. Cosa ci dice in proposito? La cosa più importante di Fiordiligi la si capisce quando si è un artista maturo, non quando si è un giovane soprano. Le piace essere giocosa, essere una ragazza e di avere queste esperienze con gli uomini insieme a sua sorella. E’ il personaggio dal carattere più profondo di tutta l’opera, c’è una differenza fra lei e Dorabella, che è più infantile. Dorabella gioca un po’ coi suoi pensieri tenebrosi, e in “Ah scostati” si mette in mostra e dice che questo è il SUO momento, per lei è anche un gioco.

Quante volte ha cantato Fiordiligi? Molte volte a Monaco, Lione, Bonn, Francoforte… più o meno 50 volte o più.

Così fan tutte è un lavoro di squadra? Certo!

Che accadrà alla fine, a Fiordiligi? Nel duetto con Ferrando si vede che si è innamorata di lui. Credo che alla fine dell’opera tutti siano diventati più adulti, più maturi. Con tutti gli scherzi e il divertimento, Mozart ha la grande capacità di essere tragico, e forse la tragedia più grande di tutta la storia è che Fiordiligi ama Ferrando. La storia fra Dorabella e Guglielmo è solo un gioco, ma Fiordiligi e Ferrando avranno grandi problemi da risolvere dopo l’opera.

Adesso parliamo di un personaggio più tragico, che ha interpretato in modo meraviglioso al Festival di Salisburgo del 2006: Elettra in “Idomeneo”. E’ stato un successo di risonanza mondiale, grazie al fatto di aver fatto parte della produzione per l’anno mozartiano. E’ un ruolo molto difficile perché molti soprani la dipingono come una squilibrata innamorata di Idamante. Come ha affrontato il ruolo in questa produzione, che ha avuto la splendida regia di Karl-Ernest e Ursel Hermann? La cosa importante è di mostrare Elettra come una grande figura della tragedia greca, della statura di Antigone o Medea. Perciò ho deciso di renderla come una donna molto orgogliosa: il suo orgoglio la porta a pensare che Idamante deve amarla, e se non lo fa questo è un affronto per lei, non può accettarlo. Elettra vuol essere amata ma forse non vuol bene neanche a se stessa. Io l’ho resa come un personaggio che non si ama, e che è interessata al potere.

Dal punto di vista musicale torniamo ai contrasti presenti in Mozart, da “Tutte nel cor vi sento” a “D’Oreste e d’Ajace” alla tenera ed eterea “Idol mio”. Qual è la tecnica per arrivare fresca al tour de force di “D’Oreste e d’Ajace”? E’ un problema tecnico, e lo si affronta preparandosi bene. Per un ruolo così, il momento più sorprendente è “Idol mio”: Elettra è un ruolo pesante, a volte brutale, e poi arriva un momento tanto tenero, un aspetto completamente nuovo del suo carattere. Mozart ci sorprende sempre con momenti così! Alle prove con gli Hermann sono arrivata ben preparata perché mi piace sempre riflettere prima sulla parte. Poi, alle prove ho dovuto essere più flessibile per alleggerire un po’ la parte. Avevo l’idea di una donna forte, poi ho dovuto esprimere la sua follia, un momento meraviglioso delle prove. L’allestimento era molto interessante, ambientato in un tempo e un luogo indefinito. Niente era reale, ma alla fine lasciava l’impressione di avere assistito a teatro di prima qualità, una cosa meravigliosa.

Nella seconda parte della nostra intervista parliamo dei suoi ruoli wagneriani e straussiani. Cominciando con Strauss, lei ha cantato e il prossimo giugno ci sarà la sua prima Marescialla del “Cavaliere della rosa” a Monaco. Qual è il suo modo di vedere la musica di Strauss in confronto, ad esempio, a Mozart, e quando ha deciso di affrontare un ruolo simbolo come la Marescialla, lei che è ancora così giovane? Quando in Mozart c’è qualcosa che mi riesce particolarmente difficile da cantare, allora cambio un po’ le carte in tavola e pur nel suo italiano, pronuncio le consonanti alla tedesca. Ad esempio, se canto ‘Temerari…’ accento la prima sillaba: “TEmerari”. Per gli italiani è orribile, ma per la voce è meglio, così il suono rimane più avanti. Non lo farei mai con Verdi, solo con Mozart. Forse perché la sua lingua madre era il tedesco e non faceva caso a questi accenti. Con Strauss è molto importante avere una posizione ‘alta’ della voce per avere un suono leggero, poterlo modulare e renderlo più scuro o più grande in volume. Tutta questa versatilità dev’esserci, ma sempre mantenendo una posizione alta della voce. A proposito dei miei ruoli straussiani,alcuni anni fa ho fatto Arabella a Monaco. Per le prove abbiamo avuto una settimana, ed è un ruolo molto difficile, bisogna essere ben preparati musicalmente e avere una buona resistenza per uno spettacolo così lungo. Cantarlo è stata un’esperienza bellissima, poi lo ripetei ad Amburgo. E’ un ruolo che amo cantare, ma non lo farei ogni anno.

E a giugno 2011 c’è la sua prima Marescialla. Ormai ho 38 anni e secondo il libretto, la Marescialla ne ha 32, per Hoffmanstahl e Strauss non è una donna poi tanto vecchia. Certo, è un ruolo che si può cantare ad una certa età. Forse da un punto di vista psicologico e filosofico i suoi pensieri sono molto profondi, e per una cantante giovane può essere stimolante cantarla, ma per me il punto non è la sua età, ma il suo carattere.

La canterà qui a Monaco… Sarà una prova molto impegnativa. E’ una parte facile da ascoltare ma difficile da cantare. Bisogna avere un fraseggio molto arguto perché lei è così per esempio, nel dialogo col Barone Ochs lei parla, lui parla, poi arriva Octavian…

E c’è uno dei monologhi più interessanti ed emozionanti di tutte le opera di Strauss e dell’opera in generale. Ha preso in esame il trio finale che è un altro grande momento della storia dell’opera? Specialmente perché è la Marescialla a dargli il via… Sì, io comincio e poi termino il trio! E’ lei ad avere l’ultima lunga nota e poi dice ‘In Gottes Name’. Ha in progetto nuovi ruoli straussiani in futuro? Non al momento. Ho pensato a Christotemis, all’Imperatrice nella Donna senz’ombra e naturalmente ad Arianna. Nessun progetto concreto, ma ricevo molte proposte dai teatri e Arianna è in cima alla mia lista.

Ci dica, ora, della sua esperienza con Händel dopo che ha eseguito Alcina a Monaco. Era la prima volta che affrontava il ruolo? La prima volta per Alcina, ma avevo già affrontato Händel quando avevo 24 anni. Eseguimmo una sorta di selezione delle sue arie più famose e cantai la parte di Ricciardo. Mi piace molto cantare Händel, ma la mia voce non è la più adatta…

Ma lei è stata meravigliosa in quella produzione! Era davvero un sogno, con lei nel cast c’erano la Kasarova come Ruggero e Veronica Cangemi come Morgana, grazie al Cielo ne esiste una registrazione. Che ne pensa di Alcina, un altro personaggio tragico? Mi piace cantarlo, e mi ha fatto maturare. Non sapevo se sarei stata accettata per il mio modo di interpretare Händel, perché io non sono una cantante di musica barocca, ma ho cercato di eseguirlo in modo da soddisfare le attese degli appassionati di quel genere. Non mi piace cantare in modo uniforme e dissi ad Ivor Bolton in quale modo avrei voluto cantare e cosa invece non avrei voluto fare

In pratica, lei ha dato la sua versione del ruolo, una cosa splendida perchè è quello che fanno i veri artisti: creare. Ricordo che dopo la sua ultima aria di Alcina un critico disse che era stato il momento musicale più bello che ricordava da anni. Adoro l’ultima aria. E’ a ritmo di danza, credo una passacaglia, ed è un momento molto triste in cui lei, il personaggio, ha perso tutto. La tessitura è molto alta, e molti soprani l’abbassano perché è molto difficile, però quando la si esegue così come è scritta è una musica grandiosa, di altissima qualità. E’ la sua catarsi: è la fine, ma lei, essendo una maga, riuscirà a prevalere e forse andrà su un’altra isola e altri uomini la seguiranno o forse andrà sulla luna, chissà! E’ una maga!

Ora arriviamo a Wagner. Nel 2010 lei è stata Elsa in Lohengrin, nell’allestimento di Richard Jones, che aveva già cantato nel 2009 ed ora si trova anche in DVD. Cosa pensa del ruolo, ora che l’ha eseguito due volte? E’ vero che con Lohengrin è come se Wagner avesse scritto una sorta di opera italiana? E’ una cosa che ho sentito dire molte volte, ma penso che non sia vero. Ha a che fare col modo in cui le frasi sono concepite nell’opera, dove terminano, dov’è il loro punto focale. E’ un qualcosa che si associa più con l’opera italiana che con quella tedesca. Con Wagner bisogna pensare sempre alle frasi. In Tannhäuser, che pure ho cantato, il suono è più diretto, più accentuato. Elsa è molto lirica, deve avere un suono chiaro, luminoso.

Ha avvertito differenze fra la prima volta che ha affrontato il ruolo e quando poi l’ha ripreso l’anno successivo? E’ entrato di più nelle sue corde? E’ un modo di progredire, quando un ruolo è rimasto a dormire per un anno e poi lo si riprende, la seconda volta è tutto più facile. La prima esperienza fu più semplice, perché era tutto nuovo per me, e volevo essere precisa e affascinante. La seconda volta sapevo quali erano le parti con le maggiori difficoltà canore. Dipende anche chi sono i miei Lohengrin e Ortrud, perché devo adeguare l’ingenuità di Elsa ai miei partner. Per esempio, quest’ultima volta Ortrud era Waltraud Meier, che aveva un approccio al ruolo completamente diverso da Michaela Schuster. La mia Elsa non poteva essere completamente ingenua con tutta la perfidia della Ortrud della Meier.

E che ci dice dei suoi Lohengrin, , con una voce più scura, e Robert Dean Smith dalla voce più leggera e lirica? Amo cantare con Jonas, è una persona meravigliosa e la sua voce baritonale è straordinaria. Il suo approccio alla parte è molto diretto, per me è stata un’esperienza bellissima, non vedo l’ora di cantare nuovamente con lui! Ma anche cantare con Robert Dean Smith è stato meraviglioso perché ha un modo molto concreto di mostrare quello che vuole esprimere con questo ruolo. Vuol essere un illuminato mandato da Dio. Per questo tipo di interpretazione è davvero meraviglioso che la sua voce abbia un suono così chiaro e vuole eseguirla in un modo leggero. E’ stato meraviglioso anche questo!

Ci dica qualcosa di questo allestimento, ci sono persone a cui è piaciuto moltissimo ed altre che l’hanno odiato. A me è parso interessante, e ha molto da dire a proposito del rapporto fra Elsa e Lohengrin come coppia. A me, come Elsa, questo allestimento ha spiegato molte cose, perchè il mio personaggio è in scena dal primo all’ultimo momento. In altre produzioni a volte non ci si rende conto che Elsa è sempre sul palcoscenico, e prestiamo più attenzione a Lohengrin, perdendo a volte di vista i conflitti di Elsa e il suo sviluppo come personaggio. Richard Jones ci mostra Elsa come una donna forte, le qualità che la rendono forte sono dentro di lei. A volte viene rappresentata come un’ingenua, ma non è vero. Molti si chiedono perché pone quella fatidica domanda a Lohengrin, ma lei deve farlo per essere fedele a se stessa, e non avrebbe potuto vivere con quel dubbio.

Pensa di cantare ancora Elsa in futuro? Non credo, il ruolo meraviglioso per me, ma non ho bisogno di cantare una parte dappertutto. Certi cantanti lo fanno: portano uno o due ruoli in giro per il mondo guadagnando molto, ma a me non interessa farlo con Elsa. L’opera è lunga e molto difficoltosa per la voce. Ho dimostrato di essere in grado di cantarla, ed è abbastanza!

E’ positivo che lei non si specializzi in due o tre ruoli, ma che canti opera di compositori e stili differenti, senza adagiarsi sui ruoli più comodi. Lei è come i cantanti di una volta, che nella loro carriera affrontavano parti disparate. Credo che questo dipenda dalla qualità della voce. Chi ha una voce adatta solamente al repertorio tedesco, deve restare in quei limiti e non eseguire opera italiane, o viceversa. Secondo me ci sono due tipi di voce: quelle ‘bianche e nere’ e le voci ‘miste’. Le prime non sono migliori delle altre, semplicemente, possono cantare solo un repertorio o un altro. Le voci ‘miste’ possono spaziare in un repertorio più vario, tedesco e italiano ad esempio, o musica antica o moderna. La mia voce mi ha dato l’opportunità di cantare in repertori diversi e cerco di usare la mia esperienza in Mozart quando canto Verdi, o quella verdiana se canto Wagner. E’ un’evoluzione molto interessante, meravigliosa!

Ora arriviamo ai suoi ruoli verdiani: lei ha cantata Violetta (di cui c’è una bellissima registrazione con l’Alfredo di Piotr Beczala ), Amelia in “” a San Diego, Londra, alla Scala e a Berlino con Placido Domingo, Desdemona, Alice Ford, Elisabetta in “Don Carlo” e…. Anche la Voce del Cielo, sempre in Don Carlo! L’ho cantata il primo anno a Monaco. Mi dissero: domani c’è la prova generale di “Don Carlo”, e devi cantare la Voce del Cielo. Io dissi: “va bene, ma non conosco l’opera!” Il regista mi disse: “non preoccuparti, è solo una frase, puoi impararla oggi e domani venire in scena, ti farò un segno e inizierai a cantare”. Io acconsentii,, ma il problema è che ero SUL palcoscenico, mentre in genere la Voce del Cielo canta da dietro le quinte e il direttore dice quando si deve cominciare a cantare. Qui, facevo parte del coro e avevo un abito nero, faceva un gran caldo ed eravamo all’autodafè, e in ogni momento pensavo, “ora devo cantare”! Ci fu molto da aspettare, e alla fine il regista dimenticò di darmi l’ingresso! Così qualcuno del coro mi disse. “Tocca a te!”, ed io cantai… non fu al momento giusto, comunque sia, il sovrintendente venne dopo da me e mi disse: “La parte è tua, la canterai alla prima”! Fu molto buffo. La mia prima esperienza con Verdi!

Poi, però, ha cantato anche Elisabetta, nella stessa opera… Sì, la prima volta fu in Norvegia nel 2008 per l’inaugurazione della nuova Opera di Oslo dove cantai anche nel gala di inaugurazione ufficiale. Don Carlo aprì ufficialmente la stagione. Alla prima ero molto emozionata perché mi addentravo in Verdi più cupo, più drammatico. Mi trovai bene, e dopo la prima e durante tutte le repliche miresi conto che la mia voce era adatta a questa musica.

Come si è evoluto nel tempo per lei il personaggio di Violetta? L’ha cantata a San Diego, New York, Monaco… A San Diego ero troppo timida, e non volevo darne il ritratto come di una vera cortigiana. Volevo renderla come una donna seria e onesta, senza la parte frivola della sua vita, non potevo credere che ne fosse felice. Poi ho cambiato atteggiamento: penso che anche l’essere una cortigiana fosse importante, perché lei era la più desiderata di tutte. Bisogna mostrare il suo amore sincero per Alfredo, e anche l’altro aspetto della sua vita. Forse anche il fatto che deve morire, sempre col sorriso sulle labbra, è diventato parte della mia interpretazione. E’ quel tipo di ruolo in cui si trova sempre qualcosa di nuovo, un aspetto diverso in ogni rappresentazione.

Come vede il suo cambiamento durante il dialogo con Germont? Cambia, nel senso che non vede più se stessa come il centro della sua vita. Prima era un po’ egocentrica ora l’amore per Alfredo le porta un nuovo modo di vedere se stessa. E’ vero amore, ma un’altra volta, è un amore che gira intorno a lei, è lei di nuovo il centro dell’universo. Però quando Germont le parla di sua figlia, arriva una nuova persona nella sua vita, e lei sente che c’è questa ragazza di cui deve preoccuparsi. E’ una sconosciuta, la figlia di Germont, che ha bisogno di lei per essere aiutata. A quel punto reagisce come una madre, che deve scegliere tra il proprio figlio e il marito. Violetta deve proteggere questa ragazza, perché sa che prima o poi Alfredo potrebbe anche lasciarla per un’altra donna, così compie questa buona azione.

Da un punto di vista musicale, lei crede alla leggenda delle ‘tre voci’ di soprano che servono per i tre atti? Il discorso delle tre voci è molto interessante, perchè Violetta è molto difficile da cantare e sarebbe bello possedere il tipo di voce ideale per cantare ognuno dei tre atti, ma credo che sia impossibile. Quando la si canta, bisogna sapersi evolvere dal primo all’ultimo atto. Devo farlo con la mia voce, ma usando i diversi colori e mostrando Violetta in tutti i suo iaspetti. Questo è un modo di risolvere i segreto delle ‘tre voci di soprano diverse’!

Sempre a proposito dei suoi ruoli verdiani, ha cantata Amelia Grimaldi in “Simon Boccanegra” con molto successo, anche alla Scala con Placido Domingo come protagonista. Quando è stata la prima volta che l’ha cantata? A San Diego.

Cosa pensa di questo ruolo, dopo averlo cantata in produzioni diverse in tutto il mondo, come a San Diego, Londra, Berlino e alla Scala? Prima di tutto, per me Simon Boccanegra ha una musica e delle armonie meravigliose. E’ molto cupa, questa è una delle difficoltà dell’opera, specie per il soprano, perché tutti sono così tenebrosi, e per il soprano è difficile arrivare e cantare portando una nota di gioventù, anche se non sono richiesti esplicitamente dei suoni fanciulleschi. È questo a rendere l’opera e il ruolo stesso molto difficili. L’opera si chiama ‘Simon Boccanegra’ e il protagonista è lui, io devo dare forza al mio personaggio perché non è sempre in scena come gli uomini, non è come Violetta. Amelia/Maria Boccanegra è presente per portare avanti la storia. In più, l’opera di per sé è scenicamente statica, e le parti maschili hanno tutte un chè di magniloquente, è difficile stabilire un vero rapporto fra i diversi personaggi. Nella trama ci sono molti intrighi politici, una lotta fra gli uomini e Amelia vi si trova al centro e deve proteggere suo padre. E’ un’opera anche molto difficile da mettere in scena, ma le mie esperienze in merito sono sempre state bellissime. A San Diego l’allestimento era molto austero e Amelia era la presenza giovanile dell’intreccio. A Berlino mi sono trovata in una produzione dove Amelia era in pigiama, una cosa un po’ bizzarra… l’esperienza con Domingo è stata incredibile perché è un grande artista una persona semplice e un cantante meraviglioso. Ho cantato con lui a Berlino alla prima del suo debutto nella parte di Simone, dirigeva Baremboim, è stato grande!

Poi l’ha cantata ancora con lui alla Scala, in uno spettacolo trasmesso in tutto il mondo nei cinema. Cosa pensa di questo nuovo modo di rendere l’opera disponibile per un pubblico più vasto, e com’è stata la sua esperienza alla Scala? Vedere l’opera al cinema è una grande occasione per molte persone che non avrebbero i soldi per recarsi in teatro. Oppure ci sono persone a cui non viene in mente di andare all’opera, e magari dopo averla vista su uno schermo gigante ha voglia di andare a vederne una in teatro. Come artista, personalmente spero che la mia voce arrivi bene in queste trasmissioni, e che la videocamera mi tratti bene! Quando c’è una registrazione dal vivo audio o video, l’impegno è sempre più emozionante dello spettacolo di per se stesso. Sulla mia esperienza alla Scala, posso dire che vi ho cantato Alcina, poi Elisabeth in Tannhäuser con , e solo tre settimane dopo il Simon Boccanegra, quindi posso dire di avervi cantato il repertorio tedesco e quello italiano quasi nello stesso tempo. Il pubblico della Scala può essere un vero problema per un cantante se non si viene accettati, ma per me è stata un’esperienza meravigliosa perché mi hanno accettata in modo splendido, sono rimasti molto colpiti dalla mia Amelia!

Arriviamo ad un altro ruolo verdiano, che ha cantato a Berlino a giugno 2010 con José Cura: Desdemona nell’. E’ stata la mia terza Desdemona, in un allestimento moderno che a molti non è piaciuto, e ad altri sì. E’ stato bellissimo lavorare con José Cura, perché è un grande artista, un ottimo attore, e conosce tutte le sfaccettature del ruolo di Otello, in cui ha grande esperienza. In quanto a Desdemona, per me non è stupida o ingenua, è forte ma sensibile.

Infine, ci dica qualcosa sui suoi ruoli pucciniani. Ha cantato solo Mimì nella Bohéme? Sì, ma nel 2011 canterò Suor Angelica e in futuro Manon Lescaut e . Volevo maturare prima di affrontare questo ruolo, è meglio evitarlo quando si è troppo giovani, non va bene per la voce. Molti cantanti sottovalutano il cantare Puccini. Mette in gioco grandi emozioni, e bisogna cantarlo con ottima tecnica.

Ci vuole confidare qualcosa dei suoi programmi futuri? Come ho già detto, canterò la Marescialla a giugno prossimo, Suor Angelica, Leonora nel “Trovatore” e molto altro… Grazie per l’intervista, signora Harteros. Grazie a voi!

Ingrid Haas