I Ritratti Guadagni
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Arte e politica familiare nella Firenze medicea Prizzon Tommaso I ritratti Guadagni Tommaso Prizzon I ritratti Guadagni. Arte e politica familiare nella Firenze medicea I ritratti Guadagni Arte e politica familiare nella Firenze medicea Tommaso Prizzon Sommario Presentazione 5 Mara Visonà I ritratti della Repubblica 7 Francesco Solinas I Guadagni di Firenze. Appunti per una storia familiare Da Fiesole a Firenze. Le vicende della famiglia fino al 1434 15 Exaltabitur: il senatore Tommaso, il palazzo “dietro la Nunziata” e la serie di casa Guadagni 53 I Ritratti Guadagni. Catalogo 79 Bibliografia 109 Indice analitico dei nomi 115 Presentazione Mara Visonà Università degli Studi di Firenze on gioia saluto la pubblicazione di un nuovo studio, soprattutto quando si tratta, come in questo caso, della ricerca di un valente giovane studioso, CTommaso Prizzon, che vede l’argomento della sua tesi di laurea, da me diretta, messo a disposizione degli storici dell’arte e degli storici delle famiglie. La presentazione dei ritratti degli avi è integrata con la storia dei Guadagni, una fra le più eminenti famiglie fiorentine, che conseguì il titolo ducale in Francia. Il tema verte su quelli che sono stati chiamati “ritratti storici” degli antenati, che nel Medioevo avevano raggiunto alte cariche nel governo di Firenze, di cui la storiografia artistica non aveva riconosciuto il valore né la qualità storica e pittorica. Destinate ad una sala del palazzo familiare dietro la Santissima Annunziata, le immagini costituivano un patrimonio di storia e arte, una straordinaria “imago historiae”, emblema del passato glorioso della Repubblica fiorentina, un’epoca ben più antica di quella in cui sono stati ritratti gli effigiati, identificati dalle iscrizioni scorrenti nei cartigli, cosicché parola e immagine si specchiano l’una nell’ altra. Giorgio Vasari ha isolato il significato di tale nuovo genere di ritratto commissionato in assenza del personaggio, ma tutto d’invenzione del pittore. Nel ritratto di Lorenzo il Magnifico del Pontormo, il Vasari riconobbe un illustre esempio di ritratto storico, eloquente nel messaggio politico e culturale, trasmissibile ai posteri (E. Pommier). La serie dei ritratti Guadagni, descritti dal Prizzon con scrittura vibrante, è un insieme d’importanza storica di cui auspico, per altre raccolte simili, la conservazione unitaria nel loro contesto originario; testimonianze queste, di cui conosciamo l’esistenza dalla letteratura storico-artistica, come i dieci ritratti Strozzi, i ritratti di ascendenti di Ippolito de’ Ricci o i dipinti del medesimo genere di Santi di Tito. Austere e monumentali, a grandezza naturale, pari alle auliche immagini dei sovrani, tali evocazioni dei Guadagni antichi sono inserti storiografici che davano profondità temporale e morale alla discendenza familiare. Nelle alternanze di fedeltà e invenzione, una densa eloquenza si origina dalle tinte forti con cui sono rese le pose, le fisionomie talvolta esasperate e finanche gli abbigliamenti colorati di rosso, oro e nero, di timbro venezianeggiante, cui è demandato il compito di commentare il rango, la funzione pubblica e l’occasione sociale con quella adesione al vero nel rendere la materia dei tessuti in cui i pittori fiorentini del Seicento furono maestri, alla cui cultura appartenne Giacinto Botti, l’inedito autore di una parte dei ritratti. Il loro sfarzo fu imitato nei costumi ricreati per essere indossati dai patrizi fiorentini in occasione del corteggio storico del 1887 per un grande evento religioso e civico come la scoperta della facciata del Duomo (L. Ginori Lisci). 5 6 I ritratti della Repubblica Francesco Solinas Collège de France er chi s’interessa alla storia, al costume e alla pittura di ritratto in Italia, e in particolare in Toscana, tra sedicesimo e diciassettesimo secolo, l’argomento dello Pstudio di Tommaso Prizzon è senza dubbio tra i più appassionanti e originali. La ricerca riguarda una serie di tele, sino ad oggi per la più parte inedite, composta da ventidue ritratti a mezza figura commissionati tra il 1640 e il 1650 da Tommaso di Francesco Guadagni (1582-1652) a Giacinto Botti (Firenze 1603-1679) pittore fiorentino di qualche valore, allievo e assistente dell’eccelso Francesco Furini (Firenze 1600-1646). Durante la sua carriera, Botti poté seguire il maestro nelle invenzioni sentimentali e lascive, nelle rappresentazioni cavalleresche e romanzesche, e soprattutto assunse e condivise quella maniera elegantissima, fatta di sfumature sublimi e dissolvenze, propria della pittura di macchia. A fine Seicento, anche grazie al successo internazionale di Simone Pignoni (1611-1698), altro allievo e seguace del Furini, quella maniera poté anticipare le più raffinate espressioni del rococò europeo. I ritratti degli antenati due, tre, quattro e cinquecenteschi di Casa Guadagni, sono immagini inventate, vestite di fantasiosi abiti d’epoca e ispirate da modelli desunti da tavole e affreschi più antichi. Dipinti dal Botti e dai meno conosciuti Camillo Berti e Piero Bracci, quei quadri costituivano solo un elemento, la parte mobile, del fitto programma di rimandi visivi e letterari che ancora ornano il grande salone a doppia altezza del sontuoso palazzo di città costruito dietro all’Annunziata per Tommaso e per Ritratto in busto di Tommaso sua sorella Ortensia Guadagni vedova Salviati. Le immagini degli antenati servivano a di Simone Guadagni rendere vivo e pulsante quel teatro genealogico che celebrava la grandezza della famiglia Pietro Torregiano (1477-1528) terracotta dipinta scandita dagli affreschi di Baccio del Bianco (1604-1656), e da quelli leggermente New York, The Metropolitan posteriori del Volterrano (1611-1690), oltre ai contributi, ornanti la dimora sempre ad Museum, particolare affresco, realizzati da maestri di prim’ordine, quali Matteo Rosselli e Alfonso Boschi. Dotato d’un vasto giardino, l’edificio fu acquistato nel 1636, da Ortensia Guadagni (ϯ 1659) e da suo fratello Tommaso, era stato la residenza fiorentina di Don Luis Álvarez de Toledo, fratello della Duchessa Leonora e figlio di Don Pedro viceré di Napoli. Figlia di Francesco di Jacopo e della ricchissima Laura di Pierantonio Bandini, Ortensia Guadagni sposò nel 1604 il nobile Filippo di Averardo Salviati (ϯ 1614), accademico linceo, amico di Galileo Galilei e soprattutto nipote di Papa Leone XI. A partire dal 1634, la dama rimasta vedova e senza prole, fu prescelta per la carica di Cameriera Maggiore della granduchessa Vittoria della Rovere allora dodicenne e residente nell’attiguo monastero della Crocetta. Il 21 giugno 1645, quella principessa con il suo sposo-cugino, il regnante Ferdinando II, vollero ringraziare Ortensia per gli anni di fedele e devoto servizio ed eccezionalmente, trattandosi di una donna, la investirono 7 del titolo di Marchesa sul feudo di San Leolino del Conte costituito da ben cinque comuni nell’alta Val di Sieve. Al suo trapasso, il titolo e il feudo sarebbero passati al fratello Tommaso e quindi ai suoi discendenti maschi. Con quell’eccezionale favore, i principi regnanti riconoscevano i meriti della gran signora e segnavano il definitivo riavvicinamento dei Guadagni ai Medici, dopo più di due secoli d’inimicizia. Allora, da circa un decennio, Ortensia e Tommaso avevano iniziato a dar nuova, splendida forma al casino cinquecentesco di Don Luis, ampliandolo e rendendolo degno della loro illustre famiglia ormai ristabilitasi definitivamente a Firenze. I lavori erano stati progettati dall’architetto Gherardo Silvani (1579-1675) e gli affreschi del salone centrale a doppia altezza eseguiti attorno al 1636-1637 da Baccio del Bianco e poi da Baldassarre Franceschini detto il Volterrano. Nel suo stile fresco, umoristico e narrativo, Baccio dipinse una serie di cartigli con i paesaggi delle proprietà Guadagni ed altri ornamenti, oltre agli stemmi di famiglia ammezzati a quelli delle illustri casate delle spose. La decorazione del salone ritmava il teatro genealogico della Casa con i ritratti immaginari di Giacinto Botti e dei suoi accoliti nella celebrazione dell’antichità e dei successi di quella stirpe di banchieri in Europa. Il programma celebrativo ricordava il secolare prestigio dei Guadagni nel governo della Repubblica fiorentina, e naturalmente taceva le antiche avversità che li avevano opposti ai Medici, semplicemente dimenticando le identità, le avventure e le sembianze dei più efferati nemici della dinastia ormai regnate sulla Toscana. Consoli, Priori e Gonfalonieri, tra il Due e il Quattrocento, i guelfi Guadagni s’erano imposti nel governo della Repubblica. Fiorentini di stirpe antica, essi erano divenuti acerrimi nemici di quei prodigiosi new rich del Trebbio che abilmente operavano sulle loro stesse piazze europee. Come altri magnati fiorentini, quali gli Albizzi, gli Altoviti, gli Strozzi, i Minerbetti e gli Alamanni, i Guadagni non risparmiarono forze, denari e potenti alleanze per combattere la crescente egemonia medicea in Italia e in Europa. Nel 1433, Bernardo Guadagni, Gonfaloniere della Repubblica, aveva ordinato l’esilio di Cosimo il Vecchio de’ Medici, ma l’anno dopo, al ritorno di questi in patria, furono i Guadagni a dover lasciare Firenze per un tempo ben più lungo. La loro partenza, tuttavia, si rivelò estremamente feconda e fortunata. In Francia erano già ben conosciuti, e tra Lione e Parigi, con puntate a Ginevra, Siviglia, nelle Fiandre e in Inghilterra, i Guadagni prosperarono e si allearono con altri fiorentini “anti-medicei” e “fuoriusciti”. Soprattutto seppero ben introdursi al servizio della Corona francese