DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI

ATTI E MEMORIE

Serie XI, Vol. XXXV

ESTRATTO

MODENA - AEDES MURATORIANA 2013 LAURA MALAGUTTI

LA SAGRESTIA CINQUECENTESCA DELL’ABBAZIA BENEDETTINA DI SAN PIETRO A

Lo studio della decorazione pittorica della sagrestia di San Pietro ha preso avvio dalle fonti scritte: i documenti dell’archivio del monastero, conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, già oggetto di precedenti importanti ricognizioni1, e le opere manoscritte del benedettino Mauro Alessandro Lazarelli, archivista del- l’abbazia e autore, tra gli anni Dieci e Venti del Settecento, di diverse compilazioni riguardanti la storia del monastero.2 La ricerca ha permesso di collocare l’esecuzione della decorazione nel 1541, ristabilendo chiarezza su un dato che nel tempo era stato oggetto di fraintendi- menti.3 Nel manoscritto intitolato Informazione dell’Archivio del Monistero di San Pietro a Modena, tra le notizie riguardanti l’anno 1539, Lazarelli annota che ven- gono gettate le fondamenta della sagrestia.4 Alla fine delle pagine dedicate al- l’anno 1541, in un’aggiunta, probabilmente successiva, che a causa della mancanza di spazio occupa una parte del margine, si legge: “in quest’anno Giro- lamo da Vignola dippinse il friso del claustro della speziaria, ormai consumato, come si ha dal libro delle notizie de libri maestri a carte 77 come anco dippinse la sacristia a carte 78, 79”.5 Le stesse informazioni sulla decorazione e sul suo artefice sono riprese da La- zarelli nel Libro di notizie della chiesa di San Pietro di Modona6, conservato presso l’Archivio di Stato di Modena, e nelle Pitture delle Chiese di Modana, dove riguardo al pittore aggiunge, a proposito della decorazione del Chiostro della Spezieria, della quale già a inizio Settecento non restava quasi nulla, che un gruppo

Desidero ringraziare Sonia Cavicchioli e Vincenzo Vandelli, relatore e correlatore della mia tesi di laurea, e Pierpaolo Bonacini.

1 Fondamentali a questo proposito sono: BARACCHI GIOVANARDI, 1984, pp. 171-178; DUGONI, 2006, pp. 73-117. 2 Sulla figura di Lazarelli si rimanda a VENTURI, 2006, pp. 291-297. 3 In diversi scritti l’esecuzione della decorazione è datata al 1578, particolarmente indicativo della vigente incertezza è Gusmano Soli che nel suo Chiese di Modena indica, in due passi diversi, due differenti date: 1578 e 1541. SOLI, 1974, volume III, pp. 121, 196. La necessità di aggiornare la data del 1578, generalmente accettata dalla critica e divenuta nel tempo preponderante nelle trattazioni, era già stata sostenuta da Daniele Benati, il quale proponeva un aggiornamento al 1542. BENATI, 1984, p. 111. 4 LAZARELLI, Informazione…, volume II, alfa. R. 8. 2, c. 271. 5 LAZARELLI, Informazione…, volume II, alfa. R. 8. 2, c. 282. 6 ASMo, Soppressioni Napoleoniche, Benedettini, 2654, M. A. LAZARELLI, Libro di notizie della chiesa di San Pietro di Modona, 1712, c. 57 verso. 4 LAURA MALAGUTTI di puttini “mostra la bravura del suo pennello, a segno che da qualche dilettante sono stati stimati di Nicolò Abbate”.7 La cronologia riportata da Lazarelli trova riscontro nelle testimonianze di Tommasino de’ Bianchi detto de’ Lancellotti, il quale, nella sua Cronaca Mo- denese, alla data 18 giugno 1540 scrive a proposito del monastero di San Pietro che procedono speditamente i lavori per fabbricare una sagrestia accanto alla chiesa.8 Il 30 marzo 1546 Lancellotti visita l’abbazia sotto la guida dell’abate Pellegrino degli Erri e registra lo stato di avanzamento di nuovi lavori, tra gli ambienti che vede c’è anche la sagrestia, a proposito della quale scrive: “detto padre abbato per sua benignità me ha mostrato el tutto de detta fabrica, et poi me ha mostrato tutta la fabrica finita et la sua bela sagrestia etiam el suo bel capi- tolo…”, parole che lasciano intendere una fase già avanzata del cantiere, se non addirittura l’avvenuto completamento.9 I banchi lignei della sagrestia, opera di Giovanni Francesco Brennona da Cremona, completati nel 1548, costituiscono un termine ante quem per la de- corazione pittorica e un rafforzamento della data fornita da Lazarelli: gli arredi lignei, infatti, costituiscono verosimilmente la fase finale del cantiere, da met- tere in opera una volta ultimate le pitture murali.10 La fabbrica della sagrestia si colloca quindi in un momento preciso della vita del monastero, sotto il patrocinio di uno dei suoi più importanti abati, il mo- denese Pellegrino degli Erri, durante il suo primo mandato come priore, carica che egli riveste per due volte, dal 1537 al 1542 e dal 1544 al 1549. Pellegrino degli Erri è un protagonista eminente della cultura benedettina locale, esponente di una notabile famiglia modenese, intrattiene rapporti stretti con grandi figure dell’ordine benedettino come Gregorio Cortese e Isidoro Chiari e con i massimi rappresentanti della cultura laica cittadina, tra cui i membri del cenacolo uma- nistico dell’Accademia Grillenzoni, dalla quale prenderà le distanze in seguito alle vicende del formulario di fede del 1542.11 Sotto la sua guida il monastero vive un periodo di splendore culturale e fervore artistico: nel 1537 viene stipu- lato il contratto con Gian Francesco Testi per l’esecuzione degli stalli del coro, terminati nel 1543; nel 1546 viene completata la decorazione dell’organo della chiesa ad opera di Giovanni Taraschi; tra il 1545 e gli inizi del 1547 Nicolò del- l’Abate esegue la pala raffigurante il Martirio dei Santi Pietro e Paolo per l’al- tare maggiore della chiesa; nel 1544 , già al servizio dei benedettini di San Pietro dal 1532, riceve l’incarico di modellare per il capitolo

7 LAZARELLI, 1714 (ed. 1982), p. 114. 8 DE’ BIANCHI, 1868, volume VI, anni 1538-1540, p. 7. 9 DE’ BIANCHI, 1868, volume VIII, anni 1543-1546, p. 165. 10 LAZARELLI, Informazione…, volume II, cc. 298, 310; LAZARELLI, 1714 (ed. 1982), p.105; BARACCHI GIOVANARDI, 1984, numero 38, p. 174; SOLI, 1974, volume III, p. 123; GHIDIGLIA QUINTAVALLE, 1965, p. 61. Sui banconi della sagrestia si rimanda a FRISONI, 1984b, pp. 149-158; CASELGRANDI, 2006, pp. 249-255. Una scheda sul coro di San Pietro è contenuta in BEDINI, BENTINI, MAZZA (a cura di), 1999, pp. 211-214. 11 Informazioni puntuali su Pellegrino degli Erri sono contenute nella nota bio-bibliografica di Massimo Firpo in FIRPO, MARCATTO, 1981, pp. 329-330. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 5 del convento la Pietà oggi conservata nella nicchia della cappella destra del pre- sbiterio.12 L’artefice della decorazione, ricordato con il nome di Girolamo da Vignola, rimane, allo stato attuale della ricerca, esclusivamente legato alla menzione che ne fa Lazarelli e alle commissioni svolte tra le mura dell’abbazia, di cui solo la sagrestia si è conservata. Di lui Girolamo Tiraboschi, nel suo Notizie de’ pittori, scultori, incisori e architetti natii degli stati del serenissimo signor duca di Mo- dena, traccia un sintetico profilo interamente basato sulle notizie fornite da La- zarelli, alle quali aggiunge che “il poco che ci rimane di esso cel mostra un de’ più graziosi pittori di maniera Raffaellesca, che visser nel secolo XVI”.13 La ricerca sul versante delle fonti non ha permesso, al momento, di nutrire con nuove informazioni questi pochi dati. Lo studio si è pertanto concentrato sulla ricostruzione della personalità artistica dell’artefice attraverso l’indagine della decorazione della sagrestia, rimuovendola dalla condizione di sopravvi- venza isolata per collocarla al centro della trama densa di rimandi del contesto in cui è stata prodotta, allo scopo di leggerla come documento di una specifica cultura che in essa si riflette. La decorazione pittorica si compone di un fregio che corre nella parte alta di tre delle pareti e di un motivo decorativo a tralci vegetali che occupa l’intero soffitto, culminando in un riquadro centrale con la figura di Cristo risorto (fig. 1). Il fregio poggia su una finta architettura dipinta ed è scandito ritmicamente in scomparti da putti davanti a nicchie, collocate su capitelli posti in corrispon- denza dei pennacchi su cui si imposta il soffitto, a ricercare una integrazione tra architettura reale e architettura illusoria. Ciascun segmento del fregio presenta ai lati figure monocrome sedute e al centro un medaglione ovale: quattro dei medaglioni incorniciano la raffigurazione di un paesaggio, quattro recano le fi- gure degli Evangelisti accompagnati dai rispettivi simboli ed uno, che occupa la posizione centrale sulla parete corta di fronte all’altare, raffigura San Benedetto e due angeli (fig. 2). La percezione illusoria della finta architettura è ottenuta attraverso un uso accorto delle ombre portate, calibrate in base alla provenienza della luce natu- rale, che rendono evidente la scansione per piani paralleli scalati in profondità: il cornicione, le nicchie dietro ai putti, gli incassi che ospitano le figure mono- crome. L’articolazione decorativa del fregio si avvale anche di differenti livelli di mimesi del reale: putti e medaglioni raffigurati in policromia, figure mono- crome a imitazione delle sculture. Questa simulazione di complessità materica e di piani di profondità merita a pieno titolo la definizione di manierista. Nell’evoluzione dal fregio decorativo continuo a quello narrativo per scom- parti, svolta che si colloca nel quarto decennio del Cinquecento, questo fregio occupa una posizione di transizione poiché trae alcune caratteristiche dai due ge- neri che si stanno avvicendando: è perseguita una suddivisione ritmica della pa-

12 Per l’attività di Begarelli al servizio dei benedettini di San Pietro si rimanda a FRISONI, 1984a, pp. 129- 148; CIANCABILLA, 2006, pp. 215-228; VIOLA, 2009, pp. 71-81. 13 TIRABOSCHI, 1786, pp. 356-357. 6 LAURA MALAGUTTI rete mediante la scansione del fregio in scomparti, ma la componente narrativa è ancora assente, prevalendo il carattere ornamentale.14 Il soffitto è interamente ricoperto da tralci di rose che salgono fino al centro dove, all’interno di un riquadro delimitato da festoni di fiori e frutta, un ovale, composto dagli stessi festoni vegetali, circonda la figura di Cristo risorto su sfondo dorato. Le lunette e le vele sono occupate da essenze vegetali con fiori e frutti che creano una trama decorativa incentrata sulla varietà: ogni lunetta e la corrispon- dente unghia, infatti, ospitano una o in taluni casi due diverse specie di piante. Al centro di ciascuna lunetta è appeso un cartiglio circondato di nastri, verosimil- mente concepito per accogliere delle iscrizioni, oggi completamente scomparse, forse legate alla decorazione vegetale e identificative delle diverse piante. Non è, infatti, possibile individuare con precisione tutte le essenze vegetali dispiegate sul soffitto; si possono riconoscere rami di ulivo, rami di quercia con ghiande e si registra una prevalenza di tralci con frutti, tra i quali si possono distinguere, talvolta con precisione, talvolta con una buona dose di approssimazione, pere, pesche, melagrane, mele, uva e prugne. La decorazione vegetale non è limitata alla sola volta della sagrestia. Una sorta di percorso, individuato da delicati rami di gelsomino, conduce dall’in- terno della chiesa, dove orna gli archi sotto il passaggio pensile dell’organo15, al trionfo di fiori e frutti del soffitto della sagrestia, probabilmente pensato per co- stituirne il punto culminante, attraverso l’antisagrestia e il piccolo vestibolo, dove sotto la scialbatura sono state trovate le uniche tracce esenti da ridipinture, fino all’ambiente che segue la sagrestia, identificato con l’antica cereria16. Questi tralci vegetali, nonostante talune descrizioni della storiografia arti- stica locale utilizzino impropriamente il termine “pergolato”, non costruiscono uno spazio illusorio, ma si arrampicano sul fondo bianco senza alcun sostegno, accampandosi con lievità da ricamo in modo completamente bidimensionale.

14 In entrambi i centri di Modena e di Reggio Emilia, intorno al quarto decennio del Cinquecento, è possibile individuare un’evoluzione di questo genere di decorazione in direzione di una tipologia di fregio più propriamente narrativa, nella quale il repertorio della grottesca è gradualmente sostituito dal racconto per episodi di soggetti biblici, mitologici o di storia antica e moderna, rappresentati policromi. Il nuovo tipo di fregio, la cui affermazione passa attraverso momenti che potremmo definire di transizione da un genere all’altro, si distingue dai precedenti per la suddivisione in scomparti e per il carattere prevalentemente narrativo. I protagonisti di questa stagione del fregio dipinto e della sua evoluzione sono: Nicolò dell’Abate, attivo negli anni Trenta tra Modena e Reggio Emilia, Giovanni Giarola, che si forma su Correggio a Parma negli anni Venti e, rientrato a Reggio, si pone a capo di un’attiva bottega, divenendo l’artefice principale delle decorazioni cittadine e il giovane Lelio Orsi, anch’egli operante in area reggiana prima del trasferimento a Novellara, avvenuto nel 1546. PICCININI, 2005, p. 86. Alcune considerazioni su questo tema sono contenute in FORNARI SCHIANCHI, 1990, pp. 13-31; PICCININI, 2005, p. 85; MUSSINI, 2009, pp. 85-95. 15 Sulla decorazione pittorica dell’organo si rimanda ai contributi di Sonia Cavicchioli: CAVICCHIOLI, 2006, pp. 175-187; CAVICCHIOLI, 2008, pp. 75-84. Sull’organo si rimanda inoltre a: GIOVANNINI, 1984, pp. 166- 170; GIOVANNINI, 2006, pp. 189-213. 16 Il recente sisma che ha colpito la provincia di Modena e che ha fortemente danneggiato la chiesa e il monastero di San Pietro ha portato alla luce, in seguito alla caduta di alcuni frammenti di intonaco, tracce di una decorazione pittorica che probabilmente integrava, attraverso la simulazione di modanature architettoniche, il passaggio pensile dell’organo e l’intera “scatola sonora” all’architettura della navata laterale in cui è collocata. Queste emersioni riaprono il discusso problema di quale fosse la facies cinquecentesca della chiesa che certamente doveva presentare una ricca decorazione pittorica (fig. 3). La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 7

Nella resa delle essenze arboree quello di Girolamo non è uno sguardo scienti- fico, egli non le sottopone ad un’analisi lenticolare, le coglie invece sintetica- mente, caratterizzandole in modo diversificante ma generico nelle loro valenze decorative, e le ritrae con tocco lieve e scorrevole. Il nudo rapporto tra la raffi- gurazione delle essenze vegetali e lo sfondo bianco potrebbe riecheggiare in- fluenze dell’illustrazione libraria botanica, idea che assume una maggiore consistenza proiettandola sullo sfondo dell’ambiente monastico, dove i bene- dettini gestivano una fiorente spezieria, certamente legata ad una sezione della ricca biblioteca dedicata ai testi per lo studio delle piante e ad orti e giardini dove coltivarle.17 La personalità artistica e la cultura visiva del pittore della sagrestia di San Pietro sono state ricostruite andando alla ricerca dei suoi possibili referenti cultu- rali, tra i quali un posto di rilievo spetta certamente a Nicolò dell’Abate, le cui opere dentro e fuori i palazzi modenesi dovevano essere molto più numerose di quante sono giunte fino a noi, come ci testimonia l’affermazione di Vedriani: “se poi io volessi dir tutti i fregi, c’ha fatto nelle Sale, & in molte Camere di Modona pieni d’Historie Sacre, e Profane sarei troppo lungo”.18 Tra le opere di Nicolò dell’Abate, il fregio che decorava la facciata delle Beccherie, il pubblico macello costruito nei pressi di Piazza Grande per volere dei Conservatori della Magnifica Comunità nel 1537-1538, presenta i maggiori punti di contatto con le pitture murali di San Pietro.19 Le date rendono concreta la possibilità di un rapporto tra la decorazione della sagrestia, eseguita da Girolamo da Vignola nel 1541, e il ciclo di Nicolò del- l’Abate, datato 1537, insieme al non trascurabile dato della posizione all’esterno di questa realizzazione che, a differenza di altre commissioni di Nicolò, eseguite per ambienti privati e riservati di dimore signorili, si trovava sulla facciata di un edificio pubblico in situazione di facile visibilità. Il fregio di San Pietro attinge a un livello di complessità e articolazione che si accosta perfettamente a quello mostrato dal fregio delle Beccherie, ambedue si collocano alla stessa altezza nel percorso evolutivo che dal fregio decorativo con- tinuo porta a quello narrativo per scomparti. I due sistemi di ornamentazione pre- sentano caratteristiche comuni: la ritmica scansione in scomparti, ma senza lo

17 Sulla biblioteca del monastero si rimanda a MILANO, 2006, pp. 281-290. 18 VEDRIANI, 1662, p. 65. 19 Ai fini di analizzare il fregio delle Beccherie e di confrontarlo con quello della sagrestia di San Pietro un prezioso strumento è costituito dall’opera pubblicata nel 1823 dagli studiosi modenesi Cesare Galvani, Carlo Malmusi e Mario Valdrighi che riproduce il fregio delle Beccherie in tre tavole, disegnate da Giuseppe Guizzardi e incise da Giulio Tomba. GALVANI, MALMUSI, VALDRIGHI, 1823. Queste tavole (XXVIII-XXX) hanno una grande importanza documentaria dovuta alla perdita di porzioni consistenti del fregio a causa del distacco, avvenuto nel 1845, e della successiva distruzione dell’edificio, sul quale erano rimasti alcuni lacerti, nel 1885. Affiancate ad un disegno al tratto, di proprietà del Museo Civico d’Arte di Modena, riferibile alla stessa epoca, queste incisioni consentono di ricostruire l’intera struttura del fregio, ad eccezione di una porzione collocata sull’angolo sinistro della facciata, già perduta a fine Ottocento. Si rimanda alla scheda di Francesca Piccinini in BÉGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 187, pp. 401-403. Sul fregio delle Beccherie si rimanda a: BÈGUIN, 1996, pp. 148-168; PICCININI, 2005, pp.77-91; alla scheda di Francesca Piccinini in BÉGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 27, pp. 237-240; FAIETTI, 2005, pp. 155-167; MANCINI, 2005b, pp. 47-55. 8 LAURA MALAGUTTI svolgimento di un racconto per immagini, e la mimesi di diversi livelli di realtà, dai putti in carne e ossa, ai paesaggi, alle figure monocrome, scalati in una pro- fondità di piani. Mettendo a confronto una porzione del fregio di San Pietro con la tavola che illustra il dettaglio del paesaggio entro medaglione sorretto da una coppia di satiri, si può misurare la vicinanza sul piano dell’ideazione compositiva e della soluzione decorativa adottata (figg. 4-5). Il peso attribuito al paesaggio come elemento deco- rativo nell’economia generale della composizione affonda le sue radici negli esempi di Nicolò dell’Abate, nella cui produzione questo tema, attraverso il quale filtrano a Modena reminiscenze dell’arte ferrarese, i Dossi in particolare, e veneta, insieme a suggestioni dell’arte nordica, è ricorrente. I paesaggi della sagrestia sono costruiti per piani paralleli che si scalano in pro- fondità, con la linea dell’orizzonte collocata nella zona mediana, a creare delle vedute equilibrate nella profondità e sintetiche nella resa, accurate e descrittive, ma che non perdono unità nella frammentarietà dei dettagli; spesso è presente un elemento, edi- ficio o albero, collocato su un lato del primo piano ad articolare la veduta. Ciascun paesaggio è connotato ricercando la massima diversificazione, costruito con elementi che non si ripetono da un medaglione all’altro, come a fornire un piccolo campiona- rio di possibili situazioni paesaggistiche, attingendo ad un formulario di motivi di re- pertorio, assemblati ricercando la massima varietà. La presenza umana è ridotta al minimo, in alcuni casi segnalata solo da piccole silhouettes indistinguibili nelle loro connotazioni; questa inversione del rapporto gerarchico tra l’importanza attribuita alla figura umana e lo spazio concesso al paesaggio che la circonda, spia di medita- zioni su paesaggi di provenienza nordica, prodottesi per conoscenza diretta o per il tramite di Nicolò dell’Abate, si accompagna alla mancanza di intenzione narrativa, a tal punto che in alcuni medaglioni la presenza umana scompare. Per precisare punti di contatto e distanze tra i paesaggi della sagrestia e quelli di Nicolò non è possibile avvalersi dei paesaggi dipinti sulla facciata delle Becche- rie, già in cattivo stato di conservazione all’inizio dell’Ottocento, quando furono eseguiti i disegni preparatori alle incisioni del volume del 1823, e quindi mai ripro- dotti. A questa mancanza suppliscono in parte i confronti che si possono istituire con altri paesaggi della produzione abatesca giunti fino a noi. Il cielo azzurro venato da liquide striature gialle che fa da sfondo ai meda- glioni della sagrestia è vicino nella resa a quello delle pitture murali della loggia interna di palazzo Casotti a Reggio Emilia, datate ai primi anni del quarto decen- nio del Cinquecento20. In uno dei paesaggi di San Pietro in particolare, la costru- zione dello spazio presenta strette similitudini con il riquadro reggiano raffigurante cacciatori e cani: vi si vede lo stesso scalare verso il fondo, per piani paralleli, di colline dal dorso arrotondato, che si succedono, come sottili quinte prospettiche sovrapposte, fino al cielo solcato di blu e giallo. Anche i piccoli motivi di figura presenti a San Pietro richiamano quelli che punteggiano gli sfondi di palazzo Casotti, e sono, benché non esclusivamente, pro-

20 Si rimanda alla scheda di Giorgia Mancini in BÉGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 21, pp. 230-231. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 9 pri dell’arte nordica; lo stesso vale per alcuni temi, come i soldati, il pellegrino e il paesaggio fluviale con pescatori, molto diffusi nell’arte d’oltralpe. Sul piano compositivo, del rapporto tra figura umana e paesaggio circostante, nettamente sbilanciato a favore del secondo elemento, dell’articolazione spaziale, spesso risolta con espedienti analoghi, quale il ricorrere all’albero come elemento di organizzazione e scansione della veduta, e della trasmissione di piccoli motivi e temi di figura, si possono chiamare in causa le lunette provenienti dal Camerino dell’Eneide nella rocca dei Boiardo a Scandiano (fig. 6).21 Queste aprono sul vasto orizzonte dei rapporti che intercorrono tra la produzione pittorica emiliana della prima metà del Cinquecento e la cultura figurativa d’oltralpe ed evidenziano i con- tatti di Nicolò dell’Abate con i caratteri del paesaggio nordico e il suo ruolo di tramite di temi, motivi e impostazioni desunti da fonti fiamminghe e tedesche.22 All’inizio del Cinquecento vi sono in Emilia tracce della presenza di quadri fiamminghi di paesaggio, il cui arrivo era agevolato dai fitti contatti commerciali tra l’Italia e il mondo d’oltralpe.23 , in particolare, per una serie di fattori concomitanti, conosce una vasta fortuna e diffusione dei paesaggi di Joachim Pa- tinier e della sua scuola, specialmente del suo allievo Herri met de Bles, detto il Civetta, probabilmente il pittore di paesaggio fiammingo del secondo quarto del Cinquecento meglio conosciuto in Italia, divulgatore delle tipologie del maestro dalla cui fiorente e attiva bottega provengono decine di paesaggi.24 La notizia, fornita nel 1621 dallo storico locale Marcantonio Guarini, che l’artista fu sepolto nella chiesa ferrarese di San Jacopo, oggi non più esistente,25 ha condotto a supporre che il pittore sia morto a Ferrara e vi abbia trascorso almeno l’ultima parte della sua vita, forse presso la corte estense.26 La sua presenza in città potrebbe in parte spiegare le tracce, ricorrenti negli anni Venti e Trenta, di mo- delli fiamminghi nei paesaggi dipinti da pittori ferraresi quali Garofalo, Dosso e, più tardi, Battista Dossi.27 Senz’altro l’interesse per l’arte nordica è nutrito, oltre che dai dipinti, anche dalla grafica, è ovvio, infatti, che siano soprattutto le stampe,

21L’anno delle decorazioni della Rocca Boiardo a Scandiano è il 1540 di due atti notarili da cui si evince che impegni gravosi impedivano a Nicolò dell’Abate di recarsi personalmente a Modena per curare i propri interessi, pertanto questi paesaggi sono cronologicamente i più vicini al ciclo delle Beccherie e alla decorazione della sagrestia. Per i documenti si rimanda a MANCINI, 2005a, p. 511. Sulla decorazione del Camerino dell’Eneide a Scandiano si rimanda alle schede di Giorgia Mancini in BÈGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, schede nn. 51-54, pp. 263-271. Sull’attività di Nicolò dell’Abate a Scandiano si rimanda a PRAMPOLINI, 1982, pp. 97-127; MAZZA, MUSSINI (a cura di), 2009. Per la ricostruzione dell’assetto del Camerino dell’Eneide si rimanda ai vari contributi di Diego Cuoghi: CUOGHI, 1994, pp. 105-117; CUOGHI, 2007, pp. 107-126; CUOGHI, 2009, pp. 121-129. Per i tentativi di ricostruzione ad opera di studiosi precedenti: LANGMUIR, 1976, pp. 151-170; PARMA BAUDILLE, 1981, pp. 120-140; GANDINI, 1982, pp. 83-93. 22 MEIJER, 2005, p. 147. 23 MEIJER, 1997, p. 205. 24 Per i rapporti con la produzione di Nicolò dell’Abate si rimanda a MEIJER, 2005, pp. 147-153 e alla sua scheda di catalogo in BÉGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 9, pp. 213-214. 25 GUARINI, 1621, p. 225. 26 SPADA, 1995, p. 204. 27 MEIJER, 1997, p. 207. Per una più completa disamina dell’argomento si rimanda a MEIJER, 1997, p. 209. Per una sintetica bibliografia sul problema della presenza della pittura fiamminga a Ferrara: Mauro Natale in MOTTOLA MOLFINO, NATALE (a cura di), 1991, volume II, Catalogo, pp. 17-44; LIMENTANI VIRDIS, 1994, pp. 163-171; OLIVATO, 1997, pp. 217-234. 10 LAURA MALAGUTTI di grandissima diffusione e riproducibilità, a configurarsi come essenziale veicolo di gusto e di diffusione del lessico d’oltralpe in ambito emiliano.28 La riflessione sui modi della produzione pittorica e grafica d’oltralpe deter- mina una precisa influenza su quella, pur declinata in autonomia, dei Dossi, se- gnatamente nel rendere prevalente e quasi soggetto autonomo il paesaggio in rapporto alla figura. A titolo di esempio basti citare l’Adorazione del Bambino conservata alla Galleria Estense29, opera riconosciuta alla paternità di Battista ed eseguita con la collaborazione di Dosso, dove si assiste alla strabordante premi- nenza della scena naturale rispetto alla storia, secondo “accenti ch’erano già stati compiutamente portati a sviluppo da Albrecht Altdorfer”.30 I paesaggi di Patinier e del Civetta rappresentano, insieme a Dosso Dossi, im- portanti punti di riferimento per Nicolò dell’Abate e la diffusione degli stilemi del paesaggio nordico ha certamente in lui uno dei suoi tramiti privilegiati. Tutto il corso della sua produzione è caratterizzato dall’aggiornamento costante sulle no- vità padane permeate di cultura oltremontana, accanto ad una profonda conoscenza delle incisioni di maestri fiamminghi, olandesi e tedeschi, con una lettura del mondo nordico molto personale.31 Le ventuno lunette con paesaggi dipinti su finti veli appesi, di recente riemerse a Scandiano nella Sala del Paradiso, sono per molti aspetti i paesaggi di Nicolò del- l’Abate più vicini a quelli della sagrestia di San Pietro, in primo luogo per cronolo- gia, poiché risalgono allo stesso anno 1540 del Camerino dell’Eneide.32 La vicinanza è, però, soprattutto ‘di intenzione’ e il confronto con queste pitture murali permette di chiarire per analogia molti aspetti legati ai medaglioni della sagrestia. A Scandiano Nicolò rivela e descrive minutamente la soluzione decorativa adottata: in modo ancor più dichiarato di come avverrà nella Sala dei Paesaggi di Palazzo Poggi, dove l’artista sottolinea, con l’ondulazione delle pieghe, il sup- porto tessile dei paesaggi dipinti, in queste raffigurazioni “la verosimiglianza delle vedute trova immediata smentita nell’esibito carattere ornamentale e nella fun- zione decorativa delle tende agganciate alla lunetta in quattro punti prestabiliti”.33 La stessa “funzione decorativa” presiedeva all’impiego del paesaggio nel fregio delle Beccherie, in una costante attenzione alla ricerca della varietà nelle solu- zioni -a Scandiano il velo, a Modena il medaglione- e sovrintende all’inserimento di questo elemento nel fregio della sagrestia.

28 Per gli influssi del mondo nordico sulla produzione di artisti emiliani e romagnoli si rimanda a FAIETTI, 1995, pp. 9-47. 29 L’esecuzione della pala su commissione estense si attesta tra la fine del 1533 e il dicembre del 1534. La paternità riferita a Battista Dossi è ricordata da Lancellotti. DE’ BIANCHI, 1867, volume V, anni 1535-1538, p. 195. Mezzetti sulla base dell’attendibilità del documento modenese giudica l’opera “la prima opera sicura di Battista che in ordine di tempo ci venga fatto d’incontrare”, posizione mantenuta, in generale, anche dagli studi più recenti, sebbene non sia mai stato escluso completamente un contributo di Dosso. MEZZETTI, 1965, pp. 64- 65 del Regesto e scheda n. 116, pp. 101-102; HUMFREY, 1998, p. 13. Si rimanda alla scheda di Giovanna Paolozzi Strozzi in BÈGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 6, pp. 209-210. 30 OLIVATO, 1997, p. 228. 31 SPADA, 1995, p. 207. 32 Per le vicende del recupero si rimanda a MAZZA, 2009, pp. 65-83; FELICI, LANFRANCHI, LUPPICHINI, PENONI, TODARO, 2009, pp. 179-189. 33 MAZZA, 2009, p. 73. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 11

Come i paesaggi delle lunette di Scandiano quelli di San Pietro non offrono la visione della natura circostante, oltre il limite fisico della parete, “né si pre- sentano nella forma mimetica della natura tout court”, ma sono “il risultato di un’immaginazione che mescola sedimentazioni della memoria e testimonianze della storia, in una combinazione fantastica che sottopone la percezione senso- riale della natura e delle sue mutevoli morfologie all’esigenza poetica della tra- sfigurazione”.34 Il paesaggio di Girolamo da Vignola a San Pietro, come quello di Nicolò nelle lunette di Scandiano, è “silenzioso e disabitato, sospeso in un incantesimo che ha cancellato la presenza umana, ma non i segni incisivi della storia e della cultura, con gli insediamenti, le abitazioni, i castelli”: l’uomo è evocato attra- verso le tracce della sua presenza, piuttosto che direttamente presente.35 La linea dell’orizzonte occupa la zona mediana della composizione, ma con il punto d’os- servazione che leggermente “si va sollevando sull’esempio dei fiamminghi” e la costruzione sintetica del paesaggio è basata sulla sapiente distribuzione di pochi ricorrenti elementi, come gli alberi e i nuclei di case.36 In una delle lunette ritro- viamo lo stesso orizzonte chiuso in lontananza dal profilo azzurro delle monta- gne che si vede sullo sfondo di uno dei medaglioni; l’albero che compartisce una delle scene della sagrestia ritorna diverse volte al centro delle lunette di Scan- diano; una torre simile a quella dipinta da Girolamo si intravede al centro di uno dei borghi di Nicolò. Un secondo momento di studio dei paesaggi si è concentrato su quella che alla metà del Cinquecento era una pratica consolidata tra gli artisti: l’impiego di modelli grafici nelle opere pittoriche. L’ampia circolazione di fogli incisi varca i confini ristretti del territorio e delle vicende politiche, disegnando una geografia culturale più ampia e fluida, che consente agli artefici di venire a contatto con idee elaborate in altri centri di produzione artistica e di aggiornare e arricchire il pro- prio repertorio anche nelle aree periferiche. Le stampe garantiscono inoltre una certa permanenza delle idee nel tempo, permettendo agli artisti di desumere spunti di riflessione e stimoli compositivi da incisioni licenziate assai prima, ma ancora circolanti negli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento. La grafica nordica, pre- sente nel bagaglio culturale di molti artisti attivi intorno alla metà del XVI secolo, annovera ancora modelli tardo quattrocenteschi o di primo Cinquecento e “tutto lascia supporre che gli interessi che avevano ispirato a suo tempo sia Nicoletto da Modena che Marcantonio Raimondi proseguissero senza soluzione di conti- nuità”.37 Marcantonio Raimondi e la sua scuola, in particolare, svolgono un ruolo fondamentale, sia per la divulgazione delle idee romane elaborate da Raffaello e collaboratori, sia per la mediazione con la produzione di incisori nordici come Al- brecht Dürer e Luca di Leyda.

34 MAZZA, 2009, p. 72. 35 MAZZA, 2009, p. 72. 36 MAZZA, 2009, p. 72. 37 FAIETTI, 1995, pp. 12-16; FAIETTI, 2005, p. 155. 12 LAURA MALAGUTTI

L’ampia circolazione di temi e motivi attraverso fogli incisi coinvolge e in- forma l’elaborazione dei medaglioni con paesaggi nella sagrestia, costruiti anche attraverso spunti desunti dalla grafica, italiana e d’oltralpe. Tra i motivi di figura, il viandante presenta ampia diffusione nella stampa nordica, a titolo esemplificativo si prenda la figuretta che tiene il bastone pog- giato sulla spalla, in atteggiamento analogo alla figura di San Pietro, sullo sfondo di un’incisione di Martin Schongauer intitolata La partenza per il mercato (B. VI, 157, 88), la quale, a riprova dei fenomeni di diffusione, permanenza e circola- zione, è stata copiata anche da Nicoletto da Modena (B. XIII, 291, 65). Due figure simili, incamminate con il bastone sulla spalla per la strada che conduce fuori dal borgo attraverso la campagna, sono collocate nell’ampio paesaggio della xilogra- fia da Tiziano raffigurante il Sacrificio del Patriarca Abramo, dove, tra gli edifici che compongono il villaggio, svetta una torre rotonda orlata da ciuffi di vegeta- zione che richiama molto da vicino il modo in cui lo stesso motivo architettonico è reso nella sagrestia (fig. 7). Restando nel novero dei motivi architettonici, il borgo sullo sfondo del medaglione con il soldato e il viandante (fig. 8) presenta strette affinità con quello scelto per l’ambientazione del soggetto in un’incisione di Marcantonio Raimondi tratta da Raffaello raffigurante la Vergine che appare tra le nuvole (B. XXVI, 47, 67; fig. 9)38. La casetta rustica dal tetto spiovente e la montagna rocciosa, motivi dal sapore nordico presenti nello stesso medaglione, sono ricorrenti negli sfondi delle incisioni di maestri d’oltralpe e in quelle opera- zioni di assemblaggio tra figure e sfondo da fonti diverse confezionate da Mar- cantonio Raimondi e dalla sua scuola. In un foglio di Luca di Leyda rappresentante San Girolamo (B. VII, 398, 113) sono presenti entrambi i motivi mentre la sola ca- setta con il tetto appuntito ricorda una delle case sullo sfondo dell’incisione di Giulio Campagnola raffigurante un Vecchio pastore,39 il cui successo è attestato dal fatto che venne copiata tre volte all’inizio del Cinquecento, di cui due per mano di Agostino Veneziano (B. XIII, 374, 7 A-B)40. Un disegno del , raffigurante un Paesaggio con una capra e tradizionalmente attribuito a Tiziano, dipende stret- tamente dall’incisione, in particolare i casamenti nel disegno sono quasi identici a quelli della stampa, e costituisce un ulteriore tassello a riprova dell’ampia cir- colazione di motivi tra il Nord, Venezia e l’Emilia.41 La presenza delle figure monocrome nel fregio di San Pietro rinsalda il le- game con la facciata delle Beccherie sotto il profilo dell’ideazione compositiva, per l’analogia degli elementi e della loro disposizione, come mostra il confronto tra la tavola incisa avente al centro il medaglione con paesaggio e ai lati le due fi- gure monocrome e uno scomparto del fregio di San Pietro (figg. 4-5) Quelle della sagrestia sono figure singole oppure disposte a gruppi di due o tre; seguendo i canoni consolidati della prassi artistica, il pittore ottiene la massima

38 OBERHUBER, 1978, volume 27, p. 271. 39 ZUCKER, 1984, volume 25, p. 480. Qui si trova l’immagine dell’incisione di Giulio Campagnola, che non è compresa da Bartsch nel suo repertorio. 40 ZUCKER, 1984, volume 25, pp. 251-252. 41 ZUCKER, 1984, volume 25, p. 479. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 13

Figura 1 - Girolamo da Vignola, parete est, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 2 - Girolamo da Vignola, particolare del fregio con San Luca, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 3 - Tracce di decorazione pittorica emerse in seguito alle cadute di intonaco dovute al terremoto, Modena, chiesa dell’abbazia di San Pietro. 14 LAURA MALAGUTTI

Figura 4 - Giuseppe Guizzardi e Giulio Tomba, Fregio delle Beccherie, particolare con paesaggio entro medaglione, satiri e figure di Virtù, incisione a bulino, in C. Galvani, C. Malmusi, M. Valdrighi, Le opere di Guido Mazzoni e di Antonio Begarelli celebri plastici modenesi …, Modena, per G. Vincenzi e compagno, 1823.

Figura 5 - Girolamo da Vignola, particolare del fregio, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 6 - Nicolò dell’Abate, Paesaggio con scena di caccia, dipinto murale trasportato su tela, Modena, Galleria Estense, provenienza: Scandiano, rocca dei Boiardo, Camerino dell’Eneide, 1540. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 15

Figura 7 - Girolamo da Vignola, medaglione con paesaggio, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 8 - Girolamo da Vignola, particolare di uno dei medaglioni con paesaggio, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 9 - Marcantonio Raimondi, La Vergine seduta sulle nuvole, incisione da Raffaello, particolare, (B. XXVI, 47, 67). 16 LAURA MALAGUTTI

Figura 10 - Girolamo da Vignola, figura monocroma, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 11 - Antonio Begarelli, Gesù, dal gruppo del Battesimo di Cristo per la chiesa di San Salvatore a Modena, Modena, Galleria Estense, post 1535. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 17

Figura 12 - Girolamo da Vignola, particolare del soffitto con la figura di Cristo, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 13 - Correggio, Visione di San Giovanni, affresco, Parma, cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista, 1520-1523. 18 LAURA MALAGUTTI

Figura 14 - Girolamo da Vignola, figura monocroma, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541.

Figura 15 - Correggio, Sibilla seduta rivolta verso sinistra con il braccio sinistro sopra la tavola, matita rossa ripassata a penna, inchiostro e acquerello marrone con rialzi a biacca, quadrettatura a matita rossa, Rotterdam, Boijmans Van Beuningen Museum, 1523. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 19

Figura 16 - Ugo da Carpi, Archimede, chiaroscuro a cinque (forse sei?) legni, 1524-1525.

Figura 17 - Girolamo da Vignola, figura monocroma, dipinto murale, Modena, sagrestia dell’abbazia di San Pietro, 1541. 20 LAURA MALAGUTTI sensazione di varietà attraverso una sapiente alternanza di un numero ristretto di idee compositive, nelle quali si coglie la ripetizione di alcune tipologie e di certi modi di articolare la figura, fino all’utilizzo in taluni casi degli stessi cartoni per l’esecuzione di figure diverse. Il filo conduttore che unisce tutti gli scomparti, ca- ratterizzati dal ricorrere di libri o tavole, è quello del richiamo allo studio, alla meditazione, alla discussione. Non è possibile assegnare a queste figure, a metà tra l’iconografia del filosofo classico e quella del profeta, una precisa etichetta iconografica, esse concentrano una stratificazione di rimandi e riescono ad allu- dere al contempo alla erudita cultura teologica del monastero e all’amore per i testi della classicità greca e romana che si coltivava tra le sue mura, all’insegna di un sapere che ricercava la conciliazione tra fede e umanesimo. Dal punto di vista tipologico è evidente l’adesione di queste figure a modelli antichi, un antico che, se non conosciuto direttamente, poteva giungere attraverso la ripresa e divulgazione dei suoi motivi che, iniziata nei cantieri romani di Raf- faello e scuola, continuava con l’attività degli epigoni del maestro e con la diffu- sione di disegni e incisioni. L’aggiornamento sui modelli raffaelleschi in area padana era consentito dalla loro circolazione, assicurata dal successo delle stampe di Marcantonio Raimondi, Agostino Veneziano e Marco Dente, dai disegni di esponenti del classicismo bolognese, come Girolamo da Carpi, Biagio Pupini e In- nocenzo da Imola, molti dei quali ebbero accesso diretto ai cantieri pittorici ro- mani, e dalla presenza diretta dei discepoli del maestro. Roma esercitava un’attrazione centripeta ma altrettanta importanza riveste il moto in direzione op- posta attraverso il quale si diffondono le istanze culturali che la fucina romana produceva: i disegni e le stampe circolavano, ma anche gli artisti si spostavano, offrendo alla pittura locale la possibilità di aggiornarsi sulla lezione raffaellesca anche in maniera più diretta. Poco dopo la morte di Raffaello, il pittore modenese Pellegrino Munari alias Aretusi, che aveva collaborato con il maestro nel cantiere delle Logge, rientra da Roma nella sua città. I soli tre anni che trascorre a Modena, viene infatti ucciso in una lite nel 1523, sono probabilmente sufficienti “a fargli testimoniare del cam- biamento dell’arte ormai sopravvenuto a Roma” ed è verosimile che il suo ricco ba- gaglio di esperienze romane venga divulgato a qualche giovane allievo modenese.42 Anche per Giovanni Taraschi, autore della decorazione dell’organo di San Pietro, le fonti ricordano un soggiorno a Roma e, se questa notizia fosse compro- vata da opportuni riscontri, si potrebbe ipotizzare per lui un ruolo di ‘importatore’ di idee e stilemi romani.43 Nel 1524, Giulio Romano si trasferisce a Mantova presso la corte dei Gon- zaga, portando con sé il suo repertorio di disegni e incisioni classicistiche desunti dai monumenti romani, e seguendo il modus operandi appreso nella bottega del maestro si pone a capo di un’équipe formata da numerosi artisti e collaboratori, che a loro volta contribuiscono alla diffusione del lessico raffaellesco. Giulio sarà

42 FERRIANI, 2005, p. 217. Su Pellegrino da Modena si rimanda a SRICCHIA SANTORO, 1983-1984, pp. 166- 174; FERRETTI, 1984a, pp. 53-58; FERRETTI, 1984b, pp. 119-120. 43 FORCIROLI, ed. 2007, pp. 163-164; TIRABOSCHI, 1786, p. 337. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 21 anche al servizio della congregazione di Santa Giustina, quando il grande umani- sta benedettino Gregorio Cortese, modenese, legato da amicizia a Pellegrino degli Erri e per un breve periodo priore di San Pietro, divenuto abate di San Benedetto in Polirone, gli affida, tra il 1539 e il 1544, il rifacimento dell’antica chiesa.44 In questo cantiere è probabilmente presente, fin dal 1541, anche Antonio Begarelli, incaricato della realizzazione di nove statue da collocare nel deambulatorio e nel- l’area presbiteriale della chiesa.45 La lezione di Raffaello è una componente fondamentale della cultura figu- rativa modenese degli anni Venti, sulla cui ribalta comincia a profilarsi Antonio Begarelli, destinato ad essere, con il suo classicismo naturalizzato, uno dei mas- simi esponenti del raffaellismo in Emilia, per diverse volte attivo al servizio dei benedettini di San Pietro.46 Solo pochi anni prima dell’inizio dei lavori per la sagrestia, nel 1536, ven- gono collocate agli angoli della crociera del dormitorio le quattro grandi statue di santi raffiguranti la Madonna col Bambino, Santa Giustina, San Benedetto e San Pietro, scaturite dall’assimilazione della lezione di Raffaello all’interno di una più complessa cultura locale, debitrice soprattutto nei confronti di Correggio. Proprio la figura di San Pietro, “olimpico come un’antica statua classica”, austero nella sua “grandezza morale e dignità spirituale”, si presta ad essere il tramite per le idee al- l’antica che informano le figure di filosofi-profeti della sagrestia.47 La derivazione non è solo tipologica ma coinvolge anche la resa stilistica: l’ombra portata fa emergere queste figure con evidenza scultorea e tornitura pla- stica, rendendo quasi tangibile la profondità dello spazio che occupano e intui- bile l’incisività del bordo della cornice, questi caratteri possono derivare da meditazioni condotte sugli esempi della coeva scultura in terracotta. Si possono cogliere, nella resa del panneggio, abbondante e definito nelle pieghe e nei ri- gonfiamenti, certe tangenze con il linguaggio plastico di Begarelli, con le sue forme classicheggianti ma tenere. In particolare in una delle figure (fig. 10), il cui manto si rigonfia lateralmente creando una conca ombrosa, Girolamo sembra ispirarsi a effetti simili visti in scultura, la si metta a confronto con il mantello del Cristo nel Battesimo del complesso della chiesa di San Salvatore (fig. 11), per il quale il post quem è costituito dal 1534 di un incendio che ne impone il rifaci- mento, o con le ricadute laterali del piviale del San Benedetto oggi custodito nella chiesa di San Pietro.48 Alla resa plastica e tornita dei corpi si accompagna un trattamento soffice, pit- torico e scomposto delle barbe e dei capelli, questa ricerca di valori di più sensuale

44 Sulla committenza di Gregorio Cortese all’abbazia di San Benedetto in Polirone si rimanda a SPINELLI, 1981, pp. 257-280; BERZAGNI, 1981, pp. 295-311; PIVA, 1989, pp. 13-25. 45 VIOLA, 2009, p. 77. 46 Si rimanda a CREMONINI, 2005, pp. 27-45; FERRIANI, 2005, pp.57-65. 47 Sulle committenze affidate a Begarelli dai benedettini di San Pietro si rimanda a FRISONI, 1984a, pp. 129- 148; CIANCABILLA, 2006, pp. 215- 228; VIOLA, 2009, pp. 71-81. Si rimanda alla scheda di Simona Roversi in BONSANTI, PICCININI (a cura di), 2009, scheda n. 61, pp. 231-232. Sull’intera produzione di Begarelli si rimanda a BONSANTI, 1992. 48 Si rimanda alle schede di Daniela Ferriani in BONSANTI, PICCININI (a cura di), 2009, schede nn. 37a-b, 37c, pp. 168-170. Su questo argomento si rimanda a FERRIANI, 2005, pp. 57-65. 22 LAURA MALAGUTTI evidenza percettiva e di morbidezza presuppone una conoscenza della lezione di Correggio. Questa non era difficile da conseguire: in città, negli oratori di San Se- bastiano e di San Pietro Martire, erano custodite le due pale di San Sebastiano e San Giorgio, eseguite dal maestro nel terzo decennio del secolo,49 e Parma si trova ad una breve distanza geografica. Un legame particolare stringeva, poi, l’abbazia di San Pietro a quella di San Giovanni Evangelista, luogo, dal 1519 al 1525, di uno dei massimi episodi della committenza benedettina in area padana nella prima metà del secolo: entrambe appartenevano alla congregazione di Santa Giustina, la quale promuoveva al suo interno la mobilità di monaci e abati, ma anche di arti- giani e artisti, con una conseguente distribuzione capillare degli uomini dell’ordine più dotati culturalmente e la fioritura di una cultura uniforme e condivisa.50 La figura del Cristo al centro del soffitto (fig. 12) deve molto a quella della cupola parmense di Correggio (fig. 13), apparendone però come una versione ri- tagliata e applicata su uno sfondo bidimensionale, con un effetto simile a quello di una pagina decorata, che nulla conserva dell’illusionismo atmosferico del mae- stro. Anche l’assetto compositivo generale, con la disposizione delle figure mo- nocrome agli estremi degli scomparti, ritmati dai putti utilizzati come termini, potrebbe riecheggiare suggestioni dal fregio della navata maggiore di San Gio- vanni Evangelista, progettato dal maestro ed eseguito con una considerevole as- sistenza degli aiuti durante l’estate del 1523.51 Attraverso i disegni preparatori52, nei quali si avverte il lascito delle espe- rienze romane e quanto Correggio aveva imparato durante il suo viaggio a Roma, in particolare dagli esempi di Raffaello e Michelangelo, si possono istituire dei confronti che permettono di misurare il debito del fregio di San Pietro nei confronti dell’esempio parmense, rilevando nelle pose delle figure monocrome della sagre- stia una ripresa di idee, quali l’espediente della tavoletta collocata in primo piano come punto d’appoggio o il braccio che sostiene la testa (figg. 14-15). Sono de- bitori nei confronti della lezione di Correggio anche il trattamento dei panneggi a grosse e morbide pieghe tornite dalla luce e la ricerca incentrata sulla restituzione del dialogo che si trasmette da una figura all’altra attraverso i gesti delle mani e gli sguardi.

49 Sulle pale d’altare di Correggio per Modena si rimanda a EKSERDJIAN, 1997, pp. 177-192; MAZZA, 2008, pp. 195-203. 50 Una lettura dei caratteri del fregio della sagrestia orientata in direzione parmense era già presente in GHIDIGLIA QUINTAVALLE, 1965, p. 28; BENATI, 1984, p. 111. Sull’abbazia di San Giovanni Evangelista si rimanda a ADORINI (a cura di), 1979; EKSERDJIAN, 1997, pp. 95-121. 51 EKSERDJIAN, 1997, pp. 118-120. 52 Si tratta di quattro studi per profeti e sibille a carboncino e sanguigna, alcuni dei quali su fondo rosato, ripassati a penna o accentuati con la biacca, tutti squadrati per la trasposizione tranne uno, conservati al Boijmans Van Beuningen Museum di Rotterdam e di tre fogli appena più grandi, nello stesso insieme di tecniche, uno recentemente riscoperto in una collezione privata inglese, gli altri, disegnati su due facce, conservati allo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte. Sui disegni di Correggio per il fregio si rimanda a: DI GIAMPAOLO, MUZZI, 1988, schede nn. 41-44, 45-46; alle schede contenute in DE GRAZIA (a cura di), 1984, schede nn. 12-15, pp. 96-99; EKSERDJIAN, 1997, pp. 96, 118-120; alle schede di Cristina Casoli in FORNARI Schianchi (a cura di), 2008, sezione IV, schede nn. 19 a-d, 20 a-b, pp. 401-402; EKSERDJIAN, 2008, p. 79. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 23

Va inoltre rilevato che “varcata la metà degli anni Venti la dinamicità e la monumentalità degli Ignudi michelangioleschi era messa in circolo anche me- diante incisioni di soggetto non ‘sistino’, quali il Diogene di Ugo da Carpi (B.XII, 100,10) o il Diogene di Jacopo Caraglio (B. XV, 94-95, 61) o il Nudo maschile visto di spalle di Antonio da Trento (B. XII, 148, 13)”.53 A queste opere merita di essere aggiunto, per la sua vicinanza alle figure monocrome di San Pietro, anche l’Archimede di Ugo da Carpi (figg. 16-17), nato dalla collaborazione con Parmi- gianino, in cui la definizione del corpo è costruita tramite l’accostamento per mac- chie cromatiche in modo puramente pittorico, modellando una figura di grande monumentalità.54 Già Vasari nelle Vite suggerisce un collegamento tra le xilografie a più legni e le competenze tecniche e progettuali necessarie alla decorazione pittorica a mo- nocromo. La sua definizione delle xilografie a più legni come “carte che paiono fatte col pennello a guisa di chiaroscuro” sembra ricondurre al tipo di decorazione pittorica monocroma in genere usata per decorare le facciate di case e palazzi, che a Roma, negli anni in cui vi lavorò Ugo da Carpi, aveva trovato un illustre inter- prete in Polidoro da Caravaggio.55 Nei limiti della similitudine tipologica che li accomuna i putti denotano la stessa ricerca di varietà che informa le figure monocrome. In questo motivo del- l’arte ellenistica e romana, ripreso nei cantieri di Raffaello e collaboratori e di- vulgato attraverso disegni e incisioni della sua scuola, si incrociano nuovamente i referenti culturali che abbiamo finora visto contribuire alla decorazione. Un mo- tivo classico giunto sulla scia di idee romane, presente anche nella produzione di Nicolò dell’Abate, accompagnato ad una resa stilistica soda memore nuovamente di Antonio Begarelli, il quale nei piccoli putti vivaci che fanno capolino dietro le statue di Santa Giustina e San Pietro aveva ripreso e rielaborato da Correggio il tema dell’infanzia giocosa, che a Modena aveva appena raggiunto uno dei suoi momenti più felici nella pala d’altare per l’oratorio di San Pietro Martire (1531- 1532), dove i putti in primo piano giocano con la spada e l’elmo di San Giorgio.56 Le grandi foglie di acanto e gli ignudi che completano la volta sono motivi tratti dal repertorio ornamentale della grottesca, una decorazione che affonda le sue radici nello studio e nel recupero del repertorio decorativo antico, cominciati con la cultura antiquaria tardo-quattrocentesca e giunti al loro apice qualitativo nelle imprese decorative di Raffello e scuola, capaci di far rivivere non solo i motivi ma anche lo stile del mondo classico, divulgati poi attraverso la straordinaria prolife-

53 FAIETTI, 2005, pp. 160-161. Sul Diogene si rimanda alla scheda di Achim Gnann in OBERHUBER, 1999, scheda n. 301, p. 396; alle schede contenute in GNANN (a cura di), 2004, schede nn. 63-65, pp. 164-167; alla scheda di Manuela Rossi in ROSSI (a cura di), 2009, scheda n. 38, pp. 164-167. Sull’incisione di Antonio da Trento si rimanda alla scheda di Laura Aldovini in BÉGUIN, PICCININI (a cura di), 2005, scheda n. 47, p. 260. Sull’Archimede di Ugo da Carpi si rimanda alla scheda di Gnann in OBERHUBER, 1999, scheda n. 280, p. 374. 54 SASSI, 2009, pp. 77-78. 55 SASSI, 2009, pp. 64-65; VASARI, Vite, 1568, volume V, p. 14. Della tecnica di “dipingere nelle mura di chiaro e scuro” Vasari parla nell’Introduzione delle Vite al capitolo XXV. Vasari, Vite, 1568, volume I, pp. 139-141. 56 FERRIANI, 2005, p. 60. 24 LAURA MALAGUTTI razione di fogli incisi. L’interpretazione offerta da Girolamo è depurata e misurata, senza forzature espressive o accenti bizzarri, una declinazione sobria e raffinata di motivi classici che raggiunge uno dei momenti più alti nelle due figurine che in corrispondenza degli angoli si abbracciano in un elegante e ricercato avvitamento manierista. Se le figure monocrome esaltano il valore dello studio, dell’erudizione e della discussione teologica e le essenze vegetali traggono ispirazione dai rigogliosi giar- dini coltivati tra le mura del monastero a sostentamento della spezieria e dai libri di botanica conservati nella biblioteca, allora siamo di fronte ad un ciclo decora- tivo che affonda le sue radici nella vita stessa dell’abbazia, in quelli che erano due aspetti complementari dell’esistenza monastica. In questa prospettiva è partico- larmente affascinante l’asserzione di Giovanni Spinelli, per il momento priva di riscontri, che Girolamo da Vignola sarebbe stato un converso del monastero, que- sto spiegherebbe la sua consuetudine quotidiana con la vita dell’abbazia, tanto da condensarla nella sua opera pittorica.57

57 SPINELLI, 1980, p. 137. La sagrestia cinquecentesca dell’abbazia benedettina di San Pietro a Modena 25

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