Why Beauty Matters/Perché La Bellezza Ha Importanza, Di Roger Scruton
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Why Beauty Matters/Perché la bellezza ha importanza, di Roger Scruton - Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /01 /2020 - 14:37 pm Riprendiamo dal sito Gliscritti.it la trascrizione delle parole di un documentario di Roger Scruton per la BBC con l’introduzione che accompagnava la trascrizione sul sito stesso. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2020) Nei mesi di novembre e di dicembre del 2009, il secondo e il quarto canale della BBC. British Broadcasting Corporation, la società radiotelevisiva pubblica del Regno Unito, hanno mandato in onda un ciclo di documentari dal titolo Modern Beauty, che intendeva esaminare la percezione della bellezza nelle forme artistiche classiche e moderne. Il quinto della serie, intitolato Why Beauty Matters, diretto da Louise Lockwood e mandato in onda la prima volta il 28-11-2009, è stato affidato allo scrittore e filosofo britannico Roger Scruton. Nato nel 1944, Scruton si è laureato a Cambridge nel 1965 e ha insegnato Estetica al Birkbeck College dell’Università di Londra dal 1971 al 1992. Fondatore nel 1982 del trimestrale The SalisburyReview, lo ha diretto fino al 2000. Insegna attualmente presso l’università di St. Andrews in Scozia ed è visiting scholar dell’American Enterprise Institute a Washington. Con l’autorizzazione dell’autore pubblichiamo il testo di Why Beauty Matters. La traduzione — che riduce le ripetizioni tipiche dello stile parlato —, la suddivisione in paragrafi, le inserzioni fra parentesi quadre e le note sono redazionali. Parte delle considerazioni svolte si possono ritrovare, con una maggiore articolazione, nell’opera di Scruton, La bellezza. Ragione ed esperienza estetica, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 2011. Perché la bellezza ha importanza, di Roger Scruton 1. A qualunque persona istruita — e in un qualunque momento storico fra il 1750 e il 1930 — fosse stato chiesto di descrivere lo scopo della poesia, della pittura, della scultura o della musica, la risposta sarebbe stata: “La bellezza”. E, se aveste chiesto ragione della risposta, vi avrebbero insegnato che il bello è un valore importante almeno quanto il vero e il bene. Poi, nel secolo XX, la bellezza ha smesso di essere importante. Il fine dell’arte è diventato con sempre maggior frequenza quello di turbare, di rompere tabù morali. Non è più stata la bellezza a essere glorificata, ma l’originalità, comunque raggiunta e a qualunque costo morale. Non solo la pittura e la scultura hanno affermato il culto della bruttezza; anche l’architettura è diventata senz’anima e sterile. E non è solo ciò che fisicamente ci circonda a esser diventato brutto: il nostro linguaggio, la nostra musica e le nostre maniere sono diventati sempre più scabri, egocentrici e offensivi, come se la bellezza e il buon gusto non trovassero più un loro posto nelle nostre vite. Una parola è scritta a chiare lettere su tutte queste brutte cose. Questa parola è: “Io”. Il “mio” guadagno, i “miei” profitti, i “miei” desideri, il “mio piacere”. E l’arte non ha null’altro da dire in risposta a quest’atteggiamento se non: “Bene! Vatteli a prendere!”. Personalmente, penso che stiamo rischiando di perdere la bellezza. E vi è il pericolo che, con lei, perderemo anche il senso della vita. 2. Mi chiamo Roger Scruton, filosofo e scrittore. La mia attività consiste nel porre domande. In questi ultimi anni mi sono interrogato sulla bellezza. Per oltre duemila anni essa ha avuto un ruolo centrale nella nostra civiltà. Dai suoi albori, nell’antica Grecia, la filosofia riflette sul posto che il bello occupa nelle arti figurative, nella poesia, nella musica, nell’architettura e nella vita di tutti i giorni. I filosofi sostenevano che, attraverso il perseguimento della bellezza, noi diamo al mondo la forma di una dimora e riusciamo anche a comprendere la nostra natura di esseri spirituali. Il nostro mondo, tuttavia, ha deciso di voltare le spalle al bello. Di conseguenza, ci scopriamo circondati dalla bruttezza e dall’alienazione. Vorrei convincervi che la bellezza ha una sua importanza. Non è soltanto una questione soggettiva, ma una necessità insopprimibile dell’essere umano. Quando s’ignora questo bisogno, ci si ritrova in un deserto spirituale. Mi piacerebbe mostrarvi una via per uscire da questo deserto. È una via che permette di ritrovare la strada di casa. I grandi artisti del passato erano consapevoli che la vita umana è caratterizzata dalla confusione e dalla sofferenza, ma essi trovavano a ciò un rimedio: la bellezza è il suo nome. L’arte riesce a portare consolazione nella sofferenza e conferma nella gioia. Essa mostra che la vita umana è degna di essere vissuta. Sembra che molti artisti contemporanei si siano stancati di questo sacro compito. La casualità della vita, sostengono, non può essere redenta dall’arte. Al contrario, essa va esibita. Ha fatto da apripista e da modello quasi un secolo fa l’artista francese Marcel Duchamp [1887-1968], che ha messo una firma fittizia su un orinatoio e lo ha proposto per una mostra. Il gesto era satirico, intendeva deridere il mondo dell’arte e lo snobismo che lo accompagna. Eppure, è stato interpretato in un altro modo: esso provava che qualunque cosa può essere arte[1]. Come una luce che si accende e si spegne[2], un barattolo di alluminio contenente escrementi[3] o un mucchio di mattoni[4]. L’arte non ha più uno status sacrale, né ci eleva, moralmente o spiritualmente, a un livello superiore. Si tratta di un gesto, di un atto umano come tutti gli altri, non più denso di significato di una risata o di un grido. Un tempo, l’arte aveva prodotto il culto della bellezza. Il culto della bruttezza ne ha ora preso il posto[5]. Sembrerebbe che, poiché il mondo disturba e allarma, l’arte debba avere le stesse caratteristiche. Quelli che nell’arte cercano la bellezza sarebbero unicamente quelli che hanno perso il contatto con la realtà contemporanea. Talvolta, l’intento è di sconcertare. Tuttavia, ciò che la prima volta ci sbalordisce, ci annoia e ci sembra vacuo quando viene ripetuto. Questo trasforma l’arte in un gioco sofisticato che, ormai, ha smesso di essere divertente. Eppure, i critici non smettono di approvarla e di sostenerla, timorosi di denunciare che l’imperatore è nudo. Non si può dire, solo per il fatto di aver avuto un’idea, di aver realizzato dell’“arte creativa”. Naturalmente, le idee possono essere interessanti e divertenti, ma non per questo è legittimo appropriarsi della qualifica di “arte”. Se un’idea fosse sufficiente a realizzare un’opera d’arte, ognuno potrebbe diventare un artista e ogni oggetto un’opera d’arte: non ci sarebbe più alcun bisogno di talento, di gusto o di creatività. In un’intervista rilasciata alla BBC nel 1968, Marcel Duchamp dichiarava: “Non è per me molto importante che cosa effettivamente sia un’“opera d’arte”. Non m’importa della parola “arte”: è stata così screditata! Sì, anch’io ho deliberatamente contribuito a screditarla. Io volevo liberarmene. Proprio come molte persone oggi si sono liberate della religione”[6]. Su Duchamp si è accettato di sospendere il giudizio. Personalmente, credo che egli non sia veramente pervenuto all’arte, ma solo alla creatività. 3. A ogni modo, i lavori di Duchamp continuano a influenzare il corso dell’arte ai giorni nostri. Michael Craig-Martin, che ha insegnato a molti giovani artisti nel Regno Unito e la cui opera domina il mondo dell’arte, ha seguito le orme di Duchamp con Un albero di quercia, del 1973. Quest’opera innovativa consiste in un bicchiere d’acqua appoggiato a una mensola di vetro e di un testo che spiega perché si tratterebbe di un albero di quercia[7]. [A questo punto inizia un dialogo fra Scruton e Craig-Martin] [Scruton:] “Quando, per la prima volta, sono entrato in San Pietro e ho avuto l’impatto con La pietà di Michelangelo [Buonarroti (1475-1564)], ho vissuto un’esperienza travolgente, che in qualche modo ha cambiato la mia vita. Lei crede che qualcuno possa vivere la stessa esperienza dinanzi all’orinatoio di Duchamp, o anche al suo Albero di quercia che, in fondo, è un’opera dello stesso genere?”. [Craig-Martin:] “Io so solo che, quando ero ancora un teen-ager e mi sono imbattuto per la prima volta in Duchamp e in oggetti ready-made[8], sono rimasto completamente ammutolito dallo stupore. Non credo che le persone vengano sopraffatte da un senso estetico di bellezza quando vedono l’orinatoio: non è stato pensato per essere bello. Questo, tuttavia, non significa che non vi sia in esso qualcosa che seduca l’immaginazione. E io penso che proprio nel sedurre l’immaginazione si trovi la chiave per comprendere ciò cui punta un’opera d’arte. Duchamp riteneva che l’arte si fosse troppo concentrata sulle tecniche e sui fenomeni ottici e che si fosse corrotta intellettualmente e moralmente. La motivazione che lo spinse a proporre un’opera d’arte che non rientrava nei canoni stabiliti dal sistema non fu il cinismo. Duchamp intendeva dire: “Sto sperimentando una forma d’arte che rinneghi tutte le caratteristiche che, si ritiene comunemente, l’arte deve avere. Vorrei far capire che ciò che costituisce la sostanza dell’opera d’arte risiede altrove””. [Scruton:] “Concedo che le cose dovessero cambiare e Duchamp provava a farlo, ma quale direzione intendeva imprimere al cambiamento?”. [Craig-Martin:] “Duchamp non avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare quello che poi effettivamente è accaduto. Sono sicuro che egli stesso non avesse una chiara idea della pregnanza che avrebbe assunto la situazione in cui si era invischiato: dopo di lui, essenzialmente, un’opera d’arte è tale perché noi la pensiamo come tale.