Pergolesi Giovanni Battista
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PERGOLESI GIOVANNI BATTISTA Compositore italiano (Iesi, Ancona, 4 I 1710 - Pozzuoli, Napoli, 17 III 1736) 864 Il bisnonno, F. Draghi, si era trasferito, intorno al 1635, da Pergola a Iesi. Il suo primogenito, Cruciano, sposò una donna di Iesi. Dall'ora la famiglia si chiamò Pergolesi e con questo nome anche Giovanni Battista Pergolesi firma, per esempio, il frontespizio dello Stabat Mater ed il Laudate pueri; perciò la grafia Pergolesi non deve considerarsi autentica. Fin da fanciullo fu di gracile costituzione e soffrì ad una gamba. I suoi fratelli morirono giovani. Il ragazzo godette la protezione della piccola nobiltà di Iesi, ricevette il primo insegnamento di violino da F. Mondini, proveniente da Bologna e direttore della cappella comunale di Iesi, mentre il direttore della cappella del duomo, F. Santi, gli insegnò il contrappunto. A Iesi, come hanno accertato gli storici musicali locali, erano frequenti le esecuzioni pubbliche di drammi e di intermezzi, nel palazzo municipale, e probabilmente il giovane Pergolesi vi poté ascoltare musiche di A. Scarlatti e di A. Caldara. Secondo G. Santini, sarebbe stato il marchese Cardolo Maria Pianetti a mandare a Napoli il ragazzo per completarne l'istruzione. Studiò comunque nel conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo (lo si ritrova sotto il nome di "Iesi" nelle liste, del resto lacunose, a partire dal 1725) ed entrò nella classe di violino diretta da D. De Matteis. Ma il suo talento si rivelò più rapidamente nella classe di composizione di G. Greco (fino al 1728) e poi di F. Durante, mentre la sua più vasta cerchia d'interessi si estendeva a F. Feo, L. Vinci, G. Ferraro e B. Infantes. Nel 1731 terminò l'apprendistato col dramma sacro La conversione di San Guglielmo d'Aquitania, che fu eseguito nel chiostro di Sant'Angelo Maggiore. Secondo G. Radiciotti, nel 1732 assunse la direzione della cappella del principe Ferdinando Colonna-Stigliano a Napoli. Nello stesso anno fu eseguita la sua prima commedia musicale, Lo frate 'nnamorato. In occasione delle distruzioni provocate dal terremoto a Napoli alla fine di novembre 1732, Pergolesi scrisse un vespro e la messa in re magg. per 2 cori a 5 voci, 2 orchestre e 2 organi (seguita poco dopo da un'altra messa in fa magg.). Nel 1734 ripresentò Lo frate 'nnamorato, arricchito di nuove arie. Ma l'avvenimento più importante aveva avuto luogo qualche mese prima: la rappresentazione del Prigionier superbo, che, con l'intermezzo buffo La serva padrona, ebbe subito grande successo. Frattanto erano maturati importanti eventi storici a Napoli, e cioè la ritirata degli Austriaci e l'ingresso di Carlo di Borbone (Carlo III). 865 Per il duca Domenico Marzio IV di Carafa-Maddaloni, cugino del già citato mecenate, Pergolesi scrisse probabilmente la Sonata per violoncello (anche L. Leo dedicò 6 concerti per violoncello allo stesso duca). Nel 1734 fu rappresentata l'ultima opera seria di Pergolesi scritta per Napoli, Adriano in Siria, con l'intermezzo Livietta e Tracollo (in occasione del compleanno della regina di Spagna). IL CONSERVATORIO DOVE IL COMPOSITORE STUDIÒ 866 Pochi mesi dopo, all'inizio del 1735, ebbe luogo l'esecuzione romana dell’Olimpiade sulla quale si hanno contrastanti resoconti di contemporanei (fra l'altro, di A. M. Grétry e di Ch. De Brosses); dopo la morte di Pergolesi l'opera riportò splendide accoglienze a Venezia con F. Bordoni Hasse (1738). Dopo un breve servizio (1734) presso il duca Maddaloni a Roma, Pergolesi divenne organista della cappella reale di Napoli. Sembra morisse nel convento dei francescani a Pozzuoli: tale ipotesi si può desumere da un'annotazione apposta dal bibliotecario napoletano G. Sigismondo nel 1753 sul manoscritto di una composizione datata 19 VIII 1735. Tommaso di Villarosa che, fra i più antichi biografi di Pergolesi, appare assolutamente attendibile, afferma che lo Stabat Mater fu la sua ultima opera: sarebbe stata scritta per la nobile confraternita dei Sette dolori di Maria, che allora aveva sede nella chiesa di San Luigi di Palazzo. Anche P. Boyer condivide quest'opinione, ma considera appartenente all'ultimo periodo anche la cantata Orfeo, il che non sembra convincente per i motivi stilistici. Ad ogni modo Pergolesi fu certamente attivo fino all'ultimo e, nonostante la breve vita, raggiunse un alto grado di perfezione stilistica. L'apprezzamento del suo valore, ancor oggi altissimo, incominciò subito dopo la morte e non soltanto dopo la memorabile ripresa della Serva padrona a Parigi nel 1752 (la quale, seguendo la prima rappresentazione parigina del 1746, scatenò la ben nota Querelle des bouffons). La regina Maria Amalia di Napoli ebbe ad esprimersi in modo entusiastico su Pergolesi già nel 1738, chiamandolo un "uomo grande", allorché ordinò una nuova esecuzione della Serva padrona e di Livietta e Tracollo. Degno di nota è anche il fatto che assai presto (Napoli 1736 ca.) furono pubblicate a stampa quattro delle sue cantate (2ª ed. 1738) dall'editore G. Bruno. Ai nostri giorni il neoclassicismo sì è impadronito di Pergolesi: lo Stravinski del periodo di mezzo, in Pulcinella (Parigi 1920), ha elaborato temi tolti da cantate, da opere, dal Trio e da un'aria di Pergolesi (ammesso che siano tutte composizioni autentiche). Lo studio cronologico della produzione attribuita a Pergolesi deve scartare molte opere non autentiche o assai dubbie, che anche recentemente sono state ristampate sotto il suo nome. Già Ch. Burney e 867 J. Hawkins lamentavano la leggendaria attribuzione di molti pezzi ed ancor oggi la produzione complessiva di Pergolesi non è affatto accertata in tutti i suoi elementi. FIGURINO 868 A complicare le cose si aggiunge il fatto che le composizioni strumentali occupano manifestamente una posizione particolare: essendo componimenti d'occasione, non raggiungono l'altezza stilistica di quelli vocali e per di più la loro autenticità è anche maggiormente discussa. Evitando di addentrarci nei complicati problemi attributivi che hanno originato una vasta letteratura speciale, ci atterremo soltanto alle opere principali di attribuzione indubbia. Anzitutto colpisce il fatto che Pergolesi non ha creato una netta distinzione tipologica fra i generi dell'opera (seria, semiseria, buffa). Il processo di maturazione è chiaramente riconoscibile in alcune composizioni del primo periodo: la piccola cantata Questo è il piano (intitolata Ritorno) del 1731 mostra già la finezza cameristica della linea melodica pergolesiana, mentre gli abbellimenti e la configurazione dei motivi descrivono molto plasticamente la situazione ed un'arietta in tempo "spiritoso" presenta una declamazione concisa e scorrevole. In particolare, mancano già qui le armonie sovraccariche a sproposito, frequenti in quell'epoca, o i recitativi secchi di taglio convenzionale. Questi inizi del giovane Pergolesi portano un notevole contributo alla psicologia del primo rococò musicale che si ravvisa nella melodia rilevata, unita all'acuta caratterizzazione della situazione nell'accompagnamento (tratto, questo, già "illuministico") e nobilitata dalla mite ed umana espressione complessiva di questo stile buffo, che non esorbita mai dal suo stretto ambito estetico. Anche lo spontaneo alternarsi delle voci, la concezione polifonica galante, che conserva la massima trasparenza, si trovano già nelle prime composizioni di Pergolesi e sembrano essere la sua più importante conquista, che ebbe immediato riflesso su Mozart. Con quanta serietà Pergolesi abbia studiato i problemi sonori dimostrano i suoi Solfeggi giovanili a 2 e 3 voci. Ma soltanto con San Guglielmo, dramma sacro a 5 voci in 3 atti, Pergolesi uscì dalla fase dello studio scolastico. L'oratorio ha 5 personaggi: Guglielmo (soprano), Bernardo (soprano), un angelo (soprano), un demone (basso) ed il capitano Cuosemo (basso). Questa prima versione del 1731 è andata perduta: quella raccolta nell'Opera omnia affida le parti di Guglielmo e di Bernardo a due tenori. Le arie ed i concertati sono ancora di dimensioni molto ridotte, mentre i recitativi costituiscono l'apporto nuovo pergolesiano più importante di quest'opera, modellati come sono con efficacia e duttilità sull'accento del 869 discorso parlato. La sinfonia introduttiva costituisce l'ambiente sonoro con fieri motivi di fanfara. La retorica accentuazione delle parole ammonitrici del "doctor ecclesiae" (San Bernardo), sostenuta da un violino solo obbligato, crea una strana dissociazione della sonorità. Dal pari, nel dialogo fra l'angelo ed il demone, Pergolesi osa un crudo raffronto delle sonorità, che creano un effetto scenico di rilievo insolito per quel tempo. FOTO DI SCENA DALL’OPERA “LO FRATE ‘NNAMORATO” Stilisticamente vicina a questo ardito linguaggio degli affetti è la prima opera teatrale di Pergolesi, Salustia. È sorprendente quali accenti patetici Pergolesi sappia trovare nell'aria Per queste amare lacrime; con logica coerenza, alla fine della sua vita, nel Dolorosa lacrimosa dello Stabat Mater, si ritrova una figura dolente simile a questa, che egli esalta in un crescendo drammatico e poi riconduce alla pace. Egli è sempre e soprattutto maestro nel "racquetare" la tensione, riconducendo il motivo, dopo molteplici variazioni, ai suoni originali, a 870 cupe sonorità quasi romantiche. L'opera teatrale successiva, Lo frate 'nnamorato (1732), gli fruttò il primo successo pubblico. La sicurezza di concezione melodica guadagna nuovo terreno nella spiritosa parodia dell'antica aria dell'opera seria, ma anche il semplice declamato, che Pergolesi sviluppò dagli intermezzi dell'epoca, guadagna in espressione grazie alla dolcezza del fraseggio