Stefano Lancioni

Il Palazzo Ubaldini di

A Maria Chiara e a Matteo

1 2 INTRODUZIONE

Chi giunge in Apecchio non può non ammirare Palazzo Ubaldini, senza ombra di dubbio il più importante palazzo storico del , risalente nella sua prima fase al secolo XV, quindi rimaneggiato più volte nei secoli successivi. Ho provato, con l’aiuto di documenti reperito nell’Archivio di Stato di (in cui è confluito l’archivio della Legazione di e, in parte - attraverso copie autenticate da notai -, quello dei conti Ubaldini, poi spostato a Roma), a delineare una storia più precisa di questo importante palazzo, con la speranza di fare cosa gradita agli appassionati di storia apecchiese. Un doveroso ringraziamento al signor Bei, al sindaco Stefano Cristini e al personale dell’Archivio di Stato di Pesaro (fondamentali, in particolare, l’aiuto ed i consigli del signor Emma).

Fano, 1 giugno 2009

Stefano Lancioni

P.S. Per rendere maggiormente comprensibili i documenti dell’epoca, ho sciolto tutte le abbreviazioni e normalizzato, secondo gli usi moderni, punteggiatura, maiuscole, accenti. Sono anche intervenuto, dove lo richiedono le attuali regole ortografiche, su: doppie (aggiunte o tolte secondo quanto stabilisce l’odierna pronuncia); uso di scie/sce; uso dell’ “h”; congiuntivo presente (es: succedino > succedano; vadino > vadano).

3 4 Capitolo I

La residenza dei primi conti di Apecchio

Alcune carte processuali del 1568 (riguardanti un contrasto tra gli Ubaldini di Apecchio e quelli di Monte Vicino sulla giurisdizione di alcune famiglie di Apecchio che, ab immemorabili, erano attribuite alla seconda famiglia comitale, benché i primi avessero ottenuto nel 1514 regolare investitura di quella terra dal duca Francesco Maria I)1 presentano interessanti informazioni sulla residenza dei conti di Apecchio. A tutti i testimoni (due abitanti della Carda, Guido di Bartolomeo Lanci e Cesare di Cante, e cinque ex commissari di Apecchio: ser Giovanni Nicola del fu ser Giovanni Matteo Ambrogini dei Piccini di , ser Francesco Borganuzio di , ser Ranieri Neri di S. Angelo, ser Girolamo Scianchino di Casteldurante, ser Ventura Venanzi di Casteldurante)2 fu infatti chiesto cosa conoscessero su tale argomento e tutti costoro concordarono su un punto: i conti di Apecchio non avevano avuto mai residenza stabile, né (secondo due testimoni) avevano mai posseduto un’abitazione in quel luogo. • Guido di Bartolomeo Lanci disse non aver visto da trent’anni in qua il conte Guidantonio con sua famiglia abitare nel detto castello d’Apecchio, ma ha inteso che sempre è stato facile assai, o sia Pietragialla o in Ugubbio et quando veniva in Apecchio alloggiava la casa or d’uno or dell’altro perché non ci aveva casa, et ci stava una sera o due, e poi se n’andava3; • ser Giovanni Nicola Ambrogini di Fossombrone disse esser vero che il conte Gentile è morto et si trovò presente nella città d’Ugubbio al suo funerale4; • ser Francesco Borganuzio disse che al tempo che esso testimonio stette in ofitio nel castel d’Apecchio il detto conte Guidantonio non abitò mai familiarmente in detto castello5; • ser Ranerio Neri disse che per il tempo ch’esso testimonio ha praticato in Apecchio non ha mai visto il conte Guidantonio abitar familiarmente se non per pochi giorni nel castello d’Apecchio, eccetto l’anno passato che vi s’è fermato familiarmente et prima se reduceva in Petra Gialla et Ugubbio6;

1ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV (2 maggio – 3 luglio 1568), Depositiones et esamina nonnullorum testium examinatorum nella causa presso gli Uditori Ducali tra Guidantonio e Gentile figlio di Guidantonio, degli Ubaldini ex una e il conte Antonio Maria degli Ubaldini ei suoi figli ex altera. 2Tutti i testimoni conoscevano la realtà apecchiese essendo di una località contigua (la Carda) o avendo esercitato l’incarico di commissario (ducale) in Apecchio negli anni precedenti: né, essendo sudditi ducali, potevano essere sospettati di favorire una delle due parti in contrasto. 3ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di Guido di Bartolomeo Lanci, 2 maggio 1568, n. 25. 4ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di Ser Giovanni Nicola del fu ser Giovanni di Matteo Ambrogini dei Piccini di Fossombrone, 13 maggio 1568, n. 3. 5ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di ser Francesco Borganuzio di Cantiano, 12 maggio 1568, n. 25 6ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di ser Ranerio Neri di Sant’Angelo in Vado, 24 maggio 1568, n. 25. 5 • ser Girolamo Scianchino disse che per il tempo ch’esso testimone è stato nel castello d’Apecchi non ha mai visto il conte Guidantonio abitare in quello francamente ma venirci la mattina e partirsi il giorno, ovvero al più stare la sera7; • ser Ventura Venanzi da Casteldurante: disse che per il tempo ch’esso testimonio ha praticato in detto castello di Apecchio non ha mai visto che il conte Guidantonio sia stato familiarmente nel castel d’Apecchio ma a Petra Gialla et in Ugubbio qualche volta perché non aveva abitatione alcuna8. In effetti, la sovranità su un luogo non implicava un obbligo di residenza: semplicemente una serie di magistrature facevano capo al feudatario, investito di sovranità dal Duca di Urbino: in pratica i commissari (che avevano funzioni organizzative, giudiziarie e criminali) ed altri eventuali funzionari minori venivano nominati dal conte; i bandi venivano emanati in suo nome; le entrate “camerali” venivano ai suoi funzionari pagate, ecc. Anche se il feudatario si interessava di una molteplicità di vicende del feudo (dalla giustizia, alle grazie, ai bandi, ecc.), nessuno lo obbligava a risiedervi. Era di fatto la regola, nel Ducato di Urbino, che le famiglie dei feudatari non risiedessero nel feudo (situato generalmente in zone di montagna, spesso povere e disagiate), ma in località più vive, dal punto di vista politico, economico, sociale, culturale, del luogo di cui erano stati investiti. Si poteva addirittura presentare il caso che alcuni feudatari ducali abitassero di fuori del Ducato, a Città di Castello, Arezzo, o addirittura Mantova (Castiglione di Isola del Piano). E, per fare un esempio più vicino alla realtà apecchiese, i conti di Montefiore e Monte Vicino (feudi territorialmente contigui ad Apecchio ma del tutto indipendenti da questa terra) avevano la residenza proprio ad Apecchio, non nei loro feudi. Non è pertanto strano che i due fratelli Girolamo (1514-1558) e Gentile (1514-1532), primi conti di Apecchio, non vissero nel loro feudo, ma conservarono “gelosamente il domicilio e molti beni” a Gubbio, dove abitavano prima dell’infeudazione (e dove avrebbero continuato ad abitare successivamente)9. E, nel caso fosse stata necessaria la loro presenza in zona, potevano alloggiare provvisoriamente a Pietragialla (castello da loro controllato ben prima di Apecchio), dove esisteva il “Palazzo” e diverse proprietà terriere, e da dove agevolmente si poteva raggiungere, con un viaggio di poche ore, la terra di Apecchio. Ciò è stato per altro già individuato da monsignor Berliocchi, in riferimento al conte Girolamo (che “preferiva la quiete di Pietragialla dove aveva casa et lì abitava maggior parte del tempo con la sua famiglia”)10.

7ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di ser Girolamo Scianchino di Casteldurante, 9 giugno 1568, n. 25. 8ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, testimonianza di ser entura Venanzi da Casteldurante, 9 giugno 1568, n. 25. 9 Berliocchi, Apecchio, p. 169. 10Berliocchi, Apecchio, p. 170. Il passo citato è stato letto in un documento dell’Archivio Ubaldini, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano. 6 Ugualmente non vi risiederono i conti Guidantonio, figlio di Girolamo, (1558-1583) e Giulio, figlio di Gentile, (1532-1536): residenza abituale della famiglia del conte Girolamo fu infatti Gubbio, mentre il conte Giulio (come aveva fatto probabilmente anche suo padre, abitava a Rocca Contrada o ad Arcevia11 . Ad ulteriore conferma possiamo notare che i quattro primi conti di Apecchio non sono mai ricordati in questo centro in occasione delle principali vicende di cronaca “nera” cinquecentesca12: nelle varie vicende (spesso sanguinosi delitti) furono coinvolti gli esponenti degli Ubaldini di Monte Fiore e di Montevicino, che furono poi puniti dai funzionari ducali (nel periodo in cui il Duca di Urbino avocò l’amministrazione del feudo) o da quelli comitali. Mai comunque in tali vicende sono menzionati i conti di Apecchio, ma solo i loro commissari o rappresentanti. Propongo infine due lettere ducali che confermano quanto detto. Nella prima (9 ottobre 1545) il conte Guidantonio (detto anche il Contazzo o il Contaccio)13 viene ricordato a Pietragialla: Al conte Girolamo Ubaldini da Gubbio, che non senza dispiacere Sua Eccellenza presenta che ‘l Contaccio suo figlio dà ricetto a molti banditi a Petragialla indifferentemente et in quei contorni; però che ‘l provveda che quelli che vi sono siano discacciati, et li altri non siano ricettati…14. Nella seconda, del 1555, il Duca di Urbino così si rivolge al Commissario di Massa: Avendo noi inteso che a questi dì passati, volendo Noi che quelli de Ottaviano della Carda, et gli Ubaldini di Apecchi, et il Contaccio dessero segurtà da non offendersi, il che hanno fatto sotto la fede loro, che lo Arcipretino della Pieve di detto Castello la dette per suo fratello bandito, non intedevamo, né vogliamo che ella vagli (scil. “valga”) in modo nisciuno (scil. “in nessun modo”), però (scil. “perciò”) la revocamo, e dichiaramo che si intenda revocata. Il che intimerete al medesimo Arcipretino, et parmenti al Contaccio facendone approvare scrittura autentica, et ancora registrerete la presente…i15. Il Duca in pratica si opponeva ad una pacificazione generale riguardante: quelli de Ottaviano della Carda, gli Ubaldini di Apecchi ed il Contaccio. I primi sono gli Ubaldini di Montefiore (ramo di Carlano-Fumo, non residente evidentemente in zona ma a

11F. ABBONDANZIERI, “Le scienze ed arti nobili ravvivate” in Arcevia, Jesi, 1752, pp. 122-129 (matrimonio del conte Gentile Ubaldini con Fiordalisa del Conte e del conte Giulio Ubaldini con Felice Sulpizia Massimi, figlia di primo letto di Fiordalisa Zitelli “del Conte”), Si veda anche il testamento di Gentile Ubaldini, rogato in casa di Fiordelisa Zitelli di Rocca Contrada dal notaio Gerolamo di Giovanni Francesco di quella terra (una copia del testamento in ASP, Leg., Feudi, XII, 3). 12Si veda S. LANCIONI, Il castello di Montefiore (diocesi di Città di Castello) – Storia di un feudo degli Ubaldini nello stato di Urbino, , 2005 e Gli Ubaldini di Montevicino e Baciuccheto, Fano, 2007. 13Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 169: “Il conte Girolamo, sposato con Madonna Agnila (Angela), è un personaggio di primo piano, con un fisico robusto e un carattere forte e deciso. Era chiamato il “contazzo” (o anche “contaccio”), un soprannome che passerà al figlio Guidantonio II come un’eredità paterna”. Vds. anche l’interrogatorio (13 maggio 1568) di ser Giovanni Nicola Ambrogini dei Piccini di Fossombrone, che disse io ho conosciuto gl’articulati madonna Angela di Ranieri, et il conte Girolamo prefato degli Ubaldini insieme consorti et da picciolo ho conosciuto il conte Guidantonio alias il Contaccio per loro figlio legittimo (ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV) e Feudi 11, LX: il conte Guidantonio detto il Contazzo. 14ASP, Leg., Feudi, b. 12, cartella 8531, XXIV A, 9 ottobre1545. 15ASP, Leg., Feudi, b. 11, XXXII, lettera del Duca d’Urbino al Commissario di Massa, Pesaro, 23 settembre 1555. 7 Cantiano e/o Jesi), il terzo è il conte Guidantonio di Apecchio (soprannominato il “Contaccio” o “Contazzo”), mentre i secondi (Ubaldini di Apecchi) sono evidentemente gli appartenenti ai conti di Montefiore (Migliara-Somole, cioè l’Arcipretino, conte Valerio e suo fratello bandito, conte Bernardino) e quelli di Monte Vicino (almeno il ramo residente in zona). In definitiva nel documento, con Ubaldini di Apecchi, si intendevano vari esponenti di rami diversi della famiglia Ubaldini (sicuramente quelli di Montefiore, probabilmente anche quelli di Monte Vicino), ma non i signori del feudo (allora amministrato dal Duca di Urbino). E’ infine interessante notare che, secondo lo storico Cimarelli, che scrisse le Istorie dello Stato di Urbino nel 1642 (libro II, trattato II, capitolo VI), il conte Giulio ancora abitava a Gubbio: “Scorso da Borea l'ampio Contado di Cantiano sudetto, & à dietro lasciandosi li suoi ricchi villaggi, nella Montuosa Provincia di Vaccareccia s'entra, la quale ad un solo Ubaldino donata essendo, hoggi divisa, da molti, che da quello discendano, vien dominata, sì come Apecchio, e Pietra Gialla co'l titolo di Contea, de gl'Ubaldini, che in Gubbio soggiornano”.

Alcune considerazioni A questo punto è logico interpretare diversamente un paio di documenti che sembrerebbero, a prima vista, indicare almeno delle proprietà dei conti di Apecchio in quella terra prima del 1568. I documenti che sono riuscito a repereire sono due. 1) Angelo Ascani, citando un antico volume di Riformagioni, ricorda, tra gli interventi fatti, che il 9 maggio 1530 “fu proposto che era necessario ponere una imposta per pagare li massari che fanno el calcinaro per fare la casa delli sigri Conti”16. Tale informazione è riportata da monsignor Berliocchi, che legge però con maggiore attenzione: per pagare li muratori che fanno il calcinaro per fare la casa delli si.ri Conti17. Penso che, in questo caso, si stia parlando della casa in cui si veniva alloggiato il capitano o commissario del conte Ubaldini: ne era proprietario il feudatario (in quanto detentore della sovranità) ma veniva utilizzata (come abitazione, cancelleria, prigioni) dal commissario comitale (e, se fosse stata un’abitazione privata, anche se del conte, la comunità non sarebbe stata tenuta a pagare imposte per l’edificazione). Negli stessi anni, del resto, ad Apecchio, si terminava e restaurava la “casa del Comuno” e si cominciava ad arfare la piva (scil. pieve) del castello d’Apecchi già incominciata ad edificare”18. Si era insomma in piena riorganizzazione

16Ascani, Apecchio, p. 151. Monsignor Berliocchi ha rinvenuto il teto nell’Archivio Segreto Vaticano: si tratta di un “libro dei massari d’Apecchio” (o, come è scritto nella prima carta, “Libri de Consigli d’Apecchio”) e riguarda il periodo 1523-1557 (vds. Berliocchi, Apecchio, p. 173) 17Berliocchi, Apecchio, p. 173. 18Ascani, Apecchio, p. 151. 8 amministrativa e venivano edificati e/o restaurati i tre principali edifici pubblici di ogni comunità: palazzo del “governo”, palazzo della comunità e chiesa.

2) Nel 1540 Girolamo “fece istanza al Commissario Ducale d’Apecchio contro incerti (= ignoti) per essergli i ladri entrati in di Lui casa, ed orto esistente in Apecchio, e vigna di moscatello”19. In questo caso non si tratta del conte di Apecchio ma dell’omonimo conte di Monte Vicino, il quale possedeva una casa con orto in Apecchio, più volta ricordata in altri documenti20.

19Berliocchi, Apecchio, p. 172. 20ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV: testimonianza di ser Ventura Venanzi da Casteldurante, 3 luglio 1568, n. 20. Il possesso della casa nel castello di Apecchio (senza nessuna indicazione dell’ubicazione) viene anche ricordata nello stesso anno nelle testimonianze di Guido di Bartolomeo Lanci (casa con l’orto dentro il castello di Apecchio), ser Giovanni Nicola Ambrogini (casa con l’orto dentro in Apecchio), ser Girolamo Scianchino (la casa dentr’il castello). Viene da tutti ricordato anche il possesso del mulino. Vds. anche l’elenco dei beni gestiti dal conte Antonio Maria ivi, LXV (una casa con l’orto posta in detto Castello, una vigna con un pezzo di terra a pie’ d’essa in vocabolo di Fiume, un mulino con quattro pezzi di terra e una vigna appresso, un podere in vocabolo della Torricella e un pezzo di terra i vocabolo el Piano della Villa) 9 Capitolo II

Informazioni sul Palazzo

Ormai assodato che i conti di Apecchio, nel 1568, non avevano il palazzo che da loro prese poi il nome, sorgono spontanee alcune domande: chi era il proprietario del palazzo? da chi era stato costruito? quando ed in che modo gli Ubaldini di Apecchio ne entrarono in possesso? Elementari conoscenze di storia dell’arte indicano che alcune parti del Palazzo risalgono al XV e alla prima metà del XVI secolo: ciò è del resto confermato da tutti coloro che si sono interessati, anche fugacemente, di storia apecchiese, nonché da un importante documento rinvenuto nell’Archivio Ubaldini di Urbino da Leonello Bei, di cui sotto parleremo.

Orazio Tranquillo Locchi (1934) La prima descrizione del Palazzo Ubaldini fatta nel Novecento è contenuta nel volume di O. T. Locchi, dedicato, nel 1934, alla nostra Provincia: “Il palazzo dei Conti Ubaldini, come rilevasi dall’architettura dei corpi di fabbrica, fu costruito in due distinte epoche, parte nel 1300 e parte nel 1515. E’ una costruzione che manifesta la genialità e l’eleganza dell’arte del rinascimento, specie nella parte centrale, costituita da un cortile quadrato con portici coperti da volte a botte e sostenuti da otto eleganti colonne in pietra arenaria con capitelli ionici. Le finestre sovrastanti a ciascun’arcata hanno arco a tutto sesto e cornice semplicissime di squisita fattura. In esse si ammira ancora l’antico stemma degli Ubaldini (il giglio di Fiorenza), cambiato in seguito quando dall’imperatore svevo Federico II il conte Ubaldino Ubaldini ebbe in dono per atto di valore la testa di un cervo e questi per insegna di sua famiglia si prendesse. Le altre parti del palazzo, salvo un salone del piano terra e parte della gradinata d’accesso al piano nobile, nulla più conservano a ricordo dell’antico fasto, causa il terremoto, che nel 3 giugno 1781, ne fece crollare gran parte, riducendolo, come narra una cronaca del tempo, per due terzi diruto e per un terzo minacciante ruina. I camini e le opere d’arte, parte andarono distrutti e parte vennero asportate; quindi alle rovine prodotte dalla natura si aggiunsero, purtroppo, quelle degli uomini. I posteriori restauri nulla ci dicono dell’antica grandezza; solo il cortile cinquecentesco, restaurato col contributo dello stato e del comune, resta a testimoniare la passata munificenza di uno dei più bei castelli del Ducato di Urbino” 21.

21O.T. LOCCHI, La provincia di Pesaro e Urbino, Roma, 1934, pp. 571-572 10 Il limite della descrizione, per altro non imputabile all’estensore della scheda ma alla tipologia del testo a cui era destinato, è la mancanza di riferimenti precisi alle fonti utilizzate. Non sono riuscito ad esempio ad identificare, la “cronaca del tempo” che descrisse le catastrofiche conseguenze sul Palazzo del terremoto del 1781: la notizia è comunque verosimile. Difficilmente credibili le date precise attribuite alla costruzione delle due parti del Palazzo: il XIV secolo per la costruzione di una parte di esso non è stato seguito dagli studiosi successivi ed anche l’indicazione di una data estremamente precisa, il 1515, per la costruzione della seconda parte non è suffragato da altri documenti (indicata forse perché nell’anno precedente gli Ubaldini avevano avuto la signoria di Apecchio?). Senza contare che il giglio di Firenze difficilmente può essere collegato agli Ubaldini, dato che, come vuole la leggenda, l’imperatore Federico II (1220-1250, un secolo prima della ipotetica costruzione di una parte del palazzo) ratificò la presenza del cervo nello stemma della famiglia Ubaldini.

Angelo Ascani (1977) Successivamente, il professor Angelo Ascani nella prima monografia storica su Apecchio, menziona un documento dell’archivio Ubaldini, un piccolo volume di Riformagioni, che presenta alcune informazioni particolarmente interessanti, una delle quali riguarda, in particolare, la costruzione della casa dei signori Conti: “il 9 maggio 1530 ‘fu proposto che era necessario ponere una imposta per pagare li massari che fanno el calcinaro per fare la casa delli sigri Conti”22. Da questa informazione e da altre riportate (che si riferiscono, a dir il vero, alla “casa del Comuno” e alla Pieve di Apecchio) l’Ascani ipotizza che nella prima metà del Cinquecento sia stata costruita la seconda parte del Palazzo Ubaldini (la prima, consistente nell’elegante cortile, viene infatti attribuita al Quattrocento per analogie con il Palazzo Ducale di Urbino). Le riflessioni dell’Ascani sono le seguenti: “Mettendo insieme questi pochi dati sicuri, perché ricavati da documenti del tempo, io penso che si debba riportare a questo periodo anche la costruzione del PALAZZO UBALDINI. Come si rileva dall’architettura della fabbrica, esso presenta due epoche ben distinte: una parte è senz’altro del sec. XV, il resto rappresenta il 1500, epoca appunto del recupero della contea. Vi si riconoscono ben nitidi i segni della signorilità ed eleganza rinascimentali, specie nella parte centrale, ossia nel cortile, non grandioso ma arioso, costruito in forma quadrata con portici coperti da volte a crocera e sostenuto da otto robuste colonne in pietra arenaria, abbellite da capitelli ionici. Le finestre cinquecentesche e sovrastanti a ciascuno arcata sono ornate da un arco a tutto sesto con cornici di

22A. Ascani, Apecchio contea degli Ubaldini, Città di Castello, 1977, p. 151. 11 squisita fattura. Tra i due archi, che immettono alle scale e al giardino eterno, si ammira ancor oggi lo stemma caratteristico della famiglia, cioè la testa d’un cervo con la stella a 8 punte tra le corna. Nel corpo del fabbricato appena un salone a pian terreno e una parte delle scalinata fanno bella mostra di sé e dell’antico splendore. Il resto è perduto irrimediabilmente, soprattutto a causa del violento terremoto del 1781, che rovinò buona parte dell’edificio; in più il terremoto del 1897, che nuovamente ebbe come epicentro Apecchio, , Monte Nerone. Cosicché non si trovano più un camino, un portale, un fregio, parte distrutti, parte asportati; e con essi è scomparsa la testimonianza dell’originale bellezza, che lo metteva alla pari dei palazzi ducali di e d’Urbino, sebbene in grado minore, per ricchezza e grandiosità”23.

Monsignor Camillo Berliocchi (1992) Il successivo studio su Apecchio è quello di monsignor Camillo Berliocchi (pp. 118-119), che attribuisce la ristrutturazione, l’ampliamento e l’arricchimento del Palazzo attiguo alla Pieve ad Ottaviano Ubaldini: “Anche per Apecchio, nella seconda metà del ‘400, Ottaviano provvide alla ristrutturazione, all’ampliamento e all’arricchimento del Palazzo attiguo alla Pieve, probabilmente sotto la guida del suo grande amico Francesco di Giorgio Martini. Di questo Palazzo, che verrà completato nella prima metà del ‘500, oggi colpisce il cortile d’ingresso con le sue ariose volte, che poggiano su otto maestose colonne di pietra arenaria, adorne di pregevoli capitelli. Il complesso del cortile richiama l’architettura del ‘400 e, sia pure in forme ridotte, il cortile del Palazzo Ducale d’Urbino. Invece ‘le finestre cinquecentesche, sovrastanti a ciascuna arcata e ornate di un arco a tutto sesto con cornici di squisita fattura’ (e in nota viene citato Angelo Ascani), possono appunto attribuirsi, con altre parti dell’edificio, alla prima metà del ‘500. buona impressione produce anche la grande scalinata, dominata dallo stemma ubaldiniano, come pure la probabile ‘aula di giustizia’ a pian terreno (attuale sala di musica). Questo Palazzo Ubaldini che, come vedremo, fu disastrato soprattutto dal terremoto del 3 giugno 1781, nel piano superiore conservava ancora qualche sala che ricordava l’antico splendore. Ma l’incoscienza e l’incompetenza degli uomini hanno completato, in questa parte, l’opera distruttiva del terremoto. Invece, esemplare e ben riuscita è stata l’opera compiuta nella parte sotterranea del Palazzo, dove sono stati riportati alla luce magnifici locali, debitamente assestati così da essere in grado di ospitare anche il Museo civico con i fossili di Monte Nerone. Si tratta di stalle, prigioni, lavanderie, cantine… Da sottolineare la scoperta della ‘neviera’, che in modo simile esiste anche nel Palazzo

23Ascani, Apecchio (cit.), pp. 151-152. 12 Ducale di Urbino: era il grande frigorifero della casa, che funzionava ‘a neve compressa’. La neve veniva introdotta dalla grande botola situata al centro del cortile, ora protetta da una lastra di pietra che comunemente si mette sulla superficie dei pozzi disattivati. Quanto al ritrovamento del prezioso pozzo di epoca romana, che si trova non molto lontano dalla ‘neviera’, abbiamo già parlato in precedenza”24.

Gianni Volpe Presenta una breve scheda sul Palazzo Ubaldini anche Gianni Volpe, nel suo lavoro (1991) su Francesco di Giorgio Martini: “Ad Apecchio Ottaviano Ubaldini provvide a realizzare, servendosi molto probabilmente dei suggerimenti di Francesco di Giorgio e forse ristrutturando e ampliando l’antica residenza medievale, un palazzo rinascimentale dove ancora resta lo stemma della famiglia nell’elegante cortile porticato. E’ questa la parte del Palazzo dove si concentrano forme e dettagli dell’architettura quattrocentesca: fasciature, robuste colonne, finestre a edicola ricurva, il tutto in arenaria. Purtroppo alcune parti del palazzo sono andate distrutte a seguito di terremoti del 1781 e del 1897”25.

Leonello Bei e Stefano Cristini E, per ultimi, si sono interessati del palazzo Leonello Bei (storico e presidente dell’associazione “Amici della Storia” di Apecchio) e Stefano Cristini (storico ed attuale sindaco di quella città) che menzionato il nostro edificio in un loro lavoro del 200026. In precedenza Leonello Bei aveva rinvenuto, nell’archivio privato della famiglia Ubaldini di Urbino, un importante documento, che permette di datare con precisione inizio e termine dei lavori di costruzione del palazzo. Il testo (fornitomi personalmente da Leonello Bei, che naturalmente ringrazio) è il seguente: “1597. Il conte Gentile Ubaldini terminò quest’anno il palazzo in Apecchio principiato dal suo avo Ottaviano l’anno 1477 e sopra tutte le porte interne e gli architravi, oltre l’arme, vi sono incise queste parole AD 1578 Gentile Ubaldini”27. Il lavoro sopra menzionato, scritto con Stefano Cristini, presenta quindi le seguenti informazioni: “Per rendere più agevole la sua permanenza in Apecchio, Ottaviano nel 1477 commissiona a

24C. BERLIOCCHI, Apecchio tra conti, duchi e prelati, s.l., 1992, pp. 119-120. A pagina 29 si legge: “Scavi fortunati, infatti, eseguiti recentemente dalla buona volontà di qualche Apecchiese appassionato di storia locale, hanno portato alla scoperta di uno stupendo pozzo di epoca romana, che la nota e benemerita archeologa Giuliana Gardelli fa risalire al III o IV secolo d.C. Il grazioso pozzo, alimentato da una sorgente sotterranea, era stato costruito forse all’aperto e vi si accedeva da un livello di superficie più basso (circa due metri) dell’attuale pavimentazione. Esso venne poi inglobato nella costruzione del Palazzo Ubaldini e attualmente si trova nei sotterranei, dov’è situato il Museo civico”. 25G. VOLPE, Francesco di Giorgio: architetture nel Ducato di Urbino, Milano, 1991, p. 100. 26L. BEI e S. CRISTINI, La Doppia anima – La vera storia di Ottaviano Ubaldini e Federico da Montefeltro, Urbania, 2000. 27Archivio privato Ubaldini di Urbino, b. 11. 13 Francesco di Giorgio Martini, architetto che ha avuto modo di conoscere e apprezzare in Urbino, la costruzione del palazzo comitale, sullo stile di quello che l’Ubaldini si era fatto fare a Mercatello. La costruzione è articolata in tre piani. Nei sotterranei..., realizzati con volte “a botte”, troviamo l’area adibita a scuderie, prigioni, i pigiatoi per l’uva, la neviera, i resti della struttura di un forno a legna, un pozzo di epoca tardo-romana. A pian terreno c’è il cortile d’onore formato da otto colonne circolari di pietra arenaria ornate da eleganti capitelli ionici, nel lato destro tre saloni contigui, quello che si affaccia su via XX Settembre era riservato alle udienze pubbliche del conte, quello centrale che ancora conserva un bel camino di pietra con lo stemma ubaldiniano e le volte a croci era era usato come sala di giustizia, dell’altro salone non si conosce la funzione. Dal piano terra parte lo scalone che conduce al piano nobile. Per costruire la dimora ci vollero ben centouno anni, i lavori furono terminati infatti nel 1578 dal conte Guidantonio II, troppo tardi perché Ottaviano potesse ammirarlo in tutta la sua bellezza. L’interno era decorato con raffinatezza dalle stesse maestranze lombarde che avevano lavorato nel palazzo ducale di Urbino… E’ certo che durante il Seicento il palazzo venne continuamente arricchito di opere d’arte e di fregi. Gentile II fece incidere nelle architravi oltre la data anche il suo nome e lo stemma. Più avanti anche i conti Ottaviano III, Giovanbattista e Paolo vollero lasciare segni del loro passaggio arricchendo l’edificio con opere d’arte e decorazioni varie”28.

E a questo punto torniamo alla domanda di partenza: se il palazzo esisteva nel 1568 (costruito nel 1477, forse con l’intervento di Francesco di Giorgio Martini) ma non ne erano proprietari i conti di Apecchio, chi ne aveva in quell’anno il possesso?

28L. BEI e S. CRISTINI, La Doppia anima – La vera storia di Ottaviano Ubaldini e Federico da Montefeltro, Urbania, 2000, pp. 68-71. 14 Capitolo III

Le abitazioni dei conti di Monte Vicino e di Montefiore

Viene ricordata, sia da Angelo Ascani, sia da monsignor Berliocchi, la presenza in Apecchio, nella zona della Piazza, delle abitazioni (chiamate nei documenti talvolta “casa”, talvolta “palazzo”) dei rami “cadetti” degli Ubaldini. Questi parenti dei conti di Apecchio appartenevano alla medesima consorteria feudale ma avevano il titolo comitale di Monte Vicino e di Montefiore. I conti di Monte Vicino controllavano, oltre all’omonimo castello (comune di Apecchio), anche quelli di Baciuccheto e Castiglione San Bartolo (la prima località è attualmente nel comune di Apecchio, la seconda in quello di Piobbico) nonché un terzo delle famiglie di Apecchio (pretendevano di avere cioè parte della giurisdizione di questa terra, che invece il Duca di Urbino aveva assegnato in toto al ramo eugubino della famiglia). Nella seconda metà del Cinquecento la famiglia si presentava divisa in due rami, a cui spettavano rispettivamente: Montevicino e Castiglione; Baciuccheto ed un terzo di Apecchio. Questa seconda rata era in mano al conte Federico (che pretendeva per altro di avere diritti anche sugli altri due castelli), a cui apparteneva la casa di Apecchio che ci interessa29. Al conte Federico, morto intorno al 1560, subentrò il figlio Antonio Maria, quindi i figli di costui Cesare, Federico, Carlo e Ubaldino. Gli Ubaldini di Montefiore, divisi anch’essi in più rami, aveva il controllo dell’omonimo castello, il cui territorio era situato ad occidente di quello apecchiese. L’abitazione di Apecchio era nella mani dei discendenti di Tiberto Ubaldini, che ebbe quattro figli: Antonio, Alessandro, Guidantonio (arciprete di Apecchio) ed Ascanio. Il possesso dell’abitazione di Apecchio fu del primogenito e, alla sua morte, dei figli Bernardino e Valerio (anch’egli arciprete).

Il conte Bernardino Viene ricordato, sia da Angelo Ascani, sia da monsignor Berliocchi, un conte Bernardino (o Brardino) Ubaldini, la cui abitazione fu confiscata dal conte di Apecchio per i delitti da lui commessi30. I due autori ignorano il preciso collegamento di tale personaggio con i conti di Apecchio (si parla genericamente di “parente”31 e di un “altro ramo” della famiglia32). In realtà questo personaggio è stato recentemente, in un altro mio lavoro, identificato: si tratta di Bernardino

29Nel resto dell’articolo viene usato il titolo di “conti di Montevicino” per indicare questo ramo familiare: è il titolo ufficiale infatti della casata, anche se, come detto, l’omonimo castello era in mano ad Orinia Boni, vedova del conte Girolamo, fratello di Federico: 30Ascani, Apecchio (cit.), p. 154; Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 191. 31Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 191. 32Ascani, Apecchio (cit.), p. 154. L’autore ipotizza che si tratti del ramo di Urbania. 15 Ubaldini, conte di Montefiore (figlio di Antonio Ubaldini, a sua volta figlio di Tiberto), condannato a più riprese dalla giustizia apecchiese e ducale per una serie di delitti33.

Rielaborazione della mappa di Apecchio presente in ASP, Catasto Gregoriano, A3, Apecchio, IX. 1: Palazzo Ubaldini A: Chiesa B. Sagrato

Il problema di identificare la casa del conte Bernardino, poi acquisite dai conti di Apecchio, è stato posto, come già detto, sia da Angelo Ascani sia da monsignor Berliocchi. Il primo ipotizza che la casa in questione possa essere davanti all’ex canonica (“Quale sarà stata questa casa? Forse la casa n. 11 di fronte alla ex-canonica, dove nel muro del balcone esterno ho trovato un piccolo stemma col cervo e la stella?”)34, cioè quella che, nella mappa del cessato catasto pontificio di Apecchio (sopra riproposta), figura col numero 37. Monsignor Berliocchi pensa invece a Palazzo Palleri (abitazione del conte Bernardino) e colloca nelle vicinanze l’abitazione dei conti di Monte Vicino: ipotizza cioè che le due abitazioni siano le case numerate, nella mappa, con i numeri 16 e 46: “Senza dubbio si tratta della grande casa che,

33Vds. S. LANCIONI, Il castello di Montefiore (diocesi di Città di Castello) – Storia di un feudo degli Ubaldini, nello Stato di Urbino, Fano, 2005, pp. 48-51. Il conte Bernardino si trova bandito, non sappiamo per quale delitto, nel 1555; fu condannato a morte e alla confisca dei beni nel 1561 per aver fatto fuggire un prigioniero del conte Guidantonio di Apecchio; ebbe un’ulteriore condanna a morte e confisca dei beni nel 1563 per l’assassinio di uno zio e di un cugino. 34Ascani, Apecchio (cit.), p. 154. 16 fino a qualche tempo fa, apparteneva ai signori Palleri: la prima casa a destra, guardando il Municipio, a lato dell’attuale via Gramsci. Si precisa infatti che questa casa era vicina alla Porta di Apecchio (quella verso il Pianello), rilevando che confinava con la Porta né aveva altri confini di case attorno, e questa casa è quella che è stata abitata dal signor conte Gentile, che è tutto un palazzo, e l’ho vista abitare dal conte Gentile, dopo che partì il conte Brardino… Se inoltre si analizzano altre dichiarazioni, spesso peraltro contraddittorie, rese da testimoni che non riuscivano a esprimersi bene, si dovrebbe logicamente concludere che Gentile II acquistò un’altra casa dalli Conti di Monte Vicino: era quella casa che essi avevano contigua alla casa di detto conte Brardino. Qui si dovrebbe alludere la palazzo dove stava la stazione dei Carabinieri nei primi decenni del ‘900, e che ora è abitato dalla famiglia del compianto maestro Remedia”35. Monsignor Berliocchi ricorda inoltre una terza casa, “appartenente ai medesimi conti di Montevicino e comprata da Gentile II” e, citando un preciso documento, ricorda che “era quella quando si va su a man manca avanti la Chiesa”36 (la n. 45 della mappa a pag. 16). Tuttavia, rileggendo diversamente una parte dei documenti sopra citati, ed utilizzandone altri finora sconosciuti, vorrei proporre una nuova ipotesi, che mi sembra suffragata da numerosi riscontri: le due abitazioni erano situate nel luogo in cui poi sorse il Palazzo Ubaldini, che inglobò le strutture preesistenti. Erano, per meglio dire, una fase costruttiva del Palazzo stesso.

1534 La prima citazione che ho rinvenuto sulle abitazioni dei conti di Montefiore e Monte Vicino è in un ordine ducale del 153437 al Capitano d’Apecchio ut faciat quod Hieronymus Ubaldinatius aperiat acqueductum in cortile eius domus, per quod transeunt acque pluviales de domo figliorum domini Tiberti, et reducat illum ad pristinum servitium provideat (che faccia in modo che Girolamo Ubaldini apra il condotto dell’acqua nel cortile della sua casa, attraverso il quale passano le acque pluviali della casa dei figli del dominus Tiberto, e provveda di riportarlo alla precedente condizione)38. Si può ricavare dal testo che le case delle due famiglie (Girolamo dei conti di Monte Vicino e Tiberto di quelli di Montefiore) erano contigue e che nel cortile della casa del primo confluissero anche le acque piovane della vicina abitazione dei conti di Montefiore: insomma, sul cortile (una corte interna) si affacciavano entrambe le abitazioni.

1564

35Berliocchi, Apecchio (cit.), pp. 191-192. 36Berliocchi, Apecchio (cit.), p. 192. 37ASP, Leg., Feudi, b. 12, IV E (15 marzo 1534), al capitano d’Apecchio. 38Il titolo comitale fu attribuito ai signori di Montefiore intorno alla metà del XVI secolo. 17 All’inizio del 1564 venne confiscata dal commissario del conte Guidantonio di Apecchio la casa del conte Bernardino Ubaldini di Montefiore: la casa in questione si trovava vocabolo “La Piazza” iuxta Plateam39. Il conte infatti era stato condannato (dalla giustizia ducale) per l’omicidio dello zio e di un cugino, alla pena capitale e alla confisca dei beni il 10 settembre 156340; aveva inoltre sul suo capo ancora in vigore una precedente sentenza da parte della giustizia apecchiese (condanna a morte e confisca dei beni) e pertanto il conte Guidantonio approfittò dell’occasione per occuparne legalmente l’abitazione (che doveva avere un certo valore). Il Palazzo di Apecchio fu confiscato a nome del conte Guidantonio (aperiendo et claudendo ostia dictarum domorum vigore supradicti decreti) da ser Alessandro, commissario del conte di Apecchio, alla presenza del notaio Petro Simone e il procuratore fiscale del conte Guidantonio, tal Abbatino, il 5 gennaio 156441. Tuttavia si mosse subito la moglie del conte Bernardino, madonna Lucrezia, che nel 1565 fece istanza per riavere i beni dotali, confiscati dal Conte di Apecchio: la nobildonna pretendeva di aver diritto al palazzo di Apecchio perché soggetto ad ipoteca dotale anteriore al delitto (era garantita con la casa la dote della contessa, ammontante a 339 scudi d’oro). Nel settembre e nel novembre 1565 il Duca chiese al conte di Apecchio di venire incontro alle richieste della nobildonna42. Ma costei non ottenne quanto richiesto e così, quindici anni dopo, ricorreva direttamente alla giustizia ducale43 chiedendo (8 ottobre 1580) tale casa con orto posti in Apecchio. La causa si concluse positivamente per la richiedente il 17 luglio 158144, ma il conte di Apecchio non volle consegnare la casa in questione, né il denaro corrispondente. Pertanto i figli di Lucrezia e Bernardino si rivolsero alla giustizia ducale nel 1605. In quell’anno Annibale Ubaldini (figlio del conte Bernardino e della contessa Lucrezia) pretendeva da Gentile Ubaldini conte di Apecchio (figlio di Guidantonio), anche a nome del fratello, metà della casa e orto che il padre possedeva in Apecchio, per la somma di scudi 339 d’oro, più i frutti di tale somma, come da sentenza ottenuta dalla madre45. La causa si concluse positivamente per Annibale Ubaldini: il 30 settembre 1608 il Duca scriveva al Commissario di Massa affinché comunicasse al conte Gentile Ubaldini che senza aspettare la consumazione del esecuzione ottenuta contro di lui dal conte Annibale Ubaldini, lo voglia soddisfare per la partita contenuta in essa, che se gli è rimessa col Memoriale, et della risoluzione

39ASP, Leg., Feudi, b. 11, XLIV e XLV. 40ASP; Leg., Feudi, b. 11, XLIV e XLV. 41ASP, Leg., Feudi, b. 11, XLIV e XLV. 42ASP, Leg., Feudi, b. 12, ex registris Audientiae, LXXVI E (6 settembre 1565) e LXXVI H (13 novembre 1565). 43ASP, Leg., Feudi, b. 11, LXXIV. 44ASP, Leg., Feudi, b. 11, LXXXIV. 45ASP, Leg., Feudi, b. 11, XCVII, 19 settembre 1605. 18 che piglierà ne dia subito avviso46. Ma il conte Gentile non si diede per vinto e, per quanto ne sappiamo, nel 1622 la causa era ancora in corso47. Né sappiamo come si concluse (un compromesso in denaro?). Dato che nessuna menzione della casa, o di diritti su di essa, viene fatta nel testamento del conte Annibale (30 marzo 1637)48, possiamo tuttavia pensare che, tra 1622 e 1637, si fosse appiana la spinosa questione e si fosse raggiunto un compromesso.

1568 Qualche anno dopo (1568), un testimone in una delle onnipresenti cause tra rami contermini della famiglia Ubaldini, il già menzionato di ser Ventura Venanzi da Casteldurante, localizza la casa del Conte Antonio Maria di Monte Vicino: disse aver visto che per il tempo ch’esso è stato nell’offitio, che il conte Antonio Maria (degli Ubaldini di Monte Vicino) teneva et possedeva una casa in detto castello d’Apecchio appresso la Pieve, et un molino da grano49. E “appresso” indica stretta vicinanza (“vicino, accanto”).

1606 Ma il documento più interessante è del 1606. In quell’anno, per la causa (di cui ho già parlato) del palazzo del conte Bernardino, nel frattempo confiscato e fatto ricostruire dal conte di Apecchio, (malgrado l’opposizione della moglie del conte, e ora dei figli), vennero interrogati tre testimoni: Lidia Ubaldini (dei conti di Montefiore), Ubaldo di Ca Cialamella, Carlo di Gerolamo Tino di Offredi detto Stincone del castello di Castiglione. Essi forniscono informazioni precise per l’identificazione (da notare che la contessa Lidia Ubaldini, cugina del conte Bernardino, visse, come dice lei stessa all’interno della testimonianza, nella sua giovinezza nel palazzo). Lidia Ubaldini rese la sua testimonianza il 12 maggio 1606. In essa possiamo leggere alcune interessanti informazioni: - Io so, qual sia la casa che si presuppone che fusse del conte Brardino, che è quella parte di casa che è incontro al pozzo, quale ha doi parti, una delle quali riesce di dietro verso i molini, e l’altra è nella parte di nanzi, che riesce nella piazza, e lo so ben questo perché in questa casa

46ASP, Leg., Feudi, b. 12, XCI C, 30 settembre 1608. 47Il conte Ubaldino Ubaldini di Montevicino rilasciò, ad istanza del conte Annibale Ubaldini, una testimonianza l’8 ottobre 1622 in cui ricordava la vendita della casa di famiglia al conte di Apecchio (ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLXVII). 48ASP, Leg., Feudi, b. 11, CXLV. 49ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV: testimonianza di ser Ventura Venanzi da Casteldurante, 3 luglio 1568, n. 20. Il possesso della casa nel castello di Apecchio (senza nessuna indicazione dell’ubicazione) viene anche ricordata nello stesso anno nelle testimonianze di Guido di Bartolomeo Lanci (casa con l’orto dentro il castello di Apecchio), ser Giovanni Nicola Ambrogini (casa con l’orto dentro in Apecchio), ser Girolamo Scianchino (la casa dentr’il castello). Viene da tutti ricordato anche il possesso del mulino. Vds. anche l’elenco dei beni gestiti dal conte Antonio Maria ivi, LXV (una casa con l’orto posta in detto Castello, una vigna con un pezzo di terra a pie’ d’essa in vocabolo di Fiume, un mulino con quattro pezzi di terra e una vigna appresso, un podere in vocabolo della Torricella e un pezzo di terra in vocabolo del Piano della Villa) 19 n’aveva la parte il capitano Alessandro mio padre, et l’altra parte, che è di là verso la Pieve era del conte Carlo, et in quanto a quella che ha abitato il conte Gentile, vi dico, che si è abitata tutta, et l’ho vista abitar io, ma non mi ricordo per quanto tempo… So anche particolarmente che ha posseduto detto signor conte Gentile e continuato di possedere la sopradetta casa del già conte Brardino50; - E’ vero signore che la detta casa del già conte Brardino sebben era contigua et attaccata con la casa delli signor conti di Monte Vicino, era però separata dall’altra suddetta et aveva l’entrata separata dalli detti conti di Monte Vicino, et s’abitavano dette case unite, e contigue comodamente l’una separata dall’altra, et erano buone, e comode case51; - Io so che la casa che era delli conti di Monte Vicino, cioè del conte Carlo, et conte Cesare Ubaldini, et del conte Antonio Maria lor padre, era quella parte di casa che è attaccata la Pieve, e ne ho informazione per averla vista, et per esser stata come ho detto anco in parte di mio padre, e non mi ricordo mo d’altri siti e qualità delle dette case52; Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, abitante a Casteldurante, stese la sua testimonianza il 16 maggio 1606: - la casa del conte Bernardino era la casa che era vicina alla Porta d’Apecchio, la quale ora dicono che è ammurata accanto la piazza, la quale confinava con la corte che era già del conte Cesare e del conte Carlo , né aveva altri confini di case attorno e questa è quella casa che è stata abitata da signor conte Gentile che è tutta un Palazzo e l’ho vista abitare dal conte Gentile dopo che si partì il conte Brardino53; - E’ vero anco che la detta casa che era già del conte Brardino, sebbene era contingua et attaccata con la casa delli signori conti di Monte Vicino, era però separata dall’altra suddetta casa delli conti di Monti Vicino et aveva l’intrate separate, et si abitavano comodamente l’una separata dall’altra54; - Gentile ha comprato la casa dei conti di Montevicino. La casa dei conti di Montevicino, comprata successivamente al possesso di quella del conte Bernardino, era quella quando si va su a man manca accanto la Chiesa , e l’altra che si trova quando si va su a man dritta accanto la porta del Castello, che dicono che l’è stata remurata, è quella che era del conte Brardino55;

50ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 12 maggio 1606, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 9. 51ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 12 maggio 1606, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 11. 52ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 12 maggio 1606, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 12. 53ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 16 maggio 1606, testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, abitante a Casteldurante, n. 9. 54ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 16 maggio 1606, testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, abitante a Casteldurante, n. 11. 55ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 16 maggio 1606, testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, abitante a Casteldurante, n. 12. 20 Ultima testimonianza (1 luglio 1606) è quella di un tal Carlo, detto Stincone, di Castiglione (Carolus Hyeronimi Tini de Ufretii alias detto Stincone castri Castiglione) che, sulla casa, precisa: - La casa ora abitata dal conte Gentile già fu di Antonio di Tiberto, quindi di suo figlio Brardino. La casa è in Apecchio ed era attaccata alla casa del conte Federico Ubaldini innanzi la piazza, et accanto un androne, che va giù a una porta56; - La casa comprata dalli conti di Monte Vicino da detto conte Gentile è quella che è attaccata alla Pieve di Apecchio57.

1622 Se vogliamo infine trovare un’ultima testimonianza, la troviamo nel conte Ubaldino Ubaldini che, nel 1622 precisava che allo zio Federico fu confiscata dal conte di Apecchio la rata della casa che aveva in Apecchio che è il Palazzo che abitava detto signor conte Gentile et oggi abita il signor Conte Giulio58. Evidentemente il Palazzo Ubaldini, a quel tempo costruito.

Conclusioni Mi sembra pertanto confermato dalle testimonianze proposte che le due abitazioni si trovassero nella zona dell’attuale Palazzo Ubaldini (è chiaramente espresso dai testimoni che la casa del conte Bernardino era contigua a quella dei conti di Monte Vicino, a sua volta attaccata alla Pieve; era inoltre situata incontro – cioè “di fronte, dirimpetto” - al pozzo, che si trovava in corrispondenza della facciata occidentale di Palazzo Ubaldini, dirimpetto alla zona meridionale del palazzo stesso)59. E’ vero che nessuna fonte esplicitamente menziona la presenza di una terza porta ad Apecchio (in cui sono ricordate solo quella “dell’orologio” e “del Pianello”), situata in prossimità del palazzo Ubaldini; tuttavia l’impianto topografico presenta, ancora nel 1855, una via principale (attuale via XX settembre) che si interrompe, dopo la piazza, tra il Palazzo Ubaldini e l’abitazione contrassegnata, nella pianta proposta a pag. 16, con il numero 2. Se non ci fosse stato un passaggio, l’ultimo tratto di via XX settembre sarebbe stato presumibilmente occupato da un’abitazione addossata alle mura e con pareti comuni alle unità abitative contigue (tipologia edilizia sistematicamente utilizzata in tutti gli altri luoghi del castello ad eccezione delle porte d’ingresso)60. Evidentemente la creazione del fondo del Giardino, dipendenza del Palazzo Ubaldini, ad un certo

56ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 16 maggio 1606, 1 luglio 1606, testimonianza di Carlo detto Stincone di Castiglione, n. 9. 57ASP, Leg., Feudi, b. 11, C, 16 maggio 1606, 1 luglio 1606, testimonianza di Carlo detto Stincone di Castiglione, n. 12. 58ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLXVII. 59L’ubicazione è facilmente desumibile dalla posizione di un tombino nella zona antistante Palazzo Ubaldini. 60Tale tipologia edilizia era applicata non solo nel lato settentrionale (dove è rimasta) ma anche in quello meridionale, dato che le abitazioni ivi esistenti (nn. 18 e 20-26 della mappa a pag. 16) non avevano l’entrata sul Pianello ma sul vicolo retrostante (chiamato “vicolo del Forno”). 21 punto interamente recintato), spinse a chiudere questo passaggio61, in origine utilizzato per scendere più agevolmente verso il fiume (forse successivamente usato come ingresso del Giardino). Infine, i mulini di cui si parla dovevano essere in prossimità della casa del conte Bernardino, o almeno visibili dal luogo in cui sorgeva l’abitazione. Non può trattarsi che del “Molino Mancini”, situato sulla riva sinistra del Biscubio, proprio davanti alla chiesa di S. Filippo62: da notare che le strutture del mulino (in particolare il canale di alimentazione del bottaccio, che captava l’acqua del Biscubio), iniziavano a poca distanza dal palazzo Ubaldini, nell’altro lato del fiume63.

61Nella testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca’ Cialamella (sopra riportata), si ricorda che l’abitazione del conte Bernardino era la casa che era vicina alla Porta d’Apecchio, la quale ora dicono che è ammurata accanto la piazza: la porta risultava quindi, nel 1606 murata (ad onor del vero è possibile intendere “la quale” come riferito alla casa, anch’essa privata della sua porta verso la piazza, cioè murata). Monsignor Berliocchi riporta comunque un ampio brano di un bando (del 20 dicembre 1579) riguardante l’orto del Sig. Conte (che non può essere che un appezzamento di terra contiguo all’unico palazzo allora in possesso del Conte di Apecchio, cioè quello già del conte Bernardino) nel quale viene stigmatizzata “l’insolentia d’alcuni che con sì poco rispetto hanno ardire dannificare l’orto di Sua Signoria Illustre che ha qui in Pecchio sotto le mura di detto Castello con mettere a pasturare in esso insino le bestie. Per questo vuole, ordina, proibisce et espressamente comanda che per l’avvenire nessuna persona ardisca, né in qualsivoglia modo presuma passar per detto orto per qualsivoglia cosa, oltre che da esso non cogliere o pigliare cosa alcuna sotto pena di scudi cinque. Il Bando termina col proibire di stendere i panni in detto orto, et siepe e muro d’esso”( Berliocchi, Apecchio, pp. 176-177). 62La carta dell’Istituto Geografico Miliare 1:25.000 (Apecchio, A3, mappa IX) non menziona il nome della costruzione, comunque ricavabile dal Catasto Gregoriano (vds. LANCIONI S., Apecchio nel censimento del 1853, Fano, 2007, p. 60). 63Da tenere presente anche le seguenti riflessioni. ♦ E’ stata rinvenuta una prigione nei sotterranei del Palazzo, nella zona settentrionale contigua alla pieve, e confinante con la piazza: potrebbe attestare un possibile uso pubblico del luogo prima della costruzione del palazzo stesso (la struttura sarebbe poi stata inglobata nel Palazzo, quando questo fu edificato o ristrutturato). Da notare che la presenza di un prigioniero nel palazzo dei conti di Montevicino (a cui apparterrebbe l’ala settentrionale dell’attuale Palazzo Ubaldini, quella corrispondente alla prigione) viene ricordata da un documento del 1568. Si tratta della testimonianza di ser Ranieri Neri di Sant’Angelo in Vado, del 24 maggio di quell’anno: il conte Antonio Maria aveva infatti tenuto nella sua abitazione per qualche tempo un prigioniero (ASP, Leg., Feudi, b. 11, LIV, Depositiones et esamina nonnullorum testium examinatorum nella causa presso gli Uditori Ducali tra Guidantonio e Gentile figlio di Guidantonio, degli Ubaldini ex una e il conte Antonio Maria degli Ubaldini ei suoi figli ex altera, 24 maggio 1568, testimonianza di ser Ranieri Neri di Sant’Angelo in Vado, n. 13: Vero è che una volta intese ch’el conte Antonio Maria aveva ritenuto uno, ma non se ricorda il nome, ma che era de suoi sudditi, in casa). ♦ Interessante anche il particolare ricordato dal Locchi della presenza, nella parte settentrionale dell’edificio, nelle finestre sovrastanti le arcate della corte interna, dell’ “antico stemma degli Ubaldini” (il giglio di Fiorenza), cambiato in seguito quando il conte Ubaldino Ubaldini ebbe in dono dall’imperatore Federico II (1220-1250), per un atto di valore da lui compiuto, la testa di un cervo e questi per insegna di sua famiglia si prendesse” (O.T. LOCCHI, La provincia di Pesaro e Urbino, Roma, 1934, p. 571). Sembra però strano che un palazzo costruito nel Quattrocento o nel Cinquecento presenti un antico stemma, da tempo sostituito con l’usuale testa di cervo; per giunta gli Ubaldini, fedeli al duca di Urbino, avrebbero inserito un simbolo di uno stato estero (quello fiorentino), i cui rapporti con Urbino non erano troppo sereni. Si può forse spiegare il tutto considerando che un conte di Montevicino, Girolamo Baldinacci Ubaldini, sottoscritte nel 1543 un atto di accomandigia a favore della città toscana (S. LANCIONI, Gli Ubaldini di Montevicino e di Baciuccheto, Fano, 2006, pp. 21-22). E alla prima metà del Cinquecento, per diversi studiosi, si può attribuire la costruzione delle finestre in questioni, soprastanti l’elegante loggia del cortile. 22 Capitolo IV

Il palazzo del conte Gentile

Un ampio complesso abitativo Dopo essersi assicurato il possesso dell’abitazione dei conti di Montefiore, il conte Gentile si interessò anche della contigua abitazione dei conti di Monte Vicino. L’acquisto di tale casa è ricordata, come già avvenuta da tempo, dai tre testimoni del 1606 già ricordati (Lidia Ubaldini; Ubaldo di Marco di Ca Cialamella; Carlo di Gerolamo Tini di Offredi detto Stincone di Castiglione); ci fornisce altre informazioni il conte Ubaldino Ubaldini (figlio di Carlo Ubaldini), di quella casata, che, nel 1622, rilasciava la seguente testimonianza: Sopra le cose che Vostra Signoria Illustrissima addimanda io non so altro che questi: che il signor conte d’Apecchio, mentre era in vita, s’indusse che si pretendeva dal suo fisco che il signor conte Federico Ubaldini mio zio avesse tirato una archibugiata ad un Orazio di Milano chiamato altrimenti “il Nibbio”, et io questo intesi a quei tempi che io mi trattenevo a Monte Vicino, detto signor conte Gentile li fece far causa dal suo commissario d’Apecchio, il quale lo condannasse, et in virtù di quella condannatione li fosse poi confiscata la casa, che aveva in Apecchio, che è il Palazzo che abitava detto signor conte Gentile et oggi abita il signor Conte Giulio, cioè per quella rata che toccava a detto signor conte Federico, poiché l’altre tre parti, che toccavano al signor conte Carlo, signor conte Cesare et signor conte Ubaldino ho inteso che furono pagate, e la rata che spettava a detto signor conte Federico se la ritenne per la confiscazione, et la causa fu trattata e vista in contumacia, che questo fu e posso dire64. La condanna del conte Federico, come viene ricordato da monsignor Berliocchi, avvenne il 14 ottobre 158365. Possiamo aggiungere che i figli del conte Antonio Maria di Montevicino (Cesare, Federico, Carlo e Ubaldino) erano stati allevati a Pesaro dal nonno Antenore Leonardi ed in questa città avevano interessi e ivi abitualmente risiedevano (nel palazzo che era stato del nonno): conservavano naturalmente la giurisdizione di Monte Vicino ma, essendo ormai la zona di Apecchio fuori dai loro interessi, potevano bene fare a meno di una abitazione che non utilizzavano. I conti inoltre erano spesso in contrasto tra loro ed avevano bisogno di cospicue somme di denaro per pagare la lite con gli eredi della contessa Orinia (conclusa per loro positivamente nel 1592) e

64ASP, Leg., Feudi, b. 11, CLXVII. 65Berliocchi, Apecchio, p. 193. 23 dovevasi reperire una grossa quantità di denaro per pagare gli avvocati e i procuratori66. Dopo il 1583 pensarono quindi opportuno venere la parte in loro possesso del palazzo di Apecchio.

Il Palazzo Il conte Gentile a questo punto ebbe il possesso di due vaste abitazioni situate nel punto migliore di Apecchio, sulla Piazza, di fianco alla Pieve (ma l’abitazione dei conti di Montefiore non era legalmente sua ed il conte Annibale Ubaldini avrebbe di lì a qualche anno intentato nuova causa): decise pertanto di costruire un unico palazzo, utilizzando in parte le strutture esistenti ed unificando le due costruzioni. L’informazione presente nell’Archivi Ubaldini di Urbino rintracciata da Leonello Bei sembrerebbe attribuire l’inizio dell’ultima fase costruttiva al 1577, ma evidentemente i lavori iniziati in quell’anno dovettero riguardare solo la parte meridionale dell’isolato67; il restauro-rifacimento del Palazzo dovrebbe essere iniziato un decennio dopo. La data del 1588 ci viene proposta infatti da un altro Ubaldini del ramo di Urbino, Francesco Maria, che fu podestà ad Apecchio dal 1760 al 1763, dopo la devoluzione. Costui, rifacendosi a documenti a noi perduti, testualmente scrive, in una lettera indirizzata a Sua Eminenza: …in questo luogo non vi è architetto né capomastro capace di conoscere ciò che precisamente occorra per mantenere questa vastissima fabbrica a tre ordini d’appartamenti, non comprese le cantine con volte reali fin dietro i tetti e con grossissime mura bensì, ma poco forti, per aver nel fabbricarlo fin dall’anno 1588 risparmiato la calce, essendo quasi fatte di sabbia schietta68.

I lavori Dalle risposte dei testimoni del 1606 possiamo in parte individuare gli interventi, particolarmente consistenti nella parte meridionale del Palazzo Ubaldini (ex abitazione dei conti di Montefiore), che il conte Gentile, in quegli anni, pretendeva di aver restaurata, fabbricata e rifondata, dato che, lasciata a se stessa per una ventina d’anni, al momento dell’inizio dei lavori, era in pessime condizioni. In particolare, nella parte meridionale del palazzo:

66Vds. S. LANCIONI, Gli Ubaldini di Montevicino e Baciuccheto, Fano, 2006, pp. 42-48. 67Archivio privato Ubaldini di Urbino, b. 11. “1597. Il conte Gentile Ubaldini terminò quest’anno il palazzo in Apecchio principiato dal suo avo Ottaviano l’anno 1477 e sopra tutte le porte interne e gli architravi, oltre l’arme, vi sono incise queste parole AD 1578 Gentile Ubaldini”. E’ comunque possibile che la data scritta su porte ed architravi non si riferisca all’inizio dei lavori ma alla data in cui fu riassunto (in condominio con il padre Guidantonio) il potere comitale dal conte Gentile Ubaldini (perdonato dal Duca di Urbino per l’illecito comportamento tenuto nell’occasione della “fiera di Pietragialla” nel 1577, di cui parlerò in altra occasione. 68ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 16 maggio 1761. 24 - venne murata la porta dell’abitazione ed utilizzata, come entrata dalla piazza, solo quella dei conti di Montevicino69; - vennero eliminate le scale ed utilizzati solo quelle dell’abitazione settentrionale; - furono abbattuti i muri divisori tra le due case, (tanto che nel 1606 le due abitazioni non erano abitabili separatamente)70; - furono fatte le finestre in pietre conce alle stalle71; - furono ampliate le cantine72 - furono rifatti tetti e ventaglie della casa del conte Bernardino (rotti e guasti, tanto che pioveva nella casa, a dir del conte Gentile), nonché i solai (rotti e caduti), gli usci, le finestre e la maggior parte delle fondamenta73 Possiamo anche aggiungere, a conclusione, un interessante documento, ricordato da Angelo Ascani e da lui rinvenuto nell’Archivio Comunale di Urbania, ricorda la casa apecchiese del conte Bernardino che, per l’incuria, era andata in rovina, “le volte caddero e i muri si allentarono”, tanto che Gentile Ubaldini “per ripararla vi spese di suo dai 700 agli 800 scudi, rifabbricandola praticamente tutta”74. La notizia sottolinea la spesa consistente sostenuta dal conte Gentile, ben superiore al valore dell’immobile (che ricadeva nell’ipoteca ducale della contessa Lucrezia per 399 scudi, circa la metà, o poco più della metà della spesa sostenuta dal conte di Apecchio).

Conclusione Per concludere, proverò a riassumere quello che mi sembra emergere dai documenti sopra proposti:

69ASP, Leg., Feudi 11, C, testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, 16 maggio 1606, n. 14 (Io già dico che se non erano sue dette case, non doveva mutar la faccia del luogo, levar l’entrate, le scale, et render inabitabile separatamente una dall’altra). Ricorda che fu murata la casa del conte Bernardino anche Carlo detto Stincone di Castiglione (1 luglio 1606), n. 13. 70Vds. nota precedente. 71ASP, Leg., Feudi 11, C, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 21 (Signor sì, che il fare le finestre alle stalle con pietre conce è più presto cosa che rende bellezza agl’abitanti, o utile o necessaria); testimonianza di Ubaldo di Marco di Ca Cialamella, 16 maggio 1606, n. 21 (Anzi la su a Apecchio si usano per tutto le finestre di pietra concia, anco alle stalle, e le porte). 72ASP, Leg., Feudi 11, C, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 23 (E’ vero che il cavare più cantine sotto terra è cosa che minaccia ruina, et è cosa più dannosa che utile, e so che in detta casa vi era la cantina, ma non mi ricordo dove la fosse, né come stesse, che sono tanti anni). Verosimilmente i lavori portarono alla costruzione delle Sali situate ad oriente del pozzo romano (intonro al quale doveva essere la cantina dell’abitazione dei conti di Montefiore). 73ASP, Leg., Feudi 11, C, testimonianza di Lidia Ubaldini, 12 maggio 1606, n. 23; costei, comunque, aveva seri dubbi sull’entità dei lavori svolti (Io non so se l’articolata casa che era del conte Brardino da molti e molti anni in qua fosse mal condizionata, ma so bene che al tempo che viveva il conte Brardino era buona, né mai ho saputo che li letti e ventaglie di essa fossero rotti e guasti e vi piovesse, né che li solari fossero rotti e caduti, né che fosse senza usci e senza finestre, né che meno fosse scalzata d’intorno et scoperti quasi tutti o maggior parte delli fondamenti, anzi li fondamenti tanto li vedo adesso quanto al tempo del conte Brardino, né mai ho visto che fosse ridotta al termine di cadere et andar in rovina). 74 Ascani, Apecchio, p. 154 (che cita la “busta 78, giugno 1607”). Angelo Ascani ignora chi sia il conte Bernardino (ipotizza che appartenga agli Ubaldini di Urbania) né pensa alla possibilità che la casa in questione sia quello che ora è la parte meridionale del Palazzo Ubaldini. 25 1477 Il conte Ottaviano Ubaldini inizia la costruzione del Palazzo di Apecchio 1498 Alla morte del conte Ottaviano, senza figli, i suoi beni sono devoluti al Duca di Urbino. 1498-1534 Il palazzo di Apecchio, attraverso passaggi che attualmente ignoriamo, diventa possesso degli Ubaldini degli altri rami 1534 Il palazzo si presenta diviso in due unità abitative, in possesso degli Ubaldini di Montevicino e Monte Fiore 1564 L’unità abitativa meridionale (di proprietà del conte Bernardino di Monte Fiore) viene confiscata dal conte Guidantonio 1578 Inizio dei lavori di restauro (evidentemente limitati alla parte meridionale) 1580-1581 Processo intentato dalla contessa Lucrezia (moglie del conte Bernardino) per il possesso dell’abitazione meridionale 1583 Confisca della rata del conte Federico Ubaldini (di Montevicino), proprietario dell’abitazione settentrionale 1584-1588 Acquisto delle restanti rate della parte settentrionale ed unificazione del palazzo 1588-1597 Lavori di restauro 1597 Il Palazzo Ubaldini è ultimato 1605-1608 Secondo processo (intentato dal conte Annibale, figlio del conte Bernardino) per il possesso dell’abitazione meridionale 1607 Viene ospitato nel palazzo il piccolo Federico Ubaldo

26 Capitolo V

In mano alla Reverenda Camera Apostolica

Per un secolo e mezzo nessun altro documento sul Palazzo è rintracciabile nei documenti dell’archivio di Pesaro: era del resto l’abitazione privata dei Conti (o almeno una delle abitazioni, dato che diversi rappresentanti della casata soggiornarono per lunghi periodi fuori Apecchio), per quanto fosse in qualche modo legata all’investitura75. Al momento dell’occupazione pontificia di Apecchio (1752), il Palazzo Ubaldini, ribattezzato “Palazzo Apostolico”, fu dalle autorità considerato però non allodiale (privato) ma feudale (riguardante la giurisdizione), e, malgrado le rimostranze degli eredi, fu confiscato dalla Reverenda Camera Apostolica76.

In mano alla Reverenda Camera Apostolica Per circa novant’anni il Palazzo rimase proprietà della Camera Apostolica e variamente utilizzato nei primi decenni dopo la devoluzione (era comunque enorme, sicuramente superiore alle esigenze dei ministri della Reverenda Camera). Dal 1752 al 1754 ospitò i soldati del presidio pontificio: appena giunti in Apecchio furono alloggiati in una stanza presso la porta principale della Terra. Ben presto però, a causa dell’inagibilità della stessa per il terremoto del 2 ottobre 1752, la guarnigione fu trasferita nel Palazzo Apostolico, dove rimase fino al termine del suo mandato: essa occupava una stanza al primo piano del Palazzo, contigua all’Appartamento Nobile. Sempre al primo piano fu alloggiato il podestà che, nominato da Sua Eminenza, era giudice in prima istanza e supervisore dell’amministrazione locale e dell’ordine pubblico. Alcune stanze al pian terreno, le scuderie e le cantine furono invece affittate al ministro dell’eredità Ubaldini (poi De Vico). Dopo il 1754, la prima stanza a sinistra dell’ingresso fu destinata ai pubblici consigli.

75Lo stretto legame alla giurisdizione feudale è ad esempio confermato nel testamento del conte Federico Ubaldini, ultimo conte di Apecchio, che precisa però espressamente di voler dare et assegnare alla medesima mia signora consorte anche il comodo di un appartamento ad elezione della medesima ne’ suoi palazzi di detti feudi, quali palazzi s’intendano e debbano restar compresi et uniti alla suddetta giurisdizione delli miei feudi (ASP, Leg., Feudi, b. 10, CII; pp. 511R-518V). 76Diversa fu la considerazione dei mobili, considerati invece allodiali: essi rimasero in un primo tempo nel Palazzo dato che gli eredi non si accordavano sul possesso di essi (e sul possesso degli altri beni di famiglia); infine, dopo l’accordo, furono trasportati fuori Apecchio da uno dei coeredi nel giugno 1760 (per l’incuria del podestà furono asportati nell’occasione anche bracci di ferro, serrature e catenacci: non rimasero nel Palazzo, in definitiva, che le nude pareti (ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3, 1760-1765, lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, 24 luglio 1762). 27 Alcune stanze del secondo piano furono quindi occupate dall’appartamento del cancelliere. In altre (non sappiamo in quale piano) furono sistemati la segreteria e cancelleria civile e criminali, gli archivi dell’annona e della comunità.

Descrizione del Palazzo Abbiamo anche una breve descrizione da una lettera del podestà podestà Francesco Maria Ubaldini (ramo di Urbino). Dice che era una vastissima fabbrica (cioè un edificio) a tre ordini d’appartamenti, non comprese le cantine, con volte reali fin dietro i tetti e con grossissime mura bensì, ma poco forti, per aver nel fabbricarlo fin dall’anno 1588 risparmiato la calce, essendo quasi fatte di sabbia schietta, ed un terzo solo del Palazzo suddetto basterebbe abbondevolmente per l’abitazione del podestà, del cancelliere e ministro degl’eredi77. Altri particolari emergono dai documenti: - la costruzione era divisa in due zone, chiamate la fabbrica vecchia e la fabbrica nuova (la prima era la parte settentrionale, prossima alla chiesa, intorno al cortile; la seconda quella meridionale, ampiamente ristrutturata, come visto, dal conte Gentile) - la scalinata principale, che dal piano terra giungeva al secondo piano, aveva 72 gradini78; esisteva anche una “scala segreta”, in un piccolo vano a ridosso della Chiesa; - il piano nobile era collegato (tramite la scala segreta?) con il coretto della chiesa. - esisteva una sala terrena del Palazzo, non affittata al ministro dell’eredità Ubaldini, in cui al tempo dei conti Ubaldini si rappresentavano le commedie; - era strettamente collegato al Palazzo il Giardino, un’ampia estensione di terreno che arrivava fino al fiume, dell’estensione di 1,2 ettari (dodici tavole): nel 1752, al momento della Devoluzione, esso era coltivato ed aveva alcune piante da frutto; il fondo era interamente circondato da un muro.

Straordinaria manutenzione Il problema principale era costituito dalla grandezza del palazzo, che necessitava di una continua manutenzione, e dal fatto che non c’erano architetti, capomastri o maestranze specializzate in questo genere di lavori ad Apecchio, e pertanto essi dovevano essere chiamati dell’esterno. Il peso del mantenimento era quindi abbastanza gravoso per la RCA, proprietaria del Palazzo. Nel 1757 fu necessario operare un primo intervento limitato, di cui ci parla il podestà Luzio Lanucci Tarducci: minacciava infatti rovina eminente un tetto di questo Palazzo Apostolico, come altresì

77ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 16 maggio 1761. 78Attualmente la scalinata tra piano terra e primo piano (parte originale del Palazzo, non modificata dopo il terremoto del 1781) ha 36 scalini; altri 36 dovevano collegare quindi il primo al secondo piano. 28 alcuni soffitti, che per incuria de ministri pro tempore hanno di molto patito a causa delle acque piovane79. La spesa per il riattamento fu di circa 31 scudi80. I lavori, che interessavano la parte del palazzo detta la fabbrica vecchia erano a buon punto all’inizio di novembre di quello stesso anno81. Altri dodici scudi circa furono spese, per piccoli interventi nel Palazzo, nel 175982.

La perizia del Tacchi (1761) Più consistenti gli interventi previsti qualche anno dopo: tra il 1760 e il 1761, una serie di scosse di terremoti (sentitesi per 8 o 10 volte dalli 21 ottobre 1760 a detto il 1 aprile scorso che fu l’ultimo più strepitoso degl’altri)83 aveva provocato non pochi danni al Palazzo stesso ed era necessario un immediato intervento. Il podestà Francesco Maria Ubaldini scriveva a tale riguardo a Sua Eminenza il 16 maggio 1761 esprimendo il parere che fosse necessario far giungere ad Apecchio un architetto o capomastro capace di fare la perizia84. Nelle note allegate alla missiva, veniva inoltre precisato che bisognava assolutamente: - riattare una muraglia che sostiene i fondamenti della “Fabbrica Nuova” (il lavoro che sembrava più urgente allora al podestà Ubaldini per il pericolo di crollo di parte del Palazzo); - rifare cento piedi di lunghezza della muraglia del Giardino (portata via dal fiume nel 1757); - dare una ripassata al tetto; - controllare alcune muraglie maestre che spiombano assai (come vedremo, quelle della facciata verso la Piazza). Ma dovette passare qualche tempo prima che i lavori cominciassero, con il rischio del progressivo deteriorarsi delle strutture del palazzo. Intanto Sua Eminenza insistette a far cercare un capomastro per la perizia non ad Urbino, come suggeriva l’Ubaldini, ma a Mercatello, Sant’Angelo o luoghi

79ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 2 (1755-1759), lettera del podestà Luzio Lanucci Tarducci, Apecchio, 9 luglio 1757. 80ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 2 (1755-1759), lettera del podestà Luzio Lanucci Tarducci, Apecchio, 23 luglio 1757. 81ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 2 (1755-1759), lettera del podestà Francesco Maria Mengacci, Apecchio, 4 novembre 1757. 82ASP, Leg., Copialettere, ex 7165 (1758-1759), p. 145v, al podestà di Apecchio, 19 luglio 1759. 83ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), note allegate alla lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 16 maggio 1761. 84ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 16 maggio 1761: Mi do l’onore d’accludere a Vostra Eminenza una nota de risarcimenti necessari per questo Palazzo Apostolico, dovendola avvertire esser superfluo che l’Eminenza Vostra ordini se ne faccia fare la perizia, stante che in questo luogo non vi è architetto né capomastro capace di conoscere ciò che precisamente occorra per mantenere questa vastissima fabbrica a tre ordini d’appartamenti, non comprese le cantine con volte reali fin dietro i tetti e con grossissime mura bensì, ma poco forti, per aver nel fabbricarlo fin dall’anno 1588 risparmiato la calce, essendo quasi fatte di sabbia schietta, ed un terzo solo del Palazzo suddetto basterebbe abbondevolmente per l’abitazione del podestà, del cancelliere e ministro degl’eredi; onde sarà necessario che Vostra Eminenza trasmetta qui da Urbino o pure di dove che piacerà un architetto o capomastro capace per far la perizia dell’occorrente oppure dia il permesso per far venire a spese della Reverenda Camera Apostolica dalla vicina Città di Castello 29 vicini (22 maggio 1761)85. Il 7 novembre 1761 il podestà Francesco Maria Ubaldini avvisava Sua Eminenza che servivano imminenti lavori di consolidamento: c’era il forte rischio che una parte del Palazzo potesse crollare86. Poi, un anno dopo, Sua Eminenza si arrese e acconsentì di chiamare un provetto capomastro di Urbania, che aveva lavorato sotto la direzione del conte Ludovico Ubaldini (di Urbino), agnato dell’allora podestà di Apecchio87: si trattava di un certo Carlo Tacchi (pratico nell’arte sua di capomastro muratore per avere innalzato fabbriche di considerazioni ed ultimamente la Chiesa de Padri Francescani d’Urbania dal medesimo è rifatta di nuovo fino da fondamenti), che presentò una precisa perizia (8 maggio 1762). Tale documento prevede una spesa minima di 105.45 scudi per la sicurezza statica dell’edificio, a cui si aggiungevano eventualmente i costi per le spese non strettamente necessarie, come quelle per le vetrate e le finestre88. Il problema principale del Palazzo, a detta del Tacchi, non era il muro della Fabbrica Nuova, ma la facciata della “Fabbrica Vecchia”, che minacciava di crollare sia per problemi statici della porta del Palazzo, sia per il peso di un muro che, cedendo, scaricava il peso sulla facciata suddetta. Inoltre c’era il rischio di gravi danni strutturali ad altre parti dell’edificio in quanto il muro in questione sosteneva due volte in mattoni (due volte cioè avente funzione non estetica ma strutturale, in quanto sopportavano il peso dei piani sovrastanti): avendo osservato essere in pessimo stato la porta maestra di detto Palazzo, che al presente è sia contornata di sassi a rota ma tutti corrosi, e rotti da fondamenti, coll’architrave medesimo che sta per rovinare e, spiombando col muro mediante il peso de cornicioni che risaltano di fuori, fa anche spiombare tre finestre alla mano manca, unitamente col muro fino al tetto di detto Palazzo, dando anche motivo a detta spiombatura un muro grosso fondato sopra una volta assai debole che cede, e minaccia ruina, il qual muro poi sostiene altre due volte di mattoni, e così poggiando sempre più nel suddetto muro della facciata l’ha ridotto nello stato di rovinare, come si è dimostrato di sopra. Il Tacchi stimava pertanto necessario rifare la porta e le tre finestre (onde stima necessario levare i contorni troppo pesanti e rotti da detta porta, e rifarla a piombo tutta di mattoni a lo stesso praticare con le finestre)89, nonché intervenire sul muro che sorreggeva la volta in questione,

85ASP, Leg., Copialettere, ex 7166 (1760-1761), p. 149v, al podestà di Apecchio, 22 maggio 1761. 86ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Fancesco Maria Ubaldini, Apecchio, 7 novembre 1761. 87La data si ricava dalla perizia del Tacchi (conservata in ASP, leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 8 maggio 1762. 88ASP, leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, Apecchio, 8 maggio 1762. 89La somma preventivata per tale intervento era di scudi 17.01 e in particolare: scudi 6.75 per 1500 mattoni occorrenti (mille mattoni costavano 4 scudi e mezzo); scudi 1.20 per calce (sei some), scudi 0,06 per la sabbia, 6 scudi per 20 opere (giornate lavorative) dei muratori, 3 scudi per 20 opere dei manovali. 30 costruendo nelle fondamenta due pilastri che avrebbero sostenuto un arcoforte, a sua volta utilizzato per sorreggere il muro: tutti questi lavori avrebbero comportato una spesa di scudi 33.8590. Doveva essere inoltre fatta una serie di lavori: - rifare un muro nelle fondamenta (sotto il portico del cortile), per la spesa di uno scudo e 54 baiocchi91; - levare e rimettere i marmi che fanno contorno ad una porta (spesa di scudi 1.20)92; - inserire quattro chiavi di ferro (strutture di ferro poste orizzontalmente secondo la corda di un arco per contrastare le spinte dell’arco sui “piedritti”, cioè sui sostegni verticali con funzione portante posti sotto archi, architravi o volte) nella cucina dell’appartamento superiore (per un totale di 34.05 scudi)93; - mettere due chiavi di ferro al primo piano in due stanze dell’appartamento superiore (per un totale di 9,85 scudi94; - fare piccoli interventi al tetto (rivoltare un cavallo), ai pavimenti, alle porte e finestre ed altre piccole bagattelle per un totale, tra prestazione d’opera e materiali, di 4.92 scudi - lastricare per 210 piedi il punto in cui cade l’acqua del stillicidio del Palazzo a mezzo giorno, per permettere ad essa di entrare nella chiavica che, passando sotto il Giardino, la portava fino al fiume (altrimenti sarebbe continuata a penetrare nelle fondamenta e nelle cantine, come fa al presente con pregiudizio notabile, per un totale di 3,75 scudi95. C’era inoltre la spesa che occorre nell’altra fabbrica separata detta “il Palazzo nuovo” e in particolare, il Tacchi prevedeva di levare un gran portone che spingendo colla volta nelle cantonate le fa dare in fuori lasciando una piccola porticella per andare di fuori nel fondo di detta fabbrica

90Per questo intervento si preventivava la spesa di 16.75 scudi: scudi 6.75 per 1500 mattoni; scudi 0.80 per 40 tirate di pietra per le fondamenta; 2 scudi per dieci some di calce, 0.10 scudi per la sabbia; 5.40 scudi per 18 opere di muratore; 2.70 scudi per 18 opere di manovale. La menzione a tre finestre fuori piombo mi fa pensare che, per ragioni di simmetria, la facciata del Palazzo verso la Piazza (quella contigua alla Chiesa, ex abitazione dei conti di Montevicino), fosse di due soli piani: piano terra avente una porta ed una finestra) e primo piano (due finestre, in corrispondenza delle aperture del piano terra). Il secondo piano pertanto, se questa ipotesi fosse confermata, si sarebbe trovata solo nella parte orientale e meridionale del Palazzo. L’ipotesi è difficilissima da provare in quanto l’intero secondo piano fu smantellato dopo il terremoto del 1781, che lesionò anche la facciata verso la piazza. 91Spesa prevista: scudi 1,50 tra materiale e fattura. 92Spesa prevista: scudi 1,20. 93Nella cucina dell’appartamento superiore per sostentare una muraglia di fuori che spiomba assaj per sostentare due volte di mattoni ed impedire che non rovini chiavi quattro di ferro, cioè due al piano della prima volta e due al piano della suddetta, per le quali occorreranno circa libbre 600 di ferro, che condotto importerà scudi 30.00. A questi si aggiungevano 0,20 scudi per dieci tirate di sassi, necessarie per riempire un luogo vacuo dove deve andare una delle suddette chiavi; 0,20 scudi di calce; 0,05 scudi di sabbia; 2.40 scudi per otto opere di muratore; 1.20 scudi per altrettante di manovale. 94Per mettere un'altra chiave al piano dell’appartamento del signor podestà nel camerino accanto la scala segreta, ed altra simile all’ultima stanza dell’appartamento superiore per tenere a dovere le muraglie di fuori che sostengono le volte, dove si vedono considerabili crepature per ferro libbre 170 incirca, scudi 8.50; per opere tre di muratore, scudi 0.90; al manuale, scudi 0.45. 95Scudi 2.10 per le lastre; scudi 0.90 e 0.45 per tre opere di muratore e manovale; scudi 0.44 per calce e sabbia. 31 (un portone cioè che dava sul retro, nel Giardino), nonché di stringere gli archi d’altre porte e finestre, per una spesa complessiva di 3.40 scudi96. Inoltre reputava opportuno inserire nei muri esterni quattro chiavi di ferro (spesa complessiva di 12.73 scudi)97 e rifare l’arco della porta che dal Palazzo entra nel giardino con pietre conce (spesa di 0.85 scudi)98. Quattro scudi infine erano previsti per legno per armature, graticci e chiodi. Il problema maggiore era però quello della mancanza di maestranze specializzate: ad Apecchio non c’era un capomastro capace di fare detti lavori, gli operai erano poco esperti; il Tacchi ed i suoi lavoranti sarebbero venuti ma erano in quel momento impegnati nella fabbrica della chiesa dei Conventuale e convento degli Zoccolanti di Urbania99. L’anno successivo comunque questi problemi furono risolti: nel maggio si cominciò a raccogliere il materiale per il riattamento del Palazzo Apostolico e si precettarono i contadini per carreggiar sassi col solito pagamento100. Nel giugno Sua Eminenza insisteva a non spendere più della somma preventivata: circa cinquanta scudi101 La somma era circa la metà di quella preventivata dal Tacchi: evidentemente si cercò di risparmiare, ma ciò non avrà giovato alla sicurezza statica dell’edificio, destinato ad essere colpito, di lì a vent’anni, da una terribile scossa di terremoto.

96Scudi 0.80 per 40 tirate di sassi; 0.90 per 200 mattoni; 1.60 per otto some di calce, 0.10 per dieci tirate di sabbia. 97Scudi 6.00 per le chiavi; 1.33 per due legni dritti di querceti di piedi 20 l’uno a quali vanno attaccate le 4 chiavi di ferro; 3.60 e 1.80 per dodici opere di muratore e manovale. 98Scudi 0.30 per le pietre; 0.10 per mezza soma di calce; 0.30 e 0.15 per un’opera di muratore ed una di manovale. 99ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, 8 maggio 1762. 100ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 3 (1760-1765), lettera del podestà Francesco Maria Ubaldini, 1 maggio 1762 (diverse difficoltà iniziali, dato che i contadini, sobillati dagli ecclesiastici, non volevano prestare la loro opera per il trasporto delle pietre: fu necessario precettarli e procedere anche ad un arresto). 101ASP; Leg., Copialettere, ex 7167 (1762-1763), p. 75r, al podestà di Apecchio, 27 giugno 1762. 32 Capitolo VI

Dopo il terremoto

Il 3 giugno 1781 un terremoto del nono-decimo grado della scala Mercalli, che ebbe come epicentro il Monte Nerone, provocò in Apecchio enormi danni e diverse vittime102. Apecchio fu praticamente rasa al suolo ed anche il Palazzo fu gravemente danneggiato. Orazio Tranquillo Locchi ricorda, rifacendosi ad una “cronaca del tempo” (che non mi è stato possibile rintracciare), che “per due terzi diruto e per un terzo minacciante ruina” 103. La descrizione dei danni sembra in effetti trovare riscontro in riferimenti sparsi presenti in documenti proposti da monsignor Berliocchi e nella corrispondenza del podestà in quelle convulse giornate. Monsignor Berliocchi, consultano i libri della parrocchia di Apecchio, ricorda anche tre uomini deceduti “sotto le ruine del Palazzo Apostolico”: don Marco Galleani, di 66 anni; Luca detto Broda (78 anni) e il cancelliere Luigi Mancini “il cui corpo non si poté ritrovare, nonostante le ricerche di vari giorni tra le rovine”104. Riuscirono invece a fuggire dal palazzo il podestà, dottor Ubaldo Gentili, e la moglie, che era in stato interessante. Nei mesi successivi il podestà trovo alloggio a casa dell’Arciprete105, mentre il Palazzo fu lasciato a se stesso per qualche mese: furono solo fatti degli scavi per recuperare i cadaveri e le carte dell’archivio, e questi in mezzo ai pericoli, dato che, come ricorda il podestà stesso in una sua missiva del 9 giugno indirizzata a Sua Eminenza, le reliquie del Palazzo minacciavano continuamente ruina106 e le scosse di assestamento provocavano continuamente nuovi crolli.

102Vds. S. LANCIONI, Il terremoto del 3 giugno 1781. Documenti riguardanti ed Apecchio, in “Sguardi – Quaderno del Liceo Torelli”, 2009, pp. 18-29 103O.T. LOCCHI, La provincia di Pesaro e Urbino, Roma, 1934, pp. 571-572 104L’annotazione deve riferirsi ai giorni successivi al terremoto (come anche specificato nelle lettere del podestà sotto riportate). Una lettera di Sua Eminenza dell’ottobre 1781 comunque attesta che, a quella data, il corpo del povero Mancini era stato (forse da qualche tempo) già ritrovato e che alle povere spoglie era stata data cristiana sepoltura: ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 29r, Al podestà di Apecchio, 5 ottobre 1781 (il podestà deve attivarsi presso i consiglieri di Apecchio affinché a don Domenico Mancini, fratello del defunto segretario, siano rimborsate le spese sostenute). 105La convivenza suscitò però un certo sconcerto ad Apecchio dove, qualche anno dopo, si ricordavano ancora le palpabili parzialità del podestà per l’Arciprete in occasione de riparti alli danneggiati del terremoto (ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6, 1780-1789, lettera del podestà Luigi Rossi, Apecchio, 2 aprile 1786., attestato dei consiglieri, Apecchio, 29 marzo 1786.): i successori (Alessandro Orlandini e Ottaviano Leonardi) preferirono pertanto lasciare tale abitazione ed andare ad abitare in una casa privata, quella dei coniugi Collesi, mentre i lavori di sistemazione del palazzo incominciavano. 106ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789, lettera di Ubaldo Gentili, podestà di Apecchio, Mercatello, 9 giugno 1781. 33 La ricostruzione Nei mesi successivi si provvide a mettere in sicurezza le strutture rimaste e a ricostruire, ove possibile, il Palazzo stesso. Il terremoto aveva in effetti provocato: - il crollo di tetti, soffitti e pavimenti (almeno una parte consistenti di essi), ed erano stati coinvolti anche i sotterranei (…mentre dopo d’esser venuto a pian terreno del Palazzo, si è ancora sfondata una volta, e (scil. il corpo del povero Mancini) si crede ne sotterranei, dove da ogni parte ne viene vietato l’accesso)107; - il crollo (o l’ampia lesione) della facciata del Palazzo, verso la Piazza (corrispondente alla zona a nord, contigua alla pieve, una volta appartenente all’abitazione dei conti di Monte Vicino). La facciata in effetti presentava problemi statici notevoli, a cui non si riuscì forse a dare soluzione nei lavori di restauro degli anni successivi al 1761, e la parte corrispondente all’attuale prima stanza a sinistra dell’ingresso attuale si presenta non edificata, nella rappresentazione in piano del cessato Catasto Pontificio.108 Il crollo non interessò per fortuna i muri portanti dell’edificio e fu pertanto ritenuto possibile restaurarlo: a questo compito furono impiegati, già dal 1782, due capomastri, i fratelli Innocenzi109. Essi provvidero anche ad abbattere il secondo piano del Palazzo, per non gravare le strutture sottostanti di un peso eccessivo. Con le macerie ricavate dalla demolizione di una parte del Palazzo stesso venne riempito un piccolo sito intermedio fra la chiesa della Pieve e il Palazzo Camerale, dove in precedenza era situata una scala segreta110. I lavori dovevano essere piuttosto avanti nel 1786, quando Sua Eminenza ordinò al podestà (17 marzo 1786), dottor Rossi, di spostarsi dalla casa dei coniugi Collesi (dove in quegli anni avevano alloggiati i podestà, in affitto con ulteriore spesa della Reverenda Camera Apostolica) all’abituale residenza del giudice (cioè nel Palazzo Apostolico)111. Il dottor Rossi però presentò un quadro desolante della situazione del Palazzo, che benché riattato si dice che minacci ruina e per ogni dove ci piove. E precisa che, essendo stato questo visitato da

107Una lettera di Sua Eminenza dell’ottobre 1781 attesta che, a quella data, il corpo del povero cancelliere Mancini era stato (forse da qualche tempo) già ritrovato e che alle povere spoglie era stata data cristiana sepoltura: ASP, Leg., Copialettere, 7183 (1781-82), p. 29r, al podestà di Apecchio, 5 ottobre 1781. 108Si veda mappa di Apecchio a pag. 16. 109ASP, Leg., Copialettere, ex 7183 (1781-82), p. 174r-p. 174v, al podestà di Apecchio, 12 settembre 1782; ex 7184 (1782-83), al podestà di Apecchio, 11 e 28 agosto 1783. 110ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 8, lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, 10 febbraio 1802. Nel 1802 si dovettero asportare le macerie perché l’umidità ad essa collegabile, per infiltrazione di acque piovane, danneggiava i muri della Chiesa e del Palazzo Apostolico. 111ASP, Leg., Copialettere, ex 7186 (1785-1787), 17 marzo 1786. Apecchio, al dottor Rossi podestà: Attesi i ricorsi contro di Voi pervenutici perché conviviate con i coniugi Collesi, supponendosi che da ciò ne derivino inconvenienti e disordini, è nostra precisa mente che vi portiate ad abitare nella casa già destinata pel Giudice, sapendosi che questa trovasi in oggi risarcita; ad oggetto di togliere ogni motivo di ulteriori reclami, qualunque sia il di loro fondamento. E tanto eseguirete, con rendercene prontamente avvisati. 34 periti, l’hanno riconosciuto non essere abitabile ed io in tale stato di cose ho creduto mio preciso dovere di rendere informata l’Eminenza Vostra del pessimo stato di questa abitazione, la quale non può abitarsi senza pericolo di vita, come l’Eminenza Vostra potrà degnarsi di riconoscere dalla qui annessa perizia112. Inviò anche una perizia, che però fu restituita al podestà di Apecchio il 4 aprile da Sua Eminenza, con l’ordine di girarla alla Tesoreria Generale, responsabile dei lavori di restauro: Non conviene certamente che voi continuate a convivere in casa Collesi, onde così troncare la strada ad ulteriori ricorsi. Bensì vi ritorniamo la perizia dei riattamenti che occorrono al Palazzo Camerale, perché voi stesso dobbiate trasmetterlo a monsignor Tesoriere, pregandolo di dar ordine che si facciano, acciocché possiate voi on sicurezza di vostra persona portarvi ad abitarlo, giusto il consueto. E tanto eseguirete113. In attesa dei successivi lavori, pertanto, il podestà rimase ad alloggiare a casa Collesi ed il Palazzo fu probabilmente lasciato per qualche anno a se stesso, dato anche il passaggio dei Francesi in Italia ed il periodo napoleonico. Nel 1817 due stanzette del Palazzo erano tuttavia occupate dall’archivio della Cancelleria114.

L’Ospedale All’indomani della Restaurazione gli Apecchiesi dovettero affrontare una grave epidemia di tifo petecchiale, che si accanì sul paese per alcuni anni. Ne parla ampiamente monsignor Berliocchi: “Negli anni 1818 e 1821 si diffuse in Apecchio una grave epidemia che i documenti dell’epoca chiamano “tifo petecchiale”, quando i segni del male apparivano prevalentemente sulla pelle; oppure “gastrica petecchiale” sei disturbi provenivano soprattutto dallo stomaco e dall’intestino. Questa malattia infettiva era favorita dalle cattive condizioni igieniche, che consentivano la diffusione dei pidocchi, trasmettitori naturali dell’infezione. Dopo un’incubazione di qualche giorno, la malattia insorgeva bruscamente con brividi, febbre alta, mal di testa, vomito e disturbi nervosi. Al quinto giorno delle manifestazioni, apparivano sulla pelle macchioline rossastre a forma di piccole punte, che poi si aprivano con versamento di sangue (petecchia). L’epidemia fu circoscritta e valorosamente combattuta da uno di quelle mitiche persone, che Apecchio ha potuto annoverare frequentemente tra i suoi medici condotti. Si tratta del dottor Pietro Reali, che giorno e notte si prodigò per curare gli infettati, oltre duecento, riducendo il numero dei decessi appena a una ventina.

112ASP, Leg., Lettere delle comunità: Apecchio, b. 6 (1780-1789), lettera del podestà Luigi Rossi, Apecchio, 2 aprile 1786; attestato dei consiglieri, Apecchio, 29 marzo 1786. 113ASP, Leg., Copialettere, ex 7186 (1785-1787), 4 aprile 1786. Al podestà di Apecchio. 114Vds. infra. 35 Fin dall’inizio dell’epidemia in Apecchio si avvertì la necessità di un piccolo ospedale, dove fosse possibile isolare e curare le persone più duramente colpite. A tal fine, nell’ex Palazzo Ubaldini, fu riservata la parte meno danneggiata dall’ultimo terremoto, trasformandola in un luogo di ricovero e di cura per far fronte all’emergenza. Ma, superata la crisi, si volle tenere attiva questa piccola struttura sanitaria, con la speranza di poter creare in seguito un vero ospedale per la gente di Apecchio e del circondario. Stando alla testimonianza dei più anziani, l’attuale locale del Consiglio comunale serviva da sala operatoria del mini-ospedale. Attigua a questo locale, c’era la cameretta per gli ammalati; mentre il medico chirurgo abitava a pochi passi, nello stesso piano dell’ospedale”115. Qualche altro documento, rinvenuto nell’Archivio di Stato di Pesaro, può offrire altre informazioni e documentarci lo Stato del Palazzo in quegli anni. Il 27 magio 1817 venne fatto un dispaccio (n. 6996), inviato nei giorni successivi a tutte le comunità della Provincia, in cui si davano precise disposizioni in caso di “epidemie umane”, prescrivendo tassativamente l’isolamento degli ammalati in apposite strutture, per evitare che il morbo si diffondesse. La situazione ad Apecchio era, in quell’anno, preoccupante ma non grave (l’epidemia vera e propria scoppiò nell’anno successivo; nel 1817 ci fu comunque un’ampia diffusione di disturbi gastroenterici non particolarmente virulenti). Pertanto il 4 giugno 1817 il gonfaloniere Pasquale Magrini presentava la situazione sanitaria di Apecchio e proponeva di utilizzare, per l’erigendo Ospedale (cioè per il luogo nel quale sarebbero stati isolati coloro che fossero stati colpiti da malattie epidemiche) alcune stanze del Palazzo Apostolico, di proprietà della Reverenda Camera Apostolica, che però, ad eccezione delle due camere utilizzate per la cancelleria, si trovava in pessimo stato: Rendesi inoltre affatto impossibile di stabilire un apposito locale per la custodia e cura degli ammalati. In questa Terra non vi è una casa atta da potersi impiegare per tale oggetto. L’unico locale adattissimo sarebbe questo Palazzo Apostolico, nel quale certamente non mancarebbero i comodi necessari. La posizione del medesimo resta vicino alla Chiesa Parrocchiale, e quasi separato dal Paese: rimane esposto al vento boreale e vi regna un’aria ottima e salubre, per essere dalla parte di levante, dominata dal sole. Quattro camere sono assai spaziose, e ventilate, non che fornite di altri comodi. Con ogni facilità verrebbero ivi custoditi gli infermi, e da una sola e unica guardia si potrebbero fare assicurare per impedire la comunicazione di altre persone. Niun uso per altro può farsi di questo locale, perché il tutto è in pessimo stato, a riserva delle due camere che servono per la Cancelleria Civile e Criminale. Il Palazzo di sopra, essendo delle ragioni della Reverenda Camera Apostolica, meriterebbe qualche considerazione, e

115Berliocchi, Apecchio, pp. 343-345. 36 non dovrebbesi trascurare il dovuto riattamento per non ridurre un sì bel locale nella totale rovina, e renderlo un ammasso di sassi. La spesa non sarebbe vistosa, ed in allora si avrebbe abitazione pel giudice, cancelliere e uffici, come anche un beneficio in simili circostanze, che tanto influiscono sul pubblico vantaggio e comune utilità116. Da Pesaro venne risposto il 3 luglio, spiegando che erano stati chiesti alla Tesoreria i fondi per il riattamento del Palazzo e che, qualora si fosse diffusa l’epidemia (in quel momento la situazione era praticamente sotto controllo), la Comunità avrebbe dovuto provvedere autonomamente a tali spese che sarebbero poi state rimborsate117. Ma il gonfaloniere, in una successiva missiva (16 agosto 1817), annunciava che qualsiasi spesa era impossibile per la mancanza assoluta di denaro nelle casse comunitative118. Qualche mese dopo la situazione era drammatica, dato che il contagio (e questa volta era tifo) non era circoscrivibile: nel febbraio 1818 Sua Eminenza nominò pertanto un apposito commissario sanitario, il dottor Domenico Petrini di Gubbio, che si sarebbe dovuto immediatamente recare in Apecchio ed impedire con tutti i mezzi la diffusione dell’epidemia. Il dottor Petrini giunse in Apecchio la sera del 16 febbraio, parlò con il medico, dottor Reali, e con il gonfaloniere locale e vide che, in quelle condizioni, il contagio non era circoscrivibile (i malati, tre in quel momento, si trovavano nei loro tuguri, assistiti dai familiari): decise pertanto di attivare l’Ospedale in una stanza del Palazzo Apostolico, nel quale isolare i tre ammalati. Vennero requisiti (non sappiamo a chi) i letti ed altro materiale, nominati tre deputati sanitari che coadiuvassero il dottor Reali, acquistato cibo e medicinali per i degenti (i soldi necessari per far partire il presidio sanitario furono anticipati dal dottor Reali) e spostati (il 18 febbraio) nel Palazzo

116ASP, Delegazione di Urbino e Pesaro (d’opra in poi Del.), Sanità, b. 4 (1817), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane: , Apecchio, Barchi), Lettera del gonfaloniere Pasquale Magrini, Apecchio, 6 giugno 1817. Anche il governatore (funzionario che ha sostituito il podestà), dottor Alessandro Ionj, era dello stesso parere del gonfaloniere: L’unico ed adattato locale è questo Palazzo Apostolico, separato dal resto dell’abitato, esposto al sole dall’oriente all’occaso, ed avente diverse camere spaziose, alte e ben ventilate. In esse gli infermi si custodirebbero e sorveglierebbero con una sola guardia. Il detto Palazzo peraltro non può ridursi all’indicato per essere del tutto ruinoso, eccettuate due camerette, alla meglio restaurate per servigio del Tribunale. Conviene pertanto che la Reverenda Camera Apostolica, come proprietaria di tale edificio, si persuadesse della necessità di riattarlo, non solo per comodità de pubblici uffizi, ma anche per beneficio di questi abitanti in sì luttuoso emergenze (ASP, Del., Sanità, b. 4 (1817), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane: Acqualagna, Apecchio, Barchi), lettera del governatore Alessandro Ionj, Apecchio, 14 giugno 1817, n. 291) 117ASP, Del., Sanità, b. 4 (1817), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane: Acqualagna, Apecchio, Barchi), minuta al governatore di Apecchio, 3 luglio 1817: … In quanto poi al locale pel ricovero de’ malati, le prevengo che sono stati già implorati dalla tesoreria i fondi necessari pel riattamento del Palazzo Apostolico ch’esiste in codesto Comune e che potrà, in mancanza di altro locale, essere destinato per Ospedale. Ma se prima che tali risarcimenti possano eseguirsi si aumentasse il numero de malati, in questo caso è indispensabile che la Comunità faccia da potervi collocare gl’infermi, improntando le relative spese. 118ASP, Del., Sanità, b. 4 (1817), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane: Acqualagna, Apecchio, Barchi), lettera del governatore Alessandro Ionj, Apecchio, 16 agosto 1817, n. 348 37 Apostolico gli ammalati119. Si chiese quindi l’aiuto economico della Legazione per il mantenimento della nuova struttura120.

Dopo il contagio Terminata l’epidemia, terminò anche la funzione dell’ospedale e, qualche anno dopo, nella visita pastorale del vescovo tifernate Muzi (25 aprile 1830), si precisa che aveva visitato palatium Ubaldini fere dirutum121. Nel 1833, nel catasto urbano di Apecchio, viene registrata la presenza, nel Palazzo, di cinque vani al piano terra e sette al primo piano, ma riguardo all’utilizzo dell’immobile, viene registrato sconsolatamente che esso era di niun uso. Un restauro era logicamente improponibile per la Reverenda Camera Apostolica, i cui bisogni ad Apecchio potevano essere soddisfatti diversamente (dall’inizio del secolo era diventata tra l’altro proprietaria dell’antica casa della comunità, il terzo palazzo sulla destra scendendo da Palazzo Ubaldini verso lPorta dell’Orologio). Non sembra pertanto strana la concessione, effettuata da papa Gregorio XVI al Comune di Apecchio, il 10 dicembre 1841, dello storico palazzo, da adibire a sede comunale122. Si apriva in questo modo una nuova fase della storia di questo importante palazzo storico.

119ASP, Del., Sanità, b. 25 (1818), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane), lettera del dottor Domenico Petrini, Apecchio, 19 febbraio 1818, lettera del gonfaloniere Pasquale Magrini, Apecchio, 18 febbraio 1818, n. 95. 120ASP, Del., Sanità, b. 25 (1818), rubrica 2, fascicolo 1 (Epidemie umane), lettera del gonfaloniere P. Magrini, Apecchio, 25 febbraio 1818, n. 116: L’Ospedale è stato eretto nel Palazzo Camerale, ed ivi rimangono racchiusi i tre malati tisici sotto la più rigorosa contumacia. Per continuare le precauzione di sopra adottate, mi mancano i mezzi necessarj, e sono impossibilitato di sostenere le occorrenti spese, essendo la cassa comunitativa esausta di denaro, e non posso essere nemmeno fornito dei necessarj soccorsi dai miei concittadini perché anch’essi dalle passate calamitose vicende sono ridotti all’indigenza, e rimasti privi d’ogni risorsa, atteso le grandini, e mancanza di ghiande. Si chiedeva pertanto aiuto economico. 121A. ASCANI, Apecchio contea degli Ubaldini, Città di Castello, 1977, p. 152. Il vescovo Muzi pensava di creare in Apecchio un Pio Istituto delle Maestre Pie Venerini, che poteva essere sistemato in alcune stanze del Palazzo Ubaldini. Il suo progetto fu realizzato qualche anno dopo: “Il Pio Istituto delle Maestre Pie, che nel 1873 contava quattro suore, era stato fondato in Apecchio dal francescano P. Giuseppe, originario del paese, e dal vescovo di Città di Castello, Giovanni Muzi, con decreto del 4 maggio 1845. Questo Istituto, in cui le religiose non facevano la professione solenne, somigliava molto agli attuali istituti secolari di vita apostolica. In una circolare del 28 marzo 1843, Mons. Muzi invitava i sacerdoti castellani a concorrere ad un’offerta di carità come è quella di aprire una scuola gratuita di Maestre Religiose nella terra di Apecchio (cfr. Elvio Ciferri, Editti e Notificazioni di Mons. Giovanni Muzi Vescovo di Città di Castello (1825-1849), Petruzzi Editore, Città di Castello, 1989, p. 225)” (Berliocchi, Apecchio, p. 348, nota 25). 122A. ASCANI, Apecchio contea degli Ubaldini, Città di Castello, 1977, p. 152. 38 S O M M A R I O

Pagina Introduzione 5 Cap. I La residenza dei primi conti di Apecchio 7 Cap. II Informazioni sul Palazzo 12 Cap. III Le abitazioni dei Conti di Monte Vicino e di Montefiore 17 Cap. IV Il Palazzo del conte Gentile 26 Cap. V In mano alla Reverenda Camera Apostolica 30 Cap. VI Dopo il terremoto 36

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