La citazione di pag. 56 è tratta da Dialoghi con Leucò, Cesare Pavese © 2014 Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino

La citazione di pag. 73 è tratta da Il suono dell’ombra, Alda Merini © 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per gentile concessione degli Eredi e dell’Editore SToRiE Da La citazione di pag. 81 è tratta da Vita d’un uomo, Giuseppe Ungaretti LA scUgNiZzErIa dI scAmPiA © 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per gentile concessione degli Eredi e dell’Editore La citazione di pag. 149 è tratta da Isole nella corrente, Ernest Hemingway iLlUsTrAtO Da © 2013 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per gentile concessione dell’Editore LoReNzO CoNtI

La citazione di pag. 173 è tratta da Da questa parte del mare, Gianmaria Testa © 2016 Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino

© 2019 Edizioni EL, via J. Ressel 5, 34018 San Dorligo della Valle (Trieste) ISBN 978-88-6656-513-0 www.edizioniel.com INTRODUZIONE

UNA PIAZZA DI SPACCIO A Morena. Alcune persone le amerò tutta la vita. DI LIBRI Altre, anche dopo.

A QUARANT’ANNI dalla nascita di Scampia, abbiamo aperto la prima libreria del quartiere: si chiama «La Scugnizzeria», ovvero la casa degli scugnizzi, i ra- gazzi di strada. Quando si entra nella nostra libreria, un cartello dice: «Piazza di Spaccio di libri». Dove prima si ven- deva droga, ora si spacciano libri. Per comprare un libro nell’Area Nord di Napoli, prima, bisognava per- correre dieci chilometri: otto fermate della metropo- litana. Oggi ci sono scaffali con libri gratuiti, i libri «sospesi»: c’è gente che compra libri per chi non può permetterselo.

5 Una mattina, mentre con i bambini stavamo metten- carcere, ragazzi che sembrano marchiati a fuoco, giu- do in ordine la nostra libreria montessoriana, è arriva- dicati sin dalla nascita? Abbiamo trovato la risposta to un pacco, spedito da Edizioni EL: una donazione di nello sport. Abbiamo iniziato cosí a recuperare storie libri per noi, con una bella lettera allegata. I ragazzi di perdenti, gente che non ha vinto, ma che è rimasta erano al settimo cielo. Finalmente qualcuno comincia- nella memoria collettiva per le sue gesta, le imprese, va a prestare attenzione a quello che stavamo facen- l’altruismo, la disobbedienza civile, il saper dire «no». do e si accorgevano di noi anche i marchi editoriali Atleti e atlete che si sono avvalsi del diritto di non es- che piú amiamo, quelli che producono i libri che leg- sere campioni. Abbiamo raccolto venti storie e, con- giamo in modo comunitario. vinti della bellezza della nostra idea e dell’importanza Quella mattina è stato un giorno di festa alla Scu- dei nostri eroi perdenti, abbiamo deciso di riprovarci e gnizzeria. Cosí, con i bambini, abbiamo deciso di scri- di inviare a Edizioni EL la nostra nuova proposta. vere un libro con le storie di tutti: c’erano la storia del- La risposta al nostro manoscritto è il libro che avete la libreria, i papà in carcere, i sogni, i momenti difficili. tra le mani. Perché, in fondo, perdere è un’avventura S’intitolava Piazza di Spaccio di libri. Abbiamo manda- meravigliosa! to una presentazione del progetto a Edizioni EL, che ha dimostrato un certo interesse. Esplosione di gioia in libreria: «Ci pubblicano, ci pubblicano!». Ma pochi giorni dopo è arrivato il responso: la casa editrice non avrebbe pubblicato il volume perché il testo, una volta scritto, non era risultato del tutto convincente. È stato un momento di grande sconforto. Come avremmo fatto a ritrovare l’entusiasmo? Abbiamo de- ciso allora di parlare della sconfitta, che non sempre è una sciagura. Ma come si fa a parlare della sconfitta a ragazzi che hanno papà che non usciranno mai dal

6 7 01 L’ULTIMA RIGA BIANCA

Nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l’erba diventa un sentiero. Blaga Nikolova Dimitrova

ADOLF HITLER È IN TRIBUNA insieme al suo braccio de- stro, Rudolf Hess. In campo c’è Helene Bertha Amalie Riefenstahl, detta Leni: è lei la regista scelta dal regi- me nazista per immortalare su pellicola le prodezze degli «ariani» durante le Olimpiadi di Berlino del 1936. Leni è a bordo campo, suda, è frenetica. Sta girando il

9 film piú importante della sua vita: Olympia. Incarica- rivale. Owens parte, stacca, vola, vola lontanissimo, at- ta direttamente da Hitler dovrà, con il suo «occhio di terra. Il salto è nullo. Ancora una volta l’ vetro», celebrare la superiorità dei biondi sui neri, dei gioisce. Jesse abbassa la testa. Luz, mentre altri atleti si tedeschi sul resto del mondo. Hitler, in tribuna, già so- apprestano a volare, resta esterrefatto dalla bravura di gna la pellicola proiettata in ogni parte della Grande quel ragazzone americano, dai suoi muscoli, dalla sua Germania, già sogna la testa del medagliere, già sogna tecnica. Leni riprende tutto. Sarà un film epico. Scena al i suoi ragazzi con l’oro al collo. L’Olympiastadion è pie- rallentatore, la regista ha già in mente le musiche di sot- no, 100mila spettatori. Il Führer non ha badato a spe- tofondo. Tocca ancora a Luz Long. Luz ha ventitre anni; se: materiali pregiati, struttura greco-romana, è senza nato a Lipsia, è un atleta della Leipziger Sc, è il favori- dubbio lo stadio piú bello della sua epoca. Gli occhi del to. Incarna l’ideale «ariano»: bello, biondo, capelli folti, mondo sono tutti puntati su Berlino, è l’occasione che un bel sorriso, il prototipo perfetto della Grande Ger- Hitler ha sempre desiderato. mania. È concentratissimo, ripete a mente tutti i passi In campo si sta svolgendo la gara di salto in lungo. Leni che dovrà fare, guarda il punto dove dovrà staccare, già è sul suo dolly su rotaie, spinta dai suoi collaboratori: per sente la sabbia sulla pelle. Sa perfettamente dove i suoi la prima volta al mondo farà riprese dei primi piani degli piedi dovranno sprofondare, il piú lontano possibile. Via, atleti. È il turno del tedesco Carl Ludwig Hermann Long, Leni segue rapida i movimenti di Luz, corre insieme a lui. o semplicemente Luz Long. È la finale. Luz parte con la Volo, lo stadio ammutolisce, e poi giú. La sabbia schizza sua falcata, passo dopo passo si avvicina alla linea bian- sulla telecamera. Luz Long ha frantumato il suo stesso ca, si stacca da terra, vola e atterra a 7,84 metri. Bandie- record. 7,87 metri. Delirio in tribuna, i tedeschi gridano ra bianca. Il salto è valido. Record olimpico frantumato. «Luz, Luz, Luz, Luz, Luz!». Hitler stringe la mano ai suoi Lo stadio è in piedi, Hitler compreso. Sta per nascere gregari, si abbraccia con Rudolf Hess. è una nuova stella. Tocca all’americano Jesse Owens. Luz, pronto per il secondo salto. Muscoli tirati, energia pron- con l’asciugamano al collo e la bottiglietta d’acqua in ta a esplodere. Leni fa un primo piano sulla tensione di mano, guarda quell’uomo di colore prepararsi all’eserci- quei tendini. Parte, è un razzo. Luz Long, ancora intento zio. Non si distrae, lo osserva attentamente. Studia il suo a festeggiare, si blocca: «Ma quanto corre questo qui».

10 11 Stacco, decollo, atterraggio. Ancora salto nullo. Il pie- de di Jesse Owens è nuovamente oltre la linea bianca. «Chapeau, – pensa Luz. – Onore a te, Jesse, tu sei il figlio di Mercurio, hai davvero le ali ai piedi». I salti si susseguono, Hitler non vede l’ora di mettere al collo di Luz Long la medaglia piú importante. Leni lo riprenderà immortalando quel momento per sempre. Ultimo salto di Jesse Owens. L’americano è a un passo dall’eliminazione, non può piú sbagliare. Qui succede una di quelle cose che cambiano la storia. Leni la osserva dal suo occhio di vetro e non crede a ciò che sta riprendendo. Luz Long si avvicina al suo rivale, Jesse Owens, parlottano, sembra spiegargli qualcosa. Jesse ride mentre Luz in pedana sistema un fazzoletto bianco trenta centimetri prima della linea bianca. Gli indi- ca il punto in cui staccare e anche lui ride. Mezzo stadio gli sta dando del pazzo. Non si sente piú il coro: «Luz, Luz, Luz, Luz, Luz!». Ultima possibilità per l’americano, corre, corre velocissimo, come il vento, come Mercurio, i passi si susseguono e Jesse si libra nel cielo nel punto preciso indicato da Luz Long. Leni immortala il momen- to. Silenzio in tribuna, tutti attendono l’esito del risultato. 8,06 metri. Nuovo record olimpico e medaglia d’oro. Un salto strepitoso. Jesse festeggia, Hitler e Hess no. Hess lascia la tribuna. Il primo a congratularsi per il salto stori-

12 co è Luz Long, che con un sorriso sincero privo di invidia sbarcare in Sicilia. L’Operazione Husky ha inizio. Luz stringe la mano all’afroamericano. I due si abbracciano. Long si rigira in mano la sua medaglia d’argento, è uno Leni riprende tutto, consapevole che quelle scene non dei soldati della divisione corazzata Hermann Göring. saranno mai approvate da Hitler. Italiani e tedeschi sono lasciati in balia del destino, sen- È il momento della premiazione. Il podio è già pronto. za ordini dall’alto. Un manipolo di uomini nella terra Un «ariano» è arrivato secondo, alle spalle di un «negro». dei Ciclopi. Eccoli, gli americani, eccole, le bombe. Le L’«ariano» ha aiutato il «negro». Il capo degli «ariani», zagare non ci sono piú, il fumo oscura il cielo e l’odo- , non premierà nessuno. Poco prima della con- re acre della cordite seppellisce la salsedine. Non c’è segna delle medaglie, Rudolf Hess si avvicina all’orecchio Leni a riprendere a rallentatore le scene di una batta- di Luz Long: «Non abbracciare mai piú un negro». glia cruciale. Ci sono solo urla disumane, destini che A Luz Long, alla fine delle Olimpiadi del 1936, resta- si incrociano, morte tua vita mia. Contro ogni aspetta- no una medaglia d’argento, una sconfitta e una strana tiva, gli italo-tedeschi combattono impavidi. Gli ame- amicizia con il figlio di Mercurio. Un’amicizia un secolo ricani sono in superiorità numerica, hanno armamenti troppo presto. Un’amicizia non condivisa, fuori conte- migliori, ma ciò non scoraggia la e i soldati sto. Resta l’onore di avere assistito e contribuito a uno fascisti. Per un attimo gli americani temono di esse- dei salti piú belli della storia dello sport. re ricacciati in mare. Ogni soldato italiano e tedesco sa che tanta ostinazione sarà ripagata dagli americani Sette anni dopo. senza pietà. Il generale a stelle e strisce Patton è stato 14 luglio 1943. Seconda guerra mondiale. Piana di Gela, chiarissimo: «In Sicilia, non fate prigionieri». Sicilia. È una giornata bellissima. Estate piena. Il cielo è Luz Long è in prima linea, vede cadere intorno a lui blu, blu, blu, senza una nuvola. Il sole alto a mezzogiorno. ragazzi italiani e tedeschi sotto le mitragliate america- Il mare poco lontano canta con una brezza leggera. La ne. Da lontano vede un ragazzo americano di colore far salsedine si appoggia sulle divise dei soldati e il profumo partire una cannonata da un carro armato Sherman, a delle zagare fa dimenticare per qualche istante la guerra. pochi metri da lui il corpo colpito di un suo commilitone Stanno arrivando gli Alleati, gli americani stanno per fa un salto ben oltre gli 8,06 metri di Jesse Owens. I sol-

14 15 dati del primo reggimento della Luftwaffe cadono come mentre il padre muore? Un cacciabombardiere passa mosche. veloce squarciando il cielo. Lascia una scia nel blu. L’ul- Luz Long si piega dietro un masso. Maledizione, po- tima riga bianca. Luz Long è pronto per l’ultimo salto. chi minuti prima stava chiacchierando con gli italiani In petto la sua medaglia è trafitta da una pallottola, il della fine della guerra e ora, benvenuto all’inferno. Luz sangue bagna un famoso fazzoletto bianco. era stato richiamato alle armi solo pochi mesi prima, Da qualche parte in America, un postino bussa alla per lungo tempo era stato impiegato in un ufficio spor- porta di Jesse Owens. Il recordman di Berlino si siede tivo di Berlino. Da lí, dal cuore della Grande Germania in poltrona. Apre la busta e legge. nazista, dalla stessa città dove aveva conosciuto «il fi- Dove mi trovo sembra non ci sia altro che sabbia e glio di Mercurio», faceva partire lettere clandestine de- sangue. Io non ho paura per me, ma per mia moglie e stinate a Jesse Owens. La loro amicizia andava oltre le il mio bambino, che non ha mai realmente conosciuto dinamiche di una guerra fratricida. suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe Il capitano di Luz Long, Wolfgang Hartmann, muo- essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se cosí dovesse es- re. Qualche istante dopo perde la vita anche l’artigliere sere, ti chiedo questo: quando la guerra sarà finita, vai Heinrich Zingsheim. Luz è ancora dietro il masso, rigira in Germania a trovare mio figlio e raccontagli che nep- la medaglia tra le dita, la posa in una tasca del petto. È pure la guerra è riuscita a rompere la nostra amicizia. pronto per il suo destino. Tuo fratello, Luz. Spara, spara, spara, Obergefreiter Luz Long, il capo- Luz Long è stato seppellito dagli americani nel cimitero rale Long, spara e gli americani rispondono con i mitra. di Biscari, in una fossa comune. Successivamente verrà Luz è uno degli ultimi a restare in piedi. Una raffica lo traslato nel cimitero dei caduti tedeschi di Motta Sant’A- colpisce in pieno. Un commilitone lo porta via carican- nastasia, riconosciuto solo grazie alla sua piastrina. dolo sulle spalle, ma dopo qualche metro è costretto a Kai Long, figlio di Luz, ha incontrato Jesse Owens. lasciarlo a terra in fin di vita. Luz guarda il cielo e pensa Nessuno della famiglia Long ha mai visitato la tomba di a suo figlio e a sua moglie, a casa, in Germania. Cosa Luz. Nel 2009 Julia e Marlene, nipoti di Luz Long e Jesse stanno facendo in questo momento? Cosa fa mio figlio Owens, hanno inaugurato i mondiali di atletica. A Berlino.

16 17 02

Uniti, Spagna e Repubblica Dominicana. L’80 percento della cocaina del mondo era gestita da lui, il 20 percen- to delle armi illegali erano vendute da lui. Secondo la ri- vista Forbes, nel 1993 era il settimo uomo piú ricco del L’ALTRO mondo. Pablo Escobar, per evitare, dopo l’arresto, di essere estradato negli Stati Uniti, si autocostruí una pri- gione, detta «La Catedral»: all’interno c’erano vasche idromassaggio e mobili di lusso. Era un patito di calcio e una volta invitò nella sua prigione la nazionale di cal- ESCOBAR cio colombiana. Il 5 settembre 1993, Pablo Escobar era davanti alla tivú a guardare la nazionale colombiana piú forte di sempre battere, al Monumental di Buenos Aires, l’Argentina di Diego Armando Maradona 5 a 0 e Non abbiamo perso la partita; qualificarsi cosí ai mondiali degli USA. Si potrebbero abbiamo solo finito il tempo. dire tante altre cose su Pablo Emilio Escobar Gaviria, Vince Lombardi ma questa è la storia di un altro Escobar. 22 giugno 1994. Fa caldissimo. Stati Uniti d’America, Coppa del Mondo. Le partite si giocano a mezzogiorno per favorire la diretta tivú in tutto il mondo. I giocatori in PABLO ESCOBAR, NEL 1993, era l’uomo piú ricco della campo si sciolgono come ghiaccioli nel deserto. Il Brasile Colombia. Veniva chiamato il Re della Cocaina. Ave- è il solito favorito. Tra le corazzate europee e i verdeoro va un patrimonio di 30 miliardi di dollari, guadagnava spicca la nazionale di un Paese in crisi: la Colombia. Pablo 60 milioni di dollari al giorno. Escobar era cresciuto a Escobar è stato ucciso il 2 dicembre 1993 mentre scap- Medellín ed era il capo dell’omonimo cartello criminale. pava sui tetti di Medellín. Il Paese è in mano ai narcotraf- Vendeva droga in Messico, Porto Rico, Venezuela, Stati ficanti che si fanno la guerra per il controllo della droga.

18 19 Tutto è in mano a loro, la politica, gli ospedali e anche il calcio, come Pablo. Andres ha un cognome fastidioso, co- calcio. Ogni narcotrafficante che si rispetti gestisce una nosciuto, temuto, rispettato, come Pablo. Andrés Escobar squadra di calcio. Ci credono tutti in questa nazionale, ci Saldarriaga non è un campione: ha ventisette anni, è nel credono pure gli spacciatori: i Cafeteros (come vengono pieno della sua carriera, non è uno di quei calciatori straor- chiamati) sono fortissimi, vengono definiti la Generación dinari che resteranno nella storia per i suoi gesti tecnici. È dorada, hanno in squadra gente come Carlos Valderrama, uno normale: un buon calciatore, ma niente di piú. Uno di Faustino Asprilla, Freddy Rincón e l’allenatore Francisco quelli che passano, che le generazioni future dimenticano Maturana, uno dei mister piú quotati di tutto il Sudame- in fretta, un difensore il cui nome probabilmente riempi- rica. Nonostante le aspettative, la droga e il sangue sem- rà gli almanacchi di calcio colombiani insieme a quelli di brano sporcare le magliette di quei calciatori emoziona- centinaia di calciatori semisconosciuti. Andrés è una bra- ti e tesi per un mondiale alle porte. Un mese prima del va persona, in Colombia dicono che ha la faccia pulita, è campionato del mondo, il figlio di Luis Fernando Herrera, soprannominato Caballero, cavaliere. Andrés è negli spo- centrocampista della nazionale colombiana, viene rapito. gliatoi insieme ai suoi compagni. Ha già realizzato due Il leggendario portiere René Higuita rinuncia al mondia- dei suoi tre sogni. È un calciatore dell’Atlético Nacional di le, o meglio è costretto a rinunciarvi: passa sette mesi in Medellín, con la sua squadra del cuore ha già vinto diversi carcere con l’accusa di aver fatto da intermediario in un trofei e ora è al mondiale, pronto per sfidare i padroni di sequestro di persona. I calciatori di quella nazionale vi- casa: gli Stati Uniti d’America. È un leader, è il capitano vevano in un clima irreale, i panetti di droga sembravano della Colombia. I Cafeteros devono vincere per forza, la seguirli anche nelle praterie americane e tra i grattacieli di partita d’esordio è andata malissimo. Sono stati battuti Chicago. Ma non importa, perché giocare un mondiale è il dalla Romania con il risultato di 3 a 1. Dopo la partita con i sogno di ogni bambino che gioca a calcio. È il sogno an- rumeni, alcune persone hanno minacciato di morte il cen- che di Andrés. Andrés ha tre sogni: giocare per la squadra trocampista Gabriel Jaime Gómez Jaramillo, ritenuto da della sua città, giocare un mondiale, sposarsi. Andrés è molti responsabile di quella sconfitta. Jaramillo non gio- nato a Medellín, come Pablo. Andres è cresciuto giocando cherà contro gli Stati Uniti, si è rifiutato. Andrés no, lui non a pallone nei vicoli della città, come Pablo, Andres ama il rinuncerebbe mai alla nazionale. La Colombia è favorita,

20 21 tutti sono convinti che lo scivolone con i rumeni sia risol- dal 1930. Una nazione che fino a qualche mese prima vibile. Tutti, ma proprio tutti, scommettono sulla vittoria non aveva nemmeno un vero e proprio campionato bat- della Colombia. Tutti, compresi i narcotrafficanti. te la Colombia, quarta nel ranking Fifa. È lutto nazionale. Finalmente si scende in campo. Andrés Escobar ha la Gli scommettitori hanno perso, hanno perso di brutto, maglia numero 2. La partita è noiosa, niente di epico, milioni di dollari. Verdoni in fumo per undici calciatori niente che valga la pena raccontare, fino alla mezz’ora, profumatamente pagati che non riescono a battere una precisamente al minuto 33, quando il calciatore ame- squadra di dilettanti. Scommesse perse per un autogol, ricano Harkes si libera sulla fascia sinistra e fa partire per uno che non sa in che porta segnare. Dopo sette un cross basso nell’area dei Cafeteros. Andrés, d’istinto, giorni la nazionale colombiana fa rientro a Medellín: non interviene con una scivolata per evitare la zampata vin- ci sono tifosi ad aspettare Andrés e gli altri. Viene con- cente di un avversario. Tocca la palla, la devia e irrime- sigliato a tutti i calciatori di mantenere un profilo basso, diabilmente fa goal nella porta sbagliata. Un disastro. di non uscire di casa. Per Andrés è una cosa insensata. Lo stadio americano esplode di gioia, gli USA sono in Lui è un hombre vertical, un uomo tutto d’un pezzo, non vantaggio, gli americani si abbracciano. Andrés resta a si nasconderà per un errore, lui ci ha sempre messo la terra, seduto, per diversi minuti. Non sa a cosa pensare. faccia. È dagli errori che si costruiscono le grandi vitto- È il primo e unico autogol della sua carriera. Il primo rie, è dalla delusioni che nascono le gioie irripetibili. Si tempo finisce 1 a 0. C’è ancora tempo per ribaltare il ri- nasconde solo chi non ha fatto il proprio dovere. Amici sultato, mister Maturana si fa sentire negli spogliatoi: «Se e parenti dicono ad Andrés di scrivere pubblicamente perdiamo siamo fuori, se perdiamo andiamo a casa. Se qualcosa, di scusarsi, di rilasciare interviste, l’aria è pe- perdiamo non è servita a niente la vittoria con l’Argen- sante nel Paese. C’è gente che dice che Escobar aveva tina. Se perdiamo dimentichiamoci gloria e memoria». scommesso sulla sconfitta della Colombia. Andrés lo fa A inizio secondo tempo, Earnie Stewart fissa il risultato attraverso una lettera sul giornale El Tiempo, la lettera si sul 2 a 0 per gli americani. Assalto finale dei colombiani, conclude con le seguenti parole: «La vita continua». a tempo ormai scaduto segna Valencia. 2 a 1. Colombia Sabato 2 luglio 1994, manca un mese al matrimonio eliminata e Stati Uniti agli ottavi di finale. Non accadeva di Andrés, mancano trenta giorni alla realizzazione del

22 23 suo terzo sogno. Andrés è con gli amici in una disco- teca del centro di Medellín, «El Indio». Vuole divertirsi, vuole dimenticare quella scivolata, le urla di gioia degli americani, le gambe pesanti e gli occhi delusi dei com- pagni. La serata è finita e il difensore colombiano sta per tornarsene a casa. Alcuni uomini a bordo di una To- yota Land Cruiser nera si fermano davanti a lui. Tra loro c’è l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, che impugna una pistola. I due si guardano, Andrés sem- bra non capire. Avrà sbagliato persona. Non sarà qui per l’autogol. Castro spara sei colpi e Andrés, colpito, muore dopo pochi istanti. Mentre sparava, quell’uomo gridava: – Autogol, autogol, autogol.

2 luglio 1994. Andrés non c’è piú, come Pablo. Andrés Escobar Saldarriaga è il primo calciatore vitti- ma innocente delle mafie. Il giorno dopo la sua morte, giornali locali e nazionali dissero di tutto sul suo conto. «È un parente di Pablo Escobar. È stato ucciso dopo una lite. È un narcotrafficante legato ai cartelli in guerra». La verità è che Andrés Escobar è morto per un autogol. Al suo funerale parteciparono oltre 120mila persone, tra cui il presidente colombiano César Gaviria Trujillo. Un funerale sentito da chi credeva nella faccia pulita di Andrés, da chi non si è lasciato ingannare da una

24 03 casuale omonimia. L’immagine della Colombia fu enor- memente danneggiata agli occhi di tutto il globo, il calcio colombiano diventò sinonimo di mafia. Nessuno L’UOMO voleva piú giocare in Colombia. Calciatori, dirigenti e addetti ai lavori chiesero di essere ceduti in Europa. Il campionato colombiano si spopolò dei suoi campioni. La maglia numero 2 di Andrés Escobar non fu indossa- DIMENTICATO ta per numerosissimi anni. Qualcuno diceva che fosse stata ritirata, forse non veniva indossata per scaraman- zia, per paura. È rimasta piegata e profumata fino a DALLE STATUE quando è arrivato un certo Iván Ramiro Córdoba, nato anche lui nella provincia di Medellín, come Andrés, an- che lui calciatore dell’Atlético Nacional de Medellín e della nazionale colombiana, come Andrés. È lui a in- Tenetevi stretto chi vi ha notato dossare di nuovo la maglia numero 2. quando eravate invisibili. Nel 2001, per la prima volta nella storia, la Coppa Charles Bukowski America si è svolta in Colombia, nonostante i disagi legati alla guerriglia e ai narcotrafficanti. L’organizza- zione del torneo è stata affidata ai Cafeteros. In finale con il Messico, la Colombia ha vinto il suo primo trofeo UN CANGURO SFRECCIA A TUTTA VELOCITÀ. Nel mar- internazionale. In panchina c’era mister Francisco Ma- supio, il suo cucciolo impaurito si nasconde. È l’al- turana. Al 65°, a Bogotà, segna Iván Ramiro Córdoba, ba. Una jeep corre nelle terre desolate australiane. con la maglia numero 2. Il silenzio di un villaggio aborigeno si squarcia. Tre bambini vengono strappati alle loro madri, sono pic- colissimi. Vengono fatti salire sulla jeep e portati in

26 27 città. Vengono sradicati dalla terra rossa australiana i 200 metri e la staffetta 4x100. Tre ori e due record e deportati nell’asfalto delle metropoli. Le madri di olimpici. Peter ha una maledetta voglia di correre. In questi bambini inermi li guardano andare via. Dopo realtà vorrebbe giocare a football australiano, ma il poche ore, a Melbourne, una coppia di bianchi adot- kit costa troppo per le tasche della sua famiglia. Cosí terà illegalmente un bambino aborigeno. Il tentativo Peter dopo la scuola fa l’apprendista macellaio. Mette barbaro di uno Stato di cancellare un’etnia, un popo- da parte un po’ di soldi e prende in prestito un paio lo, un colore della pelle. I bambini aborigeni vengono di scarpe da corsa. L’immagine dell’oro della Cuthbert educati secondo i precetti cristiani, secondo le tra- sembra accelerare i suoi passi. Peter è basso, un metro dizioni dell’élite bianca, dimenticando i racconti orali e sessantotto appena. Nessuno crede in lui, non ha il davanti al fuoco, dimenticando le ancestrali leggen- fisico per fare il corridore. Ma Peter è testardo e non de, saghe e storie dei loro avi giunti in Australia piú molla. Cosí, nonostante le sue partenze non siano pro- di 60mila anni fa. Parliamo di oltre 100mila bambini, prio brillanti, sfrutta la progressione per andare a vin- una generazione rubata. cere le gare. Anno dopo anno migliora sempre piú e A Melbourne nasce anche un certo Peter George ottiene riconoscimenti nei Giochi del Commonwealth e Norman. Peter è un ragazzo asmatico, un ragazzo qua- agli Australian Games. Contro tutti i pronostici, riesce a lunque, di una famiglia per bene e modesta. Nel 1956 qualificarsi alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. ha quattordici anni e a Melbourne ci sono le Olimpiadi. In Messico è sconosciuto al grande pubblico. Ventisei Peter marina la scuola e abusivamente vende pastic- anni e per gli esperti nessuna possibilità di farcela. È un ci e torte salate agli spettatori dell’evento sportivo piú numero, uno di quelli che devono riempire le batterie importante del mondo. C’è anche Peter con il fiato so- alla partenza. speso quando Betty Cuthbert è ai nastri di partenza. I vertici del comitato olimpico australiano sono stati Gara dei 100 metri, gara regina. Betty Cuthbert è la chiari: non arrivare ultimo, ripeti il tuo tempo di quali- favorita, può diventare la prima australiana a vincere ficazione e non farti battere da un britannico. Peter, il una medaglia d’oro in casa. Peter aspetta trepidante ragazzo asmatico, arriva alla finale dei 200 metri. Al suo lo sparo. Bum. Si parte. Betty vince e vincerà anche fianco, ai nastri di partenza, ci sono i favoriti, Tommie

28 29 Smith detto «The Jet» e John Carlos, due afroamerica- tonata per ricordare gli operai neri, una collana di perle ni altissimi. Partenza! «The Jet» vola davvero e straccia scure per ricordare ogni afroamericano linciato. Peter tutti i concorrenti tagliando il traguardo sotto i 20 se- Norman ascolta, guarda. Vede Carlos e Smith indossare condi per la prima volta nella storia delle Olimpiadi. Alle la spilla dell’Olympic Project for Human Rights, il pro- sue spalle Carlos negli ultimi 40 metri rallenta, quasi ap- getto olimpico per i diritti umani. Anche Peter ne vuole pagato, non si accorge che dietro di lui sta arrivando una, anche Peter vuole protestare contro il malgoverno la saetta asmatica australiana. Carlos non ha messo in australiano, a favore degli aborigeni australiani, di tutti conto la progressione di Peter. Norman vince l’argento. i fratelli di tutti i colori. Peter consiglia a Carlos e Smith Record personale e record oceaniano tutt’ora imbattuto di indossare un guanto nero a testa. I due lo ascoltano. da cinquant’anni. È un giorno da ricordare per Peter, è L’oro, l’argento e il bronzo dei 200 metri di Città del arrivato in alto fino a toccare Betty Cuthbert. La sua na- Messico salgono sul podio. L’inno americano cantato da zione sarà orgogliosa delle sue gesta, della sua velocità. chissà chi si interrompe quando Smith e Carlos alzano È il momento della premiazione. Peter si accorge al cielo il pugno nero. Lo stadio ammutolisce. Il mondo che qualcosa non va. Smith e Carlos confabulano. La si ferma. Pochi istanti per fare la storia. Una foto im- moglie di Smith ha comprato per «The Jet» un paio di mortala quel momento. Tutti gli occhi sono per i due guanti neri. Anche Carlos dovrebbe averne uno, ma li afroamericani. Quella foto e quel gesto resteranno nella ha dimenticati al villaggio olimpico. I due afroamerica- storia dei Giochi olimpici, mettendo in ombra l’impresa ni vogliono protestare contro le discriminazioni razziali di Peter, un grandioso secondo posto. Le frecce nere negli Stati Uniti d’America. Saliranno sul podio scalzi, d’America fanno sí che sul momento la spilla bianca sul per testimoniare la povertà dei neri americani, saliranno cuore di Peter passi inosservata. Smith e Carlos ven- sul podio indossando i guanti neri per ricordare l’ope- gono cacciati dal villaggio olimpico. In patria vengono rato e le battaglie del Black Power, le «pantere nere», continuamente minacciati di morte. Sono costretti ad un’organizzazione rivoluzionaria afroamericana che ne- abbandonare la loro carriera di duecentometristi. Le gli Stati Uniti si batte per i diritti degli uomini di colore. cose a Peter non vanno meglio. L’Australia nel 1968 ha Smith ha una sciarpa nera al collo, Carlos la felpa sbot- una serie di leggi razziali, pari se non superiori a quel-

30 31 le del Sudafrica. La stampa di un intero continente è contro il ragazzo asmatico. Nessuno si entusiasma per la sua medaglia d’argento, nessuno lo elogia come lui aveva fatto con Betty Cuthbert. Ma Peter non molla e continua ad allenarsi in vista delle Olimpiadi di Monaco del 1972. Per ben tredici volte, Peter ottiene il tempo di qualificazione necessario per andare in Germania. Il comitato olimpico australiano detta di nuovo gli ordi- ni: Peter Norman non dev’essere convocato. L’Australia non schiererà nessun duecentometrista in Germania. Deluso, Peter Norman lascia l’atletica. Finisce per fare l’insegnante di educazione fisica, qualche volta lavora in macelleria per arrotondare. Cade in preda all’alcol e alla depressione. Nel 2000 a Sidney ci sono le Olimpiadi. Gli australiani hanno l’occasione di riabilitare il piú grande duecento- metrista della storia della loro nazione. Per farlo voglio- no che Peter Norman ritratti, neghi, metta da parte il suo gesto. Norman non lo fa e non parteciperà a nessu- na manifestazione pubblica delle Olimpiadi del 2000. Nel 2005 a San José, in California, all’università viene inaugurata una statua in memoria del gesto di Tommie Smith e John Carlos. I due corridori americani invitano anche Peter Norman, che li raggiunge negli Stati Uniti. La statua è alta sette metri. Il secondo gradino del po-

32 04 dio è lasciato vuoto, per dare la possibilità a passanti, studenti e turisti di unirsi alla protesta di Smith e Carlos. Peter Norman è stato dimenticato anche dalle statue. Peter Norman è morto il 3 ottobre 2006 per un ar- resto cardiaco. La sua bara è stata portata a spalla da BOTTONI Tommie Smith e John Carlos. Al suo funerale gli afroa- mericani diranno le seguenti parole: «Peter non era obbligato a mettere quella spilla. Peter non era statu- nitense, non era nero, non aveva il dovere di sentire quello che sentiva. Peter, però, era un uomo. Non ha DI TERRA alzato un pugno quel giorno, ma ha teso una mano. Adesso tornate a casa e raccontate ai vostri figli la sto- ria di Peter Norman». Non serve far rumore per cambiare il mondo. 2012, Parlamento australiano. Guarda la neve. «Questo Parlamento riconosce lo straordinario ri- Anonimo sultato atletico di Peter Norman, che vinse la meda- glia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20 secondi e 6 centesimi, ancora oggi record australiano. Riconosce il coraggio di Peter Norman LEON È NASCOSTO DA SETTIMANE dentro una trincea. nell’indossare il simbolo del progetto oIimpico per i di- Sporco, affamato e con il terrore di sporgere la testa ritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e fuori da quel buco nel terreno. Due giorni prima un John Carlos, che fecero il saluto del potere nero». suo compagno è stato colpito dai tedeschi, un solo centimetro fuori dal buco e bum, viaggio nell’altro mondo. Leon Harris è un caporale del tredicesimo

34 35 battaglione del London Regiment. La sua famiglia lo dimenticato da Dio, veramente la terra di nessuno. aspetta a Exeter, un paesino sperduto dell’Inghilterra Leon ogni mattina si augura un presto e sereno ri- meridionale. Leon è uno delle migliaia di soldati fer- torno a casa, pensa ai suoi amici morti lí, nel vano mi da mesi sulle trincee lungo il Fronte Occidentale. tentativo di raggiungere le linee avversarie, abbattu- Una linea lunghissima che spacca Francia e Belgio a ti da cecchini che mirano agli uomini come fossero metà. Da un lato tedeschi e austroungarici, dall’altro selvaggina. Pensa ai loro corpi lasciati alle intempe- inglesi, francesi e alleati di mezzo mondo. La guerra rie, senza una degna sepoltura. Questa guerra non è in una fase di stallo. Nessuno dei due schieramenti la vuole combattere nessuno. I soldati non ne capi- riesce piú ad avanzare. I soldati hanno scavato trin- scono il senso. Ma per chi combattono? Per le loro cee profondissime per proteggersi dai cecchini av- famiglie a chilometri di distanza? Per pezzi di terra versari. E si sta lí, giorno e notte, raggomitolati su se richiesti dai loro governi, lembi di nazioni avversarie, stessi, guardando foto di fidanzate lontane, speran- un gioco al massacro per allargare i propri confini. do finisca tutto molto presto. È una settimana che la Papa Benedetto XV sono mesi che ripete che tutto pioggia cade battente, gelida e rigida come l’inverno ciò è un’inutile strage. Fermatevi, fermatevi, ferma- del Nord. È il 24 dicembre 1914 e la neve ha ricoperto tevi. Tregua, tregua, tregua. Anche nelle Fiandre, no- quel lembo di mondo chiamato «terra di nessuno». nostante Roma sia lontana molti chilometri, è giunta Leon ha ricevuto un pacco regalo direttamente dal- la notizia che il Papa ha chiesto ai governi bellige- la famiglia reale inglese. All’interno c’è una pipa, del ranti di far tacere i cannoni almeno per una notte, tabacco, delle sigarette e la fotografia della princi- per la notte in cui gli angeli cantano. Dalla radio i pessa Mary. «La famiglia reale vi è vicina. Sí, – pensa soldati apprendono che la richiesta è stata rispedita Leon, – mentre noi dormiamo ricoperti dalla neve». al mittente. Indossa lo stesso vestito dal 4 agosto, giorno in cui è La mamma di Leon è tra le 101 mamme, mogli, figlie, partito. Ora è nascosto in una trincea di Ypres, vici- sorelle, nonne, zie che hanno scritto la Open Chri- no al villaggio di Saint Yvon, nelle Fiandre, in Belgio, stmas Letter, indirizzata a tutte le donne di Germania ma come gira voce tra i soldati, questo è un posto e Austria, poche righe per invitare le donne di tutta

36 37 l’Europa a unirsi per fermare la guerra. Tony Ince è O holy night the stars are brightly shining morto questa notte, congelato dal freddo pungente, It is the night of our dear Savior’s birth la sua coperta aveva piú buchi che tessuto. Si è spen- Long lay the world in sin and error pining to sorridendo, con la foto di suo figlio di appena un Till He appeared and the soul felt its worth. anno in mano. Sono tutti intorno al suo corpo, cer- cheranno di seppellirlo domani. Sono tutti con i cap- In lacrime lo seguono i suoi commilitoni piú vicini e pelli in mano, raccolti in silenzio, quando dalle linee in breve tempo tutta la trincea, deposte le armi, canta. tedesche si sente una melodia. Le parole non sono I tedeschi ascoltano e rispondono intonando il famoso comprensibili, ma Leon conosce quei suoni, quel rit- brano O Tannenbaum. mo, quella ballata natalizia. I tedeschi cantano. Gli inglesi, ascoltando quel canto, si proiettano con l’im- O Tannenbaum, o Tannenbaum, maginazione a casa, davanti al camino, aspettando i Wie grün sind deine Blätter! dolci del Natale, aspettando Santa Claus. I tedeschi Du grünst nicht nur zur Sommerszeit, cantano ancora piú forte, quasi volessero farsi ascol- Nein, auch im Winter, wenn es schneit. tare. Al posto dei proiettili dalla trincea avversaria arrivano canzoni. Leon non resiste e mette la testa – Merry Christmas! – urla fortissimo Leon. fuori dal buco. Non crede ai suoi occhi. Lungo i pa- – Frohe Weihnachten! – risponde il bavarese Josef rapetti della trincea tedesca ci sono candele, fuochi. Wenzl, di anni ventidue. Cosí, dimenticando i cecchini, Sono centinaia. Riporta la notizia nel buco e tutti gli i tedeschi e la guerra che nessuno di loro mai ha voluto inglesi mettono la testa fuori, godendosi quell’albero veramente combattere, Leon esce dal buco. Qualcuno di Natale steso un attimo prima del nemico. Sono le dei suoi commilitoni inglesi prova a fermarlo, ma Leon otto e mezza di sera, nessuno spara piú da un’ora. I non si ferma e va dritto verso la trincea nemica. Josef tedeschi cantano ancora. Anche Leon, con le lacrime Wenzl fa lo stesso. Leon attraversa la terra di nessuno agli occhi, inizia a cantare: che per mesi aveva visto, intravisto, sperato di supe- rare. Per terra ci sono i corpi senza vita di tedeschi,

38 39 inglesi, amici e nemici. C’è tutto quello che l’umanità gli angeli cantare. Si seppelliscono i defunti e la terra di dovrebbe ripudiare. Leon vede Josef. Josef vede Leon. nessuno si trasforma in un gigantesco cimitero di tutti Passo dopo passo si avvicinano, mentre dalle retrovie i Paesi d’Europa. Josef riconosce gli occhi di un uomo i fucili sono già puntati, pronti a far fuoco al primo ac- a cui ha sparato. Li aveva visti persi nel nulla pochi se- cenno di violenza. Leon e Josef sono lontani pochi me- condi prima di tirare il grilletto, dalla sua posizione di tri. Sono due ragazzi giovanissimi spediti dai loro go- cecchino. verni in un posto desolato a fare gli interessi di pochi. Gli occhi sono ancora persi nel vuoto. I soldati si Si somigliano, stessa altezza, stesso colore degli occhi, scambiano gli auguri e trasformano un albero vivo stesso taglio di capelli. Josef ha in mano una pala. – Lo per miracolo, martoriato dai proiettili e dalle bombe, ucciderà, – sussurra qualcuno nella trincea inglese. Ma in un luminoso e speranzoso albero di Natale. Qual- Leon sa che non lo farà. che inglese sa parlare un po’ di tedesco, qualche – Merry Christmas. tedesco conosce qualche parolina d’inglese, cosí si – Frohe Weihnachten. concorda una tregua. Finalmente una tregua, fino a Josef lancia la pala a Leon e indicando il corpo di un mezzanotte. I soldati si scambiano doni, militari che ragazzo morto da diversi mesi dice: – È mio fratello, fino a poche ore prima si sparavano l’un l’altro si do- aiutami a seppellirlo. nano tabacco, sigarette e anche cibo. Leon e Josef Leon inizia a scavare, scava per il nemico. Centinaia fumano insieme, mentre i capitani e gli ufficiali rima- di soldati nelle trincee assistono a quella scena e pian- sti in trincea scrutano il susseguirsi degli eventi con gono. Il corpo di un giovanissimo soldato tedesco, avrà i binocoli. Leon, mentre tedeschi e inglesi cantano avuto piú o meno diciotto anni, viene steso in un letto davanti a un falò canzoni di Natale, scrive una lettera di terra e neve. Leon e Josef piangono insieme e si ab- alla sua famiglia: bracciano. Dalle trincee escono decine di soldati, di en- Questo è stato il Natale piú bello che io abbia mai trambe le fazioni. Il cielo è bellissimo, stellato come mai passato. La tregua di Natale è la dimostrazione che gli prima nella terra di nessuno, e qualcuno, sarà forse la uomini sono fondamentalmente buoni e che sono spin- stanchezza, la gioia o l’emozione, giura di aver sentito ti alla guerra da governi irresponsabili.

40 41 La tregua dura anche tutta la mattina di Natale. Te- deschi e inglesi, insieme, in una fattoria a poco piú di mezzo chilometro di distanza, tutta bombardata, con il tetto che cade a pezzi, pranzano insieme. Menu metà tedesco, metà britannico. Un tenente inglese si mette a tagliare i capelli a un tedesco che, inginoc- chiato, lascia che la macchinetta scivoli sul suo collo. Improvvisamente da qualche parte sbuca un pallone, probabilmente venuto fuori dalle linee inglesi. Quella sfera che rotola in un cimitero di soldati fa impazzire tutti. 25 dicembre 1914, terra di nessuno. Gli inglesi sfida- no i tedeschi. In campo ci sono anche Leon e Josef. Gli elmetti e i giacconi logori vengono usati per fare le porte. Le linee del campo sono metaforicamente rap- presentate dalle centinaia di soldati che assistono alla partita, dai feriti che non possono correre, dagli uomini in là con gli anni. Il terreno di gioco è piú un campo di patate che uno stadio di erba londinese. Le regole non vengono rispettate al massimo, ma non fa nien- te. I tedeschi vanno subito in vantaggio con Richard Schirrmann, che dopo aver segnato va ad abbraccia- re un avversario. Pareggio degli inglesi con Leon, che dopo pochi minuti raddoppia. Richard viene sostitui- to e, guardando quella partita, pensa al suo ostello in

42 Germania. Schirrmann nel 1912 ha ideato il primo ostel- Il 26 dicembre 1914 la tregua finí. Il comandante lo della gioventú e, sentendo il mescolarsi di lingue in del Secondo Corpo d’Arma della BEF, Horace Smith campo, si ripete mentalmente «che tutti i giovani di tutti Dorrien, minacciò la corte marziale per chiunque si fos- i Paesi dovrebbero essere forniti di un luogo d’incontro se reso colpevole di fraternizzazione. adatto, dove poter conoscersi gli uni con gli altri». Le lettere dei soldati giunsero a casa e dal New York Un inglese tira da lontano, la palla rimbalza su una Times fino al Daily Mirror si sparse la voce di questa zolla ghiacciata ed è due pari. La partita sta per finire, leggendaria partita. La notizia di un ufficioso armistizio mentre esausti giocatori da ambo le parti hanno i mu- venne insabbiata dai potenti di turno che sottolinea- scoli a pezzi. Josef raccoglie un lancio dalle retrovie, rono la «mancanza di cattiveria» da entrambe le parti. stoppa la palla e tira mentre un mezzo ubriaco por- tiere inglese si lascia cadere. Tre a due per i tedeschi. Il 27 dicembre 1914, Leon è pronto con il suo fucile. Qualche inglese storce il naso. Se ci fosse stato un ar- In petto, al posto dei bottoni della divisa inglese, ha bitro avrebbe fischiato fuorigioco. Nessuno ha voglia quelli del suo amico cecchino tedesco Josef. Il generale di polemizzare. Leon e Josef si stringono la mano a Walter Congreve, decorato con la Victoria Cross, la piú centrocampo. Josef con una tronchesina si strappa dei alta onorificenza britannica al valor militare, si avvicina bottoni e li regala a Leon. – Addosso, amico inglese, ho al suo orecchio: – Ti ho visto fumare un sigaro con il mi- solo armi capaci di ammazzare il nemico. Tutto è stato glior cecchino tedesco, era giovane quanto te. Dicono concepito affinché io possa ammazzare, tutto tranne i che ha ucciso piú uomini lui che una mitragliatrice. Tu bottoni. Bottoni che uniscono due pezzi di stoffa, bot- hai visto da dove è sbucato, sappiamo da dove spara. toni che servono a tenere uniti, insieme, ad avvicinare Abbattilo! come oggi, nella terra di nessuno. Conservali e pensa a La guerra ricomincia, ma nella terra di nessuno ci si me quando tornerai a casa. chiede ancora se il tre a due tedesco fosse in fuorigioco. Leon raccoglie i bottoni e li mette in tasca, e su un fo- glio sporco di fango lascia a Josef il suo indirizzo: – Scri- vimi quando la guerra sarà finita.

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sico diciottenne canadese. Freno, freno. Attende che si faccia verde. Prima, seconda. Quaranta, cinquanta, LA MARATONA sessanta all’ora. Terry è un tipo elettrico, ama giocare a pallacanestro, è una guardia, ma ama anche il nuo- to. Insomma, Terry è uno nato per gli sport. La sua intelligenza sportiva è fuori dalla norma. Non ha un DELLA gran fisico, statura normale, ma ha talento. Winnipeg probabilmente non vi dirà niente e nemmeno Manito- ba, rispettivamente capoluogo e provincia del Canada SPERANZA occidentale. Terry è nato tra le praterie canadesi e da grande sogna di fare il professore di educazione fisi- ca. Ottanta, settanta, wow una bella ragazza, scalo di marcia, freno, freno. Troppo tardi. Bum. Il 12 novem- Il mio tempo non è ancora venuto, bre 1976, Terry Fox è vittima di un incidente stradale. alcuni nascono postumi. Reset. La mente si spegne per pochi secondi. Terry Friedrich Nietzsche ha tamponato un’auto. La sua macchina è completa- mente distrutta, ma Terry, nonostante lo spavento, sta bene. Esce per miracolo illeso dalle lamiere. Ha solo un forte dolore al ginocchio destro. Terry non vede l’o- PRIMA, SECONDA, TERZA. Rallenta. Incrocio, guarda a ra che il dolore al ginocchio scompaia per poter nuo- destra guarda a sinistra. Stop. Terrance Stanley Fox vamente nuotare, saltare, andare a canestro. Ma passa è nella sua macchina e c’è un po’ di traffico. Prima, un mese, due, tre, quattro, otto, un anno e il dolore al seconda, freno, freno. La testa di Terrance, chiama- ginocchio destro non sparisce. Cosí, il ragazzone ca- to da tutti Terry, è piena zeppa di idee, cose da fare, nadese decide di sottoporsi a una visita specialistica. progetti, sogni, un milioni di sogni. La testa di un clas- Mentre il dottore lo visita, Terry è con la testa da un’al-

46 47 tra parte, forse a prendere un rimbalzo, a schiacciare, – Se non lo facciamo, potresti morire. o in piscina a fare vasche su vasche. – Sí, ma poi come faccio con una gamba sola? – Terry, hai un osteosarcoma. – Ti impianteremo una protesi. – Un che? La malattia non dà tregua a Terry Fox, ma il cana- – Un tumore maligno osseo. È un tumore che parte dese non molla. Risponde colpo su colpo, bracciata dalle ginocchia, ma poi si espande nei muscoli, nel san- su bracciata, canestro su canestro. Terry, nonostante gue, nei tendini. si stia ancora curando, nonostante la chemioterapia, – E quindi? gioca nella nazionale di basket in carrozzina. Non ha – Quindi dovrai sottoporti a chemioterapia. Hai il 50 piú una gamba, ma le mani sono sempre quelle, ba- percento di possibilità di salvarti e ritieniti un ragazzo sta prendere la mira da un’altra prospettiva. Terry di- fortunato, Terry, perché due anni fa, senza i progressi venta per tre volte consecutive campione canadese. fatti dalla ricerca in questo campo, avresti avuto solo il Terry continua a entrare e uscire dall’ospedale. I suoi 15 percento. compagni di stanza cambiano velocemente. Lui quei Altro che campionato di basket, altro che Olimpiadi volti non li dimentica, perché la malattia puoi batter- di nuoto e classi scalmanate che non aspettano altro la, puoi ritornare alla tua vita di sempre, ma gli occhi che l’ora di educazione fisica. A diciannove anni Terry di chi vorrebbe fare e non ha piú il tempo, quelli non si gioca la sua partita piú importante. Sedici mesi di vanno via con il sapone. Terry sa che l’unico modo per ospedale e chemioterapia. A letto e poi giú, dentro al ridurre quegli sguardi è la ricerca. È raccogliere fondi corpo, dosi massicce di medicinale che cura e che di- per permettere ai dottori di annientare il cancro. Ha sintegra. Non c’è altra via d’uscita. Intorno a lui ragaz- letto da qualche parte che un uomo è riuscito a corre- zi, mamme, umanità varia soffrono e alcune volte spa- re un’intera maratona con una protesi. Vuole provarci riscono, cosí come erano comparsi. I dottori sono tutti anche lui, per dare speranza a tutti quelli che credono concordi: per evitare che la malattia possa espandersi che il cancro vinca sempre. è meglio amputare la gamba destra. È il 1979. Sono passati appena tre anni dall’incidente. – Ehi, fermi, ho diciannove anni. Maratona di New York, partenza. Quando inizia a cor-

48 49 rere, Terry sente il solito dolore lancinante che dopo un malato di cancro si sveglia. Vuole essere quell’ap- un po’ va via. Mentre, passo dopo passo, macina metri puntamento fisso da seguire alla tivú, vuole essere un e chilometri, pensa alle tante ore di allenamento, fa- motivo in piú: «Se l’ha fatto lui posso farlo anch’io». Il tica, pensa che non è proprio il caso di mollare. Terry 12 aprile 1980, Terry parte. Sa che dovrà attraversare Fox riesce a completare la Maratona di New York con l’isola di Terranova, la Nuova Scozia, l’isola del Prin- un arto artificiale. Arriva ultimo a ben piú di dieci mi- cipe Edoardo, il Nuovo Brunswick, il Québec e l’On- nuti dal vincitore. Ma per lui c’è una folla commossa tario. Con sé ha solo un amico e una vecchia cartina che lo attende, una folla di gente meravigliata dalla con l’itinerario. Terry riempie due bottiglie con l’acqua determinazione di questo canadese, pronta a batte- dell’Oceano Atlantico. Una resterà per sempre con re le mani. Mentre televisioni di mezza America sono lui mentre l’altra vuole riversarla nell’Oceano Pacifi- puntate su di lui, Terry annuncia: – Voglio tentare l’im- co, una volta arrivato a Vancouver. Il tempo è nefasto possibile, per mostrare che può essere fatto –. Terry con Terry, neve, pioggia e freddo. Ma non è il clima a rilancia e il mondo si accorge della grandiosità di que- spaventare il giovane canadese, a preoccuparlo è piú sto ragazzo. Fox ha un piano. Ha un’idea che si chiama che altro il disinteresse intorno a questo progetto a «Maratona della Speranza». Vuole correre ogni giorno cui tiene tanto. Lungo le infinite autostrade canadesi una maratona. Quarantadue chilometri al giorno. Par- rischia di morire un giorno sí e l’altro pure. La nebbia tire dalla costa atlantica e raggiungere quella pacifica. lo cancella dalla strada e le macchine per poco non Terry Fox vuol attraversare l’intero Canada correndo, lo investono. Pochi credono in lui, ma l’ostinazione di a piedi, con un piede di plastica. 7091 chilometri da questo ragazzo richiama media e gente comune, che Saint John’s a Vancouver, British Columbia. In macchi- iniziano ad accorgersi che Terry Fox fa sul serio. Molta na ci vogliono 79 ore, Terry ha calcolato che se corre- gente, malata e non, accende la tivú per sapere come rà 5 ore al giorno impiegherà circa 200 giorni. Ma non va la corsa di Terry. Tra loro c’è anche Isadore Sharp, è finita qui: Terry vuole raccogliere un dollaro per ogni uno degli uomini piú ricchi del Canada. Il milionario canadese vivente, cioè 22 milioni di dollari da donare è incollato allo schermo. Quasi corre insieme a Terry. alla ricerca. Vuole essere uno di quei motivi per cui Sharp ha perso un figlio a causa del cancro, e cosí

50 51 la battaglia di Fox diventa anche la sua. Offre gratui- tamente ospitalità nei suoi alberghi sparsi per tutto il Canada e fa un gesto che cambierà le sorti della Maratona della Speranza. Dona 10mila dollari e invi- ta ben 999 uomini d’affari ricchi quanto lui a fare lo stesso. Una catena mediatica che porterà l’attenzione nazionale su Terry Fox. Ora il giovane canadese è una star scortata, annunciata, attesa, voluta. La sua non è piú solo una corsa. Ogni tanto Terry parla da svariati palchi allestiti in tutta la nazione, invita tutti a dona- re, parla della sua esperienza. Cosí si moltiplicano le donazioni. Fruttivendoli che devolvono ore di lavoro, paesi sperduti tra le praterie di 8mila abitanti capaci di raccogliere 14mila dollari, mendicanti che donano le monetine che hanno elemosinato. 11 luglio 1980. Terry Fox arriva a Toronto: ad aspet- tarlo c’è parecchia gente, circa 100mila persone. Terry non si ferma, non bada a stanchezza, condizioni cli- matiche, non si ferma neppure il giorno del suo com- pleanno. Vuole completare e vincere questa battaglia. Il corpo però inizia a protestare. Ha infiammazioni alla tibia e al ginocchio e per non piangere dal dolore as- sume antidolorifici per la caviglia. La gamba amputata è piena di cisti. I medici chiedono a Terry di fermarsi, di curarsi, di sottoporsi a un check-up. Sono tutti nuo-

52 vamente concordi che questa corsa influenzerà il fu- Il 28 giugno 1981, a soli ventidue anni, Terry Fox turo di Terry. Corre, corre, corre per altri tre mesi, poi muore. La malattia ha vinto. I suoi funerali vengono il 1° settembre si ferma a causa di forti dolori al petto. trasmessi in diretta televisiva. Le bandiere canadesi In ospedale gli diagnosticano due grumi tumorali a sventolano a mezz’asta. Un onore riservato solo ai capi entrambi i polmoni. Terry annuncia: – Si va tutti a casa di Stato. Terry Fox viene seppellito al Port Coquiltlam –. Ha percorso 5373 chilometri. Ha raccolto 1 milione Cemetery. Queste le parole del primo ministro cana- e 700mila dollari. Terry si cura annunciando all’intero dese: «Accade molto di rado, nella vita di una nazione, Canada: – Io la finirò –. Poche settimane dopo la fine che lo spirito coraggioso di una singola persona uni- della Maratona della Speranza, Terry viene nomina- sca tutto il popolo nella celebrazione della sua vita e to Companion of the Order of Canada, il piú giova- nel lutto della sua morte. Non pensiamo a Terry come ne della storia canadese a ricevere la piú importante a qualcuno sconfitto dalla sfortuna, ma come qualcu- onorificenza della nazione. Gente da tutto il mondo no che ci ha ispirato con l’esempio del trionfo dello gli spedisce lettere per ringraziarlo, per raccontare di spirito umano sulle avversità». familiari, di sfide con il cancro. Terry Fox non è morto. A lui è dedicata una fonda- Un giorno, mentre Terry apre l’ennesimo pacco di zione che ha raccolto oltre 550 milioni di dollari per corrispondenza, trova un telegramma. la ricerca. Terry è il nome di una montagna, di una È di Isadore Sharp: nave rompighiaccio, di strade, scuole, ferrovie. Isado- Tu hai cominciato. Stop. Noi non ci fermeremo. Stop. re Sharp organizza ogni anno in tutto il mondo la Ter- Fin quando il cancro non sarà vinto. Stop. ry Fox Run. La CTV Television Network organizza una raccol- Tempo dopo la morte di Terry, Steve Fonyo, soprav- ta fondi che riscuote un enorme successo. Appena vissuto al cancro, percorrerà con la gamba sinistra un anno dopo l’inizio della Maratona della Speranza, amputata la distanza che mancava a Terry, comple- Terry Fox riesce a realizzare il suo sogno. Grazie a lui tando definitivamente la Maratona della Speranza. sono stati raccolti 22 milioni di dollari per la ricerca contro il cancro.

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Hitler, cosí i sopravvissuti decidono di battere in riti- rata e tornare a casa. Tra loro c’è un certo Bernhard Carl Trautmann. È un sergente della Wehrmacht, anche se ha solo ventun anni. Bernhard si è dovuto arruolare UN LEGGERO per forza. La guerra tanto voluta da Hitler ha portato al fronte anche giovani come Bernhard. Un tranquillo ragazzo di Brema, calciatore del Tura Bremen e tifoso sfegatato del Werder Brema. Dal 1941 al 1944 la vita di questo ragazzone biondo è un’odissea. Viene spedito in TORCICOLLO Russia dove i sovietici lo fanno prigioniero. Riesce, con- tro ogni pronostico, a scappare. Spedito sul fronte occi- dentale, è ancora fatto prigioniero dai francesi e scappa un’altra volta. A Clave si salva miracolosamente durante Prima di essere schiuma un bombardamento americano. È tra quel 9 percento di saremo indomabili onde. vivi per miracolo. Il giovane tedesco ora è solo, diretto Cesare Pavese in una Germania in cenere e fiamme. Diretto a casa ver- so la famiglia. Sulla strada decine di suoi commilitoni vengono fucilati in mezzo alla strada dagli Alleati. Fuci- lati nonostante non avessero armi, fucilati con le mani UNA GIGANTESCA BOMBA cade nel bel mezzo di un alzate. Fucilati perché, in fondo, sono tutti figli di Hitler. gruppo di soldati. È l’inferno, è la guerra. Un intero reg- Bernhard è stanco. Stanco di una guerra lunghissima, gimento tedesco viene totalmente cancellato. A Clave, che sembra quasi giunta al termine. È quasi notte, cosí una piccola cittadina francese, dei mille soldati tede- cerca riparo in una stalla. Un po’ di fieno come cuscino schi ne rimangono vivi novanta. Gli Alleati continuano e magari un po’ di latte per riempire uno stomaco orfa- a bombardare. Nei paraggi non c’è nessuna truppa di no di cibo da tre anni. Il tempo di stendersi e due soldati

56 57 americani gli puntano i mitra dritti in faccia. Fermo o Questa volta non scappa dal carcere. Ormai la guerra sparo. Catturato per la terza volta. Il terrore lo assale. è finita e non ci sono soldati distratti o truppe stanche, Probabilmente la sua vita finirà o in quella stalla o qual- secondini attenti lo sorvegliano giorno e notte. In cella che metro piú in là, davanti a un muro. Alza le mani. Gli Bernhard gira e rigira tra le sue mani le medaglie, ricor- americani, convinti di aver fatto un facile prigioniero, si do della Wehrmacht e di Hitler. Ben cinque, tra cui una distraggono e l’inafferrabile Bernhard scappa per la ter- Croce di Ferro. Quando può, in carcere, non fa altro che za volta. Russi, francesi e americani, nessuno è in grado giocare a calcio. In fondo è sempre un tifoso sfegata- di catturarlo. Mentre corre a gambe levate nella sterpa- to del Werder Brema. Nel 1948 Bernhard è una gran- glia, si trova davanti a una recinzione in ferro. Veloce la de mezz’ala destra detenuta. Durante una sfida con scavalca ed è di nuovo sotto il tiro di due mitra, questa una rappresentativa locale, Bernhard o, come lo chia- volta inglesi. Sono passati poco piú di cinque minuti. Gli mavano gli inglesi, Bert, si infortuna, cosí, pur di non inglesi lo alzano da terra e gli dicono: – Hello Fritz, fancy abbandonare il campo, chiede di poter giocare come a cup of tea? – «Ciao amico, ti va una tazza di tè?» portiere. In mezzo ai pali qualcosa cambia in lui, sen- Quella dei soldati tedeschi nei territori alleati è una te quasi una vocazione, quella dell’estremo difensore. brutta pagina della storia mondiale. La vendetta contro Nel frattempo, i giudici riconsiderano la sua posizione Hitler si riversa sui corpi di migliaia di soldati in Russia e diventa un detenuto di categoria B. Si rendono conto e nel resto d’Europa, costretti per anni a lavorare come che Bert non ha mai supportato l’ideologia nazista. Per schiavi per ricostruire quello che avevano bombardato. lui è un sollievo. Viene rilasciato anche grazie alla sua Bernhard pensa: «Portatemi pure dove volete, ma io impeccabile condotta. Appena uscito dal carcere vuo- scapperò, sono nato per questo». le andare dalla sua famiglia, che non vede da sei anni. Prima viene condotto in Belgio, poi trasferito defini- Alcuni abitanti della zona gli consegnano un cesto con tivamente in Inghilterra, ad Ashton-in-Makerfield, un’a- tanto cibo, tutta roba razionata: ci sono burro, pancet- nonima cittadina a nord di Manchester. I giudici non ta, zucchero, e una busta con 50 sterline. Bert piange sono clementi. Bernhard è un prigioniero di categoria e rifiuta il rimpatrio, decidendo di rimanere in Inghil- C: nazista. terra. Nel torrido agosto del 1948 entra ufficialmente a

58 59 far parte del Saint Helens Town, una squadra del Lan- che Bert era una brava persona. Questo è il clima in cui cashire. Poche centinaia di tifosi, un paesotto di pro- doveva parare Trautmann. Nella prima gara contro il vincia. Partita dopo partita, la popolarità del tedesco Fulham, appena tocca palla tutti lo fischiano, sia quelli Bert cresce e i tifosi diventano migliaia. Il Saint Helens del Manchester City che quelli del Fulham. I Citizens Town FC sfida in un’amichevole il Manchester City. Gli perdono solo 1 a 0 grazie alle prodezze di Bert. Tifosi e osservatori dei Citizens restano impressionati dal bion- calciatori si complimentano con lui quasi di nascosto. do tedesco. È il 1949 e un uomo arrivato in Inghilter- Bert diventa una stella internazionale e lo Schalke 04, ra qualche anno prima come nazista è ufficialmente il blasonata squadra tedesca, prova a riportarlo in patria. portiere della seconda squadra di Manchester. Bert è Per Bert è una grande occasione: se torna in Germa- un fenomeno, ma resta per tutta la popolazione inglese nia potrà mettersi in mostra per i mondiali elvetici. I un infame, un servitore del Terzo Reich. Bert se la vede Citizens rifiutano e rifiuta anche Bert, dicendo cosí ad- brutta. Per prima cosa, davanti a lui per la corsa alla dio alla nazionale. Appena due anni dopo, a sorpresa maglia numero 1 c’è un certo Frank Swift, una leggenda la Germania Ovest batte in finale l’Ungheria di Puskás dalle parti di Manchester, un titolato, un vincente, uno conquistando la prima storica Coppa del Mondo tede- la cui ascesa ai vertici del calcio mondiale era stata fer- sca, in una partita passata alla storia con il nome di mata solo dalla guerra. Il problema principale di Bert è «Miracolo di Berna». Bert ascoltò quella partita alla ra- l’essere nato a Brema. Ai tifosi non va giú la sua prove- dio esultando per ogni rete tedesca, senza rammarico. nienza. Molti soffrono ancora le perdite dei loro cari in Senza rimorso. guerra, ammazzati proprio dai tedeschi. Oltre 20mila Nel 1956 il City è in finale nella FA Cup. L’anno pre- persone scendono in piazza minacciando di strappare cedente erano stati battuti dal Newcastle United. Tut- l’abbonamento allo stadio del Manchester City se tra i ta la squadra, Bert compreso, vuole rifarsi. 5 maggio, pali ci fosse stato il nazista Bert. Per non parlare del- Stadio Wembley, il tempio del calcio. Manchester City la comunità ebraica di Manchester, arrabbiatissima per contro Birmingham. Segna il City dopo appena tre mi- tale scelta. Tutti gridavano: «Off the Germans». Il rabbi- nuti, gli avversari pareggiano, ma nel secondo tempo no in persona dovette placare gli animi, riconoscendo è ancora il City a portarsi in vantaggio per ben due

60 61 volte. Ora bisogna solo resistere, a tutti i costi. 22 mi- nuti al termine della gara. Il Birmingham è in attac- co, un cross attraversa l’area, Bert si lancia sul pallone per agguantarlo, Peter Murphy, attaccante avversario, corre a tutta velocità. Bum. Uno scontro terribile. Bert è a terra privo di sensi. Non si muove. Gli amici sono tutti intorno a lui. I medici entrano in campo per ria- nimarlo. Il pubblico è col fiato sospeso. Un giorno di festa sta per trasformarsi in una tragedia. Il massag- giatore cerca di far rinvenire Bert con un secchio di acqua e una spugna. I medici utilizzano anche dei sali. Bert si riprende. I tifosi urlano il suo nome. In panchina all’epoca non c’erano rimpiazzi, quindi niente sostitu- zione, Bert deve resistere altri 17 minuti. Non riesce a muovere la testa e il dolore è insopportabile, al punto che si accascia al suolo per ben tre volte. Non vede bene e nonostante ciò riesce a parare ancora una manciata di tiri. Triplice fischio dell’arbitro. Il City è campione, Bert è un campione. Il nazista, il portiere dei miracoli, il tedesco adottato dagli inglesi porta a casa coppa e medaglia. Mentre il principe Filippo gli infila al collo la medaglia piú bella, Bert si lamenta di un leggero torcicollo. Tutti festeggiano, ma lui ha un dolore terribile. – Non ti preoccupare, – dicono i com- pagni, – è solo torcicollo, vedrai, domani passa.

62 E i giorni effettivamente passano, ma il dolore no. ta resiste e, dopo numerosi allenamenti, terapie, inci- Cosí, appena arrivato a Manchester, va in ospedale. Il tamenti da parte di compagni, dirigenti e tifosi, Bert medico è incredulo. Tu sei vivo per miracolo, dovresti torna tra i pali piú forte di prima. E diventa leggenda. essere morto, o quantomeno su una sedia a rotelle. Rimane il numero 1 del City fino al 1964, totalizzando Cinque vertebre danneggiate, una vertebra cervica- 545 presenze. Alla sua partita d’addio c’erano 60mila le completamente spezzata in due; fortunatamente la persone, leggende del calcio come Bobby Charlton e forza dello scontro aveva spostato anche la vertebra Tom Finney. Accolto come un infame, salutato come sottostante, che aveva mantenuto quella spezzata al un eroe. suo posto. La stampa lo osanna: è il portiere che ha ri- Bert, tornato in Germania, viene incaricato dal mini- schiato la vita per far vincere il City. È l’eroe di Manche- stro degli Esteri tedesco di esportare il calcio in Pae- ster. Nel 1956 viene eletto miglior giocatore dell’anno, si in via di sviluppo, di insegnarlo a gente che non ne primo straniero a vincere un premio del genere. Bert conosce nemmeno le regole. Chi meglio di lui poteva inizia una lunga riabilitazione. Figuriamoci se uno abi- far capire ai bambini di mezzo mondo cos’è l’ospitalità, tuato ai bombardamenti, alle fughe dalle prigioni, al cosa significa non abbattersi davanti alle difficoltà, non carcere, può essere fermato da un attaccante inglese. mollare mai, anche quando hai cinque vertebre spac- Bert si concentra sul suo recupero durante il quale di- cate. Bert è stato allenatore di nazionali di Paesi pove- viene un vero idolo per i tifosi del City. Ma siccome la rissimi, spesso reduci da guerre feroci come la Birma- vita spesso non segue le regole delle favole, il figlio nia, la Tanzania, la Liberia e il Pakistan. Nel 2004 viene di Bert viene investito e ucciso davanti a casa sua a nominato Ufficiale all’Ordine dell’Impero britannico. soli cinque anni. Sua moglie non riuscirà piú a ripren- Da tedesco invasore a eroe dell’Impero, dalla gioventú dersi da questa tragedia. Bert ritorna in porta dopo hitleriana a Cavaliere. La regina Elisabetta gli appunta sette mesi. Il portiere amato da tutti è solo un ricordo, al petto l’ennesima medaglia. Bert abbassa la testa in uscite a vuoto, banali errori, insomma, l’epilogo piú segno di rispetto, e mentre la rialza, ha ancora un tre- triste per un numero 1. Bert parla con i dirigenti del mendo torcicollo. City, vuole essere ceduto. Il club anche questa vol-

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nata dell’attuale Università di Tsukuba. È il fondatore del judo. Kano Jigoro stravede per Shizo Kanakuri, un suo studente, al quale ha detto: – Tu allenati un’o- ra al giorno e non preoccuparti, al resto penso io –. IL MISTERO DI Ha un sogno, Jigoro, far sí che il Giappone partecipi alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912. Ma Stoccolma è dall’altra parte del mondo e non esistono comita- ti olimpici finanziati dai governi per pagare lunghi viaggi. Anzi, i giapponesi si sentono inferiori al re- SOLLENTUNA sto del globo, sportivamente parlando. Però Jigoro sa benissimo che la loro presenza alle Olimpiadi si- gnificherebbe, per la prima volta nell’era moderna, la partecipazione di una nazione almeno per ogni con- Dappertutto, come un esilio aperto. tinente e l’Asia potrebbe essere rappresentata pro- Anonimo prio dal Giappone. Cosí Jigoro organizza una colletta e raccoglie, per il suo studente, 2000 yen, qualcosa come 154mila euro di oggi. Partecipano tutti, pro- fessori, bidelli, studenti. È un momento storico per 2 ORE, 32 MINUTI E 45 SECONDI. È l’inizio del 1912 e il Paese e ancora nessuno lo sa. Andranno in Svezia un ventunenne giapponese della cittadina di Tamana due ragazzi: Shizo Kanakuri e Yahiko Mishima. realizza questo incredibile tempo per una marato- È il 16 maggio 1912. Gli atleti partono in treno da na sulla distanza di 40,2 chilometri. Amici, parenti e Shinbashi per il porto di Tsuruga. Ore e ore di viag- un certo Kano Jigoro sono a bordo pista a guardare gio. Poi Shizo e Yahiko si imbarcano per raggiungere questo nipponico stupire il Sol Levante. Kano Jigoro la città portuale della Russia orientale, Vladivostok. At- è il preside della Tokyo Normal Higher School, ante- traversano tutto il Mar del Giappone. Sono esausti e

66 67 Stoccolma è ancora dall’altra parte del mondo. Bisogna passano e gli atleti stremati si ritirano man mano. Dieci, raggiungere la capitale russa: Mosca. Cosí i due pren- venti, trenta, trentacinque. Poi succede l’incredibile. Il dono la Transiberiana, la ferrovia che attraversa tutta la ventiquattrenne Francisco Lázaro si sente male. Il gio- nazione piú grande del mondo. Giorni e giorni di viag- vane di Lisbona si è cosparso il corpo di cera per paura gio. A Mosca sono stremati e trovano giusto il tempo di delle ustioni. Cosí però la pelle non respira e Francisco riposarsi per poi ripartire per Stoccolma. Altri giorni di perde i sensi. I compagni di squadra lo trovano a bordo viaggio, altra fatica, altro sudore. Giungono finalmente strada su una collina al ventinovesimo chilometro. Fran- in Svezia, sono passati diciotto giorni. cisco Lázaro morirà il giorno seguente per disidratazio- Cerimonia d’inaugurazione. Yahiko Mishima è il por- ne. Sarà la prima vittima di un’Olimpiade. Un chilometro tabandiera mentre Shizo lo segue mantenendo il car- piú avanti, Shizo Kanakuri svanisce nel nulla. Puf. Come tello con su scritto Japan. Entrambi indossano panta- un incantesimo. La Maratona finisce, McArthur vince loncini e polo bianca. Mishima non riesce a qualificarsi e di Shizo nemmeno l’ombra. In Svezia tutti si chiedo- nemmeno per una finale. Tutte le speranze ora sono no dove sia finito il talento nipponico. Morto anche lui, sulle spalle del giovane Shizo. come il giovane Lázaro? Assassinato lungo la Marato- 14 luglio 1912. 69 atleti provenienti da tutto il mondo na? Forse rapito? Non riescono a trovare nemmeno il sono sui nastri di partenza. Sono le 13:48 e incredibil- cadavere, in una Stoccolma scioccata. Shizo Kanakuri mente a Stoccolma fa caldo. Trentadue gradi per l’e- è per la polizia svedese ufficialmente disperso in gara. sattezza. Si parte dallo Stadio olimpico di Stoccolma e Prima e unica volta nella storia delle Olimpiadi. Passa- si arriva alla chiesa di Sollentuna, andata e ritorno. Tut- no gli anni, i decenni e di Shizo Kanakuri non si sa piú ti guardano con grande ammirazione questo giovane niente. In Svezia è una specie di fantasma, un mito, una giapponese arrivato dall’estremo oriente con un tempo leggenda che si racconta ai bambini, a tutti quelli che record. Colpo di pistola, si parte! Shizo con il numero corrono. Su di lui aleggiano strane storie, a metà tra i 344 sul petto non soffre il caldo come gli altri, anzi, lui è troll e gli spiriti maligni giapponesi. Sparito perché rapi- abituato ad allenarsi al caldo e a metà gara è alle spalle to dalle fate, ucciso da un serial killer... Il primo mago ad di McArthur, sudafricano che guida la corsa. I chilometri aver partecipato a un’Olimpiade.

68 69 È il 1962, ricorre il cinquantesimo anniversario delle Olimpiadi di Stoccolma. Un giornalista della tivú sve- dese, Oscar Soderlund, viene spedito in Giappone sulle tracce di Shizo Kanakuri. Incredibilmente, riesce a tro- vare Shizo Kanakuri nella sua città natale, Tamana. È un insegnante di geografia della scuola elementare. È papà di sei figli e nonno di dieci nipoti. Oscar riesce fi- nalmente a svelare il segreto durato cinquant’anni. Shi- zo racconta che, al trentesimo chilometro, uno spetta- tore della famiglia Petré, che abitava lungo il percorso di gara, gli offrí da bere, non si sa bene se succo di lampone o d’arancia. Il membro della famiglia Petré osservava la gara dal suo giardino: una sorta di Eden per Shizo, che correva già da trenta chilometri. Una specie di Fata Morgana, il forte richiamo di una sirena. Nei pressi di Sollentuna lo spettatore, vedendo Shizo spossato, lo invitò a entrare in casa e riposarsi un atti- mo nella frescura offerta dal tetto. Shizo si sedette in poltrona e in pochissimi attimi si addormentò. Cadde in un sonno profondissimo, meraviglioso, fatto di giardini ameni, fate di bosco e mirtilli. Lo spettatore, non abi- tuato a Olimpiadi, gare e maratone, rispettosamente lo lasciò dormire. Shizo si svegliò a notte fonda, quando ormai la gara era finita, quando la polizia lo cercava ovunque, quando era già un fantasma. Piú che per l’aci-

70 08 do lattico che gli infiammava le gambe, Shizo decise di tornare in Giappone sotto falso nome per l’imbarazzo e la vergogna arrecata al proprio Paese. UN ANNO Del viaggio di ritorno non si conoscono i dettagli. Si sa invece che nel 1967 il governo svedese invitò Shi- zo a concludere la maratona mai finita. Il padre della maratona giapponese accettò l’invito e dopo giorni di SENZA viaggio riprese a correre dalla casa della famiglia Petré. Alla veneranda età di settantun anni, Shizo Kanakuri concluse la sua strepitosa, leggendaria, epica marato- PRIMAVERA na, con l’imbattibile record di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 20 secondi e 3 decimi.

Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere. Alda Merini

PRAGA È AVVOLTA DA UNA CORTINA di silenzio estivo. Strano, niente cicale, grilli o chiacchiericcio di ragazzi innamorati sotto la luna piena. Silenzio. In lontananza si sentono rumori metallici. A letto decine di praghesi pensano sia solo un brutto sogno, un incubo, un’im-

72 73 pressione, ma il rumore metallico diventa rumore di gni e rivoluzioni cancellate con una firma. Husák annul- cingolati, rumore di carri armati. Carri armati russi. È la tutte le riforme di Dubček e inizia una vera e propria la notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, quando l’Unio- caccia ai firmatari del Manifesto delle Duemila Parole. ne Sovietica invade Praga. Finisce nella repressione la Braccata, Vĕra scappa. Mancano due mesi alle Olim- Primavera di Praga, il tentativo di cambiare la Ceco- piadi di Città del Messico, le russe sono già in Ameri- slovacchia da parte del presidente Alexander Dubček. ca ad allenarsi, ad ambientarsi al clima. Vĕra invece è Quella notte una rivoluzione durata otto mesi si fran- nascosta in una baita delle campagne della Moravia. tuma come un cristallo di Boemia. I cuori di tanti ce- Teme l’arresto, teme di sparire. Sa che il nuovo regime coslovacchi che avevano creduto nel cambiamento, in non permetterà mai a una firmataria di partecipare alla Dubček, si spezzano tra i cingolati dei carri armati. Olimpiadi, e lei non va in palestra da settimane, è fuori Dopo la repressione ungherese, le truppe del Patto forma. Ma in cuor suo, in fondo, spera ancora di par- di Varsavia demolivano dignità e libertà. Un brivido tire per il Messico. Cosí si allena alzando sacchi di pa- percorse la schiena di centinaia e centinaia di ceco- tate, appendendosi agli alberi, volteggiando a corpo slovacchi che avevano firmato il Manifesto delle Due- libero sul prato davanti a casa. Spala carbone per farsi mila Parole, poche righe scritte da persone che cre- venire i calli alle mani. Sporca, nera, non abbandona il devano ancora nel socialismo dal volto umano, poco suo desiderio di partecipare alle Olimpiadi. Vĕra è alta russo e molto europeo. Tra i firmatari c’è anche Vĕra un metro e sessanta, pesa cinquantotto chili e sembra Čáslavská, una ginnasta. Alle Olimpiadi di Tokyo del piú un’attrice americana che una ginnasta, ma la sua 1964 ha vinto l’oro alla trave, al volteggio e nel con- leggiadria è famosa in tutto il mondo. Husák vorrebbe corso individuale, l’argento nel concorso a squadre. non farla partecipare, ma Vĕra è una star e il nuovo Una campionessa, la perla dei cecoslovacchi. Vĕra sof- regime non ha bisogno di altre rivolte, di pretesti per fre guardando dalla sua finestra i lunghi cannoni dei scatenare manifestazioni. Husák vuole «normalizzare» carri armati. Ora cambierà tutto. Vĕra lo sa. la Cecoslovacchia. Cosí, una mattina, nelle campagne In pochi giorni Dubček viene deposto dai russi e al della Moravia arriva l’autorizzazione a volare in Ame- suo posto arriva il fantoccio Gustáv Husák. Mesi di so- rica. Vĕra ha ventisei anni e viene accolta in Messico

74 75 come una regina. Vĕra secondo tutti non ha speranze. inspiegabile: aumenta il voto delle qualificazioni della Le russe sono delle macchine, devono vincere. Anche russa Larisa Petrik, che si vede aggiudicare l’oro a pari nello sport la falce e il martello soffocheranno la Pri- merito con la Čáslavská. Una decisione senza prece- mavera di Praga. Ma la vita è imprevedibile e certe denti. È il momento solenne della premiazione, quello volte spalare carbone ti allena meglio della paura del degli inni nazionali, e gli occhi del mondo sono pun- regime. Volteggio: Vĕra vince l’oro. Parallele: si ag- tati sulle due vincitrici. Quando nel palazzetto risuona giudica la medaglia piú preziosa. Diviene la seconda l’inno russo, le telecamere inquadrano i volti delle due donna piú celebre al mondo dopo Jacqueline Kenne- campionesse. Vĕra Čáslavská china la testa. Si rifiuta dy. Questi risultati rendono Vĕra Čáslavská la ginna- di guardare la bandiera che rappresenta gli oppres- sta ceca piú decorata della storia. La quattordicesima sori della libertà del suo Paese. In mondovisione, Vĕra atleta piú medagliata dei Giochi olimpici. La ginnasta protesta senza urla, senza fiamme, molotov, proclami, con piú vittorie a livello individuale di tutto il pianeta. barricate; il suo dissenso è fatto di una chioma bionda Vĕra è l’unica atleta della ginnastica, sia maschile che che si rifiuta di onorare un drappo di stoffa, che rappre- femminile, ad aver conquistato l’oro olimpico in ogni senta ideali che calpestano la sua gente. Vĕra non ha specialità individuale. Tutto il mondo dello sport nel degnato nemmeno di uno sguardo l’Unione Sovietica. 1968 parla di lei. Ma Vĕra non ha ancora esaurito la sua A casa se ne sono accorti tutti, da tutti i continenti, e fame di vittorie. Alla trave si classifica seconda dietro se ne è accorto anche il leader del nuovo regime filo- la russa Kučinskaja, per uno strano e contestabile giu- sovietico Husák. Prima di lasciare il Messico, Vĕra sposa dizio. Tutti attendono la gara piú importante: il corpo un suo compagno di squadra, il corridore cecoslovacco libero. Josef Odložil. A quel matrimonio partecipa il popolo, Vĕra Čáslavská si esibisce sulle note della danza po- la gente comune, tanti messicani acclamano, esulta- polare messicana «Ballo del Sombrero», il pubblico è no per l’eroina bionda. Vĕra avrebbe potuto restare in in delirio. La ginnasta ceca vince l’oro. È lei la piú brava Messico e invece decide di tornare nel suo Paese senza di tutte. I messicani l’adottano. Improvvisamente però primavera, un Paese che aveva bisogno di rafforzare la la giuria, pressata dal membro russo, fa qualcosa di propria autostima anche grazie ai suoi campioni. Fini-

76 77 sce sotto indagine, nel fascicolo c’è scritto «influenze scorrette». – Semplice, Vĕra: ritratta tutto e sei libera. Togli la tua firma dal manifesto e sei libera. Ma lei non lo fa. – Forse non ci siamo capiti bene: o lo fai o addio gin- nastica. Ma lei non lo fa. Bandita da ogni competizione sportiva, divieto di allenare in patria e all’estero. Vĕra è una persona non gradita. La pluripremiata ginnasta, la piú vincente della storia mondiale, campa facendo pulizie nell’anonimato. Husák vuole cancellare la sua fama, la sua storia, le sue medaglie. Un giorno Vĕra va al Ministero dello Sport e dice al funzionario di turno: – Io me ne andrò da qui solo quando mi avrete dato un incarico sportivo. Altri- menti, non esco da questa porta –. Il governo filorusso le assegna un ruolo di consulente. Niente allenatrice, niente copertine, niente fama. In disparte. – Quelle come te, le firmatarie, finiscono in disparte. È un periodo durissimo per Vĕra. Oltre allo sport anche il privato sembra disintegrarla. Il figlio, Martin Odložil, uccide il padre e marito di Vĕra in un locale durante una lite finita male. Vĕra non regge e la depres- sione s’impossessa di lei. Sparisce dalla circolazione e

78 09 le medaglie, le ossessioni, il Manifesto delle Duemila Parole si liquefanno in una casa di cura. Husák ha vin- to, Vĕra non esiste piú. Husak ha girato la telecamera IL CAPITANO dall’altra parte e la bionda è solo un ricordo sbiadito, poco importante, da non tener conto in piena Guer- ra Fredda. Ma la vita è imprevedibile e chi sembrava soccombere sotto il peso delle proprie medaglie, viene DELLA SQUADRA salvata dal crollo di un muro come quello di Berlino. Václav Havel nel 1989 guida la «Rivoluzione di vellu- to», una protesta non violenta che a Praga rovescerà CEMENTO il regime comunista grazie al supporto di oltre 50mila persone scese in strada. Vĕra diventa consigliera di Ha- vel, presidente del Comitato olimpico ceco e membro del Comitato olimpico internazionale. Suo figlio riceve Ho tirato su / le mie quattro ossa la grazia dal nuovo presidente ceco. Husák ha perso. e me ne sono andato / come un acrobata / sull’acqua. Praga ha di nuovo la sua PrimaVera. Giuseppe Ungaretti

FERDINANDO GUARDA IL DUOMO DI MILANO e resta a bocca aperta. Gigantesco, enorme, uno spettaco- lo. Si guarda intorno, Nando, è in una delle piazze piú belle d’Italia. Gira continuamente su se stesso. In mano ha un paio di scarpini da calcio e una chiave inglese. Il suo sogno si è avverato, giocherà nel Milan,

80 81 o meglio nel Milano, come dicono i fascisti. Ferdinan- do Valletti nel 1943 è un veronese trapiantato a Mi- lano, un operaio calciatore. Da poco si è trasferito nel capoluogo lombardo, lavora all’Alfa Romeo e si è subito accasato a Seregno. In Veneto ha giocato nell’Hellas Verona, è uno che ama tremendamente il pallone. Uno con i suoi piedi non poteva certo pas- sare inosservato, cosí i dirigenti del Milano gli hanno offerto un contratto. Nando è felice, lui è un mediano in campo e anche nella vita. Uno che si sacrifica con- tinuamente, per gli altri nel rettangolo di gioco e in fabbrica per la famiglia. È uno tosto, una montagna difficile da spostare. Ferdinando Valletti a ventun anni indossa la maglia rossonera. Quando ferma gli avversari si dimentica dei fascisti, si dimentica dell’alienante lavoro in fabbrica, si dimentica della guerra. Il suo cervello spegne le cose brutte e per novanta minuti gli regala geometrie ed emozioni. L’arbitro fischia l’inizio di un’amichevole. In mezzo al campo c’è la diga Valletti. Dopo poche azioni, Ferdinando resta a terra in uno scontro di gioco. Sente un forte dolore al ginocchio. In campo tutti hanno capi- to cosa è successo: menisco rotto. Nel 1943 significa la fine della carriera calcistica. Il sogno di Nando si spez- za come la cartilagine del ginocchio, improvvisamente.

82 Finisce il calciatore resta solo l’operaio. Gli scarpini al rola campo, che nella sua mente richiama prati verdi chiodo e le chiavi inglesi in mano. con linee bianche, si trasforma in un incubo. Al posto Nando dopo l’8 settembre, dopo l’armistizio, si av- degli scarpini ha degli zoccoli e una divisa a strisce vicina ai partigiani e in fabbrica distribuisce volantini sbiadite. La divisa del Mauthausen Football Club. Fer- per il grande sciopero generale del 1944. Bisogna fer- dinando Valletti è un numero, questa volta impresso mare il Paese e il mediano Valletti dà il proprio con- sul braccio e non sulla schiena. Nelle gallerie sotto tributo. Lascia a ogni uomo, compagno, operaio un terra non sente piú le gambe, ha i crampi dentro al foglio che invita a scioperare per far sentire il proprio cuore insieme ai suoi compagni della «Squadra Ce- dissenso. mento» gioca a non morire. Si sorreggono l’un l’al- È notte quando la Brigata Muti, corpo paramilitare tro. Si sorreggono mentre crollano pareti di roccia, fascista, accompagnata dalle SS, preleva con la forza mentre sono in piedi per l’appello, mentre la mente Ferdinando Valletti dalla propria abitazione. Ferdi- scoppia davanti all’orrore. Non si possono chiedere nando non ha il tempo di avvertire nemmeno sua ma- sostituzioni a Mauthausen. Gli spettatori non applau- dre e sua moglie incinta. Viene portato direttamente dono, sparano. La partita dura mesi, senza intervalli, nel carcere di San Vittore e dopo pochi giorni viene senza borracce per dissetarsi. spedito al campo di concentramento di Mauthausen, Ferdinando Valletti viene trasferito al campo di in Austria, con l’accusa di attività sovversiva. Insie- concentramento di Gusen II. I tedeschi organizza- me a decine di operai dissidenti, parte dal binario 21 no una partita, manca un giocatore. Un kapò cerca il della stazione centrale di Milano. Un treno lo accom- ventiduesimo uomo. Ferdinando si offre volontario, il pagna verso quella che potrebbe essere la sua ultima kapò forse lo riconosce e lo fa giocare. Valletti entra partita. In Austria viene assegnato alla «Squadra Ce- in campo al fianco dei suoi aguzzini. Pesa trentano- mento», scava gallerie per nascondere le fabbriche ve chili ed è scalzo. Novanta minuti dentro l’inferno. belliche tedesche. Un lavoro massacrante. Occultare I suoi compagni di squadra sono quelli che forse lo i centri di produzione delle armi di Hitler, questo è il fucileranno, quelli che lo umiliano, dovrà passare la suo compito. Giorno dopo giorno dimagrisce, e la pa- palla a chi lo deride, a chi non dà valore alla sua vita.

84 85 Valletti è un fantasma in movimento tra i bestioni im- Ei fu. Siccome immobile, pettiti delle SS tedesche. Il mediano Valletti blocca dato il mortal sospiro, a centrocampo il kapò che voleva superarlo. Forse è stette la spoglia immemore fallo, forse no. Speriamo che i cartellini gialli da que- orba di tanto spiro, ste parti non siano di piombo. Non ha piú forze, non cosí percossa, attonita mangia da giorni. I piedi non li sente piú, per il freddo la terra al nunzio sta. e la stanchezza. Non corre, plana sul campo. L’arbi- tro fischia la fine e Valletti quasi sviene. I tedeschi È un bel giorno per morire, pensa tra sé e sé. E invece dopo quella partita lo promuovono sguattero. Un la- il 5 maggio 1945 finalmente viene liberato dagli Alleati. voro meno massacrante, un lavoro che può salvargli Torna a casa da sua madre, da sua moglie, dopo di- la vita. Ma Valletti non si accontenta e come tutti i ciotto mesi di prigionia. Il mediano Valletti è diventato mediani rischia, o il pallone o la gamba, o l’applauso papà di una splendida bambina: Manuela. Inizia il se- o il cartellino. A Gusen II, o la morte o la vita. Di na- condo tempo della sua straordinaria vita. scosto porta cibo ai suoi compagni della «Squadra Ritorna a lavorare in fabbrica all’Alfa Romeo, ne di- Cemento», occulta gli scarti dei tedeschi dentro gli viene dirigente. Ferdinando Valletti viene riconosciuto zoccoli sporchi, impasta pane e schifezze con i suoi come partigiano combattente e riceve la medaglia ga- piedi da mediano. Sa bene che se lo beccano morirà. ribaldina. Nel 1979 il presidente della Repubblica San- Ogni volta che porta da mangiare ai suoi compagni dro Pertini gli appunta al petto la Stella al merito del pensa al menisco, pensa che è successo tutto all’im- lavoro. Il mediano Valletti nel secondo tempo della sua provviso, sul piú bello, mentre accarezzava un sogno. vita è andato nelle scuole sotto la bandiera dell’ANPI E se succede anche qui, a Gusen II, la sua vita sembra (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) a raccon- appesa a un menisco lacerato. È il 5 maggio. Ferdi- tare ai giovani cos’è stata la sua vita tra calcio, campi nando Valletti ripete a memoria, come ogni anno, la di concentramento e medaglie. È andato nelle scuole poesia di Manzoni dedicata a Napoleone. a raccontare la barbarie nazista, a insegnare che nella vita bisogna essere mediani, dighe, anche quando da-

86 87 10 vanti a te c’è un kapò. Ferdinando Valletti è rinato il 5 maggio 1945, non ha vinto uno scudetto, una coppa, un mondiale. Queste cose le ha sempre sognate di not- L’UOMO te, anche a Mauthausen. Sapeva di essere un calciatore grezzo, ma aveva spalle larghe per le proprie idee e nel petto un gran cuore. Ferdinando Valletti si è spento nell’estate del 2007 NATO nella sua amata Milano. È morto per le conseguenze del morbo di Alzheimer. Prima di morire lui ha dimenti- cato la sua straordinaria vita, ma noi no. TRE VOLTE

O troveremo una strada o ne costruiremo una. Annibale

SHAUL GUARDA IL SUO PAPÀ mentre, tutto sudato, costruisce una casa. Non una casa qualsiasi, la loro casa, la casa della sua famiglia. Mattone dopo matto- ne, crea stanze, tetti per proteggersi, pavimenti per giocare. C’è anche il camino per riscaldarsi durante le notti fredde d’inverno. Shaul è orgoglioso di lui. «Da grande voglio essere come il mio papà!».

88 89 Shaul è un bambino, ma ogni volta che appoggia l’o- Separatemi la parte meridionale del Paese, allo scopo recchio alle pareti gli sembra di sentire il respiro affan- di trasformarla in una base per ulteriori operazioni. nato del suo papà. Shaul ama la sua casa. Belgrado non è protetta nemmeno da una batte- Un pomeriggio, mentre è fuori a giocare, sente il ru- ria contraerea. Il fumo della città distrutta è visibile more degli aerei. Alza lo sguardo e vede precipitare a chilometri di distanza. 17mila morti, 20mila feriti. verso il basso tonnellate di bombe, che cadono come Ha cinque anni Shaul quando sua nonna, in lacrime, biscotti in un latte fatto di case. Shaul vede la sua vedendolo vivo, grida: – Miracolo! –. Ai bordi delle casa sgretolarsi sotto il peso dell’aviazione tedesca. strade ci sono morti dovunque. Belgrado non esiste Non sono bastati gli affanni e i muscoli del suo papà. piú. Insieme alla nonna di sessantacinque anni, Shaul I tedeschi hanno bombardato a tappeto Belgrado, è scappa a piedi per oltre venti chilometri tra i borghi ufficialmente iniziata l’invasione del Regno di Iugo- distrutti di una Serbia cancellata. Mentre cammina, slavia. Le potenze dell’Asse hanno ridotto Belgrado e sua nonna è una fontana silenziosa di lacrime. Shaul le sue campagne in cenere e fango. La quarta flotta la ama moltissimo. aerea della Luftwaffe, bombarda per tre giorni la ca- – Ringrazia Dio, Shaul! Oggi siamo nati un’altra volta. pitale, di giorno e di notte. I piloti scendono indistur- Shaul e tutta la sua famiglia scappano in Ungheria, a bati e distruggono tutto quello che è ancora in piedi. Budapest. Un viaggio durato anni. Ne ha appena otto Il comandante Hugo Sperrle, incaricato da Hitler in quando i suoi genitori lo abbandonano in un monastero persona, è a capo della Unternehmen Strafgericht, nella speranza di salvargli la vita. – Mantieni un segreto letteralmente «Operazione Castigo». Hitler nel suo Shaul: non dire a nessuno che sei ebreo. Promettilo! foglio d’istruzioni numero 25 ha scritto le seguenti Shaul, terrorizzato, crede che da un momento parole: all’altro i tedeschi possano scoprirlo. Suo padre nel Cancellatemi Belgrado dalla faccia della terra. In- frattempo si è unito al movimento sionista, capeg- vadete la Iugoslavia, distruggete l’esercito serbo con giato da Rudolf Kastner. Ormai però i tedeschi sono spietata durezza, non preoccupatevi di sondaggi di- dovunque e stanno per arrivare anche in Ungheria, plomatici, né presenteremo ultimatum. Agite subito! cosí Kastner trova un accordo: un salvacondotto per

90 91 la popolazione di origine ebraica in cambio di rifor- seconda volta –. In una Svizzera neutrale Shaul La- nimenti per le truppe. Shaul si ricongiunge alla sua dany inizia a correre, o meglio, a marciare. Corre per famiglia. Quando vede sua madre le dice: – Io non ho i boschi di una Svizzera che è la meta di tanti ebrei in piú paura di niente –. Sembra la fine di un incubo. Un fuga dalla furia di Hitler. treno aspetta Shaul e tutta la sua famiglia per portar- Nel 1948 ha solo dodici anni ed è già rinato due li in salvo in Palestina, lontano dalla guerra e dal ter- volte. La sua famiglia si trasferisce in Israele, appena rore. Shaul dorme sul petto di sua madre. Il rumore riconosciuto ufficialmente come Stato. Gli anni bui delle rotaie è quasi una ninna nanna per lui, abituato sono ormai alle spalle e Shaul Ladany si mette a stu- al freddo del monastero. Chissà come sarà la Pale- diare ingegneria meccanica. Studia alle università di stina. Il treno viene dirottato dai nazisti e condotto Gerusalemme e di Tel Aviv. Studia e corre. A diciot- verso il campo di concentramento di Bergen-Belsen. to anni è un marciatore. È il 1962 quando partecipa Migliaia di ebrei vedono sogni e speranze distrut- alla sua prima gara ufficiale. L’anno successivo vince ti a manganellate e tatuaggi sugli avambracci. Poi, il primo dei suoi ventotto titoli nazionali. Batte re- dall’altra parte del mondo, un gruppo di ebrei ame- cord su record, anche primati storici non infranti dal ricani paga un riscatto per salvare 2mila ebrei dal 1878. Partecipa alle Olimpiadi del 1968 in Messico, campo di concentramento: Shaul è tra quei 2mila. Lo concludendole con un onorevole ventiquattresimo sono anche i suoi genitori. A Bergen-Belsen furono posto. Ma Shaul è un testardo e non si accontenta. uccisi nella camere a gas oltre 100mila ebrei, anche Ha trentasei anni quando partecipa alle Olimpiadi di Shaul entrò in una camera a gas, ma fu assolto dalla Monaco del 1972. Ormai è una leggenda della grande morte: è uno dei pochi sopravvissuti dei 70mila ebrei distanza, uno abituato alla fatica. È l’unico dell’intera del Regno di Iugoslavia. Shaul sale nuovamente su spedizione olimpica israeliana a essere sopravvissu- un treno. Di nuovo appoggia la testa sul petto della to a un campo di concentramento, particolare che lo madre e si addormenta. Questa volta il treno giun- rende speciale davanti alla stampa di tutto il mondo. ge a destinazione. In Svizzera, le prime parole di sua Ritornare in Germania significa per lui gettare sale madre sono: – Sorridi figlio mio, oggi siamo nati una su ferite mai rimarginate. Tutti vogliono intervistar-

92 93 lo e lui risponde in un tedesco perfetto, imparato a Bergen-Belsen. Mentre si riscalda, prima della partenza, indossa una maglietta con la stella di David. Shaul Ladany conclu- de la sua gara al diciannovesimo posto con un tempo di 4 ore, 24 minuti e 38 secondi. Stanco morto, torna in albergo e si addormenta. Il resto della delegazione israeliana assiste a una commedia musicale. È da poco sorta l’alba del 5 settembre 1972 quan- do otto terroristi palestinesi armati di fucili, membri dell’organizzazione Settembre Nero per la liberazione della Palestina, fanno irruzione nel villaggio olimpico israeliano. Sono le 4 del mattino. I terroristi stanno per scavalcare la recinzione con borse piene di armi. Un gruppo di atleti canadesi rientrati dai locali notturni di Monaco li aiuta a scavalcare, credendo siano anche loro atleti. In pochissimo tempo la notizia fa il giro del mondo. Due atleti vengono subito uccisi. Alle 5:08 alcuni foglietti vengono gettati dal balcone del primo piano e raccolti da una guardia tedesca. I terroristi richiedono la liberazione di 234 detenuti nel- le carceri israeliane e dei terroristi tedeschi della Rote Armee Fraktion. L’ordine deve essere eseguito entro le 9:00 del mattino. In caso contrario, sarà ucciso un ostaggio per ogni ora di ritardo. Tutte le tivú del mon-

94 do sono puntate sul numero 31 di Connollystrasse. Il gli anni compiuti. Ha calcolato che in tutta la sua vita compagno di stanza di Ladany lo sveglia bruscamente. ha percorso oltre mezzo milione di miglia, decine di – Alzati, qui è pieno di terroristi arabi. volte il giro del mondo. Corre per non dimenticare la Shaul esce dalla sua stanza e immediatamente si Shoah, i campi di concentramento, il Massacro di Mo- rende conto di quello che sta accadendo. Chiude la naco di Baviera. «Sopravvivere è un caso, vivere una porta e rientra in camera. Ladany e il suo compagno scelta». Parola di Shaul Ladany, l’uomo nato tre volte. decidono di lasciare la stanza, vogliono scappare dal retro. Il piano però non li convince, perché devono at- traversare un prato, rendendosi cosí visibili ai terrori- sti. Ma lo fanno lo stesso. Si precipitano entrambi ver- so gli appartamenti della squadra americana. Bussano forte alla porta di Bill Bowerman, allenatore. Bill lancia l’allarme. Nel frattempo le televisioni di mezzo mon- do danno per morto Ladany. Alcuni scrivono: «Ladany non è sfuggito al suo destino in Germania per la se- conda volta». Ladany è uno dei cinque sopravvissu- ti al Massacro di Monaco di Baviera, dove persero la vita undici atleti e tecnici israeliani, cinque terroristi e un poliziotto tedesco. Tornato in patria, Ladany vie- ne accolto da 20mila persone. Mentre tutti tentano di abbracciarlo e baciarlo, capisce che è nato una terza volta. Shaul Ladany non ha mai smesso di correre. Oggi ha piú di ottant’anni e un by-pass coronarico. Ogni anno festeggia il suo compleanno percorrendo in chilometri

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lavoro. Il ragazzino corre. Pagliani accelera e il ragaz- zino accelera. Pagliani gira e il ragazzino gira. Paglia- IL PIÚ FAMOSO ni mette il turbo e il ragazzino mette il turbo. Spalla a spalla la stella delle corse italiana taglia il traguardo insieme a uno sconosciuto apprendista pasticciere di Carpi. Il nome di quello sconosciuto è Dorando Pietri. PERDENTE Figlio di contadini di un paese sperduto, Mandrio, nel comune di Correggio. Gente che ha lasciato il lavoro della terra a inizio secolo per aprire un negozio di DELLA STORIA frutta e verdura nella vicina Carpi. Dorando inizia a lavorare giovanissimo, come tutti i bambini di inizio Novecento. Nel tempo libero però, quel poco che gli rimane, lui corre, in bicicletta, a pie- Chi non ha paura delle mie tenebre, troverà anche di, tra i campi, lungo le strade. Dorando macina chi- pendii di rose sotto i miei cipressi. lometri senza mai fermarsi. Sono passati pochi giorni Friedrich Nietzsche da quando, abusivamente, ha corso al fianco del gran- de Pagliani. Ora è ai nastri di partenza a Bologna, una gara vera. 3mila metri. Dorando ha appena dicianno- ve anni. Al traguardo ha al collo la medaglia d’argento. 1904, CARPI, Emilia-Romagna, Italia. Il piú grande Secondo, il suo primo successo. Da lí in poi Dorando podista italiano Pericle Pagliani corre. Nessuno rie- non smette mai di correre, di correre e stupire. Vince sce a tenergli testa. Lui è sicuramente l’indiscusso la trenta chilometri di Parigi, con un distacco di ben sei vincitore della gara in corso. All’improvviso sbuca da minuti. Dopo due anni si è già qualificato alla marato- qualche parte un garzone. Un ragazzo minuto, alto na dei Giochi olimpici Intermedi di Atene. Si sente un meno di un metro e sessanta. Ha ancora gli abiti da leone, inarrestabile. Al ventiquattresimo chilometro è

98 99 in testa. I suoi inseguitori sono lontani cinque minuti, già boccheggiano prima della partenza. Ore 14:33. La sta andando a prendersi la medaglia. Mentre corre sen- principessa del Galles dà ufficialmente inizio alla gara. te già il peso dell’oro. Ma qualcuno, da qualche parte, Come pronosticato, in testa c’è un terzetto di britannici ha altri piani per Dorando Pietri e il suo intestino, sí il pronti a dare tutto per conquistare il metallo piú pre- suo intestino, inizia a far capricci. Il favorito si ritira uf- zioso davanti alla Regina. Pietri è nelle retroguardie, per ficialmente dalla gara per problemi intestinali. L’oro lo venti chilometri mantiene un ritmo blando. Conserva metterà al collo qualcun altro. Nonostante l’episodio di energie. Poi, quando nessuno pensa piú a una sua pos- Atene, Pietri in Italia non ha rivali. Non lo ferma nessu- sibile rimonta, mette il turbo cosí come fece con Pericle no. Vince e stravince di tutto su tutte le distanze. mentre indossava ancora il grembiule da pasticciere. È il 1908: se non fosse che è un anno bisestile, che Via via si sbarazza di tutti gli avversari, uno, due, tre, Robert Baden-Powell inventa gli scout, l’imperatore ci- quattro, otto, dodici, li stacca tutti. Sembra avere le ali nese Pu Yi sale al trono all’età di soli due anni, Olivetti ai piedi. La sua progressione è impressionante e gli in- inventa la prima macchina da scrivere, nasce il Corriere glesi lo guardano stupefatti. Chilometro 32, ne manca- dei Piccoli, e se non fosse che nel 1908 ci sono le Olim- no dieci all’arrivo. Pietri è secondo a soli quattro minuti piadi di Londra, lo ricorderemmo come un anno come dal sudafricano Charles Hefferon. L’africano si trascina tanti. Nel Regno Unito c’è anche Pietri e come poteva in balia della stanchezza, cosí Pietri ne approfitta e au- non esserci lui, che per mesi si è preparato a quell’e- menta inverosimilmente ancora il ritmo. È un dannato vento, lui che a Carpi ha corso quaranta chilometri in che corre senza pietà. Chilometro 39, Dorando Pietri 2 ore e 38 minuti, un risultato che nessun altro italiano supera Charles Hefferon. Chilometro 40, Pietri è stanco aveva mai raggiunto prima. morto. Chilometro 41, Pietri sente i piedi sprofondare e 24 luglio 1908. Ore 14:32. Pronti per la partenza ci ogni passo è un macigno da trascinare. Chilometro 42, sono cinquantasei atleti. Due italiani: Umberto Blasi e finalmente entra nello stadio. La mente annebbiata gli Dorando Pietri. Dorando, maglietta bianca e calzonci- fa sbagliare strada, cosí i giudici di gara lo correggono, ni rossi, sul petto ha il numero 19. Al Castello di Win- Pietri non capisce piú niente e cade per la prima volta dsor fa un caldo incredibile, nessuno se l’aspettava. Tutti esanime davanti a migliaia di persone, davanti ai sovra-

100 101 ni del Regno Unito. La gente a bordo pista lo aiuta, lo rimette in piedi. Ma Dorando barcolla. Mancano appena 200 metri al traguardo. I 75mila spettatori dello stadio hanno occhi solo per lui. Arrivano anche i medici, ter- rorizzati da quello sguardo spento. Dorando cade per la seconda volta, lo stadio sembra incitarlo ad alzarsi in piedi, a tagliare il traguardo. Lui ci prova, ma crolla. Fa qualche altro passo, qualche metro e di nuovo giú per la terza volta. In tribuna qualcuno piange, si commuove per quell’uomo che incarna perfettamente Fidippide, il soldato che sotto il peso di un’armatura completa corse per 40 chilometri dalla città di Maratona all’Acropoli di Atene per annunciare la vittoria sui persiani, 2398 anni prima. Fidippide era un emerodromo, letteralmente in greco antico «colui che corre un giorno intero». Que- sto sta accadendo a Londra, il tempo si sta dilatando e ogni passo di Dorando sembra un’eternità. 30 metri all’arrivo, 29, 28, 27, 20, 19, Dorando crolla per la quarta volta. Forse sarà stata la mano di Fidippide a rimetterlo in piedi, a dirgli che lui aveva un compito quel giorno, tagliare il traguardo e pronunciare le sue stesse parole. Nenikèkamen, «abbiamo vinto». Con ogni fibra dolente Dorando vince e poi sviene. Viene portato via dai medi- ci in barella. Ha percorso 42,195 chilometri in 2 ore, 54 minuti e 46 secondi. Per percorrere gli ultimi 500 metri

102 ha impiegato quasi dieci minuti. Mentre Dorando viene migliaia sono fuori senza biglietto. La gran parte sono portato via, entra nello stadio Johnny Hayes, americano. italoamericani. Bisognava correre una maratona all’in- Secondo in ordine di arrivo. Immediatamente la squa- terno dello stadio, 262 giri. La corsa del secolo. Pietri e dra statunitense presenta ricorso per gli aiuti che Pietri Hayes corrono testa a testa per tutta la gara, nessuno ha ricevuto. Il ricorso viene subito accolto e Dorando riesce a superare l’altro, la tensione è alle stelle. Man- squalificato. In tribuna c’è un certo Arthur Conan Doyle, cano 500 metri all’arrivo e Pietri questa volta non bar- l’inventore del famoso investigatore Sherlock Holmes, colla, mette il turbo e va a vincere. Le migliaia di italiani inviato del Daily Mail. La sua sensibilità lo porterà a scri- arrivati in America attraversando l’Oceano Atlantico vere il giorno dopo le seguenti parole: esultano. Dorando Pietri è ufficialmente un corridore La grande impresa dell’italiano non potrà mai esse- professionista. In tre anni correrà 22 gare vincendone re cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa 17. A soli ventisei anni abbandonerà le competizioni essere la decisione dei giudici. avendo guadagnato ben 200mila lire in premi e una Lo stesso Doyle dalle pagine del giornale per cui lavo- diaria settimanale di 1250 lire. Morirà all’età di cinquan- rava, avviò una sottoscrizione volontaria per raccoglie- tasei anni a Sanremo. Oggi il famoso trofeo donatogli re 500 sterline da donare a Pietri, il denaro necessario da Sua Maestà la regina Alessandra è custodito in una per aprire una panetteria. Doyle fu il primo donatore, cassetta di sicurezza a Carpi. Nessuno potrà mai can- con 5 sterline. La somma fu ampiamente recuperata. cellare quanto inciso su quella coppa: Pietri diventò famoso in tutto il mondo. Famoso per A Pietri Dorando, in ricordo della maratona da Windsor non aver vinto. La regina Alessandra in persona gli do- allo Stadio – 24 luglio 1908. Dalla regina Alessandra. nerà una coppa d’argento, trofeo che Dorando custo- dirà gelosamente per tutta la vita. 25 novembre 1908. Sono passati pochi mesi dalle Olimpiadi e tutto il mondo aspetta la rivincita tra Do- rando Pietri e l’americano Hayes. Al Madison Square Garden 20mila spettatori riempiono gli spalti. Altre

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Zaire muore di fame. Mobutu Sese Seko arriva dopo circa mezz’ora. Elegantissimo, indossa un copricapo in pelle di leopardo, detto toque. Occhiali con mon- tatura spessa, un bastone e una giacca grigia. Anche PUNIZIONE i ventidue calciatori indossano la stessa tipologia di vestito, detta abacost, acronimo di à bas le costum, ovvero «abbasso il costume». Da quando c’è Mobutu alla guida dello Zaire tutti i vestiti occidentali sono vietati, comprese le cravatte. Il divieto fa parte del INVERSA processo di africanizzazione dello Zaire, per troppi anni colonia europea. Lo stesso nome Zaire è un’idea di Mobutu: prima di lui la nazione si chiamava Re- pubblica democratica del Congo, e in Europa veniva Che ci sia la luna / sul sentiero notturno spesso chiamata anche Ex Congo Belga, dal Paese eu- di chi porta i fiori. ropeo che l’aveva colonizzato, Congo Leopoldville, in Takarai Kikaku onore del re del Belgio, o Congo Kinshasa, dal nome della capitale. Tutto ciò per distinguere questo pez- zo di mondo da un’altra ex colonia, quella francese, la Repubblica popolare del Congo. Zaire deriva dal VENTIDUE CALCIATORI ATTENDONO L’ARRIVO di Mo- modo in cui veniva chiamato il fiume Congo:nzadi , butu Sese Seko, il presidente dello Zaire. Per la pri- ovvero «il fiume che inghiotte tutti i fiumi». Il program- ma volta nella storia della Coppa del Mondo di calcio ma di autenticità africana di Mobutu non si ferma ai ve- una nazionale subsahariana prenderà parte alle fasi stiti. Ai preti viene vietato di battezzare i bambini con finali. Decima edizione, Germania Ovest, 1974. La vil- nomi europei, pena cinque anni di carcere. Lo stesso la del presidente è di un lusso sfrenato, mentre lo Mobutu cambia il suo nome da Joseph-Désiré Mobutu

106 107 in Mobutu Sese Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga, let- tutti, amici miei, che avete lottato senza tregua al no- teralmente «Il guerriero onnipotente che, per la sua stro fianco, chiedo di fare di questo giorno una data infinita e inflessibile volontà di vittoria andrà di con- illustre che conserverete per sempre incisa nel vostro quista in conquista lasciando il fuoco sulla sua scia». cuore, una data di cui insegnerete con soddisfazione il Mobutu è talmente megalomane che il nome del lago risultato ai vostri figli perché essi, a loro volta, facciano Alberto diventa lago Mobutu Sese Seko. È un ditta- conoscere ai loro figli e ai loro nipoti la storia gloriosa tore, la gente ha paura di lui. Si fa chiamare «Padre della nostra lotta per la libertà». della Nazione», «Messia», «Guida della Rivoluzione», Quello fu un bel momento per il popolo del Congo. I «Timoniere», «Fondatore», «Salvatore del Popolo» piú anziani lo ricordano. Ricordano anche che gli stra- e «Supremo Combattente». Mobutu è un corrotto e nieri fecero finta di andarsene. Controllavano ancora con i soldi dello Stato ha acquistato i contratti di tutti le miniere, l’esercito. Lumumba voleva nazionalizzare i calciatori congolesi che giocano in Belgio. Ora gio- tutto, cosí belgi e CIA appoggiarono un colpo di Stato, cano tutti in patria, sono tutti di proprietà di Mobutu. guidato da Mobutu, che tradí la fiducia del presiden- – Benvenuti nella casa del Messia. Ognuno di voi rice- te, il quale lo aveva nominato Capo di Stato Maggio- verà un’automobile nuova. Una Volkswagen verde. Al re. Durò poco il sogno di Lumumba, troppo vicino al vostro rientro dal mondiale riceverete 45mila dollari a comunismo in piena Guerra Fredda. Il 17 gennaio 1961 testa. Lumumba e due dei suoi fedelissimi compagni di lotta, I giovani della squadra esultano. «Diventeremo ric- Maurice Mpolo e Joseph Okito, furono portati in aereo chi» pensano. Una barca di soldi e un’automobile per- a Elisabethville. Nel pomeriggio furono fucilati e sep- sonale. Metà squadra ride, l’altra no. L’altra ricorda. I pelliti in tutta fretta. piú anziani ricordano quello che è accaduto nel 1960. Mobutu guarda quei calciatori impassibili. Lui ha bi- Per la prima volta dopo centinaia di anni, veniva eletto sogno di loro, ha bisogno di far conoscere al mondo democraticamente dal popolo un presidente: Patrice il potere dello Zaire, il potere del Messia. E quale mi- Lumumba. Mai piú belgi, mai piú colonia, libertà, liber- gliore occasione della Coppa del Mondo in Europa? tà, libertà! Queste le prime parole di Lumumba: «A voi I calciatori partono per la Germania, salutati da una

108 109 folla povera di tifosi. Nel secondo girone, gli africani tori non vogliono scendere in campo. Hanno il sospetto sfideranno la Scozia, la Iugoslavia e i campioni in cari- che i politici abbiano intascato le somme di denaro al ca del Brasile. loro posto. C’è qualcuno che parla di un uomo scappa- 14 giugno 1974, Westfalenstadion, Dortmund. La to dalla Germania con valigie piene di soldi. I calciatori Scozia sfida lo Zaire. L’allenatore degli africani è Bla- si sentono presi in giro. Niente partita. La risposta degli goja Vidinić, macedone, già allenatore del Marocco. uomini di Mobutu è semplice: «O scendete in campo, Lo Zaire indossa una maglietta giallo verde. In pet- oppure al ritorno in patria andrete tutti in prigione». to un cerchio con all’interno un leopardo, l’ossessione La partita si fa, ma viene completamente boicottata di Mobutu. Lo Zaire è sfavorito, l’allenatore scozzese dai calciatori. Iugoslavia 9 Zaire 0. L’allenatore Vidinić, Willie Ormond dichiara poco prima della partita: – Se inspiegabilmente, sul 3 a 0 per gli slavi, sostituisce il non siamo capaci di battere lo Zaire, possiamo anche portiere Kazadi con Tubilandu, alto meno di un me- fare i bagagli. tro e settanta. Perché? Il rappresentante del Ministe- Al 26° minuto la Scozia passa in vantaggio con Lori- ro dello Sport dello Zaire, Lockwa, aveva ordinato mer. Al 33° raddoppia Joe Jordan di testa che, solo da- all’allenatore macedone di sostituire Kazadi. Mobutu vanti al portiere avversario Mwamba Kazadi, insacca. Il decide anche le sostituzioni. Il dittatore non può per- portiere inspiegabilmente si fa passare il pallone sotto- mettere a quei ventidue calciatori di disonorare la sua braccio dopo la debole conclusione dello scozzese. Nel nazione. Lui è conosciuto in tutto il mondo, lui è stato secondo tempo lo Zaire ci prova, ma nonostante lim- fotografato alla Casa Bianca con il presidente Nixon, pide palle goal, la partita finisce 2 a 0 per gli scozzesi. ha parlato alle Nazioni Unite, al Pentagono, la regina Mobutu nella sua villa non brinda piú. È furioso. Elisabetta II l’ha fatto salire sulla sua carrozza. Lui sta 18 giugno 1974. Gelsenkirchen, Parkstadion. Ultima organizzando l’incontro del secolo in cui si sfideran- chance. Iugoslavia–Zaire. Decine di delegati, politici, no, a Kinshasa, Muhammad Ali e George Foreman. Lui dirigenti al seguito dello Zaire annunciano poche ore non può permettere tanto disonore. prima della gara che nessuno dei calciatori riceverà il Lo Zaire è ormai eliminato. Manca l’ultima partita con- premio di 45mila dollari promesso da Mobutu. I calcia- tro il Brasile campione in carica. In albergo, i calciatori

110 111 vengono tutti avvisati. Ordini di Mobutu. «Se perdete tato sul 2 a 0. I calciatori in campo sudano. Francisco con il Brasile con piú di tre goal di scarto, morirete tut- Marinho, il diavolo biondo, mette in difficoltà un certo ti». I calciatori si guardano in faccia. Stanno rischiando Joseph Mwepu Ilunga, terzino destro venticinquenne la vita per una partita. Qualcuno, impaurito, si mangia nato nella capitale dello Zaire, anonimo calciatore del le mani, qualcuno piange di rabbia. Si sentono traditi. campionato del suo Paese. Al 79° minuto, Valdomiro Loro sono in Germania e rischiano di essere fucilati dai lascia partire un tiro-cross. Il portiere Kazadi fa un’altra missili brasiliani e Mobutu è nella sua villa con un conto mezza papera e il tabellino segna 3 a 0 per il Brasile. alla Swiss Bank di 5 miliardi di dollari, una cifra equi- Mancano ancora dieci minuti, in cui ventidue calciatori valente al debito estero dello Stato. Loro sono in Ger- possono vivere o morire. 85° minuto, punizione per il mania, impauriti, a difendere i colori di una nazione in Brasile. Sulla palla va Rivelino, un tiratore eccezionale. cui non credono, e Mobutu fa costruire aeroporti come In barriera c’è il terrore. Quei ragazzi africani si sento- quello di Gbadolite, sua città natale, grandi abbastanza no come un gruppo di condannati a morte davanti al per far atterrare un Concorde. Lo Zaire muore di fame boia brasiliano pronto a tirare il grilletto. Rivelino calcia e lui affitta aerei per andare a Parigi a fare spese per la con le tre dita e i suoi tiri hanno un effetto incredibile. sua famiglia. Lo Zaire muore di fame e lui vende uranio, Kazadi in porta è terrorizzato. Qui accade qualcosa che oro e diamanti agli occidentali che gli passano le armi. nessuno è mai riuscito a spiegare. Dalla barriera esce 22 giugno 1974, Francoforte. Waldstadion. 36200 Mwepu e dopo pochi passi lancia con un potentissimo spettatori, arbitra il rumeno Rainea. I brasiliani con il tiro il pallone posizionato da Rivelino. Quasi becca in 3 a 0 passano il turno. Tra le loro file Jairzinho, Valdo- faccia il calciatore brasiliano. Tutto il mondo ride. Rive- miro, Rivelino e il diavolo biondo Marinho. Le squadre lino è incredulo e l’arbitro ammonisce Mwepu che tor- scendono in campo. Inizia la partita. Al 13° minuto, Jai- na in barriera, quasi stupito dall’ammonizione. Come a rzinho porta in vantaggio i verdeoro. I leopardi lottano voler dire: «Che c’è, non posso farlo?». I telecronisti di su ogni pallone. Nel secondo tempo Rivelino, uno dei tutto il mondo ridono, c’è chi dice che i belgi non sono piú forti calciatori del mondo, fulmina il portiere con un stati nemmeno in grado di insegnare il calcio agli «in- potente sinistro. Goal del numero 10 brasiliano e risul- digeni», qualcuno ipotizza che Mwepu non conosca il

112 113 regolamento, qualcuno dice per scherzo che forse in Zaire se un calcio di punizione non viene battuto entro trenta secondi la palla torna in gioco. Il tempo passa. Rivelino tira, il tempo si ferma. In barriera chiudono gli occhi. Kazadi, il portiere, chiude gli occhi. Rivelino non segna. Sono tutti salvi. Per oltre vent’anni Mwepu è stato deriso da tutto il mondo sportivo, per oltre vent’anni è stato definito l’uomo della punizione all’incontrario. Lui voleva sem- plicemente salvarsi la vita.

115 13

Sono queste le parole del papà di Kathrine Virginia Switzer pronunciate in una casetta del Wisconsin, ad Amberg. Stati Uniti d’America. Anno domini 1966. Kathy è iscritta al college di Syracuse. Ha diciotto anni NON MI e per non fare capriole e sventolare pon pon in onore del grande sportivo di turno, su consiglio di papà, deci- de di giocare a hockey, ed è anche brava. Un giorno bussa alla porta della sua stanza un posti- no, o meglio il postino Arnie Briggs. Un cinquantenne. FERMO Kathy lo conosce, fa finta di niente, ma sa chi è. Drin drin. – C’è posta. Arnie ha partecipato a quindici edizioni della Marato- Alcune strade portano piú a un destino na di Boston. Vedendolo non si direbbe, ma è un maci- che a una destinazione. natore di chilometri. Jules Verne – Io voglio correre, – dice Kathy. – E corri, – risponde Arnie. – Appuntamento domani ore otto in punto. Non tardare, che se partiamo non ci becchi piú. – KATHY, TI HO DETTO DI NO. Kathy quasi non dorme. Alle otto in punto ha la sua – Papà, ma io voglio farlo. tuta e le scarpe da ginnastica. Parte, si allena insieme – E io ti dico che questa cosa delle cheerleader è umi- agli uomini. Non è un allenamento, non è corsa, è storia. liante. Sii protagonista del tuo destino. La storia non la È Arnie Briggs che racconta i miti, gli eroi, i talenti della fanno quelli che stanno a guardare seduti in uno stadio, Maratona di Boston, anno dopo anno, chilometro dopo la storia la fanno quelli che scendono in campo. chilometro. Il tempo passa e le orecchie sono concen-

116 117 trate sui discorsi di Arnie, mentre i piedi volano tenen- – Arnie, io questa Maratona di Boston voglio correrla. do il passo del cantastorie maratoneta. Primo giorno – Ma lo sai che è vietata. Nessuna donna è mai riusci- tredici miglia. Mezza maratona. Gli uomini si guardano ta a correre 26 miglia. increduli. – Io domani ti dimostrerò che posso farlo. – E brava la ragazzina! Mezza maratona al primo ten- Giorno importante, mancano solo tre settimane alla tativo. Maratona di Boston. Kathy si allaccia le sue scarpe bian- – La fortuna del principiante. che, si lega i capelli e start. Miglia numero uno, due, tre, – Domani sarà cosí stanca che nemmeno si presente- quattro, si sente una leonessa. Otto, dieci, dodici. Sia- rà all’appuntamento. mo già alla metà. Quindici, diciotto, venti. Non mollare Luce rossa, errore. Ritenta. Ore otto, giorno 2. Kathy Kathy, non mollare. Ventiquattro, venticinque, ventisei. Switzer, presente. Giorno 3, presente. Giorno 4, dodi- Finish line. ci miglia. Giorno 5, presente. Giorno 6 presente, mol- Giorno dopo. Drin drin. L’acido lattico nelle gambe ti maschi assenti. Giorno 7, riposo sacrosanto. Kathy non permette a Kathy nemmeno di alzarsi dal letto e lascia l’hockey, correre è un’altra cosa. Ama tremen- aprire la porta. damente la corsa di fondo, solo che siamo nel 1966 e – Arrivo! non esiste nemmeno una sola squadra in tutti gli Sta- Drin drin. ti Uniti d’America di corsa di fondo per donne. Atten- – Arrivo! zione, danger, pericolo. Le donne sono troppo deboli Drin drin. per correre lunghe distanze, lo sforzo fisico richiesto – Ma che c’è, è iniziata la Maratona di Boston e io non a una donna potrebbe causare addirittura l’infertilità. lo so? Queste sono le tesi di chi giudica inadatta una donna È Arnie, in mano stringe i moduli per l’iscrizione alla alla corsa. Giorno non ricordo quale, ovviamente Kathy gara tanto sognata. c’è. Arnie ricomincia la solita cantilena di quando sette – Ora mi piaci, vecchio postino. anni prima improvvisamente dal gruppone si staccò un – Aspetta, non mettere il tuo vero nome, non faranno ragazzo mingherlino che senza mai guardare indietro... mai partecipare una donna.

118 119 – Allora che faccio, mento? tenta di strapparle la pettorina numero 261. Jock Sem- – No. In questo modulo non c’è scritto da nessuna ple, giudice di gara, urla: – Via dalla mia gara! parte che una donna non può partecipare. Metti le tue L’ex maratoneta Jock vuole la pettorina di Kathy. La iniziali, K.V. Nessuno se ne accorgerà. ragazza si divincola. Arnie dice a Jock che è a posto, – D’accordo. che la ragazza si è allenata con lui, che non deve preoc- La neoiscritta Kathy non sta nella pelle, va subito a cuparsi. Ma niente, Jock strattona, rincorre. Kathy ha dirlo al suo fidanzato, Tom Miller, lanciatore di martello uno sguardo cupo, triste, le gambe si fanno pesanti. Si nel giro della nazionale. sente attanagliata, quasi Jock fosse un lupo pronto a – Sono iscritta. morderla. Kathy è infastidita, urla preoccupata. Tom se – Se tu corri ventisei miglia, posso farlo anche io. ne accorge e prima che Jock possa mettere le mani ad- Tom Miller iscritto. dosso alla sua ragazza, lo placca. Fisicamente. Lo spin- 19 aprile 1967. Giorno X. Una ragazza di vent’anni è ge con tutta la potenza dei suoi muscoli a bordo strada. ai nastri di partenza della Maratona di Boston. Sul pet- 106 chili spingono il sessismo un po’ piú in là. Mentre to ha il numero 261. È tesa come una corda di violino. dietro succede il putiferio, Kathy mette il turbo. Tom la Piove, piove come se qualcuno dall’alto avesse dimen- raggiunge. Kathy vuole ringraziarlo, ma il lanciatore che ticato il rubinetto aperto, e sul lato del freddo. La gente l’ha appena protetta, salvata, fatta sentire importante inizia a notare la ragazza, lo fanno i corridori e anche i urla: – Per questo casino perderò le Olimpiadi –. Senza giornalisti. Flash, flash, flash, domande, domande, do- nemmeno degnare Kathy e il gruppo di uno sguardo, mande. Sono partiti solo da qualche miglio e Kathy non corre avanti in solitaria. Kathy non ha corso nemmeno sente nemmeno l’ombra, l’accenno della stanchezza. mezza maratona e vuole scomparire. Sciogliersi come Kathy mantiene il ritmo, cosí come Arnie, Tom e il resto un ghiacciolo. Vorrebbe avere due pon pon in mano e del gruppo. Improvvisamente una macchina si accosta, far il tifo per Arnie a bordo campo. la portiera sbatte forte, fa un rumore sgradevole. Kathy «Forse hanno ragione, le donne non riusciranno mai sente alle sue spalle scarpe non da ginnastica correre a finire una maratona. Ma come mi è venuto in mente? in modo spropositato. Un uomo in pantaloni e giacca Mi ritiro. Mi fanno male le gambe. Okay, allora mi fermo,

120 121 qualche altro miglio e mi fermo. Ma anche no! Non mi fermo. Non mi fermo perché i Jock di tutto il mondo non l’avranno vinta da una come me». Kathy accelera, anche Arnie lo fa. Kathy sorpassa Tom che non regge il passo. «Non mi fermo perché, diamine!, noi donne dobbia- mo lottare pure per correre. Non mi fermo perché mi sono allenata. Non mi fermo per rispetto per Arnie. Non mi fermo perché sto ancora bene. Non mi fermo per- ché correre non porta all’infertilità. Non mi fermo perché una donna può iniziare e finire un’intera maratona». Le scarpe bianche sono quasi diventate rosse, come i calzini, sporchi di sangue. Le mani sono congelate, pio- ve neve sciolta, come i pregiudizi che si disintegrano metro dopo metro. «Non mi fermo perché aveva ragione mio padre, vo- glio essere protagonista del mio destino. Non mi fermo perché voglio vedere sventolare i pon pon per me». La bandiera si avvicina sempre di piú, Kathy la vede ingigantirsi a ogni falcata. Finish line. «Prima tu, Arnie, taglia il traguardo. Un omaggio per tutto quello che hai fatto per me». Kathrine Virginia Switzer conclude la Maratona di Bo- ston del 1967 con il tempo di 4 ore e 20 minuti. Non importa se il regolamento la esclude, se la sua parte-

122 14 cipazione non è ufficiale, non importano le regole e le classifiche, da oggi nessuno potrà piú dire che una don- na non può correre insieme agli uomini, come gli uomini, IN GUERRA meglio degli uomini, una maratona. L’hanno vista tutti. I giornalisti di tutta l’America sono lí, pronti a farle do- mande e congratulazioni. Il numero 261 ancora appicci- cato sulla tuta. Jock non è riuscito a staccarle la dignità. NON ESISTONO Cinque anni dopo l’impresa di Kathy, la Maratona di Boston verrà aperta a tutte le donne. Grazie a persone come Kathy Switzer, il Comitato Olimpico Internazio- PAREGGI nale introdurrà alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 la maratona per donne. Il 17 aprile del 2017, in occasione dei cinquant’anni del suo traguardo, Kathy ha preso parte nuovamente alla E sogna chi non crede che sia tutto qui. Maratona di Boston, indossando il numero 261. Gli or- Luciano Ligabue ganizzatori, in suo onore hanno deciso di ritirare il 261 da tutte le future competizioni.

TOC TOC. BUSSANO ALLA PORTA. Mario non si muove. Toc toc. Mario è ancora fermo sulla sua poltrona. Toc toc. – Aprite subito, è la Wehrmacht. Mario Maurelli impallidisce. Ogni passo che fa ver- so la porta è un quintale di pensieri che cade a terra. Maurelli ha paura. Ha trent’anni, eppure ha paura come un bimbo del buio.

124 125 La porta si apre e due ufficiali tedeschi in divisa sono un mese prima, tre tedeschi sono stati uccisi durante sull’uscio. un’imboscata. I nazisti sono su tutte le furie. Si prepa- – È lei l’arbitro Maurelli? rano a rastrellare casa per casa. Per evitare fucilazioni Mario non risponde. Annuisce. «Cosa vogliono da di massa, il comandante della Brigata Val Fiastre, Decio me?» pensa. I due ufficiali iniziano a parlare, vogliono Filipponi, si è consegnato volontariamente ai tedeschi. organizzare una partita di calcio, tedeschi contro italia- Dopo alcune settimane è stato condannato a morte. Il ni. Deve trovare undici ragazzi di pari età dei tedeschi e 29 marzo 1944 si è sacrificato per altri ragazzi del suo deve anche arbitrare. Paese. È stato impiccato, e le urla di gioia dei tedeschi Mario Maurelli è un ex arbitro di serie A. La porta si rimbombano ancora a Sarnano, piccola cittadina sulle chiude e lui sprofonda nei pensieri che gli annebbia- colline del maceratese. no il cervello. «Ma dove li trovo undici ragazzi pronti a Tutto il paese ha paura. Come farà Mario a mettere sfidare i tedeschi? Qui gli unici rimasti sono partigiani su una squadra? Anche i tedeschi sono a pezzi, il ser- che si nascondono sulle montagne del maceratese, sui gente in carica sa che il morale dei suoi uomini, lontani Monti Sibillini». da anni da casa, è a terra. Dalla Germania, inoltre, non Mario però tira un sospiro di sollievo. Credeva che i arrivano buone notizie: la sconfitta sembra imminen- nazisti cercassero suo fratello: Mimmo. te. E allora cosa c’è di meglio del calcio per rendere Mimmo è un ex soldato del regio esercito: dopo es- un’occupazione, una guerra, le atrocità, meno anorma- sere stato spedito al fronte nelle campagne di Grecia li? Maurelli è una persona stimata in paese. «Non accet- e Albania, dopo aver spalato le macerie del bombar- terà nessuno, – pensa. – Come si può giocare con loro damento di San Lorenzo a Roma, si è rifugiato sull’Ap- come se niente fosse?» pennino insieme ad altri partigiani ed ex soldati, che Mario vorrebbe rifiutare, giocare una partita mentre dopo l’8 settembre si sono spogliati della divisa mili- la gente muore o soffre lutti quotidianamente è sba- tare per tornare a casa in abiti civili. In paese si respira gliato. Il paese, com’era prevedibile, non accetta la gara. una bruttissima aria. Nessuno cammina per le strade, si Ma come si fa a dire di no ai tedeschi? Il sergente della temono rappresaglie da un momento all’altro. Appena Wehrmacht non la prende bene. – Forse non avete ca-

126 127 pito, questa partita si deve giocare, Maurelli, altrimenti Sarnano, 1° aprile 1944. Campo da calcio del paese, io vi prometto che non passerà giorno in questo paese alle spalle della chiesa di San Filippo, sabato mattina. I senza che voi piangiate un morto o dobbiate temere tedeschi sono già in campo, man mano scendono ve- un rastrellamento. loci dalle montagne i convocati italiani. Senza fermarsi, – Sergente, ma gli uomini hanno paura. entrano direttamente in campo. A bordo campo, sol- – Prometto sul mio onore di soldato che ai giocatori dati in divisa impugnano armi. Un pessimo clima per italiani, siano anch’essi partigiani, sarà evitata la depor- giocare allo sport piú bello del mondo. Tra le file ita- tazione. liane lo schema è semplice e non ammette errori. Si Ora non si può piú dire no. deve perdere e ci si salva la vita. – Mi raccomando, – fa – Ah, Maurelli, anche vostro fratello, che si nasconde Maurelli, – non fingete troppo, altrimenti se ne accor- sulle colline, deve giocare la partita. Fatevi aiutare da gono ed è peggio. lui a cercare i membri della squadra. Le montagne sono Gli italiani sono in attacco, il terzino Lucarelli lascia piene di ragazzi. partire un cross a centro area, Grattini non resiste e Un brivido scorre lungo la schiena dell’ex arbitro di insacca: è 1 a 0 per l’Italia. Sugli spalti non esulta nes- serie A. Molti partigiani temono che Mario sia un colla- suno: terrorizzati, gli spettatori guardano l’arbitro Mau- borazionista. Ciò offende l’onore di Maurelli, che a ga- relli senza parole. «Ma cosa hai fatto, Grattini, vuoi farci ranzia delle sue buone intenzioni e della sua dignità fucilare tutti?» schiera, come primo uomo in campo, il fratello Mimmo. Nemmeno Grattini esulta. Fine del primo tempo. In paese cresce la paura. – È una trappola, – gridano Negli spogliatoi i ragazzi si guardano in faccia. Che mamme e mogli. – Vi fucileranno tutti. È solo un modo succede se vinciamo? Non si può rischiare per una per farvi uscire dai vostri nascondigli e uccidervi. Cosa partita di pallone. Bisogna farli pareggiare a tutti i co- vi aspettate? sti. Inizia la ripresa, Mimmo Maurelli falcia il tedesco Gli undici calciatori scelti pensano e ripensano sem- Kobler, il nazista reagisce, l’arbitro espelle entrambi. pre e solo alla stessa cosa. I tedeschi rispetteranno i Gli italiani giocano a perdere, ma i tedeschi sono cosí patti? O ci stiamo consegnando al lupo? scarsi che non riescono a buttarla dentro. Senza tec-

128 129 nica, senza velocità, non sono per niente una squa- dra. Il cronometro di Mario corre veloce. Settantesi- mo, settantacinquesimo, ottantesimo. Mancano solo cinque minuti quando Libero Lucarini, ex soldato dell’esercito italiano passato con la Resistenza, si la- scia superare dall’ala sinistra tedesca, facendo finta di scivolare. Il tedesco, eccitato dalla giocata, si trova a tu per tu con il portiere. Tiro. Rete! 1 a 1. I tedeschi con i mitra a bordo campo esultano, ma esultano senza muoversi di un centimetro anche le mogli, le mamme, i calciatori italiani e l’arbitro Maurelli. Ultimo minuto di gioco, ormai è finita. Gli italiani incredibilmente si gettano in attacco, un classico contropiede. L’azione si fa sempre piú pericolosa con il passare degli istanti. I tedeschi sono sulle gambe. Mario Maurelli, per pre- cauzione, fischia tre volte. Tutti a casa. Gli undici ita- liani escono di corsa dal campo, senza fermarsi cor- rono dritti verso le montagne. Vanno a nascondersi nuovamente. Al rinfresco disertato dalla squadra ospitante i tede- schi mantengono il patto e non uccidono nessuno. La sera, sui monti, davanti a un misero fuoco, i calciatori partigiani ripassano le azioni salienti della partita. C’è un pizzico di rammarico, avrebbero potuto vincere. Gli avversari erano scarsi. Qualcuno spegne il fuoco. Ci si

130 15 addormenta. Domani ricomincia la partita della vita, dove non esistono pareggi. Mario Maurelli è morto nel 2000, a ottantasei anni. Il comune di Sarnano gli ha intitolato il campo sportivo di calcio. LA LOCOMOTIVA UMANA

Ricorda, mio caro Sancho, chi vale di piú, deve fare di piú. Miguel de Cervantes

– PAUSA. EHI, TESTONI HO DETTO PAUSA. Gli operai della fabbrica di scarpe piú famosa della Cecoslovacchia si fermano. – Dite sempre che non volete lavorare, ora vi do pau- sa e niente, fate finta di non sentire –. Tutti ascoltano il capo. – Abbiamo organizzato una gara di corsa, chi

132 133 vuole partecipare? – Nessuna mano alzata. – Ripeto. sto di otto figli. Non sorride nemmeno quando finisce Tutti quelli non malati devono partecipare con una ma- la guerra. Nel 1948, a soli ventisei anni, si presenta alle glietta con il nostro logo sul petto –. Silenzio, nessuna Olimpiadi di Londra da perfetto sconosciuto. È lí per mano alzata. – Ripeto. Chi non vuol essere licenziato correre i 10mila metri. Start. Primo classificato, Emil deve partecipare alla gara –. Tutte le mani su. Tutte, Zátopek. – Ehi, Emil, guarda che stanno per iniziare i compresa quella di Emil Zátopek, un operaio sulle sue, 5mila metri. Se fai in tempo, puoi correre anche quella tanta fatica e pochi discorsi. È il 15 maggio 1941. Emil si gara –. Con un misero tempo di recupero, Emil parte- finge infortunato, si nasconde in biblioteca, ma lo tro- cipa anche a quella gara e arriva secondo. Vince e non vano e lo costringono a correre. Poi, la gara amatoriale sorride. Quando un giornalista gli chiede il perché, lui organizzata dalla ditta di scarpe cecoslovacca la stra- risponde cosí: – Non ho abbastanza talento per correre corre. Arriva secondo. e sorridere allo stesso tempo. – Sei bravo a correre. Ottimo, Emil. Però, ogni tanto, Quattro anni dopo a Helsinki, in Finlandia, è attesis- sorridi! simo. Tutti aspettano «la Locomotiva Umana». Lui è Zátopek non smette piú di correre. 72 chilogrammi il capitano della sua nazione, ma non si presenta. La per 182 centimetri in continuo movimento. Il ciabattino Cecoslovacchia, come molte nazioni del blocco sovie- cecoslovacco fa parlare tutta la nazione. Emil si allena tico, è una pedina dei russi, e quando Emil scopre che come lavora, con una precisione meticolosa. Crea un Stanislav Jungwirth, suo amico, è escluso dai giochi suo personale metodo di allenamento. 50 volte 400 perché suo padre è ritenuto un pericoloso sovversi- metri prima di mangiare e 50 volte 400 metri dopo vo, è categorico: – O fate partire Stanislav o io alle pranzo. Tra una ripetuta e un’altra, solo 200 metri di Olimpiadi non vengo –. Ottiene quello che vuole, ma riposo. Chilometri come se fossero pillole. La gente il regime non può permettersi intromissioni, e tutto il quasi non ci crede, perché nessuno lo vede. Lui spari- mondo sa già che al ritorno in patria Emil se la dovrà sce dalle strade, si perde nella boscaglia, nella frescura vedere con i capi della falce e martello. Intanto, in Fin- degli alberi. Emil è sempre in disparte e non sorride landia, stravince contro il suo rivale storico, il francese mai mentre si allena. Viene da una famiglia povera, se- Alain Mimoun: doppio oro, 5mila e 10mila metri. Nello

134 135 stesso preciso momento in cui lui si laurea campione è tra i piú forti. Start. Emil è una zecca e Peters se ne nei 5mila metri, sua moglie Dana, lanciatrice del gia- accorge. L’inglese rallenta ed Emil rallenta, l’inglese vellotto, vince l’oro. Insomma, una famiglia dorata. Nei accelera ed Emil accelera. Corrono da 20 chilometri, 10mila metri è il primo atleta a infrangere la barriera mezza maratona, e sono in testa entrambi. Emil un dei ventinove minuti. «Questo non è un uomo, è un passo indietro. Zátopek si avvicina all’inglese, chiede treno» scrivono i giornali. Non è un corridore molto se il ritmo è buono, lui non ne sa niente di maratone. elegante. Sulla pista ansima, barcolla, sembra venir L’inglese bluffa. Dobbiamo accelerare. Vuol far spom- meno. pare Zátopek, farlo scoppiare. Emil ci crede e aumen- In Finlandia, poi, accade qualcosa che nessuno si spie- ta il passo. Peters non riesce a stargli dietro, va troppo ga. – Ehi, Emil guarda che sta per iniziare la maratona. veloce. «Ora si ferma, ora si ferma, ora scoppia e io – E che ci faccio io con la maratona? vinco. Vedrai che si ferma» si ripete l’inglese. Ma la Lo- – Come che ci fai? Corri. comotiva Umana sbuffa e non si ferma piú. Jim Peters – Ma non ho mai corso una maratona. non tiene il ritmo, scoppia e si ritira. Il treno cecoslo- – Vuol dire che questa sarà la prima. vacco chiude la gara in solitaria, quasi al galoppo, par- Tutto ciò a pochi minuti dall’inizio della gara. lotta con giornalisti e fotografi, come se niente fosse, Emil Zátopek, nello stupore generale, è ai nastri di come se non stesse per vincere nella stessa olimpiade partenza. – Ma che fa? – chiedono i giornalisti sul posto. 5mila metri, 10mila metri e maratona. Ciuf ciuf! Tra- Uno che si allena per i 10mila metri non può certo cor- guardo. La Locomotiva Umana giunge alla stazione rere una maratona. Emil sí! Il favorito è l’inglese Jim Pe- dorata. ters, un primatista. Uno che fa la maratona perché nei La sua è stata un’impresa unica. Quando torna in pa- 5mila e 10mila metri c’è Emil, e contro Emil non vince tria non c’è nessuna punizione ad attenderlo, Emil è piú piú nessuno. – Piacere, sono Zátopek –. Peters, infasti- famoso del regime. Regime che a Emil non va proprio dito, gli stringe la mano. giú. Lui è un comunista convinto, però qualcosa deve La tattica di Emil è semplice: si attacca al piú forte e cambiare. Cosí, quando Dubček lancia il Manifesto del- mantiene il suo ritmo. Se riesce a stare con il piú forte le Duemila Parole, una serie di punti programmatici per

136 137 cambiare la nazione, Emil firma. Il resto è storia. La Pri- mavera di Praga, i carri armati russi per le strade. An- che Emil è in piazza, i russi gli stringono la mano, non hanno capito che lui è il nemico, lui vuole un sociali- smo piú giusto. I suoi applausi a Dubček non vanno giú a Mosca, che crea un governo fantoccio filosovietico. E in tutto questo trambusto politico e civile, che fine fa la Locomotiva Umana? Lo Stato, per ringraziarlo, lo espelle dal partito comunista e anche dall’esercito: gra- di annullati, nessuna pensione. Emil non fa piú ciuf ciuf. Viene spedito ai confini della nazione a Jáchymov, in una miniera di uranio. A tre maratone da casa. Per sei lunghissimi anni vive in un magazzino, sottoterra, tra materiale radioattivo, al buio, senza riflettori, maneg- giando pietre che qualcuno dice diano super poteri, ma lui li ha già! Emil resiste! Senza sole, senza gioia, senza corsa, senz’aria, senza falcate, senza medaglie. Resiste. È questo il suo superpotere. Emil, dopo anni di miniera, viene trasferito a Praga. Spazzino! Ma non si lamenta, e mentre pulisce strade e trascina cassonetti, la gente lo saluta di nascosto dalle finestre. I suoi colleghi gli vietano di raccogliere spazzatura: Emil è il loro eroe! Allora Zátopek corre dietro il camion della nettezza ur- bana, falcata dopo falcata, e la gente lo osanna. Tutte le mattine, gli abitanti del quartiere in cui lavora, svuo-

138 16 tano da soli le pattumiere nel cassonetto, per rispetto al campione. Ci sono voluti ventidue anni prima che la Cecoslo- vacchia si ricordasse di lui, riabilitando Emil Zátopek. Ci ha pensato il presidente scrittore Václav Havel nel IL PUGILE CON 1990, il primo presidente democraticamente eletto del suo Paese dal 1958. Nel 1998 lo stesso presidente gli riconosce il Leone Bianco, la piú alta onorificenza ceca. LE CARAMELLE Queste le sue parole: «Vantarsi di una prestazione che non sarò in grado di migliorare è stupido; e se posso migliorarla significa che non vi è niente di speciale. Ciò che è passato è già finito. È piú interessante quello che deve ancora venire». Nel 2012 l’International Associa- tion of Athletics Federation l’ha inserito nella Hall of C’è una crepa in ogni cosa. Fame dei corridori. Queste le sue piú belle parole: «Un È da lí che entra la luce. atleta non può correre con i soldi nelle tasche. Deve Leonard Cohen correre con la speranza nel cuore e i sogni nella testa». Ciuf ciuf.

– MAMMA, MA PAPÀ DOV’È? – Papà se n’è andato. Soltanto questo sente dalle labbra della madre il giovane Emile Griffith. Il mare delle Isole Vergini, dove vive, diventa improvvisamente cupo come il futuro. In pochi mesi i numerosi fratelli di Emile vengono smistati

140 141 qua e là, chi in adozione, chi a casa di parenti. Emile gia distruttiva. Però è anche un tipo strano. Siamo negli finisce da zia Blanche. Lí la vita fa schifo, viene punito anni Sessanta e lui è un pugile di colore. Un pugile che un giorno sí e l’altro pure. Zia Blanche urla istericamen- ama ballare, con una voce stridula, dolce. Emile com- te ogni volta che Emile spreca anche una sola goccia pra cento dollari di caramelle e le regala ai ragazzi della d’acqua. Di notte il ragazzino spera, sogna, desidera, di palestra, ai ragazzi del quartiere. La domenica è sem- andare all’orfanotrofio di Saint Thomas: sempre meglio pre presente nella chiesa missionaria di Saint James, un letto con le pulci che una vipera per zia. è lí in prima fila, pronto a cantare nel coro. Un pugile Emile cresce e decide di emigrare negli Stati Uniti non indossa pantaloncini attillati. Un pugile è un super d’America. Cerca fortuna lontano dai ritmi caraibici. uomo, super macho. Finisce per lavorare in una fabbrica di cappelli sulla 24 aprile 1962. Terzo incontro tra Emile Griffith e Ber- Trentanovesima Ovest di New York. Lui ha un debole nardo «Benny» Paret, detto «The Kid». Il primo incon- per i cappelli. Fa caldo in fabbrica, molto caldo. Cosí tro l’ha vinto Emile, laureandosi campione del mondo. chiede al titolare di potersi togliere la maglia. Albert Il secondo lo vince The Kid, e ora siamo alla resa dei Howie, ex pugile e proprietario, impazzisce non appe- conti. Benny è un cubano, emigrato anche lui negli Sta- na vede il suo torace. ti Uniti, un tagliatore di canna da zucchero. Uno che sa – Tu sei fatto per tirare pugni sul ring, figliolo. come incassare cazzotti prima di esplodere. L’incontro Albert lo porta con sé in palestra. Da Clancy, Ventot- sarà trasmesso in diretta dall’emittente ABC. Il Madison tesima strada. Non passano nemmeno sessanta giorni Square Garden di New York registra il tutto esaurito ed Emile è in finale ai Golden Gloves. Lui è cosí: una ca- con 7600 spettatori. In palio c’è il titolo mondiale dei ramella delle Isole Vergini, pronta a sorridere, educata, pesi welter. I due pugili si incontrano alla pesata. Emile gentile, una caramella però che dentro porta i drammi sale sulla bilancia; il suo allenatore, il mitico Gil Clancy, dell’abbandono, di un’infanzia senza padre, madre. Una gli dice di stare tranquillo. Emile è una corda di violino. caramella che quando si arrabbia non la smette piú di Pesa 66 chilogrammi, è arrivato all’incontro preparatis- bruciare. Emile è uno che non sa che farsene della sua simo. Il peso però fa ridere The Kid, che reputa quei 66 rabbia, e sul ring gli insegnano a canalizzare quell’ener- chilogrammi troppo pochi per uno come lui. Benny gli

142 143 si avvicina e gli stringe il sedere sussurrandogli nell’o- recchio: – Frocio. Succede il putiferio. Stampa e fotografi in sala vedo- no tutto. Gil riesce a fermare Emile. – Conserva i pugni per stasera, ragazzo. Il Madison Square Garden è una nuvola di fumo che si perde tra i riflettori blu. Un’intera platea di uomini pronti ad assistere a un massacro. Benny è stato chia- rissimo: questo è il suo ultimo incontro. Dopo si dedi- cherà a suo figlio Benny jr., che lo segue dovunque. Due immigrati caraibici attendono il suono del gong. Primo round, sangue cazzotti gong. Secondo round, sangue cazzotti gong. Quarto round, sangue cazzotti gong. Sesto round, Benny colpisce forte Emile, che sci- vola al tappeto. Si rialza e la campana suona. Salvo. Ot- tavo round, sangue cazzotti gong. Decimo round, Emi- le è il padrone del ring, sembra avere sotto controllo la situazione. Undicesimo round, Emile, incoraggiato da Gil, spara cazzotti a raffica. Dodicesimo e ultimo round. Benny è stanco morto, non si mantiene sulle gambe. Emile sferra un destro corto a Paret. Black-out per il cu- bano. Benny indietreggia frastornato all’angolo. Emile con il sinistro blocca Paret e con il destro lascia partire una raffica di colpi. Le difese di Benny crollano, come le sue braccia. In sei secondi The Kid incassa diciotto

144 colpi alla testa, poi altri ventinove. L’arbitro Ruby Gold- dichiaratamente gay. Troppe cose per il cuore di un stein blocca l’incontro. Paret scivola al tappeto. Emile uomo solo. Emile balla mambo e merengue, discute è nuovamente campione del mondo. Benny viene por- con le vecchiette dei cappelli di Jackie Kennedy, pas- tato d’urgenza in ospedale. È in coma. Emile vorrebbe sa le notti nei bar sull’Ottava strada o al Greenwich entrare nella stanza, nel reparto, ma gli viene vietato. Village. Di notte, quando i riflettori dei locali si spen- Benny «The Kid» Paret muore al Roosevelt Hospital gono, lui balla stretto con altri uomini. Nello Stato di di New York dopo dieci giorni, a soli venticinque anni. New York è illegale. Prima che le luci possano riaccen- Corteccia cerebrale squassata. Un giornalista commen- dersi, lui è già lontano a bere un drink. ta l’accaduto dicendo: – Abbiamo appena assistito a un Un giorno Emile visita il riformatorio di Secaucus. Lí delitto gay. incontra per caso il sedicenne Louis Rodrigo, un giovane Dopo la morte di Paret, Emile non è piú lo stesso, appassionato di pugilato. Louis è orfano di padre e lavo- ha smesso di bruciare. Da Cuba arrivano decine di ra al riformatorio. Emile lo adotta e se ne prende cura. minacce via posta. Il governatore dello Stato di New Non se la passa bene il pugile caraibico. Non ha piú York, Nelson Rockefeller, ordina un’inchiesta. La ABC soldi, gran parte li ha spesi per la sua enorme famiglia non trasmetterà per anni incontri pugilistici in diretta. sparsa qua e là nel mondo. Cosí la mattina va in pale- Emile si ritira a trentanove anni. 112 incontri. Ha sfida- stra a fare l’allenatore e la sera il cameriere nei pub di to Paret, Benvenuti, Monzón, Nápoles, Minter. È il re New York. indiscusso del Madison Square Garden con 26 match A cinquantaquattro anni torna negli Stati Uniti dopo e 337 riprese, 69 piú di Muhammad Ali. Cinque vol- una trasferta in Australia. Si dirige come sempre al bar te campione del mondo. Emile è ormai un eccentri- gay «Hombre», nel West Side, Quarantunesima stra- co uomo con collane in madreperla e vestiti colora- da. È notte quando esce dal locale e viene accerchia- ti caraibici. «Love and peace, and let the sun shine» to, picchiato, derubato e lasciato in fin di vita su un sembra dire ogni volta che qualcuno l’incontra. Siamo marciapiede. Una corsa in ospedale e due mesi a letto. negli anni Sessanta, i neri vengono uccisi per strada e Infezione al midollo, costole e mandibola rotta, milza i gay incarcerati. Emile è campione, pugile, nero e non spappolata, un rene gli viene asportato. Dialisi a vita.

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Emile ormai vecchio vive aiutato da Louis con trecen- to dollari di pensione. Al collo porta sempre i guantoni dorati, alle dita gli anelli con le cinture mondiali. Emile soffre di sindrome da demenza pugilistica: ha incassa- to troppi colpi, ha subito troppi traumi cranici. Prima di LA GAZZELLA morire all’età di settantacinque anni, Emile ha incontra- to Benny jr. all’ombra degli alberi di Central Park. Gli ha sussurrato, con la sua voce ancora stridula: – Somigli a tuo padre –. I due si sono abbracciati. – Non volevo far- gli del male, non volevo –. Mentre Benny jr. si allontana, NERA Emile resta fermo su una panchina nel cuore di New York, con i suoi colori caraibici. Ha in tasca ancora le caramelle. «Io uccido un uomo e molte persone lo ca- piscono e mi perdonano. Al contrario, io amo un uomo «Ma di cosa sei fatta tu?» e per cosí tanti questo è un crimine imperdonabile, che «Di quello che ami», disse lei. «Piú l’acciaio». fa di me una persona cattiva. E cosí, anche se non sono Ernest Hemingway stato in prigione, sono rimasto in cella per quasi tutta la vita».

LA SIGNORA BLANCHE TOGLIE LA POLVERE da una vec- chia cornice d’argento. Dentro una foto della famiglia per cui lavora, per cui fa la cameriera. Una gita al lago. Madre, padre e due bellissimi bambini biondi. Blan- che guarda il suo vestito da cameriera, nero come la sua pelle. Blanche ha ancora tanto da fare, non è da

148 149 lei questo ritmo blando, ma è incinta. Sente la sua Wilma, in quel momento preciso, decide di credere a pancia contorcersi. Non è ancora il momento, com’è sua madre. possibile? Ma il pancione non sente ragioni. Le acque A otto anni gira per casa con un tutore d’acciaio, si rompono! Sta per partorire. Una telefonata avvisa un apparecchio correttivo che l’aiuta a camminare. suo marito, Ed Rudolph, facchino delle ferrovie: sta Se vuole davvero tornare a camminare deve sotto- per diventare papà per la ventesima volta. Dopo qual- porsi per forza a delle terapie. Ma siamo in un’Ame- che ora nasce Wilma Glodean Rudolph. Una bimba rica stretta nella morsa dell’odio razziale e della se- prematura, bellissima. Wilma nasce il 23 giugno 1940 gregazione. L’ospedale piú vicino riservato ai neri è a Saint Bethlehem, una frazione di Clarksville, in Ten- lontano ottanta chilometri da Clarksville. L’immensa nessee, Stati Uniti d’America. La bambina che è volu- famiglia Rudolph non si abbatte. Cosí, una volta la ta venire al mondo prima del tempo non se la passa madre, tante volte i fratelli, accompagnano la piccola bene, trascorre tutta l’infanzia a letto. La sua salute Wilma al Meharry Hospital alle porte di Nashville. Solo è messa a dura prova prima da una forte polmonite, ed esclusivamente a bordo di un Greyhound, l’unico poi dalla scarlattina e infine dalla poliomielite. Dopo bus dove sul retro potevano salire gli afroamericani. la polio, la gamba sinistra di Wilma resta paralizzata. Wilma e la sua famiglia percorrono trecentoventi chi- Wilma è a letto, come sempre. Il dottore chiama in lometri alla settimana. Per duecento volte coprono la disparte sua madre. distanza tra Clarksville e Nashville. I dottori insegnano – Signora, sua figlia non camminerà piú. alla famiglia Rudolph dei massaggi specifici per dare Wilma ascolta tutto. Quando il dottore se ne va, sua sollievo alla piccola Wilma, per aiutarla a riprendersi. madre entra nella stanza. Ogni sera quaranta mani a turno accarezzano la gam- – Cosa ha detto il dottore? ba sinistra di Wilma, che è diventata un po’ la gamba – Che non camminerai piú. di tutti. A undici anni Wilma indossa una scarpa con Wilma perde il sorriso in un istante. una suola speciale, finalmente il tutore d’acciaio viene – Ma io non gli credo, – aggiunge sua madre sorri- rinchiuso in soffitta. Wilma non molla, non molla mai, dendole. cosí, quando ha dodici anni, la madre Blanche torna a

150 151 casa stanca morta dal lavoro e la vede giocare a piedi luccica, il bronzo non è l’oro, non brilla. E cosí mette nudi a basket insieme ai maschi. Blanche prende quel- anima e cuore nel sogno del metallo piú prezioso. La le scarpe diverse e le getta via: sua figlia è guarita. sua occasione arriva alle Olimpiadi di Roma, nel 1960. Wilma aveva creduto a sua madre e aveva fatto bene. Per Wilma a soli vent’anni tutto questo è pura magia, A tredici anni Wilma è un miracolo sportivo, gioca a come il Colosseo, come il Tevere in festa. Nella semi- basket e gioca seriamente. Fa già parte della squa- finale dei 100 metri, eguaglia il record mondiale di 11 dra del suo liceo. Mentre salta, ma soprattutto mentre secondi e 3 decimi. Il pubblico italiano s’innamora di corre, viene notata dagli occhi esperti di Ed Temple, quei 180 centimetri che volano in pista, s’innamora del- responsabile dell’area sportiva della Nashville Univer- la sua grazia, della sua eleganza, delle linee dolci dei sity. Inizia a dedicare tempo a quella ragazzina e le suoi muscoli. offre una borsa di studio, le insegna i segreti della cor- È il giorno prima della finale, Wilma si allena. Non sa, della velocità, dello scatto, della pista. Nel giro di vede l’ora di scendere in pista. Fa uno scatto e met- tre anni, Ed fa di lei un fulmine nero. te il piede a terra in modo strano. Sente un rumore, È il 1956 e a soli sedici anni la bambina che aveva la caviglia ruota dentro una buca. Wilma cade a terra sconfitto la paralisi partecipa alla sua prima Olimpia- dolorante. Ha la caviglia slogata. I dottori le dicono che de in Australia. Alla staffetta 4x100 metri vince con le probabilmente si gonfierà, che sarà impossibile per lei sue connazionali la medaglia di bronzo. Solo pochi anni partecipare alla finale. Ma Wilma non ci crede. E infat- prima si reggeva in piedi grazie all’acciaio. Wilma tor- ti, il tornado del Tennessee vince la finale dei 100 me- na a casa con la sua medaglia e la mostra a tutti nella tri con un nuovo record mondiale di 11 secondi. Dopo piccola Saint Bethlehem. I suoi numerosi fratelli se la quella vittoria gli italiani la ribattezzano con il nome di passano tra le mani, la girano e rigirano, e dopo che è «Gazzella Nera». Questa volta la medaglia luccica, no- stata toccata da quelle quaranta mani magiche, Wilma nostante le impronte. Dopo tre giorni vince i 200 me- si riprende la medaglia. È piena d’impronte. Prende un tri in 24 secondi e conquista la medaglia piú preziosa pezzo di stoffa e di nascosto prova a lucidare la sua anche nella staffetta 4x100, gara vinta con il nuovo re- medaglia. Ma, ahimè, scopre presto che il bronzo non cord mondiale di 44 secondi e 5 decimi.

152 153 Wilma Rudolph è stata la prima atleta americana a vincere tre medaglie d’oro in una sola edizione delle Olimpiadi. La Gazzella Nera di Clarksville ha creduto poco ai dottori e molto a se stessa. E ha creduto a sua madre. Wilma, che non doveva camminare piú, ha por- tato le sue gambe e i suoi polmoni sul tetto del mondo e lo ha fatto con eleganza e leggiadria, correndo piú veloce dei virus. Wilma Rudolph, la bambina tenuta in piedi da un tutore, l’acciaio lo aveva dentro.

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per andare al lavoro e torna la sera. Sua moglie è una casalinga. Il giornalista impettito dietro la sua scrivania racconta di una protesta di attivisti gay. Il signor Moffitt al solo sentire la parola «gay» spegne la tivú. Nessuno LA BATTAGLIA protesta, tutti lo seguono per la cena. In casa Moffitt non esistono i gay. Dopo cena Billie Jean, la figlia del signor Moffitt prende il suo borsone. Sta per uscire di casa, per andare a giocare a tennis. Ma è tardi per il signor Moffitt. DEI SESSI – Ci vai domani a giocare a tennis. – Puoi contarci, – risponde Billie Jean con il suo ca- ratterino, poi fila di corsa nella sua stanza con la pal- lina gialla ancora tra le mani. Tutti i giorni Billie Jean Sei nata intera, non ti manca nessuna metà. si allena sui campi da tennis pubblici di Long Beach. Anonimo Tra l’odore di salsedine e il sole californiano, la ragazza diventa davvero forte. La sua vita va al ritmo di una pallina da tennis. Dritto, rovescio, palla corta, servizio, volée. Partitella con amiche, vinta. Dritto, rovescio, palla È SERA IN CALIFORNIA. È autunno. Una giornata piovosa, corta, servizio, volée. Amichevole stravinta. Game, set, triste. Tutta la famiglia Moffit è davanti alla tivú. Papà al tie-break. Campionato provinciale vinto a mani basse. centro con il telecomando in mano e intorno tutti i figli: Dritto, rovescio, palla corta, servizio, volée. Campiona- siamo negli anni Sessanta e la famiglia Moffitt è una fa- to californiano vinto senza troppe difficoltà. miglia tradizionalista, patriarcale. Telegiornale delle ore – Ma questa è forte. Signor Moffitt, sua figlia è forte. 20. A ogni notizia il papà commenta, spesso adirato. Il – Non pensi al tennis, l’America sta per essere invasa signor Moffitt è un vigile del fuoco che esce la mattina dai gay.

156 157 – Guardi che sua figlia non perde mai. titoli siano sempre inferiori a quelli degli uomini. Come – Mai i gay a casa Moffitt! se lo spettacolo che lei offre valesse di meno. Nonostan- – Guardi che sua figlia la settimana prossima parte te sia ai vertici mondiali del tennis femminile guadagna per l’Inghilterra. 100 dollari alla settimana facendo l’istruttrice di tennis. – Cosa? Io non ho autorizzato ancora niente. Il caratterino di Billie Jean viene sempre fuori davanti A diciassette anni, nel 1961, Billie Jean parte per l’In- alle ingiustizie e cosí, in una conferenza stampa, critica ghilterra. Destinazione Wimbledon, uno dei tornei piú apertamente l’USTA, la United States Tennis Association. prestigiosi del mondo. È la sua prima apparizione. La Definisceshamateurism il compenso della vergogna che racchetta è quasi un prolungamento del suo braccio. le giocatrici ricevono dall’associazione, talmente basso È in gara con Karen Hantze Susman, sua partner per che spesso non possono nemmeno iscriversi ai tornei il titolo del doppio femminile. Mentre il signor Moffitt piú prestigiosi. Billie Jean non le manda certo a dire e spegne la tivú per l’ennesima volta davanti a una noti- accusa l’USTA di corruzione, di trattare il tennis come zia che riguarda gli omosessuali, sua figlia vince senza uno sport elitario, destinato solo a una ristretta cerchia troppe difficoltà il piú antico e prestigioso torneo della di persone, perlopiú ricche. Cosí si impunta e lancia una storia del tennis. campagna a favore dell’equiparazione delle vincite in de- Quando Billie Jean torna negli Stati Uniti, a Long naro nei tornei maschili e femminili. L’associazione corre Beach non è piú una sconosciuta ragazzina che gioca ai ripari e aumenta gli assegni delle vittorie femminili. per ore nei campi da tennis pubblici. È una campiones- Billie Jean è la prima atleta a guadagnare 100mila dollari sa. In dodici mesi scala le classifiche di mezzo mondo. per la vittoria in un torneo di tennis. Ma non basta, per- Nel 1962 batte Margaret Court, numero uno al mondo. ché gli uomini guadagnano molto di piú. Nel 1972 vince Una partita incredibile. In dieci anni vince tutto: Austra- gli US Open e riceve 15mila dollari in meno del campione lian Open, Roland Garros, varie volte Wimbledon e gli maschile Nastase. Billie Jean non molla. US Open. Ma c’è una cosa che fa imbestialire Billie Jean – Forse non mi sono spiegata bene. O l’anno prossi- piú delle sconfitte, ovvero gli assegni che riceve per le mo le vincite sono uguali per donne e uomini oppure sue vittorie. Non capisce perché i compensi per i suoi io non gioco.

158 159 1973. Gli US Open sono il primo torneo del Grande la sua racchetta e pensa: «Se perdo torniamo indietro Slam con uguali vincite in denaro per donne e uomini. di cinquant’anni. Se perdo, perderanno insieme a me Questa sua battaglia non passa di certo inosservata e tutte le donne». La campionessa gioca d’attacco. È ve- fa storcere il naso a molti uomini. loce, non dà tregua a Riggs, che non si aspettava uno «Ma cosa vuole questa donna californiana, è già di- stile di gioco simile. Primo set, 6 a 4 per Billie Jean. ventata campionessa e ricca, non basta?» Sarà fortuna, pensano gli spettatori, alla lunga verrà Insomma, in America ci sono molti signor Moffitt, che fuori la forza dell’uomo. Tra le donne, qualcuna incrocia vogliono lasciare le cose come stanno. Uomini da una le dita. Secondo set, 6 a 3 per Billie Jean. Due ragazze parte, donne dall’altra. Ovviamente, uomini un passo in tribuna si stringono la mano. «Se vince il terzo set, avanti. Tra questi c’è Bobby Riggs. Ha cinquantacinque Billie Jean ha vinto la Battaglia dei Sessi». Ultimo set, anni ed è stato uno dei piú grandi giocatori di tennis ultimo game, Billie Jean conduce per 5 a 3. Match ball. degli Stati Uniti d’America; negli anni Quaranta, il mi- Servizio, risposta, la palla scende dall’alto, Billie Jean glior giocatore al mondo. Bobby Riggs è un maschilista la vede arrivare verso di lei, il tempo pare rallentare, convinto, e afferma che il tennis femminile è talmente si prepara al colpo, lo stadio ammutolisce, ammuto- inferiore a quello maschile che anche a cinquantacin- liscono le migliaia di donne che guardano la partita, que anni sarebbe in grado di battere una delle migliori 90 milioni di silenzi e poi bam. Punto! Il maschilismo si giocatrici al mondo come Billie Jean. disintegra sotto il colpo di una racchetta californiana. Sfida accettata. 20 settembre 1973, Houston Astro- Bobby Riggs ha perso, e insieme a lui tutti quelli che dome, Texas. Billie Jean sfida Bobby Riggs. Stadio pie- credevano nell’inferiorità del tennis femminile. Grazie no, 30492 paganti. 50 milioni di telespettatori collegati a Billie Jean, alla Battaglia dei Sessi, il tennis femminile da trentasette nazioni. Sta per andare in onda uno degli raggiunge finalmente i livelli di quello professionistico eventi sportivi piú importanti del mondo: la Battaglia maschile. dei Sessi. In palio ci sono 100mila dollari. Vittoria al me- Billie Jean, anche dopo il suo ritiro, ha continuato a glio di 5 set. Non c’è nemmeno una giornalista sportiva battersi in tutto il mondo per i diritti delle giocatrici. in tribuna. La partita sta per iniziare, Billie Jean stringe Grazie alla sua caparbietà, ha vinto 1966487 dollari in

160 161 premi. È stata inserita tra i primi 100 atleti americani piú importanti del ventesimo secolo. A cinquantun anni è stata la prima atleta statunitense a dichiarare pubblicamente la sua omosessualità. «Non mi sono mai sentita a mio agio nella mia stessa pelle fino a quando ho compiuto cinquantun anni. Sono cre- sciuta omofobica, in una famiglia tradizionale e omo- fobica». Ci sono tenniste e ci sono le Billie Jean, che vincono due volte, nello sport e nella vita.

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levatrice esce dalla camera da letto dei signori Valla con una splendida bambina, bella come il sole. Il papà, emozionato, la stringe a sé. Ti chiamerò Trebisonda, la città che piú amo al mondo, città esotica, di ca- IL SOLE IN rovane e deserti, raccontata ne Le mille e una notte. Trebisonda è l’attuale città turca di Trabzon. La bam- bina cresce in mezzo alla Grande Guerra. Trebisonda è chiamata da tutti Ondina. Ondina corre, corre come una furia. A soli tredici anni è già un’affermata prota- UN SORRISO gonista dell’atletica italiana. Corre tra i colli bolognesi e tra le strade dell’infinita pianura padana. È un’atleta eclettica. Corre, salta, supera ostacoli e i suoi risulta- ti sono sempre eccellenti. Ai campionati studenteschi Salta! E mentre cadi lascia che ti spuntino le ali. bolognesi sfida una certa Claudia Testoni, anche lei Ray Bradbury bolognese. Vengono entrambe dalla stessa scuola, la Regina Margherita, entrambe gareggiano per la stessa società, la Virtus Atletica Bologna. Sono senza ombra di dubbio le migliori atlete italiane della loro epoca. BOLOGNA, 20 MAGGIO 1916. Sono tutti in attesa del Claudia e Ondina sono rivali in pista, ma amiche, pro- nascituro. La famiglia Valla, composta da mamma, fondamente amiche in tutto il resto. Una coppia anta- papà e quattro fratelli maschi, non attende altro che gonista poco nota, ma di uno spessore simile a quello l’ennesimo batuffolo in casa. In realtà tutti desidera- di Coppi e Bartali. Ondina diventa campionessa italia- no un fiocco rosa. Tutti, ma proprio tutti. Guè guè! È na assoluta e viene convocata dalla nazionale. Ci sono nato? È nata? È maschio? È femmina? Insomma, ci le Olimpiadi, quelle del 1932 a Los Angeles. Ondina non fate sapere qualcosa?, gridano dalla cucina mentre la sta piú nella pelle. Un viaggio transoceanico, l’evento

164 165 sportivo piú importante per un’atleta come lei. Ma il Ondina non si perde d’animo e, nonostante i fasci- fascismo ha altri progetti per le donne «italiche»,che sti, nonostante il Vaticano, corre. «Il sole in un sorriso», vengono sostanzialmente espulse dai programmi cosí la definisce la stampa italiana. di sviluppo agonistico. Renato Ricci, fascista a capo 1936. Ondina discute ferocemente con la madre che dell’Opera Nazionale Balilla e presidente della Fede- proprio non vede di buon occhio l’attività sportiva del- razione Sciistica, durante una riunione del Coni usa la figlia. Il padre invece ne è orgoglioso. Olimpiadi di le seguenti parole: «Sia eliminata la rappresentanza Berlino. Ondina Valla e Claudia Testoni sono presenti femminile. Mi sembra ridicolo che a difendere i colori alla cerimonia di apertura. Mussolini non vuole che la di una nazione potente e civile come la nostra debba sua delegazione faccia brutta figura davanti all’alleato essere chiamato di tanto in tanto un gruppo di don- Hitler. Le speranze della spedizione italiana sono nelle ne piú o meno interessanti e intelligenti». In fondo le mani dei mezzofondisti Luigi Beccali e Mario Lanzi, donne per i fascisti dovevano procreare, accudire il ovviamente due uomini. Primo turno eliminatorio, 80 nido familiare, generare altri fascisti, cucinare, lavare, metri ostacoli, le emiliane vincono senza troppa fati- rassettare la casa e obbedire al marito. Achille Stara- ca. 5 agosto 1936, semifinali. Ondina e Claudia sono ce, segretario del partito fascista, sempre durante una ancora una volta sui nastri di partenza, sulla stessa riunione del Coni, sottolinea quanto già detto da Ric- pista. Vincono entrambe, Ondina addirittura eguaglia ci: «Sono sempre stato del parere che la donna debba il primato del mondo. Giovedí, 6 agosto 1936, Berli- essere eliminata dallo sport agonistico». Ondina Val- no, Olympiastadion. Fa freddo, nonostante sia estate. la viene esclusa dai Giochi olimpici. Su pressione del Le due non sono al meglio, Ondina ha male alle gam- Vaticano e di Papa Pio IX, che da poco ha siglato i be, Claudia ha il ciclo. Si aiutano masticando zollet- Patti Lateranensi con i fascisti, Ondina resta a casa: la te di zucchero bagnate nel cognac. Colpo di pistola! Santa Sede reputa sconveniente che una sedicenne, Bum. Via! Claudia è una scheggia e si porta subito in unica donna in un’intera spedizione maschile, affronti testa, Ondina invece è costretta a rimontare. È una un viaggio transoceanico. Addio sogni di gloria, addio gara bellissima, dagli spalti tutti guardano increduli la medaglia d’oro. sfida. 50 metri, Ondina ha recuperato e hanno recu-

166 167 perato anche la tedesca Anny Steuer e la canadese Il fascismo, che tanto aveva ostacolato la partecipa- Betty Taylor. Ultimi metri, ultimi ostacoli, il filo di lana zione di Ondina alle Olimpiadi di Los Angeles, la elegge è lí, tutte e quattro le atlete lo vedono, raccolgono le a sua eroina, simbolo dell’Italia vincente. Benito Musso- ultime energie e si gettano a occhi chiusi verso una lini la riceve a Palazzo Venezia. Foto ricordo, medaglia possibile vittoria. Finale incredibile, le due italiane, la speciale dal Duce e assegno da 5mila lire. I gerarchi fa- tedesca e la canadese, chiudono con il tempo pari di scisti, vista la popolarità di Ondina, cambiano idea sulle 11 secondi e 7 decimi. Per la prima volta si utilizzerà il donne e iniziano a servirsi delle vittorie sportive delle fotofinish. Le quattro atlete sono sedute su una panca «italiche atlete» per la propaganda della razza italia- al bordo della pista. Ognuna di loro ha dato il massi- na. Ondina Valla è stata la piú giovane donna a vince- mo, stille di sudore si mescolano alla stanchezza. Si re un oro olimpico, a soli vent’anni e 78 giorni, record guardano, non parlano. Nei loro cuori, tutte sognano imbattuto fino al 2004. Il fratello scultore di Ondina, la vittoria. Vittoria che è lí, a un passo, a un decimo. Rito, dopo quella vittoria le dedica una statua intitolata Vittoria che i giudici già conoscono, che guardano in L’Ostacolista, oggi conservata nel bolognese dalla fab- un fotogramma. Quarta classificata, fuori dal podio, brica Carpigiani. Claudia Testoni; medaglia di bronzo per la canadese La carriera appena cominciata di Ondina Valla viene Betty Taylor; argento alla tedesca Anny Steuer; e oro bruscamente interrotta dalla guerra e da un fortissimo a Ondina Valla. mal di schiena. Al momento della premiazione ci sono solo Ondina È il 1943 quando Ondina si reca da un ortopedico. e la tedesca. Betty Taylor, convinta di essere arrivata – Buongiorno, dottore, sono qui per un terribile mal quarta, ha già abbandonato lo stadio. Le prime dichia- di schiena che mi perseguita ormai da anni e mi limita razioni di Ondina vengono trasmesse via radio in tutta nella mia attività agonistica. Sa, io sono... Italia. Suona la marcia reale, la bandiera italiana svetta – So benissimo chi è lei. Ondina Valla, orgoglio della sopra quella tedesca. Hitler in persona stringe la mano nostra nazione. a Ondina, la quale non capisce nemmeno una parola di È cosí che conosce Guglielmo De Lucchi, un gran- tedesco. de medico, atleta di salto in alto e suo futuro marito.

168 169 Dopo appena un anno, Ondina e Guglielmo si sposano in tutta fretta: l’uomo deve prestare servizio a Vicenza. L’unico piatto del menu del ricevimento è una pasta e fagioli preparata dalla mamma della sposa. Ondina e Guglielmo raggiungono Vicenza in bicicletta, ma arri- vati in terra veneta si rendono conto che il posto che cercavano non esiste piú. Cosí tornano a Bologna, sem- pre in bicicletta, sotto i bombardamenti. Gli sposini si rifugiano nella casa della famiglia Testoni; Claudia non c’è, è a Mantova con il marito. Ondina e Guglielmo si salvano anche grazie al tetto della piú acerrima avver- saria sportiva di Trebisonda. La guerra finisce e Ondina segue Guglielmo in Abruz- zo. Non arriveranno piú risultati sportivi eclatanti. On- dina ha una spondilosi vertebrale. Si ritira negli anni Cinquanta, non prima di diventare campionessa abruz- zese di getto del peso. La medaglia d’oro tanto sudata in Germania le viene rubata nel 1978. Nel 1984 il pre- sidente della Federazione Italiana di Atletica Leggera, Primo Nebiolo, dona a Ondina una riproduzione della medaglia rubata. Lei, commossa, pronuncia le seguenti parole: «Di quella vittoria mi rimane solo la quercia che a Berlino veniva data ai vincitori. L’ho piantata a Bolo- gna ed è cresciuta in un’aiuola vicino alla piscina coper- ta dello stadio». Nel 1998 è venuta a mancare Claudia

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Testoni, con la quale si sfidò ufficialmente novantotto volte. Nonostante la rivalità, le sfide, le gare, i contra- sti, a quella notizia Ondina si sente solo di aggiungere: «Pensare a Claudia è pensare alle cose piú belle della mia vita». LO STUPORE Ondina Valla è morta a novant’anni, il 16 maggio 2006, all’Aquila. È stata inserita nella Walk of Fame del- lo sport italiano al parco olimpico del Foro Italico. Sono passati piú di cento anni dalla nascita di una bambina chiamata come una città magica, e noi siamo ancora DEI TACCHETTI qui a ricordare le gesta del «sole in un sorriso».

Quanto meno / un’ombra / racconta / di una luce. Gianmaria Testa

È IL GIORNO DELLA PRESENTAZIONE di Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro torna a giocare in Argen- tina, precisamente nel Newell’s Old Boy, una socie- tà di Rosario. È il 1993, Maradona è reduce da una maxi squalifica per doping. Alla conferenza stampa ci sono giornalisti di tutta l’Argentina, e di tutto il mondo. È la rinascita di Diego dopo il tunnel della

172 173 droga. La conferenza inizia. Un giornalista dal fon- gente fa la fila per andarlo a vedere. Sembra che la vit- do della sala prende la parola rivolgendosi al miglior toria sia un effetto collaterale, un risultato a parte, che calciatore del mondo, al miglior calciatore di sempre, può arrivare e non arrivare, non importa. Quando i ro- a colui che ha realizzato il goal del secolo, a Dios. sarini guardano giocare questo calciatore «nuovo» allo – Lei è il miglior calciatore della storia di Rosario –. stadio Gabino Sosa, restano esterrefatti. Per lui conta Maradona lo interrompe. – Il miglior giocatore ha già lo stupore, gli applausi della gente, la bellezza, la me- giocato a Rosario, è El Trinche, il suo nome è Tomas raviglia delle giocate. Piú che allo stadio, quando gioca Carlovich –. Tutti ammutoliscono. Silenzio. I giorna- El Trinche, si va a teatro. Tomás è allergico agli allena- listi stranieri non hanno idea di chi sia Carlovich. Gli menti, a tutto ciò che è ripetitivo. È un dormiglione, uno argentini invece lo sanno bene. che non ama svegliarsi presto, soprattutto per fare giri Tomás Felipe Carlovich è nato alla fine degli anni di campo. Lui è innamorato della palla. Ecco cosa dirà Quaranta in una Rosario in piena espansione demogra- di lui «El Flaco» Menotti, storico commissario tecnico fica. Figlio di un immigrato croato, non fa altro che gio- dell’Argentina del 1978, anno in cui l’albiceleste vinse il care a pallone. Nel quartiere dove vive lo chiamano «El suo primo mondiale: «Carlovich è uno di quei bambini Trinche»: non si sa cosa significhi, non si sa chi gli abbia il cui unico giocattolo è stata una palla da quando sono dato questo soprannome. Papà Mario fa l’idraulico, è nati. Vederlo giocare a calcio è impressionante». Nes- uno dei tanti partiti da un’Europa in frantumi in cerca suno sa come fermare Carlovich perché fa cose diver- di fortuna nelle terre delle Pampas. Tomás è l’ultimo se, cose nuove, cose mai viste. Carlovich è un talento di di sette fratelli. El Trinche inizia a giocare seriamente provincia, uno che ama quello che fa, non i palcoscenici a calcio, prima nel Rosario Central, Flandria, Indipen- che calpesta. El Trinche è famoso per il doppio tunnel. dente Rivadaviva e poi Central Cordoba. Tutte squadre Durante una partita tra il Central Córdoba e Talleres argentine minori. Niente River Plate o Boca Juniors. de Remedios de Escalada, un tifoso urla a Carlovich: Roba che in Europa non sanno nemmeno cosa sia. El – Trinche, fai il doppio tunnel! – El Trinche lo fa. Tunnel Trinche è un dribblatore meraviglioso, centrocampista in avanti con l’interno del piede, tunnel all’indietro con molto tecnico, lento, ma estremamente elegante. La l’esterno. Avversario stecchito e ovazione del pubbli-

174 175 co che impazzisce. Non è un episodio isolato, piú vol- ci. Accelera e rallenta le azioni, ferma gli avversari con te nella sua carriera Tomás ha deliziato il pubblico con tackle puliti e ovviamente fa tunnel a destra e sinistra. quel trucchetto. Si dice che stringeva accordi con i pre- El Trinche umilia gli avversari. Fine primo tempo, nazio- sidenti delle squadre in cui giocava: avrebbe ricevuto nale argentina 0 selezione di Rosario 3. Vladislao Cap soldi in cambio di ogni doppio tunnel. va negli spogliatoi e supplica l’allenatore avversario Non ci sono video di Carlovich, bisogna fidarsi di di sostituire Carlovich. L’allenatore dà ascolto a Cap e chi l’ha visto. Di chi dice che una volta scartò un’intera sostituisce El Trinche. La Selección accorcia le distan- squadra, di chi dice che durante una partita fu espulso, ze, ma la partita finisce 3 a 1 per i rosarini. Dopo quel ma il pubblico minacciò l’arbitro, che ci ripensò. Ma c’è match, Tomás torna nella sua squadra di provincia, ma una voce che gira sul conto di Tomás Felipe Carlovich in tutta l’Argentina si parla delle sue prodezze. Viene detto El Trinche. E dice che in un pomeriggio di apri- ingaggiato dal Deportivo Maipú a cento chilometri da le del 1974, a Rosario, arrivò la Selección, la naziona- Rosario. Sono troppi, è troppo lontano da casa. Non le argentina guidata da Vladislao Cap. In rosa gente ci pensa due volte e torna al Central Córdoba. La sua del calibro di Brindisi, Babington e Houseman. Ancora non è una vita di eccessi. El Trinche gioca a calcio per qualche mese e saranno tutti in campo per i mondiali intere giornate, pesca trote lungo il fiume e beve vino e tedeschi. Cap ha organizzato una serie di amichevo- birra con gli amici di sempre, quelli di una vita, quelli di li preparatorie e una di queste è contro una selezio- Belgrano, del barrio, quelli che probabilmente l’hanno ne dei migliori giocatori di Rosario. Tra i convocati ci soprannominato El Trinche. sono Mario Kempes, Mario Zanabri, Daniel Killer, Carlos «El Flaco» Menotti, prima del mondiale del 1978, di- Aimar e Carlovich con la sua maglia numero 5, ruolo sputato in Argentina e vinto dall’Argentina, chiama volante difensivo. El Trinche ha venticinque anni. Per Carlovich dopo che il suo capitano «El Lobo» Carra- la nazionale, è un massacro. El Trinche è imprendibile. scosa si è infortunato. È l’occasione di sempre. Diret- Cap, dalla panchina, guarda incredulo. 1 a 0 per i rosa- tamente in nazionale, davanti alla sua gente. Menotti rini, 2 a 0 per i rosarini, 3 a 0 per i rosarini. El Trinche gli dice che vuole che si alleni con la Selección. Vuole a centrocampo è un mostro, lanci perfetti, millimetri- includerlo nei ventidue. El Trinche parte per Buenos Ai-

176 177 res e durante il tragitto vede un fiume pieno di trote che schizzano fuori dall’acqua. Si ferma, prende la sua canna e ne pesca cosí tante che poi, tutto contento, inverte la rotta e se ne torna a Belgrano. Carlovich si è ritirato nel 1986, anno in cui Maradona alzò la coppa del mondo. Non ha mai giocato in serie A, è stato un calciatore di seconda e terza serie, ha vinto competizioni regionali. Non si sa se queste storie sul conto di Carlovich siano leggende o verità, ma non importa: Carlovich è un futbolista de la calle, «un cal- ciatore della strada». Durante un’intervista, El Trinche ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Sono state det- te tante cose su di me, ma la maggior parte non sono vere. Una cosa è vera, ed è che non mi è mai piaciuto stare lontano dal mio quartiere, la casa dei miei genito- ri, il bar dove vado di solito, i miei amici e il mio allena- tore Vasco Atrola, che mi ha insegnato come colpire la palla quando ero un ragazzo». El Trinche vive ancora a Belgrano, al barrio 7 de Sep- tiembre. Va ancora a pesca, gioca a carte e beve con gli amici, ma soprattutto ride, ride di continuo. C’è gente che chiede ancora oggi a Carlovich qual è il suo piú grande sogno e lui risponde cosí: «Vorrei poter torna- re in campo e giocare almeno quarantacinque minuti. Avrei potuto giocare in Francia o negli Stati Uniti, sarei

178 diventato ricco, ma per me giocare nel Central Córdo- ba è sempre stato come giocare nel Real Madrid». A questo straordinario talento si rimprovera il fatto di non essere diventato un vero e proprio campione, di non aver giocato in serie A, di non essere sbarcato in Europa, in nazionale, insomma di non essere arrivato. «Cosa significa arrivare? Io volevo solo giocare a pallo- INDICE ne e stare con le persone che amo, e loro vivono tutte qui, a Belgrano». A Rosario sono passati fenomeni del calibro di Lionel Messi, Diego Armando Maradona e Mario Kempes, ma se chiedi alla gente del posto chi è il piú forte, tutti ti risponderanno: «El Trinche».

180 Introduzione. Una Piazza di Spaccio di libri ...... 5 10. L’uomo nato tre volte ...... 89 11. Il piú famoso perdente della storia ...... 98 1. L’ultima riga bianca ...... 9 12. Punizione inversa ...... 106 2. L’altro Escobar ...... 18 13. Non mi fermo ...... 116 3. L’uomo dimenticato dalle statue ...... 27 14. In guerra non esistono pareggi ...... 125 4. Bottoni di terra ...... 35 15. La Locomotiva Umana ...... 133 5. La Maratona della Speranza ...... 46 16. Il pugile con le caramelle ...... 141 6. Un leggero torcicollo ...... 56 17. La Gazzella Nera ...... 149 7. Il mistero di Sollentuna ...... 66 18. La Battaglia dei Sessi ...... 156 8. Un anno senza PrimaVera ...... 73 19. Il sole in un sorriso ...... 164 9. Il capitano della Squadra Cemento ...... 81 20. Lo stupore dei tacchetti ...... 173 Finito di stampare nel mese di febbraio 2019 per conto delle Edizioni EL presso OZGraf, Olsztyn, Polonia