Storia, Lavoro E Cultura

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Storia, Lavoro E Cultura STORIA, LAVORO E CULTURA DALLA META’ DEL 1800 AI PRIMI DECENNI DEL 1900 Gli abitanti di Lavagna e Cogorno, ma anche quelli dell’alta Val Fontanabuona, dalla metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, conobbero un periodo di sviluppo economico, che si manifestò nell’estrazione e lavorazione dell’ardesia. La popolazione dell’entroterra era rappresentata, per la maggior parte, dalle famiglie contadine che, con l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, riuscivano a sfamare i numerosi figli. Sulla costa e nei paesi limitrofi c’erano molti agricoltori, ne sono testimonianza le foto degli orti lungo il fiume Entella. Chi era riuscito a mettere da parte un po’ di denaro, incoraggiava i figli e le giovani coppie ad emigrare nelle ‘Meriche, in America. A Lavagna ne è stato esempio Edoardo Riboli; figlio maggiore e orfano di padre emigrò in America del sud in cerca di lavoro. Il giovane fu assunto come garzone in una piantagione di caffè. I soldi che guadagnava li mandava alla madre e ai fratelli. Più tardi, con i risparmi, acquistò e divenne padrone di una fabbrica in cui si tostavano i pregiati chicchi. L’emigrazione nelle ‘Meriche interessò molti giovani liguri; essi partivano dal porto di Genova su transatlantici in un viaggio che durava parecchie settimane. Viaggi lunghi e spesso rischiosi. La gente che rimase nel nostro territorio era costituita, per la maggior parte, da contadini analfabeti, da piccoli proprietari terrieri e da alcune famiglie borghesi i cui figli frequentavano la scuola e collegio fino a completare gli studi superiori. Nei paesi e nelle cittadine c’erano alcune figure colte: il prete, il medico e il sindaco. Il prete metteva a disposizione la sua istruzione verso il popolo contadino, mentre il sindaco, che si occupava degli affari di stato, appoggiava le famiglie più benestanti. Il prete di Orero, ora comune della Val Fontanabuona, don Giovanni Arata, tra il 1819 e il 1872 convinse i parrocchiani e li esortò a non emigrare nelle ‘Meriche perché “chi sutta gh’è du pan che dorme”, qui sotto c’è un tesoro che aspetta di essere trovato, riferendosi alla pietra nera. Il ritrovamento della “ciappa” nell’entroterra di Lavagna, in Fontanabuona, contribuì a una cambiamento del territorio. Nella valle, per merito dello spirito imprenditoriale di Don Arata e poi di piccoli borghesi, si tracciarono le strade che permisero il collegamento tra la costa e i siti di estrazione e di lavorazione. La rotabile in fondovalle realizzata ancor prima dell’unità d’Italia, giunse nel 1857 a Cicagna. Da questa via, essenziale per il trasporto dell’ardesia, se ne aggiunsero altre. Dalle cave storiche del Monte Tugio (Uscio) e del Monte San Giacomo (Lavagna/Cogorno) l’estrazione dell’ardesia si spostò gradualmente in Val Fontanabuona, nelle zone comprese tra i comuni di Cicagna, Orero e Moconesi. BREVE STORIA DELL’ARDESIA L’ardesia è una pietra che si è formata dalla sedimentazione di un limo finissimo derivato dalla frammentazione dei rilievi. E’ caratterizzata da particolare resistenza agli agenti atmosferici ed è facilmente divisibile in lastre, anche molto sottili. Essa fu utilizzata, per la prima volta, circa duemiladuecento anni fa nella zona del Tigullio, nell’area compresa fra il comune di Lavagna e la Valle Fontanabuona. Il suo impiego è anteriore all’epoca della dominazione romana. Infatti, a Chiavari, vicino a Lavagna, è stata trovata una necropoli composta da tombe interamente realizzate con questo materiale. L’utilizzo come materiale di copertura di tetti risale a tempi antichissimi. Pare che il nome Tigullio e dei suoi abitanti “Tigulli” derivi da tigula, cioè tegola, ossia lastra di ardesia “ciappa” che già in epoca romana si usava per ricoprire i tetti delle abitazioni. Questa attività ha avuto il suo culmine nell’epoca medioevale e poi in quella del Rinascimento. Le prime cave ad essere sfruttate, a partire dal XII secolo, furono quelle di Uscio e di Recco (monte Tugio) in Val Fontanabuona e quelle alle spalle di Lavagna (monte San Giacomo e dintorni). In tempi recenti, l’ardesia ha avuto un rilancio nell’uso architettonico per il restauro di edifici storici, nell’arredamento e nella finitura e l’abbellimento di interni. La tradizione. L'utilizzo dell'ardesia sia nel campo dell'edilizia che in quello artistico e decorativo fa parte da sempre della storia e della cultura di questa zona ligure. Uomini e donne erano coinvolti nel processo di estrazione, nel trasporto e nella realizzazione delle lastre destinate a vari usi. Nelle cave storiche del monte San Giacomo, alle spalle di Lavagna e di Cogorno, uomini dediti alla fatica estraevano con attrezzi manuali le lastre di ardesia. Gli operai stavano in questi cunicoli circa 12- 14 ore e respiravano la polvere della “ciappa”, la silice, polvere finissima che veniva respirata e che si fissava nei polmoni fino a provocare la silicosi, una malattia tipica dei cavatori d’ardesia. I blocchi che si staccavano dalla roccia erano portati all’aperto o in baracche di fortuna dove lo spacchino, una persona munita di una mazza, incideva nel verso dello spessore della pietra, sugli scalpelli fino a dividerla in lastre sottili. Lo spacchino ieri, ma ancora oggi, compie manualmente la sfaldatura del ceppo di ardesia. Le ciappe d’ardesia erano collocate su delle “pose” da dove venivano caricate sul capo delle portatrici. Le camalle effettuavano il trasporto delle ciappe dalle cave fino alla spiaggia seguendo il sentiero dell’ardesia. Si trattava di donne, mogli e madri di famiglia che vestivano abiti non comodi, con un suttestu (un panno avvolto più volte) sul capo; a piedi nudi anche d’inverno, trasportavano circa 8/10 ciappe alla volta sulla spiaggia di Lavagna. Lungo il tragitto si possono ancora osservare delle pose, punti di sosta. La paga era molto misera ma molte di loro facevano più trasporti al giorno e lavoravano per arrotondare la paga del marito e per poter sfamare la prole. Le donne, dedite al trasporto della pietra nera, erano abituate alla fatica e al duro lavoro. Sul sentiero del ritorno molte preparavano i rocchetti “canetti” per filare al telaio. Giunte a Lavagna, le ciappe seguivano la loro strada: si fermavano in città se destinate ad artigiani del posto oppure sulla spiaggia se per altre mete. Le lastre d’ardesia portate in riva al mare erano caricate sui leudi, imbarcazioni adatte al trasporto di merci. Dalla spiaggia della nostra cittadina partivano i leudi con destinazione Genova e altre località costiere della Liguria e della Toscana. Caratteristiche e uso dell’ardesia La “nostra” pietra nera ha un colore che varia tra il grigio e il blu. E’ una pietra che si sfalda facilmente cioè, dopo l’estrazione, è facile dividerla in spessori sottili. Una volta all’aria (stagionata) diventa dura ma mantiene l’impermeabilità e la resistenza al fuoco e al calore. L’ardesia è quindi un materiale che, nel corso del tempo, ha trovato applicazione nell’edilizia, a cominciare dalla copertura di tetti, alla realizzazione di lastricati, di recipienti per acqua e olio. La ciappa non assorbe e oltre ad uso esterno, la possiamo ancora trovare nell’interno delle abitazioni. Le vasche, o trogoli, per la prima raccolta dell’olio in vecchi frantoi nel chiavarese ne sono testimonianza. Nelle cucine contadine fino alla seconda metà del ‘900 e in alcune case rurali dell’entroterra, è possibile vederli ancora oggi: il lavello d’ardesia con l’ascelea (lo scolapiatti). I portali, i gradini delle scale in muratura e i pavimenti erano in ciappa. Se osserviamo bene la nostra cittadina notiamo ancora i trogoli, cioè i lavatoi con la lastra d’ardesia quadrettata per lo scolo dell’acqua. In ogni quartiere c’era un lavatoio pubblico; diventati obbligatori per prevenire il contagio dalla peste bubbonica che, nella seconda metà del 1600, colpì la Repubblica di Genova. Alcuni lavatoi restaurati che si trovano sul nostro territorio mantengono qualche parte d’ardesia. L’ardesia, detta anche “oro nero” dai fontanini perché rappresentava l’unica alternativa all’emigrazione nelle ‘Meriche, ha segnato il territorio unendosi con l’ambiente naturale. LA CITTA’ DI LAVAGNA NELLA STORIA LE ORIGINI DI LAVAGNA Tantissimi anni fa giunsero dal mare un gruppo di nomadi, i Pelasgi, che fondarono dei villaggi. Questo popolo, abituato a vivere in territori pianeggianti, vide le rive del nostro fiume così belle, le acque così limpide, i prati così verdeggianti che decise di fermarsi. A quei tempi il fiume si chiamava Lavania e furono probabilmente i Pelasgi a chiamarlo Entella. I Pelasgi erano contadini, allevatori e intagliatori di pietre, in particolare di una strana “pietra nera”, l’ardesia. Essa era utilizzata per realizzare recinti, tombe, lastricare i sentieri e ricoprire i tetti delle case. L’ardesia, tipica pietra dell’entroterra del levante ligure, era estratta nell’area del monte San Giacomo e nei paesi vicini, Cogorno e Santa Giulia. Carta dell'espansione delle popolazioni Liguri nell'Europa sud-occidentale intorno Dopo molti anni arrivarono sul territorio i Romani che sottomisero al XIII sec. a. C. con difficoltà i Pelasgi. Nel III secolo a.C. il censore Emilio Scauro fece costruire una strada, la via Aurelia, che favorì lo scambio delle merci, in particolare dell’ardesia. Sull’altura che domina il mare e la piana dell’Entella, venne costruito un accampamento che ospitava una Centuria (Julia Centaura Giulia Centaura Santa Giulia). Poiché gli abitanti della zona usavano già queste pietre per coprire i Intorno al 1.450 a.C. i Pelasgi tetti delle case, i Romani li chiamarono “Tiguli”. Ancora oggi arrivarono sul suolo italico: "I Pelasgi... chiamiamo Tigullio il golfo che va da Portofino a Sestri Levante. un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell‘Egeo e tutta la Grecia Dopo la caduta dell’Impero Romano, i Barbari e i predoni Normanni continentale compreso il Peloponneso, e Saraceni seminarono morte e distruzione.
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