Leonard Cohen: da Hallelujah a Suzanne, poesie e canzoni dell’ultimo grande cantautore Poeta, scrittore, cantautore, è stato forse colui che più di altri ha saputo mettere nei testi delle sue canzoni una poetica di alto livello. di Claudio Pozzani

! Quando venne assegnato il Nobel a Bob Dylan, furono in molti che dissero che se doveva essere dato il famoso premio a un autore che usava la musica come veicolo per le sue parole, allora sarebbe stato più sensato darlo a . Al di là di questa disquisizione e di impressioni oggettive o personali, non si può certo negare che Leonard Cohen sia stato prima di tutto poeta e scrittore e poi cantautore e che sia stato forse colui che più di altri abbia saputo mettere nei testi delle sue canzoni una poetica di alto livello.

1) Suzanne “Suzanne ti ha voluto accanto nel suo posto in riva al fiume puoi sentire le barche che si allontanano puoi passare la notte al suo fianco, e lo sai che lei è un pò pazza ma per questo sei con lei”. Un ritratto indimenticabile, tradotta e interpretata da Fabrizio De André come del resto l’altro ritratto di Giovanna d’Arco

2) Hallelujah “Forse esiste un Dio là in alto Ma tutto quello che ho imparato dall’amore E’ come sparare a qualcuno che ha estratto la pistola più rapidamente di te Non è un grido quello che senti stanotte Non è qualcuno che ha raggiunto l’illuminazione E’ un freddo halleluja spezzato” E poi ci sono versi nei quali ascesi e disillusione si intrecciano violentemente come in una versione della sua celeberrima Hallelujah, che riassume a mio avviso la visione di Cohen sulla vita e i sentimenti

3) “Mi condannarono a 20 anni di monotonia Per aver cercato di cambiare il sistema dall’interno Sto arrivando ora, sto venendo per premiarli Prima prendiamo Manhattan, poi prendiamo Berlino; 4) Everybody knows, manifesto del disincanto “Tutti sanno che la guerra è finita Tutti sanno che i buoni hanno perso Tutti sanno che il combattimento era drogato I poveri rimangono poveri, i ricchi diventano più ricchi È così che funziona Tutti lo sanno“

5) I’m your man, la risposta al Brel di “Ne me quitte pas” “Ah, ma un uomo non è mai riuscito a riconquistare una donna di certo non implorando in ginocchio altrimenti verrei da te strisciando E cadrei ai tuoi piedi E ululerei alla tua bellezza Come un cane in calore”

6) Is this what you wanted “Ed è questo quello che volevi Vivere in una casa stregata dai fantasmi di noi due?” Le disillusioni, le incomprensioni, la fine di un amore sono entrate più volte come spifferi gelati dentro le stanze delle sue canzoni. In questa canzone dal testo molto ironico la chiusa è molto diretta e incisiva, comune a centinaia di coppie con diversi concetti di felicità.

7) Paper thin hotel, la razionale lucidità che lascia comunque un retrogusto amaro “Le pareti di questo hotel sono sottili L’altra notte ti ho sentito far l’amore con lui La lotta bocca a bocca e arto ad arto Il grugnito di intesa quando è entrato in te Sono rimasto lì con l’orecchio al muro Non ero per nulla sopraffatto dalla gelosia In effetti la mia anima si è tolta un peso Ho imparato che l’amore è ben oltre il mio controllo”

8) Ain’t no cure for love, la sensazione che l’amore sia al di là del suo potere “I razzi si arrampicano nel cielo I libri sacri sono spalancati I dottori lavorano giorno e notte Ma non troveranno mai la cura per l’amore Non ci sono bibite o droghe (Ah diteglielo, angeli) Non esiste nulla di così puro che possa essere una cura per l’amore”

9) Welcome to these lines “Resteremo soli/finché i tempi non cambieranno/ e coloro che hanno tradito/torneranno come pellegrini a questo momento/in cui noi non ci arrendiamo/e chiameranno quest’oscurità “poesia” 10) A singer must die “Mi spiace di averti dato ascolto, i tuoi occhiali protettori contro il sole ti hanno fatto questo. è il loro modo di trattenere, il loro modo di disonorare, le loro ginocchia contro le tue palle e il loro pugno sulla tua faccia. Sì, e possa lo stato, da chiunque sia formato, vivere a lungo signore, non ho visto nulla, stavo solo rincasando tardi”. Leonard Cohen si è schierato contro coloro che giudicano, che hanno potere, che prendono decisioni sopra la testa della gente. In questa canzone si rivolge a chi ci mette costantemente sotto esame Dai primi volumi di poesie ispirate a uno dei suoi autori preferiti cioè Garcia Lorca (dei quali si ricordano soprattutto “” o “Welcome to these lines” ) ai due romanzi “” (Il gioco preferito) e “” (Belli e perdenti), alle sue canzoni del recentissimo “”, Cohen ha scritto sempre ad altissimo livello, riuscendo a coniugare lirismo e immediatezza. Io ho conosciuto l’opera di Cohen per caso, quindicenne, su una bancarella in un vicolo di Genova, attratto da un libro di Longanesi intitolato “Il gioco preferito” che mi spalancò la testa e il cuore: a quel punto cercai di leggere tutto di lui, accorgendomi subito che più di leggere si trattava di ascoltare. Non ho citato i versi di “Benvenute queste righe” a caso: tutta l’opera scrittorica di Cohen ha a che vedere con l’oscurità contrapposta alla luce e forse non è neanche un caso che il lavoro con il quale ci saluta poco dopo la sua uscita (come Bowie) rechi il buio nel suo titolo. Leonard Cohen ha saputo capire e cantare l’universo femminile e più in generale quello dei sentimenti meglio degli altri, attraversando generazioni e sapendo raggiungerle direttamente senza mai dover cambiare né il suo stile né la sua immagine né il suo linguaggio, come solo i grandi artisti possono permettersi. Leonard Cohen non se n’è andato. Già altre volte, in gioventù nell’isola greca Hydra e negli anni ottanta e novanta nel monastero buddhista di Mount Baldy, in California, si era rifugiato lontano da tutto e tutti, e ogni volta è tornato offrendoci i suoi capolavori. Vedrete che anche questa volta farà così.

Leonard Cohen

"Per sua natura, una canzone deve muovere da cuore a cuore". È questa la poetica e la filosofia con cui Leonard Cohen ha costruito non solo la sua carriera artistica, ma la sua stessa vita. Da una montagna sovrastante Montreal a un'isola greca, attraverso un incredibile viaggio che lo ha portato a Los Angeles, ha esplorato quella "remota possibilità umana", divorando sensazioni, senza rimorsi. La sua musica si avvicina alla poesia, al sentimento delle cose sfiorate, allusive solo in apparenza. La grande passione è sempre stata la scrittura, il succedersi delle parole. Negli ultimi trent'anni sono usciti otto volumi di poesie, due romanzi e undici album, che negli States non tutti conoscono. In Europa, invece, il cantautore canadese è un vero idolo. In Polonia vende più dischi di Michael Jackson, e a Cracovia si svolge ogni anno un Leonard Cohen Festival. Innumerevoli personaggi del rock da Nick Cave a Morrissey hanno riconosciuto di essere stati fortemente influenzati dalla musica di questo menestrello delle emozioni. Il tempo di Cohen ha un suo ritmo: "Di solito tendo alla tristezza. Per alcune canzoni ho impiegato diversi anni. Nessuna di essa è stata un parto facile, dopo tutto questo è il nostro lavoro. Tutto il resto va spesso in malora, in bancarotta totale, e così quel che rimane è il lavoro, ed è quello che faccio per tutto il tempo, lavorare, creare l'opus della mia vita. Il nostro lavoro è l'unico territorio che possiamo governare e rendere chiaro. Tutte le altre cose rimangono confuse e misteriose".

Nato da genitori ebrei, a nove anni Leonard perse il padre. Un fatto che segnerà in maniera indelebile la sua personalità. La sua attività artistica inizia soprattutto in veste di poeta e scrittore. La sua prima collezione di poesie, "Let Us Compare Mythologies", viene pubblicata nel 1956 quando è ancora studente universitario. "The Spice Box Of Earth" (1961), la sua seconda collezione, lo lancia verso la fama internazionale. Dopo una breve parentesi alla Columbia University a New York, Cohen ottiene una borsa di studio e parte per l'Europa, stabilendosi alla fine nell'isola greca di Hydra, dove convive per sette anni con Marianne Jenson e il figlio di lei Axel. In Grecia scrive due romanzi, due piccoli capolavori: "The Favorite Game", nel 1963, ritratto di un giovane ebreo di Montreal con ambizioni artistiche, e "Beautiful Losers", nel 1966, dalle venature noir, un'opera epica e incomprensibile con accenti sacrilegi e religiosi. Ogni suo libro venderà nel mondo oltre ottocentomila copie. Ma la vita di Cohen è stata sempre contrassegnata da una costante irrequietezza: "Per scrivere libri hai bisogno di un posto dove stare. Quando uno scrittore lavora a un romanzo, tende a circondarsi di determinate cose. Ha bisogno di una donna. Ed è bello anche avere dei bambini fra i piedi, poiché cibo non manca. Siccome io queste cose le avevo già, ho deciso di diventare 'songwriter'".

Ma già a vent'anni si era avvicinato alla musica, fondando la band di country-western Buckskin Boys: "Ero pieno della frenesia di suonare e dimenarmi battendo i piedi, celebrando una sorta di vita emozionale insieme a tanti che la pensavano come me. Il country, allora, soddisfaceva queste esigenze". In modo naturale, seguendo un percorso interiore, Cohen ha trovato un suo stile, iniziando così ad essere il cantore della malinconia. Giunto a New York in pieno folk revival, con Dylan che spopola al Greenwich Village, Cohen entra così in contatto con Judy Collins, che lo fa debuttare al Festival di Newport. Il suo talento non sfugge al discografico John Hammond che gli propone il primo contratto. Da lì alla pubblicazione di un disco il passo è brevissimo.

Il suo album d'esordio, , uscito nel 1968, è quanto di più lontano si possa immaginare dagli umori "rivoluzionari" dell'epoca: mentre songwriter come Bob Dylan e Joan Baez scendono nell'arena politica, Cohen rpiega sull'individuo. Il suo universo ruota attorno a una serie di "coppie": sesso- religione (il binomio su cui Nick Cave costruirà una carriera, e che carriera!), santo-discepolo, peccato- redenzione, vincente-perdente, schiavo-padrone. E la tensione biblica di Dylan in Cohen si fa più umana e indulgente, anche se non meno "apocalittica". Originario di Montreal, città francofona del Canada, Cohen è anche il più "europeo" dei cantautori d'oltre oceano. Il suo repertorio è figlio della chanson francese di Jacques Brel e George Brassens, del folk americano, ma anche di una peculiare predilezione per i temi biblici (forte in tal senso l'influsso delle sue radici ebree, così come per il suo umore nero, vagamente yiddish) e per la mitologia classica. Cantore della malinconia, della solitudine, dell'emarginazione e degli amori persi, Cohen scandaglia il cuore di tenebra dell'umanità, componendo un affresco di struggente lirismo. Le sue dieci "Songs" colpiscono subito l'ascoltatore per la delicatezza del tocco, per il tono soffuso e romantico, per la dimensione profondamente intimista che le pervade e per la straordinaria grazia delle melodie.

L'iniziale "Suzanne", ripresa qualche anno dopo anche da Fabrizio De André (il suo miglior discepolo insieme a Nick Cave), è una canzone di straordinaria eleganza, dominata dal registro profondo del cantautore di Montreal che infonde un senso di smisurata tenerezza. La protagonista (che può essere liberamente considerata una santa, una vagabonda, una pazza o una puttana) diventa l'unica ancora di salvezza, l'oggetto di una devozione soprannaturale. Cohen narra pacatamente la sua fiaba, contornato da teneri arpeggi di chitarra (classica), gemiti di violino e angelici cori femminili. Le atmosfere sinistre di "Master Song", con fiati in evidenza e riverberi di tastiere sullo sfondo, devono aver insegnato molto a Nick Cave e ai tanti suoi emuli degli anni 90. La dicotomia schiavo-padrone è letta qui in un continuo ribaltamento di ruoli: per Cohen, infatti, c’è sempre gloria e luce nella sconfitta, e spesso tra vinti e vincitori si annullano le differenze. I toni si fanno ancor più soffusi e caldi nella lenta "Winter Lady", melodia per flauto e clavicembalo, mentre "The Stranger Song" sfodera quell'arpeggio di chitarra classica in pochi accordi, eppur velocissimo, che diventerà un classico coheniano (qualcosa di simile realizzerà Fabrizio De André in "Amico Fragile").

La combinazione della voce, che sussurra con la delicatezza d’un menestrello medievale, e della chitarra classica, finemente arpeggiata, è impeccabile. Basta anche solo questo binomio a rendere magica l'atmosfera di "Sisters of Mercy", un'altra ballata trasognata in bilico tra una ninnananna e un salmo religioso. Anche se le protagoniste sono prostitute. Attorno all'asse voce-chitarra, però, affiorano altri suoni: sprazzi di fisarmonica, trilli di campanelli, tintinnii di xilofono. È la canzone da cui prenderà il nome uno dei gruppi più "scuri" della storia del rock: i britannici Sisters Of Mercy. Perfetto crooner in giacca e cravatta, come da copertina, Cohen non si scompone mai. Nemmeno quando la musica sale di ritmo, come nella struggente serenata di "So Long, Marianne", con batteria e violino a dar man forte al suo canto. Nemmeno quando c'è da dirsi addio, come nella ballata di "Hey That Way To Say Goodbye", intrisa di umori country. E nemmeno quando scende per strada tra i disperati di "Stories Of The Street", dove pure si mette a nudo con feroce realismo. La cupa parabola di "Teachers" e la gelida "One of Us Cannot Be Wrong", infine, chiudono l’album nel segno di una contrita mestizia.

Various Positions, del 1984, è un approfondimento delle sue riflessioni religiose, ma queste specie di salmi, tutti nati da una dolorosa odissea spirituale ("Hallelujah", "The Law", "Dance Me To The End Of Love", "If it Be Your Will") suonano talmente fresche e gradevoli da poter essere scambiati per "ordinarie" canzoni d'amore. In realtà, in questo periodo il dramma filosofico e religioso del cantautore canadese è talmente profondo da sbilanciarlo completamente. "C'erano molti lati di me che avevo sostenuto con la religione" dichiarò Cohen a L.A. Style nel 1988. "Se hai a che fare con questo materiale non ci puoi mettere Dio. Pensavo che potevo illuminare il mio mondo e quello della gente intorno a me e di potere prendere il cammino di Bodhisattva cioè il cammino dell'aiutare gli altri. Pensavo di poterlo fare ma non ci sono riuscito. Questa è una strada dove persone molto più forti, generose e nobili di me si sono bruciate. Quando si comincia a trattare materiale sacro ci si lacera profondamente".

Molti sono i registi che hanno voluto la sua musica come colonna sonora, da Robert Altman (il cui film "I Compari" del 1971, divenne una sorta di lungo video delle sue canzoni) a Nanni Moretti che in "Caro Diario" ha inserito proprio "I'm Your Man". E ha pubblicato nel 1986 il fortunato "", un disco composto interamente di canzoni di Cohen. Oltre a scrivere e a fare canzoni, l'artista canadese ama anche elaborare i propri video: nel 1984 ha scritto, diretto e musicato "I Am A Hotel", un corto di mezz'ora che si è aggiudicato il primo premio al Festival International de Television de Montreux (Svizzera) ed è stato sottoposto alla giuria degli Oscar. Ha collaborato con il cantautore Lewis Furey su "Night Magic", una opera rock cinematografica per la quale ha vinto il premio Canadian Juno per la "Miglior Colonna Sonora" nel 1985. Ha anche interpretato un cameo, come attore, nella serie "Miami Vice".

E’ a rompere nel 2012 il lungo silenzio di Cohen. Complice l'esperienza del ritorno sul palco, Cohen riporta le sue canzoni all'essenza, spogliandole di quella patina leziosa che le aveva offuscate nei precedenti e . Old Ideas ritrova così quell'equilibrio che da almeno un ventennio mancava alla musica del songwriter canadese. Perché i suoi versi non hanno mai avuto bisogno di scenografie posticce: chiedono solo lo spazio per lasciar riecheggiare la propria voce. Il crooning di Cohen è un sussurro in cui il peso del tempo palpita di fumo e desiderio. In "Going Home" si lascia sfiorare solo da un'aura di archi e tastiere, insieme alla carezza di un controcanto femminile. Il territorio in cui si addentra, faccia a faccia con lo spettro della mortalità, è lo stesso delle "American Recordings" di Johnny Cash, lo stesso del Dylan di "Time Out Of Mind". E più dylaniane che mai sono le tinte blues che avvolgono "Darkness" tra volute di hammond, interrogandosi nella penombra del crepuscolo sul tempo che rimane. Tra un baluginare di tromba e i ricami gitani del violino, "Amen" è la parola che risuona nel deserto, parlando d'amore alle orecchie degli assetati. Old Ideas è un dipanarsi di sfumature, che dal gospel dimesso di "Come Healing", guidato dal coro delle Webb Sisters, vanno a trascolorare nel country meditativo di "Banjo". Non manca qualche momento di stanchezza, ma nell'architettura complessiva del disco nulla suona giustapposto.

Nel 2014, fa la sua comparsa, quasi a sorpresa, ad appena un paio d'anni di distanza da Old Ideas. Non basta l'età a cancellare i problemi di cui è fatta la trama della vita, sembra voler dire il neo- ottuagenario chansonnier canadese. Semmai, permette di affrontarli con una saggezza più disincantata nello sguardo. Quasi a volersi giustificare per la passata assenza dalle scene, il beat insistente di "Slow" apre il disco con un elogio della lentezza ironicamente allusivo, mentre l'organo volteggia verso tonalità blues: "It's not because I'm old/ And it's not what dying does/ I've always liked it slow/ Slow is in my blood". È Cohen stesso, però, a dirsi sorpreso della velocità con cui il nuovo disco ha preso forma. L'accelerazione è dovuta soprattutto alla collaborazione con Patrick Leonard, produttore di Old Ideas e ora accreditato nientemeno che come coautore della quasi totalità dei brani. Da lui derivano, per ammissione diretta di Cohen, la maggior parte delle idee musicali del disco. Ed è proprio questo, in realtà, il punto debole del nuovo lavoro.

Il disco, intitolato You Want It Darker, esce nell'ottobre del 2016 e a introdurlo sono le voci di un coro. Non il consueto controcanto femminile, ma il coro della congregazione Shaar Hashomayim, la più antica sinagoga aschenazita del Canada. La sinagoga della famiglia di Cohen. Ed ecco il groove pulsante del basso stendere il tappeto per quell’inconfondibile baritono. Il coro intona insieme a lui l’inizio del Kaddish: “Magnified and sanctified/ Be Thy Holy Name”. La preghiera della lode, la preghiera del lutto. Un inno funebre a sé stesso, o forse all’umanità. “I’m ready, my Lord”, mormora Cohen. Ma le sue parole non solo semplicemente un commiato. Riecheggiano l'antica risposta di Abramo: hinneni, eccomi. Lo sguardo del padre che affida completamente sé stesso. Occorreva l’amore di un figlio, per restituire a Cohen il rigore del classico. E che You Want It Darker sia destinato a occupare il posto di un classico lo si capisce già dall’essenzialità della copertina, da quel gioco di contrasti in bianco e nero che chiama in causa direttamente il passato. Il capitolo finale di una trilogia che lascia da parte i residui orpelli di Popular Problems, per raggiungere una sobrietà ancora più misurata di quella di Old Ideas.

Dal pianoforte di “Treaty” si leva un fremere di archi che anticipa la ripresa orchestrale posta in chiusura del disco. “I wish there was a treaty/ Between your love and mine”, invoca Cohen. Non con la rassegnazione del compromesso, ma con la sofferta consapevolezza dell’irriducibilità dell’altro a qualsiasi conquista. La collaborazione con Patrick Leonard lascia in eredità i tratti musicali più elaborati, dall’organo che introduce il gospel in chiaroscuro di “If I Didn't Have Your Love” al lirismo gitano di “It Seemed The Better Way”, mentre l’unico episodio firmato insieme a Sharon Robinson, “On The Level”, contribuisce ad alleviare la trama dell’album con le sue tonalità soul. È un disco fatto di congedi, You Want It Darker. È il testamento di un uomo pronto a fare un passo indietro rispetto al trasporto della passione (“I turned my back on the devil/ Turned my back on the angel too”, confessa in “On The Level”), un passo indietro rispetto alla battaglia quotidiana (“I do not care who takes this bloody hill”, proclama in “Treaty”). Un passo indietro per contemplare finalmente il disegno delle cose, non per rinunciare a possederle. Tra nostalgici riverberi twang e ricami di pedal steel, “Leaving The Table” lo riassume con la semplice forza di un’immagine (“I’m leaving the table/ I’m out of the game”), mentre Cohen si ritrova a osservare con distacco il gioco della commedia umana.

HALLELUJAH ALLELUJA Now I’ve heard there was a secret chord Ho sentito di un accordo segreto That David played, and it pleased the Lord Suonato da David e gradito al Signore But you don’t really care for music, do Ma a te della musica non importa poi molto, vero? you? Beh, fa così: It goes like this La quarta, la quinta The fourth, the fifth La minore scende, la maggiore sale The minor fall, the major lift Il re perplesso compone l’Alleluja The baffled king composing Hallelujah Alleluja (x4) Hallelujah (x4) La tua fede era salda ma avevi bisogno di una prova Your faith was strong but you needed proof La vedesti fare il bagno dalla terrazza https://www.youtube.com/watch?v=YrLk4vdY28Q SUZANNE (Cohen) Suzanne takes you down/to her place near the river/you can hear the boats go by/you can spend the night beside her/And you know that she’s half crazy/but that’s why you want to be there/and she feeds you tea and oranges/ that come all the way from China/And just when you mean to tell her/that you have no love to give her/she gets you on her wavelength/and she lets the river answer/that you’ve always been her lover And you want to travel with her/and you want to travel blind/and you know that she can trust you/for you’ve touched her perfect body/with your mind. And Jesus was a sailor/when he walked upon the water/and he spent a long time watching/from his lonely wooden tower/and when he knew for certain/only drowning men could see him/he said All men will be sailors then/until the sea shall free them/but he himself was broken/long before the sky would open/forsaken, almost human/he sank beneath your wisdom like a stone And you want to travel with him/you want to travel blind/and you think maybe you’ll trust him/for he’s touched your perfect body/with his mind Now Suzanne takes your hand/and she leads you to the river/she is wearing rags and feathers/from Salvation Army counters/And the sun pours down like honey/on our lady of the harbour/And she shows you where to look/among the garbage and the flowers/There are heroes in the seaweed/there are children in the morning/they are leaning out for love/they will lean that way forever/while Suzanne holds the mirror And you want to travel with her/you want to travel blind/and you know that you can trust her/for she’s touched your perfect body/with her mind

Ecco la versione di Fabrizio De André: SUZANNE (De Andrè) Nel suo posto in riva al fiume/Suzanne ti ha voluto accanto,/e ora ascolti andar le barche/e ora puoi dormirle al fianco,/si lo sai che lei è pazza/ma per questo sei con lei./E ti offre il tè e le arance/che ha portato dalla Cina/e proprio mentre stai per dirle/che non hai amore da offrirle,/lei è già sulla tua onda/e fa che il fiume ti risponda/ che da sempre siete amanti. E tu vuoi viaggiarle insieme/vuoi viaggiarle insieme ciecamente,/perché sai che le hai toccato il corpo,/il suo corpo perfetto con la mente. E Gesù fu marinaio/finché camminò sull’acqua,/e restò per molto tempo/a guardare solitario/dalla sua torre di legno,/e poi quando fu sicuro/che soltanto agli annegati/fosse dato di vederlo,/disse: “Siate marinai/finché il mare vi libererà”./E lui stesso fu spezzato,/ma più umano, abbandonato,/nella nostra mente lui non naufragò. E tu vuoi viaggiargli insieme/vuoi viaggiargli insieme ciecamente,/forse avrai fiducia in lui/perché ti ha toccato il corpo con la mente. E Suzanne ti dà la mano,/ti accompagna lungo il fiume,/porta addosso stracci e piume,/presi in qualche dormitorio,/il sole scende come miele/su di lei donna del porto/che ti indica i colori/fra la spazzatura e i fiori,/ scopri eroi fra le alghe marce/e bambini nel mattino,/che si sporgono all’amore/e così faranno sempre;/e Suzanne regge lo specchio. E tu vuoi viaggiarle insieme/vuoi viaggiarle insieme ciecamente,/perché sai che ti ha toccato il corpo,/il tuo corpo perfetto con la mente.