Il Teatro Italiano Appoggiandosi Soprattutto Ai Testi Letterari Drammatici Vorrebbe Dire, Fra L’Altro, Consegnarlo Ad Un’Ingiusta Mediocrità

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Il Teatro Italiano Appoggiandosi Soprattutto Ai Testi Letterari Drammatici Vorrebbe Dire, Fra L’Altro, Consegnarlo Ad Un’Ingiusta Mediocrità Ferdinando Taviani IL VOLO DELLO SCIANCATO - scene del teatro italiano - Questo qu-book ripete in parte un lungo intervento già apparso in La Cultura italiana, opera in 12 voll. diretta da Luigi Luca Cavalli Sforza, volume IX: “Musica, Spettacolo, Fotografia, Design”, a cura di Ugo Volli, Torino. UTET, 2009, pp. 213-343. Benché già pubblicato, l’autore lo considera non del tutto finito. Vengono classificati qu-book (quasi libri) certi libri che possono essere pubblicati pur conservando un carattere non-finito, in contrasto con gli stereotipi della stampa ne varietur. Potremmo chiamarli “libri irretiti”, che tornano ad essere come pesci nella rete, né morti né vivi. In pratica son finiti, ma conservano un che di sospeso, forse perché non sanno identificarsi con la propria veste - o perché sanno aspettare. IL VOLO DELLO SCIANCATO - scene del teatro italiano - I Il teatro che ci aspettiamo 1.La zona La situazione, nel frattempo, è probabilmente mutata. Qualcosa dev’essersi rotto sotto la superficie. Forse semplicemente un’idea labile come un’ala di farfalla, un piccolo strappo dopo il quale tutto rimane in piedi – ma come se fosse già crollato. L’ala di farfalla era un’idea basata sul quasi-nulla: che fosse normale sovvenzionare le attività teatrali con denaro pubblico. Era ancora un’idea normale, apparentemente indiscussa, una sorta di a priori, quando la prima versione di queste pagine è stata scritta, nei mesi immediatamente precedenti la grande crisi economica del 2009. Con l’avvento della crisi, le sovvenzioni sono state decimate, e accanto a questa decimazione è cresciuta la sensazione che potrebbero anche del tutto sparire. La mappa della zona teatrale che qui ricapitoleremo deriva dalla necessità di regolare quelle sovvenzioni. E’ precaria ma comoda per orientarsi. La mappa risulta divisa in tre sotto-zone: attività teatrali stabili; imprese di produzione teatrale; teatri di figura ed artisti di strada1. Ad esse se ne aggiunge una quarta, quella dei teatri amatoriali. Anche il teatro amatoriale, se lo osservassimo da vicino, lo vedremmo organizzato in associazioni, sia locali che nazionali, che rappresentano, non diversamente dalle ripartizioni professionistiche, solo uno spicchio delle attività teatrali effettivamente presenti in Italia, in molti casi non censite e non censibili. Il confine stesso fra teatro amatoriale e teatro professionale, nel corso del Novecento, s’è fatto dappertutto sempre più labile e discutibile. Le mappe relative al teatro sono significative più per le loro falle che per ciò che sensatamente lasciano intendere. In realtà tutte le mappe sono così. E il teatro, più che un caso-limite, è nient’altro che un dettaglio paradossale. L'espressione “teatro di figura”, che compare nella terza sotto-zona, può risultare ostica a chi non conosce il gergo dei teatri. Indica i teatri di marionette burattini pupazzi ed ombre. È un’espressione relativamente recente, consolidatasi negli anni Settanta del 1 Si vedano i “Decreti del ministro per i Beni e le Attività Culturali” del 21 dicembre 2005, relativi al teatro di prosa, le attività musicali e la danza, che fanno riferimento alla legge del 30 aprile 1985, n.163 sul Fondo Unico per lo Spettacolo. Li si trova, oltre che nelle pubblicazioni ufficiali, in appendice a: Albero Bentoglio, L’Attività teatrale e musicale in Italia. Aspetti istituzionali, organizzativi ed economici, Roma, Carocci, 2007. Si vedano anche: Lamberto Trezzini, Geografia del teatro n. 3. Rapporto sul teatro italiano d’oggi, Bologna, Patron 1990; Id. e Paola Bignami, Politica e pratica dello spettacolo, Bologna, Bonomia University Press, Bologna 2007. Novecento. In precedenza si usava dire semplicemente marionette burattini o “teatro d’animazione”, un’etichetta, quest’ultima, che si prestò a molti equivoci quando dalla metà degli anni Sessanta del Novecento si sviluppò il movimento dell’ “animazione teatrale” basato sulla partecipazione e la non-distinzione fra attori e spettatori. Non si capisce in base a quale criterio i “teatri di figura” vengano accoppiati agli “artisti di strada”. Forse perché vi sono burattinai che fanno spettacolo sulle piazze, alle feste di compleanno o nei parchi? Sono frange ambulanti di un genere di teatro che nel complesso riproduce in sedicesimo l'organizzazione del teatro di prosa, con compagnie ed imprese più o meno grandi. Gli artisti di strada (clown vaganti, contastorie e cantastorie d’antica e nuova tradizione, giocolieri, mimi, attori musicanti, “statue viventi”, prestigiatori, ecc.) trovano nella strada, nell’itineranza e nell’individualismo la propria ragione. In qualche caso sono d’alta qualità. A volte rappresentano persino un'idea aristocratica dell'arte, che rifiuta il sistema e il mercato (come i monaci mendicanti rifiutavano i privilegi clericali). Il “teatro di figura”, invece, in Italia, come nel resto d’Europa e in Asia, annovera istituzioni che si collocano fra le élites teatrali, teatri storici e di tradizione che con un piede si piantano nel terreno cosiddetto popolare e con l’altro scalano il prestigio che si riserva ai classici (per l’Italia, si pensi alla tradizione marionettistica dei Colla, che vanta una tradizione secolare; alla dinastia che ha per capostipite Vittorio Podrecca; ai Figli d’Arte Cuticchio, e ai Pupi palermitani, catanesi e napelatani; ai diversi musei dedicati agli “attori di legno” ed alle attività culturali ad essi connesse). Non è una questione di valore ma d’appartenenza. I teatri di figura e gli artisti di strada non hanno ragione alcuna, né pratica né teorica, per stare assieme, se non la forza dell’incongruenza. Troveremo altre incongruenze, ancor più ragguardevoli. Del tutto irragionevole potrebbe sembrare la separazione del “Teatro di prosa” dal “Teatro Lirico” e dalla “Danza”. È evidente, infatti, che tutti e tre andrebbero raccolti in un’unica regione teatrale. La demarcazione, teoricamente insensata, ha però in questo caso buone giustificazioni pratiche. Basta tener presente l’origine di questa mappa per capire che il Teatro Lirico e la Danza è utile tenerli distinti perché possono accedere alle risorse riservate alla Musica. Benché sia strumentale, creata con criteri burocratici ed amministrativi, la nostra mappa lo si voglia o no, finché resta in vigore dètta una regola anche alla geografia concettuale del teatro e della sua cultura. Chiunque eserciti la professione teatrale ha bisogno di pubblici sussidi, diretti o indiretti, e quindi non può fare a meno di assorbire sia pure a contraggenio i criteri di chi ha il compito e il potere di deciderli e distribuirli. I paradigmi assorbiti vengono trasmessi e si diffondono a macchia d’olio, sfumandosi, facendosi più imprecisi e così diventando diffusa mentalità, riflessi condizionati di pensiero. Al primo parlare di teatro molti di noi ci aspettiamo un panorama organizzato alla maniera della nostra mappa. Nella geografia immaginaria di cui la nostra mappa fa parte, il paese del teatro sta in una zona denominata “spettacolo dal vivo”. Tutt’intorno vi è la sterminata “civiltà dello spettacolo” che si è imposta come una delle novità epocali maturate nel corso del XX secolo: un flusso ininterrotto di immagini registrate e teletrasmesse con al centro un genere artistico classico: il Cinema. Alcuni pretendono che lo “spettacolo dal vivo” sia assediato dalla società dello spettacolo, o sia dissidente, o permanga in essa come una 2 spina nel fianco – o come i pellerossa in una “riserva”. Non è così. O meglio: può esserlo, ma non lo è in via di principio. In via di principio, lo “spettacolo dal vivo” è una delle centinaia di varianti della globale civiltà dello spettacolo. La locuzione aggettivale “dal vivo” non ha a che vedere con la “vita”. Indica soltanto un dato materiale: l’assenza del proverbiale “occhio di vetro” (camera cinematografica, telecamera, videocamera, ecc.) che nello spettacolo “normale” si interpone fra quel che è stato “ripreso” e chi l’osserva. Gli spettacoli “normali” - quelli cioè non “dal vivo” – sono spettacoli in cui prima ancora che cose o persone si vedono fisicamente sguardi sulle cose e le persone, atti d’attenzione, inquadrature e colpi d’occhio, selezionati e circoscritti, filtrati dal preliminare “occhio di vetro”. “Spettacolo dal vivo” invece dice: quel che stai osservando è lì in carne ed ossa. È vero che ogni spettacolo “dal vivo” può essere filmato, registrato, teletrasmesso e tecnologicamente manipolato per trasformarlo in un normale spettacolo d’immagine - all’origine però era diverso: accadde davanti a spettatori (ma naturalmente vi sono sempre più frequentemente spettacoli “dal vivo” in cui gli spettatori stanno lì solo per essere ripresi, così come vi sono animali vivi solo per divenire bistecche). E' importante segnalare che lo “spettacolo dal vivo”, quand’è vero e proprio teatro, più che d’essere regolamentato, ha bisogno d’essere protetto, e per proteggerlo occorre non proprio definirlo, ma per lo meno farsi un’idea di come ce lo si può aspettare. Ciò spiega come mai nei suoi confronti prolifichino, in quasi tutti i Paesi e nelle agenzie internazionali per la cultura, una gran mèsse di progetti, decreti, schemi, proposte di definizioni e distinzioni. E naturalmente una fitta rete di discussioni e polemiche. Tutto questo fa sì che nel discorso culturale il teatro sia tanto più presente quanto più è piccolo il suo effettivo spazio nel vissuto. La sproporzione ha anche altre cause più interessanti. Deriva per esempio dal fatto che alcuni spettacoli dal vivo sono spettacoli con la coda. Possiedono in alcuni casi delle code imponenti per lunghezza ed esotica bellezza. Essi cioè si trascinano dietro e possono aprire a ventaglio lunghe e lunghissime narrazioni sulle proprie origini, miti leggende tradizioni vere e proprie storie piene di monumenti e documenti che affondano in passati remoti. Le loro code scavalcano quasi con noncuranza il Novecento e il suo spettacolo globale. Possono scendere fino a civiltà sepolte come l’antico Egitto o l’antica Grecia, il Giappone degli Shogun o l’India del VII secolo d.C. In Italia, hanno magnifiche code il teatro cosiddetto “di prosa”, il teatro Lirico (o d’Opera) e il Balletto.
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