Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Società sportive e modelli di organizzazione e gestione a confronto: verso un modello “integrato” 07 Giugno 2021 Roberto Compostella

*Contributo sottoposto a referaggio secondo le regole della rivista

Abstract Il contributo si propone di analizzare le specificità del modello di organizzazione, gestione e controllo nelle società sportive. In particolare, l’obbiettivo principale sarà quello di comprendere se il modello disciplinato dalla normativa sportiva ed in particolare dal nuovo Codice di Giustizia Sportiva e dallo Statuto della F.I.G.C. corrisponda al modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01 ovvero se non sia un modello differente. In ultimo, ritenendo che tali modelli siano tra loro differenti, si prenderà in considerazione la possibilità di redazione, da parte delle società sportive, di un unico modello integrato che tenga conto di entrambe le discipline.

Abstract This work’s purpose consists of analyzing the specific hallmarks of the sports associations’ OM. Specifically, the main issue that the author will take on is whether the OM as regulated by sport law for the sports associations matches with the OM as disciplined by Legislative Decree no. 231/01, or if the two are different from each other. Finally, assuming that the OMs are different, the author will attempt to weigh on whether it may be a feasible option to draft a model that includes both disciplines.

Sommario 1. Il modello di organizzazione e gestione nelle società sportive; il caso della F.I.G.C. 2. Il modello di organizzazione e gestione “sportivo” ed il modello ex d.lgs. n. 231/01: quali le differenze? 2.1. Le differenze tra la responsabilità amministrativa degli enti e la responsabilità sportiva. 2.2. Il modello di organizzazione e gestione nella prassi delle società calcistiche italiane. 2.3. Una prima parziale conclusione: modelli a confronto. 3. La costruzione del modello “sportivo”. 4. L’unificazione dei modelli 231 e sportivo: verso un modello integrato. 5. L’introduzione del reato di frode nelle competizioni sportive ed esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa nel novero dei reati presupposto ex d.lgs. n. 231/01. Ricadute in tema di avvicinamento tra modelli. 6. Conclusioni

Summary 1. The organization model in sports clubs; the case of F.I.G.C. 2. The “sports” organization model and the model ex Legislative Decree no. 231/01: which differences? 2.1. The differences between the administrative liability of the companies and the sporting liability. 2.2. The organization and management model in the Italian football clubs’ practice. 2.3. A first partial conclusion: models compared. 3. The construction of the “sportive” model. 4. The unification of the 231 and sports models: towards an integrated model. 5. The introduction of the crime of fraud in sports competitions and the abusive exercise of gambling or betting activities in the category of predicate offenses pursuant to Legislative Decree no. 231/01. Effects in terms of rapprochement between models. 6. Conclusions

1. Il modello di organizzazione e gestione nelle società sportive; il caso della F.I.G.C. d.lgs. n. 231/01 sono applicabili, ai sensi dell’art. 1, a tutti gli enti forniti di personalità giuridica, alle società e associazioni, quand’anche prive di personalità giuridica; in tale elenco rientrano, pacificamente, anche le società sportive[1]. Rispetto a tali società, tuttavia, occorre osservare preliminarmente che il complesso di norme di cui al d.lgs. n. 231/01 va necessariamente integrato con la normativa di settore[2], al fine di comprendere la corretta operatività del modello, sia con riferimento alla funzione esimente / attenuante, sia con riferimento alla disciplina applicabile; tale normativa, peraltro, è stata oggetto di recenti interventi, volti proprio a valorizzare il ruolo del modello in caso di sanzioni derivanti dalla commissione di illeciti sportivi[3]. Il riconoscimento in termini di esimente / attenuante dell’adozione da parte delle società calcistiche di un modello di organizzazione e gestione era disciplinata, sia pur in una forma molto attenuata, già dal previgente Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. In particolare, l’art. 13 prevedeva una circostanza attenuante o una esimente (a seconda dei casi) limitata invero alle sole ipotesi di fatti violenti posti in essere dai propri sostenitori o di comportamenti discriminatori, applicabile nel caso in cui ricorressero almeno tre delle seguenti circostanze: a) l’aver adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatosi, avendo impiegato a tal fine risorse finanziarie ed umane adeguate; b) l’aver cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti; c) l’aver, al momento del fatto, immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; d) l’aver, altri sostenitori, manifestato la propria dissociazione da tali comportamenti; e) non aver omesso o prestato insufficiente prevenzione e vigilanza[4]. Risulta evidente, già dalla semplice lettura della norma, che tali effetti “benefici” derivanti dell’adozione di un modello di organizzazione e gestione da parte di una società calcistica erano troppo limitati[5] per poter realmente fungere da incentivo: da un lato, infatti, erano circoscritti solo ad alcuni tipi di condotte (solo fatti violenti posti in essere dai propri sostenitori o comportamenti discriminatori) e dall’altro necessitavano di ulteriori requisiti. Al contrario, tali restrizioni non erano e non sono presenti nella disciplina del d.lgs. n. 231/01, ove è previsto che l’ente non risponda nel caso in cui abbia efficacemente adottato, prima della commissione di un reato (qualunque esso sia, senza limitazioni derivanti dal tipo di illecito) un modello di organizzazione e gestione[6], senza che siano richiesti ulteriori requisiti estranei alla corretta adozione del modello stesso[7]. La corretta implementazione del modello, peraltro, nel d.lgs. n. 231/01, è valorizzata anche in una prospettiva riparatoria post factum; l’art. 12 prevede infatti una circostanza attenuante applicabile a condizione che l’ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, abbia risarcito integralmente il danno, abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ed abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi[8]. Proprio la distanza normativa tra le previsioni contenute nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. e nel d.lgs. n. 231/01 aveva reso necessario, al fine di incentivare l’adozione dei modelli nelle società calcistiche, una revisione del Codice; ciò anche e soprattutto alla luce della giurisprudenza sportiva che sul tema si era espressa nel senso dell’impossibilità di estendere, nella vigenza di tali norme, le disposizioni di maggior favore contenute nel decreto ai casi di violazioni sportive, attraverso un’operazione analogica[9]. In particolare, si discuteva della possibilità, nel caso in cui la società calcistica avesse effettivamente adottato ed implementato il modello organizzativo prima della commissione dell’illecito sportivo, di applicare analogicamente la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/01, in luogo della disciplina più restrittiva prevista dall’art. 13 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. La giurisprudenza sportiva, tuttavia, non ha mai aderito in tal senso rilevando che: «l’art. 7, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non può fungere da scriminante nella fattispecie, in quanto la sua applicazione andrebbe a delineare, in senso negativo, la responsabilità oggettiva del club secondo parametri che, oltre ad essere del tutto estranei rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, ne stravolgerebbero la ratio»[10]. Tale disciplina, anche e soprattutto sulla scorta di sollecitazioni dottrinali[11], è stata di recente aggiornata ad opera del Nuovo Codice di Giustizia Sportiva approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione dell’11 giugno 2019, n. 258, che ha innovato in maniera sostanziale l’assetto relativo all’efficacia dell’adozione del modello nei procedimenti sportivi.

Nello specifico, l’art. 7 ha introdotto una circostanza attenuante o una scriminante applicabili alla società la quale abbia efficacemente adottato il modello di organizzazione, gestione e controllo, così come definito dal comma quinto dell’art. 7 dello Statuto della F.I.G.C. Secondo tale norma, il modello di organizzazione, gestione e controllo deve prevedere, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca: «a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento»[12].

2. Il modello di organizzazione e gestione “sportivo” ed il modello ex d.lgs. n. 231/01: quali le differenze? La normativa contenuta nel Nuovo Codice di Giustizia Sportiva nonché nello Statuto della F.I.G.C., pur attribuendo valenza attenuante / escludente della responsabilità alla corretta previa adozione ed implementazione del modello organizzativo da parte della società calcistica, non dedica norme di dettaglio atte a comprendere i caratteri fondamentali di tale modello. Occorre preliminarmente osservare che nel silenzio delle norme e già nella vigenza della precedente normativa di giustizia sportiva, si sarebbe potuto ritenere che il modello di organizzazione e gestione al quale faceva riferimento l’art. 13 del previgente CGS della F.I.G.C. fosse il modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01 tout court. Secondo tale ricostruzione, in altri termini, la società sportiva, per poter usufruire dei “benefici” già previsti dall’art. 13 e oggi previsti dall’art. 7 del CGS, si sarebbe potuta limitare ad adottare un modello di organizzazione e gestione seguendo la disciplina prevista dalle norme del d.lgs. n. 231/01 che avrebbe esplicato la sua efficacia sia nell’eventuale processo penale a carico dell’ente, sia nell’eventuale procedimento sportivo derivante da un illecito F.I.G.C. Tale interpretazione, tuttavia, non pare condivisibile per almeno due ordini di ragioni: anzitutto perché il modello 231/01, essendo prodromico alla prevenzione dei reati e non degli illeciti F.I.G.C., non avrebbe alcuna capacità (salvo i casi di coincidenza tra reato ed illecito) di prevenire la commissione di tali illeciti. In secondo luogo, una tale ricostruzione pare altresì smentita dai più recenti esempi di modelli di organizzazione e gestione implementati dalle società sportive e dalla stessa Lega che, come si vedrà nel prosieguo, sono strutturalmente diversi dai modelli disciplinati dal d.lgs. n. 231/01, nonché dalle linee guida adottate in data 1° ottobre 2010 dalla F.I.G.C.

2.1 Le differenze tra la responsabilità amministrativa degli enti e la responsabilità sportiva La responsabilità amministrativa degli enti presuppone la possibilità di muovere loro un “rimprovero”, trovando la sua ragion d’essere nella “colpevolezza dell’ente”; la responsabilità sportiva, al contrario, si basa essenzialmente sul criterio di imputazione oggettiva. Con riferimento alla responsabilità amministrativa, infatti, secondo quanto già stabilito dalla Relazione Governativa al d.lgs. n. 231/01: «Il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione»[13]; colpa di organizzazione che è stata individuata dalla giurisprudenza della Suprema Corta nell’: «Omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose. In tale concetto di "rimproverabilità" è implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo costituente un ente ai sensi del D.Lgs., art. 1, comma 2, adotti modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati»[14]. Il criterio di attribuzione della responsabilità sportiva, al contrario, si basa sull’imputazione oggettiva, con la conseguenza che l’ente sarà responsabile dell’illecito del tutto a prescindere da eventuali profili colposi o dolosi. Più in particolare, nell’ordinamento sportivo sono previste diverse ipotesi di responsabilità: una responsabilità “diretta” nel caso in cui la condotta sia stata posta in essere da un soggetto direttamente rappresentate della società; una responsabilità “oggettiva” nel caso in cui la condotta sia stata posta in essere da un soggetto tesserato o apicale; una responsabilità “presunta” nel caso in cui l’autore sia persona estranea alla società purché abbia determinato un “vantaggio” in capo alla stessa (salvo non si dimostri che l’ente era del tutto estraneo a tale condotta)[15]. Tale evidente differenza in termini di ascrizione della responsabilità all’ente, ovvero di tipo colposo nella disciplina del d.lgs. n. 231/01 e di tipo oggettivo nella disciplina sportiva, permette di avanzare alcune considerazioni sulla funzione che il modello di organizzazione e gestione può rivestire in entrambi i settori. Ai sensi della disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/01, la corretta predisposizione, l’adozione e l’efficace implementazione del modello prima della commissione del reato da parte della persona fisica, permettono di escludere quel profilo di “colpa in organizzazione” su cui si fonda la pretesa punitiva mentre l’eventuale adozione postuma, pur non facendo venire meno tale rimprovero colposo, ne attenua il grado. In un siffatto sistema, pertanto, l’adozione del modello esclude la “rimproverabilità” dell’ente e ne giustifica (e ne impone!) l’impunità. Diversamente, nell’ordinamento sportivo il ruolo del modello nella dinamica punitiva risulta meno evidente. Se il criterio di imputazione dell’illecito sportivo nei confronti dell’ente si basa sulla sola ascrizione obbiettiva, infatti, mal si comprende la ragione alla base dell’esclusione della responsabilità per l’ente in caso di previa adozione del modello di organizzazione e gestione[16]. Un secondo aspetto di netta differenza tra i due modelli è quello relativo alle condotte che proprio l’adozione dello stesso dovrebbe prevenire. Nel modello ex d.lgs. n. 231/01, evidentemente, le condotte che attraverso la corretta implementazione del modello dovrebbero essere prevenute sono quelle e solo quelle che potrebbero costituire uno dei reati previsti dagli artt. 24 e ss.; ciò spiega perché, nella redazione del modello assume particolare importanza l’attività di valutazione del rischio, attraverso la quale, previa la mappatura dei processi aziendali sensibili, si fornisce un quadro dei rischi da reato presenti nell’ente. Nel modello “sportivo”, al contrario, pare che l’attività di valutazione del rischio debba essere indirizzata alla prevenzione non dei reati ma degli illeciti sportivi (nel caso della Federazione Giuoco Calcio, gli illeciti F.I.G.C.). Così, nell’attività di mappatura dei rischi del modello “sportivo” si dovrà prendere in considerazione la possibilità di verificazione dei singoli illeciti F.I.G.C., assegnarne un livello di rischio e prevedere procedure atte ad impedirne la realizzazione.

2.2. Il modello di organizzazione e gestione nella prassi delle società calcistiche italiane Confrontando i modelli di organizzazione e gestione delle principali società calcistiche professionistiche italiane, risulta evidente che il modello di organizzazione adottato è strutturalmente molto diverso dal modello disciplinato dal d.lgs. n. 231/01. Si può primariamente prendere come riferimento il MOG della Lega Nazionale Professionisti Serie A, approvato dall’Assemblea della Lega Nazionale Professionisti di Serie A in data 20 aprile 2012. Nella descrizione dello scopo e dei principi di base, si chiarisce che esso è orientato a determinare, da un lato le «aree a rischio reato» e dall’altro le «aree di rischio […] illecito F.I.G.C.»[17]. Per raggiungere tale obiettivo, la metodologia utilizzata è stata l’identificazione, al contempo, dell’esistenza di attività a rischio di commissione: «(i) di uno dei reati che presuppongono la responsabilità dell’ente o (ii) di un illecito F.I.G.C. e dei presidi e controlli ad essi riferiti»[18] Completa il modello la parte relativa alle incompatibilità dei membri dell’ODV che, oltre a quelle previste dalla normativa ex d.lgs. n. 231/01, sono integrate dalla normativa della F.I.G.C. Analogamente, tra le società sportive, virtuoso è l’esempio dell’Associazione Calcio Milan S.p.A. che, alla luce delle già citate modifiche del CGS della F.I.G.C., ha aggiornato il MOG nel 2019[19]. Tra le modifiche più rilevanti, per quanto d’interesse ai fini del presente contributo, v’è la previsione che il modello venisse adeguato alle più recenti prescrizioni dell’ordinamento sportivo: «Adoperandosi ad individuare nella c.d. fase di Risk Assessment le Aree a Rischio Reato relative agli illeciti sportivi, […] al fine di dettare a tutti i Destinatari i principi e le norme di comportamento che devono essere seguite nelle aree che potrebbero essere potenzialmente impattate dalla commissione degli illeciti sportivi previsti dal CGS»[20]. Sono poi stati valutati i singoli illeciti previsti dal CGS ed, in particolare, sono stati ritenuti rilevanti: a) doveri generali di comportamento e riservatezza (art. 22 c. 4), b) dichiarazioni lesive (art. 24), c) divieto di scommesse e obbligo di denuncia (art. 24), d) prevenzione di fatti violenti (art. 25), e) fatti violenti dei sostenitori (art. 26), f) comportamenti discriminatori (art. 28), g) illecito sportivo e obbligo di denunzia (art. 30), h) violazioni in materia gestionale ed economica (art. 31), i) doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimento, cessioni e controlli societari (art. 32)[21].

2.3. Una prima parziale conclusione: modelli a confronto Possono già essere tratte alcune parziali conclusioni: il modello di cui all’art. 7 del CGS della F.I.G.C., prodromico ad ottenere per la società sportiva un’attenuazione o un’esclusione della pena, non pare essere il modello ex d.lgs. n. 231/01. Tale conclusione è ora confermata dalle Linee Guida di cui all’art. 7 c. 5 dello Statuto Federale della F.I.G.C., adottate nell’assemblea del 1° ottobre 2019. In tale documento, infatti, si riconosce espressamente che: «I Modelli di prevenzione, adottati in base alle presenti Linee guida, adottati su base volontaria ai fini della applicazione dell’art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva, perseguono finalità diverse rispetto ai modelli organizzativi predisposti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (di seguito “Modelli 231”). Ed infatti i Modelli di prevenzione sono volti a prevenire il compimento da parte delle società di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’ordinamento sportivo, mentre i Modelli 231 sono volti a prevenire il compimento di quei reati contemplati dal Codice Penale che costituiscono presupposto della responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231. Ove la società abbia adottato il Modello 231, sarà opportuno un coordinamento di tale Modello 231 con il Modello di prevenzione»[22]. Premessa la differenza tra i due modelli, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/01, pur non essendo direttamente applicabile in tutte le sue disposizioni nel caso di modelli “sportivi”, ben può essere considerata come disciplina residuale per tutti gli aspetti non compiutamente normati dalla normativa F.I.G.C. In concreto, nella redazione del modello sportivo, le società potranno compiutamente fare affidamento sulle norme contenute nel decreto e sull’interpretazione che di tali norme è stata fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, naturalmente adattandole alle finalità di tale modello.

3. La costruzione del modello “sportivo” Dal punto di vista della redazione del modello, la Parte Generale, nella quale «vanno ‘fotografati’ la configurazione giuridica societaria e i correlati organi di amministrazione e di controllo che la compongono, dando atto di eventuali modificazioni intercorse nel tempo»[23], pare potersi strutturare sulla falsariga del modello ex. d.lgs. n. 231/01, essendo tuttavia necessario adattarne alcuni aspetti; nello specifico nella parte di riferimento normativo dovranno valorizzarsi le norme contenute nel CGS e nello Statuto della F.I.G.C., in luogo di quelle, diverse, contenute nel d.lgs. n. 231/01. Non dissimili considerazioni possono essere svolte con riferimento al codice etico[24]. Tale documento integrativo, infatti, che costituisce nucleo essenziale dei modelli ex d.lgs. n. 231/01, è previsto come obbligatorio anche dall’art. 7 c. 5 dello Statuto della F.I.G.C. secondo il quale le società sportive si devono dotare di un modello che: «Tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca, dev(ono) prevedere: […]; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo»[25]. Maggiori difficoltà si riscontrano nelle attività di valutazione del rischio e nella predisposizione della Parte Speciale e delle procedure atte ad impedire la realizzazione del rischio valutato. Ciò in tanto in quanto proprio nel procedimento di valutazione del rischio le differenze tra il modello “sportivo” ed il modello ex d.lgs. n. 231 si fanno più marcate. Mentre nel modello ex d.lgs. n. 231 la valutazione attiene al cd. rischio – reato[26] e deve essere operata avendo come riferimento le norme previste dagli artt. 24 e ss. (i singoli reati presupposto), nel modello “sportivo” la valutazione attiene al rischio – illecito e dovrà pertanto avere come riferimento le norme della legislazione sportiva ed in particolare il CGS della F.I.G.C. Le già citate linee guida per la redazione del modello della F.I.G.C., con riferimento alla valutazione dei rischi, stabiliscono espressamente che: «Le società devono individuare i potenziali rischi esterni e interni di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità compiuti dalla società medesima, dai suoi dipendenti e atleti e, in generale, dai soggetti alla stessa associati. Devono inoltre valutare la probabilità di accadimento di tali rischi e il loro potenziale impatto alla luce degli strumenti di controllo approntati dalle società»[27]. A completamento del modello: «Le società devono dotarsi di un sistema procedurale proporzionato ai rischi di comportamenti non etici e rilevanti ai fini della responsabilità di cui al CGS, che la singola società deve affrontare e alla dimensione e livello agonistico della stessa»[28].

4. L’unificazione dei modelli 231 e sportivo: verso un modello integrato. Il modello “sportivo”, come già sopra argomentato, è un modello diverso dal modello ex d.lgs. n. 231/01, con la conseguenza che le società sportive, quantomeno quelle calcistiche (salvo quanto sarà disciplinato nei rispettivi ordinamenti federali per quanto attiene alle altre discipline), sono oggi tenute, se vogliono usufruire dei benefici previsti dalla legge, a predisporre due diversi modelli. Un modello 231 prodromico alla difesa della società sportiva nel procedimento penale instaurato a seguito dell’eventuale commissione, da parte di un suo soggetto apicale o subordinato, di uno dei reati previsti dal decreto agli artt. 24 e ss. e un diverso modello, cd. “sportivo” prodromico invece alla difesa innanzi alla giustizia sportiva, qualora si verifichi un illecito F.I.G.C. Eppure, alla luce di quanto già ricordato nel paragrafo precedente, le specificità proprie dei due modelli non impediscono di adottare un unico modello che si può definire “integrato”[29] e che riesca al contempo a soddisfare entrambe le finalità. Tale modello integrato dovrà fare applicazione di entrambe le normative, operando così una valutazione del rischio unificata che valuti tanto il rischio – reato quanto il rischio – illecito e che, fatto salvo l’adeguamento del Codice Etico ad entrambe le finalità, sia completato da un sistema di procedure atte ad impedire la realizzazione sia dei reati che degli illeciti.

5. L’introduzione del reato di frode nelle competizioni sportive ed esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa nel novero dei reati presupposto ex d.lgs. n. 231/01. Ricadute in tema di avvicinamento tra modelli. L’introduzione del reato di frode nelle competizioni sportive e del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti pare oggi ridurre la distanza tra i due modelli, confermando l’opportunità della redazione di un unico modello “integrato”. La legge n. 39 del 3 maggio 2019, che ha dato esecuzione alla Convenzione sulla manipolazione di competizione sportive, firmata il 18 settembre 2014 a Magglingen, ha infatti disposto l’introduzione dell’art. 25 quaterdecies secondo cui: «1. In relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote. 2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno»[30]. Tali fattispecie, che prima non costituivano possibile reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti e che pertanto non dovevano essere valutate ai fini della redazione del modello 231, erano invece i principali riferimenti in termini di illeciti F.I.G.C. [31]. L’inserimento di tali fattispecie nell’alveo dei reati presupposto ha come diretta conseguenza che le società sportive dovranno valutarne il rischio già a livello di redazione del modello 231; ciò comporta, inevitabilmente, che la principale valutazione che doveva essere operata nel solo modello “sportivo” deve oggi essere valutata anche nel modello 231 e che pertanto i due modelli tendono ora a sovrapporsi in modo più marcato. Dal punto di vista operativo, tale avvicinamento comporterà, per le società sportive, una maggiore semplicità di redazione del modello integrato, dovendo valutare, ai fini dell’integrazione del modello 231 con il modello sportivo, le sole residuali ipotesi di illeciti F.I.G.C. diverse dai predetti reati.

6. Conclusioni In conclusione, il dato normativo e le fonti di soft law relative ai modelli “sportivi” impongono oggi di redigere, per poter usufruire dei benefici già sopra menzionati, un modello di organizzazione e gestione “sportivo” che è diverso, sia nei contenuti che nella funzione, dal modello ex d.lgs. n. 231/01. Tale modello, infatti, ha come principale riferimento la prevenzione di tutte le condotte che potrebbero astrattamente integrare uno degli illeciti previsti dai regolamenti federali e non, come previsto dal d.lgs. n. 231/01, la prevenzione delle condotte che potrebbero integrare uno dei reati presupposto ex artt. 24 ss. I due modelli, specie dopo l’introduzione dell’art. 25 quaterdecies, sono oggi in concreto sovrapponibili, con particolare riferimento alla Parte Generale, al Codice Etico ed al Codice Disciplinare nonché con riferimento a tutte quelle condotte che costituiscono sia illecito F.I.G.C. sia reato presupposto. Ciò pare aprire la strada alla redazione di un unico modello – cd. integrato – nel quale la società sportiva dovrebbe valutare congiuntamente il rischio – reato ed il rischio – illecito e predisporre delle procedure idonee ad impedire la realizzazione di entrambi i rischi. Solo così, infatti, il modello potrà essere ritenuto idoneo sia ai fini dell’eventuale difesa nel processo penale in seguito alla commissione di un reato presupposto sia ai fini dell’eventuale difesa innanzi agli organi di giustizia sportiva nel caso di commissione di un illecito “sportivo”.

[1] A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente, Milano, 2020, 83, secondo cui: «Il d.lgs. n. 231 del 2001 troverà, dunque, applicazione con riferimento […] alle società sportive»; D. Castronuovo, G. De Simone, E. Ginevra, A. Lionzo, D. Negri, G. Varraso (a cura di), Compliance, responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2019, 24: «Non sembra, invece, ci siano problemi interpretativi nell’estensione della disciplina ex d.lgs. n. 231/2001 anche alle società di calcio professionistiche»; M. Ippolito, Le società di calcio professionistiche in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Lavis, A. Perini (a cura di), Bologna, 2014, 108, secondo cui: «Non vi sono dubbi nel ritenere che anche le società di calcio professionistiche soggiacciono al regime di responsabilità amministrativa». [2] In particolare, ogni Federazione, per quanto di sua competenza, disciplina gli aspetti relativi alla disciplina sportiva di riferimento. Nel presente contributo, per il particolare interesse nella materia, si privilegerà il riferimento alla normativa, oltre che del C.O.N.I., della F.I.G.C. [3] Ci si riferisce, nello specifico, alle norme contenute nel Nuovo Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C., approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, con deliberazione n. 258 dell’11.06.2019. [4] L’art. 13 così recitava: «La società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 11 e 12 se ricorrono congiuntamente le seguenti circostanze: a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo; b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni; c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione; d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti; e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società. 2. La responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli articoli 11 e 12 è attenuata se la società prova la sussistenza di alcune delle circostanze elencate nel precedente comma 1». [5] Anche la dottrina aveva sin da subito evidenziato come il circoscritto ambito di applicazione della norma citata non avrebbe costituito un incentivo per le società calcistiche all’adozione del modello; sul punto, si veda C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Dir. Pen. Cont., 20 dicembre 2013, 12, secondo il quale anche la circostanza che le condotte illecite dovessero essere necessariamente poste in essere dai “sostenitori” e non già anche dai dirigenti, tesserati o soci, contribuiva a restringere oltremodo l’ambito applicativo della norma. [6] Sull’efficacia della corretta adozione del modello ai fini di esimere la responsabilità dell’ente occorre invero distinguere tra i modelli ante factum ed i modelli post factum; mentre i primi, alle condizioni previste dal decreto, è riconosciuta l’effetto di esonero della responsabilità, l’adozione postuma permette che all’ente sia concessa una circostanza attenuante, così come previsto dall’art. 12 c. 2 lett. b) del d.lgs. n. 231/01. In questo senso si veda A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente. Disciplina e prassi applicative, cit., 165 ss. [7] Nel d.lgs. n. 231/01 si distingue, quanto ai requisiti per l’applicazione dell’esimente, a seconda che reato sia stato commesso dai soggetti apicali o dai soggetti subordinati; mentre, in quest’ultima ipotesi, l’art. 7 prevede la punibilità dell’ente solo nel caso in cui la commissione del reato sia stata possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza (v’è una presunzione di osservanza di tali obblighi qualora vi sia stata previa adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi nel primo caso), nel caso di soggetti apicali, l’art. 6 prevede che l’ente non risponda se, oltre ad aver adottato ed efficacemente attuato il modello prima della commissione del fatto, abbia nominato un organismo di vigilanza, non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte di tale organismo e gli autori del reato abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente il modello. In dottrina, sulla differenza dei criteri di imputazione dell’ente nel caso di soggetti apicali e subordinati, si vedano: C. E. Paliero, Soggetti sottoposto all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, cit., 186 ss., A. Bassi, F. D’Arcangelo, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente. Disciplina e prassi applicative, cit. 159 e ss., B. Assumma, M. Lei, Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, cit., 165 ss., D. Castronuovo, G. De Simone, E. Givevra, A. Lionzo, D. Negri, G. Varraso (a cura di), Compliance, cit., 93 e ss., A. Bassi, T.E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, Milano, 2006, 143 ss.; G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2010, 56 ss. [8] L’art. 12 del d.lgs. n. 231/01 prevede espressamente che: «La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi». [9] Sull’impossibilità di procedimenti analogici nei procedimenti sportivi, si veda il Lodo Ascoli Calcio 1989 S.p.A. c. F.I.G.C. , del 6 dicembre 2012, 12, secondo cui: «Né appare fondata la tesi della ricorrente, allorquando (specialmente nel primo motivo di gravame) cerchi di delineare la responsabilità oggettiva secondo parametri propri di istituti estranei all’ordinamento sportivo (in particolare, quello di cui all’art. 2049 c.c.), dimostrando, in tal modo, di trascurare completamente, da un lato, l’assoluta tipicità e singolarità della fattispecie ex art. 4, comma 2 del C.G.S., e, dall’altro, la non meno acclarata ed inattaccabile autonomia dell’ordinamento sportivo medesimo: convinzione, questa, che la sporadica e, comunque, superata pronuncia del T.A.R. Catania, richiamata dal Sodalizio istante nei propri scritti difensivi, non appare in grado di scalfire». In senso contrario, invece, si veda il Lodo arbitrale dd. 27 ottobre 2006, nel procedimento di arbitrato n. 1336 del 6 settembre 2006 promosso da Juventus F.C. s.p.a. c. F.I.G.C. , 5 e 6, secondo cui, anche se non in termini di esimente ma solo di trattamento sanzionatorio: «la Juventus F.C. s.p.a. si è adoperata per eliminare la possibilità di reiterazioni dell’illecito, revocando i poteri agli amministratori coinvolti e sostituendo integralmente il consiglio di amministrazione, adottando un codice etico e, soprattutto, un modello organizzativo idoneo a prevenire illeciti sportivi» e che tale circostanza debba essere apprezzata: «sul piano del trattamento sanzionatorio, in applicazione analogica della disciplina sulla 6 responsabilità delle persone giuridiche (d.lvo 8 giugno 2001, n. 231), secondo cui allo scopo di determinare l’entità della sanzione, deve farsi riferimento non solo alla gravità del fatto e al grado di responsabilità dell’ente, ma anche all’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti». [10] Lodo arbitrale dd. 10 aprile 2013, nel procedimento di arbitrato prot. 3120 del 19.11.2013 – 687, promosso dal S.p.A. contro la F.I.G.C.; il Collegio ha poi sottolineato che la normativa di cui al d.lgs. n. 231/01 non potrebbe essere applicata anche e soprattutto perché si struttura intorno alla “colpevolezza”, mentre la responsabilità sportiva è ascritta a titolo di responsabilità oggettiva. In particolare, si legge: «Questa forma di responsabilità, come ripetutamente affermato dai Collegi arbitrali di questo Tribunale, prescinde dalla colpevolezza della società ed opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società 6 medesima (v. già citato lodo Benevento Calcio S.p.A. c. F.I.G.C., 20 gennaio 2012). Pertanto, allo stato, nel sistema della responsabilità oggettiva calcistica la mancanza di colpevolezza non incide sull’an, bensì eventualmente sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società coinvolta». [11] Sul punto, si veda in particolare C. Cupelli, Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, cit., 15, secondo il quale, al fine di incentivare le società sportive ad investire nella redazione ed implementazione del modello di organizzazione, si sarebbe dovuto necessariamente riformare il sistema di “benefici” associati. Tali benefici venivano individuati dall’Autore in attenuazioni o esclusioni della responsabilità, finalizzate in ultima istanza a calmierare il principio di attribuzione della responsabilità vigente nella giustizia sportiva, ovvero la responsabilità oggettiva. Nello specifico, sottolineava l’Autore: «Si perverrebbe così ad un’ascrizione di responsabilità non più rigidamente oggettiva, ma fondata sull’accertamento di condotte delle società meritevoli di rimprovero, quantomeno per non avere adeguatamente previsto e attuato un modello idoneo a prevenire il verificarsi di taluni illeciti». [12] Cfr. art. 7 Nuovo Codice di Giustizia Sportiva, approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, con deliberazione dell’11.06.2019, n. 258. [13] Cfr. Relazione governativa al d.lgs. n. 231/01, par. 3.3. ove si analizza il riferimento, di matrice tedesca, della colpa in organizzazione, che viene così definita: «Una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo (riprovevolezza) consente oggi di adattare comodamente tale categoria alle realtà collettive […] Ai fini della responsabilità dell'ente occorrerà, dunque, non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall'art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione». [14] Cass. Pen., Sez. VI, n. 36083/2009, Rv 244256. In senso contrario rispetto alla teorica della colpa in organizzazione, si veda A. Bassi, T.E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Accertamento, sanzioni e misure cautelari, cit., 468 ss., secondo il quale: «Il riferimento alla teorica di matrice tedesca della “colpa in organizzazione”, ricostruita oltretutto sulla falsariga dei modelli di organizzazione e controllo, pecca quindi di artificiosità e costituisce una mera sovrastruttura ideologica motivata dall’esigenza di giustificare il rispetto del principio di colpevolezza che si ritiene tutelato dall’art. 27 Cost. e che è modellato sull’esempio della persona fisica. Palese è la fragilità di una ricostruzione teorica della colpa in organizzazione […] Si finirebbe infatti per imporre all’accusato di discolparsi, costruendo così una disciplina, questa sì costituzionalmente illegittima, fondata su una inammissibile presunzione di colpevolezza dell’accusato, che violerebbe pertanto non solo l’art. 27 ma anche l’art. 25 Costituzione. […] Se poi il parametro di rimproverabilità fosse quello della particolare organizzazione adottata dal singolo ente si finirebbe per introdurre una colpa insita nell’ente in sé, a prescindere quindi dal reato commesso e dall’illecito che ne dipende, configurando così una forma peculiare di “colpa d’autore” parimenti ritenuta pacificamente inammissibile e contrario al principio di offensività tutelato dall’art. 27 Costituzione». Sull’esimente relativa all’adozione del modello si veda anche M. Arena, G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2007, 90 ss., nonché S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2001, 46 ss. [15] Sui caratteri della responsabilità oggettiva nell’ordinamento sportivo, si vedano, A. Canducci, La responsabilità oggettiva nella giustizia sportiva: un architrave su pilastri di argilla, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. IV, n. 1, 2012, 87 ss.; A. Attanasio, Il D.lgs. 231/01 e le società di calcio: analisi e prospettive future, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. X, Fasc. 2, 2014, 91 ss.; G. Valori, Il diritto nello Sport, III ed., Torino, 2016, 238 ss.; A. Manfredi, Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l'ordinamento giuridico generale, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 55 e ss.; A. Manzella, La responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 153 ss. [16] Diversamente, si potrebbe ritenere di valorizzazione di tale attività di redazione del modello in un’ottica di attenuazione della responsabilità, pur oggettiva, basata sull’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. In questo senso si era espresso anche il già citato Lodo arbitrale dd. 10 aprile 2013, nel procedimento di arbitrato prot. 3120 del 19.11.2013 – 687, promosso dal Novara Calcio S.p.A. contro la F.I.G.C., secondo il quale: «L’art. 7, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 mal si presta a fungere da scriminante nella fattispecie. Il microsistema punitivo delineato dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 presenta connotati marcatamente penalistici e richiede, per poter ascrivere all’ente la responsabilità amministrativa dipendente da reato, la “colpevolezza” dell’ente medesimo, “intesa (in senso normativo) come rimproverabilità” […] Allo stato della normativa della F.I.G.C. , l’attuazione di protocolli di comportamento risulta dunque irrilevante ai fini della configurabilità della responsabilità oggettiva per infrazioni disciplinari dei propri tesserati; e ciò non solo in virtù del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, ma anche in quanto questa forma di responsabilità, come ripetutamente affermato dai Collegi arbitrali di questo Tribunale, prescinde dalla colpevolezza della società ed opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società 6 medesima (v. già citato lodo Benevento Calcio S.p.A. c. F.I.G.C. , 20 gennaio 2012). Pertanto, allo stato, nel sistema della responsabilità oggettiva calcistica la mancanza di colpevolezza non incide sull’an, bensì eventualmente sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società coinvolta». [17] Cfr. MOG della Lega Nazionale Professionisti Serie A, approvato dall’Assemblea della Lega Nazionale Professionisti di Serie A in data 20 aprile 2012, 26. [18] Cfr. loc. ult. cit., 27. [19] Altri esempi si potrebbero citare; tra i tanti, di particolare interesse è quello relativo alla Società Genoa che ha implementato un «codice per la prevenzione degli illeciti sportivi, attraverso un pool di professionisti che prestano attività di assistenza e consulenza in materia di elaborazione, aggiornamento ed attuazione di modelli di organizzazione […] Tale iniziativa si sostanzia nella stesura di un codice, vale a dire un complesso di regole, accompagnate da previsioni di carattere sanzionatorio, volto a prevenire la commissione di illeciti sportivi e specificamente di condotte rilevanti ai sensi degli artt. 6 (divieti in materia di scommesse e obbligo di denuncia) e 7 (illecito sportivo e obbligo di denuncia) del CGS», A. Attanasio, Il d.lgs. 231/2001 e le società di calcio: analisi e prospettive future, cit., pp. 99 e ss. [20] Cfr. MOG dell’Associazione Calcio Milan S.p.A., dd. 28.06.2019. [21] Cfr. loc. ult. cit., 19. [22] Linee Guida di cui all’art. 7 c. 5 dello Statuto Federale della F.I.G.C., adottate nell’assemblea del 1° ottobre 2019. [23] Cfr. C. Piergallini, La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio – reato , in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, G. Lattanzi (a cura di), Milano, 2010, 160. [24] Per una disamina dei principi elaborati in tema di codice etico nella dottrina formatasi con riferimento al d.lgs. n. 231/01, si vedano A. Alberici, La corporate governance ex d.lgs. 231/2001, in Il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. 231/2001, Profili metodologici e soluzioni operative, A. Alberici, P. Baruffi, M. Ippolito, A. Rittatore Vonwiller, G. Vaciago (a cura di), Milano, 2008, 344 ss., secondo il quale il codice etico avrebbe la funzione di esplicitare «I valori a cui tutti gli amministratori, dipendenti e collaboratori a vario titolo dell’azienda devono adeguarsi, accettando responsabilità, assetti, ruoli e regole della cui violazione, indipendentemente dalla circostanza che da essa consegua o meno una responsabilità aziendale verso terzi, essi assumono la personale responsabilità verso l’interno e l’esterno dell’azienda. Pertanto anche al Codice Etico può essere riconosciuta una valenza di deterrente. A differenza degli altri strumenti di Corporate Governance analizzati, il Codice Etico rappresenta l’unico documento che deve essere sempre presente in caso di adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, indipendentemente dalla complessità organizzativa della realtà aziendale di riferimento»; C. Piergallini, La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio – reato, cit., 162 ss.; G. Lasco, V. Loria, M. Morgante, Enti e responsabilità da reato, commento al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Torino, 2017, 82 ss. Per un approfondimento, invece, dei principi elaborati con riferimento al codice etico nei modelli “sportivi” si veda, tra i tanti, F. Bof, P. Previtali, Codice etico, modelli organizzativi e responsabilità amministrativa: l’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società di calcio professionistiche, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. IV, Fasc, 1, 2008, 89 ss.; con riferimento al codice etico, le Linee Guida di cui all’art. 7 c. 5 dello Statuto Federale della F.I.G.C., adottate nell’assemblea del 1° ottobre 2019, 10, prescrivono che: «Le società devono adottare un Codice Etico e procedure finalizzate a prevenire la commissione di comportamenti contrari ai principi etici di lealtà, correttezza e probità da parte dei soggetti interni o esterni alla società. Il Codice Etico e le procedure devono essere proporzionati al rischio di non conformità di ciascuna società e alla dimensione e livello agonistico della stessa». [25] Cfr. art. 7 c. 5 Statuto F.I.G.C. [26] G. M. Garegnani, Etica d’impresa e responsabilità da reato, dall’esperienza statunitense ai “modelli organizzativi di gestione e controllo”, Milano, 2008, 182 ss., secondo cui; «Definita la necessità di generare comunque una risposta al rischio di commissione di reati […] il primo passaggio nella definizione di un efficace Modello è in effetti la ricognizione delle aree di attività aziendali al fine di individuare le cosiddette attività sensibili, potenzialmente interessate alla commissione di reati». Sulla mappatura delle aree di rischio, si veda anche M. Bramieri, D. Bagaglia, A. Firmani, A. Mifsud, La responsabilità amministrativa e penale delle imprese, Milano, 2008, 290, secondo il quale: «Non può quindi essere considerato idoneo a prevenire reati e a escludere la responsabilità amministrativa dell’ente un modello aziendale di organizzazione e gestione, adottato ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.lgs. 231/2001, che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell’attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti […]. In altri termini, deve disegnare la mappatura del rischio-reato». [27] Secondo le linee guida, tale valutazione deve essere condotta secondo le seguenti modalità: « a) identificazione degli obblighi normativi imposti alla società dall’ordinamento nazionale e dall’ordinamento sportivo e correlazione di tali obblighi alle rispettive attività svolte dalla società, al fine di identificare le situazioni in cui potrebbero verificarsi non conformità; b) valutazione dei rischi di non conformità, in considerazione della probabilità che le non conformità possono verificarsi e della gravità delle loro conseguenze in termini di perdite economiche, danni reputazionali e responsabilità ai sensi dell’ordinamento nazionale o sportivo; c) confronto del livello di rischio di non conformità riscontrato durante le fasi di identificazione e valutazione dei rischi con il livello di rischio di non conformità che ciascuna società è disposta ad accettare; d) sulla base di tale confronto, mappatura delle attività a rischio per le quali devono essere definite e attuate idonee misure di mitigazione del rischio di non conformità». [28] Loc. ult. cit., 10. [29] L’idea di un modello integrato non è nuova nel panorama della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche; sia pur in ambito differente, ovvero relativo alle disposizioni in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, si veda F. Tosello, La responsabilità amministrativa degli enti, il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. 81/08 per la sicurezza sul lavoro, Torino, 2010. [30] Cfr. Convenzione sulla manipolazione di competizione sportive, firmata il 18 settembre 2014 a Magglingen; in particolare, il capo IV, relativo alle norme di «Diritto penale sostanziale e cooperazione in materia di applicazione della normativa”, è stato inserito l’art. 18, dedicato alla «Responsabilità delle persone giuridiche», ha imposto agli stati firmatari di adottare le più idonee misure legislative per rendere responsabili le persone giuridiche in caso di commissione di uno tra i reati previsti dagli artt. 15 – 17 della Convenzione. L’art. 18 della Convenzione, infatti, stabilisce che: «Ciascuna Parte adotta le misure legislative o di altra natura necessarie ad assicurare che le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili dei reati di cui agli articoli da 15 a 17 della presente Convenzione, commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona fisica che agisca individualmente o in qualità di membro di un organo della persona giuridica, che eserciti un ruolo direttivo in seno alla persona giuridica sulla base: a) del potere di rappresentanza della persona giuridica; b) dell'autorità di adottare decisioni per conto della persona giuridica; c) dell'autorità di esercitare controlli in seno alla persona giuridica». Con particolare riferimento al profilo della “colpa organizzativa”, il § terzo dell’art. 18 prevede che: «Fatta eccezione per i casi di cui al paragrafo 1, ciascuna Parte contraente prende le misure necessarie ad assicurare che le persone giuridiche possano essere considerate responsabili quando la mancanza di vigilanza o controllo da parte di una persona fisica di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli da 15 a 17 della presente Convenzione a vantaggio della persona giuridica in questione da parte di una persona fisica che agisca sotto la sua autorità». [31] Tra i tanti esempi che si possono portare, il più emblematico è quello relativo alla vicenda “” nella quale le fattispecie contestate, oltre all’associazione per delinquere ex art. 416 c.p., erano proprio quelle relative agli artt. 1 e 4 della legge n. 401/89. In modo non dissimile, la nota vicenda relativa al Cremona Calcio aveva quali reati contestati, gli artt. 3 e 4 della legge n. 401/89.

Alberici A., La corporate governance ex d.lgs. 231/2001, in Il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. 231/2001, Profili metodologici e soluzioni operative, Alberici A., Baruffi P., Ippolito M., Rittatore Vonwiller A., Vaciago G. (a cura di), Milano, 2008, 344 ss. Arena M., Cassano G., La responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2007. Assumma B., Lei M., Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Lavis, A. Perini (a cura di), Bologna, 2014, 165 ss. Attanasio A., Il D.lgs. 231/01 e le società di calcio: analisi e prospettive future, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. X, Fasc. 2, 2014, 91 ss. Bassi A., D’Arcangelo F., Il sistema della responsabilità da reato dell’ente, Milano, 2020. Bassi A., Epidendio T.E., Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, Milano, 2006. Bof F., Previtali P., Codice etico, modelli organizzativi e responsabilità amministrativa: l’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società di calcio professionistiche, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. IV, Fasc, 1, 2008, 89 ss. Bramieri M., Bagaglia D., Firmani A., Mifsud A., La responsabilità amministrativa e penale delle imprese, Milano, 2008. Canducci A., La responsabilità oggettiva nella giustizia sportiva: un architrave su pilastri di argilla, in Riv. dir. econ. dello sport, Vol. IV, n. 1, 2012, 87 ss. Castronuovo D., De Simone G., Ginevra E., Lionzo A., Negri D., Varraso G. (a cura di), Compliance, responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2019. Cupelli C., Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi, in Dir. Pen. Cont., 20 dicembre 2013. G. Lasco, V. Loria, M. Morgante, Enti e responsabilità da reato, commento al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Torino, 2017. Garegnani G. M., Etica d’impresa e responsabilità da reato, dall’esperienza statunitense ai “modelli organizzativi di gestione e controllo”, Milano, 2008. Gennai S., Traversi A., La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2001. Ippolito M., Le società di calcio professionistiche in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Lavis, A. Perini (a cura di), Bologna, 2014, 107 ss. Lattanzi G. (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2010. Manfredi A., Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l'ordinamento giuridico generale, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 55 e ss. Manzella A., La responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1987, pp. 153 ss. Paliero C. E., Soggetti sottoposto all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Lavis, A. Perini (a cura di), Bologna, 2014, 186 ss. Piergallini C., La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio – reato, in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, G. Lattanzi (a cura di), Milano, 2010. Tosello F., La responsabilità amministrativa degli enti, il modello 231 integrato con l’art. 30 d.lgs. 81/08 per la sicurezza sul lavoro, Torino, 2010. Valori G., Il diritto nello Sport, III ed., Torino, 2016.

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