La Sposa Siriana
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
LA SPOSA SIRIANA Sito: http://www.syrianbride.com/english.html Anno: 2004 Data di uscita: 1/7/2005 Durata: 97 Origine: FRANCIA - GERMANIA - ISRAELE Genere: DRAMMATICO - COMMEDIA Produzione: ERAN RIKLIS, BETTINA BROKEMPER, ANTOINE DE CLERMONT-TONNERRE, MICHAEL ECKELT PER ERAN RIKLIS PRODUCTIONS, NEUE IMPULS FILM, MACT PRODUCTIONS, ARTE FRANCE CINEMA, ARTE WDR Distribuzione: MIKADO (2005) Regia: ERAN RIKLIS Attori: HIAM ABBASS AMAL MAKRAM J. KHOURY HAMMED CLARA KHOURY MONA, LA SPOSA ASHRAF BARHOUM MARWAN EYAD SHEETY HATTEM EVELYNE KAPLUN EVELYNA JULIE-ANNE ROTH JEANNE ADNAN TRABSHI AMIN MARLENE BAJJALI LA MADRE URI GAVRIEL SIMON ALON DAHAN ARIK ROBERT HOENIG JOSEPH DERAR SLIMAN TALLEL, LO SPOSO RANIN BOULOS MAI Soggetto: SUHA ARRAF - ERAN RIKLIS Sceneggiatura: SUHA ARRAF - ERAN RIKLIS Fotografia: MICHAEL WIESWEG Musiche: CYRIL MORIN Montaggio: TOVA ASHER Scenografia: AVI FAHIMA Costumi: INBAL SHUKI Trama: Mona sta lasciando il villaggio druso di Majdal Shams, sulle Alture del Golan (occupate dagli israeliani dal 1967), perché sta per sposarsi con Tallel, un noto personaggio della televisione siriana. Tuttavia, quello che dovrebbe essere il giorno più bello della sua vita sarà anche il più brutto. La ragazza infatti, una volta superato il confine tra Israele e Siria non potrà più tornare indietro e quindi non vedrà più la sua adorata famiglia. Uno spaccato sulla complessa vita delle donne in Medio Oriente, divise tra famiglia, tradizioni e confini oppure in continua lotta per imporre idee moderne e progressiste. Come Amal, la sorella di Mona, che vorrebbe liberarsi dagli obblighi che la tradizione le impone... Critica: Batte altre strade e affronta le reti spinate di altri confini, invece, il film del regista Eran Riklis The Syrian Bride che mette casa in una famiglia araba del più grande villaggio dei Drusi nel Golan, fin dal 1967 territorio occupato dagli israeliani. Rincorrendo lo spartito classico di un matrimonio da consumarsi lungo il cordone che divide Israele e Siria, ci si infila dentro il corpo di una famiglia siriana scossa da una serie di frizioni interne ed esterne. All’interno, un frullatore fatto di tradizioni infrante, parentele taciute, attività sovversive e oppressioni maschili a cui si aggiunge la condizione umorale della sposa che non può non vedere nel giorno delle nozze il momento più cupo della sua vita. Pronunciando il suo sì a Tallel, un divo della televisione siriana che lei conosce solo via teleschermo, la donna, una volta balzata oltre la linea d’ombra del confine, non potrà più tornare dai suoi parenti. Strade senza ritorno quindi che, non potendosi appoggiare agli aiuti impotenti della Croce Rossa, vengono ritardate dallo stolido arroccamento delle burocrazie dei due Stati. E mentre l’attesa si fa estenuante, il racconto viene pizzicato da un umorismo capace di non cancellare il tessuto di sofferenza e malessere che imbriglia brandelli di mondo tanto contesi da diventare terra di nessuno. In un mondo fatto di dogane e recinti tanto fisici quanto mentali ed 1 emotivi, il film gioca bene le sue carte e l’apparente lieto fine resta soltanto una cravatta individuale che non riesce però a strozzare le radici dolorose del conflitto. (Lorenzo Buccella, L'Unità - 17/08/2004) "Come accadeva nella commedia all'italiana, una storia divertente serve a far capire molte cose serie. (...) La commedia analizza tutte le difficoltà da superare per arrivare sul luogo delle nozze, tutte le complicazioni: la sposa, ormai siriana, ad esempio, non potrà più vedere sua madre perché è vietato attraversare il confine; una burocrazia soffocante non consente di vivere senza documenti, bolli, timbri, discussioni." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 1 luglio 2005) "E' un bel film 'La sposa siriana' anche questo suo vivere sul confine, che è geografico ma soprattutto emozionale specie attraverso uno sguardo che ne sa catturare le zone invisibili dell'assurdo. Viene alla mente l'ultimo film di Amos Gitai 'Free Zone', anche lì un confine attraverso per economie nelle quali si cancellano le differenze, anche lì una ripetizione del dialogo impossibile in finita che la critica israeliana ha ovviamente massacrato, mai perdonando al regista la sua libertà mentale distillata in una presenza anche atto d'amore per Israele, dunque lavoro constante di consapevolezza e non facile rifiuto critico d'esilio. 'La sposa Siriana' nasce da un documentario, 'Borders' che Riklis aveva girato qualche anno fa (1998) sullo stesso argomento, le famiglie israeliane e siriane che vivono divise anche se documento e finzione si mescolano, scivolano l'uno nell'altro, nella messinscena di una realtà che solo qui assume una verità profonda." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 1 luglio 2005) "Cinema di frontiera, frontiere del cinema. Non si contano più i film sulle migrazioni e i conflitti etnico-culturali, ma quando ci si disputa lo stesso fazzoletto di terra la situazione si fa ancora più aggrovigliata. Nell'esordio di Saverio Costanzo premiato all'ultimo festival di Locarno, 'Private', la frontiera passava addirittura dentro una casa palestinese requisita dai soldati di Tel Aviv. Ma il record delle frontiere spetta a un altro film scoperto a Locarno, 'La sposa siriana', commedia amarissima dell'israeliano Eran Riklis. (...) Non fosse tutto angosciosamente vero e restituito nei minimi dettagli (anche linguistici, nella versione originale: i drusi parlano un arabo diverso), sembrerebbe un Beckett mediorientale. Ma proprio questo voleva il regista, che scegliendo una comunità del tutto speciale come quella drusa allude in realtà a una situazione ben più generale. Coprodotto da Israele, Francia e Germania, basato su lunghe ricerche e su un documentario girato sempre da Riklis lungo le molte frontiere israeliane, 'La sposa siriana' porge un soggetto delicatissimo alle grandi platee forse senza grandi colpi d'ala ma con ammirevole rigore. E riporta sugli schermi un'attrice di insolito magnetismo come Hiam Abbas (la sorella della sposa). Una palestinese fuggita da Nazareth giovanissima per approdare a Gerusalemme, Londra e poi Parigi. Dove, oltre a fare la fotografa e l'attrice (qualcuno l'avrà vista rifiorire grazie alla danza del ventre nel tunisino 'Satin rouge'), ha anche girato due corti già andati nei festival." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 luglio 2005) "Presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Locarno, 'La sposa siriana' di Eran Riklis, un inglese di origine siriana al suo quinto lungometraggio per il cinema, è uno di quei film che denunciano una condizione esistenziale oppressiva, descrivono le contraddizioni di un Paese, radiografano uno scenario esplosivo senza fare un'opera politica, senza tesi ideologiche, senza arrampicarsi su complicati argomenti internazionali. Con una coproduzione franco-tedesco-israeliana, Riklis ha scelto di raccontare una storia semplice ma efficace, leggera ma profonda, a tratti divertente ma polemica. (...) Il film è un atto d'amore per la libertà, per i paesaggi che ci circondano, per le donne che si battono per affrancarsi da un'aberrante discriminazione, per un intero popolo che continua a sognare e a sperare. Ma Riklis evita la retorica, il facile ricatto emotivo, il comodo didascalismo, per lavorare su un piccolo universo concentrazionario, per gestire con sobrietà le paradossali implicazioni di un semplice matrimonio. La vicenda è tenuta saldamente in pugno alternando umorismo e dolore e alludendo con misura al potere dei confini, fisici, mentali e emotivi." (Alberto Castellano, 'Il Mattino', 2 luglio 2005) Benvenuti nel Paese dell'assurdo, dove tutto il potere spetta ai confini: non solo quelli politico-geografici, ma anche i confini mentali, psicologici, emotivi. Spesso, i più difficili da varcare. Mona, ragazza drusa, vive nel Golan occupato dagli israeliani. Però sono imminenti le sue nozze con un attore di sit-com siriano, che neppure conosce: una volta passata la frontiera, la giovane non potrà più tornare indietro. Se la situazione è, a priori, drammatica, Eran Riklis ha scelto di rappresentare una commedia con venature d'assurdo. Come in una buona commedia all'italiana del passato, i primi venti minuti servono a installare i personaggi rendendoceli famigliari: Mona dallo sguardo triste, il padre filosiriano in libertà vigilata, la sorella emancipata, il fratello ripudiato, quello che si è messo "in affari". Il piccolo universo famigliare rappresenta in via emblematica lo stato di follia quotidiana in cui vivono i cittadini dei due Paesi in guerra, Israele e Siria. A tratti, il teatrino dell'assurdo di La sposa siriana richiama il cinema balcanico di Kusturica e di Tanovic. Mettendo in scena il nonsense degli uomini, delle frontiere, della burocrazia, Riklis rappresenta shock culturali e crisi individuali d'identità senza cadere nelle trappole del film a tesi. Nell'impianto corale, ben padroneggiato, spiccano i personaggi femminili: donne capaci di mostrarsi irriducibili guerriere dinanzi alla demenza della guerra, che lo sguardo del cineasta segue con rispetto e ammirazione. Roberto Nepoti - la Repubblica (1/7/2005) La sposa siriana è in effetti una ragazza drusa che vive sulle alture del Golan e sta per sposare un giovane attore siriano che invece vive a Damasco il giorno della nomina di Bachar al Assad nuovo presidente della Siria... Eran Riklis che dirige e ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Suha Arraf, giornalista e scrittrice palestinese, è israeliano e con questo suo film 2 conferma quella nuova ondata di autori e immagini, pensiamo a Avanim di Raphael Nadjari, Camminando sull'acqua di Ethan Fox, Prendere moglie di Ronit Elkabez che sta crescendo in Israele. Opere e stili e necessità molto diverse ma con l'urgenza comune di fare un cinema che esca dall'«obbligo» del conflitto israelo-palestinese come unico riferimento possibile. La guerra c'è ma viene detta obliquamente, nelle sue conseguenze profonde, nelle mutazioni emozionali, in un quotidiano che ne è impregnato nonostante la sottolineata «normalità». Riklis vive a Tel Aviv anche se le sue note biografiche ci dicono che viaggia spesso, ha diversi film alle spalle tra cui Cup Final e molta tv, e l'esperienza di evidenziare anche nei toni morbidi il paradosso di un presente che è anche passato, tempo straniato nella ripetizione.