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CAPITALE

Mafia Capitale: corruzione e regolazione mafiosa nel «mondo di mezzo»

di Vittorio Martone

1. Premessa

Dal dicembre 2014, con l’operazione «Mondo di mezzo» e l’ipotesi della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma (da ora in poi Dda) circa l’esistenza di una mafia autoctona capitolina1, il dibattito in tema di nuo- ve mafie ha registrato un rinnovato vigore. La locuzione si riferisce sia alla mobilità delle organizzazioni storiche in aree non tradizionali, sia alla genesi di nuove organizzazioni – anche straniere – che presentano i tratti tipici delle mafie2. All’interno di questo dibattito, approfondendo il caso di (da ora in poi MC), vogliamo qui porre l’atten- zione sulle trasformazioni del concetto stesso di mafie allorquando ci si riferisce alle organizzazioni criminali operanti in aree di non tradizio- nale insediamento. Qui esse tendono infatti a esaltare il proprio profilo imprenditoriale, abbandonando i tratti violenti tipici della mafiosità o mutandone in qualche modo i confini semantici. L’interesse per i mer- cati legali stimola la promozione di relazioni di collusione e complicità all’interno dell’area grigia. Sono maggiormente coinvolti i settori sot- toposti a regolazione istituzionale, dove si possono ottenere posizioni monopolistiche e di accesso privilegiato alle risorse pubbliche3. In questi ambiti, come è stato mostrato, le mafie fanno largamente ricorso alla

1 Tribunale di Roma, Ordinanza di applicazione di misure di cautelari nei confronti di Mas- simo Carminati e altri, Roma 2014; Id., Ordinanza di applicazione di misure di cautelari nei confronti di Gerardo Addeo e altri, Roma 2015. 2 Su questi temi la letteratura sociologica è oramai vasta; tra gli altri, N. dalla Chiesa e M. Panzarasa, Buccinasco. La ’ndrangheta al Nord, Einaudi, Torino 2012; Mafie del nord. Strategie criminali e contesti locali, a cura di R. Sciarrone, Donzelli, Roma 2014; F. Varese, Mafie in movi- mento. Come il organizzato conquista nuovi territori, Einaudi, Torino 2011. 3 R. Sciarrone, L. Storti, The territorial expansion of mafia-type . The case of

«Meridiana», n. 87 the Italian mafia in Germany, in «Crime, Law and Social Change», 61, 1, 2014, pp. 37-60.

21 Mafia Capitale corruzione per facilitare l’infiltrazione negli appalti e nei sub-appalti4. Si configurano trame diffuse di compartecipazione corruttiva, che rendono difficile distinguere i confini delle organizzazioni criminali, complican- do altresì il percorso di riconoscimento della loro natura mafiosa in sede giudiziaria, così come nel dibattito pubblico. Questi aspetti non sono assenti nelle aree cosiddette tradizionali. Tuttavia è nelle regioni diverse da quelle storicamente connotate che essi trovano più esplicito compi- mento, anche per le peculiari caratteristiche dei contesti in cui il livello della repressione è meno maturo (es. assenza tradizioni e prassi giuri- sdizionali) e l’emergenza sociale non ancora accesa (es. riconoscimento, rimozione, negazione). Gli elementi sinora considerati (profilo imprenditoriale, investimenti nei settori regolati e corruzione, problemi di riconoscimento) sono tut- ti presenti nell’inchiesta sulla mafia romana. Nelle pagine che seguono proviamo a delineare i tratti principali del caso, ponendo una serie di in- terrogativi in merito alla peculiare natura mafiosa dell’organizzazione e alle sue specificità organizzative e relazionali, che si esprimono con mag- giore chiarezza nel settore dei servizi sociali. In effetti, a ben vedere, MC si presenta come una rete di cooperative sociali che penetra (attraverso la intimidazione e la corruzione) la pubblica amministrazione e le società pubblico-private per ottenere appalti nei settori collegati al welfare state (accoglienza rifugiati, gestione campi nomadi e dell’emergenza abitativa ecc.). In tal senso, si conferma quanto emerge nella recente letteratura sul tema5: come esito di un ampio processo di privatizzazione, il welfare rappresenta un mercato di rinnovato interesse per le imprese criminali. L’arretramento del pubblico e l’esternalizzazione di porzioni crescenti dei servizi6 ampliano le possibilità del configurarsi di nuove forme di neo-patrimonialismo, con una gestione particolaristica di risorse pub- bliche e una commistione perversa tra pubblico e privato, in cui risulta difficile tracciare una netta linea di distinzione tra legale e illegale. Tale configurazione vale anche nel caso dei servizi sociali e della accoglienza dei rifugiati e dei nomadi, settori nei quali MC investe maggiormente. Qui si presenta, anzi, un elemento di ulteriore facilitazione: la gestione

4 A. Lavorgna, A. Sergi, Different manifestations of organised crime and in : a socio-legal analysis, in Shady Business and Governance in Europe. Cross-border sleaze and crisis, eds. P. van Duyne, J. Harvey, G. Antonopoulos, K. von Lampe, A. Maljevic, A. Markovska, Wolf Legal Publishers, Oisterwijk, pp. 139-61. 5 U. Ascoli, R. Sciarrone, Welfare, corruzione e mafie, in «Politiche Sociali», 2, 2015, pp. 219-26. 6 J.H. Clarke, Changing Welfare Changing State: New Directions in Social Policy, London, Sage, 2004; U. Ascoli, E. Pavolini, Ombre rosse. Il sistema di welfare italiano dopo venti anni di riforme, in «Stato e mercato», 96, 2012, pp. 429-64.

22 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa in costante stato di emergenza, ampiamente sovvenzionata dalla spesa pubblica in un regime di scarsità di controlli. Ciò facilita la penetrazione delle cooperative mafiose le quali, incastrate in un tessuto connettivo ramificato e tutt’altro che sano, riescono a influenzare le dinamiche eco- nomiche del settore7. Il saggio si suddivide in quattro paragrafi. Nel secondo si espongono le caratteristiche del contesto criminale romano, approfondendo le rap- presentazioni diversificate e controverse nel dibattito pubblico. Nel terzo paragrafo si affronta il funzionamento dell’organizzazione con attenzione alle caratteristiche del suo reticolo di riferimento. Nel quarto mostriamo il ruolo delle cooperative sociali vicine all’organizzazione coinvolte nella gestione delle emergenze sociali. Nelle conclusioni tentiamo una sintesi dei principali aspetti emersi nell’analisi del caso, ridiscutendo alcuni as- sunti interpretativi in uso per descrivere la criminalità romana e le mafie storiche operanti nella capitale.

2. Le mafie di Roma: rappresentazioni controverse

«Il e in modo particolare Roma è diventato l’epicentro di ma- fia, e ’ndrangheta, che operano nei settori più disparati e reddi- tizi dalla droga ai sequestri, dai taglieggiamenti al riciclaggio del denaro sporco». È questa la fotografia esposta nella relazione della Corte d’Ap- pello di Roma del 19848. Lo stesso anno l’allora sostituto procurato- re De Ficchy sottolinea che a Roma opera anche una forte criminalità autoctona, «una unica associazione criminosa […] di cui la è asse preminente»9. Testimonianze che confermano come nel Lazio, oramai da diversi decenni, si segnali la presenza plurima di gruppi di criminalità organizzata. Maggiore attenzione, da allora, è rivolta alle mafie storiche poiché vari fattori hanno consentito alla criminalità organizzata di stampo mafioso di in- sediarsi ed operare con relativa «tranquillità»: la posizione geografica centrale, la

7 Con questa espressione intendiamo riferirci alla tesi del radicamento (embeddedness) dell’agire economico all’interno di network di relazioni interpersonali, sistemi concreti e attivi di relazioni sociali (cfr. M. Granovetter, Economic action and social structure. A theory of embed- dedness, in «American Journal of Sociology», 91, 1985). È questa una tesi già da tempo utilmente applicata all’analisi della dimensione economica del fenomeno mafioso, non considerabile come corpo estraneo al tessuto sociale, ma radicato in contesti territoriali dove si riproduce e dai quali può diffondersi attraverso l’impiego di capitale sociale (cfr. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli, Roma 2009). 8 In Osservatorio Legalità e Sicurezza Lazio, Mafie nel Lazio, 2015, p. 18. 9 Tribunale di Roma, Requisitoria del Sostituto Procuratore, 1984, p. 4.

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vicinanza con zone dove è più consolidato l’insediamento mafioso (in particolare la ), la presenza di importanti centri del potere economico, finanziario e politico, la dimensione dell’area urbana della capitale, che rende meno agevoli i controlli delle forze dell’ordine e garantisce una più facile mimetizzazione10. Trent’anni dopo queste stesse argomentazioni (contiguità geografica, basso grado di allarme sociale e mimetizzazione economica) prevalgono nella documentazione di settore, che attribuisce alle mafie una predo- minante vocazione agli affari, quasi mai esplicitamente violenta. In una recente relazione, la Commissione parlamentare antimafia (da ora, Cpa) individua tre forme di espansione mafiosa: colonizzazione nel Nord- ovest; delocalizzazione nel Nord-est; espansione economica nel Centro (Toscana e Lazio), poiché «sul territorio laziale non si riscontrano (in maniera sufficiente) gli elementi che tipicamente connotano l’associa- zione di stampo mafioso: la forza di intimidazione, la condizione di as- soggettamento, l’omertà, il capillare controllo del territorio»11. Questa presenza non opprimente rende a lungo difficoltoso il riconoscimento delle mafie laziali in sede giudiziaria. Un aspetto sottolineato anche dalla Direzione Nazionale Antimafia (da ora, Dna): Proprio tali modalità della penetrazione mafiosa sul territorio romano hanno in passato consentito ai meno attenti di negare il fenomeno, ed hanno comporta- to che in vari procedimenti l’imputazione di associazione mafiosa, benché conte- stata con misura cautelare, non abbia retto al vaglio dibattimentale12. Eppure non sembra condivisibile l’esclusivo carattere silente delle mafie romane, la cui presenza va spesso al di là di una mera espressio- ne di reticoli di colletti bianchi. Con riferimento ai traffici di droga, ad esempio, emerge un ampio interesse di camorra13 e ’ndrangheta14 che pure controllano porzioni di territorio e quando serve sparano. In se- condo luogo, l’interpretazione della legislazione antimafia appare forte- mente intrisa «da stereotipi a sfondo sociologico volti a imprigionare la

10 Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre organizza- zioni criminali similari, Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità organizzata a Roma e nel Lazio, X Legislatura, doc. XXIII, n. 41, 1991, p. 10. 11 Cpa, Relazione conclusiva, XVI Legislatura, doc. XXIII, n. 16, 2013, p. 181. 12 Dna, Relazione annuale sulle attività svolte nel periodo 1° luglio 2013-30 giugno 2014, Roma 2015, p. 685. 13 Si pensi al clan Senese che mantiene «le condotte e i costumi tipici delle associazioni camor- ristiche» (Ivi.) e controlla i traffici di droga al Tuscolano unitamente al clan Pagnozzi (Tribunale di Roma, Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Pagnozzi Domenico + 60, Roma 2015). 14 L’omicidio di Vincenzo Femia (gennaio 2013) si inserisce in un conflitto per il traffico di stupefacenti tra le articolazioni romane di tre cosche di San Luca in Aspromonte: i Nirta (di cui Femia è sodale), i Giorgi e i Pelle.

24 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa norma nell’alveo di ben delimitate esperienze criminali»15. Nei contesti in cui un gruppo è storicamente radicato ci sarebbe una accettazione tacita del metodo mafioso nella società locale, concepita dai più come conseguenza delle condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno. La Dna avalla questa tesi affermando che nel Lazio non vi sono insediamenti abitativi di tipo incontrollato sotto il profilo urbanistico (come i quartieri di Scampia o di La calza) in cui l’ambiente, la disoccupazione, il degrado abitativo agevola la penetrazione mafiosa. In sostanza non si riscon- trano, sul territorio romano e laziale, gli elementi che connotano l’associazione di stampo mafioso16. Come se l’assoggettamento e l’omertà, più che elementi qualificanti l’entità dell’intimidazione, fossero solo conseguenza della carica matu- rata dalle mafie nei contesti di deprivazione economica e arretratezza culturale17. Come è stato lucidamente osservato, in questi termini si ge- nera «una sorta di cortocircuito tra interno ed esterno, poiché in de- finitiva la mafia non è distinguibile dal suo contesto di riferimento»18. Intrisa del vocabolario tipico del contagio, tale narrazione rischia di far cadere la possibilità di «configurare l’esistenza di associazioni mafiose in regioni refrattarie, per una serie di ragioni storiche e culturali, a subire i metodi mafiosi»19. In questo quadro si inscrivono le difficoltà nel rico- noscere la natura giuridicamente mafiosa delle organizzazioni attive nel Lazio, dimostrata dal fatto che – nonostante le presenze di lunga data – la magistratura giudicante non ha mai, fino al 2012, applicato il reato di associazione mafiosa a un gruppo operante sul territorio regionale20.

15 C. Visconti, A Roma una mafia c’è, e si vede…, in «Diritto Penale Contemporaneo», 2015, p. 10. 16 Dna, Relazione annuale sulle attività svolte nel periodo 1° luglio 2011-30 giugno 2012, Roma 2013, p. 703. 17 A definire la mafiosità è anzitutto l’origine meridionale dei componenti; un approccio che preserva la società locale e definisce i mafiosi per alterità. Sul punto è esemplificativo quanto si legge nel primo Libro Bianco del Pd sulla criminalità organizzata a Roma: «Sono tra noi, parlano e pas- seggiano per le strade, sorridono e vestono bene, ma a differenza nostra comprano, costruiscono, corrompono e trafficano in droga e armi. Sono gli esponenti dei clan mafiosi che dall’inizio degli anni sessanta si sono insediati nel Lazio e a Roma» (G. Bascietto, Alle origini della criminalità orga- nizzata a Roma e nel Lazio, in Primo Libro Bianco sulla criminalità organizzata a Roma, a cura di G. Bascietto, G. Colussi e S. Laudisa, 2012, pp. 27-34, corsivo nostro). 18 Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove cit., p. XVIII. 19 A. Balsamo, S. Recchione, L’interpretazione dell’art. 416 bis c.p. e l’efficacia degli strumenti di contrasto, in «Diritto penale contemporaneo», 2013, p. 5. 20 La sentenza è emessa nei confronti di un gruppo operante da Nettuno al Circeo e fino all’alta provincia di Latina, capeggiato da Maria Rosaria Schiavone (campana, nipote del più noto Francesco Schiavone detto Sandokan) e dal marito Pasquale Noviello (criminale locale). Sul pun- to si veda L. Brancaccio, V. Martone, L’espansione in un’area contigua. Le mafie nel basso Lazio, in Mafie del nord cit.

25 Mafia Capitale

Il mancato ricorso al reato di associazione mafiosa influenza le defi- nizioni del fenomeno nel dibattito pubblico capitolino, dove persistono posizioni assai controverse, specialmente attorno al riconoscimento di una certa mafiosità alla criminalità autoctona, cui è stato generalmente attribuito un ruolo minoritario. I gruppi romani sarebbero «tradizional- mente impegnati nelle attività di usura, gioco d’azzardo e commercio di stupefacenti [senza manifestare] una generale inclinazione alle attività di reinvestimento»21. La sottovalutazione di questa criminalità riflette il perdurare di rappresentazioni folkloristiche collegate a un immaginario stilizzato del malvivente romano. Nella letteratura dominante egli è un eroe di borgata, tendenzialmente collegato ad ambienti neofascisti, che opera individualmente o al massimo in piccoli gruppi, sostanzialmente incapace di edificare organizzazioni complesse e dunque propriamente (o giudiziariamente) mafiose22. Le controversie di definizione informano anche il cambio di passo che la Dda romana avvia dal marzo 2012. L’operazione Nuova Alba del luglio 2013 contesta per la prima volta il 416 bis a un cartello di clan operanti da decenni sul litorale di Ostia. Tra gli imputati compaiono esponenti di Cosa nostra (Triassi e D’Agati) ma anche nomi storici del crimine autoctono come i Fasciani. Al sodalizio autoctono è stata riconosciuta in primo grado l’associazione di stampo mafioso23. Essendo una prima volta, questa sentenza ritrae un passaggio importante che tuttavia non conclude il percorso di riconoscimento della mafiosità giudiziaria del sodalizio, tuttora problematica. Nel giugno 2016 la seconda Corte d’appello di Roma nega l’aggravante mafiosa, riconoscendo agli imputati il reato di associazione semplice con conseguente riduzione delle pene ai Fasciani e con l’assoluzione dei fratelli Triassi24. La pronuncia della Corte ingenera diverse polemiche e appare come un’ulteriore divergenza tra vocabolario giudiziario, percezione pubblica e tematizzazione politica25.

21 Dna, Relazione annuale 2014 cit., p. 682. 22 Ad esempio, l’ex Prefetto di Roma, di fronte agli oltre trenta omicidi del biennio 2011- 12, parla di «piccola guerra tra bande»: «non essendoci soggettività criminali in grado di assu- mere un ruolo egemone, i vuoti aperti vengono colmati da una nuova generazione di criminali, violenti, meno riflessivi, più inclini all’esercizio della forza che alla mediazione» (F.E. Torsello, Inchiesta Roma, in «Narcomafie», 6, giugno 2012, pp. 30-49). 23 Tribunale di Roma, Sentenza nei confronti di Triassi Vito, Roma 2015. 24 Corte d’Appello di Roma, Sentenza nei confronti di Triassi Vito e altri, Roma 2016. 25 Un esempio su tutti è nelle dichiarazioni di Virginia Raggi, neoeletta sindaca di Roma, che sui clan di Ostia commenta: «Bisogna iniziare a chiamare le cose con il loro nome e non dobbiamo avere paura di pronunciare la parola mafia quando la mafia esiste» (Ansa, «Raggi, blitz anti-Fasciani di Ostia? Chiamiamola mafia», 26 giugno 2016).

26 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa

3. Mafia Capitale: origine, organizzazione e legami esterni

Con l’operazione «Mondo di mezzo» le controversie in tema di mafie a Roma diventano centrali nel dibattito pubblico locale e nazionale, ridi- scutendone – come anticipato – gli stessi confini semantici. Secondo gli inquirenti, MC è un’organizzazione generatasi fuori dal Mezzogiorno ma connotata da indici criminali sinora ritenuti propri delle mafie storiche. Come detto in apertura, il vocabolario evocato è quelle delle nuove mafie, anche se nel caso romano non siamo di fronte a una mafia propriamente nuova. MC affonda le sue radici nel prece- dente della Banda della Magliana, suo «sodalizio-matrice». Nonostante tali origini, la scoperta giudiziaria26 avviene quando MC è nella sua fase matura: delle due dimensioni che tradizionalmente connotano l’associa- zione mafiosa – controllo del territorio, da cui deriva il suo potere e agire politico, e organizzazione dei traffici, che la caratterizza come impresa che opera a cavallo tra i mercati illegali e quelli legali – MC appare pre- valentemente concentrata sulla seconda. E lo fa attraverso una spiccata capacità di networking. Richiamando l’ormai noto manifesto programmatico, MC opera nel mondo di mezzo, sede delle sinergie criminali tra il mondo di sopra, com- posto da politici, imprenditori e pezzi delle istituzioni, e il mondo di sotto, in cui si muovono criminali di strada, trafficanti e gruppi orga- nizzati anche di tipo mafioso27. MC ha molte caratteristiche simili ad altri gruppi criminali romani28: assenza di gerarchie rigide; presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale; investimento in settori economici tradizionali come usura, bische clandestine, spaccio di droga. Tuttavia, MC presenta anche elementi tipici delle mafie storiche, come l’obbligo di segretezza, il rispetto delle gerarchie, la condivisione delle spese giudiziarie e il clima di omertà diffusa. Come le mafie, nell’ipotesi della Dda, MC detiene una forza di intimidazione che origina nei mo- vimenti eversivi neofascisti degli anni sessanta e settanta, poi confluiti nella Banda della Magliana. , suo capo e fondatore, eredita questa origine malavitosa e nera. Ha rapporti alla pari con le altre mafie attive a Roma e ha collegamenti con i movimenti dell’estrema de-

26 La mafiosità della Banda della Magliana è infatti rimasta questione controversa negli esiti giudiziari. Sul punto si veda il contributo di E. Ciccarello in questo stesso numero. 27 Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Massimo Carminati cit., 2014, p. 432. 28 Sulla criminalità capitolina, tra gli altri, G. Colussi, Il percorso di penetrazione delle mafie a Roma, in Primo Libro Bianco cit., pp. 19-26; P. Orsatti e F. Bulfon, Grande Raccordo Criminale, Imprimatur, Reggio Emilia 2014.

27 Mafia Capitale stra. In particolare con le tifoserie organizzate, utilizzate come braccio armato29, ma anche rappresentanti politici e della pubblica amministra- zione con un passato di militanza neofascista30. Eppure, nonostante questa efficace reputazione criminale, il vero successo di MC si deve alla sua originalità: la capacità di costruire quello che gli inquirenti chiamano «capitale istituzionale»31 situabile nella co- siddetta «area grigia»32. Facendo ampio riferimento a una recente ricerca nell’ambito delle scienze sociali, alla quale gli inquirenti palesemente si ispirano33, l’Ordinanza propone un passaggio analitico di cruciale im- portanza per il riconoscimento della mafiosità in aree non tradizionali. La forza di MC risiederebbe nella capacità di accumulare e impiegare capitale sociale e stabilire accordi con attori diversi: imprenditori, poli- tici, professionisti, funzionari pubblici. A questi attori si rivolge l’altro esponente dell’organizzazione, Salvatore Buzzi, l’anima imprenditoria- le e «rossa» di MC. Attraverso una costellazione di cooperative, Buzzi gestisce le attività economiche del clan nei settori dei servizi sociali e dell’accoglienza dei rifugiati e dei nomadi, ma anche della raccolta dei rifiuti e della manutenzione del verde pubblico. Nell’ultimo numero del Magazine 29 giugno, che riporta il bilancio sociale dell’omonimo gruppo34, si contano quattro cooperative e un consorzio, per un totale di milleduecento dipendenti e un fatturato di circa sessanta milioni di euro l’anno. 29 giugno ricorda la data del primo convegno promosso nel 1984 da Buzzi quando era detenuto a Rebibbia, centrato sulle misure alternative al carcere e sul reinserimento sociale e lavorativo dei dete- nuti35. Da quel momento, la sua figura diviene progressivamente parte di una narrazione che, spalleggiata da sinistra, sollecita la riforma del regime carcerario celebrando il lavoro come veicolo di integrazione e la cooperazione come forma d’impresa solidale. Ovviamente MC usa la forma cooperativa senza alcun fine mutualistico, operando attraverso il

29 Carminati ha legami con gli ultras della S.S. Lazio, tradizionalmente neofascisti. Tra i più noti è Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, descritto come riferimento per il racket e il traffico di droga nell’area nord di Roma. 30 Tra gli ex membri di gruppi terroristi di area neofascista di Roma (come Nuclei Armati Ri- voluzionari, Terza Posizione e Ordine Nuovo) sono indagati dirigenti pubblici, amministratori di società partecipate (Eur Spa, Atac, Ama), avvocati, magistrati, professori universitari. 31 Ivi, p. 91. 32 Ivi, p. 809. 33 L’ordinanza, a pag. 809 e successive, riporta testualmente diversi passaggi da R. Sciarrone, «Mafia, relazioni e affari nell’area grigia», in Id., a cura di, Alleanze nell’ombra. Mafie ed econo- mie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno, 2011, pp. 3-48. 34 Disponibile sul sito della cooperativa http://www.cooperativa29giugno.it/ (ultima consultazione: 30 dicembre 2015). 35 M. Mafai, «La parola al cittadino detenuto», in «la Repubblica», 30 giugno 1984.

28 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa controllo di appalti e lavori pubblici, avvalendosi di metodi prevalente- mente corruttivi. Non diversamente dalle altre mafie, MC opera all’interno di un ampio sistema di relazioni con attori del mondo di sopra. Per fornire una dimen- sione di questo mondo, abbiamo mappato tutti gli attori coinvolti negli interessi del sodalizio e citati nelle prime due ordinanze della procura ro- mana, distinguendone la funzione36. Su 94 attori, la rete di MC si compone di imprenditori della cooperazione (26), pubblici ufficiali ovvero dirigen- ti e funzionari regionali, comunali e di società partecipate (20), politici eletti ai vari livelli (14) e imprenditori edili e della ristorazione (8). Non mancano professionisti ed elementi delle forze dell’ordine. Solo 33 dei 94 indagati sono espressione puramente criminale, ovvero soggetti impegnati prevalentemente o esclusivamente in traffici criminali (25 dei quali fanno parte di altri clan o gruppi di strada). Con riferimento ai settori collegati al welfare state, la pressione illecita promossa dai membri dell’organizzazione funge da elemento di regola- zione di mercati protetti che coinvolgono i numerosi attori dell’area gri- gia. MC investe maggiormente nell’assistenza alle famiglie senza dimora e nell’accoglienza dei nomadi e dei rifugiati: tutti settori gestiti in emer- genza, facilitando i circuiti informali tra gli attori del mondo di sopra. Vediamone alcuni esempi.

4. L’emergenza abitativa

Il sistema corruttivo diffuso attorno alla gestione degli alloggi si inseri- sce in un contesto di grave emergenza, connotato da elevata e pluriennale conflittualità37. L’emergenza riguarda circa duemila famiglie romane sen- za fissa dimora o con problemi di sfratto. L’Amministrazione guidata da Gianni Alemanno (2008-13) affronta il problema locando interi complessi edilizi nei quali ospitare le famiglie in difficoltà38. Un sistema che grava sul

36 Avendo scopi esclusivamente analitici, abbiamo incluso anche coloro che non sono stati rinviati a giudizio. Il conteggio non contempla il terzo troncone dell’inchiesta, che a inizio luglio 2016 ha coinvolto ventotto indagati, solo alcuni dei quali già presenti nelle ordinanze precedenti. I capi d’accusa contestati e il profilo degli attori coinvolti nel terzo troncone sembrerebbe aumen- tare ulteriormente il peso relativo della componente grigia del reticolo. Si veda V. Di Corrado, E. Lupino, Mafia Capitale travolge la Regione Lazio. Indagati in 28 per corruzione, soldi illeciti ai partiti e turbativa d’asta, in «Il Tempo», 2 luglio 2016. 37 P. Vereni, Addomesticare il welfare dal basso. Prospettive e paradossi delle occupazioni abitative romane, in «Meridiana. Rivista di Storia e Scienze Sociali», 83, 2015, pp. 147-69. 38 Si tratta dei cosiddetti «residence-ghetto». Per un’analisi del fenomeno si veda: C. Pietra- mala e M.C. Sicilia, Il diritto all’abitare fra istituzioni e cittadini: il movimento di lotta per la casa

29 Mafia Capitale bilancio comunale per circa trenta milioni di euro l’anno, utili a coprire i canoni di affitto a favore dei proprietari e i servizi di sorveglianza, pulizie e assistenza. Si registrano diffuse irregolarità, con contratti di affitto che a volte sfiorano i trentamila euro mensili e servizi affidati alla rete di Buzzi, ma anche ad altre cooperative. Esaurita la consigliatura Alemanno, l’elevata spesa pubblica e l’opacità negli appalti spingono il nuovo sindaco, Ignazio Marino, a proporre un sistema di voucher per i residenti (i cosiddetti «buoni casa»). La riforma degli alloggi viene affidata all’assessore Daniele Ozzimo del Pd. Il proble- ma è che costui, secondo gli inquirenti, è già nella rete corruttiva del clan dalla precedente amministrazione, quando è consigliere comunale nelle file dell’opposizione39. Ma è da assessore alla casa che Ozzimo riesce a fare gli interessi delle cooperative, favorendo un ingente finanziamento per l’e- mergenza abitativa, ottenendo in cambio da Buzzi denari per il salvataggio della Deposito Locomotive San Lorenzo. Si tratta di una storica cooperati- va della capitale, che nel 2013 è oberata di debiti, priva di liquidità ma con diversi immobili invenduti. La ricostruzione delle vicende che seguono mostrano il funzionamento di un circuito politico-amministrativo e co- operativo-criminale che assume le forme di una governance multilivello. La Regione Lazio dispone finanziamenti a favore del Comune di Roma (16 milioni di Euro). Dietro intercessione di Ozzimo, si prevede la pos- sibilità di vincolarne una quota per fronteggiare l’emergenza abitativa, da destinare a Buzzi in cambio di un suo sostegno a Deposito Locomotive. In altre parole, Buzzi si impegna ad acquistare immobili della cooperati- va fornendole liquidità immediata in cambio del rinnovo a oltranza della convenzione sull’emergenza. Come spiega Buzzi ai suoi sodali: ci hanno chiamato oggi per dare una mano a ‘sta cooperativa, pensavamo che c’avesse un po’ de febbre, invece c’ha il febbrone […], c’hanno una cambiale in

a Roma, in «Welfare e Ergonomia», Fasc. 1, 2015, pp. 66-76. 39 Per questa collaborazione Ozzimo è già stato condannato con rito abbreviato (L. Di Gianvito e F. Fiano, «Mafia Capitale, Ozzimo condannato a due anni e due mesi per corruzio- ne», Corriere della Sera, 7 gennaio 2016). Secondo gli inquirenti, il politico riceveva contributi elettorali, uno stipendio mensile e l’assunzione presso le cooperative di Buzzi di persone se- gnalate. Per fare un esempio della sua collaborazione, nel 2012, su richiesta di Buzzi, Ozzimo presenta un emendamento in consiglio comunale per ottenere una proroga nella gestione dei servizi di pulizia del verde pubblico alle cooperative di MC. Contestualmente Buzzi invita al- cuni esponenti di maggioranza (anche loro corrotti) a votare l’emendamento. Un sms di Buzzi rivolto al capogruppo del Pdl in Consiglio Comunale, intercettato, chiarisce l’accordo: «Ozzi- mo sta preparando una mozione da portare in Consiglio oggi per la proroga del verde alle coop. sociali. La firmi? Grazie» (Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Gerardo Addeo e altri, 2015, p. 365). MC allinea le istanze della maggioranza di centrodestra e dell’opposizione di centrosinistra, facendo sì che il Comune di Roma rinnovasse per sei mesi il servizio, senza gara d’appalto, a un costo di 2,4 milioni di euro.

30 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa

scadenza […]. So’ andato a acchiappà Daniele (Ozzimo, ndr), l’ho preso ai mar- gini della Giunta. Allora, l’accordo grosso modo sarebbe questo: loro ce fanno, ce proseguono la convenzione per fare l’emergenza abitativa sotto forma di case alloggio, appartamenti alloggio quella roba che c’ha in testa lui […] utilizzando in parte i fondi della Regione, vediamo un po’ se domani riescono a chiedere, e noi in cambio, e noi in cambio, insomma compriamo degli appartamenti!40.

La Regione destinerà poco più di sette milioni a Roma Capitale per la realizzazione di interventi per il contrasto del disagio abitativo. Di que- sti, più di tre finiranno al gruppo Buzzi, attraverso una serie di proroghe cautamente definite – con determinazioni dirigenziali – come «non inter- ruzioni» dei servizi in essere.

5. La gestione dei campi nomadi

L’emergenza e la conseguente illegalità diffusa si annida anche nella gestione delle strutture in cui risiedono i nomadi di Roma, dove la situa- zione resta di estrema criticità. Nel 2014 gli otto campi regolari presenti in città ospitano circa 4.500 persone in oltre 157.000 mq. Il costo annuo è di circa 24 milioni di euro41. MC ha interessi nel campo nomadi di Castel Romano, nato nel 2005 nella periferia sud della città e ampliato – tra il 2010 e il 2012 – per far fronte all’emergenza fino ad accogliere circa mille persone. I costi di gestione, sorveglianza e i servizi educativi e sociali raggiungono i cinque milioni di euro annui, affidati per il 93.5 per cento in modo diretto e senza un appalto pubblico. MC ottiene l’appalto per l’ampliamento e la gestione del campo per circa due milioni di Euro42. Tra i diversi contatti nell’amministrazione comunale il gruppo può fare riferimento alla responsabile dell’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti del Dipartimento Politiche Sociali. La funzionaria viene ripagata dal clan anche con l’assunzione della figlia in una cooperativa. Sui lavori al campo nomadi di Castel Romano vengono svolte anche attività di riciclaggio per favorire il pagamento dello stipendio mensi- le a Massimo Carminati, che in questa vicenda spende la propria fama criminale per mediare con un altro clan autoctono di Roma: i Casamo- nica. Si tratta di un gruppo criminale di origine sinti radicato a Roma

40 Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Gerardo Addeo e altri, Roma 2015, p. 102. 41 Associazione 21 Luglio, Campi Nomadi S.p.A. Segregare, concentrare e allontanare i rom, Report, Roma 2014. 42 Nel campo vivono 189 famiglie per un costo di 5.354.788 euro l’anno, in gran parte per le spese di gestione (3.785.616 euro). Alle cooperative di MC va il 36,1%, pari al 1.935.763 euro.

31 Mafia Capitale sin dal ventennio fascista. La loro struttura è nota agli inquirenti: nel 2008 vengono identificati 350 affiliati, in gran parte stretti da legami di parentela, mentre nel gennaio 2012 molti esponenti sono stati arrestati per vari crimini, tra i quali usura e traffico di stupefacenti organizzato «con modalità “industriali”»43 attraverso veri e propri «fortini di spac- cio», con percorsi sorvegliati per il pagamento e per il ritiro delle dosi di droga. Quando le cooperative di Mafia Capitale ottengono l’appalto per l’ampliamento e la gestione del campo Carminati interviene per mediare con i Casamonica, che ha ovviamente una forte influenza sulla popola- zione nomade. Carminati si accorda per ventimila euro al mese, in cam- bio del «servizio» di gestione del trasloco dei nomadi e di mantenimento dell’ordine all’interno del campo di Castel Romano.

6. L’accoglienza dei rifugiati

Ma è sul fronte dell’accoglienza dei migranti, che le cronache di Mafia Capitale hanno avuto maggiore risalto mediatico, se non altro perché inscritte nella drammatica recrudescenza di imponenti flussi di profughi causati dai conflitti diffusisi nell’area mediterranea. In tal caso l’affare trascende i confini comunali e mostra con maggiore efficacia il ruolo di MC nella governance multilivello dell’accoglienza, organizzata su due piani. Da un lato, le strutture centralizzate, che sono di tre tipi: centri di accoglienza (Cda); centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara); cen- tri di identificazione ed espulsione (Cie)44. Dall’altro, la filiera decentra- ta, realizzata con l’ausilio delle Prefetture e dei Comuni e con il supporto operativo di associazioni, cooperative e organizzazioni non governative. Si tratta del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), cui recentemente si affianca la rete dei centri di accoglienza straordi- naria (Cas) che rappresentano l’emblema della gestione emergenziale e deregolata. Nati al mero fine di sopperire alla mancanza di posti nelle

43 Dna, Relazione annuale 2013 cit., p. 719. 44 I Cda devono garantire il primo soccorso allo straniero irregolare che si trova sul terri- torio nazionale. L’accoglienza nel Cda è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della permanenza in Italia o per preparare l’espulsione. I Cara sono strutture nelle quali viene inviato lo straniero che ha intenzione di chiedere asilo politico. Viene ospitato per un periodo variabile dai 20 ai 35 giorni al fine di consentire l’identificazione e la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. In casi di emergenza, quando le strutture dei Cara non sono sufficienti a ospitare tutti, il Ministero dell’Interno può prolungare la permanenza nei Cda. I Cie, infine, sono le strutture destinate al trattenimento degli stranieri irregolari destinati all’espulsione.

32 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa strutture ordinarie, i Cas registrano la crescita più repentina45. Officine dismesse, appartamenti o alberghi si trasformano in strutture provviso- rie, che le Prefetture e i Comuni assegnano in gestione ai privati tramite bandi o affidamenti diretti per i casi più urgenti. Un giro d’affari importante, che a livello nazionale si aggira attorno al miliardo di euro all’anno e che attrae un sistema diffuso di centri, con cooperative, associazioni, soggetti vari già operanti nel terzo settore o nati ex novo proprio attorno a questa interessante opportunità di business46. L’utilizzo di centri pubblici e di case alloggio private per ospitare i rifugia- ti per tempi anche lunghissimi genera una preoccupante incontrollabilità della spesa e gravi forme di illegalità nella gestione47. Manca la trasparenza nei criteri di individuazione delle strutture e nelle modalità di invio dei profughi, nei criteri di assegnazione alle cooperative48. In questo contesto estremamente deregolato MC si inserisce nella go- vernance dell’accoglienza ricostruita sopra: per ottenere rifugiati da ospi- tare, il clan orienta i flussi in arrivo favorendo le cooperative della costel- lazione di Buzzi affinché ricevano più ospiti e quindi più finanziamenti. Uno dei riferimenti grigi di questa operazione è Luca Odevaine: un tecni- co che siede al Tavolo nazionale49 che programma i flussi e i piani biennali di accoglienza e autorizza le strutture ricettive da allestire in qualità di centri di accoglienza. In particolare Odevaine ha la possibilità di orientare i flussi dei migranti transitanti dal Cara di Mineo verso centri di accoglien- za del sodalizio, come lui stesso chiarisce, intercettato:

45 Nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 1° ottobre 2014 – poco prima degli arresti della procura romana – l’emergenza sbarchi fa registrare incrementi senza precedenti: 918 sbarchi, nel corso dei quali sono giunte 146.922 persone. Le diverse strutture di accoglienza ospitano 61.536 migranti, di cui ben 50.711 nei circa 3.100 Cas (UNHCR, Rapporto sulla protezione internazio- nale in Italia, 2015). 46 Attualmente, per ogni richiedente asilo, lo Stato versa agli enti gestori dei centri importi che variano tra i 35 e i 45 euro al giorno, con cui dovrebbero essere assicurati vitto, alloggio, vestiti e attività di integrazione (S. Liberti, Il grande affare dei centri d’accoglienza, in «Internazionale», 3 dicembre 2014). 47 M. Ammirato, Welfare, legalità e migranti: il modello di accoglienza sdoganato dall’emergenza del Nord Africa, paper, ESPAnet Conference, Università della , Arcavacata di Rende, 19-21 settembre 2013. 48 M. Colucci M., Tutta colpa dei banditi? Vent’anni di politiche di accoglienza visti da Roma, in «Napoli Monitor», dicembre, 2014. 49 Il Tavolo di Coordinamento Nazionale sull’accoglienza per i richiedenti e titolari di prote- zione internazionale è istituito presso il Ministero dell’Interno e si occupa di programmazione degli interventi e delle misure volte a favorire l’integrazione e di predisporre il Piano nazionale biennale con le linee di intervento per realizzare l’effettiva integrazione dei beneficiari di pro- tezione internazionale. Al Tavolo sono presenti i rappresentati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), dei Ministeri dell’Interno, del Lavoro e delle politiche sociali, delle Pari Opportunità, i referenti dei governi locali italiani.

33 Mafia Capitale

Stando a questo Tavolo nazionale e avendo questa relazione continua con il Mi- nistero, io sono in grado un po’ di orientare i flussi [di immigrati, ndr] che arrivano, anche perché spesso passano per Mineo. E poi da Mineo vengono smistati in giro per l’Italia. Per cui un po’ a Roma, un po’ nel resto d’Italia. Se loro [Mafia Capitale, ndr] hanno le strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza, senza gara d’appalto, le strutture disponibili vengono occupate. E io insomma gli faccio avere parecchio lavoro50. Nelle decisioni emergenziali si insinuano più facilmente gli affari il- leciti. Nell’aprile del 2013 i centri di Mineo e Lampedusa sono colmi e il Ministero chiede ad Anci di trovare ottocento posti Cas in meno di una settimana. Buzzi si inserisce nell’affare perché può coinvolgere diversi Comuni interessati all’apertura di centri di accoglienza. Il caso emblematico riguarda il Comune di Castelnuovo di Porto (Roma), dove Buzzi trova un complesso di cento appartamenti idonei a ospitare quattrocento migranti e vi realizza un alloggio temporaneo. Il Sindaco di Castelnuovo di Porto dà il suo consenso per l’apertura dei la- vori. Secondo gli inquirenti il primo cittadino avrebbe ottenuto, in cam- bio, contributi elettorali e la promessa di 50 centesimi di euro per immi- grato al giorno51. Odevaine viene ricompensato con l’erogazione di uno stipendio (direttamente o attraverso fittizi canoni di locazione, assunzioni della moglie e del figlio) dai cinque ai diecimila euro mensili. Moltiplican- do questo sistema il circuito corruttivo aumenta a dismisura i posti Cas nell’area romana (da 250 a 2.500).

7. Riflessioni conclusive

Così descritta, Mondo di Mezzo rimette in discussione diversi modelli di interpretazione in uso per delineare la criminalità romana e le mafie storiche operanti nella capitale. Innanzitutto la tradizionale commistione tra malavita e ambienti di estrema destra, sinora alibi adatto alla sottova- lutazione del fenomeno, viene qui ribaltata: proprio la comune militanza assume una certa funzione identificante, veicolando legami duraturi di re- ciproca fedeltà, connessi a valori di onorabilità diffusamente riconosciuti nel mondo di sotto. Anche in merito ai rapporti tra gruppi autoctoni e mafie tradizionali può dirsi confutata l’ipotesi di una sottomissione dei

50 Tribunale di Roma, Ordinanza di applicazione di misure di cautelari nei confronti di Ge- rardo Addeo e altri, Roma 2015, p. 209. 51 Così Buzzi, intercettato, spiega l’affare: «ieri… so andato dal Sindaco di Castelnuovo di Porto... e... sponsorizziamo sulla campagna elettorale… 10.000 euro… nemmeno tanto... in cam- bio lui poi è disponibile... insomma a venirci incontro», ivi, p. 253.

34 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa primi alle seconde e non trova riscontro il modello proposto dalla Cpa sulla presunta espansione economica nel Lazio di mafie silenti e solo rara- mente inclini alla violenza. Rispetto ai settori di attività, MC conferma l’importanza dei servizi so- ciali come mercato di interesse per le imprese criminali. Esito di un ampio processo di privatizzazione e spesso congegnato in contesti emergenziali, il sociale attira gli interessi imprenditoriali delle mafie. Ma la ricostruzio- ne del funzionamento del settore mostra come la regolazione mafiosa sia plausibile poiché incastrata in un processo di sregolazione, in cui la dif- fusione di pratiche illegali genera un opaco «mercato dei migranti» che facilita profitti illeciti per le cooperative sociali collegate alle mafie. Lo strumento cooperativo facilita l’ottenimento di quote di mercato, consen- tendo una serie di facilitazioni, ma anche per sfruttare un’etichetta che in genere identifica la cooperazione come garanzia di responsabilità solidale per qualsiasi intrapresa52. Dietro questo social washing MC cela un sot- tobosco di cooperative spurie senza alcun fine mutualistico, ricorrendo a stratagemmi come la evasione fiscale, il riciclaggio di denaro, l’assunzione fittizia di persone segnalate come compenso di relazioni di corruttela. Ma l’elemento a nostro avviso di maggiore interesse risiede in que- sta sorta di continuum tra prassi intimidatorie e prassi corruttive, un rapporto simbiotico nel quale le une alimentano le altre e viceversa, im- ponendo le proprie regole illecite a una importante porzione di appalti pubblici. L’impianto accusatorio promosso dalla Dda romana non ri- siede solo nella originalità di MC, vocata «a condizionare l’agere della pubblica amministrazione, al fine di ottenere il controllo di attività eco- nomiche e lavori pubblici»53, tratto nondimeno implicito nella fattispe- cie normativa in uso per le mafie storiche. Questa inchiesta rappresenta piuttosto il debutto giudiziario del delitto di associazione mafiosa sul fronte della repressione degli intrecci tra criminalità politico-ammini- strativa e criminalità organizzata, tra criminalità dei colletti bianchi e criminalità violenta e predatoria54. Il pronunciamento della Cassazione, che accoglie l’impianto accusatorio, precisa che oltre a un patrimonio originario criminale, la forza di intimidazione espressa dal sodalizio ca- pitolino risiede anche nelle «contiguità politico-elettorali, con l’uso di

52 P. Pombeni, Cooperazione e politica. Un nodo da sciogliere, in «il Mulino», 3, 2015, pp. 417-26. 53 Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Massimo Carminati cit., p. 124. 54 C. Visconti, A Roma una mafia c’è, e si vede… cit., p. 2. Si veda anche il contributo di M. Manzini in questo stesso numero.

35 Mafia Capitale prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva»55. L’efficacia del gruppo cooperativo di Buzzi nell’intercedere sugli appalti è essa stessa sede di una «capacità di intimidazione esercitata sui potenziali concor- renti; una situazione di assoggettamento talmente radicata e pervasiva, di fronte alla quale nessuno, in sede politica ovvero giudiziaria, sia essa penale o amministrativa, ha mai osato innalzare una voce di dissenso»56. La stretta interrelazione tra presenza di gravi casi di corruzione poli- tica e amministrativa e genesi di nuove mafie è stato analizzato in merito alla in Puglia, consolidatasi anch’essa in concomi- tanza con il dilagare di forme diffuse di illegalità nella pubblica ammi- nistrazione57. Come è stato notato, la presenza di circuiti corruttivi rap- presenta anche un’«autostrada messa a disposizione delle organizzazioni mafiose per avanzare nella società settentrionale […]», una sorta di «pre- messa culturale» per il radicamento58. In questo quadro, il caso romano offre l’opportunità per evidenziare ulteriori particolari sul punto, mo- strando il ventaglio delle prassi in uso nel mondo di sopra. Qui vige una condizione di tacito consenso, inscritto nella comune appartenenza a prassi che gli stessi attori ritengono proprie, normali e socialmente ac- cettate nel contesto in cui agiscono. Nelle intercettazioni, così come nel dibattito pubblico che segue, si fa ampio riferimento a una certa amorali- tà intrisa nella romanità corrotta e rubaiola, dove l’illegalità diviene con- suetudine, brodo primordiale per la «piccola e media criminalità che si avvale di complicità dei bassifondi politici e di alcuni pesci piccoli che vi nuotano»59. Ascoltato dagli inquirenti in merito a una gara per il servizio prenotazioni della Azienda Sanitaria Regionale, Buzzi conferma questa

55 Corte di Cassazione, Sentenza avverso l’ordinanza n. 3342 del 17/12/2014, dep. 9 giugno 2015, p. 48. 56 Ivi, p. 29, corsivo nostro. 57 Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove cit., pp. 175-229. 58 N. Dalla Chiesa, L’espansione delle organizzazioni mafiose. Il Nord-Ovest come paradig- ma, in Riconoscere le mafie cit., pp. 241-65, p. 256. 59 Il passaggio è in G. Ferrara, La Corleone dei cravattari, in «Il Foglio», 4 dicembre 2014. La medesima analisi è evocata anche per argomentare lo strisciante disinteresse nell’o- pinione pubblica romana già palese a meno di due anni dall’inizio delle indagini. Un feno- meno che avrebbe «molto a che vedere con il genius loci (Roma digerisce da millenni papi e re, figurarsi Salvatore Buzzi e Massimo Carminati) e con il suo lessico (il dialetto siciliano e campano dell’intimidazione non strappa il sorriso complice che si concede all’intercalare di un feroce coatto romano)» (si veda C. Bonini, Pentiti che ritrattano e sconti alla romana: al- larme Mafia Capitale, in «la Repubblica», 23 giugno 2016). Ricorriamo a una fonte di stampa considerandola come ulteriore contributo alla narrazione delle mafie romane. Trattandosi di un processo di riconoscimento tuttora in fieri, accanto alle fonti istituzionali, anche la stampa – e la tematizzazione politica che veicola – entra nel dibattito pubblico capitolino e assume funzione performativa, contribuendo alla definizione del fenomeno e all’identifica- zione dei suoi confini. Un esempio di moltiplicazione delle fonti e relativizzazione della loro gerarchia di «autenticità» nel processo storico di costruzione giudiziaria della mafia è stato

36 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa visione generalizzata del funzionamento perverso degli appalti pubblici: la gara era chiusa, [non] c’era spazio, siccome sappiamo benissimo che tutte le gare, in Regione, in Comune, insomma, c’è la quota della maggioranza e la quota dell’opposizione, siamo andati, […] per chiedere se ci poteva aiutare nella nostra aspettativa, di essere rispettati60. Il dato empirico di maggiore interesse non è circoscritto all’orga- nizzazione, ma al contesto in cui opera. L’inchiesta offre spunti impor- tantissimi sull’ampio mercato corruttivo che regola la spartizione della spesa pubblica romana, che solo in minima porzione sembra aver inge- nerato una domanda di regolazione compensata dal metodo mafioso61. In questa porzione ai mafiosi spetta una funzione di garanzia, commi- nando sanzioni e tutelando gli accordi che sono corruttivi e, in quanto tali, informali e stipulati in mercati illegali62. Una garanzia espressa non solo dall’ala militare (si pensi all’intercessione di Carminati con i Casa- monica) ma, per richiamare la Cassazione, da tutto il reticolo politico- amministrativo: dai politici sugli amministratori pubblici, da questi ulti- mi sui loro sottoposti ecc. Il problema principale di Roma non è la mafia, ma la pervasività dei circuiti corruttivi, ai quali gli attori mafiosi posso utilmente aderire, sen- za tuttavia esserne componente essenziale. Eppure proprio l’utilizzo del 416 bis attira la necessaria attenzione pubblica su questi mercati illeciti, confermando quanto l’etichetta mafia assuma una funzione fortemente performativa, mutando la consistenza pubblica di un fenomeno radicato in città da mezzo secolo, capace di incancrenirsi in molti affari illeciti e leciti, ma che fino al momento in cui non lo si è chiamato mafia è rimasto sottotraccia63. Anzi, si ribadisce il reciproco configurarsi tra il fenomeno

recentemente proposto da F. Benigno, La mala setta. Alle origini di mafia e camorra, 1859- 1878, Einaudi, Torino 2015. 60 Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Gerardo Addeo cit., p. 191. 61 Basti pensare che tra la fine del 2013 e il marzo del 2014, mentre MC era in piena opera- tività, anche un’altra rete corruttiva gestiva diversi campi nomadi. Lo ipotizza un’inchiesta della Procura di Roma (giugno 2016), che con MC non ha apparentemente nulla a che fare. L’inchiesta coinvolge due dipendenti del Comune e quattro imprenditori, per corruzione, falso in atto pub- blico e turbativa d’asta. In carcere finisce anche il referente di una delle principali realtà coopera- tive della Capitale, ben più imponente della 29 giugno di Buzzi, sia per patrimonio che per giro d’affari. Si veda F. Fiano, «Roma, tangenti per gli appalti sui campi rom: arresti in Comune», in Corriere della Sera, 21 giugno 2016. 62 A. Vannucci, Imperfette simbiosi. Protezione, corruzione, estorsione tra mafia e politica, in Riconoscere le mafie cit., pp. 125-76. 63 Si può far riferimento in tal senso a un certo «effetto di turbamento che la “mafia” [assu- me] in quanto oggetto di preoccupazione politico-civile e insieme puzzle intellettuale […] sulla identità e sulla coscienza sociale degli italiani» (M. Santoro, Introduzione, in Riconoscere le mafie cit., p. 27).

37 Mafia Capitale e la sua rappresentazione pubblica64. Lo stesso vocabolario che trasforma il passato della Banda della Magliana in una sorta di banalizzazione ro- mantica del neofascismo criminale65 ora sovrastima l’allarme producen- do un’altrettanta distorsione del fenomeno, in senso opposto. L’alone di invincibilità di Carminati ne esce rinvigorita, descritto come un «Gio- vane, silenzioso, discreto, che frequenta subito gli ambienti dell’estrema destra […] e aderisce in pieno ai Nar. Un gruppo compatto, immerso nella militanza attiva, già disposto a tutto. A colpire, uccidere, morire»66. Anche nella letteratura convenzionalmente definita grigia o giornalistica non mancano esempi di suggestiva enfatizzazione: Non ama farsi vedere, tanto meno parlare. Si spiega più con i gesti. Ogni pas- so è una frustata, ogni movimento una scarica elettrica. Una forza gelida e oscura che ti inchioda a terra e non ti fa alzare lo sguardo. La forza quasi letteraria del personaggio è immediatamente percepibile […]. Si muove come un’ombra, rac- contano. Massimo Carminati, un’ombra che fa tremare67. Evocando lo stesso lessico, altri contributi ne parlano come un «ex terrorista nero, cresciuto nel culto dell’onore, della violenza e della mor- te […] e che a un certo punto ha avuto Roma ai suoi piedi»68. A nostro avviso, un registro di questo tipo complica il confine tra denigrazione ed elegio. La capacità di intimidazione di Carminati, legata alle sue ori- gini criminali, risulta ampliata da una siffatta immagine leggendaria, che viene all’occorrenza rievocata dagli stessi sodali. L’esempio emblema- tico è il ricorso strumentale a un articolo de «L’Espresso»69, citato per rassicurare gli imprenditori che operano nella sfera di influenza della consorteria70 o, di contro, per sopraffare i recalcitranti71. La stessa Dda

64 V. Martone, Immagini circolari di mafia e antimafia, in «Passato e Presente», 98, 2016, pp. 43-53. 65 V. Roghi, Il neofascismo non è un film, in «Internazionale», 12 dicembre 2015. 66 D. Mastrogiacomo, Il ‘guercio’ Massimo Carminati: una vita tra neofascismo e Banda della Magliana, in «la Repubblica», 2 dicembre 2014, corsivo nostro. 67 P. Orsatti P. e F. Bulfon, Grande Raccordo Criminale cit., p. 229. 68 G. Savatteri e F. Grignetti, Mafia Capitale. L’atto di accusa della Procura di Roma, Melampo, Milano 2015, p. 16, corsivo nostro. 69 L. Abbate, I quattro Re di Roma, in «L’Espresso», 12 dicembre 2012. Nell’inchiesta Abbate descrive Carminati (con Casamonica, Fasciani e Senese) come uno degli ultimi sovrani della Capitale, «dove lui continua a essere ritenuto arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli» (corsivo nostro). 70 Per rassicurare un imprenditore edile impegnato in un appalto del Comune di Roma, Carminati (C) spiega a un suo sodale (RB): «RB: “l’ha letto l’Espresso, Maurizio?” C: “che guarda, ma questo, sul lavoro, sul lavoro nostro, sono pure cose buone…” RB: “so’ più già protetti…” C: “bravo… se sentono tranquilli…” (Tribunale di Roma, Ordinanza nei confronti di Massimo Carminati cit., p. 509, nota). 71 Per intimidire l’Ad dell’ente Eur S.p.A. e ottenere il pagamento di vecchi crediti in favore delle cooperative di Buzzi, Carminati gli fa riferire che «sennò viene qua il Re Di Roma... tu sei

38 Martone, Corruzione e regolazione mafiosa romana non ha mai sostenuto che la mafia domini la Capitale, limitan- dosi piuttosto ad applicare il 416 bis a un’organizzazione autoctona con ampie entrature in una pubblica amministrazione fortemente disponibi- le all’accordo illecito. Occorre maggiore cautela, poiché la produzione letteraria sul caso entra in circolazione e può essere appropriata dagli stessi mafiosi, influenzando l’agire di chi alle mafie aderisce ampliando- ne persino la capacità intimidatoria.

un sottoposto... è il Re di Roma che viene qua, io vado... entro dalla porta principale...vede io che gli combino… a me non mi rompesse il cazzo... a me chiudesse subito la pratica là», ivi, p. 68.

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