CITTADINI ILLUSTRI E BENEMERITI DI IERI E DI OGGI

Fra i personaggi di rilievo, che sono nati o vissuti a , nel corso della sua storia, il primo posto spetta sicuramente a Papa Giovanni XVII, Papa Siccone, per il fatto d‟aver raggiunto la più alta carica della Chiesa Cattolica Ma non possiamo dimenticare quel certo numero di altri personaggi rapagnanesi che, in ogni epoca storica, si sono distinti per meriti più o meno grandi, non solo nell‟ambito della vita del paese, ma anche in quella della nazione, raggiungendo ed occupando posti di rilievo. Per i secoli più lontani abbiamo la memoria biografica principalmente di quelle persone che si sono distinte in campo religioso. Scorrendo i volumi parrocchiali degli “Stati d‟anime” e le “Memorie” del dottor Rodolfo Emiliani sulle famiglie rapagnanesi, troviamo numerosi notai, medici, maestri, ecc… In epoca moderna e contemporanea, invece, sono molti i rapagnanesi di qualsiasi ceto, che hanno raggiunto cariche importanti in diversi settori della vita sociale: nella vita militare, nel campo religioso, nella cultura (pittura, musica, ecc.), nello sport ed in ambito politico.

Papa Giovanni XVII, Papa Siccone ((Rapagnano – Roma, 31 ottobre 1003))

E‟ ormai noto, e non da oggi, che Rapagnano annovera tra i suoi figli più illustri un pontefice che salì sulla cattedra di Pietro con il nome di Papa Giovanni XVII.

Giovanni XVII, Papa Siccone, come figura fra i tondi della Veneranda Fabbrica di S.Pietro in Roma.

La questione è però alquanto controversa, in quanto si registrano due diverse opinioni, riguardanti

1 la sua origine, entrambe supportate dall‟autorevolezza di eminenti storici. Molti attribuiscono a Giovanni XVII origine romana ed esattamente della “Regione Biberatica”, un quartiere medioevale di Roma, situato tra la Chiesa dei SS.Apostoli e la Colonna Traiana, per un antico documento il Liber Pontificalis (Libro dei Papi è una raccolta di brevi biografie di tutti i Papi, compilato nell‟arco dei secoli da vari autori.) in cui si afferma l‟origine romana di Papa Giovanni XVII di cui riportiamo integralmente le affermazioni: “Ioannes, qui dicebatur Sicco, natione romanus, de Regione Biberatica, sedit menses VI” 1 (Giovanni, che era chiamato Secco o Siccone, Romano di origine, della Regione Biberatica, governò per sei mesi). Altri invece propendono per l‟origine rapagnanese, basando le loro argomentazioni su un documento importantissimo, qual è l‟antica lapide tuttora ben visibile presso la Chiesa Parrocchiale di Rapagnano Noi sosteniamo la seconda opinione, ossia che Egli sia nato a Rapagnano nelle , non tanto per semplice amor di patria, quanto invece perché, esaminando attentamente le argomentazioni di tutti gli storici, che si sono occupati della questione e le fonti ufficiali, siamo pervenuti alla convinzione che essa possa riscuotere maggiori consensi. La convinzione che Giovanni XVII sia nato a Rapagnano, trova il suo fondamento, proprio sulla lapide marmorea sita nell‟atrio della Chiesa Parrocchiale di questo Paese e che, scoperta nel 1750 dal parroco Francesco Antonio Grifoni, fu studiata da Stefano Borgia, nipote dell‟Arcivescovo di , Alessandro Borgia. La lapide scritta in caratteri gotici e in lingua latina recita così: “Giovanni, figlio di Siccone e di Colomba, nacque nel territorio di Rapagnano, presso il fiume Tenna. Ancora adolescente fu condotto a Roma e ricevuto in casa dal console Petronio, fu istruito nelle lettere tanto che, con il consenso generale fu eletto Pontefice il 9 di giugno dell’anno 1003. Tuttavia resse la Chiesa per poco tempo. Infatti, essendo destinato a regnare in Cielo, si addormentò in pace il 31 ottobre successivo”.

2 Tuttavia ancora oggi, i testi ufficiali della Chiesa non si pongano neppure il problema dell‟origine di questo Papa, ma solo accidentalmente, essendo la loro opera rivolta ad illustrere l‟intera storia della Chiesa, accettando così ad occhi chiusi le affermazioni del testo fondamentale del Papato, il Liber Pontificalis. E‟ logico pertanto che tutti costoro, trovandosi di fronte ad un personaggio effettivamente di scarsa importanza nel panorama ecclesiastico generale, data la brevità del suo pontificato, si siano accontentati delle poche notizie ufficiali del Liber Pontificalis, trascritte per altro tenendo conto soltanto della sua autorevolezza. Però ci domandiamo: quale interesse poteva avere l‟autore della falsa lapide di Rapagnano, ammesso che sia falsa? Chi e come poteva avere interesse nel rivendicare la paternità di un Papa, così poco conosciuto e di così scarsa importanza nella storia della Chiesa, dettando una epigrafe così precisa e ricca di dettagli, in un borgo , almeno in quei tempi, insignificante? Comunque a ben vedere, i due pareri, di cui si discute, non sono poi inconciliabili fra loro, né si deve dire che il Liber Pontificalis e tutti i suoi epigoni siano incorsi in un grosso errore. E‟ comprensibilissimo, infatti, per quei tempi, in cui non vigeva l‟uso di documenti personali, attribuire ad una persona che abbia trascorso buona parte della sua vita a Roma e che ivi abbia ricevuto la sua educazione e intrapreso la carriera ecclesiastica, il titolo di romano, dato che romano in tutto e per tutto lo è stato, fuorché per la nascita.

Venerando P. ALESSANDRO da Rapagnano (1536 – 1596)2 Il P. Alessandro da Rapagnano fu religioso dotato di evangelica semplicità, ed esattissimo non pure nell‟osservare la professata Regola, ma anche nel compiere gli esercizi tutti che a‟ suoi tempi costituivano la rigida forma di vivere de‟ Riformati. Alla sua morte, che avvenne nel Convento di Massa l‟anno 1596, nella sua età di 60 anni, Iddio volle testimoniare con un miracolo il suo merito e la conseguita gloria. Mentre il suo cadavere stava esposto in Chiesa, una donna che soffriva di una insanabile ulcera, tagliò per devozione una particella dell‟abito di lui, e , postala sopra la piaga, ve la tenne fino al dì seguente nel quale si trovò affatto sana. Il P. Antonio da Sant‟Elpidio che diè le esposte informazioni da questo Servo di Dio, dopo aver narrato il miracolo, soggiunse che esso era pubblico in Massa.

Frate FILIPPO da Rapagnano, (20 maggio 1639)3 Sacerdote distinto per prudenza ed opere. Gli Annali e le memorie manoscritte lo ricordano con molto onore, notano che fu severo nell‟osservanza regolare ed assai benemerito della provincia. Per oltre trent‟anni fu definitore e per ben quattro volte Ministro Provinciale. Ebbe l‟onore d‟accettare all‟Ordine il Beato Bernardo d‟Offida e meritò d‟essere confortato da Signore con visioni e doni celestiali.

Fr. BERNARDINO da Rapagnano, eletto ministro nel Capitolo celebrato a Pesaro nell‟anno 1564.4

Venerando P. FRANCESCO (Rapagnano, 1520 – Civitanova, 1626)5 Nel 1626 morì nel nostro Convento di Massa all‟età di centosei anni. Disse sempre messa, anche all‟ultimo dei suoi giorni. Fu amatissimo della santa povertà e devotissimo della Beata Vergine, il cui nome aveva sempre sulle labbra. Il P. Calcagni col suo stile laconico qualifica il nostro Francesco come

3 “summe exemplaris, patiens , nec non oboediens”. Più avanti nello stesso volume si legge: “nei suoi centosei anni di vita fu esempio di pazienza e di obbedienza nella stretta osservanza.

P. GIOVANNI da Rapagnano (primi ’800) Lettore, ex - definitore e predicatore generale dei Minori Osservanti.

Cap. Giovanni RETTINI Di lui si hanno poche notizie, tramandateci dalla cura del Dott. Rodolfo Emiliani, secondo le quali il capitano Giovanni Rettini fu nominato Aiutante Generale di tutte le milizie dello Stato Pontificio nel 1675. (vedi appendice).

G.Battista ALICI Poeta dialettale (1805 – 1885). Scrive il Mannocchi “di lui possediamo poche notizie biografiche, forniteci dalla squisita gentilezza del sacerdote don Pietro Orazi. Nacque a Rapagnano 17/02/1805 e morì il 21/10/1885. Fece i suoi studi a Fermo, dove fu ordinato sacerdote. Quindi ebbe la nomina a prebendato della insigne Collegiata di S.Maria e Giovanni Battista in Rapagnano. Ebbe l‟incarico di maestro a S.Elpidio a Mare. Scriveva poesie, per lo più dialettali, in occasione di nozze, battesimi e circostanze simili. Ha scritto anche un quaresimale completo a imitazione di P.Cesari e qualche romanzo. Ma tutti questi scritti, oggi introvabili, sono di scarsa importanza. E‟ stato un improvvisatore di gran forza; tutte le sue poesie sono state scritte in pochi istanti. Una di queste: “l‟assunu „mmazzatu dall‟ape”, fino a 50 anni fa, era ampiamente conosciuta in paese, poiché il maestro Emidio Galanti, nel suo lungo periodo di insegnamento a Rapagnano, imponeva a tutti i suoi scolari di impararla a memoria. Si sa anche che, anni addietro, circolava qualche altro manoscritto, ora disperso. Tutta la sua opera ha comunque scarso valore letterario”.

MONTANARI Luigi Giuseppe (Rapagnano, 27/9/1851 – Fermo, 6/4/1933) Apprezzato direttore della cappella musicale della chiesa Metropolitana di Fermo. Percorse gli studi musicali nel Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, avendo nel contrappunto e la composizione i maestri Lauro Rossi e Nicola D‟Arienzo, e tanto vi profittava da avere l‟incarico di maestrino d‟armonia e composizione. Appena diplomato, nel 1868 veniva eletto organista del Convento Francescano di Assisi. Nel giugno 1881 rinuncia alla cappella di S. Elpidio per accettare un incarico musicale a . Dopo altre nomine a Direttore di cappella e di banda, venne nel 1887 chiamato a dirigere la Cappella del Duomo di Fermo e, fino alla sua soppressione, un‟importante scuola musicale insegnandovi anche il contrappunto. Scrittore fecondo di musica sacra assai apprezzata, sono da ricordare due sue Messe a grande orchestra, di cui una funebre, un Sacrum Convivium con accompagnamento di Organo; una Messa pastorale per il Natale, una Piccola Messa Funebre, un De profundis, etc. Compose molta musica per canto e pianoforte, Pianoforte solo, a due ed a quattro mani, pubblicata da diversi editori. Nell‟esposizione musicale del 1881, tenutasi a Milano conseguì una onorificenza per uno Scherzo, un Pezzo sinfonico di stile classico ed un‟opera teatrale intitolata La Fornarina, mai rappresentata. Scrisse anche due operette, eseguite, dal titolo: “I vecchi gelosi” ed “Il disinganno”.

Riccardo RUTILI (Rapagnano, 2/8/1876 – 26/04/1927) Appassionato ed ottimo musicista, suonò il clarinetto nella banda rapagnanese per molti anni, durante i quali partecipò a vari concorsi nazionali, cimentandosi con complessi di indiscussa fama. Artista del ferro battuto, aveva anche l‟autorizzazione governativa per la costruzione e riparazione

4 di armi leggere. Nel ferro battuto non era possibile non fermarsi, pieni di ammirazione, a contemplare le sue recinzioni sepolcrali; le ringhiere dei balconi e delle scalinate o altro, disegnate e realizzate. Molti di questi lavori sono miseramente andati perduti specie quelli dei cimiteri, finiti nella consegna del “ferro alla Patria”. Ma dove il genio artistico di Riccardo Rutili si espresse in tutta la sua ampiezza, fu nella costruzione della stupenda cancellata posta a difesa della cappella dei Francesi, nella Basilica della S. Casa di Loreto. Il lavoro, progettato dal Sacconi, ebbe l‟assemblaggio della Ditta Matacotta di Fermo, titolare dell‟appalto.

Mons. Concetto FOCACCETTI (nato 8/12/1814, morto inizi 1889 a Ierapoli in Mesopotamia) Vescovo Titolare di Listri. Assistente al soglio Pontificio è nominato Amministratore Apostolico di Acquapendente (sede plena essendo Vescovo Mons. Giovanni Battista Pellei) il 23 febbraio 1862. Quindi rimanendo sempre Amministratore Apostolico di Acquapendente è promosso Vescovo di Montefiascone (1876 circa) ed il 25 luglio 1878 è nominato vescovo di Acquapendente, alla cui sede rinuncia nel 1887.

Evelina FABI (Rapagnano, 15/11/1892 – Napoli, 8/7/1914) Nonostante che nel corso della sua breve vita non abbia acquisito particolari meriti, ricordiamo questa donna rapagnanese per essere stata moglie di Filippo Cifariello, scultore a suo tempo di una certa fama, oltre che per la sua arte, per alcune vicende oscure della sua vita. Evelina ebbe un destino tragico, essendo morta in giovane età (22 anni) per le gravi ustioni riportate in tutto il corpo, a causa dello scoppio di un fornello a gas. Figlia del Dott. Giovanni Fabi, aveva da poco sposato lo scultore Cifariello, che aveva conosciuto all‟Università di Napoli, dove era laureanda in Storia dell‟Arte, allieva del prof. Pirandello, amico del Cifariello. Lo scultore Filippo Cifariello, nato a Molfetta il 3 luglio 1864, frequentò l‟Accademia di Napoli, che abbandonò presto, per seguire il gusto naturalistico. Nel 1896 si recò a Passau in Germania per dirigere la locale fabbrica di porcellane. Le sue sculture migliori si trovano a Roma, Bari, Molfetta e Forlì. I critici giudicano migliori i suoi busti e ritratti spietatamente veristici e curati nei minimi particolari. Il 10 agosto 1905 fu protagonista di un grave fatto di sangue, avendo ucciso per gelosia la prima moglie, Maria di Browne, ex canzonettistica, con cinque colpi di pistola. Ma inspiegabilmente in tribunale fu assolto. Le cronache giudiziarie dell‟epoca hanno parlato a lungo della tragica morte della Fabi.

FABI Fabiola Poetessa. Parecchi suoi scritti si conservano presso il fratello, noto avvocato e professore, trasferito a Bologna e recentemente scomparso.

Prof. Francesco BONIFAZI Desideriamo ricordarlo con le parole scritte da Mons. Vagnoni , che è stato parroco di Rapagnano per molti anni. “… L‟ho conosciuto nei miei anni di Seminario ed ho avuto sempre modo di stimarlo per la sua bella mente, per quel suo temperamento che lo rendeva sempre padrone di sé stesso, equilibrato, assennato, con quella sua calma che lo rendeva accessibile ed amabile. Quando in Liceo il prof. Alessandrini aveva introdotto il metodo di far leggere i temi svolti di italiano agli stessi alunni e veniva la volta di Francesco, noi restavamo presi ed ammirati dalla elevatezza dei suoi pensieri magnificamente espressi. Io lo considero come un grande educatore nell‟ambito scolastico per la sua cultura, per la limpidezza del suo pensiero e della sua esposizione, soprattutto per la sua rettitudine morale. Nel Liceo si affermava brillantemente nel campo letterario e filosofico. Si appassionava anche per studi di pedagogia e seguiva con entusiasmo la rinascita per mezzo del “movimento cattolico”.

5 Dei suoi scritti si conserva presso la figlia un manoscritto inedito della storia di Faenza.

Arnaldo NICOSANTI (Pittore, 1891 – 1940) Nato a Mogliano di Macerata nel 1891 da Giacomo Nicosanti e da Angela Maurizi. La famiglia si trasferisce a Rapagnano quando il piccolo Arnaldo ha da poco compiuto i due anni. Giovane vivacissimo, ha intelligenza pronta e spiccate attitudini artistiche: pittura, teatro e musica. Fin dai primi studi si distingue. L'ambiente paesano però dà poche possibilità al giovane di esprimere il meglio di se stesso; non tanto per le condizioni economiche della famiglia che per quei tempi sono abbastanza buone, ma per la mentalità paesana di allora non poteva permettersi di soggiornare in città per frequentare corsi di specializzazione artistica. Perciò deve momentaneamente accontentarsi dell'istruzione primaria. Ancora giovanissimo segue con entusiasmo e successo lezioni teoriche e pratiche di musica. Chiamato al servizio di Leva è mandato a Roma. Tanta era la passione per l'arte che chiede ed ottiene di poter entrare, rinunciando alla libera uscita, all'Accademia di Belle Arti di Roma, che frequenta per oltre due anni. Intanto privatamente si prepara al conseguimento del diploma di Scuola media superiore che interrompe per lo scoppio della guerra. In campo artistico i suoi lavori cominciano ad attirare l'attenzione non solo dei colleghi ma anche degli esperti che vedono in lui l'artista particolarmente dotato e di sicuro avvenire. La guerra 1915-18 lo sorprende in mezzo ai suoi placidi studi e fa di lui un eroe del sacrificio. Fu a lungo come granatiere nelle trincee del Carso poi sul Piave, sino alla Vittoria. I disagi sofferti senza risparmio di sé gli causano una malattia che aggrava la lesione spinale. Costretto a muoversi con la carrozzina a Milano consegue il diploma di scuola media superiore. Successivamente si trasferisce per qualche tempo ad Arosio nell'Istituto Grandi Invalidi, dove conosce la signorina Adele Gallotti donna di mente e di cuore, che sposa dopo un breve fidanzamento. Testimoni la signora Anna Borletti e il marito. E' nominato Cavaliere della Corona d'Italia, e nella visita di S.M. Vittorio Emanuele III ad Arosio è prescelto a porgere il saluto al Re in nome degli invalidi come dalla cronaca riportata dai giornali dell'epoca. Tornato a Milano la sua forte fibra morale e l'innata genialità lo riportano verso la vita. Avendo ripreso ad occuparsi dell'arte sua prediletta, dà gli esami d'ammissione all'Accademia di Brera, e per due anni frequenta la scuola di pittura del prof. Aldo Carpi con un entusiasmo ed uno zelo che lo fanno esempio ai giovani e ai sani.

Fig. 99 - Arnaldo Nicosanti, all‟Accademia di Brera col prof. Aldo Carpi, giugno 1938

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Fig. 100 - Arnaldo Nicosanti: Natura morta, olio su tela

Fig. 101 - Arnaldo Nicosanti: I nipotini Lilli e Aldo; Carnevale 1924

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Fig. 102 - Arnaldo Nicosanti: Il nipotino Carlo

Partecipa ad alcune mostre, ma la più importante ed anche l'ultima, la Mostra delle Accademie a Roma dove le sue opere sono apprezzate anche da chi ignora di quanto sforzo e di quale sacrificio siano il frutto. Il pittore Nicosanti nella sua breve e travagliata esistenza ha eseguito oltre sessanta opere, la maggior parte olio su tela, di cui due di gran dimensione, "La casta Susanna" ed il "Martirio di S. Lorenzo", alcuni ritratti, nature morte e tanti fiori, e un numero imprecisato di disegni e miniature. Per il talento artistico ecco il giudizio espresso dall'allora direttrice dell'Accademia di Brera in occasione della morte avvenuta il 22 gennaio 1940: "L'Accademia di Brera e l'arte milanese hanno perso un pittore d'eccezione: il grande invalido Arnaldo Nicosanti" la direttrice ha voluto partecipare di persona alle esequie insieme alle alte cariche civili e militari. Naturalmente ben altro sarebbe stato il giudizio se il male, contratto nel servire la Patria sui campi di battaglia, non l'avesse tormentato sempre fino a portarlo alla morte ancora molto giovane, 49 anni.. Lavorare stando su di una carrozzina, affidare spesso agli altri la scelta dei colori erano cose che hanno influito negativamente sulla sua produzione artistica. Per quanto riguarda i suoi rapporti con Rapagnano, al quale era legatissimo, bisogna ricordare che è stato l'animatore, insieme ai fratelli Annibaldi, i Biondi ed altri, di tutte le manifestazioni rapagnanesi.

Don Pietro RUTILI (Rapagnano 17 ottobre 1914 – Vimodrone (Milano), 2003) Terminati gli studi primari, passò al Collegio degli Agostiniani di Tivoli per le scuole del Ginnasio e del Liceo, quindi alla Università Gregoriana per gli studi di teologia. Dopo la consacrazione sacerdotale, avvenuta nel 1940 nella Basilica di S.Giovanni Laterano, essendo Officiante il Card. Traglia, fu impegnato nel suo Collegio di Tivoli come insegnante di lettere classiche. L'esperienza della guerra lo portò a contatto con vicende che lo coinvolsero in una generosa opera di assistenza. L'Arcivescovo di Fermo lo chiamò per insegnare nel Seminario lettere classiche. In quel periodo ebbe modo di fare esperienza e di sviluppare la sua sensibilità musicale. Abile nel comporre brani musicali e a dare vita ad una corale più volte apprezzata ai concorsi di Arezzo in occasione di

8 celebrazioni in onore di Guido Monaco, il famoso Benedettino che a Pomposa inventò le note musicali. Dopo un servizio sacerdotale prestato ad un Santuario presso il Passo del Furlo, nel 1963 incontrò Mons. Mocellino, allora vescovo di Comacchio che gli propose di passare in quella Diocesi. Nel 1963 fu nominato Parroco di Caprile (Fe) dove lavorò per otto anni; passò quindi a Massenzatica. Quando si rese vacante la parrocchia di Marozzo, per la tragica morte di Don Vanzo, accettò l'invito di Mons. Franceschi a trasferirsi a Marozzo dove restò fino al pensionamento.

Canonico D. Francesco ANGELINI (, 23/3/1824 – Rapagnano, 6/1/1903) A 13 anni frequenta a Fermo le scuole dei PP. Gesuiti “distinguendosi per diligenza e profitto, per bontà, per candore dei costumi … I suoi maestri rilasciano di lui onorevolissimi documenti …” Nel 1823 i genitori trasferiscono il domicilio a Rapagnano. Il Capitolo della Collegiata lo vuole iscrivere tra i suoi membri e con Bolla Pontificia del 20 agosto 1845, essendo appena suddiacono, viene creato Canonico. Nel maggio 1847 diventa sacerdote. Nel 1874 viene eletto Vicario Foraneo della Collegiata, ufficio che ritiene fino alla sua morte, meritandosi in vita e dopo la morte nome ed onoranze di santo. Nel primo anniversario della morte del canonico Vicario Foraneo Don Francesco Angelini, un elogio funebre fu letto nella Chiesa Collegiata di Rapagnano il giorno 5 gennaio 1904 dal Prof. D.Giovanni Cicconi.

Due coniugi rapagnanesi , che non dobbiamo dimenticare: Alici Domenico, notaio (Rapagnano: 30 luglio 1813 – 5 marzo 1885), definito “specchio di probità e di onoratezza nei pubblici e privati negozi, prudente e avveduto”. Fiori Adelaide, consorte, (Rapagnano: 8 maggio 1812 – 8 febbraio 1894) “donna pia, integerrima, vera madre dei poveri, legò tutto il suo avere all‟Ospedale di Porto S.Giorgio”

Giacomo Emiliani (Magliano di Tenna 27 giugno 1805, Rapagnano 17 Marzo 1889)

Poco ancora si sa di questo personaggio che da anonimo è diventato illustre con l‟intitolazione del teatro comunale di Rapagnano con il suo nome. Le poche nozioni artistico-biografiche concernenti Giacomo Emiliani sono state trovate da Claudio Giuvalè il quale sta realizzando un progetto editoriale proprio sul nostro defunto concittadino. Il musicista compositore Giacomo Emiliani appartenente ad una delle più illustri ed antiche famiglie delle Marche. Le avventurose e secolari vicende degli antenati lo condussero a nascere il 27 giugno 1805 nel paese di Magliano. Se ne allontanò quasi subito per studiare prima violino a S. Elpidio a Mare col virtuoso Andrea Barlocci, poi per frequentare l‟Università di Fermo dove si laureò nel 1825 in Utroque Iure. Completò la formazione musicale sotto la guida di Pietro Polimanti e Paolo Bonfichi, rispettivamente Maestri di Cappella alla cattedrale di Fermo e presso la S. Casa di Loreto. Durante il Primo „800, la ricca personalità e il talento artistico resero Giacomo Emiliani protagonista nella vita mondana e culturale di Fermo, tanto che in città nel 1829 una sua Sinfonia fu eseguita al Teatro dell‟Aquila. intorno all‟anno 1838 si stabilì con la moglie Adelaide, dei nobili inglesi Welby, a Rapagnano. Vi rimase domiciliato fino al termine dei suoi giorni, abitando per oltre quarant‟anni nella propria casa di campagna in via Tenna ai numeri civici 56 e 56 bis, l‟attuale villa de castelletta Qui partecipò anche alla vita amministrativa della comunità in qualità di Consigliere Anziano dal 1844 all‟Università d‟Italia. A Rapagnano condusse un‟esistenza sobria ed appartata, ma non rinunciò ad avere plurime relazioni col mondo artistico marchigiano e bolognese; seguitò pure a mantenere 9 legami di amicizia e stima con i musicisti e la nobiltà di Fermo, specie con il violinista Alessandro Marziali e il soprano di fama europea Clara Novello Gigliucci, la quale sovente gli faceva visita nella cosa della Valtenna. Giacomo ebbe anche legami con il mondo artistico-culturale gravitante attorno alla scrittrice e pianista inglese Margaret Collier che, sposando il parlamentare Arturo Galletti de Cadilhac, era venuta ad abitare sul vicino colle di S. Venanzo a Torre S. Patrizio. A quel cenacolo cosmopolita di artisti, nobili ed intellettuali, Giacomo dedicò le sue ultime malinconiche pagine musicali. Morì ormai vedovo e malato nella sua casa di Rapagnano il 17 marzo 1889 e sepolto a Fermo. Il figlio Alessandro, valente violinista anche lui residente a Rapagnano, proseguì la versatilità musicali di casa Emiliani. Alcuni diretti discendenti del N.H. Giacomo Emiliani vivono attualmente in Texas(USA). Le composizioni di Giacomo Emiliani che si sono pervenute sono ascrivibili al repertorio sinfonico, sacro e cameristico-strumentale. Particolarmente interessanti sono: Messa da Requiem per soli, coro e organo; Sinfonia in Do per orchestra; Quatuor con fuga per quartetto d‟archi; Sonata in Mi minore per violino e pianoforte; The last farewell (L‟ultimo addio) per pianoforte dedicato a Margaret Collier. Si qualificano come opere di elegante rigore formale, sorrette da una costante ispirazione creativa che le rende ancora oggi godibili all‟orecchio dell‟ascoltatore.

Rodolfo EMILIANI (Rapagnano, 11 giugno 1886, Fermo 11 marzo 1951)

Rodolfo Emiliani è stato una figura importante nel mondo culturale di Fermo. Tuttavia il suo ricordo va lentamente scemando, ma ingiustamente. Questo fatto assume un aspetto ancora più grave a Rapagnano, suo paese natale, dove sono veramente poche le persone che sappiano chi fosse e dove abitasse. Recentemente il di Rapagnano ne ha ravvivato il ricordo dedicandogli una via nel nuovo centro artigianale di Tenna. Emiliani nacque a Rapagnano l‟11 giugno 1886, esattamente in contrada Castelletta, nella casa oggi denominata “Villa de Castelletta”. Suo nonno Guglielmo aveva acquistato in un primo tempo quella bellissima casa, oggi di proprietà Nasini, di cui esistono documenti risalenti al 1600, situata a poca distanza. Successivamente edificò quella più ampia e importante Fig. n.103 – Rodolfo Emiliani (“eremo”) dove nacque Rodolfo, destinando l‟altra a casa colonica. Xilografia di Interlenghi Frequentò il Liceo Classico “A.Caro” di Fermo, dove poté acquisire le basi di quella cultura classica e umanistica, che lo distinse per tutta la vita. Nel 1906 si iscrisse alla Facoltà di Legge presso l‟Università “La Sapienza” di Roma; ma l‟anno successivo passò all‟Ateneo di Urbino, dove il 30 novembre 1910 conseguì la Laurea. Terminati gli studi si ritirò nella sua villa di Rapagnano, dove condusse una vita apparentemente nell‟ozio. Non mancava infatti di frequentare gli ambienti culturali di Fermo, né di coltivare, con impegno e passione, gli studi tanto amati. Si interessava di poesia, di storia, archeologia, musica, folklorismo, nonché di filosofia.

10 Diventò un vero esperto, insuperato a Fermo, di araldica, di sigillografia, di numismatica, di epigrafia antica e moderna. In questo periodo, la vita tranquilla e metodica di Emiliani fu scossa da un fatto bellissimo, conclusosi, purtroppo, in modo tremendamente doloroso, che lasciò una traccia profonda nel suo animo: l‟amore, il matrimonio e la repentina perdita dell‟amata consorte. Dopo la laurea, egli ebbe dei contatti di carattere culturale con la cugina Margot, che, diversamente da lui, cattolico convinto, era protestante. Da questi scambi di idee nacquero sentimenti amorosi fra i due, che si conclusero felicemente con il matrimonio cattolico. Ma ben presto la felicità di entrambi si tramutò in profondo dolore: una malattia colpì Margot e la portò in breve tempo alla morte. Rodolfo, colpito nei sentimenti più profondi del suo animo, rifiutò ogni conforto umano e religioso. Fig. n. 104 – Ritratto di Rodolfo Fu il periodo più oscuro della sua vita e gli ci vollero decenni Emiliani, opera di per riconquistare serenità e fiducia nella vita. Sigismono Nardi Perciò riteniamo opportuno illustrare la sua figura con le parole di chi gli è vissuto accanto, ne ha conosciuto l‟animo e ne ha subito il fascino.6 Dall‟opuscolo “Ricordo di Rodolfo Emiliani”, Fermo Stab.Coop. 1952, riportiamo parte degli scritti. Tommaso Grilli, Quarantacinque anni di sodalizio con Rodolfo Emiliani.

“Fra tanti baldi e bene assortiti compagni, uno, però, aveva — sin dal primo `giorno, e sin dal primo momento — richiamato la mia particolare attenzione: un giovanotto, alto e complesso, dal volto largo e pieno, dalla carnagione fine e bianca, quasi pallida, dalla capigliatura biondastra e abbondante... Era adolescente al par di noi; ma per la sua statura e corporatura, Io si sarebbe giudicato, piuttosto che un alunno di terza ginnasio, un candidato da sottoporre al Consiglio di Leva... Accuratamente (ma non ricercatamente) vestito di blú, con una giacca... capace, lunga anzichenò, con il colletto e i polsini duri e candidi, appariva oltremodo distinto nell'aspetto e nel comportamento.” “Egli, sotto tanti punti di cista e per tanti lati, non era come gli altri; era, anzi, spiccatamente diverso dagli altri: per abitudini, per tendenze e inclinazioni, per gusti, per mentalità, per l‟ambiente in cui era nato e cresciuto, per il génere e il tipo di educazione ricevuta, per l'ambiente in cui vive e per le persone con cui ha maggiore dimestichezza e frequente consuetudine...” “La sua naturale tendenza, la sua spiccata predisposizione alla vita solitaria, altro non era che la conseguenza e la manifestazione di un irresistibile bisogno del suo spirito: bisogno di quiete, di raccoglimento, di appartarsi dal mondo, di vivere la sua vita interiore nella sua pienezza, abbandonandosi alla meditazione, alla lettura, allo studio, alle sue occupazioni preferite. Se la parola «lavoratore » n o i la intendiamo non nel suo senso comune ed usuale, ma nel suo senso pieno ed assoluto, possiamo e dobbiamo convenire che Rodolfo fu un lavoratore tenacissimo, instancabile, formidabile. La poesia, la letteratura, la storia, l‟archeologia, i documenti e i monumenti d'arte e qualsiasi manifestazione d'arte, la musica, il folclorismo... tutto lo interessava, tutto lo assorbiva e lo teneva incessantemente occupato, tutto contribuiva a sollevare ed allietare il suo spirito insaziabile. Vecchi codici, antiche pergamene, carte ingiallite costituivano per lui un pasto appetitoso e succulento: riusciva a lèggere l‟illeggibile, a decifrare 1' indecifrabile, a vivificare le cose morte... Competentissimo in materia araldica e sfragistica, e genealogista provetto, era un buon intenditore di numismatica e di epigrafia antica e moderna. Egli, non calligrafo né disegnatore e pittore, riusciva a scrivere a caratteri marcati o sottili, regolari e nitidi sempre, in uno stampatello sobrio ed elegante; riusciva a fare dei buoni disegni, in nero o ad acquerello; a lavorare di minio e di bulino su carta pergamena, con una pazienza da certosino e con un'abilità che gli avrebbe potuto invidiare un alluminatone di professione. Era persino un bravo fotografo: uno di quei fotografi - artisti che sanno « captare » e riprodurre gli aspetti più... tipici della natura e delle fisionomie umane.

11 Dotato di un senso di autocritica rigoroso e spietato, non era mai contento e soddisfatto di sè, dei suoi scritti, dei suoi lavori. Modesto sino all'esagerazione ed all‟incredibile, era, quant'altro mai, restio e riluttante a pubblicare quel che scriveva.” …

Rodolfo alla Biblioteca Comunale

…Fortuna ha voluto che, almeno nell'ultimo periodo della sua non lunga vita, qualcuno si accorgesse e si ricordasse di lui, e pensasse a « valorizzarlo » (e meglio si direbbe a « utilizzarlo »), affidandogli un compito dignitoso, delicato, appropriato alle sue attitudini: la direzione di quell'insigne istituto culturale marchigiano che è la Biblioteca Comunale di Fermo. Quel mandato egli aveva accettato con animo riconoscente e con l'entusiasmo che proviene dalla coscienza di dovere e poter svolgere una missione e di compiere opera commendevole e duratura; pur consapevole. Com‟era. delle ardue difficoltà da affrontare e da superare, dati i tempi poco propizi e la mancanza di mezzi adeguati, indispensabili per poter tradurre in atto quelli che erano i suoi maturi, fermi. lungimiranti propositi. La morte insidiosa e prematura, interrompendo bruscamente l‟opera che egli con saggezza e sagacia esemplari aveva intrapresa, ha impedito che maggiormente e compiutamente potessero palesarsi e rifulgere i suoi più spiccati e indiscutibili requisiti. Ha impedito che - mercè l'opera sua - questa insigne Biblioteca - che sta ad attestare in modo tangibile ed evidente la plurisecolare tradizione culturale della nobile Città Picena - trovata finalmente una conveniente, definitiva sistemazione - rinnovata in tutto i1 suo ordinamento - valorizzata appieno nel suo invidiabile patrimonio bibliografico - assurgesse a nuova vita, assumesse maggior decoro ed acquistasse la rinomanza che merita.

Amici Fermani! Sindaco di Fermo!

Voi che conosceste l'intelletto. la dottrina, la rettitudine, il cuore di Rodolfo Emiliani; voi che sapete quanto egli abbia amato questa sua e vostra terra natale, e, segnatamente, questa vostra Biblioteca, fate che il suo nome - perchè non cada ingiustamente nell'oblio - venga durevolmente ricordato in una semplice pietra da collocarsi nell'ambito di questo edificio, che è il sacrario degli studi e delle patrie memorie. Ciò tornerà a vostro onore, e sarà motivo di intimo compiacimento e di grande soddisfazione per tutti noi che lo conoscemmo, lo amammo, lo stimammo e ne serbiamo vivo i1 ricordo.

Fr. Gaetano da Cerreto, Cappuccino, La tragedia spirituale. “… Sono passati 45 anni dal primo incontro… Ricordo, come fosse ieri, che il nostro colloquio fu subito semplice, aperto, cordiale, come vecchi amici. Soggetto: Il movimento moderno degli studi, specialmente religiosi”. Rodolfo aveva allora il cuore gonfio di speranze per nuove conquiste e trionfi della nostra religione cattolica. Queste sue speranze però, più che sulla ragione, poggiavano sulla sua esuberante ricchezza costituzionale del sentimento e sulla grande stima e venerazione ch' egli giustamente nutriva verso persone nostre, veramente superiori, come il P.Genocchi, P.Semeria ed altre molte. Tutto preso dal suo vivo entusiasmo, Rodolfo non sospettava neppure il veleno della filosofia soggettivistica, che impregnava di sé quasi tutto il pensiero contemporaneo italiano, e specialmente quello dei Corifei stranieri, quali il Le Roy, il Loisy e seguaci. Informato e formato alla scuola della vera filosofia perenne, cristiana e oggettivista, che da Platone, attraverso i Padri, S. Agostino, S. Tommaso, S. Bonaventura e Rosmini, è giunta fino a noi, aggiornata ed efficace; io ed altri, anche prima della inevitabile condanna, avevamo compreso il pericolo del nefasto soggettivismo filosofico della corrente modernista; e già prevedevamo dove sarebbe sfociato. Non mancai fin da allora di prevenirne l'Amico, per metterlo in guardia, affinché la sua delusione non fosse disastrosa. E proprio su questa differenza filosofica il nostro colloquio seguitò poi sempre vivo, amichevole e scambievolmente utile. Non passò davvero molto tempo, che venne l‟Enciclica Pascendi di Pio X, ora Beato; la quale riassumeva e condannava l‟eresia contemporanea e radicale sotto il nome di Modernismo... Ma la Provvidenza vegliava su di lui. Egli che desiderava tanto un'anima gemella, su cui versare il

12 fuoco religioso e morale che lo bruciav; aveva creduto e non s'era ingannato, di averla trovata nella sua cugina Margot. C'era una differenza: Margot era nata e cresciuta in una delle chiese separate dalla cattolica. E questa differenza moltiplicò in Rodolfo l'appassionato studio di dimostrare alla cugina, con delicatezza e assiduità, la superiore bellezza e integrità della chiesa cattolica su tutte le altre separate da lei. Questo intenso studio e lavoro apologetico sull' animo aperto della cugina, attenuò senza dubbio in Rodolfo la delusione subita dalla condanna del Modernismo, e lo corazzò contro ogni pericolo di sbandamento che poteva essergli fatale. L'armonia ormai piena delle due anime e dei due cuori, nella fede religiosa e nella purezza della vita, le condusse al matrimonio cattolico e veramente eccezionale... E il matrimonio tra Rodolfo e Margot fù tanto più felice, quanto più cristianamente puro e spirituale. Quando una nube oscura, minacciosa si sollevò sulla scambievole felicità. La salute di Margot venne meno; la minaccia si fece sempre più grave; nessuna cura riuscì a salvarla. Rodolfo, disperato, pregò come non mai. Margot però era matura per il cielo. Rodolfo restò solo solo sulla terra, nella dispera- zione più nera. Per anni e anni, rifiuto assoluto di ogni conforto umano e divino. Disprezzo per un cielo che ormai non aveva più luce per lui; attesa stoica, amarissima di una fine senza speranza nell 'altra vita. Le sue lettere a me erano terribili. Studio e lavoro, si, ma soltanto come vano diversivo nel disperato dolore”… “Rodolfo, avvicinato con tatto squisito, si sentì bel bello, riconciliato con la vita e con il Cielo, non più sentito chiuso e nero”…

Marcello Seta, Il Bibliotecario e il dotto. “… Lo conobbi di persona quando in una delle mie scorribande da dilettante, in campo filologico, dovetti rivolgermi all‟ausilio di lui, …perché mi comunicasse la più antica lezione del verso dantesco riguardante la Pia “salsi colui… Ed egli, consultando la copia del più antico codice, il Landiano, mi rispose di trovarvi scritto “salsi colui chinanelleta pria…” e non “chinanellata”. Da quel giorno divenni suo amico. Ed egli mi fu sempre largo di consigli e di aiuto. E potei ammirare la sua padronanza della Paleografia e della Diplomatica, la sua sicurezza nel decifrare vecchi documenti, la conoscenza del latino dei diversi secoli, l‟acume critico e la serietà assoluta dei risultati che egli otteneva. Né posso tacere la sollecitudine affettuosa e paterna, con la quale aiutava i giovani nelle loro ricerche. Quante tesi di laurea egli promosse, consigliò e diresse! Quanta vera diffusione di cultura promanò da quel suo stanzino, dove soleva passar gran parte della sua giornata!... I suoi pazientissimi lavori circa la storia delle famiglie patrizie fermane lo pongono in un posto distintissimo tra quanti attraverso i secoli hanno cercato di rendere onore alla Patria. Son certo che notevoli contributi alla Storia e all'Araldica si dovranno reperire tra le carte da lui lasciate. A questo proposito, nella mia veste di consigliere della Commissione di Vigilanza della Biblioteca Comunale, sento il dovere di rendere di pubblica ragione che egli, morendo, volle legare alla nostra istituzione culturale una cospicua eredità consistente in sette pacchi di suoi manoscritti, documenti originali, alberi genealogici, frutto delle sue ricerche e dei suoi studi. Ha lasciato inoltre più che trecento volumi, incisioni, stampe, dipinti, bozzetti, alcune opere del pittore D' Ambrosi, molte monete e pesi antichi. E di ciò rendo grazie alla sua memoria. Mi auguro che qualche giovane studioso possa trarre alla luce gli inediti lavori di un così serio ricercatore…Una volta lo pregai di aiutarmi a rintracciare i lavori di un alchimista tedesco del „500 e dovetti accorgermi quanto fascino esercitasse nel suo animo la Scienza, non solo quella moderna, ma quella antica, forse più vera, che cercava l‟essenza delle cose e il mistero di esse. Mistico, infatti, egli era. E le sue simpatie erano per quelle correnti di pensiero religioso, che non indulgono alla modernità e al filosofismo, ma si fondano sulla totalità dello spirito. Mi sia permesso, per esemplificare, ricordare come, fin dall'inizio delle sue pubblicazioni, fosse associato a «L'Ultima», rivista di Metasofia, bandiera di un movimento cattolico escatologico, che attende con fede le promesse del Cristo. Il Cristianesimo da lui vissuto era vivo, fresco, permeato di spirito francescano e sostanziato di alta rettitudine morale e di fede nel Maestro. Le sue letture erano preziose e di alta edificazione. Tra gli ultimi libri da lui meditati vi è l‟opera del Manacorda «Le cose supreme». Non ricordo di averlo sentito mai far discussioni sofistiche, La sua filosofia si riassumeva nella Filologia. Nella parola, nella sua significazione, è contenuto il tutto…

13 Ma ci sono, per la valutazione di quell'uomo esemplare, le relazioni di dimestichezza, di scambio di pensiero o di affetto che egli ebbe con persone di primissimo piano nel campo della cultura nazionale come un Romolo Murri, un Sabatier, un Manacorda, un Bonaiuti, uno Jahier. I sopraintendenti ai Monumenti, alle Gallerie, alle Antichità, alle Biblioteche di molte parti d' Italia lo tenevano in alta considerazione... Ma non voglio offendere, ora che egli non mi ascolta con orecchio mortale, la sua modestia. La sua serena morte nel Signore è stata il compimento della sua nobile vita. E non siano imputati a vanità questi miei ricordi personali, ma siano utili ad onorare e a rimpiangere un sì nobile amico”.

Alvaro Valentini, Il segreto cultore di poesia.

“…Dal modo come leggeva, tornai a sospettare che scrivesse anche lui. Questo fu nel 1947. Oggi, con i fogli delle sue liriche che mi sono state affidate in geloso segreto e stanno sparse davanti a me, non posso non ripensare a tante impressioni; queste carte manoscritte dei primi anni del 1900, conservano molto della sua ingenua ritrosia. Forse due cose — per quanto posso giudicare da questi versi di squisita composizione — gli mancarono perché sulla sua cultura fiorisse in pieno il dono della poesia: il coraggio di confessarsi apertamente nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti gelosi, e il disprezzo per la parola elegante, gustata in sé. Sorvegliato, raffinato, musicale, un po' intinto di certa armoniosità pascoliana e di quel preziosismo alla Salvadori, Rodolfo Emiliani rivela nelle sue liriche lo spirito di chi chiede ai versi solo il conforto culturale per l‟uomo, non lo sfogo liberatore per il poeta; un conforto che nasce, senza pretese, dall' avvicinarsi al bello, dal lasciare sottintesi nelle parole i sentimenti più gelosi, dal curare in un aggettivo sapiente le esigenze di perfetto umanista. Tuttavia, certi temi cari, i ricorrenti pensieri di tristezza e di morte, un senso vago di platonismo raffinato, riescono a sottolineare i motivi più profondi e sinceri della sua lirica, con versi di autentica bellezza : ... E tramutavi a me dolente questa disperata esistenza in paradiso... oppure : ...e l‟ angel della notte, erto levando al cielo il capo suo, con l‟ ali immense d un tenebroso vel la terra copre... oppure : Negli occhi tuoi la primavera ride...”

Ma inevitabilmente, anche se a sprazzi, la personalità di Rodolfo Emiliani ha voluto prorompere. Il suo animo aveva una accorata pensosità tutta intima, un' abitudine alle riflessioni di morte, una disperazione ormai cara e meditata; tutti elementi che, liberati da uno studio più vigile e da un più completo abbandono sentimentale, avrebbero costituito l‟autentico filone della sua poesia. Ce ne restano, invece, cenni soltanto, bellissimi ma dispersi; tali però che bastano a dare la misura di un' anima nobile e sentimentalmente viva: Colmo d' angoscia ho il cor, ne fugge amore e il canto mio si spegne nel dolore. ed anche : ... agonizza e muore lentamente ogni dolce illusione in cui fidai... E allor dite, a che vale la mia vita ?...

Al colloquio tra queste carte vergate con esatta e paziente scrittura e la mia ricerca affettuosa, si frappone un grande ostacolo: la chiara sensazione che, scomparsa la voce che poteva pronunciarli, questi versi sono ormai muti, misteriosi, incompleti. Il lettore, oggi, è abituato a chiedere al poema che ha di fronte una emozione che lo conquisti, uno stato d'animo che determini il suo. Rodolfo Emiliani, invece, confidava alla poesia solo ricordi in quanto tali; espressi in fugaci cenni, per riviverli, lui solo, sulla scia di un nome caro, di un particolare affettuoso. Cosicché noi, separati da quel mondo che fu suo, ascoltiamo il suono, non il senso di queste rime scritte con troppa ritrosia, con gelosia

14 esasperata, con pudico riserbo sentimentale.” (Dal ricordo di trigesimo)

DI PROFONDA UMILTÀ E SINGOLARE MODESTIA VISSE SEMPLICE E NASCOSTO

CON LA NOBILTÀ DEI SENTIMENTI LA VASTA E PROFONDA CULTURA FECE ONORE ALLA SUA PATRIZIA STIRPE

PER LE GENTILEZZE E SIGNORILITÀ DEI MODI LASCIAVA INDELEBILE RICORDO IN CHIUNQUE L' AVVICINAVA

FORTE NELLA FEDE PER LA QUALE LOTTÒ E VINSE ACCETTÒ SERENO L' IMMATURA FINE

DISTACCATO DA TUTTO E DA TUTTI NEL SUO BREVE E DOLOROSO MALORE SI PREOCCUPÒ SOLO DELLE COSE SUPREME

UMILE E MITE DI CUORE DIEDE PROVE NON COMUNI DI GRANDE IMPERITURA AMICIZIA

Nel Cimitero di Fermo, dove la fedeltà dell‟amicizia lo compose vicino ai suoi, la seguente epigrafe. RVDOLPHVS DE ÆMILIANIS PATRICIUS FIRMANUS CIVICÆ BIBLIOTHCÆ PRÆFECTUS NAT. RAP. III ID. IVN. A. D. MDCCCLXXXVI DEC. FIRMI V ID. MART. A. D. MCMLI IN PACE

I VENTURA Di questa antica famiglia rapagnanese si hanno le seguenti notizie. Guglielmo Ventura è ricordato in una pergamena conservata nell‟archivio comunale di del 19 gennaio 1334 relativa ad un atto stipulato nel comune di Rapagnano (Actum in Castro Rapaneani), dove si legge “l‟anno del Signore 1334, indizione seconda, al tempo di papa Giovanni XXII, il giorno 21del mese di gennaio, Guglielmo di Ventura del Castello di Rapagnano, ha dichiarato di essere stato soddisfatto di quanto a lui versato quale rimborso da parte di Puccio Dongiovanni di Montegiorgio, per conto di quel Comune e della cittadinanza. Il rimborso consiste nel versamento di un fiorino di oro sopraffino e di giusto peso e di somme per spese sostenute come da decisione del Conte Galasso di Montefeltro, podestà di Fermo…”. Nell‟archivio parrocchiale, “Stato d‟anime” troviamo due sacerdoti di nome Ventura Giovanni, il primo nel 1570, che denunciò la sottrazione delle autentiche relative al S.Braccio; il secondo nel 1740, parroco di S.Maria e Severino. Questo per smentire recenti affermazioni giornalistiche, che hanno trasformato in guerrieri modesti sacerdoti, per colpa del cognome.

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LA FAMIGLIA PISTOLESI

Fra le personalità di rilievo che hanno fatto onore a Rapagnano, crediamo di dover inserire anche la famiglia Pistolesi, alcuni membri della quale si sono distinti nella loro professione da raggiungere una discreta fama in campo nazionale. Il capostipite della famiglia è Roberto Pistolesi, nato il 27 gennaio 1897, morto il 10 maggio 1960, impiegato (Guardia giurata) del Consorzio di Bonifica Valtenna e Assistente Capo nella costruzione della diga di S. Ruffino, inoltre Consigliere del Genio Civile di . Partecipò alla guerra 1915- ‟18, nel decimo Reggimento Artiglieria Fortezza ed ebbe dei riconoscimenti per meriti di guerra.

Dalla moglie Alici Biondi Argentina ebbe tre figli: – Delio, che mutò il nome di battesimo in quello di Giovanni al momento dell‟entrata nella vita religiosa fra i Padri Agostiniani; Fig. n. 107 Coniugi Pistolesi – Furio, che intraprese la carriera alle Assicurazioni Generali – Otello, che ha raggiunto grande notorietà in Italia nel campo della sartoria; I tre fratelli condussero i primi anni della loro vita a Rapagnano nella casa paterna, presso il bivio per Torre S. Patrizio, frequentando la Scuola del luogo, ma soprattutto ricevendo quella sana educazione, che la famiglia marchigiana in quei tempi sapeva impartire ai propri figli, temperando l‟insegnamento scolastico e religioso con il lavoro dei campi e il contatto con la natura. Ma i tre figli di Roberto e Argentina, diversamente dagli altri coetanei del luogo, sentivano dentro l‟aspirazione a qualcosa di più e di diverso dalla vita che il paese rurale poteva offrire e, non appena raggiunta l‟età giusta per il volo, hanno abbandonato la vecchia casa paterna per seguire il loro ideale altrove: Delio nel Seminario Agostiniano presso l‟Abbazia di Fiastra; Otello, prima a Fermo, poi a Bologna; Furio a Brescia.

16 Padre Giovanni Pistolesi7

Nato a Rapagnano (AP) il 21 febbraio 1922. Ivi trascorse i primi anni della sua vita, ma sentendosi portato agli studi e interessato alla vita religiosa, a 16 anni entrò nel Seminario Agostiniano dell‟Abbazia di Fiastra. Di spiccata intelligenza, compì in breve tempo gli studi inferiori, quindi si trasferì nel Convento di Cartoceto (PU) per l‟anno di noviziato, al termine del quale cambiò il nome di battesimo, Delio, in quello di Giovanni, nel corso della cerimonia della Professione Religiosa. Quindi passò nel Convento-Santuario di S. Nicola a Tolentino, dove seguì gli studi filosofici e teologici. Qui ricevette pure l‟Ordinazione Sacerdotale il 20 aprile 1946. Le sue capacità intellettuali e il suo impegno nello studio convinsero i Superiori a fargli continuare gli studi accademici a

Roma, frequentando il corso di Diritto Canonico al Fig. n. 108a – P.Giovanni Pistolesi Pontificio Ateneo Lateranense, ove nel 1950 conseguì la licenza in Utroque Jure. Nel 1952 tornò nello studentato nazionale degli Agostiniani d'Italia a Tolentino come professore di Diritto Canonico e Vice-Maestro degli Studenti. In seguito fu inviato al celebre Convento di S. Giacomo Maggiore a Bologna, ove rimase fino al 1958, svolgendo diverse mansioni comunitarie e varie esperienze di apostolato nel Santuario di S. Rita. Nei dicci anni successivi scese nell'Ascolano e precisamente ad , dove insieme ai confratelli curò con zelo e intelligenza il ben noto Santuario del Beato Antonio. Nel 1968 lo aspetta una nuova esperienza pastorale a Fano, come Parroco nel Convento agostiniano di San Giuseppe al Porto. Qui si rivelò pieno di iniziative pastorali e ricco di una calorosa umanità, messe a servizio di tutti in quella sempre delicata porzione fanese della gente del porto. Apprezzato dai Confratelli, stimato dal vescovo Mons. Costanzo Micci, che gli divenne amico, era soprattutto proteso verso i giovani, che amò come padre e curò come pastore, mostrandosi particolarmente interessato a seguire la promettente attività sportiva. A Fano si dedicò in particolare alle famiglie, ai bambini e ai ragazzi, aiutato dalle benemerite Maestre Pie Venerini. Nel 1981 tornò volentieri in Amandola, ove fino al termine della sua vita promosse il culto del Beato Antonio, curò la pastorale del Santuario insieme ai Confratelli e all'Arciprete don Gino Virgili, sempre particolarmente attento ai giovani, ai ragazzi e alle famiglie. P. Giovanni Pistolesi era un uomo molto vivace, sensibile e aperto. Apprezzato per la sua cultura, per la parola fluente ed efficace, riscuoteva la stima e la simpatia di tutti. Godeva di stare in mezzo alla gente, non disprezzava la compagnia rumorosa e festaiola, ove con spontaneità emergeva come leader e personaggio. Sapeva stare vicino a tutti, non emarginava nessuno; a tutti si porgeva come amico sincero ed educatore che dava sicurezza ed entusiasmo. Dotato di lucida intelligenza, di chiara esposizione e capacità espressiva, riusciva con la sua parola a incidere molto sugli uditori. Ovunque sia stato - nelle Marche, a Roma, a Bologna - ha sempre portato nel suo cuore un tenero affetto per la sua famiglia e per la sua terra d'origine, Rapagnano, dove ha lasciato un caro ricordo e un ricco patrimonio di valori umani e cristiani, che vivono nei suoi familiari ed amici. Le sue liturgie erano sempre molto animate; le sue omelie erano talvolta vivaci, altre provocatorie, sempre condotte con perizia oratoria e con calore, da cui emergevano doti non comuni di mente e di cuore. E‟ morto ad Amandola il 7 gennaio 1989 in seguito ad un incidente d‟auto.

Furio Pistolesi

17 E‟ nato a Rapagnao (AP) il 24 maggio 1925 ed ora è risiede a Verolanuova (BS). Sposato con Eugeni Erina di Magliano di Tenna (AP), dove nacquero i loro tre figli Argentina, Giusy, e Fabio, intraprese la carriera assicurativa alle Generali Assicurazioni, prima in Ascoli poi a Brescia. Dopo aver trasferito la famiglia al nord ed essere stato nominato Agente Principale a Verolanuova (BS) nel 1960, ha proseguito la brillante carriera sino al 1990 quando è andato in pensione lasciando il timone al suo figlio Fabio che già da tempo era stato suo collaboratore.

Otello Pistolesi E‟ nato a Rapagnano (AP) il 20 agosto 1932 e risiede a Forlì con laboratorio professionale e atelier in Corso Armando Diaz, 150. Fin da ragazzo fu avviato dai genitori alla professione di sarto presso la locale sartoria di Gino Gentili e Vagnoni Giulio, dove apprese i primi rudimenti del cucito. Subito dopo, avendo nell‟animo maggiori aspirazioni di quelle di un sarto di paese, passò al laboratorio di Renato Abbati a e quindi alla sartoria Lucio Antinori di Fermo. Ma Otello, dopo alcuni anni, capì che neppure Fermo poteva soddisfare le sue aspirazioni e le sue ambizioni, nonostante le capacità e le conoscenze tecniche acquisite fossero di prim‟ordine. Anzi, proprio per questo, si decise ad abbandonare l‟ambiente provinciale di Fermo per allargare i propri orizzonti in un luogo dove avrebbe potuto esprimere le sue potenzialità e soddisfare ogni ambizione. A vent‟anni perciò si trasferì a Bologna, con l‟intento di cimentarsi con la grande sartoria italiana. Qui, consapevole dei propri limiti, per completare la sua preparazione, si recò nella Fig. 109 - Otello Pistolesi Sartoria di Alta Classe Luigi Bovina e successivamente, nel 1954, entrò come apprendista modellista nella scuola di taglio “Luigi Giardino”. Qualche tempo dopo, come stretto collaboratore del Giardino, si dedicò all‟insegnamento della tecnica sartoriale. Finalmente nel 1961 aprì a Forlì la sua sartoria ed il suo nome si affermò subito in tutta la Romagna. Invitato sin dal 1966 a partecipare a numerose manifestazioni di moda nelle città di Bologna, Roma, Spoleto, Fiuggi, Castrocaro Terme, Ravenna, San Remo e Roccella Ionica, ha ottenuto sempre, per i suoi originali modelli, il favore della critica. Ha partecipato inoltre a numerosi concorsi di tecnica sartoriale, classificandosi sempre ai primi posti. La critica sartoriale di alta moda ha più volte riconosciuto le qualità stilistiche e tecnico- sartoriali delle sue collezioni. La stampa di informazione e di settore, le reti televisive nazionali e locali si sono spesso occupate di lui pubblicando articoli, modelli, servizi sulle sue collezioni di alta moda. Elenchiamo alcuni traguardi significativi della sua carriera. Nel 1979 ha partecipato a Milano al XII Concorso Internazionale di Tecnica Sartoriale classificandosi al 1° posto. Nel 1983 ha ottenuto il premio della Regione Calabria e della Camera di Commercio alla Manifestazione Internazionale di Alta Moda di Roccella Ionica. Nel 1986 ha ricevuto a Roccella Ionica in occasione della manifestazione Internazionale di Moda un premio per la migliore collezione. Nel 1993 è stato nominato dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro,

18 Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Nel 1998 a Cremona (BS) è stato premiato come primo sarto romagnolo per aver elevato la sartoria su misura a livello internazionale. Pistolesi è un artigiano che affida l‟eleganza del suo abito ai vecchi canoni del vestir bene, alla perfezione del taglio e dei particolari, lontano dai nuovi concetti del “prêt a porter”. L‟abito, per Pistolesi, non deve coprire, ma vestire e ciò si ottiene solo con un capo su misura, curato nei minimi particolari da un artigiano, che modelli il tessuto sul corpo di chi lo indossa. Sono anni che Pistolesi programma il suo lavoro su questa filosofia e i risultati si sono visti. Ne è prova la “targa al merito” dell‟Accademia Nazionale dei Sartori, sodalizio che raggruppa i più accreditati maestri della forbice. Pistolesi infatti è un sarto che fa moda nel rispetto della tradizione, dove tradizione significa valutazione accurata delle stoffe, scelta e creazione del modello, taglio perfetto, meticolosa cura dei particolari, raffinatezza delle soluzioni stilistiche. Certamente questo breve profilo di Otello Pistolesi, sarto che ha saputo raggiungere i massimi livelli nella sartoria italiana e che ha vestito ragguardevoli personalità della politica, dello spettacolo, della finanza dell‟Emilia Romagna e dell‟Italia, con qualche cliente anche all‟estero, non sarebbe completo se non accennassimo alle sue doti umane, ai suoi affetti familiari, alla passione per la musica, al legame con la terra di origine. Pur consapevole delle sue qualità artistiche e dell‟alto grado raggiunto nella professione, Otello è un uomo umile, sensibile, disponibile, generoso e gentile con tutti; si sente in imbarazzo di fronte agli elogi verso la sua persona; si commuove al ricordo dei suoi genitori, del fratello P. Giovanni e dei suoi maestri, che periodicamente non manca di visitare nei cimiteri di Rapagnano e Bologna. L‟attaccamento ai luoghi dell‟infanzia sua e di sua moglie, Rapagnano e Santa Vittoria, è intenso. Non manca di farvi ritorno più volte all‟anno, non solo per una visita al cimitero, dove ha fatto restaurare a sue spese il quadro posto all‟interno della Cappella ma anche per conversare con qualche persona anziana. A Rapagnano, sua meta abituale, sono la Chiesa Parrocchiale e la piazza, dove si possono incontrare, talvolta, Giuseppe Rutili o Sanzio Speranzini, cui far domande sulle novità del paese e ricordare persone e momenti degli anni che furono. Il suo attaccamento alla famiglia è esemplare. Il profondo affetto per la moglie Orestilla Tentoni risale al periodo della loro prima gioventù ed ha un‟origine quanto mai romantica, essendo sbocciato sul trenino che, ogni mattina, li portava a Fermo al lavoro, lei apprendista bustaia e lui allievo del sarto Antinori. Dopo il matrimonio la signora Orestilla è stata il più valido sostegno all‟attività e al successo del marito poiché, messa da parte l‟attività di bustaia, ha messo a disposizione di lui le conoscenze e l‟esperienza acquisite, nonché il gusto personale. Con lui, nel laboratorio di Corso A. Diaz, ha diviso l‟impegno e la creatività del lavoro quotidiano, che si svolgeva silenzioso col sottofondo di musica classica, di Bach in particolare. Otello, infatti, aveva fatto installare un impianto stereofonico, per soddisfare la passione musicale di entrambi; passione che hanno quindi trasmesso ai figli Roberto e Mary e alle due nipotine Anna e Silvia Cortini, di cui i nonni sono orgogliosissimi.

Roberto Pistolesi

Otello Pistolesi e Orestilla Tentoni hanno avuto due figli: Mary e Roberto, i quali non hanno seguito la professione dei genitori, anche se fiorente e conosciuta in tutta la Romagna. Entrambi hanno frequentato gli studi, laureandosi in Pedagogia l‟una e in Architettura l‟altro. Mary ha quindi intrapreso la carriera di insegnante della Scuola Media. Roberto, nato a Bologna il 19 agosto 1960, laureato in architettura a Venezia,

19 specializzato nel restauro di edifici storici e nella conservazione e gestione dei Beni Culturali, ha aperto uno studio professionale a Forlì, dove lavora e dirige un folto stuolo di collaboratori. Dopo i primi lavori nel settore dell‟edilizia pubblica, commissionategli dal Comune di Forlì, ha eseguito lavori sempre più importanti e di grande impegno professionale, per conto di Enti Pubblici nel territorio di Forlì, Rimini e Ravenna, culminati nel “Restauro e Recupero della Rocca Vescovile di Bertinoro”, al quale è stata assegnata la “Medaglia d‟oro della Comunità Europea, 1° Premio Europa nostra, 2002”. Il prestigioso riconoscimento internazionale, consegnato il 9 maggio 2003, nell‟ambito di una grande cerimonia ufficiale, svoltasi a Bruxelles, all‟architetto Roberto Pistolesi, autore del progetto di recupero del Maniero, ha consacrato la sua fama e il suo valore, avendo egli sbaragliato la concorrenza di ben 292 progetti, presentati da tutti i Paesi Europei, risultando fra i primi sei, premiati con la medaglia d‟oro ed più giovane fra tutti i partecipanti al concorso.

MONS. VINCENZO VAGNONI

Mons. Vincenzo Vagnoni non è Rapagnanese, perché è nato a Montefiore dell‟Aso il 31 luglio 1892; ma ci piace inserirlo tra le personalità del nostro Paese, che in qualche modo si sono distinte, per essere stato Parroco di Rapagnano (Preposto dell‟insigne Collegiata di S.Maria e Giovanni battista) per quasi sei anni dal 24 giugno 1929 al 3 marzo 1935 ed ha quindi avuto modo di influenzare la vita religiosa e sociale del Paese. In questo breve periodo della sua lunga vita (101 anni!), ha lasciato una ottima impressione presso gli abitanti di Rapagnano, che ancora oggi, 70 anni dopo, lo ricordano per la sua lucida intelligenza, per la sua dottrina, per la chiarezza e facilità di esposizione dell‟insegnamento religioso e, infine, per la dedizione alla missione pastorale fra il Fig. n. 110 - Mons. Vincenzo Vagnoni popolo, per la bontà d‟animo e l‟affabilità. I fedeli rapagnanesi avevano compreso subito che la levatura culturale del loro Parroco era superiore alla media e che quindi egli era destinato a ben altri incarichi nella Diocesi. Don Vincenzo aveva compiuto brillantemente gli studi nel Seminario Diocesano di Fermo e, dopo l‟ordinazione sacerdotale (18 marzo 1916) e il servizio militare prestato dal maggio 1917 al 31 agosto 1919, nel corso della prima guerra mondiale con il grado di Caporal Maggiore (ottenne l‟onorificenza della Croce di Guerra con Medaglia), aveva svolto vari incarichi in Diocesi, fra cui quello di insegnante e vice rettore nel Seminario Arcivescovile. A Rapagnano don Vincenzo si occupò con particolare impegno dei giovani organizzando “la gioventù di Azione Cattolica”, associazione che avrà a cuore anche successivamente a Fermo assumendone l‟incarico di Assistente Diocesano e poi di presidente della Giunta Diocesana. Con lui l‟Azione Cattolica ebbe un grande sviluppo, ma gli procurò, unitamente a Mons. Biagio Cipriani, che dirigeva il Ricreatorio S.Carlo e allo stesso Arcivescovo, mons. Carlo castelli, l‟ostlità dei fascisti locali, i quali non tolleravano che i giovani aderissero ad associazioni, che non fossero quelle fasciste, rivendicando il monopolio in fatto di educazione della gioventù. Nel 1935 don Vincenzo Vagnoni lasciò la cura delle anime di Rapagnano in quanto gli era stata assegnata la Parrocchia dei SS.Pietro e Paolo di Paolo di Fermo, ma da questo momento, gli

20 incarichi di grande responsabilità a lui affidati da parte dell‟Arcivescovo, non si contano più, culminati in quello di Vicario Generale, conferitogli dall‟Arcivescovo Norberto Perini, che manterrà anche con il nuovo Arcivescovo, mons.Cleto Bellucci, e che lascerà solo il 30/10/1977, all‟età di 85 anni. Non è il caso di illustrare ulteriormente l‟importanza e la vastità dell‟attività di mons.Vincenzo Vagnoni, svolta presso la Curia Arcivescovile fino alla morte, in quanto esula dalle finalità di questo libro. Tuttavia non si può non ricordare che egli fu proposto per la nomina a Vescovo, ma che probabilmente, come qualcuno ha suggerito, questa non fu concessa, perché al tempo dei suoi studi teologici presso il seminario di Fermo, fu sospettato di aver simpatizzato per le teorie moderniste di don Romolo Murri, nonostante poi avesse sottoscritto la sua estraneità all‟elezione a deputato dello stesso Murri. Non intendiamo dilungarci, né esprimere giudizi sulla vita e sulle idee di quest‟altra nobile figura di prete, perché non è questo il luogo adatto e neppure noi siamo le persone idonee a farlo. Tuttavia ci piace, in questo momento di rivalutazione e di chiarimento della figura e del pensiero di Romolo Murri, da parte degli studiosi, di esprimere la nostra simpatia per questo prete, dalla vita travagliata, perché lo sentiamo un po‟ anche nostro, essendo nato a Monte S.Pietrangeli. Romolo Murri, dopo la scomunica della Chiesa, trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi in esilio a Monte S.Pietrangeli, sua terra natale, ed era conosciuto anche da molte persone di Rapagnano, dove il fratello Lello possedeva un terreno in contrada S.Paolo, affidato alle cure del mezzadro Daniele Tiburzi di Rapagnano.

Dottor Giuseppe Medori

Giuseppe Medori nasce a Carassi il 26/01/1923 e muore a Fermo il 02/03/2011. Questi avendo esercitato per ben 40 anni, dal 14 luglio 1954 al 1 agosto 1994, la professione di medico condotto a Rapagnano, dove è vissuto con la famiglia, può a buon diritto essere considerato rapagnanese. Per quanto riguarda la sua attività professionale e le sue doti umane, pur lasciando libertà di giudizio a chiunque l‟abbia conosciuto, non possiamo esimerci dall‟esprimerne uno nostro. Il dottor Medori, semplice ed umile, fu un professionista completo, che alla solidità della preparazione professionale Fig. n. 105 – Dott. Giuseppe Medori seppe unire doti di umanità. Ottimo umanista, assimilò le linee maestre del ben vivere, tramandate a noi dagli antichi Saggi, e ne fece la norma costante dei suoi contatti con le persone. Ma qui vogliamo ricordarlo come autore drammatico, riportando i titoli delle sue opere più acclamate negli anni ‟70 e ‟80 e di altre inedite, attività che egli intervallò a quella professionale per puro piacere personale. La cosa che più di ogni altra colpisce nelle sue opere è la grande umanità che metteva nei suoi personaggi, figli del loro tempo e immersi completamente in una realtà fatta di semplicità, di spontaneità di affetti, di piccole inimicizie, di cose di tutti i giorni; in una parola, di vita vera. E questo mise in risalto la più bella dote, forse, del dott.Medori, e cioè la capacità di cogliere l‟essenza vera delle persone e delle situazioni della vita con le quali venne in contatto.

21 Sicuramente l‟attività teatrale del dott. Medori e della compagnia dilettantistica del dottor Casali, che l‟ha portata sulla scena, ebbe un grande merito: quello di aver fatto divertire le gente e di aver tenuto viva tra la popolazione di Rapagnano e del territorio fermano, la passione per il teatro, cosa che sia la televisione di Stato, sia le televisioni private non hanno sufficientemente valorizzato.

Fig. 106 – Giuseppe Medori sul palco (al centro) al termine della rappresentazione della Commedia “Lu diavulu è viundu” Elenco delle opere: – Sandra (1958). Dramma in tre atti. – La bbonanema de Gustì (1973). Commedia in due tempi. – Lu firtru d‟amore (1975). Commedia in due tempi. – Lu diavulu è viondu (1970). Commedia dialettale in due tempi. (Con questa commedia, rappresentata ben trentacinque volte dalla compagnia del dott.Casali, il dott. Medori ha vinto ad una rassegna regionale) – L‟arbergu de lusso (1981) – Le debbulezze della sora „Malia (1985). Commedia in due tempi. – Cose de l‟atru munnu – „Na sera de lujo de tand‟anni fa – Lu sognu meravijosu d‟un poru sartu Opere inedite: – Odio la guerra (19599. Azione drammatica in tre tempi. – Boffo da Massa (1959). Dramma storico in tre atti. – Ricordi (1962) Atto unico. – Cartella clinica n°. 725. Dramma in due tempi) – La sdrega de Lisa (1982). Due tempi. – Troppa grazia sand‟Andò (1986). Due tempi. – Lo zio Amilcare (1987). Atto unico. – Lu munnu è fattu a scala: chi lu suve e chi lu cala (1981)

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MARISA CALISTI

Marisa Calisti, personalità di spicco fra gli artisti marchigiani, è nata a Montegiorgio (AP) l‟8 aprile 1953, ma, da quasi un decennio, risiede stabilmente con la famiglia a Rapagnano, dove possiede una casa. Non è quindi solo per farcene in indebito vanto che consideriamo questa brava pittrice nostra concittadina, quanto invece perché lei ha scelto il nostro paese, dove lavora e partecipa alla vita sociale. Per alcuni anni, infatti, ha operato come insegnante fra la gioventù locale, svolgendo un‟attività rivolta ai beni culturali del posto. Con i suoi ragazzi ha infatti studiato alcuni aspetti artistici del paese, realizzando nell‟anno 2000 il catalogo delle opere d‟arte, raccolte nel Museo Parrocchiale. Ricordiamo brevemente il suo curriculum di artista. Fig. n. 111 – Marisa Calisti, autoritratto 1986 Dopo essersi diplomata presso l‟Istituto Stale d‟Arte di Fermo, frequenta, all‟Università di Bologna, gli ambienti culturali dei maestri Francesco Arcangeli, Carlo Volpe e Flavio Caroli e si laurea in Lettere, con una tesi in Storia dell‟Arte Medioevale e Moderna. Negli anni successivi partecipa a mostre d‟arte collettive e personali in varie località d‟Italia. Negli anni ‟89 e ‟90 viene incaricata di realizzare i manifesti per la Festa della Donna dell‟ 8 marzo, da parte dell‟U.D.I. e della città di Bologna. Nel 1994 consegue la Targa d‟Argento al “Premio Arte Mondadori” per la selezione della pittura. Fra il 1994 e il 2000 espone in varie mostre personali ad Ascoli Piceno, Recanati, Serra dei Conti, Ostra; quindi presso il Centro Culturale della SS. Trinità a Milano e presso il Centro Culturale di Villa Murri a Porto S.Elpidio e di nuovo a Milano, nel 1998, presso il Centro Culturale “Sala don Sironi”. La signora Calisti è dunque una pittrice affermata non solo nelle Marche, ma anche nel resto d‟Italia. Oltre che pittrice è anche storica e critica d‟arte. Basti ricordare i suoi seminari sulle pittrici donne della storia del 1993 ad Ancona e lo studio storico artistico sulla pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi e le monografie su Gaetano Orsolini e su Luigi Fontana. Fig. n. 112 – Marisa Calisti, Riflessi, 1994

Vogliamo concludere riportando una piccola selezione, presa dai saggi di tre noti critici. “I dipinti della nostra pittrice riflettono un temperamento complesso, a volte tormentato con pause di pensieri attenti e profondamente meditati. È seducente l'interpretazione che sa dare al profondo del fogliame che la prospettiva del colore rende trasparente, cosa non facile da ottenere in

23 un ammasso così denso e corposo. Sensibile nelle trasparenze e nei riflessi, la pittura rende la composizione dinamica e superba. La rarefazione dell'alto fogliame delle piante, la profondità dei cespugli nel terreno melmoso, la solidità dei tronchi svettanti pongono per bellezza e capacità esecutiva la nostra artista nei primi piani dell'attuale vita artistica italiana.” Paolo Zauli

“Il tempo come una nenia, discretamente si insinua, sfuma i contorni reali del tutto e nel vortice tra passato e presente celebra se stesso nell'infinito dello spazio. La materia comunica il suo sgomento di essere senza infinito e supplica in un disperato palpitare di atomi la sua continuità. L'urlo non ha suono ma il silenzio è carico di vita che non vuole spegnersi nell'indeterminatezza di un attimo. La vita consuma se stessa riproponendosi come pratica di precarietà nell'imperfetto equilibrio della coscienza del mistero. Ma è la stessa pratica che rinnova il bisogno di vita oltre le apparenze, per naufragare ancora nella tempesta del tempo.” Luigi Pignataro

“Marisa Calisti persevera nel suo attento indagare il mondo naturale che la pittrice ama farci vedere dall'interno, tanto che l'osservatore rimane quasi prigioniero dei cespugli, dei rami più bassi degli alberi secolari che formano una trama grafica suggestiva, nella quale è facile perdersi con l'occhio e con la mente. ... Nonostante certe accensioni cromatiche sembrino portare una nota solare, nei boschi dipinti dall'autrice prevale sempre l'inclinazione a rappresentare una natura panica e rigogliosa, capace di sopraffare l'uomo che, facendo leva sulla propria razionalità, vorrebbe controllarla. Non si stenta ad immaginare che dietro i tronchi poderosi degli alberi possa comparire all'improvviso un viaggiatore che si sia smarrito, affascinato dal viluppo vegetale ma spaurito dalla sua stessa sorte, rievocando con ciò il Sublime caro ai pittori nord-europei di fine Settecento. L'apporto degli studi storico-artistici compiuti dalla Calisti si coglie proprio in questi richiami "colti" che, senza giungere alla citazione, si esprimono nella rievocazione di atmosfere perdute, sapientemente filtrate alla luce di una sensibilità moderna. Si manifesta così un‟indole meditativa e forse incline alla malinconia che trova nell'autoritratto la possibilità di essere meglio indagata attraverso il dialogo interiore con se stessa che l'artista intavola ogni volta che si mette davanti allo specchio per rappresentarsi sulla tela”. Stefano Papetti

Dante Milozzi

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