CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI

Dr. Marco COCHI

L’espansionismo jihadista dell’IS (“Stato Islamico”) nell’area sub- sahariana e del sud-est pacifico

(codice AI-SA-16)

∞ Il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) è un organismo istituito nel 1987 che gestisce, nell’ambito e per conto della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico. Tale attività permette di accedere, valorizzandoli, a strumenti di conoscenza ed a metodologie di analisi indispensabili per dominare la complessità degli attuali scenari e necessari per il raggiungimento degli obiettivi che le Forze Armate, e più in generale la collettività nazionale, si pongono in tema di sicurezza e difesa. La mission del Centro, infatti, nasce dalla ineludibile necessità del Ministero della Difesa di svolgere un ruolo di soggetto attivo all’interno del mondo della cultura e della conoscenza scientifica interagendo efficacemente con tale realtà, contribuendo quindi a plasmare un contesto culturale favorevole, agevolando la conoscenza e la comprensione delle problematiche di difesa e sicurezza, sia presso il vasto pubblico che verso opinion leader di riferimento. Più in dettaglio, il Centro:  effettua studi e ricerche di carattere strategico politico-militare;  sviluppa la collaborazione tra le Forze Armate e le Università, centri di ricerca italiani, stranieri ed Amministrazioni Pubbliche;  forma ricercatori scientifici militari;  promuove la specializzazione dei giovani nel settore della ricerca;  pubblica e diffonde gli studi di maggiore interesse. Le attività di studio e di ricerca sono prioritariamente orientate al soddisfacimento delle esigenze conoscitive e decisionali dei Vertici istituzionali della Difesa, riferendosi principalmente a situazioni il cui sviluppo può determinare significative conseguenze anche nella sfera della sicurezza e difesa. Il CeMiSS svolge la propria opera avvalendosi di esperti civili e militari, italiani e stranieri, che sono lasciati liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati.

CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI

Dr. Marco COCHI

L’espansionisto jihadista dell’IS (“Stato Islamico”) nell’area sub-sahariana e del sud-est pacifico

(codice AL-SA-16) L’espansionisto jihadista dell’IS (“Stato Islamico”) nell’area sub-sahariana e del sud-est pacifico

NOTA DI SALVAGUARDIA Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene. NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte.

Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici

Direttore Amm. Div. Mario Caruso

Vice Direttore Capo Dipartimento Relazioni Internazionali Col. A.A.r.n.n. Pil. (AM) Marco Francesco D’Asta

Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato

Autore Marco COCHI

Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa

Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Relazioni Internazionali Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma tel. 06 4691 3204 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]

Chiuso a dicembre 2015

ISBN 978-88-99468-46-0

INDICE SOMMARIO ...... 7 ABSTRACT ...... 10 KEY POINTS ...... 13 PARTE I ...... 22 ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLO STATO ISLAMICO ...... 22 Le radici storiche e culturali ...... 22 La svolta di al-Baghdadi ...... 24 Le fonti di finanziamento ...... 27 La campagna mediatica ...... 30 I foreign fighter ...... 33 Le dinamiche espansionistiche del Daesh ...... 36 Le province del Califfato ...... 38 Le wilayat libiche ...... 41 PARTE II ...... 45 LO STATO ISLAMICO IN AFRICA SUB-SAHARIANA ...... 45 Il dilagare del terrorismo fondamentalista africano ...... 45 Il jihad in Nigeria: Boko Haram ...... 46 L’internazionalizzazione di Boko Haram ...... 49 Le incognite dopo l’affiliazione allo Stato Islamico ...... 51 La nuova strategia degli islamisti nigeriani ...... 53 L’evoluzione della propaganda mediatica ...... 55 Chi finanzia Boko Haram? ...... 57 L’enigma dell’affiliazione di al-Mourabitoun ...... 59 L’IS divide i jihadisti somali di al-Shabaab ...... 61 Un successo per lo Stato Islamico ...... 63 PARTE III ...... 67 LO STATO ISLAMICO NEL SUD-EST PACIFICO ...... 67 : terra di foreign fighter ...... 67 La Katibah Nusantara ...... 69 Un centro di reclutamento strategico ...... 71 Il bayah di Abu Bakr Bashir ...... 74 Le nuove organizzazioni fondamentaliste ...... 75 Le organizzazioni filo IS nelle Filippine ...... 77 Il rischio di una rete terroristica integrata ...... 79 ELENCO DELLE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI E DEGLI ACRONIMI ...... 81

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BIBLIOGRAFIA ...... 82 SITOGRAFIA ...... 85 TESTI SPECIALISTICI ...... 88 NOTA SUL Ce.Mi.S.S e NOTA SULL’AUTORE ...... 89

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SOMMARIO

Questa ricerca tenterà di monitorare e analizzare in maniera integrata il fenomeno dell’espansione dello Stato Islamico in due strategiche macroregioni del globo: l’Africa sub- sahariana e il sud-est Pacifico, evidenziando come il progetto di allargamento dei confini del Califfato stia assumendo particolare rilievo attraverso l’affiliazione di altri gruppi radicali islamici, che prelude alla proclamazione di nuove province. Uno dei presupposti di questo lavoro è stabilire come tale pratica alimenti la portata della minaccia “baghdadista”, rendendola ancora più estesa di quanto possa già sembrare in relazione agli ingenti flussi di foreign fighter. Altrettanto importante, sarà verificare come l’attuale panorama jihadista nelle due vaste aree evidenzi uno scenario nettamente differenziato tra i principali gruppi fondamentalisti che hanno stretto saldi legami con lo Stato Islamico. Per questo, sarà necessario esaminare le origini storiche e sociali, la composizione etnica e le finalità operative delle varie organizzazioni che hanno deciso di aderire allo Stato islamico, tenendo, però, ben presente che tutte queste realtà sono accomunate da un unico ambizioso progetto: contribuire all’espansione e all’affermazione del Califfato al di fuori dei territori siro-iracheni. La mappatura delle compagini jihadiste attive nelle aree che saranno oggetto della disamina, consentirà di rendere evidente quanto siano salde le alleanze tra lo Stato Islamico e i gruppi che gli hanno giurato fedeltà, tranne sporadici casi. Nella trattazione sarà importante dare rilievo anche all’aspetto religioso, sottolineando come la creazione di una singola wilaya giustifichi l’ideologia jihadista basata sullo sforzo inteso a riconquistare i territori occupati illegalmente dai miscredenti. Gli stessi territori che una volta riconquistati finiranno sotto il controllo dello Stato Islamico, che ha l’obiettivo di trasformarli in poli di attrazione per i Paesi confinanti, con il fine ultimo della realizzazione di un Califfato universale: lo stesso per cui nel VII secolo furono combattute le guerre contro gli infedeli. Non a caso, nel settembre 2014, Jack Moore scriveva un lungo articolo in cui specificava chiaramente che, entro il 2019, l’IS intende mettere in atto con ogni mezzo i suoi piani di espansione in tutto il mondo musulmano1.

1 Jack Moore, Isis Master Plan Revealed: Islamic ‘Caliphate’ Will Rule Spain, China and Balkans, in “International Business Times”, 3 settembre 2014. http://www.ibtimes.co.uk/isis-master-plan-revealed-islamic-caliphate-will-rule- spain-china-balkans-1463782

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E la proclamazione di un numero sempre più alto di wilayat è certamente volta a favorire il compimento dell’oscura trama. Nella disamina delle varie affiliazioni osserveremo come il gruppo di al-Baghdadi stia focalizzando in maniera sempre più significativa i propri interessi sulle due aree in esame, con il presupposto di reclutare nella sua orbita la maggior parte delle numerose organizzazioni jihadiste operative in loco. L’IS considera, infatti, le due macroregioni tra i territori più promettenti per la propria espansione, in particolare per la posizione strategica, che riguardo all’Africa sub-sahariana offre la concreta possibilità di ampliare il network del Califfato alla Nigeria, per poi estendersi in tutta l’Africa occidentale, dopo aver già intrecciato saldi legami con i principali gruppi attivi nel Sinai, Libia e Sahel occidentale; mentre l’area del sud-est Pacifico costituisce una vera e propria roccaforte islamista per il numero di fondamentalisti presenti e attivi nell’area. Nello specifico, considereremo pure con la dovuta attenzione come l’eterogeneo quadro fondamentalista che caratterizza le due aree non è monopolio esclusivo dello Stato Islamico, ma con diversi gradi di incidenza include diversi gruppi salafiti che operano a vari livelli in molte nazioni delle due aree oggetto della disamina. L’approccio metodologico di monitoraggio di ogni singola formazione jihadista che ha giurato fedeltà al Califfato rileva decisamente che l’IS costituisce un elemento di novità, che, in breve tempo, attraverso un modello di affiliazione più partecipativo è riuscito a sottrare dall’influenza di al-Qaeda numerose formazioni jihadiste sia in Africa sub-sahariana che nel sud-est Pacifico. Nel tentativo di esaminare da una prospettiva esterna le leve motivazionali utilizzate dal gruppo di al-Baghdadi, possiamo constatare come il suo estremismo sia fortemente veicolato dall’ideologia e da una totale dedizione al jihad. Una duplice motivazione più che sufficiente per la stragrande maggioranza dei combattenti, ben consci che non è affatto imminente la nascita di un grande Califfato, che vada dall’Iraq settentrionale alla Nigeria nord-orientale, o dal nord della Siria all’arcipelago indonesiano. Lo stesso Osama bin Laden interpretava il jihad come il prologo di un Califfato, che non si aspettava di vedere realizzato nel corso della sua vita e la sua al-Qaeda era flessibile e operante come una rete geograficamente diffusa di cellule terroristiche autonome. Un altro importante fattore da osservare in questa analisi è insito nel fatto che al momento dell’affiliazione i gruppi jihadisti che giurano fedeltà allo Stato Islamico, non acquisiscono automaticamente le risorse e la valenza del nucleo centrale in Siria e in Iraq, ma restano

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sostanzialmente gli stessi gruppi con invariate capacità. Come appureremo, quello che cambia in buona sostanza è il nome, l’approccio operativo e quello mediatico. Tale aspetto è ancor più evidenziato dal presupposto che quando annette un nuovo gruppo all’interno del suo network, l’autorità del Califfato tende ad annullarne la legittimità. L’organizzazione affiliata deve essere quindi pronta a una totale sottomissione allo Stato Islamico, che al momento dell’investitura ufficiale impone una serie di “direttive” che implicano la trasformazione del nome, l’accoglienza di un emissario di al-Baghdadi, insieme al quale viene nominato un Consiglio islamico che diventa il nuovo organo di governo territoriale. Inoltre, dovranno essere istituiti i tribunali islamici per l’applicazione della sharia e sarà anche interessante notare, come le norme di adesione prevedano la costituzione di un centro di propaganda mediatica attraverso cui diffondere i proclami, che serviranno a rinforzare il legame di fedeltà con i nuovi affiliati. Esamineremo anche come la potenza e l’influenza di una delle organizzazioni più pericolose del nostro tempo sia stata accresciuta dalle numerose affiliazioni che verranno esaminate in questo elaborato, consentendo all’IS di assicurarsi un flusso costante di nuovi sostenitori, che gli hanno permesso di incrementare in maniera significativa la diffusione della sua ideologia in diversi Paesi delle aree prese in esame, e non solo. Per questo sarà interessante notare, come l’affermazione del Daesh ha sicuramente stravolto gli scenari delle due zone prese in esame e come nel breve-medio termine avrà ulteriori ripercussioni sull’evoluzione del fenomeno jihadista locale. In ultima analisi, è importante evidenziare che la complessità e il repentino mutamento degli scenari esaminati non agevolino le ipotesi in merito ai possibili sviluppi sia a livello regionale sia internazionale. Ciononostante, proveremo a operare maggiore chiarezza nelle dinamiche interne delle organizzazioni radicali esaminate, nel non facile tentativo di anticipare le tendenze evolutive del jihad in due aree che certamente nel medio termine, ma forse anche più a lungo, costituiranno, loro malgrado, due osservatori privilegiati per monitorare l’espansionismo dello Stato Islamico.

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ABSTRACT

This research will attempt to monitor and analyze in an integrated manner the phenomenon of the expansion of the Islamic State in two strategic macro-regions of the globe: the sub- Saharan Africa and South-East Pacific. The analysis will draw attention to the project to widen the borders of the Caliphate that is taking particular importance through affiliation of others radical Islamic groups, which is prelude to the proclamation of new provinces. One of the assumptions of this work is to determine how this practice stokes the extent of the “baghdadist’s” threat, making it even larger than it already appears in relation to the huge flows of foreign fighters. Equally important, it will check how the current jihadist views in two broad areas highlight a scenario clearly differentiated between the main fundamentalist groups that have strong ties to the Islamic State. For this, will examine the historical origins and social, the ethnic composition and the operational purposes of the various organizations that have allowed the proclamation of the provinces. Taking, however, well aware that all these realities are connect by a single ambitious project: to contribute to the expansion and establishment of the Caliphate outside the territories of -Iraq. Mapping jihadist organizations active in the areas that will be the subject of discussion, will help to make clear how solid alliances between the Islamic State and the groups that have sworn allegiance, except sporadic cases. In the discussion, will be important also emphasize the religious aspect, pointing out that the creation of a single wilaya justify jihadist ideology based on the effort to regain the territories illegally occupied by unbelievers. The same territories that once reconquered end up under the control of the Islamic State, which aims to turn them into poles of attraction for neighboring countries, with the ultimate goal of creating a universal Caliphate: the same that in the seventh century were fought wars against the infidels. Not surprisingly, in September 2014, Jack Moore wrote a long article in which specified clearly that, by 2019, the IS intends to implement its expansion plans across the Muslim world2.

2 Jack Moore, Isis Master Plan Revealed: Islamic ‘Caliphate’ Will Rule Spain, China and Balkans, in “International Business Times”, 3 settembre 2014. http://www.ibtimes.co.uk/isis-master-plan-revealed-islamic-caliphate-will-rule- spain-china-balkans-1463782

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From this point of view, the proclamation of an increasing number of wilayat is certainly to encourage the fulfillment of the dark plot. In the examination of the various affiliations, we observe how the al-Baghdadi’s group is focusing ever more significant their interests on the two areas in question, with the assumption of recruiting in its orbit most numerous jihadist organizations operating locally. The IS considers, in fact, the two macro-regions among the most promising for its expansion, in particular for their strategic position. With respect to sub-Saharan Africa offers a real opportunity to expand the network of the Caliphate to Nigeria, and then spread throughout West Africa, having already woven close ties with the main groups’ active in the Sinai, Libya and the western Sahel. While the area of the South-East Pacific is a real Islamist stronghold for the number of fundamentalists active in the region. In particular, we will consider with due care as well as the heterogeneous fundamentalist framework that characterizes the two areas are not the exclusive monopoly of the Islamic State, but with different degrees of incidence includes several Salafist groups operating at various levels in many nations of the two areas object of our examination. The methodological approach to monitoring each individual jihadist group who has sworn allegiance to the Caliphate detects definitely that the IS represents an element of novelty, that, in a short time, through a more participatory affiliate model has could subtract from al- Qaeda’s influence numerous jihadist formations in both sub-Saharan Africa than in the South-East Pacific. Trying to look from an outside perspective the motivational levers used by the group of al- Baghdadi, we can see how his extremism is strongly conveyed by ideology and a total dedication to jihad. Two reasons more than enough for the vast majority of the fighters, well aware that it is not the imminent birth of a great Caliphate, going from northern Iraq to the North-Eastern Nigeria, or from northern Syria Indonesian archipelago. On the other hand, the same as Osama bin Laden interpreted jihad as the prologue of a Caliphate that did not expect to see accomplished during his life. As evidenced by the flexibility of his al-Qaeda, that was operating through a network of geographically widespread autonomous terrorist cells. Another important factor to consider in this analysis is inherent in the fact that at the time of joining, the jihadist groups who swear allegiance to the Islamic State, does not automatically acquire the resources and the importance of the central nucleus in Syria and Iraq, but remain

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substantially same groups with unchanged capacity. How will verify, what changes in essence is the name, the operational approach and the media. This aspect is further emphasized by the fact that that when it attaches a new group within its network, the authority of the Caliphate tends to nullify the legitimacy. The member organization must therefore be prepared to a total submission to the Islamic State, which at the time of the official investiture imposes a set of “guidelines” which involve transformation of the name, the reception of an emissary of al-Baghdadi, together with which it is appointed Islamic Council who becomes the new governing body territorial. They should also be set up Islamic courts for the application of sharia, and will be interesting note too, as the membership rules provide for the establishment of a center of media propaganda through which to spread proclamations, which will serve to strengthen the bond of loyalty with new affiliates. We will also examine how one of the most dangerous organizations of our time has increased her power and influence by numerous affiliations that will examine in this paper. Allowing the IS to ensure a steady flow of new supporters, which enabled it to increase significantly the spread of its ideology in various countries of the areas examined, and not only. For this purpose, it will be interesting to note, as the affirmation of Daesh has definitely upset the scenarios of the two areas under examination and that in the short to medium term will have further repercussions on the evolution of local jihadism. Ultimately, it is important to highlight that the complexity and the sudden change of the scenarios examined do not facilitate the assumptions about possible developments both regionally and internationally. Nevertheless, we will try to work more clarity in the internal dynamics of the radical organizations examined in the difficult attempt to anticipate the trends of the jihad in two areas that certainly in the medium term, but perhaps even longer, will be, in spite of themselves, two privileged observers to monitor the expansion of the Islamic State.

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KEY POINTS

The project to expand the borders of the Caliphate is assuming particular importance through the affiliation of other radical Islamic groups, which is a prelude to the proclamation of new provinces. The sub-Saharan Africa and South-East Pacific are two of the macro-regions of the world where the phenomenon of the expansion of the Islamic State is registering very significantly. Although, the current jihadist views in two broad areas highlights a scenario clearly differentiated between the main fundamentalist groups, that have formed strong ties with the group of Abu Bakr al-Baghdadi. The marked differences do not affect the determination of Daesh to recruit into its orbit most numerous jihadist organizations operating in the two areas, the IS considers among the most promising areas for its expansion, in particular for its strategic location. The Sub-Saharan Africa offers the real possibility of expanding the network of the Caliphate to Nigeria, then spread throughout West Africa, having already woven close ties with the main groups active in the Sinai, Libya and the western Sahel, while the area of the South- East Pacific is a real stronghold for Islamist fundamentalists and the number of active area. ______

In sub-Saharan Africa, adhesion scenario to the Islamic State appears well defined and mainly attributable to the most important group in the region: Boko Haram, operating in the northeast of Nigeria. Thanks to which, the Islamic State has succeed to take root in area, such as sub-Saharan Africa, where since the beginning of the 2000s, is registering a strong growth of fundamentalism phenomenon. The proven policy of proselytism adopted by the IS has claimed followers into the soft underbelly of rural African society, characterized by an environment of ethnic conflicts, religious purges, extreme poverty, social tension and lack of perspective. It is no wonder, if reading the latest “Country Reports on Terrorism”3, published by the US State Department, where is predicted clearly that terrorism is becoming the first problem in many sub-Saharan countries.

3 United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2014”, giugno 2015. http://www.state.gov/j/ct/rls/crt/2014/239404.htm

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In the section dedicated to Africa, the study highlights the “significant levels of terrorist activity” that are being recorded in various parts of the continent, where there has been a growth in the level of activity along with increased aggressiveness of some radical Islamic formations. The impressive success of the Islamic State in its first year of existence has had a considerable charm on the myriad of organizations that refer to the jihadist network. Among these, one of the first to shake ties was just a faction operating in sub-Saharan Africa and corresponds to the name of Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad, known as Boko Haram, which translates from the Hausa language means “Western education is sacrilege”. The ideology of the group comes from the doctrine of the sect Yan Tatsine, who took the name from its founder Mohammed Marwa, a fundamentalist preacher originally from northern Cameroon, and for his bloody manner offensive to preach and was nicknamed Maitatsine, which in the Hausa language means “the one who curses”. Marwa moved in 1945 in Nigeria with the intent to establish a society based on his radical vision of Islam4. In the years to follow, the sect Yan Tatsine gained increasing credit in the northeast of Nigeria, showing greater determination in pursuing the aim to establish a totalitarian Islamic regime. As a result, they increased considerably the fighting against government forces, to induce the Federal Executive to take the decision to issue for Yan Tatsine a decree of removal from State of Kano. The measure, in 1982, sparked the revolt fanatics of the sect, harshly repressed by the intervention of the Nigerian Army, causing the death of more than four thousand people and its founder Maitatsine. After the death of Mohammed Marwa, the Nigerian government banned the sect was and his followers took refuge in Cameroon to return to the center stage around 1995, when the Yan Tatsine changed its name in Sahaba and under the leadership of Mallam Mohammed Yusuf returned gradually to settle and proliferate in the north-western part of Nigeria. ______

Then, in 2002, Sahaba gives rise to Boko Haram, which under the leadership of Yusuf initially pursues charitable purposes and concentrates its activities in the Borno and Yobe States.

4 John Ford, The Origins of Boko Haram, in “The National Interest”, 6 giugno 2014. http://nationalinterest.org/feature/the- origins-boko-haram-10609

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The metamorphosis from charitable organization in the jihadist terrorist training takes place in the aftermath of violent government repression of July 2009, during which were killed the same Yusuf, his father-in Alhaji Baba Fugu and several other members of the organization. The sect thus comes into direct conflict with the central government in Abuja in order to transform the whole of Nigeria into an Islamic state without Christians, where impose sharia. From that moment, the attacks gradually become more deadly, sophisticated and increasingly frequent in some areas of northern and central Nigeria. The scenario becomes even more complicated when members of Ansaru, a splinter faction of Boko Haram characterized by a strong international outlook, begins to kidnap foreigners. In the period immediately following its metamorphosis, Boko Haram, despite having proven links with other terrorist groups in Africa, he had not shown the intention of extending the holy war beyond the borders of Nigeria. The organization is beginning to prove its transnational operation with the repeated occupation of a high number of key cities, located along the northeastern border with Cameroon Nigerian. These occupations allow to members of the Islamist group to control most part of the territory of Adamawa, Yobe and Borno federal States5. According to the interpretation of the Israeli anti-terrorism expert Ely Karmon, Boko Haram has gone by quickly transforming phenomenon purely Nigerian to international jihadist actor and such acceleration would be partly due to the complexity of the Nigerian religious context. A recent joint study about African regional extremist links considers that “Boko Haram has been able to build support across borders basing on relationships of loyalty, consolidated networks, the influence of local religious leaders and the discontent of disenfranchised youth”6. At present, the country most exposed to the risk of attacks by the sect jihadist is Cameroon, as the numerous attacks dammed in recent months by Cameroonian soldiers on the border with Nigeria, unleashed a rapid sequence so as to indicate that the Yaoundé’s executive represents a prime target for Boko Haram. The reasons that have fueled the development of this Islamic fundamentalist movement in Nigeria found origin in the widespread corruption that has undermined the trust of Nigerians in the State, the continuing economic crisis and the extension of the social gap, produced by the great imbalance on the management of the huge oil revenues.

5 Joe Boyle, Nigeria’s Taliban Enigma, in “BBC News”, 31 luglio 2009, http://news.bbc.co.uk/2/hi/8172270.stm 6 Karin Willemse, Mirjam de Bruijn, Han van Dijk, Jonna Both, Karlijn Muiderman, What are the connections between Africa’s contemporary conflicts?, in “The Broker”, luglio 2015. http://thebrokeronline.eu/Articles/What-are-the- connections-between-Africa-s-contemporary-conflicts

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This set of factors has allowed the organization to recruit a number of inspiring followers, often induced to embrace the jihadist cause because they felt discriminated and not protected by Abuja government. In this way, the Nigerian fundamentalists have been able to infiltrate in the most remote regions of the African country, being succeeding to spread their message more effectively than the central government, not least through the management of a welfare system not only alternative, but much more efficient than the public one. After that, in September 2014, Boko Haram began to declare its support and to establish links with the Islamic State, the operations of the group marked a violent escalation, with a string of suicide attacks, in many cases performed by women that have sown death and destruction throughout Nigeria. In the analysis of possible consequences from membership of the Nigerian extremist group to the Islamic State, it is clear that, at least in the short term, the merger will not have an immediate impact on the field of battle. Because the different social and political contexts in which are operating the two groups and the considerable geographical distance that separates them. All this, determine that each group will face his enemies counting on up to a purely symbolic support from the other. No doubt, in terms of real collaboration, shared activities may concern the production of propaganda on social media. In these circumstances, it is not possible to determine the evolution of the new link between the two jihadist organizations, because some authoritative considerations feed some doubt on the choice made by Boko Haram. According to Max Abrahms, strategic analyst and terrorism expert at the Council on Foreign Relations, the official affiliation of Nigerian Islamist group the Caliphate is a move purely propaganda. To be highlighted, also the statements made anonymously by a US intelligence official portal of the US publishing conservative group Breitbart. The official of the security services believed that Boko Haram and the IS will never operate coordinated, because jihadism Arabic is strongly racist against blacks and this factor involves a relation that the Islamic State cannot perceive in equal. However, the legitimacy of the Nigerian group has increased and we can see that Boko Haram in an attempt to repel the counter-offensive of the Multinational Joint Task Force (MJTF) is taking all the brutal tactics used by the reference group Syrian-Iraq, including the kidnapping of mass atrocities and executions.

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However, it is undeniable that Boko Haram is suffering the effects of massive military MJTF’s action, which tore large areas of territory under its control, but does not seem to have affected the offensive potential of the group. Demonstrated by the authentic escalation of terror recorded in recent months, including the use of suicide children bombers and the contamination of a river where the population obtained drinking water. ______

Islamic State’s West Africa Province is showing exceptional versatility in quickly change strategy, reformulating its mode of operation on the attacks that the conquest of areas of land. A tactic versatility that moves the focal point of the offensive by the struggle on the ground close to terrorism pure, making the Nigerian Islamist organization increasingly difficult to defeat and increasingly bloody. As evidenced by the study of IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Centre, that, the attacks carried out, between last July and September, the group caused a death toll greater than that produced by the attacks of extremists in Syria7. The current phase of difficulties facing Boko Haram is producing a situation in many ways similar that is jeopardizing the security of all countries in the region. From this background, it is clear that fundamentalists Nigerians now under the IS control constitute an increasingly complex reality and ever more difficult to eradicate from the northeast of Nigeria. ______

With regard to the extensive area that includes the Southeast Pacific the support for the Islamic State is experiencing a significant increase in consensus among Muslim extremists, whose focus is mainly concentrated in Southeast Asia, where in recent months a large number of groups operating in the region have pledged allegiance to the caliph al-Baghdadi. The strong support enjoyed by the IS in the region is even more highlighted by the presence in its ranks, the entire military unit of terrorists from Indonesia, Malaysia and Singapore. This training fighter is called Katibah Nusantara, established in September last year in the city of al-Shadadi, located between the provinces of Deir Ez Zor and Hasaka, in the northeast of Syria.

7 Paul Mcleary, Islamic State Ramps up Attacks, But Not Capturing New Ground, in “Foreign Policy”, 22 ottobre 2015. http://foreignpolicy.com/2015/10/22/islamic-state-ramps-up-attacks-but-not-capturing-new-ground/

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Katibah Nusantara has the overt aim of supporting the establishment of the Caliphate in the southeastern of Asia region and facilitating the departures of foreign fighters to the Syrian- Iraqi territories. Most of the leaders of Katibah Nusantara appear to be Indonesian, even if among them there are even some Malays. The unit is divided into various departments and its high capacity and efficient management offensive military clearly occurred early last April, when he got his first major success on the battlefield capturing five Kurdish guerrillas in the territories of Syrian Kurdistan. A result highlighted in social media of the Islamic State, especially in the Malay and Indonesian languages, in order to attract new recruits to join the local cause of the Caliphate. The Nusantara is a point of reference for limiting the communication problems of hundreds of militiamen of Southeast Asia enrolled by the IS, fighting along with tens of thousands of foreigners in Arabic. Noteworthy as well, that while their husbands or sons are in Iraq and Syria, the brigade help economically the families left in Malaysia and Indonesia, including those fallen in combat, and indoctrinate fighters urging them to continue the fight. Building on its topside, Katibah Nusantara seems to have what it takes to increase its influence in the decision-making process of the Daesh, which, in turn, could be directed to give greater priority to the jihad in Southeast Asia, transforming it into a war zone. In his constant proselytizing activity of the Unit of the Malay Archipelago resort to any means, as evidenced by the work of jihadist Bahrumshah, formerly a prominent member of the Jemaah Islamiyah (JI), which to recruit fighters to send in the Middle East territories has been taken up Malaysian and Indonesian children on social media. Training and engagement in jihad outside the regional boundaries of this combat unit recalls Al-Ghuraba, the basic cell of JI in Karachi, Pakistan, which has long been the benchmark for militants Malay-speaking they were fighting in Afghanistan8. Lately, are arrived clear signs of growing danger that the fighter unit of the Malay Archipelago represent for the entire region. For example, the capture of more than 150 supporters of the Islamic State in Malaysia and Indonesia, the discovery of plans for an attack against military and civilian targets in Malaysia, the fearsome groups in the who have sworn

8 International Crisis Group, Indonesia: Jemaah Islamiyah’s Current Status, in “Asia Briefing N°63”, 3 maggio 2007. http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/asia/south-east- asia/indonesia/b63_indonesia_jemaah_islamiyah_s_current_status.ashx

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allegiance to al-Baghdadi and the recent IS declaration in which also Singapore is as a possible target. ______

Fueling fears about the penetration of the IS in Southeast Asia, also came the statements of the Prime Minister of Singapore Lee Hsien Loong, who, last May, during the Shangri-La Dialogue, highlighted that the whole area is characterizing as a “recruitment center highly strategic” for the al-Baghdadi’s organization. Recent estimates published in the Guardian, also reveal that from the beginning of 2015 about five hundred jihadists from Indonesia and Malaysia would arrive in Iraq and Syria to join the ranks of the Islamic State. The recruitment of jihadists volunteers’ in Southeast Asia takes place for the most part through websites and social networks, adopting practically the same systems used in other Islamic countries and the West. As shown the case of the Indonesian website al-Mustaqbal.net, obscured in September 2014, or of forum al-Busyro, recently closed. In the sections of this fundamentalist forum was possible to view the propaganda distributed by the IS and its affiliated organizations in the region, as well as footage of military exercises and Koran sermons. The world of social media is full of blogs, Facebook pages and accounts Malay and Indonesian, sharing content written by militants of the IS, offering their support to the Caliphate and to the cause of global jihad. In those circumstances, it is clear the extreme importance that monitoring of potential jihadist online activities to stem the expansion of the Islamic State in the region. The propaganda of the Islamists Indonesians also takes place in the University of Jakarta, as evidenced by the infiltration of radical groups on campuses to attract young and enthusiastic students to initiate them into the holy war. The increased risk of attacks by the IS in the region is mainly due to the return of foreign fighters, who, after having played between Baghdadis’ group in Syria and Iraq, returning home even more indoctrinated and more included in the international jihadist network. The militia returnees have significantly honed their combat capability and could be mobilized to carry out attacks in all parts of Southeast Asia. Unlike the members of the JI, veterans of the war in Afghanistan, in this new phase of jihadist terrorism, police forces across the region would face terrorists that has received the most qualified military training and much stronger in ideological and operating terms.

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The presence of these mujahideen in areas where the presence of Islamist groups is particularly high implies a serious threat to many countries of Southeast Asia. Many experts share the view that the greatest risk of fundamentalist drift is present in Indonesia, the nation of over 250 million inhabitants and has built the largest Muslim population in the world, despite Constitution does not present any reference to Islam. ______

The Asian country has a long history of terrorist attacks completed by the previous generation of jihadists trained in al-Qaeda’s camps based in eastern Afghanistan. This militiamen when returned home gave birth to JI, the terrorist network linked to al-Qaeda and active in many countries of Southeast Asia, lead of the deadly double attack launched in October 2002 at the Sari Club in Bali and Paddy's Pub in Kuta, killing a total of 202 people especially tourists, including 88 Australians. Over time, the Indonesian authorities have inflicted very hard and destabilizing blows to the organization, which led to the arrest of more than seven hundred people, who in some cases have also provoked bitter controversy related to repeated violations of human rights. According to Indonesian authorities, the evolution of the terrorism of radical Islam in their country has characterized by the emergence of the Islamic State in the fragmented landscape fundamentalist in the region. But there is a substantial difference: the bombers of the new generation do not plan carefully for their attacks months, as did the members of JI, but act quickly and independently under the auspices of the Caliphate, whose influence comes to be felt in the far Southeast Asia, particularly in Indonesia. Moreover, a leading figure of Islamic extremism in Southeast Asia such as Abu Bakr Bashir, who in 2008 founded the Jemaah Ansharut Tauhid (JAT) and still considered the spiritual leader of JI, stands as a link between the Daesh and militia of Southeast Asia. Bashir, in August last year, has pledged allegiance to the IS from the maximum security prison of Pasir Putih, on the island of Nusamambangan, in the province of Central Java, where he is serving fifteen years of sentence for terrorism. The ideology of the caliph al-Baghdadi would have taken on another group particularly active in Indonesia, Mujahideen Indonesia Timur (MIT), also known as East Indonesia Mujahideen, Salafi formation founded in 2010 and operating in the district of Poso on the island of Sulawesi, where the 2012 was discovered a terrorist training camp.

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The East Indonesia Mujahideen is considered one of the few groups that actually constitute a real threat for Indonesia, because of repeated attacks against local security forces and for the fears of the influence of the Islamic State among its militants. The Islamic State is also particularly active in the southern Philippines, where live most of the Muslims in the country, corresponding to approximately 5% of the population. In this area, last spring, the Daesh launched a massive recruitment campaign with the support of the paramilitary separatist group Abu Sayyaf, who, in August 2014, through its historic leader Isnilon Hapilon has sworn loyalty to the Islamic State with the aim to create in western Mindanao and the Sulu archipelago a new Caliphate province. Finally, is very important to remember that one of the main reasons why the militants in the region join the ranks of the IS has connected to the sectarian conflict between Shiites and Sunnis. In some countries of Southeast Asia, such as Indonesia, the rights of Shiites suffer severe limitations, while Malaysia is the only country in the world where the Shiite branch of Islam is even banned. This discrimination means that all of the members of the main radical Islamic groups of the two countries are Sunnis clearly oriented towards an anti-Shiite position.

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PARTE I

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLO STATO ISLAMICO

Le radici storiche e culturali

Per operare uno studio più dettagliato ed esaustivo possibile sulle origini del cosiddetto Stato Islamico (IS), tenendo sempre in considerazione che molte delle fonti si basano su notizie in continua evoluzione, vi sono molteplici fattori da prendere in esame. Il primo è certamente insito nella ricostruzione delle radici storiche e culturali dell’IS o Daesh, come viene anche chiamato9. La maggior parte degli analisti è concorde nel datare le origini del gruppo al 1999, anno in cui il miliziano islamista giordano appartenente alla tribù dei Bani Hassan, Ahmed Fadeel al-Nazal al-Khalayleh, meglio noto con il nome di battaglia di Abu Musab al-Zarqawi, fonda il Jamaat al-Tawhid wal-Jihad (Gruppo per il monoteismo e il jihad), che all’inizio del 2004 si unisce alla resistenza irachena che si oppone alla presenza del consistente contingente d’occupazione statunitense. La formazione di al-Zarqawi, nell’ottobre dello stesso anno decide di offrire la sua bayah (affiliazione) all’allora capo di al-Qaeda, Osama bin Laden10 e dopo l’adesione al network jihadista, il gruppo cambia il nome in Tanzim Qaidat al-Jihad fi Bilad al Rafidayn, ossia Organizzazione della base del jihad nel Paese dei due fiumi11, più comunemente nota come al-Qaeda in Iraq, sebbene questa sigla non sia stata mai utilizzata dal gruppo stesso nelle rivendicazioni degli attacchi. All’atto dell’affiliazione, la nuova organizzazione definisce Osama bin Laden “il miglior leader per gli eserciti islamici contro tutti gli infedeli e gli apostati”12. L’accordo fra lo sceicco e il sanguinario terrorista giordano garantisce a entrambi notevoli vantaggi: bin Laden riesce a imporsi nella gerarchia della fluida struttura qaedista, arruolando una succursale altamente operativa in Iraq, mentre al-Zarqawi può fregiarsi del più prestigioso marchio nella nebulosa

ovvero Dāʿish, corrisponde a “al-Dawla al-Islamiyya fil Iraq wa’al-Sham”, corrispettivo داعش L’acronimo arabo 9 dell’inglese Islamic State of Iraq and al-Sham, ossia Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. L’acronimo viene traslitterato in varie forme: Daish, Daash, Daesh, Da’ash, Daas, Da’ish, Dā’ash, Daiish. Nel corpo della ricerca verrà utilizzata la forma Daesh 10 Stanford University, Mapping Militant Organizations. http://web.stanford.edu/group/mappingmilitants/cgi- bin/groups/view/1 11 Con esplicito riferimento alla Mesopotamia 12 The Jamestown Foundation, Coalition Warfare, Part II: How Zarqawi Fits into Bin Laden's World Front, 28 aprile 2005. http://www.jamestown.org/programs/tm/single/?tx_ttnews%5Btt_news%5D=161&tx_ttnews%5BbackPid%5D=238&n o_cache=1#.VUeScI7tmko

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del terrorismo globale, senza essere costretto a particolari concessioni nell’impostazione ideologica e nella conduzione tattica del jihad13. L’investitura ufficiale di Zarqawi da parte di bin Laden arriva nel dicembre 2004, quando in un video diffuso dall’emittente qatariota al Jazeera, il miliardario saudita lo appella come emiro di al-Qaeda in Mesopotamia. Da questo momento, al-Qaeda in Iraq comincia a gestire l’afflusso dei combattenti stranieri: una componente che avrà particolare valenza nella strategia del futuro IS e un elemento determinante che consente all’organizzazione di diventare un punto di riferimento per le nuove generazioni del movimento jihadista, come dimostrato dal fatto che la provenienza generazionale costituisce uno dei fattori chiave che oggi separa gli affiliati dello Stato Islamico da quelli di al-Qaeda. Nei termini pratici, tale differenziazione è riconducibile ai giovani jiahdisti che, negli anni ottanta e novanta, si sono addestrati e hanno combattuto in Afghanistan nelle fila di al- Qaeda e quelli che, nello scorso decennio, si sono addestrati e hanno combattuto con il gruppo di al-Zarqawi in Siria e in Iraq. Due esperienze jihadiste che interpretano con forme differenti la medesima battaglia14. E’ anche interessante rilevare che, nel dicembre 2004, il Dipartimento di Stato Usa, dopo l’affiliazione di al-Qaeda in Iraq al network di bin Laden, per la prima volta classifica il movimento come “organizzazione terroristica”, catalogandolo poi nel Country Report on Terrorism 200515, come gruppo con caratteristiche proprie, operante in Iraq. Al-Qaeda in Iraq, che può essere considerato a tutti gli effetti come il più diretto precursore dell’IS, nel gennaio 2006 si unisce con diverse altre formazioni di insorti iracheni per dare vita a un’organizzazione chiamata Mujahidin del Consiglio della Shura16”. Dopo l’eliminazione di al Zarqawi, rimasto ucciso, nel giugno 2006, in un raid aereo americano, il nuovo gruppo intensifica le proprie attività incrementando il numero dei miliziani. Nell’ottobre 2006, si fonde con diverse altre fazioni ribelli attive nel territorio iracheno e, restando sempre associato ad al-Qaeda, annuncia l’istituzione del Dawlat al’Iraq al-Islamiyya, Stato Islamico dell’Iraq (ISI)17, sotto la guida dell’egiziano Abu Ayyub al-Masri

13 Luca Foschi, Lo Stato Islamico. Cronaca di un totalitarismo effimero, dicembre 2014. http://people.unica.it/patriziamanduchi/files/2014/10/Lo-Stato-Islamico-final-cut.pdf 14 Aaron Y. Zelin, The War between ISIS and al-Qaeda for Supremacy of the Global Jihadist Movement, Research notes, The Washington Institute for Near East Policies, giugno 2014. http://www.washingtoninstitute.org/policy- analysis/view/the-war-between-isis-and-al-qaeda-for-supremacy-of-the-global-jihadist 15 United States Department of State Office of the Coordinator for Counterterrorism, Country Report on Terrorism 2005, aprile 2006. http://www.state.gov/documents/organization/65462.pdf 16 Il termine arabo shura già di per se significa “Consiglio” 17 Nonostante la variazione del nome, il gruppo ha continuato ad essere conosciuto come al-Qaeda in Iraq

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a cui si affianca in seguito Ḥamid Dawud Mohammed Khalil al Zawi, nome di battaglia Abu Umar al-Baghdadi. Sotto questa nuova sigla l’organizzazione inizia a rivendicare un numero crescente di attentati, diventando presto il più vasto e aggressivo gruppo terroristico operante nel Paese. Entrambi i suoi capi vengono uccisi, nell’aprile 2010, nei pressi di Tikrit, durante un’operazione di controterrorismo effettuata dalle forze statunitensi e irachene18.

La svolta di al-Baghdadi

A loro succede un personaggio dall’indubbio richiamo carismatico, Ibrahim Awad Ibrahim al- Badri, meglio noto come Abu Bakr al-Baghdadi al-Qureshi. Secondo una biografia, pubblicata nel 2013 su Internet da un militante dell’organizzazione, il massimo esponente dell’IS è nato nel 1971 nella città irachena di Samarra19. Sempre secondo tale fonte, al-Baghdadi si sarebbe poi trasferito a Baghdad all’età di 18 anni, dove presso l’Università di Scienze Islamiche consegue un dottorato in Studi islamici, ma i suoi veri studi sono in diritto. Frequenta per un lungo periodo la moschea di Tobchi, un quartiere povero della capitale irachena dove coesistono pacificamente sciiti e sunniti, poi tra il 1996 e il 2000, si sposta in Afghanistan. Nel 2005, viene imprigionato a Camp Bucca, un centro di detenzione nel sud dell’Iraq sotto il controllo dell’esercito americano, dove il governo iracheno ritiene che siano stati detenuti 20 17 dei 25 principali leader dello Stato Islamico, al momento attivi in Siria e Iraq . Nel 2009, quando chiude la prigione di Camp Bucca, al-Baghdadi viene rilasciato. Dal 2011, l’attuale guida dello Stato Islamico imprime una svolta decisiva alla storia del movimento prendendo parte alla guerra civile in Siria contro il regime di Bashar al-Assad. Dopo due anni di crescente impegno nel conflitto, l’ISI aumenta significativamente la sua influenza nell’area tanto da decidere nell’aprile 2013 di assumere la nuova denominazione di Islamic State in Iraq and al-Sham21, ossia Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), e adottando con maggiore frequenza anche la sigla di ISIS, Stato Islamico in Iraq e Siria,

18 Tim Arango, Top Qaeda Leaders in Iraq Reported Killed in Raid, in “New York Times”, 19 aprile 2010. http://www.nytimes.com/2010/04/20/world/middleeast/20baghdad.html?_r=0 19 Chelsea J. Carter e Hamdi Alkhshali, Does video show ISIS leader? Iraq works to find out, in “CNN”, 6 luglio 2014. http://edition.cnn.com/2014/07/06/world/meast/iraq-crisis/index.html 20 Giulia Belardelli, I semi dell’Isis nel carcere di Camp Bucca. Così al-Baghdadi e gli altri concepirono Daesh sotto gli occhi degli Usa, in “L’Huffington Post”, 12 dicembre 2014. http://www.huffingtonpost.it/2014/12/12/isis-nacque-nel- carcere-di-camp-bucca_n_6314956.html 21 Al-Sham è il termine arabo classico utilizzato per Damasco e le sue periferie, e nel corso del tempo, è stato usato per indicare l’area compresa tra il Mediterraneo e l'Eufrate, a sud delle montagne del Tauro e nord del deserto arabo. Allo stesso modo è anche il nome storico della zona che comprende Siria, Libano, Giordania, Palestina e anche una parte del sud-est della Turchia, altresì conosciuta come “Terra del sole nascente”, ovvero il Levante

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mentre molti arabi e iraniani per identificare il gruppo integralista cominciano a utilizzare l’acronimo Daesh. Tuttavia, c’è da notare che i sostenitori dell’IS non apprezzano il termine Daesh, soprattutto perché nel suo spelling non ci sarebbero tutte le iniziali delle componenti fondamentali dell’islamismo. Da notare, che l’ambasciatore britannico in Iraq, Simon Collis, è del parere che i portavoce arabi dello Stato Islamico ravvisino nel termine Daesh un misto di ridicolo e ostilità22, considerazione confermata da una più ampia interpretazione del termine Daw’aish, che nella lingua araba significa “bigotti che impongono la loro visione delle cose a tutti gli altri”. Sono però in molti a rifiutare a priori la definizione di Stato Islamico, non riconoscendo in questa inquietante realtà nulla di islamico e nulla che sia riconducibile a uno Stato. Proprio, in quest’ottica gli imam britannici avrebbero suggerito al primo ministro Cameron di chiamare l’organizzazione Un-Islamic State, mentre le autorità egiziane si sarebbero tolte dall’empasse scegliendo la sigla QSIS (Al-Qaeda Separatists In Iraq and Syria)23. La proclamazione ufficiale dello Stato Islamico risale al 29 giugno 2014, quando il gruppo di jihadisti dell’allora ISIS ha annunciato la creazione di un califfato nei territori controllati tra Siria e Iraq, nominando come proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi. Da quel momento le parole Iraq e Levante sono state rimosse dal nome dello Stato Islamico nei documenti ufficiali, in un’ottica di ridefinizione dei confini del Medio Oriente. Secondo Paul Adams, corrispondente da Baghdad della BBC, l’annuncio della creazione di un Califfato, suggellato dalla notizia della cancellazione dei vecchi confini imposti dalle potenze coloniali, è un evento ricco di significato religioso, culturale e storico, che generazioni di radicali sunniti hanno atteso a lungo24. Per questo, l’autoproclamazione di uno Stato Islamico costituisce un messaggio potente, congeniato per attrarre nuove reclute alla causa del Califfato e rappresenta anche un salto di qualità del gruppo, che ormai non è più una semplice organizzazione terroristica, ma ha assunto le sembianze di un esercito in piena regola, che mira a stabilire uno Stato autonomo attraverso il Tigri e la Valle dell’Eufrate, nell’attuale territorio siro-iracheno”25.

22 Fred McConnell, Australian PM says he’ll now use Daesh instead of Isil for ‘death cult’ – but why?, in “The Guardian”, 12 gennaio 2015. http://www.theguardian.com/world/2015/jan/12/tony-abbott-say-hell-now-use-daesh-instead-of-isil- for-death-cult-but-why 23 Ian Black, The Islamic State: is it Isis, Isil – or possibly Daesh?, in “The Guardian”, 21 settembre 2014. http://www.theguardian.com/world/shortcuts/2014/sep/21/islamic-state-isis-isil-daesh 24 Isis rebels declare ‘Islamic state’ in Iraq and Syria, in “BBC News”, 30 giugno 2014. http://www.bbc.com/news/world-middle-east-28082962 25 Tim Mack, ISIS ‘Worse Than Al-Qaeda’, Says Top State Department Official, in “The Daily Beast”, 24 luglio 2014. http://www.thedailybeast.com/articles/2014/07/24/isis-worse-than-al-qaeda-says-top-state-department-official.html

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Tutto questo, però, secondo Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prescinde dal fatto che l’IS non riconosce la comunità internazionale e non ha bisogno di costruire uno Stato per legittimarsi in essa, tanto meno nella la sua emanazione mediorientale, che è esattamente quello contro cui si batte26. Lo Stato Islamico può essere considerato come un superamento di al-Qaeda, che riscopre la capacità di combattimento sul terreno. La stessa che l’organizzazione fondata da Osama bin Laden aveva al tempo del jihad antisovietico in Afghanistan, ma che non è riuscita a riacquistare in Iraq negli anni più difficili del conflitto27. Tenendo inoltre presente, che sia in Afghanistan sia in Iraq, al-Qaeda non ha mai assunto la conformazione di un’organizzazione territoriale ma è sempre rimasta un’organizzazione terroristica parassita stanziata in un altro Stato. Si potrebbe dunque sostenere che l’IS abbia voluto oltrepassare questo stadio sperimentando un’azione diretta sul territorio. Un tentativo operato nella consapevolezza che tutto ciò non porterà alla costruzione di uno Stato vero e proprio. Una cognizione che spinge gli strateghi di al-Baghdadi a misurarsi in una prospettiva di consolidamento territoriale di medio – lungo termine, che prioritariamente si sta sviluppando all’interno di due Stati in disfacimento come Siria e Iraq, custodi delle due capitali storiche dei grandi Califfati arabi. Peraltro, l’organizzazione di al-Baghdadi ha dimostrato di non esitare di fronte all’uso più estremo della violenza e di essere capace di propagandarla in forme tragicamente efficaci. Inoltre, ha saputo imprimere una dimensione globale alla sua sfida con l’Occidente attraverso il reclutamento di combattenti stranieri e l’attivazione di cellule jihadiste in Europa e in America28. La situazione è resa ancora più complessa dallo strutturato sistema di governo instaurato dai miliziani islamisti nei territori sotto il loro controllo, che include una collaudata struttura sociale in grado di fornire servizi alla popolazione, simile a quella adottata da Hamas nella striscia di Gaza e da Hezbollah nel Libano meridionale.

26 Alessandro Albanese Ginammi, La guerra contro l’Isis, in “The Post Internazionale”, 20 ottobre 2014. http://www.tpi.it/mondo/siria/la-guerra-contro-l-isis 27 Scott Edward, Could the Islamic State and al-Qaeda Reconcile?, in “Stratfor”, 23 aprile 2015. https://www.stratfor.com/weekly/could-islamic-state-and-al-qaeda-reconcile 28 Katherine Leggiero, Countering ISIS Recruitment in Western Nations, in “Journal of Political Risk”, Vol. 3, N. 1, gennaio 2015. http://www.jpolrisk.com/countering-western-recruitment-of-isis-fighters/

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Del resto, anche i numeri confermano l’elevata potenzialità di proselitismo dello Stato Islamico, i cui confini territoriali si estendono da Aleppo, nel nord della Siria, alla regione di Diyala, nell’est dell’Iraq. Un territorio di circa 35mila chilometri quadrati, occupato militarmente, dove oltre sei milioni di persone vivono sotto il controllo dei miliziani di al-Baghdadi e l’imposizione della sharia29. La capitale “di fatto” dello Stato Islamico in questo vasto territorio è la città di Raqqa, nel nord della Siria30, da dove l’IS esercita il proprio controllo su estese aree limitrofe, compresi alcuni pozzi petroliferi. Importante anche notare, che i fondamentalisti hanno trasformato i principali edifici della città, come il palazzo del governatore e il municipio, in propri centri di controllo amministrativo. A Raqqa è stata bandita la musica e qualsiasi altra forma di intrattenimento, ma la propaganda dello Stato Islamico propone tutt’altra realtà, come dimostrano i video caricati sulla rete, che descrivono la quotidianità nella capitale ritraendo una visione utopistica della vita sotto il Califfato31. In questo problematico contesto, non possiamo dimenticare che l’IS rappresenta una grave minaccia anche per i complicatissimi equilibri mediorientali, che potrebbero essere ulteriormente compromessi dal diretto coinvolgimento di potenze regionali, come l’Iran, oltre alle imprevedibili conseguenze che tale implicazione potrebbe produrre in un’area già resa instabile da altre annose e irrisolte questioni, prima fra tutte quella palestinese32.

Le fonti di finanziamento

Altro aspetto della nostra indagine che assume una particolare valenza consiste nell’individuare le fonti finanziamento dello Stato Islamico, soprattutto in base al fatto che in breve tempo è diventato il gruppo terroristico più ricco al mondo. Secondo l’intelligence statunitense, il gruppo di al-Bahdadi guadagna circa due milioni di dollari al giorno grazie al contrabbando del petrolio33, pari a un introito annuo di quasi 750 milioni di dollari.

29 ISIS as Start-Up: Explosive Growth, Highly Disruptive, Super-Evil, in “Matter”, 24 agosto 2014. https://medium.com/matter/isis-as-start-up-explosive-growth-highly-disruptive-super-evil-4c7f7d3d99e5 30 La città di Raqqa era già stata designata capitale ai tempi di Harun al-Rashid, quinto califfo della dinastia abbaside, che governò la umma islamica tra il 786 e l’809 31 Margaret Coker, Alexis Flynn, Islamic State Tries to Show It Can Govern in Iraq and Syria, in “The Wall Street Journal”, 13 ottobre 2015. http://www.wsj.com/articles/in-a-shift-islamic-state-tries-to-show-it-can-govern-1444779561 32 F. Gregory Gause III, ISIS and the New Middle East Cold War, in “Brookings Institute blogs”, 25 agosto 2014. http://www.brookings.edu/blogs/markaz/posts/2014/08/25-isis-new-middle-east-cold-war 33 Indira Lakshmanan, Islamic State Now Resembles the Taliban With Oil Fields, in “Bloomberg.com”, 25 agosto 2014. http://www.bloomberg.com/news/articles/2014-08-25/islamic-state-now-resembles-the-taliban-with-oil-fields

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Il commercio illegale si sviluppa attraverso il controllo di alcuni importanti giacimenti petroliferi in Iraq e in Siria orientale, che hanno una capacità produttiva di circa 350mila barili al giorno34. Il greggio estratto sarebbe rivenduto al mercato nero a un prezzo altamente concorrenziale, con riduzioni che variano dal 40 al 70% rispetto al prezzo medio stabilito dai Paesi membri dell’Opec35. Il luogo di partenza per il contrabbando è il confine turco, dove agenti frontalieri abituati alla corruzione fin dai tempi dell’embargo internazionale imposto al regime di Saddam Hussein, permettono il passaggio ai mezzi che trasportano i barili di petrolio. Le ingenti spese che lo Stato Islamico deve affrontare per combattere la sua guerra con mezzi tecnologicamente avanzati inducono a ritenere con certezza, che l’organizzazione sia beneficiaria anche di altre forme di finanziamento. L’IS avrebbe ricevuto un enorme flusso di denaro attraverso donazioni effettuate tramite le banche islamiche36, che nella prima fase operativa si sono rivelate una fonte di finanziamento fondamentale. Ancora oggi, buona parte del cash flow del gruppo islamista continua a dipendere dalla donazioni, che per esigenze di sicurezza avvengono solitamente tramite associazioni caritatevoli non ufficiali, le quali per concordare i luoghi di consegna del denaro utilizzano social network come WhatsApp e Kik, praticamente impossibili da intercettare. Secondo uno studio del Washington Institute per il Vicino Oriente, tra i Paesi sospettati di sostenere economicamente il gruppo jihadista, quello da cui provengono i maggiori finanziamenti è il , seguito da e Arabia Saudita37; mentre diverse fonti accreditate ritengono che ingenti somme di denaro provengano anche dalle élite sunnite delle altre petromonarchie del Golfo Persico38. Ciononostante, i governi di questi Paesi si sono schierati a favore della grande coalizione anti IS, guidata dagli Stati Uniti. Inoltre, i sauditi hanno anche partecipato ai raid aerei in Siria, mentre il Qatar ha approvato una legge che vieta donazioni allo Stato Islamico, dopo

34 Indira Lakshmanan, Islamic State Now Resembles the Taliban With Oil Fields, in “Bloomberg.com”, 25 agosto 2014, cit. 35 Jim Polson, Islamic State earns $800M a year from oil: HIS, in “Business News Network”, 20 ottobre 2014. http://www.bnn.ca/News/2014/10/20/Islamic-State-earns-800M-a-year-from-oil-IHS.aspx 36 Sharia banks that fund terrorism, in blog “Money Jihad - Combating terrorist financing”, 7 gennaio 2013. https://moneyjihad.wordpress.com/2013/01/07/sharia-banks-that-fund-terrorism/ 37 Matthew Levitt, Terrorist Financing and the Islamic State Fromer-Wexler, The Washington Institute for Near East Policy, 13 novembre 2014. http://www.washingtoninstitute.org/uploads/Documents/testimony/LevittTestimony20141113.pdf 38 Dan Drollette Jr, The money behind the Islamic State, in “Bulletin of the Atomic Scientists”, 7 giugno 2014. http://thebulletin.org/money-behind-islamic-state7294

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aver addirittura incoraggiato i finanziamenti individuali al gruppo di al-Baghdadi, accogliendo nel Paese anche i suoi affiliati e dirigenti39. A riguardo, uno studio del Brookings Institution conferma che nell’area del Golfo sono fiorite moltissime associazioni di raccolta di fondi per i combattenti in Siria contro il regime di Damasco40, che sono state capaci di mobilitare gli utenti che utilizzano i social network ricorrendo all’utilizzo di video e foto dei massacri del regime per sensibilizzare la raccolta dei fondi, compensando i sostenitori come nelle più innovative campagne di crowdfunding. Oltre a queste forme di finanziamento, il patrimonio dell’organizzazione è incrementato anche dall’ingente bottino di guerra41, dal riciclaggio di denaro, dal business degli ostaggi e dal contrabbando dei reperti archeologici rubati in Siria durante la guerra civile42. Come nel caso del petrolio, anche il contrabbando di reperti archeologici avviene solitamente attraverso il confine con la Turchia. La struttura finanziaria dello Stato islamico costituisce indubbiamente uno dei segreti della sua affermazione. Tale aspetto è stato esaminato in un’inchiesta pubblicata sul Deutsche Welle, dove l’autore ha stabilito che oggi la maggior fonte di denaro per i miliziani dell’IS proviene, non più dalle donazioni che pure non si sono interrotte, ma dalle tasse e dai furti avvenuti nei territori conquistati in Siria e nell’Iraq settentrionale43. Il volume degli introiti di cui beneficia lo Stato Islamico è rimpinguato anche dall’imposizione di donazioni “volontarie” alla popolazione locale e ai commercianti, spesso giustificate con la necessità degli sforzi militari o motivate con l’obbligo della zakat44. Un’altra fonte di finanziamento, che sta acquistando sempre più rilevanza, trae origine dai consistenti ricavi derivati dall’imposizione di gabelle sul traffico gommato in entrata e uscita dai territori sotto il controllo del gruppo di al-Baghdadi45, per cui ogni veicolo che varca i

39 Lori Plotkin Boghardt, Qatar Is a U.S. Ally. They Also Knowingly Abet Terrorism. What's Going On?, in “New Repubblic”, 6 ottobre 2014. http://www.newrepublic.com/article/119705/why-does-qatar-support-known-terrorists 40 Elizabeth Dickinson, Playing with Fire: Why Private Gulf Financing for Syria’s Extremist Rebels Risks Igniting Sectarian Conflict at Home, Analysis Paper N.16, Brookings Institution, dicembre 2013. http://www.brookings.edu/~/media/research/files/papers/2013/12/06%20private%20gulf%20financing%20syria%20ex tremist%20rebels%20sectarian%20conflict%20dickinson/private%20gulf%20financing%20syria%20extremist%20reb els%20sectarian%20conflict%20dickinson.pdf 41 Si reputa che, nel giugno 2014, l’ISIS avrebbe sottratto 429 milioni di dollari alla Banca centrale di Mosul, in aggiunta a una quantità sconosciuta di lingotti d’oro trafugati in altre banche della città irachena; sebbene alcune fonti, come quelle citate dal Financial Times, mettano in dubbio l’intera rapina 42 Secondo una stima dell’Economist, nel 2014, le entrate relative al pagamento dei riscatti avrebbero superato i 20 milioni di dollari, ma si tratta di valutazioni molto approssimative data la difficoltà nell’individuazione e ancor più nella quantificazione di tali introiti 43 Andreas Becker, Who finances ISIS?, in “Deutsche Welle, 19 giugno 2014. http://www.dw.de/who-finances-isis/a- 17720149 44 L’obolo obbligatorio cui ogni musulmano in possesso delle facoltà mentali deve adempiere per definirsi un vero credente. Tale pratica è considerata uno dei cinque pilastri dell’Islam 45 Ahmed Rasheed, Oil smuggling finances ISIS ‘new caliphate’, in “Al Arabiya.net”, 23 luglio 2014. http://english.alarabiya.net/en/business/energy/2014/07/23/Oil-smuggling-finances-Islamic-State-s-new- caliphate.html

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confini dello Stato Islamico sarebbe soggetto a un pedaggio applicato in ragione della mole e dei beni trasportati. Nel complesso, l’IS possiede un patrimonio stimato che supera i due miliardi di dollari46, ben più cospicuo rispetto a quello detenuto dalle principali formazioni terroristiche conosciute a livello globale47. Un fiume di denaro che viene utilizzato per sviluppare servizi assistenziali nei territori sotto il controllo dell’organizzazione, per implementare le operazioni militari sul campo e per reclutare nuovi jihadisti, che risultano essere pagati meglio rispetto ai ribelli siriani moderati o ai militari iracheni e siriani. Tutto questo, consente all’organizzazione di poter beneficiare di una coesione interna eccezionale. Senza dimenticare, che può anche contare su tecnologie che permettono anche la diffusione estesa e ripetuta della sua ideologia, attraverso un uso molto efficace dei social network e dei mezzi di comunicazione di massa, che andremo a esaminare ora nel dettaglio.

La campagna mediatica

“Verrà un giorno in cui il musulmano sarà ovunque, come un maestro, avendo l’onore di essere venerato, a testa alta e con la sua dignità preservata”. Questo il testo di una delle tante frasi ad effetto contenute in Dabiq, il magazine pubblicato dallo Stato Islamico in diverse lingue europee, tra cui l’inglese, che inquadra la guerra contro l’Occidente come la continuazione di una battaglia di civiltà. I toni e i contenuti della pubblicazione sono mirati ad appassionare il lettore pregno di fedeltà al Califfato e persuaderlo a unirsi all’esercito del Daesh in Iraq e in Siria. Le potenziali reclute occidentali in Dabiq sono oggetto di ripetute esortazioni, come ad esempio: “chi rimane in Occidente è un ipocrita che gode i piaceri illeciti di una vita impropria dell’Islam, accontentandosi di navigare sui forum jihadisti, invece di partecipare alla salvaguardia e alla difesa dello Stato Islamico”. Il mensile propagandistico è totalmente incentrato a diffondere una radiosa visione del Califfato, avvalendosi di una indiscutibile capacità narrativa dei suoi autori, che non mancano di fornire in maniera esplicita informazioni sulla vita amministrativa delle città occupate dall’IS.

46 ISIS as Start-Up: Explosive Growth, Highly Disruptive, Super-Evil. https://medium.com/matter/isis-as-start-up- explosive-growth-highly-disruptive-super-evil-4c7f7d3d99e5 47 Ibidem

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La rivista viene utilizzata anche per pubblicare articoli attraverso cui “spiegare” le famigerate azioni dei miliziani islamisti. Ad esempio, le ripetute decapitazioni di prigionieri sono motivate come “un castigo per punire le campagne militari occidentali in Medio Oriente”. Inoltre, è importante evidenziare che il magazine riprende nell’impostazione di base il mensile Inspire, pubblicato da al-Qaeda nella penisola arabica. Dabiq è prodotto dall’al-Hayat Media Center, fondato nel maggio del 2014 e diventato in breve tempo il principale mezzo per le comunicazioni e la gestione dei nuovi media dei jihadisti dell’IS. Il canale di produzione ha cominciato la sua attività il 16 settembre 2014, con la diffusione del lungometraggio Flames of war, dimostrando, fin dall’inizio, di essere principalmente uno strumento di propaganda rivolto a delineare la prospettiva del gruppo riguardo la sua visione fondamentalista della dottrina islamica. I contenuti diffusi dall’emittente califfale oscillano dalle idilliche descrizioni della nuova società islamica all’autoptica esposizione di corpi martoriati, dalle più alte riflessioni metafisiche agli editoriali sulla storia e il presente geopolitico nel quale lo Stato Islamico ha assunto un ruolo da protagonista48. Al-Hayat produce anche i mujatweet, video di pochi minuti celebrativi del Califfato, nei quali le popolazioni conquistate esprimono la loro gratitudine allo Stato Islamico, esaltando le migliorie apportate da esso nei loro territori. L’esperta di tv arabe Donatella Della Ratta definisce questi brevi filmati “l’altra faccia dell’orrore, quella pulita, quella consumista, paradossalmente occidentale”, riscontrando che in essi, non ci sono immagini di sgozzamenti e crocifissioni, né prigionieri costretti in tute arancioni e boia incappucciati, ma uno stile completamente diverso, volto a diffondere un messaggio estremamente rassicurante49. Al-Hayat Media Center si occupa anche di tradurre e fornire di sottotitoli le produzioni di altre due emittenti propagandistiche dell’IS: al-Furqan, che esiste in Iraq già dal 2006, e al- I’ttisam, di stanza in Siria. Nella pratica, il gruppo di al-Baghdadi ha più volte dimostrato di mettere in atto una comunicazione gestita in modo professionale da un esercito di social media manager e tecnici, che per favorire la circolazione dei messaggi dell’organizzazione islamista possono contare anche sul supporto dei sostenitori all’estero.

48 Luca Foschi, Lo Stato Islamico. Cronaca di un totalitarismo effimero, dicembre 2014, cit. 49 Donatella Della Ratta, Gli spot del califfato formato famiglia, in “Internazionale”, 25 febbraio 2015. http://www.internazionale.it/opinione/donatella-della-ratta/2015/02/25/video-isis-propaganda

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E non c’è quindi da stupirsi, se in molti casi la comunicazione del Califfato si è rivelata addirittura più efficace di quella di molti governi. Uno studio del Brooking Institution ha indicato come l’organizzazione di al-Baghdadi sia in possesso di almeno 46mila account su Twitter50, che diffondono un messaggio univoco per spaventare i nemici e attirare in Mesopotamia migliaia di jihadisti. Oltre che su Twitter, il Daesh è molto attivo nell’utilizzo anche delle altre piattaforme di social media come Facebook, Tumblr, Kik, YouTube, Ask.fm, Skype e Google plus, per estendere il suo messaggio alla umma e accelerare il processo di radicalizzazione di potenziali reclute. I social media permettono di stare in contatto diretto con i combattenti impegnati sul campo per imparare ciò che rappresenta l’“esperienza IS” e tutto quello che l’organizzazione ha compiuto. Dopo l’offensiva in Iraq del giugno 2014, Twitter ha chiuso gli account ufficiali di al-Hayat in tedesco, inglese e francese, ma sono stati prontamente sostituiti con altri nomi; mentre i community manager sono riusciti a schivare alcuni divieti utilizzando servizi di archiviazione come Archive.org. La strategia dell’organizzazione sul fronte mediatico ha riscosso uno dei suoi maggiori successi nell’aprile del 2014, quando ha lanciato un’applicazione Twitter creata appositamente per amplificare la portata dei suoi messaggi e reindirizzarli verso i nodi più remoti della rete51. Il nome di questa app è The Dawn of Glad Tidings (L’Alba della Lieta Novella), che evitando la funzione spam dei server centrali, permette ai militanti di rimanere aggiornati su tutte le attività del gruppo in tempo reale, raccogliendo informazioni dagli altri account e pubblicando contenuti relativi all’IS. Attraverso The Dawn gli iscritti ricevono messaggi, hashtag, video, immagini e li reindirizzano verso altre destinazioni, con un retweet automatico. Alla app in questione è anche associato un sito web che vende abbigliamento e accessori con frasi legate al jihad. Di recente, è stato eliminato, uno dei responsabili di maggior spicco della strategia di comunicazione di al-Hayat Media Center: Deso Dogg, un rapper tedesco convertito nel 2010 alla causa del jihad, il cui vero nome era Denis Mamadou Gerhard Cuspert52.

50 J.M. Berger e Jonathon Morgan, The ISIS Twitter Census, Analysis Paper N. 20, Brookings Institution, marzo 2015. http://www.brookings.edu/~/media/research/files/papers/2015/03/isis-twitter-census-berger- morgan/isis_twitter_census_berger_morgan.pdf 51 J.M. Berger, How ISIS Games Twitter, in “The Atlantic”, 16 giugno 2014. http://www.theatlantic.com/international/archive/2014/06/isis-iraq-twitter-social-media-strategy/372856/ 52 Steve Rose, The Isis propaganda war: a hi-tech media jihad, in “The Guardian”, 7 ottobre 2014

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Nato nel 1976 da madre tedesca e padre ghanese, quando ha aderito alla guerra santa prese il nome di Abu Talha al-Amani. Dopo aver combattuto ed essere stato ferito in Siria, ha cominciato a reclutare i giovani salafiti tedeschi, attraverso video postati su Internet. Piuttosto inquietante una sua intervista rilasciata al Global Islamic Media Front, in cui spiegava i motivi che l’hanno indotto a giurare fedeltà ad al-Baghdadi53. Deso Dogg è stato ucciso nel corso di un attacco aereo compiuto il 16 ottobre di quest’anno vicino a Raqqa e la sua eliminazione è stata confermata dal dipartimento della Difesa statunitense.

I foreign fighter

Ai fini dell’analisi del fenomeno mediatico è importante notare che la strategia di comunicazione dell’IS è soprattutto orientata all’esaltazione carismatica della figura del foreign fighter: il combattente che abbandona l’Occidente per unirsi al jihad, raggiungendo i fronti di guerra dove lo Stato Islamico è impegnato nella sua offensiva per la realizzazione del Califfato. Nel recentissimo volume “Isis: The State of Terror”, viene posto in risalto come la propaganda mediatica del Califfato sia quasi tutta incentrata sui foreign fighter. Secondo i due autorevoli autori del saggio, tale peculiarità sarebbe riconducibile al fatto che la consapevolezza dell’esistenza di persone che vivono nelle metropoli occidentali disposte ad abbandonare il nostro stile di vita per immolarsi alla causa dell’Islam radicale, ci spaventa molto di più degli estremisti islamici e dei talebani afgani che costituivano il nocciolo duro di al-Qaeda54. Per questo l’IS, mostrandoci le brutalità delle quali sono capaci i suoi miliziani, vuole suscitare in noi il timore che il grosso delle sue truppe provenga dall’Occidente, per partecipare alla lotta di liberazione del mondo arabo55. Un tentativo mirato a intrappolarci nella retorica del foreign fighter, basata su un doppio inganno percettivo: i combattenti provenienti dal resto del mondo sono la maggior parte di coloro che compongono l’esercito islamista e gli occidentali compongono la componente maggioritaria di questo schieramento.

53 L’intervista completa con sottotitoli in inglese è disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=rm5CQOUrhYo#t=71 54 Jessica Stern e J.M. Berger, Isis: The State of Terror, Harper Collins, New York, 2015, pag.76 55 Ibidem

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La questione, però, è ben diversa dai termini diffusi dallo Stato Islamico. Lo dimostra un recente studio pubblicato dall’International Center for the Study of Radicalization and Political Violence (ICSR), in cui è stimato che i combattenti stranieri arruolati dall’IS sarebbero circa ventimila56. L’istituto di ricerca londinese rileva che solo una ridotta percentuale dei foreign fighter proviene da Europa, America o Australia, mentre la stragrande maggioranza dei futuri miliziani arriva dai Paesi arabi e dal Nord Africa, ma riscontra anche come non siano ancora del tutto chiare le motivazioni che spingono gli aspiranti jihadisti occidentali a unirsi agli uomini del Daesh57. Un altro recente rapporto delle Nazioni Unite, stima che il reale numero dei foreign fighter che combattono nelle fila dello Stato Islamico in Siria e Iraq, è sull’ordine dei 25mila; mentre sono circa 6.500, quelli che al momento si troverebbero in Afghanistan, ma anche nello Yemen, in Pakistan, in Libia e in Somalia58. Lo studio dell’ONU rileva che i combattenti provengono da circa cento nazioni e sono cresciuti del 71% nell’arco di sette anni e mezzo. E confermando le tesi dell’ICSR, anche le Nazioni Unite ritengono che questo esercito del terrore sia composto da miliziani provenienti dal Maghreb e dai paesi del Vicino Oriente, come è facile aspettarsi, ma anche dall’Europa, con in testa Francia e Gran Bretagna59. Un esercito, se così vogliamo definirlo, estremamente variegato in termini geografici e privo anche di un preciso criterio per identificare la tipologia dei suoi combattenti, poiché tra i guerriglieri di al-Baghdadi non ci sono solo giovani immigrati arabi e musulmani di seconda o terza generazione, ma anche convertiti alla religione islamica60, oppure attratti da una visione rivoluzionaria radicale e distruttiva dell’Islam. Importante anche notare, che tra i giovani reclutati nelle fila dell’IS non ci sono solo diseredati ed emarginati, ma anche figli di famiglie benestanti e perfettamente inserite nel tessuto sociale di appartenenza. Senza tralasciare, un altro dato saliente che rileva come il 10% dei giovani reclutati sia composto da donne61.

56 ICSR Publications, Peter R. Neumann, Foreign fighter total in Syria/Iraq now exceeds 20,000; surpasses Afghanistan conflict in the 1980s, 26 gennaio 2015. http://icsr.info/2015/01/foreign-fighter-total-syriairaq-now-exceeds-20000- surpasses-afghanistan-conflict-1980s/ 57 Ibidem 58 Michelle Nichols, Syria, Iraq a ‘finishing school’ for foreign fighters: U.N. report, in “Reuters”, 31 marzo 2015. http://www.reuters.com/article/2015/03/31/us-mideast-crisis-islamic-state-un-idUSKBN0MR2NP20150331 59 Secondo il rapporto, i combattenti reclutati in Francia sono circa 1.200, mentre sono 600 quelli giunti dalla Gran Bretagna (quasi duemila secondo fonti di intelligence locali). Altri miliziani sono arrivati dalla Turchia, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Per unirsi allo Stato Islamico, dall’Italia sono partiti circa in ottanta 60 Le stime dell’Onu reputano che I convertiti siano circa un quarto dei foreign fighters 61 Steven Erlanger, In West, ISIS Finds Women Eager to Enlist, in “The New York Times”, 23 ottobre 2014. http://www.nytimes.com/2014/10/24/world/europe/as-islamists-seek-to-fill-ranks-more-western-women-answer-their- call.html

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Nella sostanza, il potenziale jihadista può essere sia il giovane immigrato islamico con difficoltà di inserimento nel nuovo contesto politico e sociale, che ha mantenuto contatti con la società di appartenenza, sia il figlio del nostro vicino di casa, che non ha mai frequentato una moschea né visitato un Paese arabo, ma naviga spesso in Internet. Proprio nella rete il futuro jihadista diventa oggetto di una sorta di “conversione 2.0”, basata su un sapiente indottrinamento con tecniche efficaci e pervasive, che nascono e si sviluppano nel web e sui social media. Tuttavia, si tratta di uno schema di reclutamento non del tutto definito poiché rimane piuttosto difficile stabilire un profilo dettagliato di un aspirante foreign fighter, perlopiù in ragione del fatto che i punti di ingresso nell’IS sono molteplici e non esiste un retroterra culturale o economico comune ai jihadisti stranieri. Un’opinione autorevole a riguardo è quella di John Horgan, direttore del Center for Terrorism and Security Studies presso la University of Massachusetts Lowell, il quale spiega che “non bisogna generalizzare il fenomeno perché quarant’anni di ricerche su chi e perché diventa un terrorista non sono riuscite a produrre un profilo psicologico di questi individui”62. Tra le molteplici motivazioni utili a spiegarci le ragioni di una scelta così estrema possiamo distinguere due tipologie di motivazioni: esterne e interne. Nelle prime possiamo elencare la situazione socio-economica svantaggiata o il tipo di educazione ricevuta. Da rilevare che in questo elemento esercita maggiore influenza la propaganda del tipo: diventa un jihadista e salva l’Islam dalla distruzione dei suoi valori e della sua cultura. Tra i fattori interni conseguenti dall’essere membri di un organizzazione terroristica spicca la necessità per un individuo di ottenere il riconoscimento da parte di un gruppo di persone, che ritiene suoi sodali e di fare parte insieme ad essi di qualcosa di più grande. Altre motivazioni che portano alla scelta estrema possono essere la possibilità di costruirsi una nuova identità, ma anche la voglia di sperimentare nuove esperienze e ovviamente il denaro. E in ultima istanza, non è da escludere anche il processo di emulazione delle gesta dei jihadisti più famosi con tutto quello che ne deriva. C’è inoltre da tener presente che, a differenza di altri gruppi radicali, il Califfato offre un’ulteriore possibilità: quella di partecipare alla creazione di uno Stato Islamico dove i valori del jihad, tra cui anche la violenza, diventeranno la pietra portante per la costruzione di una nazione regolata da ferree leggi shariatiche.

62 Jessica Stern e J.M. Berger, ISIS and the Foreign-Fighter Phenomenon, in “The Atlantic Monthly”, 8 marzo 2015. http://www.theatlantic.com/international/archive/2015/03/isis-and-the-foreign-fighter-problem/387166/

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Le dinamiche espansionistiche del Daesh

Di fronte a un’affermazione che interessa vari settori, viene lecito chiedersi quali siano le dinamiche che hanno favorito l’insorgere e l’espandersi del gruppo jihadista sunnita. A tale riguardo, molti osservatori e lo stesso presidente Usa Barack Obama, ritengono che l’assertività dello Stato Islamico sia in parte riconducibile alle politiche non inclusive del premier sciita Nouri al Maliki e del governo iracheno63, che non si è distinto per la sua apertura verso i sunniti, complice il fatto che lo stesso Saddam Hussein era sunnita, così come tutto l’apparato militare dell’Iraq. Tale approccio ha lasciato campo aperto all’azione degli islamisti, che intendono imporre un Califfato tra Iraq e Siria in base a un’interpretazione ultraradicale della sharia, la legge dei sacri testi dell’Islam. Sembra quindi evidente, che per raggiungere i risultati odierni lo Stato Islamico abbia avuto l’appoggio di una parte della popolazione sunnita nel nord-ovest dell’Iraq, come provano le conquiste degli ultimi tempi. In realtà, l’IS, nato ufficialmente l’anno scorso, trae origine da uno scontro interno ad al- Qaeda, che dopo l’eliminazione del suo capo Osama bin Laden ha perso influenza nella galassia dell’estremismo islamico e l’incerta guida del suo successore, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, non l’ha aiutata a recuperare l’autorevolezza di un tempo. Una dura lotta che si consuma nel pieno della guerra civile in Siria, tra l’allora ISIS e il gruppo jihadista Jabhat al-Nusra li-ahli al-Sham (Fronte della vittoria del popolo del Levante), il cui leader Abu Mohammed al-Julani è molto attivo contro i lealisti fedeli a Bashar al-Assad. Al -Nusra è il braccio “ufficiale” di al-Qaeda nel conflitto siriano. Anch’essa inserita dal Dipartimento di Stato americano nella lista nera dei gruppi terroristi, è accusata di esportare il conflitto dalla Siria in Libano: a nord con il rapimento di soldati e a sud, attraverso le alture del Golan, con le ostilità nei confronti di Israele. Nonostante l’etichetta di “indipendente” apposta da al-Zawahiri, al-Nusra appare allineata, più di quanto lo sia l’IS, al jihad globale teorizzato dal teologo palestinese Abd Allah al- Azzam, riconosciuto mentore e ispiratore di Osama Bin Laden. Secondo Bernard Selwan Khoury, tra i più autorevoli studiosi dell’Islam radicale armato, al- Nusra incarna l’ideologia di al Zawahiri, mentre l’IS personifica un jihad sul modello di quello iracheno, che specialmente nel periodo di al-Zarqawi, ha condotto numerosi attacchi contro

63 Matt Bradley e Ben Kesling, Iraq’s Premier Rejects Calls for a More Broad-Based Government, in “The Wall Street Journal”, 25 giugno 2014. http://www.wsj.com/articles/iraqs-premier-rejects-calls-for-a-more-broad-based- government-1403696111

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altri musulmani, legittimati nell’ideologia del takfir, che consiste nell’accusare d’infedeltà altri fedeli islamici di apostasia o eresia64. Parliamo, dunque, della stessa strategia adottata oggi dallo Stato Islamico, che a suo tempo fu applicata da al-Zarqawi, la quale non soltanto fece perdere popolarità ad al-Qaeda, ma portò lo stesso bin Laden a prenderne le distanze. L’approccio di Zarqawi, rimesso in atto dal Daesh, è disapprovato anche dall’attuale leader di al-Qaeda, al-Zawahiri, che paradossalmente critica alcune azioni dello Stato Islamico, considerandole troppo efferate. In più occasioni, al-Zawahiri ha esortato al -Baghdadi a lasciare il jihad in Siria ai miliziani di al-Nusra per concentrarsi esclusivamente sull’Iraq, ma la sua richiesta è rimasta assolutamente inascoltata. Le motivazioni che hanno indotto il leader dell’IS a disattendere l’ammonimento del medico egiziano sono insite nel nome stesso dell’organizzazione, che vuole ricreare il grande Califfato del Levante, che nei suoi piani include anche la Siria65. Il gruppo di al-Baghdadi, dopo aver respinto l’appello del successore di bin Laden, continua a proliferare sempre di più, sottovalutato sia dalle autorità irachene che da quelle occidentali. Basti pensare che, fino al giugno dello scorso anno, periodo della presa di Mosul, seconda città dell’Iraq, molti pensavano che quello che ancora era chiamato ISIS avesse solo tremila militanti. E anche quando, nel dicembre 2014, i seguaci di al-Baghdadi gettarono nel terrore l’intero Paese conquistando metà del territorio della provincia irachena di Anbar, compresa la strategica città di Falluja e grandi aree intorno alla capitale Ramadi, le dimensioni numeriche del gruppo islamista erano ancora largamente sottostimate. Le più recenti valutazioni indicano come oggi lo Stato Islamico tra Iraq e Siria possa contare su circa 40-50mila effettivi66, sebbene non si conosca con precisione l’esatto numero; mentre l’intelligence statunitense ha considerato che nel solo periodo compreso tra settembre dello scorso anno e febbraio 2015, circa quattromila combattenti stranieri si sarebbero uniti alle milizie di al-Baghdadi67.

64 Bernard Selwan Khoury, La spaccatura nel jihadismo internazionale: ISIS contro Al-Nusra in Siria, Aspen Institute,16 aprile 2014. http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/la-spaccatura-nel-jihadismo-internazionale-isis-contro- al-nusra-siria 65 Graeme Wood, What ISIS Really Wants, in “The Atalantic”, marzo 2015. http://www.theatlantic.com/features/archive/2015/02/what-isis-really-wants/384980/ 66 Barbara Starr, U.S. officials say 6,000 ISIS fighters killed in battles, in “CNN”, 22 gennaio 2015. http://edition.cnn.com/2015/01/22/politics/us-officials-say-6000-isis-fighters-killed-in-battles/ 67 Tim Mak, Nancy A. Youssef, ISIS Ranks Grow as Fast as U.S. Bombs Can Wipe Them Out, in “the Daily Beast”, 2 marzo 2015. http://www.thedailybeast.com/articles/2015/02/03/isis-recruits-thousands-of-new-fighters-despite-u-s- bombs.html

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Le province del Califfato

L’IS si è sviluppato anche grazie all’adesione, a partire da ottobre 2014, di altri gruppi jihadisti esterni all’Iraq e alla Siria, che dichiarano la loro affiliazione al gruppo e proclamano le wilayat68 dello Stato Islamico, una sorta di unità sub-statali, che i miliziani islamisti considerano “province”. Lo scopo principale delle wilayat è di aumentare progressivamente la legittimità del Daesh nel mondo arabo, sfruttando il vuoto lasciato dai qaedisti e in particolare da Ayman al- Zawahiri che, a differenza Osama bin Laden, da quando ha assunto la guida dell’organizzazione sembra aver operato la scelta di marginalizzare i vari gruppi jihadisti attivi nelle aree periferiche del mondo musulmano, secondo un nuovo approccio che gli analisti non sono ancora riusciti a decifrare. Il criterio dell’IS è invece molto chiaro: i seguaci di al-Baghdadi hanno intenzione di creare un Califfato in cui le diverse nazionalità e le varie componenti etniche non abbiano alcuna rilevanza, nell’ambito di una visione universalistica dell’Islam, esente da qualsiasi tipo di distinzione. Per una corretta disamina dell’espansione dell’IS al di fuori delle province siro-irachene strappate ai relativi regimi, è importante evidenziare che nell’atto di affiliazione di nuove formazioni radicali islamiche, i “baghdadisti” seguono una strategia ben articolata che tende ad assimilare ai territori effettivamente amministrati dal loro gruppo anche altre aree, dichiarandole annesse allo Stato Islamico, sebbene in realtà la sua presenza in quest’ultime sia molto parziale, dal momento che l’IS non vi è riuscito a imporre di fatto il proprio dominio69. Pertanto, occorre valutare con cautela la reale capacità di penetrazione del Daesh, perché se basiamo la sua forza esclusivamente sul territorio controllato, il giudizio che scaturisce diventa fuorviante. In effetti, se consideriamo il posizionamento geografico dei gruppi radicali leali al gruppo di al-Baghdadi, ci sembra che la sua capacità operativa e la sua influenza si estendano per migliaia di chilometri di distanza dalle roccaforti di Mosul e Raqqa. In realtà, le mappe delle zone attualmente sotto il controllo del Califfato forniscono una disomogenea indicazione riguardo l’entità della minaccia internazionale. Se proviamo a esaminare più nel dettaglio le cartine delle wilayat, verificheremo che sono disseminate di buchi territoriali, aree di cui i miliziani locali hanno perso il controllo e

wilaya (plur. wilayat), e le denominazioni da esso derivate si riferiscono a un ,والية In diversi Paesi, il termine arabo 68 determinato livello di divisione amministrativa; che in questo caso può essere tradotto come “provincia” o “distretto” 69 Aaron Y. Zelin, The Islamic State's Archipelago of Provinces, The Washington Institute, 14 novembre 2014. http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-archipelago-of-provinces

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conquiste spesso ridotte a piccole, seppur strategiche, porzioni di territorio delle quali lo Stato Islamico rivendica l’affiliazione, grazie a una serie di alleanze stipulate con gruppi che le gestiscono limitatamente. Per questo, possiamo avanzare l’ipotesi che i “baghdadisti” mirino prioritariamente al consolidamento della propria posizione nei territori mediorientali già occupati e in secondo ordine all’espansione nelle aree dove hanno conquistato la fedeltà di altri jihadisti, nella prospettiva dell’apertura di nuovi fronti in altri Paesi mussulmani. Nella sostanza, le wilayat rivelano una valenza prevalentemente propagandistica, con lo scopo di palesare la progressiva istituzionalizzazione dei territori conquistati dai seguaci di al-Baghdadi e l’espansione del progetto di arrivare a un’effettiva unione in un unico Califfato. E’ dunque in quest’ottica che sono sorte le province periferiche, che vanno oltre il territorio di controllo primario, circoscritto alle zone a cavallo fra Iraq e Siria. L’espansione oltre i confini dei due Stati interessa varie realtà jihadiste operative in altri Paesi. Tra queste, spiccano il gruppo egiziano Ansar Bayt al-Maqdis (Difensori della Casa Santa), fondato da Khairat al-Shater, un membro di spicco dei Fratelli Musulmani, e la formazione combattente algerina Jund al-Khilafa (Soldati del califfato), che nel settembre dello scorso anno, si è separata da al-Qaeda nel Maghreb islamico accusandola di “deviare dalla retta via” e ha offerto il proprio bayah allo Stato Islamico. Entrambe le organizzazioni jihadiste hanno stabilito due wilayat: Sina, situata nel nord della penisola sinaitica, e al-Jazair, racchiusa nell’altopiano algerino di Djurdjura. Altre due province dell’IS sono presenti anche nella penisola arabica: quella di al-Haramayn all’interno dell’Arabia Saudita e di Yaman nello Yemen. In questo scenario, assume particolare rilievo l’istituzione della wilaya di Khorasan, sorta a cavallo fra Pakistan e Afghanistan, che testimonia l’avvenuta internazionalizzazione dello Stato Islamico. La provincia, composta da ex-membri dei taliban pachistani e afghani70, è stata riconosciuta dopo molti mesi di contatti fra l’IS e Sheikh Maqbool, ex portavoce dei taliban. Alla guida della prima wilaya non-araba che si è guadagnata lo status ufficiale di affiliata al gruppo di al-Baghdadi, c’è Hafiz Saeed Khan, l’ex leader della principale fazione dei talebani insediati nell’agenzia tribale di Kurram, una delle sette comprese nel territorio sotto il controllo delle aree tribali ad amministrazione federale del Pakistan (FATA)71. Nell’agosto 2015, anche il Movimento islamico dell’Uzbekistan (MIU), attivo in Afghanistan e nelle aree tribali del Pakistan, ha ufficialmente giurato fedeltà all’IS e, in un video diffuso

70 Arif Rafiq, Islamic State Goes Official in South Asia, in “The Diplomat”, 4 febbraio 2015. http://thediplomat.com/2015/02/islamic-state-goes-official-in-south-asia/ 71 http://multescatola.com/biblioteca/miscellanea/aree-tribali-di-amministrazione-federale.php

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su Internet72, il suo leader Osman Ghazi ha annunciato che il gruppo dovrà essere considerato parte della wilaya Khorasan73. Anche nella regione settentrionale del Caucaso, precisamente nella repubblica del Daghestan, ci sono alcuni gruppi, prima legati all’Emirato del Caucaso, che tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 hanno giurato fedeltà al Daesh. Secondo l’analista russo Akhmet Yarlykapov, membro della Russian Academy of Sciences, esiste la concreta possibilità che tale affiliazione abbia prodotto un aspro scontro tra le jamaat (gruppi) daghestane fedeli all’Emirato del Caucaso e le altre che hanno stretto alleanza con l’IS74. Una possibilità da non escludere considerando che le frizioni tra le due organizzazioni sono in corso da tempo, sia a livello locale sia tra i jihadisti caucasici che stanno combattendo in Medio Oriente, dove i contrasti sono iniziati nel 2013. Esattamente, quando Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili, nome di battaglia Abu Omar al-Shishani, veterano della guerra russo-georgiana del 2008, rimasto ucciso nel giugno scorso in Iraq, ha deciso di formalizzare la sottomissione della sua fazione Jaish al-Muhajireen wal-Ansar (JMA) al Califfato75 ed è stato nominato comandante delle milizie di al-Baghdadi nel nord della Siria. In seguito, però, al-Shishani e la sua fazione si sono divisi da JMA, che ha deciso di restare unita all’Emirato, e sono entrati ufficialmente a far parte dello Stato Islamico76. D’altra parte, la leadership dell’Emirato del Caucaso, nato nel 2007 dalle ceneri della Repubblica cecena di Ichkeria, aveva disapprovato l’esodo di jihadisti verso la Siria. Una critica motivata dalla visione che il jihad andava perseguito nel nord del Caucaso contro il nemico russo, mentre il flusso di miliziani locali verso Siria e Iraq avrebbe ridotto la capacità offensiva del braccio armato dell’autoproclamata entità statale, già fortemente indebolita dall’eliminazione dei suoi capi assoluti: Aliaskhab Kebekov e Doku Umarov77. E’ inoltre importante ricordare che tra le milizie dell’IS, ci sono attualmente intere katibah (brigate) composte in prevalenza dagli islamisti provenienti dal Caucaso settentrionale78.

72 Il video è visibile integralmente al link https://archive.org/stream/Bay3atUzbikistan/format=MPEG4 73 Merhat Sharipzhan, IMU Declares It Is Now Part Of The Islamic State, in “RFE/RL”, 6 agosto 2015. http://www.rferl.org/content/imu-islamic-state/27174567.html 74 Oleg Krasnov, Aliaskhab Kebekov’s murder to increase influence of IS in Northern Caucasus, in “Caucasian Knot”, 20 aprile 2015. http://eng.kavkaz-uzel.ru/articles/31477/ 75 Joanna Paraszczuk, Salakhuddin Shishani in new video address: ‘our position will remain as before’, in “Chechens in Syria”, 26 settembre 2015. http://www.chechensinsyria.com/?tag=jaish-al-muhajireen-wal-ansar 76 Ibidem 77 Gordon M. Hahn, REPORT: The Caucasus Emirate in the Levant and the IS-AQ Fitna, Complete Version (Parts 1 and 2), in “Russian and Eurasian Politics Gordon M. Hahn”, 25 febbraio 2015. http://gordonhahn.com/2015/02/25/the- caucasus-emirate-in-the-levant-and-the-is-aq-fitna-complete-parts-1-and-2/ 78 Ibidem

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Le wilayat libiche

Tra le province dell’IS istituite al di fuori dell’Iraq e della Siria, meritano particolare attenzione sia la prossimità geografica con il nostro Paese sia per l’operatività finora dimostrata, quelle libiche di Barqa, Fezzan e Tarabulus79. Il gruppo fondamentalista ha esteso il suo controllo in queste zone attraverso il sostegno degli islamisti locali80, ma a eccezione di Derna, dove il gruppo Majlis Shura Shabaab al- Islam è di fatto un prolungamento di IS81, risulta difficile stabilire quali siano i network a cui è affidato il brand del Califfato in territorio libico82. Tuttavia, finora l’impatto del Califfato sul territorio libico risulterebbe abbastanza contenuto, poiché controlla soltanto aree limitate e, secondo recenti stime, il numero dei suoi miliziani non dovrebbe essere superiore alle tremila unità83, risorse molto esigue rispetto agli oltre 50-60mila effettivi di cui disporrebbe l’organizzazione radicale islamica. Per comprendere, come l’organizzazione di al-Baghdadi abbia esteso le sue propaggini nella Libia post-Gheddafi è necessario considerare che dopo la destituzione del Rais molti ribelli libici si diressero verso la Siria per combattere contro i lealisti fedeli al presidente Bashar al-Assad84. Gli estremisti islamici provenienti dalla Libia per lottare contro il regime siriano hanno stretto alleanza con i miliziani locali, che successivamente hanno trovato un punto d’appoggio nell’est della Libia. Tutto ciò, accadeva mentre il Paese si stava dividendo in due parti: Tripoli in mano ai filo-islamici del Congresso nazionale libico di Misurata e Tobruk come luogo d’esilio del parlamento regolarmente eletto nel giugno 2014. In questo scenario di elevata instabilità caratterizzato dal riacutizzarsi della contrapposizione fra componenti islamiste radicali e laico-progressiste, i fondamentalisti hanno approfittato della situazione e assicurato una parte del territorio orientale libico sotto il controllo dello Stato Islamico.

è la forma araba di Tripoli, spesso tradotta in turco come Trablus (طراب لس) Ṭarabulus 79 80 Christopher S. Chivvis, Jeffrey Martini, Libya After Qaddafi. Lessons and Implications for the Future, The RAND National Security Research Division, 2014. http://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR500/RR577/RAND_RR577.pdf 81 John Oakes, The Islamic caliphate of Derna – or how to create a little hell on earth, in “Berenice Stories”, 7 ottobre 2014. http://libyastories.com/2014/10/01/the-islamic-caliphate-of-derna-or-how-to-create-a-little-hell-on-earth/ 82 Aaron Y. Zelin, The Islamic State's First Colony in Libya, The Washington Institute, 10 ottobre 2014. http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-first-colony-in-libya 83 Daveed Gartenstein-Ross and Nathaniel Barr, The Islamic State’s Varying Fortunes in North Africa, in “War on the Rocks”, 24 giugno 2015. http://warontherocks.com/2015/06/the-islamic-states-varying-fortunes-in-north-africa/ 84 Mirco Keilberth, Juliane von Mittelstaedt e Christoph Reuter, The ‘Caliphate’s’ Colonies: Islamic State's Gradual Expansion into North Africa, in “Spiegel online International”, 18 novembre 2014. http://www.spiegel.de/international/world/islamic-state-expanding-into-north-africa-a-1003525.html

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Secondo fonti accreditate dal Wall Street Journal, nell’estate 2014, il califfo al-Baghdadi avrebbe inviato in Libia alcuni suoi tra i più fedeli emissari per stringere un accordo di alleanza con i jihadisti locali85. Dopo aver stabilito il contatto con gli islamisti libici, ha ordinato di arruolare nuovi miliziani nelle moschee del Paese, soprattutto nella città di Derna, situata nella Cirenaica orientale e da sempre considerata tradizionale centro del jihadismo locale86. Così, in breve tempo, forte del sostegno degli islamisti locali, l’IS ha conquistato la città portuale riesumando l’antico nome di Barqa e trasformandola in un piccolo Califfato governato dalle leggi oscurantiste basate su una rigidissima interpretazione della sharia, imposte alla popolazione civile87. Come wula (governatore) della wilaya di Derna, lo Stato islamico scelse l’emiro della provincia di Salaheddin88, Wissam Abd Zaid al-Jubori, nome di battaglia Abu Nabil al-Anbari, ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein. Secondo Hisham al-Hashimi, un esperto iracheno di terrorismo islamista spesso consultato dal Pentagono, la scelta di inviare al-Anbari a governare la wilaya libica, fu operata direttamente da al-Baghdadi, che conobbe l’ex militare iracheno ai tempi della loro comune detenzione nel carcere di Camp Bucca, nel sud dell’Iraq89. Al-Anbari è rimasto ucciso lo scorso 13 novembre nel corso di un raid aereo statunitense, un attacco che alcuni osservatori hanno delineato come l’inizio delle operazioni militari per contenere l’avanzata del Califfato in Libia. In seguito, Derna è diventata teatro di un aspro conflitto fra l’IS e il Majlis Shura al-Mujahidin (il Consiglio consultivo dei mujahidin)90, legato ad al-Qaeda e venuto in contrasto con i baghdadisti dopo l’uccisione, da parte di questi ultimi, di uno dei suoi capi, Nasser al-Akar91. Lo scorso 13 luglio, gli aspri scontri tra le due fazioni hanno registrato la sconfitta del braccio libico del Califfato, al quale, dopo la perdita della città, restano soltanto la città di Sirte e in parte quella di Sabratha.

85 Benoit Faucon e Matt Bradley, Islamic State Gained Strength in Libya by Co-Opting Local Jihadists, in “The Wall Street Journal”, 17 febbraio 2015. http://www.wsj.com/articles/islamic-state-gained-strength-in-libya-by-co-opting-local- jihadists-1424217492 86 Ibidem 87 Alexander Orlov, Libya: ISIL’s Looming Military Aggression Against the EU, in “New Eastern Outlook”, 18 febbraio 2015. http://journal-neo.org/2015/02/18/rus-liviya-igil-vplotnuyu-podoshel-k-evrope/ 88 La provincia di Salaheddin è stata riconquistata alla fine di marzo dall’esercito iracheno, la città di Tikrit, zona ad altissima densità di fedeli di Baghdadi 89 Dion Nissenbaum, Maria Abi-Habib, Islamic State Solidifies Foothold in Libya to Expand Reach, in “The Wall Street Journal, 18 maggio 2015. http://www.wsj.com/articles/islamic-state-solidifies-foothold-in-libya-to-expand-reach- 1431989697 90 Lo stesso nome era stato assunto in Iraq e in Siria dai gruppi che poi si sono trasformati nello Stato Islamico 91 Daniele Raineri, Baghdadi perde la sua capitale in Libia e c’è poco da festeggiare, in “Il Foglio”, 26 giugno 2015. http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/06/26/stat-islamico-derna-al-qaida-baghdadi-perde-la-sua-capitale-in-libia-e-c-poco- da-festeggiare___1-v-130223-rubriche_c175.htm

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Da rilevare pure, che negli ultimi mesi del 2014, l’intelligence statunitense ha segnalato nei dintorni di Derna la presenza di campi di addestramento per formare i jihadisti provenienti dall’Africa settentrionale92, così come altre strutture di supporto logistico nei pressi dell’altopiano libico di Jebel el-Achdar, che si snoda fino a Bengasi93. La conferma che l’improvvisa e rapida espansione dello Stato islamico in Libia sarebbe riconducibile alle sue alleanze, coltivate nel tempo, con i gruppi regionali legati ad al-Qaeda, arriva anche da un recente report del Congressional Research Service degli Stati Uniti94. Secondo tale orientamento, ci troviamo di fronte ad un nuovo approccio nell’indiscussa capacità del movimento radicale di capitalizzare il caos e di imporre la propria pulsione militante per reclutare jihadisti. Al contrario di quanto avvenuto in Siria, l’IS in Libia non si è rafforzato combattendo i locali miliziani di al-Qaeda, ma ha deciso di stringervi alleanze95. Sebbene, non sia facile stabilire con sicurezza da chi sia formato il gruppo di al-Baghdadi in Libia, è data per certa la presenza di combattenti reclutati nelle moschee del Paese e addestrati in Siria, ma anche di gruppi estremisti locali96, come Ansar al-Sharia97. Nella sostanza, è accaduto che mentre i due governi rivali in Libia combattevano una guerra civile sempre più sanguinosa per il controllo della ricchezza petrolifera del Paese, lo Stato islamico ne ha approfittato per rafforzarsi. E in breve tempo, i gruppi militanti locali che hanno promesso fedeltà all’IS sono diventati sempre più aggressivi, cominciando a compiere esecuzioni di massa, diffondendo video violenti in rete e portando a termine attentati spettacolari, come quello contro l’hotel Corinthia a Tripoli, dove il 27 gennaio scorso rimasero uccise nove persone98. Le motivazioni che hanno indotto i leader del Califfato a concentrare la propria attenzione sul Paese nordafricano sono molteplici. Innanzi tutto, appare evidente che una Libia infiltrata a fondo dagli jihadisti, potrebbe trasformarsi in uno strategico punto di

92 John Oakes, The Islamic caliphate of Derna – or how to create a little hell on earth, in “Berenice Stories”, 7 ottobre 2014. http://libyastories.com/2014/10/01/the-islamic-caliphate-of-derna-or-how-to-create-a-little-hell-on-earth/ 93 Thomas Joscelyn, Terrorism in Africa: The Imminent Threat to the United States, in “The Long War Journal”, 29 aprile 2015. http://www.longwarjournal.org/archives/2015/04/terrorism-in-africa-the-imminent-threat-to-the-united-states.php 94 Congressional Research Service, Al-Qaeda-Affiliated Groups: Middle East and Africa, ottobre 2014. http://fas.org/sgp/crs/mideast/R43756.pdf 95 Jack Moore, Spiritual Leader of Libya’s Biggest Jihadi Group Pledges Allegiance to ISIS, in “Newsweek”, 8 aprile 2015. http://europe.newsweek.com/top-judge-libyas-biggest-jihadi-group-pledges-allegiance-isis-320408 96 Jason Pack, Country Profile Libya – Situation Report, Tony Blair Faith Foundation, 5 marzo 2015. http://tonyblairfaithfoundation.org/religion-geopolitics/country-profiles/libya/situation-report 97 Il gruppo è accusato dal Dipartimento di Stato americano di avere organizzato l’assalto al consolato americano a Bengasi nel settembre del 2012, dove rimase ucciso l’ambasciatore J. Christopher Stevens e altri tre funzionari statunitensi 98 Benoît Faucon, Matt Bradley, Felicia Schwartz, Gunmen Stage Deadly Attack on Libyan Hotel, in “The Wall Strett Journal”, 27 gennaio 2015. http://www.wsj.com/articles/car-bomb-explodes-outside-luxury-hotel-in-libyas-capital- city-of-tripoli-1422351120

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appoggio dal quale poter più facilmente pianificare e sferrare attacchi in tutto il Nord Africa e in Europa. Una sorta di nuova frontiera dello Stato Islamico, da dove poter esercitare il controllo delle tante fazioni estremiste che rendono il quadro geopolitico nella regione altamente frammentato e instabile. Per comprendere meglio quali siano le mire del Daesh sulla Libia, può essere utile la lettura di un breve documento che ha cominciato a circolare nel gennaio 2015 tra i seguaci di al- Baghdadi. Lo scritto intitolato “Libia: una porta strategica d’accesso per lo Stato Islamico” è stato diffuso solo in arabo e in seguito è stato tradotto dalla Quilliam Foundation, un think tank londinese che si occupa di estremismo islamico e ha valutato il contenuto molto interessante, ricordando, però, che va analizzato con le riserve del caso, trattandosi di un testo di propaganda finalizzato all’arruolamento di nuovi miliziani99. Nel testo, si cita l’enorme quantità di armi facilmente recuperabile nel territorio e si spiega come lo sviluppo di una provincia libica dello Stato Islamico potrebbe portare ad alleggerire la pressione internazionale sul Califfato in Siria e in Iraq100. Il documento si sofferma anche sull’importanza della posizione della Libia nella regione del Maghreb, dove confina con Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Egitto e Sudan, Paesi che hanno emanato leggi sull’anti-terrorismo molto più rigide di quelle promulgate dalle varie autorità che controllano la Libia101. Un contesto senza dubbio favorevole allo Stato islamico per attirare combattenti stranieri dall’esterno e destabilizzare ulteriormente un Paese, che nel breve-medio periodo sembra destinato a restare in preda al caos.

99 Sharona Schwartz, ‘Boats Full of Terrorists’: New Documents Say Islamic State Aims to Use Libya as a ‘Strategic Gateway’ to Southern Europe, in “The Blaze”, 18 febbraio 2015. http://www.theblaze.com/stories/2015/02/18/boats- full-of-terrorists-new-documents-say-islamic-state-aims-to-use-libya-as-a-strategic-gateway-to-southern-europe/ 100 Ibidem 101 Ibidem

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PARTE II

LO STATO ISLAMICO IN AFRICA SUB-SAHARIANA

Il dilagare del terrorismo fondamentalista africano

Se lo scacchiere libico rimane caratterizzato dal caos e allo stato attuale non è possibile analizzarne tutto lo spettro, nell’Africa a sud del Sahara lo scenario delle adesioni allo Stato islamico appare maggiormente delineato e principalmente attribuibile ai due tra i più importanti gruppi della regione: Boko Haram e al-Mourabitoun, rispettivamente operative nel nord-est della Nigeria e nel nord del Mali. C’è innanzi tutto da rilevare, che lo Stato Islamico è riuscito ad attecchire in un’area, come quella sub-sahariana, nella quale sin dall’inizio degli anni 2000, si sta registrando una forte espansione del fenomeno del fondamentalismo. La collaudata politica di proselitismo adottata dall’IS ha mietuto seguaci nel ventre molle della società rurale africana, caratterizzata da un contesto di conflittualità etnica, epurazioni religiose, estrema indigenza, tensione sociale e mancanza di prospettiva. Al momento, sono numerosi i Paesi sub-sahariani costretti a doversi confrontare con il problema del jihadismo interno, tra cui figurano Kenya, Uganda, Mali, Nigeria, Somalia, Camerun, Sudan, Mauritania, Tanzania, Repubblica Centrafricana, Ciad, Eritrea, Etiopia, Niger e in ultimo anche il Ghana102, dove, secondo un recente studio del Global Risk Insights, lo Stato Islamico starebbe reclutando nuovi proseliti per la guerra santa103. Inoltre, in alcuni di questi Paesi un numero crescente di località è ormai terra di nessuno, come il caso del Mali settentrionale, il cui territorio è interdetto agli occidentali, fin dalla rivolta antigovernativa dell’aprile 2012, fomentata dagli islamisti104. La ribellione è stata all’origine dell’intervento militare della Francia, che nel gennaio 2013 ha lanciato l’operazione Serval105, riconquistando nel giro di poche settimane le città Dijabali, Konna, Douetza, Gao e Timbuktu, impedendo così ai jihadisti di avanzare fino alla capitale Bamako.

102 Tolulope Ola-David, Keeping Islamic State out of Ghana, in “Global Risk Insights”, 13 settembre 2015. http://globalriskinsights.com/2015/09/keeping-islamic-state-out-of-ghana/ 103 Jihafrica, in “The Economist”, 20 luglio 2015. http://www.economist.com/news/middle-east-and-africa/21657801- biggest-threat-african-peace-and-prosperity-comes-dangerous 104 Ibidem 105 Un’operazione di aiuto militare e logistico alle forze del governo maliano, intrapresa dalla Francia sotto gli auspici delle risoluzioni ONU 2056 e 2085

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Negli ultimi anni, l’islam radicale ha oltrepassato anche la linea dell’Equatore e si è diffuso fino in Tanzania, dove è presente l’Uamsho106, l’Associazione per la mobilitazione e propagazione islamica che, tra il 2012 e il 2014, si è resa responsabile di numerosi attentati a sfondo politico-religioso, durante i quali sono state incendiate circa quaranta chiese cristiane a Zanzibar e compiuti attacchi contro turisti cristiani ed ebrei con bombe artigianali, pistole e getti di acido107. Senza contare, che il famigerato jihadista britannico “Jihadi John”, noto per essere il tagliatore di teste dell’IS, prima di raggiungere la Siria è passato per la capitale della Tanzania Dar es Salaam108. Non c’è dunque da stupirsi, se leggendo l’ultimo “Country Reports on Terrorism”109, pubblicato dal Dipartimento di Stato Usa, si capisce chiaramente come il terrorismo stia diventando il problema numero uno in molti Paesi sub-sahariani. Nella sezione dedicata all’Africa, lo studio evidenzia i “significativi livelli di attività terroristica” che si stanno registrando in varie zone del continente, dove si è assistito a un innalzamento del livello di operatività insieme a una maggiore aggressività di alcune formazioni radicali islamiche110. Le conclusioni degli esperti dell’antiterrorismo statunitense trovano conferma nel susseguirsi di attacchi portati a compimento negli ultimi mesi in territorio sub-sahariano dai fondamentalisti, che nel nome dell’Islam hanno rivendicato rapimenti, omicidi e attentati contro obiettivi civili e militari, causando centinaia di morti e feriti.

Il jihad in Nigeria: Boko Haram

L’impressionante affermazione dello Stato Islamico nel suo primo anno di esistenza ha esercitato un notevole fascino sulla miriade di organizzazioni che fanno riferimento al network jihadista. Tra queste, una tra le prime a stringervi legami è stata una fazione operativa proprio in Africa sub-sahariana e corrispondente al nome di Jama’atu Ahlis Sunna

106 Uamsho, che in lingua kiswahili significa “Risveglio”, è un gruppo separatista di ispirazione islamica che raggruppa trenta diverse organizzazioni religiose per salvaguardare i costumi dell’islam sunnita 107 Marco Cochi, Anniversario a Zanzibar, in “Nigrizia”, 30 settembre 2014. http://www.nigrizia.it/stampa/anniversario-a- zanzibar 108 Jihafrica, in “The Economist”, 20 luglio 2015, cit. 109 United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2014”, giugno 2015. http://www.state.gov/j/ct/rls/crt/2014/239404.htm 110 Ibidem

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Lidda’awati wal-Jihad111, meglio nota come Boko Haram, che tradotto dalla lingua hausa significa “l’educazione occidentale è sacrilega”. L’ideologia del gruppo deriva dalla dottrina della setta Yan Tatsine, che ha preso il nome dal suo fondatore Mohammed Marwa, un predicatore fondamentalista originario del Camerun settentrionale, che per il suo modo cruento e offensivo di predicare fu soprannominato Maitatsine, che in lingua hausa significa “colui che maledice”. Marwa si trasferì nel 1945 in Nigeria con l’intento di stabilirvi una società basata sulla sua visione radicale dell’Islam, che rifiutava l’educazione e gli aspetti dello stile di vita occidentale, a causa della loro natura corruttiva112. Negli anni seguire, la setta Yan Tatsine acquisì sempre più credito nel nord-est della Nigeria, dimostrando maggiore decisione nel perseguire l’intento di instaurare un regime totalitario islamico. Di conseguenza, aumentarono considerevolmente gli scontri contro le forze governative, fino a indurre l’esecutivo federale a prendere la decisione di emanare un decreto di allontanamento per gli Yan Tatsine dallo Stato di Kano. Il provvedimento, nel 1982, fece scoppiare la rivolta dei fanatici della setta, che venne duramente repressa dall’intervento dell’esercito nigeriano, provocando l’uccisione di più di quattromila persone e del suo fondatore Maitatsine113. Negli anni seguenti, si registrarono altri violenti scontri di derivazione fondamentalista salafita, tra cui quelli per l’adesione della Nigeria all’Organizzazione della Conferenza islamica, nel gennaio e febbraio 1986; le violenze che nel maggio 1986 ebbero luogo all’Università di Ibadan; i disordini religiosi scoppiati nel marzo 1987 a Kafanchan, Kaduna, Zaria e Futua; la rivolta al Politecnico di Kaduna del marzo 1988; i tumulti all’Università di Bayero nel 1989; la disobbedienza civile di Kano nel dicembre 1991 e gli scontri interreligiosi che nell’aprile 1994 insanguinarono la città di Jos e i centri abitati vicini114. Dopo la morte di Mohammed Marwa, la setta venne messa al bando dal governo nigeriano e i suoi seguaci si rifugiano in Camerun, per tornare alla ribalta della cronaca intorno al 1995115, quando la Yan Tatsine cambiò il suo nome in Sahaba116 e sotto la guida di Mallam

Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda degli insegnamenti :جماعة اهل السنة للدعوة والجهاد Traduzione dall’arabo 111 del Profeta e della guerra santa 112 John Ford, The Origins of Boko Haram, in “The National Interest”, 6 giugno 2014. http://nationalinterest.org/feature/the- origins-boko-haram-10609 113 Ibidem 114 Roland Marchal, Boko Haram and the resilience of militant Islam in northern Nigeria, NOREF report, Nordic International Support Foundation, giugno 2012. http://www.peacebuilding.no/var/ezflow_site/storage/original/application/dc58a110fb362470133354efb8fee228.pdf 115 La vera storia di Boko Haram, dalla tentata purificazione dell’islam ai massacri quotidiani, in “Tempi”, 30 gennaio 2015. http://www.tempi.it/la-vera-storia-di-boko-haram-dalla-tentata-purificazione-dellislam-ai-massacri- quotidiani#.VdSdRrLtmkp 116 Sahaba era il nome con cui ai primordi dell’Islam venivano chiamati “i compagni di Maometto”, che avendo preso parte, a vario titolo, al trionfo della nuova fede costituivano l’originaria comunità mussulmana

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Mohammed Yusuf tornò gradualmente a insediarsi e proliferare nella parte nord-occidentale della Nigeria. Poi, nel 2002, Sahaba dà origine a Boko Haram, che sotto la guida di Yusuf inizialmente persegue scopi umanitari e concentra la sua attività negli Stati di Borno e di Yobe117. La metamorfosi da organizzazione caritatevole a formazione terroristica jihadista avviene all’indomani della violenta repressione governativa del luglio 2009, nel corso della quale vengono uccisi lo stesso Yussuf, suo suocero Alhaji Baba Fugu e diversi altri membri dell’organizzazione118. Sulla scia di questa trasformazione, nel settembre 2010, Boko Haram compie la sua prima azione attaccando in forze il carcere di Bauchi e liberando 721 dei 759 detenuti reclusi nella prigione119. La setta entra così in aperto contrasto con il governo centrale di Abuja nell’intento di trasformare tutta la Nigeria in uno Stato islamico senza cristiani, dove imporre la sharia120. Da quel momento, gli attacchi diventano gradualmente più letali e sofisticati, in particolare grazie all’impiego di esplosivi. Il primo attentato che desta scalpore e indignazione nell’opinione pubblica internazionale, è quello portato a compimento da un attentatore suicida che, nel agosto 2011, alla guida di un’autobomba si lancia contro il quartier generale delle Nazioni Unite ad Abuja, uccidendo 23 persone121. Le violenze diventano a poco a poco sempre più frequenti in alcune zone del nord e del centro della Nigeria. Lo scenario diviene ancora più complicato quando i membri di Ansaru, una fazione scissionista di Boko Haram caratterizzata da una forte visione internazionale, comincia a rapire gli stranieri.

117 Joe Boyle, Nigeria’s Taliban Enigma, in “BBC News”, 31 luglio 2009, http://news.bbc.co.uk/2/hi/8172270.stm 118 The American Foreign Policy Council’s, Boko Haram, in “World Almanac of Islamism”, 21 agosto 2013, http://almanac.afpc.org/boko-haram 119 Sani Muh’d Sani, Nigeria: Attack On Bauchi Prison - Boko Haram Frees 721 Inmates, in “AllAfrica”, 8 settembre 2010. http://allafrica.com/stories/201009090034.html 120 Raifu Oriyommi, Nigeria's Boko Haram, in “OnIslam”, 26 dicembre 2011, http://www.onislam.net/english/news/africa/455146-nigerias-boko-haram-profile.html 121 National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism (START). Global Terrorism Database. http://www.start.umd.edu/gtd

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L’internazionalizzazione di Boko Haram

Ai fini della disamina dell’evoluzione della capacità offensiva dell’organizzazione, è importante osservare che nel periodo immediatamente successivo alla sua metamorfosi, Boko Haram, pur avendo comprovati legami con altri gruppi terroristici africani, non aveva mostrato l’intenzione di estendere la guerra santa oltre i confini nigeriani122. L’organizzazione comincia a dimostrare la sua operatività transnazionale con le ripetute occupazioni di una serie di città chiave, situate lungo il confine nord-orientale nigeriano con il Camerun. Tali occupazioni consentono ai membri del gruppo islamista di assumere il controllo di gran parte del territorio degli Stati federali di Adamawa, Yobe e Borno. Già nell’agosto 2014, il giornalista britannico Robert Pritchard, scriveva che l’intensificarsi degli attacchi e delle incursioni di Boko Haram a ridosso del confine camerunense, rivelavano l’intenzione d’invadere anche le zone del Camerun lungo la frontiera123. Altri analisti del settore, come il direttore esecutivo di GlobalStrat Oliver Guitta, sono dell’idea che la minaccia terroristica di Boko Haram stia sempre più assumendo una valenza internazionale124. Anche secondo la chiave di lettura del noto esperto israeliano di anti-terrorismo Ely Karmon, Boko Haram si è andato rapidamente trasformando da fenomeno puramente nigeriano ad attore jihadista internazionale e tale escalation sarebbe in parte riconducibile alla complessità del contesto religioso nigeriano125. Un recente studio congiunto sui collegamenti estremisti regionali africani considera che “Boko Haram è stato in grado di costruirsi il supporto attraverso le frontiere basandolo su rapporti di lealtà, consolidate reti commerciali, l’influenza dei leader religiosi locali e il malcontento di giovani diseredati”126. I continui episodi di sconfinamento dalla Nigeria di numerosi miliziani bokoharamisti, registrati negli ultimi mesi del 2014, per attaccare obiettivi civili e militari camerunensi, dimostrano il preciso intento di creare in Camerun una testa di ponte per le operazioni.

122 Heidi Schultz, Nigeria's Boko Haram: Who Are They and What Do They Want?, in “National Geographic News”, 7 maggio 2014, http://news.nationalgeographic.com/news/2014/05/140507-boko-haram-nigeria-borno-state- maiduguri-mohammed-yusuf-abubukar-shekau-goodluck-jonathan-world/ 123 Robert Pritchard, Boko Haram begin invasion of Cameroon, in “Shout Out Uk”, 4 agosto 2014, http://www.shoutoutuk.org/2014/08/04/boko-haram-begin-invasion-cameroon/ 124 Oliver Guitta, Boko Haram: Isis-linked Nigerian terrorist group may have over extended itself with Chad bombings, in “International Business Times”, 7 luglio 2015. http://www.ibtimes.co.uk/boko-haram-isis-linked-nigerian-terrorist- group-may-have-extended-itself-chad-bombings-1509719 125 Ely Karmon, Boko Haram's International Reach, in “Perspective on Terrorism”, Vol. 8, n. 1, febbraio 2014, http://www.terrorismanalysts.com/pt/index.php/pot/article/view/326/html 126 Karin Willemse, Mirjam de Bruijn, Han van Dijk, Jonna Both, Karlijn Muiderman, What are the connections between Africa’s contemporary conflicts?, in “The Broker”, luglio 2015. http://thebrokeronline.eu/Articles/What-are-the- connections-between-Africa-s-contemporary-conflicts

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Un obiettivo concertato in virtù del fatto che tra i Paesi limitrofi interessati dalla minaccia di Boko Haram, il Camerun è quello con il confine più vulnerabile. Ragione per cui, i suoi territori sono spesso utilizzati dagli islamisti nigeriani come basi operative per il traffico di armi e per portare a termine rapimenti, oltre che per dare la caccia ai disertori, rei di aver abbandonato il movimento in aperto dissenso con le azioni violente dirette in modo indiscriminato contro la umma127. Per questo, al momento attuale il Camerun è il Paese maggiormente esposto al rischio di attentati da parte della setta jihadista. Lo dimostrano i numerosi attacchi arginati negli ultimi mesi dai soldati camerunesi al confine con la Nigeria, sferrati con una sequenza tanto rapida da sembrare quasi che l’esecutivo di Yaoundé rappresenti per Boko Haram un obiettivo primario al pari del governo presieduto da Muhammadu Buhari. E’ in questo quadro operativo, che, alla fine del 2014, per ostacolare i piani dell’organizzazione terroristica, il presidente camerunese Paul Biya decide di impiegare l’aeronautica contro le formazioni jihadiste provenienti dalla Nigeria128. Poi, nel 2015, Yaoundé ha emanato nuove misure per arginare la crescente minaccia, tra cui il dispiegamento di 8.500 soldati camerunesi lungo il confine con la Nigeria, il divieto per le donne di indossare il velo islamico integrale, il rimpatrio di duemila clandestini nigeriani, la chiusura di moschee e scuole coraniche e la nomina di cinque nuovi generali per intensificare la lotta contro i bokoharamisti 129. Le ragioni che hanno alimentato lo sviluppo di questo movimento fondamentalista islamico in Nigeria sono da ricercarsi nella diffusa corruzione che ha indebolito la fiducia dei nigeriani nello Stato, nella persistente crisi economica e nell’ampliarsi del divario sociale, prodotto dal grande squilibrio sulla gestione degli enormi proventi del petrolio130. Questa serie di fattori ha consentito agli ispiratori dell’organizzazione di reclutare numerosi proseliti, spesso indotti ad abbracciare la causa jihadista perché si sono sentiti discriminati e non protetti dal governo di Abuja131. Gli integralisti nigeriani sono così arrivati a infiltrarsi nelle più remote regioni del Paese africano, riuscendo a diffondere il loro messaggio più efficacemente del governo centrale,

127 Augusto Rubei, Boko Haram porta il jihad in Camerun, in “Limes”, 10 febbraio 2014. http://www.limesonline.com/boko-haram-porta-il-jihad-in-camerun/57332 128 L’aviazione del Camerun bombarda i miliziani di Boko Haram, in “Internazionale”, 29 dicembre 2014. http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/29/l-aviazione-del-camerun-bonimbarda-i-miliziani-di-boko-haram 129 Marco Cochi, Il terrore di Boko Haram incombe sul Camerun, in “East Online”, 4 settembre 2015. http://www.eastonline.eu/it/opinioni/sub-saharan-monitor/il-terrore-di-boko-haram-incombe-sul-camerun 130 Femi Owolade, Boko Haram: How a Militant Islamist Group Emerged in Nigeria, Gatestone Institute, 27 marzo 2014. http://www.gatestoneinstitute.org/4232/boko-haram-nigeria 131 Irin, Analysis: Understanding Nigeria’s Boko Haram radicals, Nairobi, 18 luglio 2011. http://www.irinnews.org/report/93250/analysis-understanding-nigeria-s-boko-haram-radicals

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anche e soprattutto attraverso la gestione di un sistema di welfare non solo alternativo, ma molto più efficiente di quello statale. Dopo che, nel settembre 2014, Boko Haram ha cominciato a dichiarare il proprio sostegno e a intessere legami con lo Stato Islamico, l’operatività del gruppo ha segnato una violenta escalation, con una sequela di attentati kamikaze, in molti casi compiuti da donne, che hanno seminato lutti e distruzioni in tutta la Nigeria132. Le efferatezze dei jihadisti nigeriani hanno raggiunto il culmine nei primi giorni del 2015, mentre gli occhi del mondo erano puntati sui jihadisti francesi responsabili della strage nella sede del settimanale satirico parigino Charlie Hebdo. Ci riferiamo alla carneficina consumata dai bokoharamisti, tra il 3 e l’8 gennaio, nel corso dell’offensiva contro la città di Baqa, rasa al suolo insieme ad altri sedici villaggi situati nello Stato di Borno. Un massacro di cui non sono state mai quantificate le reali proporzioni133. Il Dipartimento di Stato americano, nel giugno 2012, ha messo una taglia di sette milioni di dollari sull’attuale leader del gruppo Abubakar Shekau, noto con il nome di battaglia di Darul Tawheed134. Poi, quattro mesi più tardi, ha incluso Boko Haram nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere. L’estrema pericolosità degli islamisti nigeriani è stata certificata anche dal National consortium for the study of terrorism and response to terrorism (START) dell’Università del Maryland, che lo scorso anno ha classificato Boko Haram come il terzo gruppo terroristico più letale al mondo135.

Le incognite dopo l’affiliazione allo Stato Islamico

Nell’analisi delle possibili conseguenze nella rinnovata alleanza tra i due gruppi jihadisti appare evidente che, almeno nel breve termine, la fusione non avrà un impatto immediato sul campo di battaglia, dati i diversi contesti sociali e politici in cui operano i due gruppi e la notevole distanza geografica che li separa.

132 Stoyan Zaimov, Boko Haram Is Becoming ‘More Brutal’ Due to ISIS Ties, Says Christian Group, in “The Christian Post”, 17 settembre 2014. http://m.christianpost.com/news/boko-haram-is-becoming-more-brutal-due-to-isis-ties- says-christian-group-126527/ 133 Mausi Segun, Dispatches: What Really Happened in Baga, Nigeria?, in “Human Rights Watch”, 14 gennaio 2015. http://www.hrw.org/news/2015/01/14/dispatches-what-really-happened-baga-nigeria 134 https://www.rewardsforjustice.net/english/abubakar_shekau.html 135 National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism (START), Boko Haram Recent Attacks, Background Report, aprile 2014. https://www.start.umd.edu/pubs/STARTBackgroundReport_BokoHaramRecentAttacks_May2014_0.pdf

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Tutto questo, determina che ciascun gruppo dovrà affrontare i suoi nemici contando al massimo su un appoggio puramente simbolico da parte dell’altro. Senza dubbio, in termini di collaborazione reale, le attività condivise potranno riguardare la produzione di materiale propagandistico sui social media136. Allo stato dei fatti, non è comunque possibile determinare l’evoluzione del nuovo legame tra le due organizzazioni jihadiste, anche perché alcune autorevoli considerazioni alimentano diversi dubbi sulla scelta effettuata da Boko Haram. Tra le più marcate, quella di Max Abrahms, analista strategico ed esperto di terrorismo del Council on Foreign Relations, secondo cui l’affiliazione ufficiale del gruppo islamista nigeriano al Califfato è una mossa puramente propagandistica137. Da evidenziare, anche le dichiarazioni rilasciate in anonimato da un ufficiale dell’intelligence statunitense al portale del gruppo editoriale americano Breitbart, di netto orientamento conservatore. Il funzionario dei servizi di sicurezza ritiene che Boko Haram e l’IS non potranno mai operare in sincronia, perché il jihadismo arabo è fortemente razzista nei confronti dei neri e tale fattore comporta un rapporto che da parte dello Stato Islamico non può essere concepito in maniera paritetica138. Ciononostante, la legittimazione del gruppo nigeriano è aumentata e possiamo constatare che Boko Haram, nel tentativo di respingere la controffensiva della Multinational Joint Task Force (MJTF)139, sta adottando tutte le brutali tattiche utilizzate dal gruppo di riferimento siro-iracheno, che comprendono rapimenti di massa e atroci esecuzioni, come quella del pilota giordano Muath al Kasasbeh, arso vivo dopo essere stato catturato lo scorso dicembre da jihadisti dello Stato Islamico nel nord della Siria. Tuttavia, è innegabile che Boko Haram stia subendo gli effetti della massiccia azione militare della MJTF che le ha strappato ampie zone di territorio sotto il suo controllo, ma non sembra però aver inciso sul potenziale offensivo del gruppo, che negli ultimi mesi ha registrato un’autentica escalation del terrore, ricorrendo anche dall’uso di kamikaze bambine e alla contaminazione di un fiume dove la popolazione si procurava acqua potabile140.

136 Ofeibea Quist-Arcton, Boko Haram Takes A Page From ISIS Propaganda Playbook, in “Npr”, 5 marzo 2015. http://www.npr.org/sections/parallels/2015/03/05/391024563/boko-haram-takes-a-page-from-isis-propaganda- playbook 137 “Boko Haram’s allegiance to ISIS symbolic, propagandist move”, in “RT Question More”, 8 marzo 2015. http://www.rt.com/op-edge/238757-boko-haram-joins-isis/ 138 Mary Chastain, Us Official: Isis will not join Boko Haram due to racism, in “Breitbart”, 19 febbraio 2015. http://www.breitbart.com/national-security/2015/02/19/us-official-isis-will-not-join-boko-haram-due-to-racism/ 139 La missione militare regionale riunita in una coalizione composta da Benin, Camerun, Ciad e Niger e Nigeria sotto l’egida dell’Unione africana con l’obiettivo di rafforzare la zona di frontiera e contrastare gli attacchi terroristici di Boko Haram 140 Nigerian military accuses Boko Haram of poisoning water sources, in “Premium Times”, 30 settembre 2015. http://www.premiumtimesng.com/news/top-news/190862-nigerian-military-accuses-boko-haram-of-poisoning-water- sources.html

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La nuova strategia degli islamisti nigeriani

La cellula africana dell’IS sta dimostrando un’eccezionale versatilità nel cambiare repentinamente strategia, rimodulando le sue modalità operative più sugli attentati che sulla conquista di porzioni di territorio. Una versatilità tattica che sposta il baricentro dell’offensiva dalla lotta sul campo al terrorismo puro, rendendo l’organizzazione islamista nigeriana sempre più difficile da sconfiggere e sempre più sanguinaria, come dimostra lo studio dell’IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Centre, secondo cui, gli attentati portati a termine, tra lo scorso luglio e settembre, dal gruppo hanno causato un numero di vittime superiore a quello prodotto dagli attacchi degli estremisti in Siria141. Da evidenziare, che il primo gruppo jihadista africano a mettere in atto questo tipo di approccio furono i miliziani somali di al-Shabaab, i quali dopo aver subito pesanti sconfitte da parte dell’AMISOM142 e perso il controllo di gran parte dei territori meridionali, hanno intensificato le azioni terroristiche lanciando sanguinosi attacchi al Westgate Mall di Nairobi e alla North-Eastern Garissa University, oltre a colpire costantemente obiettivi sensibili a Mogadiscio. L’attuale fase di difficoltà in cui versa Boko Haram sta producendo una situazione per molti versi analoga e che mette a repentaglio la sicurezza di tutti i Paesi della regione. Da tali premesse, appare evidente che i fondamentalisti nigeriani ormai in forza all’IS costituiscono una realtà sempre più articolata e difficile da sradicare dal nord-est della Nigeria. Senza tralasciare, che il Daesh sta fornendo appoggio logistico al gruppo nigeriano anche attraverso l’addestramento militare, come dimostra l’uccisione, nello scorso maggio, di cinque uomini di Boko Haram in un campo dell’IS a Mosul143 e la presenza in Siria, rilevata dal capo dell’amministrazione del Cremlino Sergey Ivanov, di un’unità composta da miliziani affiliati all’organizzazione estremista nigeriana144. Un altro fattore di rischio da prendere in considerazione è legato all’internazionalizzazione della minaccia già in atto, che potrebbe indurre i combattenti provenienti dal Nord Africa e

141 Paul Mcleary, Islamic State Ramps up Attacks, But Not Capturing New Ground, in “Foreign Policy”, 22 ottobre 2015. http://foreignpolicy.com/2015/10/22/islamic-state-ramps-up-attacks-but-not-capturing-new-ground/ 142 La forza di peacekeeping dell’Unione africana composta principalmente da soldati di Kenya, Uganda e Burundi 143 5 Boko Haram Terrorists Being Trained By ISIS Killed In Mosul Iraq, in “NaijaGists”, 15 maggio 2015. http://naijagists.com/5-boko-haram-terrorists-training-under-isis-killed-in-mosul-iraq/ 144 Kremlin: Assad’s army, Kurdish militias should conduct anti-IS ground operation in Syria, in “Tass Russian News Agency”, 22 ottobre 2015. http://tass.ru/en/politics/830934

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da altre aree del continente a intraprendere la decisione di unirsi all’emirato nigeriano di Boko Haram, invece che dirigersi verso il Levante per raggiungere il territorio del Califfato. Peraltro, alcuni filmati rinvenuti di recente nei campi di addestramento riconquistati dalla sopra citata forza africana multinazionale, provano come gli stranieri esercitino un ruolo sempre più importante all’interno dell’organizzazione. Senza contare che il sostegno internazionale dimostrato da Stati Uniti, Francia e Regno Unito alla creazione della coalizione regionale, potrebbe rendere particolarmente invitante per gli jihadisti provenienti dai Paesi confinanti sposare la causa degli islamisti nigeriani. Inoltre, l’affiliazione allo Stato Islamico potrebbe condurre Boko Haram a una ulteriore e progressiva internazionalizzazione della propria operatività, spingendo il gruppo a intensificare attacchi e rapimenti verso obbiettivi e cittadini occidentali. Una disamina approfondita delle motivazioni che ne hanno favorito l’ascesa nelle zone settentrionali della Nigeria, impone una riflessione su come il movimento sia stato in grado di cavalcare il malcontento delle popolazioni locali nei confronti del governo centrale, che ha consentito al gruppo terroristico di poter usufruire di un bacino di reclutamento e di una rete sociale sempre più sviluppata. Un altro aspetto preoccupante dell’evoluzione di Boko Haram riguarda la sua dimensione etnica, poiché le origini della sua ’insorgenza sono primariamente insite nel desiderio di emancipazione dei kanuri145, che costituiscono l’8% della popolazione nigeriana. Secondo l’analista nigeriano Michael Baca, il fatto che un gruppo etnico rappresentante di una parte così esigua della popolazione della Nigeria domini l’appartenenza dei miliziani bokoharamisti è degno di nota e aiuta a spiegare la distribuzione geografica della rivolta, oltre a mettere in evidenza i driver locali che alimentano le violenze146. La circostanza che la maggioranza dei membri di Boko Haram appartenga ai kanuri avrebbe anche facilitato i legami dell’organizzazione oltre frontiera, soprattutto dove è presente questo gruppo etnico, ossia nell’area altamente instabile del lago Ciad, a cavallo del confine tra Ciad, Camerun e Niger147. La minoranza kanuri, pressata dalla predominanza dei musulmani hausa-fulani e dei cristiano-animisti yoruba, i due principali gruppi etnici che controllano il Paese, ha trovato nell’Islam radicale l’ideologia più adatta per affermare le proprie rivendicazioni confluendo

145 I Kanuri furono l’etnia dominante nell’impero del Kanem-Bornu (1086-1846), oggi, invece, rappresentano un gruppo subalterno per la quasi totalità di religione musulmana, che abita la poverissima regione nord-orientale della Nigeria, le area limitrofe del Camerun settentrionale, del lago Ciad e del Niger meridionale 146 Michael Baca, Boko Haram and the Kanuri Factor, in “African Arguments”, 16 febbraio 2015. http://africanarguments.org/2015/02/16/boko-haram-and-the-kanuri-factor-by-michael-baca/ 147 Scott Menner, Boko Haram’s Regional Cross-Border Activities, Combacting Terrorism Center (West Point), 31 ottobre 2014. https://www.ctc.usma.edu/posts/boko-harams-regional-cross-border-activities

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in blocco in un’organizzazione, il cui obbiettivo è la creazione attraverso il jihad di uno Stato Islamico retto dalla sharia. Tutto ciò indica che all’interno dello scenario nigeriano si è creata una fusione tra insorgenza etnica e radicalismo islamico, favorita dal sottosviluppo economico e dalla debolezza statale148: un fenomeno pervasivo che non ha precedenti in tutta l’Africa. Per completare l’analisi, resta da vedere se i potenziali benefici di affiliazione con l’IS, che comprendono l’occasione di potenziare il gruppo nigeriano con possibili nuovi flussi di reclute e la possibilità di accedere a nuovi finanziamenti o altre forme di supporto, saranno superiori agli svantaggi determinati dal potenziamento del livello di attenzione che, dopo il giuramento al Califfato, le agenzie di sicurezza occidentali riserveranno all’organizzazione radicale islamica. Boko Haram è senza dubbio uno dei gruppi della galassia jihadista che ha dimostrato una rapida e continua capacità di evoluzione. Un’organizzazione che combatte i suoi nemici dichiarati con estrema ferocia e che richiede di essere costantemente monitorata, non solo per la sua sfida alla sicurezza e alla stabilità del Paese più popoloso dell’Africa e alla sua più grande economia, ma soprattutto perché rappresenta una seria e pressante minaccia per l’intera regione occidentale del continente africano.

L’evoluzione della propaganda mediatica

Un altro fattore da prendere in esame è costituito dal potenziamento della capacità di comunicazione operato negli ultimi mesi da Boko Haram, da cui è facile intuire che il gruppo nigeriano abbia fatto esplicito riferimento alle elaborate tecniche di comunicazione usate dallo Stato islamico. La riprova dell’influenza esercitata dai “baghdadisti” nella propaganda di Boko Haram è offerta anche dal logo dell’organizzazione nigeriana. Inizialmente il vessillo del gruppo di Shekau era la rayat al-`uqab, la bandiera nera del jihad, sventolata da numerose milizie islamiste e raffigurante due kalashnikov incrociati con al centro il Corano. Poi, all’inizio di novembre 2014, Boko Haram mostra per la prima volta in un video diffuso su YouTube149 una bandiera molto simile a quella di guerra dello Stato Islamico.

148 Stefano Sarsale, L’internazionalizzazione di Boko Haram, Ce.Si. – Centro studi internazionali, 16 febbraio 2014. http://www.cesi-italia.org/africa/item/843-l%E2%80%99internazionalizzazione-di-boko-haram.html

149 Il video è visibile integralmente al link https://www.youtube.com/watch?v=15Xh-rf2FoU

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Non è ancora chiaro se nel rafforzamento della propaganda mediatica, i jihadisti nigeriani siano stati direttamente assisiti e supportati operativamente dall’IS oppure siano stati soltanto influenzati in modo indiretto, ma è evidente che negli ultimi mesi hanno cominciato a utilizzare in maniera più articolata i social network per diffondere la propria attività e hanno elevato le loro tecniche di produzione. Lo dimostrano i sempre più sofisticati video caricati sulla rete, che con maggiore frequenza sono diffusi in diverse lingue. Tra gli esempi più calzanti riguardo il salto di qualità compiuto da Boko Haram nella sua strategia comunicativa c’è un video di tredici minuti, prodotto lo scorso 21 febbraio, che riproduce alcune scene di combattimenti al rallentatore. Ancora più scioccante, il filmato intitolato Harvest of spies (Il destino delle spie)150, diffuso lo scorso 2 marzo e sottotitolato in arabo, inglese e francese. Il video, è stato girato nei pressi del villaggio di Monguno, situato circa 130 chilometri a nord di Maiduguri, nello Stato federale del Borno. Le riprese mostrano l’esecuzione di due presunte spie, una delle quali, prima di essere decapitata, viene interrogata e dai sottotitoli si apprende che si tratta di un agricoltore di Baga, reo di aver fornito informazioni a un poliziotto, che a lui e al suo complice avrebbe offerto circa 25 dollari ciascuno per ottenere notizie riguardanti le persone che vivevano a Monguno. Il filmato dell’esecuzione richiama fortemente la scenografia dei video girati dall’IS ed è pervaso dalla stessa eresia di atrocità. La tecnica è pressoché identica con la telecamera che inquadra gli uomini in cappuccio con l’indice levato verso Allah, mentre il boia alza il pugnale sopra la testa delle vittime prima di sgozzarle. Peraltro, nei mesi scorsi, lo Stato Islamico aveva prodotto una serie intitolata proprio Harvest of spies – Wilayat al Furat. Inoltre, seguendo lo stile operativo del gruppo di al-Baghdadi, le cruente immagini, prima di essere diffuse sulla rete, sono stato precedute da un annuncio su uno dei profili Twitter del gruppo islamista nigeriano. Già negli ultimi mesi del 2014, Boko Haram aveva messo in evidenza i progressi compiuti nella diffusione del materiale di propaganda, attraverso la creazione di una piattaforma per la comunicazione multimediale, denominata dagli islamisti nigeriani al-Urwah al-Wuqta151, presente su Twitter e in grado di riprodurre automaticamente i messaggi diffusi dall’organizzazione ogni qualvolta che vengono bloccati152.

150 Il video è visibile integralmente al link http://www.zerocensorship.com/bbs/uncensored/92494-boko-haram- beheading-2-spies-harvest-of-spies-video#axzz3imsgCjb1 151 Traduzione dall’arabo: La voce più affidabile 152 Mathieu Olivier, Terrorisme : la communication de Boko Haram à l’âge de “réseaux”?, in “Jeune Afrique”, 3 marzo 2015. http://www.jeuneafrique.com/225573/politique/terrorisme-la-communication-de-boko-haram-l-ge-de-r-seaux/

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La costruzione di una cellula di comunicazione più professionale, ha offerto ai jihadisti nigeriani anche la possibilità di attivare un corso di reclutamento in francese e inglese, le lingue più parlate in Africa centrale e occidentale. Secondo David Thompson, giornalista di RFI che da lungo tempo segue l’evoluzione dei movimenti jihadisti nella regione, il fatto che Boko Haram nei filmati abbia deciso di utilizzare anche la lingua francese è la palese dimostrazione di voler diffondere direttamente i propri messaggi anche ai nemici francofoni della regione: Ciad, Niger, Camerun153.

Chi finanzia Boko Haram?

Il gruppo fondamentalista nigeriano non sembra avere preoccupazioni economiche e gli osservatori sono concordi nel ritenere che nelle prime fasi dell’insurrezione avrebbe goduto del sostegno e dei finanziamenti dei governatori delle province nord-orientali a maggioranza musulmana, come Ali Modu Sheriff, l’ex governatore dello Stato di Borno che è stato addirittura accusato di essere la mente del gruppo terroristico154. Inoltre, uno dei comandanti militari di Boko Haram sotto anonimato ha dichiarato che l’organizzazione avrebbe anche percepito cospicue donazioni dal governatore di Kano, Ibrahim Shekaraue e da Alhaji Isa Yuguda, governatore di Bauchi155. Tutti questi alti funzionari sarebbero accomunati dall’aperto dissenso alle politiche accentratrici del governo di Abuja in lotta con il centro e il sud della Nigeria, fin dal tempo della colonizzazione britannica. Successivamente, il gruppo per finanziarsi ha puntato anche su altri metodi come le razzie nei villaggi, gli assalti alle banche, estorsioni e rapimenti di ostaggi. Il ricavato dei sequestri costituisce una fonte primaria di finanziamento per il gruppo islamista e risulta essere di gran lunga superiore anche alle cospicue donazioni fatte arrivare in passato da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Per fare un esempio, il sequestro di una famiglia di sette francesi nel nord del Camerun, operato nel febbraio 2013, avrebbe reso complessivamente all’organizzazione 3,15 milioni di dollari156.

153 Mathieu Olivier, Terrorisme : la communication de Boko Haram à l’âge de “réseaux”?, in “Jeune Afrique”, 3 marzo 2015, cit. 154 Adams Odunayo, Ali Modu Sheriff Speaks On Boko Haram, in “Naij”, dicembre 2014. https://www.naij.com/333925- ali-modu-sheriff-speaks-on-boko-haram.html 155 We’re on Northern govs’payroll – Boko Haram, in “Vanguard”, 24 gennaio 2012. http://www.vanguardngr.com/2012/01/we-re-on-northern-govspayroll-boko-haram/ 156 Peregrino Brimah, Every Day Jonathan Ceases to Fire, Nigeria’s North Loses More Territory to Boko Haram, in “Scoop.ng”, 22 ottobre 2014. http://www.scoop.ng/2014/10/every-day-jonathan-ceases-to-fire-nigerias-north-loses- more-territory-to-boko-haram.html/#sthash.3V5qmpYW.dpuf

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Le ingenti somme ricevute grazie all’alleanza con AQIM sarebbero arrivate da diverse waqf (fondazioni islamiche) e dalle organizzazioni caritatevoli che svolgono ufficialmente attività umanitaria157. Da alcune di queste realtà, basate nel Regno Unito e in Arabia Saudita, sarebbero giunte cospicue somme di denaro all’organizzazione. In particolare dalla al- Muntada al-Islami Trust, con sede a Londra, e dalla ’s Islamic World Society158. In queste operazioni di finanziamento convergono cospicue donazioni di denaro e zakat159, ma principalmente vi è un chiaro intreccio tra finanziamento illecito e reclutamento. E’ anche noto, che Boko Haram distribuisce le sue fonti di finanziamento attraverso un sistema di trasferimento di denaro chiamato hawala160, basato su un’estesa e decentralizzata rete di agenti, molto complicato da tracciare. Nel corso del tempo, tutti questi sistemi di trasferimento fondi si sono rivelati assai efficienti, tanto che in passato alcuni funzionari nigeriani sono stati oggetto di inchieste per non aver saputo ricomporre la rete dei finanziamenti esteri ricevuti da Boko Haram. Determinate tali premesse, non è peregrina l’ipotesi per cui l’organizzazione nigeriana abbia giurato fedeltà allo Stato Islamico principalmente per ricevere nuovi finanziamenti, considerando che il Daesh è oggi il gruppo terroristico dotato di maggior potenza economica e che elargisce puntualmente importanti somme di denaro alle formazioni jihadiste che manifestino volontà di affiliazione161. In definitiva, il giuramento di fedeltà sopra analizzata appare in tutti i suoi orientamenti come una volontà che Boko Haram aveva già più volte affermato. Per esempio, quando in un filmato messo in rete nel luglio 2014, Abubakar Shekau si rivolse ad al Baghdadi chiamandolo “fratello”162 e sempre nello stesso periodo l’organizzazione nigeriana aveva iniziato ad usare i simboli del Califfato, come la bandiera nera e gli abiti neri163.

157 Gary Lane, Saudis and U.K. Funding Nigeria’s Boko Haram?, in blog “The Global Lane”, 13 febbraio 2012. http://blogs.cbn.com/globallane/archive/2012/02/13/saudis-and-u.k.-funding-nigerias-boko-haram.aspx 158 Nile Bowie, CIA Covert Ops in Nigeria: Fertile Ground for US Sponsored Balkanization, in “Global Research”, 11 aprile 2012. http://www.globalresearch.ca/covert-ops-in-nigeria-fertile-ground-for-us-sponsored-balkanization/30259 s’intende l’obbligo religioso prescritto dal Corano di “purificazione” della propria ,زكاة :Col termine zakat, in arabo 159 ricchezza attraverso l’elargizione di una quota a beneficiari specificamente stabiliti. Per definirsi un vero credente, ogni musulmano deve adempiere a questa donazione che costituisce uno dei cinque pilastri dell’Islam 160 L’hawala è un sistema informale di trasferimento di valori basato sulle prestazioni e sull’onore di una vasta rete di mediatori (hawaladars), sorto per finanziare il commercio a lunga distanza nei principali centri emergenti nei primi anni del Medioevo 161 Augusto Rubei, In Nigeria Boko Haram emula lo Stato Islamico per soldi, in “Limesonline”, 16 gennaio 2015. http://www.limesonline.com/in-nigeria-boko-haram-emula-lo-stato-islamico-per-soldi/67606 162 Maurizio Piccirilli, L’asse del terrore ecco perché Boko Haram si inchina all’ISIS, in “In Terris”, 12 marzo 2015. http://www.interris.it/2015/03/12/47435/posizione-in-primo-piano/schiaffog/lasse-del-terrore-ecco-perche-boko- haram-si-inchina-allisis.html 163 Nicolò Giordana, Una fusione annunciata: l’unione tra Boko Haram e lo Stato Islamico, in “Difesa online”, 22 aprile 2015. http://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/una-fusione-annunciata-lunione-tra-boko-har%C4%81m-e-lo- stato-islamico

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Di conseguenza, la sottomissione all’IS, non è da rilevarsi come una scelta avventata ma ben pianificata e orientata al fine di legittimare la leadership bokoharamista tra le organizzazioni jihadiste dell’Africa Occidentale. Una decisione partorita da diverso tempo dai vertici dell’organizzazione che, dal 2009 a oggi, ha senza dubbio consolidato la sua componente logistica e la sua potenza militare, dimostrando al tempo stesso una buona capacità di saper evolvere la propria ideologia seguendo le nuove tendenze espansionistiche del gruppo di al-Baghdadi.

L’enigma dell’affiliazione di al-Mourabitoun

Tra i frammentati ed eterogenei gruppi radicali di matrice islamica attivi nell’area sub- sahariana ce n’è un altro di indubbia pericolosità che risponde al nome di al-Mourabitoun164 (Le Sentinelle). Si tratta di una formazione jihadista composta in prevalenza da tuareg e arabi delle tre regioni settentrionali del Mali165, ma tra le sue fila militano anche algerini, tunisini e fondamentalisti di altre nazionalità, attivi specialmente nella zona nord del Mali compresa tra i circondari di Tessalit e Ansongo. Il gruppo si è reso responsabile di numerosi attentati e attualmente il Congresso americano lo considera, assieme a Boko Haram, come la principale minaccia alla stabilità dell’intera regione166. Il gruppo è nato nel 2013 dalla fusione del Movimento per l’unità e il jihad nell’Africa occidentale (MUJAO) e della Katiba al-Mulaththamin167, che, il 16 gennaio 2013, sotto la guidata dal terrorista algerino Khaled Aboul Abbas, conosciuto col nome di battaglia di Mokhtar Belmokhtar, portò a termine l’attacco e il sequestro di ottocento ostaggi nella città algerina di In Amenas, presso l’impianto petrolifero di Tigantourine, in cui morirono 38 persone. Belmokhtar, reduce del jihad antisovietico in Afghanistan, dove perse un occhio in combattimento, è conosciuto anche come “Mister Marlboro”, per aver gestito a lungo il contrabbando di sigarette in Africa occidentale. Il terrorista è diventato tristemente famoso quando, poco dopo l’attacco di In Amenas, i giudici della Procura distrettuale di New York

di al Morabitoun è stato scelto in riferimento alla dinastia musulmana berbera degli الل مراب طون Il nome arabo 164 Almoravidi, che regnò tra l’XI e il XII secolo nel Sahara occidentale e nel sud della penisola iberica 165 Le tre regioni settentrionali del Mali sono Timbuktu, Kidal e Gao 166 Alessandra Benignetti, Se anche i jihadisti del Sahel sognano lo Stato Islamico, in “Il Giornale”, 28 luglio 2015. http://www.ilgiornale.it/news/se-anche-i-jihadisti-sahel-sognano-stato-islamico-1156127.html 167 Tradotto in arabo: La Brigata degli Uomini Mascherati

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lo hanno incriminato per una lunga serie di reati commessi nella pianificazione della sanguinosa azione, tra i quali terrorismo, cospirazione, sequestro di ostaggi e uso di armi di distruzione di massa. La decisione di fondare al-Mourabitoun venne presa dallo stesso Belmokhtar che stabilisce di unire in un solo gruppo le principali organizzazioni jihadiste che parteciparono al conflitto in Mali168. Negli ultimi due anni, al-Mourabitoun, che fin dalla sua nascita è stato affiliato ad AQIM169, si è reso protagonista di diversi attentati nella regione del Sahara-Sahel e ha pure rivendicato l’attacco dello scorso 20 novembre al lussuoso Hotel Radisson Blu di Bamako, consumato a distanza di una settimana dagli attentati che hanno sconvolto Parigi, operati da una cellula di foreign fighter franco-belgi. Il legame della formazione filo-qaedista con lo Stato Islamico ha ufficialmente inizio lo scorso 14 maggio, attraverso l’annuncio del giuramento di fedeltà tramite un messaggio audio del cofondatore del gruppo, Adnan Abu Waleed al-Sahrawi. Pochi giorni dopo, però, l’atto di sottomissione viene smentito dallo stesso Belmokhtar, che ribadisce la sua assoluta fedeltà ad al-Qaeda. Una manovra difficile da decifrare, sebbene, di primo impatto, la bayah di al-Mourabitoun al Califfato potrebbe essere interpretata come la conseguenza di una scissione interna al gruppo, che dopo la nascita era stato diviso in tre katiba di circa cento uomini ciascuna170. E’, infatti, noto agli esperti del settore che Belmokhtar si è sempre dichiarato ideologicamente distante dallo Stato Islamico. Il terrorista algerino, oltre ad essere un autentico battitore libero, è molto pragmatico, come ha ripetutamente dimostrato, basando sempre la propria leadership sul potere locale e sul controllo delle rotte dei traffici clandestini. Senza dimenticare, che ha cambiato più volte nome al suo gruppo stringendo sempre alleanze di comodo con la formazione jihadista più in auge del momento171. Belmokhtar è stato dato più volte per morto, l’ultima risale al giugno scorso, quando il legittimo governo libico di Tobruk aveva annunciato la notizia della sua uccisione o durante un raid aereo americano ad Adjabiya, in Cirenaica, dove Belmokthar si trovava da tempo

168 Dennis Lynch, Who Are Al Mourabitoun? Al-Qaeda-Linked Group Claims Responsibility For Mali Attack, in “International Business Times”, 17 aprile 2015. http://www.ibtimes.com/who-are-al-mourabitoun-al-qaeda-linked- group-claims-responsibility-mali-attack-1887284 169 Da considerare che fino alla fine del 2012 Belmokthar era ritenuto il numero due di al-Qaeda nel Maghreb islamico 170 http://paroledilettere.com/a/al-mourabitoun-storico-ostaggi.php 171 Lorenzo Marinone, Mr Marlboro è morto? Le mille vite di Mokhtar Belmokhtar, terrorista, in “Eάst Journal”, 7 luglio 2015. http://www.eastjournal.net/archives/62497

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per stringere legami con Ansar al-Sharia, che peraltro ha prontamente smentito la sua eliminazione172. Del resto, la sua uccisione non ha mai trovato conferma da parte di nessun gruppo salafita operativo in territorio libico, mentre il suo annuncio dello scorso agosto, relativo alla creazione di una nuova formazione chiamata al-Qaeda nell’Africa Occidentale, lascia supporre che Mister Marlboro sia ancora vivo e conferma anche l’ipotesi, sempre più ricorrente, che abbia perso la guida di al-Mourabitoun, staccandosi in maniera definitiva da AQIM173, il cui potere nella regione è sempre più ridotto. Il giuramento di fedeltà di al-Mourabitoun allo Stato Islamico potrebbe avvalorare l’ipotesi che Belmokhtar sia stato sostituito alla guida del gruppo. Nondimeno, la sua smentita riguardo l’affiliazione dei suoi miliziani all’IS è stata successivamente sconfessata dai vertici dell’organizzazione baghdadista, che hanno confermato l’adesione di al-Mourabitoun e reso noto che Belmokhtar non è più il comandante in carica174. Inoltre, verso la fine di agosto, lo Stato Islamico ha diffuso in rete l’ordine di uccidere Belmokhtar, reo di aver guidato le brigate che lo scorso giugno cacciarono i seguaci del Califfato da Derna; mentre sulla rete gira, con tanto di foto segnaletica, il suo poster “wanted dead” postato dallo Stato Islamico175. L’inclusione del noto jihadista nella lista dei ricercati speciali dell’IS, è prioritariamente determinata dal fatto che una figura così carismatica e intransigente rappresenta un arduo ostacolo all’obiettivo primario di affermarsi nell’area perseguito da al-Baghdadi. Un obiettivo ambizioso, consistente nell’unificazione dei maggiori gruppi jihadisti sahelo- sahariani sotto la guida di un nuovo e unico emiro, allo scopo di creare un’altra vasta provincia dello Stato Islamico sul modello siro-iracheno.

L’IS divide i jihadisti somali di al-Shabaab

La recente notizia dell’affiliazione al Daesh di una fazione della già citata organizzazione estremista islamica somala Harakat al Shabaab al Mujaahidiin, meglio nota come al

172 Ansar al-Sharia denies Mokhtar Belmokhtar’s death in U.S. airstrike, in “Agencia Efe”, 18 giugno 2015. http://www.efe.com/efe/english/world/ansar-al-sharia-denies-mokhtar-belmokhtar-s-death-in-u-airstrike/50000262- 2641189# 173 Jason Ditz, Algerian Group Declares Itself West African al-Qaeda Branch, in “Antiwar”, 16 agosto 2015. http://news.antiwar.com/2015/08/16/algerian-group-declares-itself-west-african-al-qaeda-branch/ 174 ISIL And Desperate Measures, in “Strategy Page”, 25 maggio 2015. https://www.strategypage.com/qnd/algeria/20150525.aspx 175 Thomas Joscelyn, The Islamic State’s supporters want Mokhtar Belmokhtar dead, in “Long War Journal”, 23 agosto 2015. http://www.longwarjournal.org/archives/2015/08/the-islamic-state-wants-mokhtar-belmokhtar-dead.php

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Shabaab e legata ad al-Qaeda176, costituisce indubbiamente un importantissimo trampolino di lancio per un’ulteriore espansione del Califfato anche in Africa orientale, potenzialmente fino ai confini del Kenya. Lo scorso 23 ottobre, uno dei leader spirituali degli shabaab somali, Abdul Qadir Mumin, ha giurato fedeltà all’IS, una decisione che con molta probabilità produrrà ulteriori fratture all’interno del gruppo jihadista177. Il bayah è stato espresso in un video diffuso su Internet nel quale Mumin appare insieme ad altri venti jihadisti e, secondo fonti vicine all’intelligence statunitense, il giuramento mette a repentaglio la vita del nuovo affiliato, in quanto l’intransigente attuale leader di al-Shabaab, Ahmad Umar, rimasto fedele ad al-Qaeda, cercherebbe di eliminare fisicamente tutti coloro che esprimono una posizione contraria178. Mumin avrebbe riparato nella zona montuosa di Galgala nel Puntland, regione semi- autonoma nella Somalia nord-orientale, per sottrarsi alla cattura da parte di Amniyat, una sorta di servizio segreto di al-Shabaab, semi-indipendente dalla leadership militare del gruppo179. La struttura, operativa nel sud della Somalia, nelle settimane precedenti alla sottomissione di Mumin al Califfato, aveva arrestato altri membri che avevano giurato fedeltà all’IS180. Le stime più recenti reputano che siano in tutto un centinaio, su circa 1.500, i militanti di al- Shabaab che hanno abbandonato al-Qaeda per supportare i disegni espansionistici del Califfato nella regione sub-sahariana181. In precedenza, anche l’adesione ad al-Qaeda nel 2012, aveva prodotto pesanti contrasti all’interno degli estremisti somali, già in difficoltà a causa dell’arresto e dell’eliminazione di alcuni dei loro capi182, in particolare di Ahmed Abdi Godane, nome di battaglia Sheik Mukhtar Abu Zubeir, ucciso nel settembre 2014 nel corso di un attacco aereo statunitense183.

176 The National Counterterorrism Center, Al-Shabaab. http://www.nctc.gov/site/groups/al_shabaab.html 177 Abdi Sheikh, Small group of Somali al Shabaab swear allegiance to Islamic State, in “Reuters”, 23 ottobre 2015. http://www.reuters.com/article/2015/10/23/us-mideast-crisis-somalia-idUSKCN0SH1BF20151023 178 Robyn Kriel, Briana Duggan, Al-Shabaab faction pledges allegiance to ISIS, in “CNN”, 23 ottobre 2015. http://edition.cnn.com/2015/10/22/africa/al-shabaab-faction-isis/index.html 179 Ibidem 180 Alex Roberts, ISIS Gains Al-Shabaab As Ally, in “Tuko”, 23 ottobre 2015. http://tuko.co.ke/56174-part-al-shabaab- joined-forces-isis-see.html 181 Ibidem 182 Kristina Mastropasqua, Al-Shabaab, chaos in Somalia and international terrorism, in “Journalist’s Resource”, 8 ottobre 2013. http://journalistsresource.org/studies/international/conflicts/al-shabab-somalia-terrorism# 183 Abdalle Ahmed Mumin, Somalia Al-Shabaab Commander Killed in U.S. Airstrike, in “The Wall Street Journal”, 5 settembre 2014. http://www.wsj.com/articles/somalia-al-shabaab-commander-believed-killed-in-u-s-airstrike- 1409924

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Secondo l’intelligence keniana, una delle figure chiave di al-Shabaab sarebbe una jihadista britannica: Samantha Lewthwaite, meglio conosciuta come la “vedova bianca”184. La terrorista trentunenne è originaria del Buckinghamshire, nel sud-est dell’Inghilterra, ed è considerata responsabile della morte di almeno quattrocento persone, a causa del suo ruolo di coordinamento degli attentati su vasta scala185. Dopo essersi convertita all’Islam, la “vedova bianca”, nel 2002, all’età di 18 anni, divenne la moglie di Jermaine Maurice Lindsay, uno degli shahid che il 7 luglio 2005 fa seminarono morte e terrore a Londra186. Lewthwaite dichiarò di non essere a conoscenza delle attività del marito. Una versione che non ha mai convinto le autorità britanniche187. Dopo aver abbracciato l’integralismo, all’inizio del 2008, si è trasferita in Sudafrica, dove ha sposato il suo secondo marito, Fahmi Jamal Salim, presentatole dall’imam radicale sunnita Sheikh Abdullah el-Faisal188. Tre anni più tardi con i suoi quattro figli avrebbe raggiunto la Somalia, dove è stata reclutata dai miliziani shabaab. Secondo l’intelligence keniana, dopo che, nel settembre 2013, l’Interpol ha emesso un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti189, la Lewthwaite, per rendersi irriconoscibile, si sarebbe sottoposta a interventi di chirurgia plastica190.

Un successo per lo Stato Islamico

Considerato lo spiccato profilo criminale dei suoi capi e l’elevato numero di attacchi portati a compimento dai suoi appartenenti, al-Shabaab costituisce certamente l’organizzazione jihadista più temibile e influente di tutta l’Africa orientale e del Corno. Per questo, anche l’adesione di una sua singola fazione costituisce un successo per lo Stato Islamico. Sebbene, sia necessario ricordare che, a partire dagli ultimi mesi del 2011, il controllo dell’organizzazione sul territorio somalo si è sensibilmente ridotto.

184 White Widow ‘has killed 400 people’ as key figure in al-Shabaab, in “The Telegraph”, 18 maggio 2015. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/somalia/11611954/White-Widow-has-killed-400- people-as-key-figure-in-al-Shabaab.html 185 Ibidem 186 Is Samantha Lewthwaite really a terrorist mastermind?, in “The Week”, 2 luglio 2014. http://www.theweek.co.uk/world- news/samantha-lewthwaite/55272/samantha-lewthwaite-fears-white-widow-revenge-plot 187 Ibidem 188 Ibidem 189 Dion Dassanayake, WANTED: Interpol issues arrest warrant for ‘White Widow’ Samantha Lewthwaite, in “Sunday Express”, 26 settembre 2013. http://www.express.co.uk/news/world/432379/WANTED-Interpol-issues-arrest- warrant-for-White-Widow-Samantha-Lewthwaite 190 Sam Webb, White Widow ‘is training an ISIS female suicide bomber squad in Syria and overseeing terror group’s propaganda’, in “Mail Online”, 28 settembre 2014. http://www.dailymail.co.uk/news/article-2772566/White-Widow- training-ISIS-female-suicide-bomber-squad-Syria-overseeing-terror-group-s-propaganda.html

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Un ripiegamento dovuto all’offensiva del contingente AMISOM191, che ha costretto i miliziani shabaab ad abbandonare Mogadiscio e diverse altre città nella parte meridionale del Paese, tra cui lo strategico porto di Chisimaio e quello di Barawe. Oltre alla perdita di territorio, al-Shabaab ha dovuto anche fare i conti con un’aspra lotta di potere interna, conclusa nel giugno 2013, con l’affermazione della fazione capeggiata da Godane. Nel corso di questi contrasti, la strategia offensiva del gruppo è diventata sempre più brutale, mentre il supporto della popolazione somala nei confronti dell’organizzazione registrava un calo significativo. Tutto ciò, ha originato l’attuale predominio delle frange più estremiste che pongono l’obiettivo della restaurazione di un Califfato islamico in una Grande Somalia192. La potenza di al-Shabaab è stata ridotta anche a livello numerico, grazie ai numerosi arresti operati dalla polizia somala e alle ancora più numerose defezioni in favore del governo193, che hanno notevolmente ridotto la forza dell’organizzazione, che nel maggio 2011 contava su circa 14.500 effettivi, mentre adesso nelle sue fila dovrebbero militare circa 1.500 guerriglieri194. Tuttavia, gli islamisti somali sono riusciti a mantenere inalterata la loro capacità offensiva, come dimostra la clamorosa operazione portata a compimento, nel settembre 2013, al Nakumatt Westgate Mall di Nairobi, dove furono uccise 71 persone, di tredici nazionalità diverse. Ancora più micidiale l’attacco dello scorso 2 aprile in Kenya, dove un manipolo di shabaab ha fatto irruzione all’interno della North-Eastern Garissa University, situata a soli 150 chilometri dal confine con la Somalia. L’azione si è conclusa con un bilancio pesantissimo in termini di vite umane: 147 morti e 79 feriti, perlopiù studenti che frequentavano il Campus. Ai fini della nostra disamina, va ricordato che il giorno successivo al massacro, Bronwin Bruton, vice direttore dell’Africa Center al Consiglio Atlantico di Washington, sostenne che “l’assalto a Garissa poteva indicare l’intenzione di allineare al-Shabab, a lungo legata ad al- Qaeda, con lo Stato Islamico”195.

191 AMISOM è la missione dell’Unione Africana autorizzata il 19 gennaio 2007 per assicurare la sicurezza e la pace in Somalia. La missione è stata approvata dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 con la risoluzione 1744 che prevedeva la protezione dei membri del Congresso per la riconciliazione nazionale somalo e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave. AMISOM nasceva tecnicamente come “Peace Support”, ovvero di appoggio all’apparato di sicurezza delle Istituzioni federali di transizione 192 Ken Menkhaus, Political islam in Somalia, in “Middle East Policy”, marzo 2002. http://www.somali- jna.org/downloads/Menkhaus%20-%20Political%20Islam%20in%20Somalia.pdf 193 Defections put militant al-Shabab on the run in Somalia, in “BBC News”, 9 giugno 2012. http://www.bbc.com/news/magazine-18364762 194 Paul Szoldra, Al-Shabab: A Guide To The Terror Group Behind The Deadly Kenyan Mall Attack, in “Business Insider”, 22 settembre 2013. http://www.businessinsider.com/who-are-al-shabab-2013-9?IR=T 195 Bronwin Burton, Al-Shabab Crosses the Rubicon, in “Foreign Policy”, 3 aprile 2015. http://foreignpolicy.com/2015/04/03/al-shabab-crosses-the-rubicon-kenya/

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Il Dipartimento di Stato Usa, che dal febbraio 2008 ha inserito al-Shabaab nella lista delle organizzazioni terroristiche, evidenzia come la milizia islamista mantenga un certo controllo in alcune zone rurali della Somalia, nonché una presenza destabilizzante in alcune aree urbane, dove è ancora in grado di operare in relativa sicurezza196. L’eliminazione di molti dei suoi leader, la cacciata da Mogadiscio e la diminuzione delle risorse economiche hanno inferto duri colpi all’apparato logistico e organizzativo del gruppo estremista somalo, costringendolo al ritiro in aree periferiche di minore valore strategico197. Ciononostante, l’organizzazione è riuscita a ricavarsi un nuovo teatro operativo lungo la costa, a metà tra Mogadiscio e Chisimaio, da dove poter incentivare i propri traffici illeciti e perseguire la pratica del saccheggio degli aiuti umanitari, oltre a portare a termine nuovi e sanguinosi attacchi anche nella zona costiera del Kenia, dove il gruppo ha reclutato numerosi giovani aspiranti jihadisti198. In conclusione, lo Stato Islamico ha tutto l’interesse a infiltrare un’organizzazione ben strutturata, che opera in maniera tattica su una vasta area e continua a costituire una seria e costante minaccia per la sicurezza dei Paesi dell’Africa orientale e del Corno, soprattutto perché la sua strategia è paragonabile a quella di Boko Haram, anche se il volume di attacchi è più circoscritto rispetto al continuo susseguirsi di attentati terroristici operati dai radicali islamici nigeriani. Tuttavia, per la causa del Califfato al-Shabab potrebbe rivelarsi un risorsa ancora più preziosa di Boko Haram, perché a differenza del gruppo nigeriano ha mostrato la capacità di pianificare e condurre a termine attacchi mortali in Uganda, Etiopia, Gibuti e naturalmente in Kenya. Mentre Boko Haram ha circoscritto il suo raggio d’azione nel nord-est della Nigeria e in alcune città del Camerun e del Ciad, a ridosso dei porosi confini settentrionali del Paese, ma non ha ancora mostrato la capacità di attaccare un obiettivo sensibile nella capitale di un altro Stato. Purtroppo, è prevedibile che se in futuro al-Shabab deciderà di stringere totale alleanza con il Daesh, potrà operare un ulteriore salto di qualità negli attacchi ricorrendo all’uso di tattiche sempre più vistosamente violente, con l’intento di assumere un ruolo di maggiore rilevanza nella crudele competizione con gli altri affiliati dello Stato Islamico.

196 United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2014”, giugno 2015, cit. 197 Institute for Economics and Peace, Global Terrorism Index 2014 Report, 16 novembre 2014. http://www.visionofhumanity.org/sites/default/files/Global%20Terrorism%20Index%20Report%202014_0.pdf 198 Matt Bryden, The Reinvention of Al-Shabaab, Report of Csis Africa Program, Febbraio 2014, http://csis.org/files/publication/140221_Bryden_ReinventionOfAlShabaab_Web.pdf

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PARTE III

LO STATO ISLAMICO NEL SUD-EST PACIFICO

Australia: terra di foreign fighter

Nella vasta area che comprende il Sud-est Pacifico il sostegno per lo per Stato Islamico sta registrando un sensibile incremento di consensi tra gli estremisti musulmani, come dimostra il fermo, risalente all’agosto scorso, di sette volontari australiani pronti a partire dall’aeroporto internazionale di Sidney per unirsi ai terroristi dell’IS in Medio Oriente199. La cattura degli aspiranti foreign fighter è avvenuta grazie alle indagini condotte dalle unità antiterrorismo australiane, che per mesi hanno monitorato gli spostamenti tra Sydney e e i contatti di un certo numero di persone sospette200. L’episodio ha fatto seguito a un altro arresto, che pochi giorni prima aveva scosso l’opinione pubblica australiana, quello dell’infermiere trentanovenne Adam Brookman, fermato all’aeroporto di Sydney di ritorno dal Medio Oriente, che ha dichiarato di essere stato costretto dai militanti dello Stato Islamico a prestare assistenza medica in Siria201. Brookman è il primo australiano ad essere stato arrestato al rientro in patria con l’accusa di coinvolgimento con l’IS da quando, nel luglio dello scorso anno, i combattenti sunniti hanno dichiarato la costituzione di un Califfato202. Antecedentemente al fermo dell’infermiere, decine di australiani, sospettati di aver combattuto in Siria e in Iraq con le milizie del Daesh, avevano da tempo fatto ritorno a casa, ma per mancanza di prove nessuno di essi era stato tratto in arresto. Secondo il ministro degli Esteri di Canberra, Julie Bishop, il numero di australiani che nel 2014 hanno aderito all’IS è raddoppiato rispetto all’anno precedente, registrando una crescita inaspettata203. Ancora più preoccupante il fatto che sono almeno venti i cittadini australiani che sarebbero morti combattendo al fianco dei baghdadisti204.

199 Eliza Borrello, Susan McDonald, James Glenday, Islamic State: Seven more Australians stopped from joining Middle East terrorist groups: Abbott, in “ABC News”, 20 agosto 2015. http://www.abc.net.au/news/2015-08-20/seven- australians-stopped-at-airport-planning-to-join-is/6710728 200 Ibidem 201 Rod McGuirk, Australian Islamic State group medic arrested on return home, in “Associated Press”, 25 luglio 2015. http://bigstory.ap.org/article/19e7a6dffd6049deadc16db2f8865870/australian-islamic-state-group-medic-arrested- sydney 202 Ibidem 203 Australian Islamic State fighters doubled in past year: FM, in “Channel New Asia”, 28 settembre 2015. http://www.channelnewsasia.com/news/asiapacific/australian-islamic-state/2154994.html 204 Ibidem

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Lo Stato Islamico ha registrato un notevole successo nella sua campagna di reclutamento in Australia, dove abitano 24 milioni di persone, dei quali solo un esiguo 2% professa la religione mussulmana, come dimostrano i dati diffusi dall’ICSR, secondo cui tra i 100 e i 250 australiani si sarebbero uniti agli estremisti sunniti in Iraq e in Siria205. L’istituto di ricerca londinese ha pure stimato che circa la metà dei combattenti stranieri australiani hanno la doppia cittadinanza e che sono numericamente superiori a quelli provenienti dagli Stati Uniti, che contano una popolazione tredici volte più grande dell’Australia. E’ interessante notare, che uno fra i più importanti predicatori che hanno incitato i foreign fighter ad andare a combattere in Medio Oriente per la causa del Califfato è un imam estremista di origini italiane: Robert ‘Musa’ Cerantonio, nato trent’anni fa in Australia da madre irlandese e padre calabrese206. Il fondamentalista, come racconta in un video il lingua italiana postato su YouTube207, si è convertito all’Islam nel 2002 e nel luglio 2014 è stato arrestato nelle Filippine con l’accusa di istigazione al terrorismo. Per tre anni, Cerantonio è stato telepredicatore su Iqraa TV al Cairo e ha professato la sua teoria anche nelle moschee italiane di Bergamo e Ravenna, mentre secondo il Viminale potrebbe essere un reclutatore dell’IS, accusa confermata dalle autorità di che lo hanno rimandato in Australia. Musa tuttora non può allontanarsi da Melbourne, essendo inserito nella lista dei dodici predicatori più pericolosi del Paese208. Senza dimenticare, che alcuni autorevoli ricercatori come Peter R. Neumann, professore di contro-terrorismo presso il King’s College di Londra, ritengono che Cerantonio sia una delle due più importanti “nuove autorità spirituali”, che con la loro predicazione convincono un elevato numero di combattenti stranieri ad unirsi allo Stato islamico209. Sulla base di tutti questi elementi, nel gennaio 2015, il governo australiano ha elevato il livello di minaccia terroristica introducendo nuove leggi di sicurezza nazionale e portando a

205 ICSR Publications, Peter R. Neumann, Foreign fighter total in Syria/Iraq now exceeds 20,000; surpasses Afghanistan conflict in the 1980s, 26 gennaio 2015, cit. 206 Melissa Hills, Muslim preacher Robert ‘Musa’ Cerantonio has re-appeared online, in “Daily Mail Australia”, 7 novembre 2014. http://www.dailymail.co.uk/news/article-2825314/Australian-hate-preacher-posts-new-extremist- messages-online-telling-fighters-Paradise-die-Islamic-faith.html 207 Il video è visibile integralmente al link https://www.youtube.com/watch?t=23&v=EECDyhdK4C4 208 CERANTONIO MUSA/Chi è l’Imam estremista di origini italiane, in “ilsussidiario.net”, 11 luglio 2014. http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/Chi-e-/2014/7/11/CERANTONIO-MUSA-Chi-e-l-Imam-estremista-di- origini-italiane-Video-/513691/ 209 Graeme Wood, What ISIS Really Wants, in “The Atalantic”, marzo 2015, cit.

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compimento una serie di raid antiterrorismo per arginare la minaccia dell’Islam radicale, che sta attraendo sempre più proseliti nel Paese210. Canberra ha inoltre più volte manifestato la sua preoccupazione per un cospicuo numero di terroristi condannati che stanno per essere rilasciati dalle prigioni indonesiane, oltre al rischio latente che il radicalismo islamico possa essere diffuso all’interno del sistema carcerario locale, come è accaduto precedentemente in altri Paesi211.

La Katibah Nusantara

Il fulcro della minaccia jihadista nell’estesa area geografica del Pacifico sud-orientale si concentra soprattutto nel Sud-est asiatico, dove negli ultimi mesi un elevato numero di gruppi operativi nella regione hanno giurato fedeltà al califfo al-Baghdadi212. Il forte sostegno di cui gode l’IS nella regione è ancora più evidenziato dalla presenza nelle fila del Daesh, di un’intera unità militare di terroristi provenienti da Indonesia, Malesia e Singapore. Questa formazione combattente è chiamata Katibah Nusantara213, costituitasi nel settembre dello scorso anno nella città di al-Shadadi, situata tra le province di Deir Ez Zor e Hasaka, nel nord-est della Siria, con il conclamato obiettivo di sostenere l’istituzione del Califfato, supportandone l’ascesa del nella regione asiatica sud-orientale e agevolando le partenze per i territori siro-iracheni214. La maggior parte dei capi della Katibah Nusantara sembrano essere indonesiani, anche se tra loro ci sono anche alcuni malesi215. L’Unità è suddivisa in vari reparti e la sua elevata capacità offensiva e l’efficiente gestione militare si sono manifestate chiaramente all’inizio dello scorso aprile, quando ha ottenuto il suo primo importante successo sul campo di battaglia catturando cinque guerriglieri curdi nei territori del Kurdistan siriano216.

210 Matt Siegel, Australia raises terror threat level against police to ‘high’, in “Reuters”, 19 gennaio 2015. http://www.reuters.com/article/2015/01/20/us-australia-security-police-idUSKBN0KT02A20150120 211 Samantha Hawley, Fears terrorists released from Indonesian prisons could pose risk to region, in “ABC News”, 29 settembre 2015. http://www.abc.net.au/news/2015-09-29/fears-terrorists-released-from-indonesian-prisons/6814632 212 Josh Rogin, Islamic State Is Rapidly Expanding in Southeast Asia, in “Bloomberg View”, 29 maggio 2015, http://www.bloombergview.com/articles/2015-05-29/islamic-state-makes-a-move-on-southeast-asia 213 Unità combattente dell’Arcipelago malese 214 Laura Southgate, The rise of Islamic State in Southeast Asia, in “Global Risk Insights”, 15 agosto 2015. http://globalriskinsights.com/2015/08/the-rise-of-the-islamic-state-in-southeast-asia/ 215 Ibidem 216 Jasminder Singh, ISIS’ plans for South-east Asia in global fight, in “The Strait Times”, 29 maggio 2015. http://www.straitstimes.com/opinion/isis-plans-for-south-east-asia-in-global-fight

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Un risultato evidenziato anche nei social media dello Stato Islamico, soprattutto nelle lingue malese e indonesiano in modo da attirare nuove reclute locali ad unirsi alla causa del Califfato217. Per arruolare nuovi miliziani, la Katibah Nusantara esercita la sua valenza ideologica anche per mezzo di manifesti propagandistici stampati in lingua malese oppure ricorre all’uso dei video, come Join the Ranks (Unirsi alle fila)218, pubblicato il 23 luglio 2014 su YouTube. Il filmato è sottotitolato in inglese e mostra il fondamentalista indonesiano Abu Muhammad al-Indunisiy, ritenuto il capo della Brigata Nusantara. Nei circa otto minuti di riprese, al-Indunisiy esorta i suoi correligionari ad abbracciare la guerra santa e a essere pronti a immolarsi in combattimento per ampliare lo Stato islamico in Iraq e in Siria. La Nusantara costituisce un punto di riferimento anche per limitare i problemi di comunicazione delle centinaia di miliziani del sud-est asiatico arruolati dall’IS, che combattono insieme a decine di migliaia di stranieri di lingua araba. Da rilevare pure, che mentre i mariti o i figli sono in Iraq e in Siria, la brigata aiuta economicamente le famiglie rimaste in Malesia e Indonesia, comprese quelle dei caduti in combattimento, e indottrina i combattenti incitandoli a continuare la lotta219. Forte del suo ascendente, la Katibah Nusantara sembra avere le carte in regola per aumentare la sua influenza nel processo decisionale dell’IS, che, a sua volta, potrebbe essere orientato a dare maggiore priorità al jiahd nel sud-est asiatico, trasformandolo in una zona di guerra. Nella sua costante attività di proselitismo, l’Unità dell’Arcipelago malese ricorre a ogni mezzo, come dimostra l’operato di Bahrumshah, in passato membro di spicco della Jemaah Islamiyah (JI), che per reclutare combattenti da inviare nei territori mediorientali è addirittura ricorso sui social media all’uso di bambini malesi e indonesiani220. La formazione e l’impegno nel jihad al di fuori dei confini regionali di questa unità combattente richiama alla mente Al-Ghuraba, la cellula della JI di base a Karachi, in

217 Ibidem 218 Il video è visibile integralmente al link https://www.youtube.com/watch?v=kxsPR_fYnk&oref=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3Dkx sPR-_fYnk&has_verified=1 219 Anton Chan, The Call of ISIS: The Medium and the Message Attracting Southeast Asians, in “Counter Terrorist Trends and Analysis”, Volume 7, Issue 4, maggio 2015. https://www.rsis.edu.sg/wp-content/uploads/2015/06/CTTA- May-2015.pdf 220 Katibah Nusantara: Islamic State’s Malay Archipelago Combat Unit – Analysis, in “NewsCentral”, 28 maggio 2015. http://newscentral.exsees.com/item/6c1a4e5d54513ff2c251e5e176875ae5-6305f492bbbec114e316b91aac2a9b17

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Pakistan, che per lungo tempo ha costituito il punto di riferimento per i militanti di lingua malese che combattevano in Afghanistan221. La recente cattura di oltre 150 sostenitori dello Stato Islamico in Malesia e in Indonesia, la scoperta di piani d’attacco contro obiettivi militari e civili della Malesia, i temibili gruppi nelle Filippine che hanno giurato fedeltà ad al-Baghdadi e il proclama dell’IS in cui anche Singapore viene identificato come un possibile bersaglio, sono tutti chiari segnali del crescente pericolo che l’Unità combattente dell’Arcipelago malese rappresenta per l’intera regione.

Un centro di reclutamento strategico

Ad alimentare i timori sulla penetrazione dell’IS nel sud-est asiatico, sono arrivate anche le dichiarazioni del primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong, che, nel maggio scorso, durante l’ultimo summit dei premier asiatici di Shangri-La, ha evidenziato che l’intera area si sta connotando come un “centro di reclutamento altamente strategico” per l’IS222. Recenti stime pubblicate sul Guardian, rivelano inoltre che dall’inizio del 2015 circa cinquecento jihadisti provenienti dall’Indonesia e duecento dalla Malesia sarebbero arrivati in Iraq e in Siria per arruolarsi nella fila dello Stato islamico223. Uno di essi, è portato come esempio dai fanatici del jiahd nel sud-est asiatico. Si tratta di Ahmad Tarmimi Malike, un operaio di ventisei anni, originario di Petaling Jaya, una città della Malesia situata nello Stato di Selangor, le cui imprese sono state pubblicate sul sito ufficiale del Daesh accompagnate dalla sua fotografia224. Malike ha avuto il dubbio onore di essere il primo attentatore suicida malese. Tutto si è consumato la mattina del 26 maggio 2014, quando alla guida di un veicolo militare imbottito di esplosivo si è fatto saltare in aria all’interno di un compound dell’esercito iracheno ad al- Anbar, uccidendo venticinque soldati225. Altri volontari malesi, infaustamente celebrati nel circuito dei social media dello Stato Islamico, sono il ventenne Abu Faz, ucciso in un attentato suicida in Iraq nel maggio 2014;

221 International Crisis Group, Indonesia: Jemaah Islamiyah’s Current Status, in “Asia Briefing N°63”, 3 maggio 2007. http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/asia/south-east- asia/indonesia/b63_indonesia_jemaah_islamiyah_s_current_status.ashx 222 Josh Rogin, Islamic State Is Rapidly Expanding in Southeast Asia, in “Bloomberg View”, 29 maggio 2015. http://www.bloombergview.com/articles/2015-05-29/islamic-state-makes-a-move-on-southeast-asia 223 Patrick Wintour, David Cameron: global pressure growing on Isis, in “The Guardian”, 27 luglio 2015. http://www.theguardian.com/world/2015/jul/27/cameron-global-pressure-isis-turkey-air-strikes 224 ISIS and the first Malaysian suicide bomber, in “The Star Online”, 14 giugno 2014. http://www.thestar.com.my/news/nation/2014/06/14/isis-and-the-first-malaysian-suicide-bomber/ 225 Ibidem

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Fadhlan Shahidi, nome di battaglia Abu Muhajir, 21 anni, caduto il 9 settembre 2014 durante un’operazione in Siria contro i lealisti di Bashar al-Assad, la sua eliminazione ha avuto un vasto seguito popolare per il coraggio dimostrato in combattimento226; il quarantaseienne Lotfi Ariffin alias Abu Musab, morto in Siria il 14 settembre 2014a causa delle ferite riportate in battaglia, le cui gesta hanno indotto molti malesi a partire alla volta del Medio Oriente per arruolarsi nelle milizie dello Stato Islamico227. Il reclutamento dei volontari jihadisti nel sud-est asiatico avviene per la maggior parte dei casi mediante siti Internet e social network, praticamente utilizzando i medesimi sistemi adottati in altri Paesi islamici e occidentali. E’ il caso del sito web indonesiano filo IS al-Mustaqbal.net, oscurato nel settembre dello scorso anno, oppure del forum Islam al Busyro, chiuso di recente. Nelle sezioni di questo forum fondamentalista era possibile visionare materiale propagandistico distribuito dall’IS e dalle sue organizzazioni affiliate nella regione, oltre che filmati di esercitazioni militari e sermoni coranici228. Il mondo dei social media è pieno di blog, pagine Facebook e account Twitter malesi e indonesiani, che condividono contenuti scritti da militanti dell’IS, offrendo il loro sostegno al Califfato e alla causa del jihad globale229. Date tali premesse, appare evidente l’estrema importanza che assume il monitoraggio della potenziale attività jihadista online per arginare l’espansione dello Stato Islamico nella regione. La propaganda degli islamisti indonesiani si svolge anche nelle Università di Jakarta, come dimostra l’infiltrazione nei campus dei gruppi radicali per attirare giovani ed entusiasti studenti che possono essere iniziati alla guerra santa230. Come già riscontrato in precedenza, il rischio maggiore di attentati da parte dell’IS nella regione deriva principalmente dal ritorno dei foreign fighter, che, dopo aver militato tra i baghdadisti in Siria e Iraq, tornano in patria ancora più indottrinati e maggiormente inseriti nel network jihadista internazionale.

226 Young malaysian terrorists killed in Syria, in “LiveLeak”, 12 settembre 2014. http://www.liveleak.com/view?i=73d_1410559384 227 Wilhelm Hofmeister, Sarmah Megha, Panorama 01/2015 – From the Desert to World Cities: The New Terrorism, Konrad Adenauer Stiftung, Singapore, 14 luglio 2015. http://www.kas.de/wf/doc/kas_42032-544-2- 30.pdf?150714075727 228 Jihad Online: ISIS’ Use of the Internet in South-East Asia, in “Chainsoff’s Blog”, 1 settembre 2015. https://chainsoff.wordpress.com/2015/09/01/jihad-online-isis-use-of-the-internet-in-south-east-asia/ 229 Ibidem 230 Nani Afrida, Violent jihad gaining ground on campus, in “The Jakarta Post”, 19 maggio 2011. http://www.thejakartapost.com/news/2011/05/19/violent-jihad-gaining-ground-campus.html#sthash.0eWYvVo6.dpuf

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I miliziani rimpatriati hanno notevolmente affinato le loro capacità di combattimento e potrebbero essere mobilitati per effettuare attacchi in ogni parte dell’Asia sud-orientale. A differenza dei membri della JI reduci dalla guerra in Afghanistan, in questa nuova fase di terrorismo jihadista, le forze di polizia di tutta la regione si troverebbero di fronte una compagine che ha ricevuto un più qualificato addestramento militare e molto più forte in termini ideologici e operativi. La presenza di questi mujaheddin di ritorno nelle zone in cui la presenza di gruppi islamisti è particolarmente elevata e comporta una seria minaccia per molti Stati del sud-est asiatico. Molti esperti sono concordi nel ritenere che il rischio maggiore di deriva fondamentalista sia presente in Indonesia, nazione che supera i 250 milioni di abitanti e ha al suo interno la più grande popolazione musulmana del mondo, nonostante nella costituzione non sia presente alcun riferimento alla religione islamica231. Il Paese asiatico ha una lunga storia di attentati terroristici portati a termine dalla precedente generazione di jihadisti addestratasi nei campi di al-Qaeda basati in Afghanistan orientale, che al loro ritorno in patria diedero vita alla JIyah232. La rete terroristica legata ad al-Qaeda e attiva in molti Paesi del sud-est asiatico si è resa artefice del micidiale duplice attacco sferrato nell’ottobre 2002 presso il Sari Club di Bali e il Paddy’s Pub di Kuta, dove persero la vita 202 persone, soprattutto turisti, di cui 88 australiani. Per la strage furono arrestati più di trenta islamisti, tre dei quali: Amrozi Nurhasyim, Ali Gufron e Imam Samudra, vennero condannati a morte nel 2003 e giustiziati il 9 novembre 2008. La JI si rese responsabile di un altro sanguinoso attacco a Jakarta nell’agosto 2003, quando un kamikaze si fece esplodere a bordo di un’auto-bomba contro l’ingresso dell’hotel JWMarriott, provocando la morte di quindici persone. Poi, nell’ottobre 2005, il gruppo islamista colpì di nuovo l’isola di Bali, uccidendo 26 persone in un attentato contro due ristoranti sulla spiaggia di Jimbaran e un terzo locale a Kuta Beach, frequentati da turisti occidentali. Nel corso del tempo, le autorità indonesiane hanno inflitto durissimi e destabilizzanti colpi all’organizzazione, che hanno portato all’arresto di oltre settecento persone, che in alcuni casi hanno pure suscitato aspre polemiche relative a reiterate violazioni dei diritti umani233.

231 Dealing with the Lure of the Islamic State in Southeast Asia, in “CogitAsia”, 17 settembre 2015. http://cogitasia.com/dealing-with-the-lure-of-the-islamic-state-in-southeast-asia/ 232 National Counterterrorism Center. http://www.nctc.gov/site/groups/ji.html 233 Indonesia, il turismo copre il terrore, in “Famiglia Cristiana”, 26 novembre 2012. http://www.famigliacristiana.it/articolo/bali-il-turismo-e-piu-forte-della-paura.aspx

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Secondo le autorità indonesiane, l’evoluzione del terrorismo di matrice radicale islamica nel loro Paese è stata caratterizzata dall’imporsi dello Stato Islamico nel frammentato scenario fondamentalista della regione, con la sostanziale differenza che gli attentatori della nuova generazione non pianificano accuratamente i loro attacchi per mesi, come facevano i membri della JI, ma agiscono velocemente e in modo indipendente sotto l’egida del Califfato, la cui influenza arriva a farsi sentire nel lontano sud-est asiatico, in particolare in Indonesia234.

Il bayah di Abu Bakr Bashir

Peraltro, un personaggio di spicco dell’estremismo islamico nel sud-est asiatico come Abu Bakr Bashir, che nel 2008 ha fondato la Jemaah Ansharut Tauhid (JAT) ed è ancora considerato il leader spirituale della JI, si pone come figura di raccordo tra il Daesh e i miliziani del sud-est asiatico. Bashir, nell’agosto dello scorso anno, ha giurato fedeltà all’IS dal carcere di massima sicurezza di Pasir Putih, sull’isola di Nusamambangan, nella provincia di Giava centrale, dove sta scontando quindici anni di condanna per terrorismo. Il suo bayah è stato proclamato con altri 23 prigionieri nella stanza della preghiera del penitenziario e invitando tutti i suoi seguaci a sostenerne la causa del Califfato235. L’ideologia del califfo al-Baghdadi avrebbe fatto presa anche su un altro gruppo particolarmente attivo in Indonesia, quello dei Mujahidin dell’Indonesia orientale, formazione di matrice salafita sorta nel 2010 e operativa nel distretto di Poso sull’isola di Sulawesi, dove nel 2012 è stato scoperto un campo di addestramento terroristico236. I Mujahidin dell’Indonesia orientale è considerato uno dei pochi gruppi che attualmente costituiscono una minaccia reale per l’Indonesia, sia per i ripetuti attacchi contro le forze di sicurezza locali che per i timori sull’influenza dello Stato Islamico tra i suoi militanti237. A capo dell’organizzazione c’è Abu Wardah Santoso, il terrorista islamico più ricercato del Paese, che lo scorso maggio è scampato alla cattura in un’operazione antiterrorismo

234 Richard C. Paddock, I-Made Sentana, Fears Grow Over Islamic States Influence in Southeast Asia, in “The Wall Street Journal”, 17 luglio 2015. http://www.wsj.com/articles/fears-grow-over-islamic-states-influence-in-southeast- asia-1437106924 235 Robert Spencer, Indonesia jihad leader Abu Bakar Bashir pledges allegiance to Islamic State, in “Jihad Watch”, 5 agosto 2014. http://www.jihadwatch.org/2014/08/indonesia-jihad-leader-abu-bakar-bashir-pledges-allegiance-to- islamic-state 236 Mujahidin Indonesia Timur (MIT), in “Terrorism Research e Analysis Consortium”. http://www.trackingterrorism.org/group/mujahidin-indonesia-timur-mit 237 Mujahidin Indonesia Timur (MIT), in “Terrorism Research e Analysis Consortium”. http://www.trackingterrorism.org/group/mujahidin-indonesia-timur-mit

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condotta dalla polizia indonesiana a Makassar, capitale del sud Sulawesi, in cui sono rimasti uccisi due militanti e arrestati altri sette, sospettati di essere collegati al leader jihadista238. Un’altra figura di indubbio rilievo nel network jihadista del sud-est asiatico è Oman Rochman, alias Aman Abdurrahman, che attualmente si trova in carcere ed è ritenuto uno dei più influenti ideologi salafiti della regione, oltre a essere considerato il principale traduttore indonesiano dei testi in lingua araba diffusi dallo Stato Islamico239. Nell’arco di questa disamina, è molto importante ricordare che uno dei principali motivi che inducono i miliziani della regione a unirsi alle fila dell’IS è connesso allo contrapposizione confessionale tra sciiti e sunniti. In alcuni Paesi del sud-est asiatico, come l’Indonesia, i diritti degli sciiti subiscono gravi limitazioni, mentre la Malesia è l’unico Paese al mondo dove il ramo dell’Islam sciita è addirittura bandito240. Tale discriminazione comporta che la totalità dei membri dei principali gruppi radicali islamici dei due Paesi siano sunniti nettamente orientati verso una posizione anti sciita. Nell’adesione dei musulmani del sud-est asiatico al jihad di matrice baghdadista, c’è anche una componente teologica basata su una credenza apocalittica, secondo cui, i miliziani asiatici ravvisano nella missione dello Stato Islamico il compimento della profezia coranica relativa all’istituzione del Califfato e al ritorno del Madhi, come profetizzato in un hadith del quarto califfo Ali Bin Abi-Talib, genero di Maometto e personaggio chiave nella spaccatura fra sciiti e sunniti.

Le nuove organizzazioni fondamentaliste

Secondo il Terrorism Research & Analysis Consortium, dai primi mesi del 2014, negli Stati malesi di Perak e Selangor sono attive quattro nuove organizzazioni estremiste islamiche241. Le formazioni islamiste si identificano solo attraverso i loro acronimi: BKAW, BAJ, DIMzia, ADI e operano indipendentemente l’una dall’altra, ma condividono tutte un unico comune obiettivo, vale a dire la creazione di un Califfato islamico chiamato Daulah Islamiah Nusantara, in una vasta area comprendente Malesia, Indonesia, Singapore e le regioni

238 Antonio Albanese, Jihadisti arrestati in Indonesia, in “Agc Comunication”, 25 maggio 2015. http://www.agccommunication.eu/component/content/article/89-regoledingaggio/11049-indonesia-arresti-jihadisti 239 Navhat Nuraniyah, How ISIS Charmed the New Generation of Indonesian Militants, in “Middle East Institute”, 9 gennaio 2015. http://www.mei.edu/content/map/how-isis-charmed-new-generation-indonesian-militants 240 In otherwise tolerant Malaysia, Shiites are banned, in “Al-Arabiya News”, 2 ottobre 2015. https://www.alarabiya.net/articles/2011/01/14/133463.html 241 Terrorism Research & Analysis Consortium, Daulah Islamiah Nusantara Groups. http://www.trackingterrorism.org/group/daulah-islamiah-nusantara-groups-%E2%80%93-general-profile

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meridionali di Thailandia e Filippine242, una sorta di trasposizione figurativa orientale del Califfato islamico autoproclamato dall’IS nei territori occupati di Siria e d Iraq. Gli osservatori locali ritengono che questi gruppi si siano sviluppati da alcune cellule della JI e della ormai disciolta Kumpulan Mujahidin Malaysia, che reclutava jihadisti attraverso l’indottrinamento nelle scuole coraniche243. Le informazioni a disposizione delle autorità della sicurezza malese relative alle quattro sigle del terrorismo islamista locale sono piuttosto scarse. Finora è stato riscontrato che BKAW è molto attiva nel reclutamento di miliziani tramite i social network e che uno dei suoi membri sia stato il sopracitato Ahmad Tarmimi Maliki, il primo attentatore suicida malese a farsi esplodere in nome dello Stato Islamico244. Del gruppo DIMzia è noto che opererebbe come una brigata interna al BAJ e il suo leader sarebbe stato catturato dalle autorità malesi, mentre ADI godrebbe di particolari collegamenti con le corrispettive organizzazioni regionali, come l’indonesiana JAT di Abu Bakr Bashir245. Fonti dell’intelligence malese ritengono che dietro alle quattro sigle ci siano importanti finanziatori locali, tra i quali figurerebbero imprenditori, professionisti, notabili e anche un ex batterista di un gruppo rock246. Le medesime fonti hanno rivelato che questi gruppi, dopo aver provveduto al loro addestramento nel campo di Hudaibiyah gestito dal movimento filippino separatista islamico Abu Sayyaf, inviano cittadini malesi in Iraq e Siria per arruolarsi nelle milizie dello Stato Islamico247. La polizia malese sta monitorando da tempo un’altra organizzazione terroristica chiamata Darul Islam, attiva nella regione di Sabah che si estende nella parte settentrionale dell’isola del Borneo, al confine con l’Indonesia. Il gruppo estremista islamico formatosi sul suolo nazionale, già nel 2006 era monitorato dalle autorità locali, che in un’importante operazione

242 Ibidem 243 Yiswaree Palansamy, In hunt for Malaysians joining Islamic State, a faceless menace, in “Malay Mail online”, 6 ottobre 2014. http://www.themalaymailonline.com/malaysia/article/in-hunt-for-malaysians-joining-islamic-state-a-faceless- menace 244 Stefanie Kam e Robi Sugara, Indonesia, Malaysia and the Fight Against Islamic State Influence, in “The Diplomat”, 11 settembre 2014. http://thediplomat.com/2014/09/indonesia-malaysia-and-the-fight-against-islamic-state- influence/ 245 Stefanie Kam e Robi Sugara, Indonesia, Malaysia and the Fight Against Islamic State Influence, in “The Diplomat”, 11 settembre 2014, cit. 246 Exclusive: New terrorist threats, in “New Strait Times Online”, 30 giugno 2014. http://dev.nst.com.my/news/exclusive- new-terrorist-threats?d=1 247 Ibidem

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anti-terrorismo arrestarono dodici suoi membri sospettati di preparare attacchi anche fuori dalla Malesia248. Per quanto riguarda la Thailandia, invece, il Dipartimento di Stato americano nel suo ultimo annuale Country Reports on Terrorism, ha escluso ogni sorta di collegamento tra i ribelli islamisti attivi nell’estremo sud del Paese e lo Stato Islamico249. Tuttavia, i servizi di sicurezza thailandesi stanno esprimendo da tempo il timore che l’organizzazione di al-Baghdadi possa stabilire legami con gruppi separatisti operativi da decenni nella zona meridionale del Paese, come il Patani United Liberation Organization (PULO) e lo United Front for the Independence of Patani (UFIP), meglio conosciuto con il nome di Bersatu250.

Le organizzazioni filo IS nelle Filippine

Lo Stato Islamico è particolarmente attivo nelle Filippine, dove lo scorsa primavera ha avviato una massiccia campagna di reclutamenti, come si evince da un breve video pubblicato su Internet, che mostra alcuni miliziani rivolgersi ai fedeli dell’Islam esortandoli a supportare la causa del Daesh251. Interessante notare, che il filmato, girato nel novembre 2014, mostra un terrorista asiatico molto noto alle intelligence occidentali: uno degli assassini apparso nel video delle esecuzioni di sedici piloti siriani e di Peter Kassig, l’operatore umanitario statunitense sgozzato in Iraq dallo Stato Islamico. Tuttavia, le autorità di Manila non hanno mai confermato se il miliziano ripreso sia effettivamente filippino, ma secondo l’intelligence locale la probabilità è assai elevata. Soprattutto, in considerazione del fatto che nel sud delle Filippine, dove vivono la maggior parte dei musulmani del Paese, corrispondente a circa il 5% della popolazione, operano due importanti gruppi regionali che hanno giurato fedeltà al califfo al-Baghdadi. Il primo è il già citato gruppo paramilitare separatista Abu Sayyaf, che, nell’agosto 2014, attraverso il suo storico leader Isnilon Hapilon ha rivendicato il proprio bayah allo Stato

248 Arrestati 12 terroristi nel Sabah: preparavano attacchi a nazioni confinanti, in “Asia News”, 30 maggio 2006. http://www.asianews.it/notizie-it/Arrestati-12-terroristi-nel-Sabah:-preparavano-attacchi-a-nazioni-confinanti- 6303.html 249 United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2014”, giugno 2015, cit. 250 Southern Thailand insurgents not linked to ISIS: US report, in “AsiaOne”, 21 giugno 2015. http://news.asiaone.com/news/asia/southern-thailand-insurgents-not-linked-isis-us-report#sthash.ciDHcgDh.dpuf 251 Amre Sarhan, VIDEO: ISIS Filipino fighter urges Jihadists in Philippines to join ISIS in Iraq and Syria, in “Iraqi News”, 4 maggio 2015. http://www.iraqinews.com/iraq-war/video-isis-filipino-fighter-urges-jihadists-philippines-join-isis-iraq- syria/

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Islamico con l’obiettivo di creare nella parte occidentale di Mindanao e nell’arcipelago di Sulu un Califfato sul modello di quello siro-iracheno istituito da al-Baghdadi252. L’alleanza tra l’IS e Abu Sayyaf è indubbiamente basata su un interesse reciproco, in quanto ai primi servivano basi sicure e campi di addestramento nel sud-est asiatico; mentre gli islamisti filippini erano alla ricerca di una nuova identità e sostegno, soprattutto dopo il deludente esito dell’adesione ad al-Qaeda e la crescente pressione da parte delle forze speciali filippine253. Una pressione che ha causato ingenti danni al movimento, limitandone in maniera significativa la capacità operativa e quella di reperire risorse finanziarie mediante i sequestri254. L’affiliazione al Daesh ha ridato slancio alla capacità operativa dei fondamentalisti di Abu Sayyaf, anche grazie all’arrivo di nuovi fondi nelle casse dell’organizzazione, che a sua volta ha messo a disposizione dei baghdadisti i propri campi di addestramento nell’isola di Mindanao, fornendo anche appoggio logistico ai miliziani in partenza per il Medio Oriente255. Importante notare, che i combattenti di Abu Sayyaf, a parte casi sporadici, non sono impiegati direttamente in territorio siro-iracheno, ma limitano la propria attività al reclutamento e all’addestramento dei foreign fighter, forti della lunga esperienza nella guerriglia anti-governativa256. Secondo il Dipartimento di Stato americano, nonostante non superi i quattrocento membri, Abu Sayyaf è considerata tra più violente le formazioni radicale islamiche di tutta l’area e finanzia gran parte delle sue attività attraverso sequestri di persona, rapine ed estorsioni, ma si ritiene che riceva anche finanziamenti da fonti esterne, tra cui le rimesse esterne dei lavoratori filippini all’estero e sostanziosi aiuti dagli estremisti islamici mediorientali257. Il gruppo è sempre rimasto attivo, conducendo numerosi attacchi contro obiettivi civili e governativi nel sud delle Filippine, come quello dello scorso 28 luglio, nel quale cinquanta

252 Michelle FlorCruz, Philippine Terror Group Abu Sayyaf May Be Using ISIS Link for Own Agenda, in “International Business Times”, 25 settembre 2014. http://www.ibtimes.com/philippine-terror-group-abu-sayyaf-may-be-using-isis- link-own-agenda-1695156 253 Terrorismo, l’Isis lancia una campagna di reclutamenti nelle Filippine, in “Il Velino”, 16 maggio 2015. http://www.ilvelino.it/it/article/2015/05/06/terrorismo-lisis-lancia-una-campagna-di-reclutamenti-nelle- filippine/d6931273-4818-4c40-89ab-a00667992944/ 254 Ibidem 255 BIFF, Abu Sayyaf Pledge Allegiance to Islamic State jihadists, GMA Network, 16 August 2014. http://www.gmanetwork.com/news/story/375074/news/nation/biff-abu-sayyaf-pledge-allegiance-to-islamic-state- jihadists 256 Wilhelm Hofmeister, Sarmah Megha, Panorama 01/2015 – From the Desert to World Cities: The New Terrorism, Konrad Adenauer Stiftung, Singapore, 14 luglio 2015, cit. 257 United States Department of State Publication Bureau of Counterterrorism, “Country Reports on Terrorism 2014”, giugno 2015, cit.

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militanti di Abu Sayyaf armati di fucili d’assalto hanno sparato sui civili in viaggio per festeggiare la fine del , uccidendone 21, tra cui sei bambini258. Il gruppo islamista filippino dal 10 agosto 1997 è inserito nella lista del Dipartimento di Stato americano che raggruppa le principali organizzazioni terroristiche straniere259. L’altra formazione islamista filippina affiliata all’IS, considerata particolarmente temibile, è il Movimento di liberazione islamico Bangsamoro (MLIB) sorto nel 2008 da una scissione del Fronte islamico di liberazione Moro. L’MLIB ha sempre rivendicato la propria alleanza con i baghdadisti anche attraverso vari video su YouTube, che nella maggior parte dei casi diffondono i proclami di fedeltà allo Stato Islamico letti dai portavoce del gruppo260.

Il rischio di una rete terroristica integrata

Nel contesto sopra descritto, emergono molteplici fattori di rischio legati alla diffusione della minaccia fondamentalista marcata dalla sigla dello Stato islamico nell’area del sud-est asiatico, come la già menzionata possibilità che i combattenti di ritorno dal Medio Oriente possano portare a termine attacchi terroristici nei loro territori di origine. Da parte loro, le autorità locali hanno mostrato di essere in grado di monitorare e contrastare il fenomeno attraverso un’intensa attività di intelligence, che ha portato all’arresto di un discreto numero di miliziani pronti ad unirsi agli uomini del Califfato, sebbene per arginare la diffusione dell’estremismo radicale sunnita nell’area, le forze di polizia avrebbero bisogno di ulteriori e più efficaci strumenti. Tuttavia, ci sono un paio di elementi che inducono a ridimensionare il rischio comunque latente dell’avanzata del Daesh nella vasta porzione di territorio asiatico. In primo luogo, il sostegno allo Stato islamico delle organizzazioni fondamentaliste attive nel sud-est asiatico non è generalizzato261. A questo, si aggiunge che la lingua araba rappresenta sempre un limite comunicativo per la stragrande maggioranza dei jihadisti asiatici provenienti da un’area in cui l’indonesiano ed il malese restano le lingue più diffuse. Malgrado ciò, i territori di Malesia, Indonesia e Filippine presentano una situazione in cui il rischio maggiore consiste nella possibilità della formazione di una rete integrata tra le

258 Ibidem 259 http://www.state.gov/j/ct/rls/other/des/123085.htm 260 Luca Lampugnani, ‘Foreign fighters’ e gruppi affiliati: la mappa dell'influenza internazionale dello Stato Islamico, in “International Business Times”, 14 ottobre 2014. http://it.ibtimes.com/foreign-fighters-e-gruppi-affiliati-la-mappa- dellinfluenza-internazionale-dello-stato-islamico 261 Thomas F. Lynch III, The Impact of ISIS on Global Salafism and South Asian Jihad, in “Hudson Institute”, 4 settembre 2015. http://www.hudson.org/research/11608-the-impact-of-isis-on-global-salafism-and-south-asian-jihad

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principali organizzazioni dell’area, accomunate dall’ideologia dell’estremismo radicale sunnita. Un’eventualità che comporterebbe una sempre maggiore frammentazione sociale, creando terreno fertile per la chiamata alle armi del Califfato, che nel suo audace disegno di dominio prevede l’instaurazione di una wilaya comprendente Malesia, Indonesia, Brunei, Singapore e le regioni meridionali di Thailandia e Filippine.

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ELENCO DELLE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI E DEGLI ACRONIMI

AMISOM = African Union Mission in Somalia AQIM = Al-Qaeda nel Maghreb Islamico DAESH = AL-Dawla al-Islamiyya fil Iraq wa’al-Sham ICSR= International Center for the Study of Radicalization and Political Violence IS = Stato Islamico ISI = Stato Islamico dell’Iraq ISIL = Stato Islamico dell’Iraq e del Levante ISIS = Stato Islamico in Iraq e Siria JAT = Jemaah Ansharut Tauhid JI = Jemaah Islamiyah JMA = Jaish al-Muhajireen wal-Ansar MIU = Movimento Islamico dell’Uzbekistan MLIB = Movimento di Liberazione Islamico Bangsamoro MJTF = Multinational Joint Task Force MUJAO = Movimento per l’unità e il jihad nell’Africa occidentale PULO = Patani United Liberation Organization QSIS = Al-Qaeda Separatists in Iraq and Syria UFIP = United Front for the Independence of Patani

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TESTI SPECIALISTICI

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NOTA SUL Ce.Mi.S.S262 e NOTA SULL’AUTORE

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.

Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria opera valendosi di esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di pensiero.

Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.

Marco Cochi

Giornalista professionista e analista politico presso il think tank Nodo di Gordio. Già ricercatore presso il Centro Altiero Spinelli dell’Università Roma Tre, cultore di Geopolitica presso la LUSPIO (ora UNINT) e dirigente dell’Ufficio Relazioni Internazionali di Roma Capitale. Autore di numerosi saggi su tematiche relative all’Africa sub-sahariana. Nel 2007, con il libro “L’ultimo Mondo – L’Africa fra guerre tribali e saccheggio energetico”, ha conseguito il Premio letterario internazionale Archè – Anguillara Sabazia Città d’Arte.

262 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx

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Stampato dalla Tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa