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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI POLITICA E GIURISDIZIONE NEL PENSIERO DI FRANCESCO MARIO PAGANO CON UNA SCELTA DI SUOI SCRITTI PAOLO DE ANGELIS POLITICA E GIURISDIZIONE NEL PENSIERO DI FRANCESCO MARIO PAGANO CON UNA SCELTA DI SUOI SCRITTI Prefazione di GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI © 2006 Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano Napoli - Via Monte di Dio, 14 V a Nelli POLITICA E GIURISDIZIONE NEL PENSIERO DI F.M. PAGANO VII PREFAZIONE Dei ‘giacobini’ fondatori della Repubblica Napoletana del 1799 il nome che viene primo alla mente è quello di Francesco Ma- rio Pagano, studiosissimo di Vico, discepolo di Antonio Genovesi, amico di Gaetano Filangieri. Per la sua autorità di giurista, univer- salmente riconosciuta, i suoi compagni gli affidarono il cómpito di redigere un progetto di costituzione per la nascente Repubblica. Al- tamente elogiato da Vincenzo Cuoco fin dalla prima stesura (1801) del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli («I suoi saggi politici sono la miglior cosa che si possa leggere dopo le opere di Vico»), nei Frammenti di lettere a Vincenzio Russo aggiunti al Saggio ricom- pare come principale destinatario delle critiche che il Cuoco move- va alla visione politica dei giacobini napoletani, la cui rivoluzione egli definì ‘passiva’ perché ispirata, a suo avviso, dall’ideologia ri- voluzionaria francese. Si legge infatti nel prologo al Progetto di co- stituzione che «ha esso adottato la Costituzione della Madre Re- pubblica Francese»; ma, ovviamente, «con alcune modificazioni» per «la diversità del carattere morale, le politiche circostanze, e ben anche la fisica situazione delle nazioni». Difficile sarebbe d’altron- de immaginare che il governo repubblicano di Napoli, costituito d’improvviso per evitar l’anarchia dopo la fuga dei sovrani, e for- mato da esponenti della nobiltà e della borghesia, di cultura preva- lentemente illuministica, potesse proporre «idee tratte dal fondo della Nazione» a sudditi di assai varia condizione e cultura, e tutti avviliti dall’avvicendarsi di monarchie assolute poco disposte a riforme non superficiali. Ma il Cuoco era naturaliter un ‘moderato’, al pari del Galanti, e difatti la sua partecipazione all’attività politica dei suoi amici repubblicani era stata assai lieve. Egli ha soltanto di- chiarato d’aver comunicato le sue obiezioni a più punti del Proget- to di Pagano non a questo stesso, ma al comune amico Vincenzio Russo; e può darsi che abbia voluto separare i Frammenti dal Sag- gio per non velare di un politico dissenso la commossa rievocazio- ne del martirio di tanti patrioti. VIII PREFAZIONE I ‘moderati’, fortemente influenzati dall’ammirazione per il Machiavelli, riponevano ogni virtù riformatrice nel ‘popolo’, o me- glio in quella parte del popolo che per superiorità di status sociale ed economico aveva capacità di suscitar moti e di governare. Non è questo il luogo per discutere questioni più volte dibattute, delle quali dà una chiara informazione un libro di Vincenzo Ferrone (La società giusta ed equa, Bari, 2003); e giova piuttosto rammentare, tanto a chi dichiara ‘passiva’ la rivoluzione napoletana quanto a chi la riconosce ‘attiva’, la pagina dettata da una sapiente equani- mità a Croce nella Storia del Regno di Napoli (p. 227 dell’ed. setti- ma, 1965): «Pure altra via, in verità, non si offriva alla classe intel- lettuale di Napoli, di fronte alla rivoluzione di Francia, se non quel- la che essa effettivamente seguì. Gli ‘illuministi’ del monarcato as- soluto dovevano rinnovarsi, come nel fatto si rinnovarono, in ‘gia- cobini’». Non senza ragione Croce ha salvato dall’oblìo la pagina di un giacobino del quale ha ammirato, nell’Albo della Rivoluzione (p. 70), la forza d’animo: Gregorio Mattei. Questi in un suo perio- dico, «Il Veditore Repubblicano», del germile (21 marzo - 20 apri- le) 1799, ha scritto (v. Croce, La rivoluzione del 1799, 7. ed., 1961, p. 234): «I giacobini di Napoli furono i primi che diedero il grido all’Italia sonnacchiosa: quando altri appena ardiva pensare, quan- do pareva ancor dubbia la sorte della Francia medesima, essi, gio- vani, inesperti, privi di mezzi, ma pieni di entusiasmo per la libertà, d’odio per la tirannia, tentarono un’impresa difficile, vasta, peri- gliosa, che, se non fosse andata a vuoto, gli avrebbe resi immortali, e felice l’Italia»; e nel medesimo foglio, in una lettera datata 30 ger- mile e diretta a Vincenzio Russo: «Puoi tu figurarti che tre mesi d’immatura e inaspettata rivoluzione bastino per rendere virtuosi come gli Spartani della prima guerra persiana e i Romani della pri- ma guerra punica? […] attualmente da tre punti di gran dettaglio pende la salute di questa nascente Repubblica: la formazione di un’armata, la restituzione del valore rappresentativo delle carte, l’a- bolizione intera del feudalesimo». È evidente che i giacobini di Napoli erano consapevoli dei problemi che avrebbero dovuto ri- solvere e dell’assoluta impreparazione della maggior parte della po- polazione del Regno. E ancora Croce, richiamando questa lettera, indica il positivo risultato di quel coraggioso tentativo di rivoluzio- ne (Storia del Regno di Napoli, p. 229): «Quei giacobini napoletani, uniti coi loro fratelli di tutta Italia, trapiantarono in Italia l’ideale della libertà secondo i tempi nuovi, come governo della classe col- ta e capace, intellettualmente ed economicamente operosa, per PREFAZIONE IX mezzo delle assemblee legislative, uscenti da più o meno larghe ele- zioni popolari; e, nell’atto stesso, abbatterono le barriere che tene- vano separate le varie regioni d’Italia, specialmente la meridionale dalla settentrionale, e formarono il comune sentimento della nazio- nalità italiana, fondandolo non più, come prima, sulla comune lin- gua e letteratura e sulle comuni memorie di Roma, ma sopra un sentimento politico comune». Il fatto è che in quegli studiosi del Vico fattisi giacobini era vi- va un’idea che ha sempre animato quanti – probabilmente già da Pitagora, certamente da Platone in poi – han volto la mente, prima di ogni calcolo di possibilità d’attuazione, al parádeigma di una po- lis retta da leggi elaborate da philósophoi: un ideale che era nato da profonda esperienza storica ed era illuminato da un sentimento di umana solidarietà: «Nel cielo, in verità, v’è un modello per chi vo- glia contemplarlo e, contemplandolo, riformare se stesso» (Platone, Repubblica IX 592 B). ‘Celeste’ perché disegnato dalla divina Dikaiosyne, esso è sicura guida a quella che Platone chiama «costi- tuzione giusta ed equa» (Epistola VII 326 D). Attraverso secoli que- sto parádeigma si è ripresentato alla mente di Paolo Mattia Doria e di Giovambattista Vico; e quest’ultimo ha scritto nell’autobiografia: «da’ ragionamenti del Doria egli (Vico) vi osservava una mente che spesso balenava lumi sfolgoranti di platonica divinità onde da quel tempo restaron congionti in una fida e signorile amicizia. Fino a questi tempi il Vico ammirava due soli sopra tutti gli altri dotti, che furono Platone e Tacito; perché con una mente fisica incomparabi- le Tacito contempla l’uomo qual è, Platone qual dee essere». Con altri ammiratori del Machiavelli Galanti e Cuoco si erano sottratti alla suggestione platonica; non meno consapevoli del valore dell’in- dagine storica del Machiavelli, i lettori di Doria e di Vico divenuti giacobini coltivavano però con particolare impegno la scienza della legislazione e seguivano con attenzione tutte le esperienze politiche del loro tempo. Rivolgendosi ai ‘cittadini rappresentanti’, Pagano ha scritto all’inizio del Progetto: «Gran passi aveva già dati l’Ameri- ca in questa, diremo, nuova scienza, formando le Costituzioni de’ suoi liberi Stati». Filangieri, che morì nel 1788, e i suoi amici erano ben informati in proposito, grazie agli assidui contatti con espo- nenti di logge massoniche anglo-americane, e sapevano quanto dal 1787 discutessero delle dottrine politiche dell’antichità classica i Costituenti americani. (Ne tratta una lezione di un autorevole stu- dioso belga del pitagorismo, Armand Delatte, edita nel 1948: La constitution des États-Unis et les Pythagoriciens). X PREFAZIONE I saggi di un eminente storico, Gioele Solari, hanno aperto la via ad una corretta intelligenza del pensiero politico e dell’azione del Pagano, nel quale erano giustamente riposte le maggiori spe- ranze dei fondatori della Repubblica Napoletana. Ora un dotto giu- rista, particolarmente versato nel diritto pubblico, e inoltre fervido cultore delle humanae litterae, ripropone con questo libro la lettu- ra dei Saggi politici e del Progetto di Costituzione, e premette ai te- sti paganiani un ampio saggio su Politica e giurisdizione nel pensie- ro di F. M. Pagano. A chi ne leggerà le pagine non potrà sfuggire l’importanza delle sue ricerche e conclusioni, che non solo portano nuovi contributi alla conoscenza della cultura storica e giuridica del Pagano – dalle non mai dimenticate lezioni di Vico all’esperienza ri- voluzionaria – ma invitano ad approfondire lo studio dei suoi scrit- ti e dell’influenza che essi hanno esercitato nel processo di forma- zione della dottrina liberale europea. GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI PREMESSA Spiegare il conoscere è dunque vedere come sia possibile il giudicare. B. Spaventa Il pensiero filosofico di Francesco Mario Pagano si svolge pre- valentemente intorno all’elaborazione della sua opera fondamenta- le, i Saggi Politici, che ebbe due distinte edizioni tra il 1783 e il 17921 e in cui si trova il nucleo del programma di riforma del dirit- to pubblico. Il tema ricorrente della ricerca storico-filosofica consi- ste nella analisi del corso di costituzione della sovranità e del supe- ramento delle condizioni politiche del feudalesimo: l’istoria dei pro- gressivi avanzamenti della potestà sovrana, “dallo stabilimento delle prime società” ai “principj e progressi delle società colte e compiu- te”. L’ultima parte dell’opera, che verrà completamente ritrascritta nella seconda edizione fino a formare un saggio autonomo rispetto alla prima stesura, è riservata alla “Decadenza delle nazioni” e alle cause della corruzione dello Stato.