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SENTIREASCOLTARE online music magazine FEBBRAIO N. 28

Of Montreal Takagi Masakatsu Benjy Ferree David Kitt P.G. Six Bobby Conn Rafter Polvo Wallace Records Third Eye Foun- dation / Matt Elliott Charles Ives

Patrick Wolfs e n t i r e a s c o l t a r e  sommario

4 News 8 The Lights On Rafter, P.G. Six, David Kitt, The Good The Bad And The Queen 1 2 Speciali Benjy Ferree, Wallace Records, Takagi Masakatsu, Bobby Conn, , Patrick Wolf 33 Recensioni Apples In Stereo, Bloc Party, The Earlies, , Joakim, The High 10 Llamas, Uncode Duello, , Sophia, Trans Am... 71 Rubriche (Gi)Ant Steps Max Roach We Are Demo Classic Third Eye Foundation / Matt Elliott, Polvo Cinema Binder, Bass, Cooper Apocalypto, The Prestige, Il grande 16 capo, L’arte del sogno… I cosiddetti contemporanei Charles Ives

Direttore Edoardo Bridda Coordinamento Antonio Puglia Consulenti alla redazione Daniele Follero Stefano Solventi Staff Valentina Cassano Antonello Comunale Teresa Greco 34 Hanno collaborato Gianni Avella, Davide Brace, Marco Braggion, Gaspare Caliri, Roberto Canella, Paolo Grava, Manfredi Lamar- tina, Emmanuele Margiotta, Andrea Monaco, Massimo Padalino, Stefano Pifferi, Stefano Renzi, Vincenzo Santarcangelo, Michele Saran, Alfonso Tramontano Guerritore, Giancarlo Turra, Fabrizio Zampighi, Giusep- pe Zucco Guida spirituale Adriano Trauber (1966-2004) Grafica Edoardo Bridda, Valentina Cassano 84 in copertina Patrick Wolf

SentireAscoltare online music magazine Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05 Editore Edoardo Bridda Direttore responsabile Antonello Comunale Provider NGI S.p.A.

Copyright © 2007 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati. s e n t i r e a s c o l t a r e  La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare news a cura di Teresa Greco

In arrivo il 15 maggio su Nonesuch Sky Blue Sky dei , annunciato da Jeff Tweedy nel corso di un concerto solista a Nashville settimana scorsa; l’ sarà missato da Jim O’ Rourke. Assaggi di nuovi pezzi sono stati gia dati nel corso di apparizioni live negli scorsi mesi. Intanto, il duo formato da John Stirrat e Pat Sansone, Autumn Defence, ha un disco omonimo in uscita il 16 gennaio su Broadmoor, la label di Stirrat…

Nuovo disco per i Dinosaur Jr. della reunion: Beyond sarà pubblicato il 1 maggio su Fat Possum, con distribuzione Self…

News da Temporary Residence: entrano nel roster i Maserati, gruppo psych strumentale, che pubblicherà nella tarda primavera Inventions For The New Season , mentre i By The End Of Tonight hanno concluso la registrazione degli EP curati individualmente da ogni membro del gruppo, per 4 EP (in formato 3”) che saranno stampati in edizione limitata (500 copie ciascuno) e le cui facciate, una volta unite formeranno un dise- gno…

Della serie “se non son pazzi non li vogliamo”, per la piccola label ame- ricana Furniture Records è in uscita una serie in 6 volumi dal titolo Sheets Of Easter Everywhere che è proprio quello che viene da pensa- re: un tributo alla suite che apriva Each One Teach One degli Oneida. Partecipano tra gli altri AIDS Wolf, Excepter, Genghis Tron, Parts & La- bor, Pit er Pat, Plastic Crimewave Sound...

Nuove uscite su Southern: il debutto di Young James Long, gruppo com- posto, tra gli altri, da Kirkland James (Tenderlion) e Taylor Young (Poli- phonic Spree, Young Heart Attack e PW Long); a fine di marzo è previsto un live dei Karate, 595, che potrebbe essere l’ultima uscita a nome del gruppo viste le intenzioni di scioglimento…

Ancora reunion: Kevin Shields non ha escluso la possibilità di una reu- nion dei My Bloody Valentine, a sedici anni di distanza dall’ultimo disco, Loveless, anche se non ha fornito maggiori dettagli per il momento; per il Coachella Festival in aprile si realizzeranno altri due comeback: i Rage Against The Machine (il cui ritorno di Zack De La Rocha potrebbe veri- ficarsi solo per questa occasione) e Jesus And Mary Chain (non si sa al momento se la formazione sarà al completo)…

In lavorazione da alcuni mesi il nuovo disco - ancora senza nome - di Bjork. Per l’occasione il cast prevede: Timbaland, Antony, i batteristi Chris Corsano e Brian Chippendale (Lightning Bolt), Toumani Diaba- te e Kokono n.1. L’uscita è prevista per la tarda primavera…

In una intervista alla BBC, Brian Eno rivela che sarà lui a produrre il prossimo album dei Coldplay…

Trent Reznor annuncia, con un comunicato sul sito ufficiale, l’uscita di

 s e n t i r e a s c o l t a r e Year Zero, previsto per aprile, già in fase di missaggio…

I Sigur Ros sono tornati in studio per lavorare sul prossimo disco previsto per fine 2007, con recupero anche di vecchio materiale mai pubblicato…

Il nuovo disco delle sorelle Bianca e Sierra Casady, aka CocoRosie, The Adventures of Ghosthorse & Stillborn uscirà su Touch & Go il prossimo 9 aprile; registrato in Islanda, è prodotto da Valgeir Sigurdsson (Björk, Múm, Bonnie ‘Prince’ Billy, Howie B). Inoltre la label che Michel Gondry (che già in passato ha realizzato videoclip per Bjork, Daft Punk, Radiohead, White Stripes, Chemical Brothers e Beck tra gli altri) filmerà il video del singolo Rainbowarriors…

Ritorna Bright Eyes con Cassadaga, in uscita il 10 aprile su Saddle Creek, disco registrato tra Los Angeles, Portland e Lincoln, con ospiti come M. Ward, Gillian Welch e Janet Weiss delle Sleatery Kinney; dell’al- bum, sperimentale a detta dell’artista, si può avere un assaggio sul sito ufficiale, dove una volta iscritti alla mailing list, è possibile ascoltare il pezzo Endless Entertainment. Il disco sarà preceduto dall’EP Four Winds il 6 marzo, che include la title track e 5 b-sides non incluse nell’album…

News dagli Stereolab: è in lavorazione la loro soundtrack di un film fran- cese, La Vie d’Artiste, in uscita per settembre/ottobre su Too Pure/Beg- gars; intanto cominceranno a registrare il nuovo disco da febbraio, in previsione della pubblicazione prevista per settembre 2007…

Album in uscita per Malcolm Middleton degli ormai disciolti Arab Strap: Conor Orbset A Brighter Beat, seguito di Into the Woods, sarà pubblicato su Fulltime Hobby/PIAS/Self il 2 marzo; Aidan Moffat con il suo progetto elettronico L. Pierre (Lucky Pierre) ha pubblicato Dip il 15 gennaio…

Tornano i Savage Republic, protagonisti della trance californiana, con le ristampe dei 4 album in studio (dall’82 all’89) per la Mobilization. Rifor- matisi nel 2002, è previsto un loro nuovo disco in uscita a inizi 2007. Sa- ranno in tour in Italia a marzo, il 12 a Napoli (Rising South/ObsessionS) e il 13 a Roma (Init)…

Il nuovo disco di Bryan Ferry, Dylanesque, in uscita a marzo, sarà inte- ramente costituito di cover di Bob Dylan; registrato in una sola settimana alla fine dell’anno scorso con ospite Brian Eno, sarà un ritorno per l’arti- sta inglese alle canzoni del menestrello, già in passato da lui coverizzato più di una volta…

Due nuove uscite su Drag City: sesto album per Ethan Buckler titolare del progetto King-Kong, Buncha Beans sarà pubblicato a marzo, prodotto da Wink O’Bannon, storico chitarrista di Lousville. Bill Callahan lascia il moniker Smog e torna con un disco a suo nome (ma co-registrato e co- prodotto con Neil Michael Hagerty) dal titolo Walking on A Whaleheart,

s e n t i r e a s c o l t a r e  news a cura di Teresa Greco

che uscirà a maggio, preceduto a marzo da un singolo, Diamond Dancer che conterrà la title-track e Taken, pezzo che non farà poi parte dell’al- bum…

Ennesimo progetto per : Underground Animals è un collettivo di produttori, ognuno dei quali registrerà una canzone con un artista noto ma sotto pseudonimo, per un disco in uscita nel 2007 su Downtown Records/Atlantic; il collettivo avrà un’identità virtuale, con personaggi animati dalla Adult Swim…

Nuovo disco per i Tangerine Dream (con la formazione Edgar Froese, Thorsten Quaeschning, Chris Housle, Bernhard Beibl, Linda Spa, Gynt Beator, Thomas Beator, Iris Camaa e Vincent Nowak) in uscita ad aprile 2007; Madcap’s Flaming Duty è il titolo di un doppio CD/DVD, dedicato alla memoria di Syd Barrett scomparso lo scorso luglio. Il DVD contiene l’esecuzione in studio dell’intero album …

In attesa del disco dei Radiohead, news da Jonny Greenwood: il 6 marzo uscirà per la Trojan Records una compilation reggae, Jonny Greenwood Is the Controller, 17 song scelte dal chitarrista dal ricchissimo catalogo dell’etichetta, con nomi storici quali Desmond Dekker, Lee Scratch Perry e Gregory Isaacs, tra gli altri…

Rivelato il titolo del nuovo disco di Rufus Wainwright: Release The Stars sarà pubblicato a maggio 2007, disco prodotto da Neil Tennant dei Pet Shop Boys. Intanto Wainwrigh sta lavorando a uno spettacolo ispirato Danger Mouse a Judy Garland, che andrà in scena a Londra al Palladium in febbraio…

La vita di Keith Moon, batterista degli Who morto a soli 32 anni nel 1978, sarà oggetto di un film, dal titolo ancora provvisorio (See Me Feel Me) con protagonista Mike Myers (Austin Powers) e con la collaborazione di Roger Daltrey. Inoltre, la morte di James Brown nel giorno di Natale ha portato a un’accelerazione nei lavori per il suo biopic, già in fase di progettazione: sarà Spike Lee a realizzare la pellicola per la Paramount, sulla base di una biografia (scritta da Steve Baigelman) autorizzata dallo stesso artista…

Brent Liles, quarantatreenne bassista nei Social Distortion fino al 1984 e poi negli Agent Orange è morto dopo essere stato travolto da un camion mentre era in bicicletta su una strada di Placentia, in California; rimase nei Social Distortion dall’81 all’83, contribuendo a Mommy’s Little Mon- ster del 1983…

Scomparsi il sassofonista jazz Michael Brecker, la compositrice Alice Coltrane, moglie di John, e Denny Doherty del quartetto pop Mamas and Papas…

John Cale sarà in Italia a marzo per promuovere il Circus Live, doppio

 s e n t i r e a s c o l t a r e CD che documenta i tour europei tra il 2004 e il 2006, in uscita il 22 feb- braio su EMI/Capitol .Due le date previste, il 10 marzo al teatro Sanzio di Urbino (per la rassegna Territorio Musicale) e il 12 marzo a Milano al Rainbow…

Annunciati i primi nomi per il prossimo Primavera Sound Festival a Bar- cellona, previsto dal 31 maggio al 2 giugno prossimi. L’organizzazione, affidata all’ATP, ha già contattato Slint (che riproporranno Spiderland per intero), Modest Mouse, Vini Reilly (Durutti Column), Dirty Three, Low, Isis, Pelican, Brightback Morning Light,Grizzly Bear, Band of Hor- ses, Death Vessel e Oakley Hall…

Resi noti per ora alcuni dei partecipanti al festival di Glastonbury, il cui cartellone è stato completato e verrà ufficializzato solo il prossimo 1 apri- le: Bjork, Arctic Monkeys, e sarebbero della partita anche i Who…

Al via da febbraio Fosfeni, la rassegna di concerti - presso La Città del Teatro di Cascina (PI) -dedicata alla nuova scena musicale elettronica europea, con videoproiezioni, performance ed installazioni. Per quattro venerdì consecutivi la rassegna ospiterà il tedesco Schneider TM (23 febbraio), gli inglesi Isan (2 marzo), l’islandese Jòhann Jòhannsson (9 marzo) e le svedesi Midaircondo (16 marzo)…

Arriva la X edizione di Voci Per La Libertà - Una Canzone per Amnesty, le cui giornate conclusive si terranno dal 17 al 23 luglio a Villadose (Ro). Le iscrizioni al concorso, riservato a cantanti e gruppi musicali emergenti, sono aperte fino al 30 aprile 2007. Per maggiori info: http:// Slint www.vociperlaliberta.it; http://www.myspace.com/vociperlaliberta...

s e n t i r e a s c o l t a r e  The Lights On... Rafter

Black Heart Procession, Casta- Si alternano divertissement dove solitudine di “F” For Reach) ci ri- nets, The Fiery Furnaces, Pin- Emily abbaia (Boy, Girl) o procede cordano esperimenti ben più recen- back; questi e altri i nomi con cui da gagliarda riot ragazzina (Baba), ti (Tunng?) e disinvoltura di talenti si usa nel giro presentare un perso- temi Beck-iani per banda di paese quasi conterranei (Elvin Estrela, in naggio di San Diego, tal Rafter Ro- e chitarra distorta (Yes, No), fino arte Nobody). (7.0/10) berts. Si dice sia un veterano della a quella chicca (tra le altre) che Ci aspetteremmo allora un’ordinata sua scena, che tutti lo conoscono è Funny Like The Moon, un incro- limatura produttiva, un nuovo caso perché ognuno di loro ha goduto cio tra surf-punk e una trasognata di folktronica, e invece Music For della sua preziosa collaborazione, mazurca, con uno svincolo della Total Chickens (Asthmatic Kitty / da produttore, da musicista, da voce di Rafter (che recita ancora “I Wide, gennaio 2007) è più eccen- gobbo suggeritore. Tradizione vuo- wanna be a motorcycle”) sulla stra- trico che mai, al limite della schi- le poi (seppure si tratti di tradizione dina percorsa dall’usignolo swing di zofrenia. Rafter riesce a mangiarsi che nasce e muore con la clessidra Emily. Il tutto, il che è cosa ben im- ancora una volta la sua storia e la del pictionary) che tutti gli amici di portante, non dà mai l’impressione sua coda (questa volta i brani van- San Diego che conoscono Rafter e di voler essere ricercato (6.8/10). no dal 2003 al 2006), torna a umo- gli vogliono bene hanno offerto il Una caratteristica che Rafter si ri ormonali alla Bunky (Tragedy, loro gentile appoggio ai dischi del porterà appresso. E così l’anno ap- Unassailable) e anche ad atmosfere Nostro, e del suo gruppo prece- pena trascorso esce con 10 Songs, umorali alla 10 Songs (Hope). Nar- dente, i Bunky, in condivisione con disco solista d’esordio. Il nostro razioni rumoriste che ricordano gli quello scricciolo impudente che è perde il fanciullo caciarone ch’era innesti fatti dagli Xiu Xiu (Encou- Emily Joyce. nei Bunky; ma la seriosità non ma- ragement); a volte la sconnessio- Di fatto il Roberts viene apprezzato tura in un solo anno, perchè le trac- ne tra ritmica e armonia, i tappeti anche dal Sufjan, che nella sua eti- ce di 10 Songs - “sorpresa!” - sono batteristici sconnessi (Intent), fan- chetta (la Asthmatic Kitty) lo ha ac- datate tra il 1998 e il 1999, archi- no pensare dritto dritto agli Storm cettato come un bambino alla mam- tettate e assemblate nel suo gara- & Stress di Under Thunder And mella di lupa. E allora in data 2005, ge (secondo una mitologia diffusa, Fluorescent Light, legame non ri- dopo una serie di live che pare sia “con pochi mezzi”) e poi tenute nel cercato, ne siamo certi. quantomeno limitato chiamare in- cassetto (degli attrezzi); ciò, col Anche qui si lavora sodo su shifting die-pop, viene alla luce Born To Be senno di poi, l’unico disponibile, enunciazionali (Gentle Men); la re- A Motorcycle dei Bunky – per la non lascia indifferenti. torica messa in risalto è la compe- Asthmatic, appunto –, disco adulto Si possono allora tentare due chia- tizione tra lo sviluppo dei brani e gli e infantile insieme, carrozzone a vi di interpretazione: da un lato escamotage produttivi a mettergli i base pop e sovrastrutture bellicose, l’abilità con gli arnesi del mestiere bastoni tra le ruote. Si rischia la creatività e sconnessione, inserti di di produttore preannunciano gli esi- frittata, ma Rafter dà all’ascoltatore rumore comic-core, propaggini del- ti del lavoro successivo (la facilità due cose: divertimento e curiosità; l’indie che in California certo non con cui gioca con la drum machine a conti fatti sarebbe da polli dare a sono cosa nuova (i Deerhoof sono di Whiskey For Water, per un brano questo disco meno di (6.9/10), pun- la prima carta del mazzo, ma an- dalla ritmica tastieristica che ricor- teggio non pieno, come la pienez- che, tra la scena che ne è seguita, i da persino Oh Yeah dei Can; e la za ci è negata dalla sua opera. Ora divertentissimi giapponesi Limited batteria in primo piano di Stars). attendiamo la prossima prova. Si Express). In più, abbiamo soluzioni D’altra parte, questa estetica di sa mai che Rafter Roberts esca dal di fiati e trombettismi che ricordano pop-folk farcito e reso eccentrico cilindro canzoni celate da chissà i Mr. Tube (posteriori di un anno) in produzione e strumentazione, quanto, oltre a un paio di galline. del cuore nero Jenkins, peraltro questo indiepop complessificato da Gaspare Caliri scaturiti dal medesimo milieu. layer produttivi (si veda l’insoluta

 s e n t i r e a s c o l t a r e The Lights On... P.G. Six

E’ una vibrazione d’aria appena, lo un linguaggio folk post-moderno e sponde dell’oceano e la possibilità spicchio di cielo sopra l’oceano che trans-oceanico. Se il debutto del- di scavarci nicchie di sorpresa, è separa due dimensioni folk così l’entità P.G. Six - Book of Rayguns il sostrato poetico di Slightly Sor- lontane così vicine. Pat Gluber lo (Superlux, 1995) – risaliva la china ry (Drag City / Wide, 20 febbraio attraversa con un balzo immobile. elettrica dei Sonic in direzio- 2007) ultima prova nella quale – per Con lo pseudonimo P.G. Six il can- ne dell’avant targata Glenn Branca, dire - echi Nick Drake coagulano in tante e multistrumentista newyorke- nel giro di sei anni conseguirà con una trama Kaukonen (Lily Of The se Pat Gluber (suona il piano, la Parlor Tricks and Porch Favorites West) e trame Pentangle collassa- chitarra, il banjo, l’arpa e i sintetiz- (Perhaps Transparent/Amish, 2001) no al crocicchio di Haight Asbury zatori) ha già timbrato tre album e un drastico mutamento prospettico, (The End Of The Winter, cantata da qualche altra cosuccia “ufficiosa”, evidenziando un’attitudine folk al una brumosa Helen Rush). Nulla di tra sette pollici e cd-r. Finalmente crocicchio tra ricerca e tradizione. nuovo quindi rispetto alla parabola si sono accorti di lui quelli di Drag Minimalismo e spirito rurale, il lato artistica del signor P.G. Six, tutta- City, per i cui tipi esce oggi Slightly quieto dell’irrequietezza, un po’ via lavorare sotto l’egida Drag City Sorry, lavoro con tutti i crismi della come il Jim O’ Rourke che faceva deve avergli inoculato i giusti addi- conseguita maturità. Del resto, Pat genuflettere il post-rock di fronte a tivi, perché mai prima d’ora s’avver- è in giro da un bel po’ di tempo, John Fahey. Non è un caso forse tiva tanta franchezza e freschezza, dai primi novanta per la precisione, se a produrre il disco troviamo Tim la determinazione di chi sa d’aver quando assieme a Marc Wolf e Matt Barnes, percussionista di Jimbo. imboccato la strada giusta. La pro- Valentine mischiava blues acido e Con The Well Of Memory (Perhaps pria strada. noise-rock nei Memphis Luxure, Transparent/Amish, 2004) la tavo- Ciò vale anche per gli intrusi soni- fautori di un paio di 7’’ che inaugu- lozza sonora si espande, l’arpa, il ci che Pat dissemina a bella posta rarono la Superlux, etichetta di Va- banjo e il dulcimer sono i simboli quale segno evidente del sincreti- lentine. Valvola di sfogo giovanile, vivi d’un passato magico ancora smo formale che gli si agita den- sonici furori che tuttavia già denun- capace di significare. Il revival dei tro, ciondolando tra frastagliamenti ciavano propensioni desuete, am- Pentangle e dei Fairport Conven- desertici e jingle jangle premurosi, miccando alle sghembe agnizioni di tion, la bizzarria rivelatrice degli tra esotismi screziati d’elettronica un Captain Beefheart tra veementi Incredibile String Band, la col- e blues-rock irrorati d’hammond, bordate Jon Spencer. lusione psych della west coast (in arrivando al punto di sferzare af- Non deve stupire troppo quindi se, primis gli Hot Tuna di Kaukonen), fabili apprensioni Gram Parsons assieme a Valentine e ad Helen tutti pensati in un pensiero solo, col (The Dance) e cremose inquietudi- Rush (compagni di studi musicali al piglio appassionato e razionale di ni Oldham / Molina (Strange Mes- college SUNY di Manhattan), fu tra un moderno bohemién del Green- sages) con aspri assolo Manzane- i fondatori del collettivo Tower Re- vich Village – casomai esistesse ra, sbaragliando definitivamente la cordings, fucina indie-folk aperta a ancora un Greenvich Village. Incli- scacchiera. Gran bel disco dunque continue evoluzioni & deviazioni. La nazione che lo porterà negli anni a per un autore – lo avrete capito formidabile combriccola licenzierà dividere il palco con Bert Jansch, – interessante, che non ha bisogno tre lavori per tre diverse etichette, Robin Williamson (degli Incredibile di sciorinare pensosi intrugli per coprendo universi espressivi dispa- String Band) e Tony Conrad tra gli sembrarlo. Se proprio deve esse- rati come possono esserlo il lo-fi ed altri. Esperienze che ne affinano re inserito in una scena – il cosid- il kraut rock, la wave apocalittica la calligrafia senza disinnescare la detto “weird folk” dei Devendra e ed il folk più atavico. tensione spaesante, quel piglio ol- degli Akron Family – che gli si ri- Nel frattempo, Pat portava avan- tranzista che reclama la sterzata e servi almeno un posto di riguardo. ti la propria ricerca, un percorso lo squarcio. Il lavoro sulle comuni (7.2/10) più sottile e defilato sulle tracce di radici della tradizione folk sulle due Stefano Solventi

s e n t i r e a s c o l t a r e  The Lights On... David Kitt

L’irlandese discreto è tornato. Not Il salto avviene di lì a poco con The con un breve incipit che coverizza i Fade Away è già il suo quinto di- Big Romance (Blanco Y Negro, Big Star di I’m In Love With A Girl, sco, ma lui continua ad essere un 2000). E che salto. Già perfettamen- virando verso un pop-soul con ele- culto per pochi, almeno fuori dai te messo a fuoco, l’album è un com- menti orchestrali. La matrice folk si confini patrii. Si muove in punta pendio del suo miglior songwriting: mantiene, l’elettronica è meno in- di piedi, come la sua musica, che un pop-folk minimale che si tinge di vadente, per un incontro tra umo- pare volersi schermare dietro il velo trame elettro, tra breakbeat, loop, ri B&S e il Donovan più acustico dell’ introspezione e dell’understa- tastiere ed archi, armonie vocali e (Tonic), pop suadente (Dance With tement ma che cela, tra elettroni- ballad delicate, con lyrics impres- You), quadretti bucolici (Sweet co e acustico, un suono in realtà sioniste che richiamano sin troppo Summer Morning disturbata però mai passato di moda. Kitt (Kittser facilmente i già citati Drake e Smith nel finale da un’agitata coda noise- per gli amici) cresce a Dublino in (la notturna You Don’t Know I Don’t shoegazey), il basso McCartney di un ambiente musicale favorevole Want To Know), insieme ad umori Me And My Love, i consueti richia- (suona da piccolo con il padre e lo crepuscolari 80’s fra il primo Ben mi al nume drakiano (Hold Me Clo- zio in una formazione folk), studia Watt e battiti New Order (il bas- se) e ballate soul tra Van Morrison musica al Trinity College, e comin- so di Pale Blue Light). Tra ballate e tradizione irish (Faster And Fa- cia ben presto come one man band, ariose (Songs From Hope Street), ster) (7.0 /10). di pari passo con le conoscenze richiami ai Beatles (Step Outsi- il 2004 vede l’approdo di Kittser alla tecnologiche. Inizia infatti ad ela- de In The Morning Light), vocalità Rough Trade, per la quale realizza borare la sue canzoni nel chiuso Tanworth in Arden (Strange Light In The Black And Red Notebook, di casa, mescolando indietronica, The Evening) che puntano ai Belle raccolta di cover di Beatles, Sonic pop e folk. I numi tutelari sono & Sebastian (Whispers Return The Youth, R.E.M., J J Cale, Thin Lizzy, Nick Drake, innanzitutto, con cui Sun) c’è un equilibrio mirabile tra Ivor Cutler, Tools & The Maytals… condivide crepuscolarità di fondo e elementi indubbiamente diversi, ma Non esattamente ordinaria ammini- sensibilità melodica, e mai tanto complementari. Un’uscita strazione, dato che Kitt fa inevita- come l’ombroso Elliott Smith, sen- importante che conquista anche i bilmente sue le canzoni, rallentan- za trascurare influenze 70’s e 80’s favori del pubblico, diventando dop- dole e possedendole. Il gioco non provenienti da entrambe le sponde pio platino in Irlanda e segnando fi- riesce sempre, vedi (Don’t Go Back dell’Atlantico. nalmente l’affermazione del Nostro To) Rockville di Stipe & co che per- Da una serie di registrazioni casa- oltre la madrepatria (7.4/10). Il suo de fascino in un synth pop quasi or- linghe nasce così nel 2000 il disco nome infatti comincia a circolare, dinario. Risultati alterni per un di- d’esordio, l’autoprodotto Small Mo- e segue un periodo fervido che lo sco comunque assai personale, da ments, (uscito su Rough Trade due vedrà in tour tra Europa e America musicista intelligente qual è il suo anni più tardi); una raccolta di son- insieme a diversi artisti, dai Tinder- autore. Non solo for fun (6.8/10). gs acustiche con tocchi elettro, te- sticks a Starsailor, dai Questa, in sintesi, the story so far. nui bozzetti delicati seppure ancora ai Moldy Peaches. Not Fade Away (vedi spazio recen- acerbi, nei quali incomincia però a Un momento positivo che culmi- sioni), eterogeneo e armato di un intravedersi una certa personalità, na in Square One (Warner, 2003) mood più malinconico del solito, tra vocalità James Taylor (Another che, con l’entrata di altri musicisti ma anche di un’inaspettata imme- Love Song), filastrocche ipnoti- in quella che fino ad ora era sta- diatezza pop, accende nuovamente che in loop (Headphones), battiti ta quasi totalmente - anche come le luci sul Nostro. Che sia la volta electro (Sound Fades With Distan- attitudine - una one man band, se- buona per fare breccia aldilà delle ce), malinconia e ballad ambient di gna un cambiamento inevitabile. verdi terre d’Irlanda? ampio respiro (Step Outside In The Un disco pieno e più suonato, che Teresa Greco Morning Light) (6.6/10). tratta per la maggior parte d’amore,

1 0 s e n t i r e a s c o l t a r e The Lights On... The Good The Bad And The Queen

Se c’è una cosa che abbiamo impa- del suono giusto). Poi, nientemeno Così Damon pesca, assembla, strap- rato dalla recente storia del pop è che Paul Simonon. Già, proprio lui, pa e ricuce brandelli di passato mu- che, proprio come nella vita reale, a quello che sfascia il basso sulla co- sicale e vita vissuta (vedi 80’s Life, volte possono succedere le cose più pertina di London Calling; d’altron- una pop song con echi doo wop, che strane ed improbabili. Ad esempio, de Damon scopre che il suo idolo di racconta il crescere in quegli anni), che una gloria del defunto si gioventù (pare che il primo disco che in un ibrido che frulla in egual misu- reinventi leader di una band a car- abbia acquistato sia Combat Rock) ra le parti che lo compongono. Ov- toni e finisca per ottenere il doppio è anche un suo vicino di casa e, tra viamente Blur (i classici nella title – se non di più – del successo che una visita al Marble Arch e una pas- track, i recenti in History Song), Go- aveva un tempo. E allora, con i Go- seggiata al mercatino di Portobello, rillaz (la voce filtrata à la Feel Good rillaz - temporaneamente? - conge- matura l’idea definitiva per il disco. Inc. del primo singolo Herculean, le lati e i Blur pronosticati per il gran Un concept legato a West London, particelle electro di Northern Wha- ritorno (sì, pare che Graham sarà la zona in cui il Nostro è cresciuto e le) i Clash sandinisti e umori world della partita), c’è poco da stupirsi se l’ex Clash fa il pittore. Dodici canzo- (Three Changes); e poi a dosi varie abbia deciso di riaf- ni sull’essere inglesi oggi. A tredici reggae, dub, pop psichedelico d’an- facciarsi sulle scene con un gruppo anni dal quadretto giovanile mid-90s nata (la beatlesiana , all-star e un disco il cui titolo rie- di Parklife, guarda un po’. la pinkfloydiana ), cheggia epopee western ed english Ed ecco quindi The Good The Bad folk, old time music… life d’altri tempi. And The Queen (EMI / Capitol, 19 Detto così, tutto può risultare fin Un progetto nuovo di zecca per gennaio 2007). Il Buono, il Cattivo troppo ovvio. Ma The Good The Bad uno dei musicisti più meravigliosa- e la Regina. Come dire, Morricone And The Queen colpisce nel segno mente irrequieti degli ultimi anni? meets Morrissey. E infatti si tratta proprio quando, aldilà di citazioni e Non esattamente: tutto nasce da un anzitutto di un album (“la band non contaminazioni, riesce a far leva su vecchio viaggio in Nigeria insieme ha nome”, ha precisato più volte il una certa impostazione letteraria ed a – discreto manipo- leader) che, concettualmente, po- iconografica, come se si trattasse di latore della seicorde, transfuga dai trebbe essere il nuovo The Queen un volume di inizio secolo o di una Verve ai Blur post-Coxon, nonché Is Dead. O meglio, una sua versio- vecchia pellicola. E non ci riferiamo collaboratore della cartoon band ne meno sferzante e satirica, che si soltanto ai testi o all’artwork o al - per realizzare un sogno rincorso serve piuttosto di ricordi personali look dei quattro, quanto al fascino da qualche tempo: registrare con ed invenzioni letterarie per compie- tutto personale che l’intero progetto, , la bellezza di sessanta- re un’amara riflessione sull’Inghil- vuoi o non vuoi, esercita su chi vi si sei primavere sulle spalle e la fama terra di oggi. Una nazione alla ricer- accosta. Vintage e post-moderno al di aver inventato, insieme a gente ca di un’identità, persa tra le mille tempo stesso, Albarn riesce infine a come Fela Kuti e gli Africa 70, il sfaccettature della mescolanza et- raccontare la sua storia proprio nel cosiddetto afrobeat; ma il risultato nica e i problemi e le contraddizioni modo in cui voleva, da abile burat- delle prime session, effettuate dai dei giorni nostri; come in Kingdom tinaio quale è diventato; e pazienza due, il batterista ed altri musicisti Of Doom, che si interroga sull’attua- se la natura stessa del tutto fa pen- locali, non convince. Ci vorranno lità di un Paese che non sa ammet- sare a un atto unico: è giusto così. giusto un paio di incontri affinché la tere le proprie responsabilità; o nel Fare centro con un side project è nuova creatura prenda finalmente mood welleriano di A Soldier’s Tale, un’impresa piuttosto rara. Damon ci vita. Prima re Mida Danger Mou- riflessione sulla guerra con citazio- è riuscito. Di nuovo. (7.2/10) se, già dietro il secondo atto dei ne western morriconiana (e si ritor- Antonio Puglia e Teresa Greco e pronto a na al titolo del disco, dove il Cattivo sbancare ulteriormente col progetto risulta alla fine essere anche The Gnarls Barkley (ovvero, la garanzia Queen).

s e n t i r e a s c o l t a r e   Benjy Ferree Via dal nido di Antonio Puglia

Un passato di aspirante attore a Los Angeles. Un presente di folkster di culto in quel di Washington DC. Un album di debutto che va dal new folk di Devendra Banhart e M Ward all’eccentrici- tà pop di Kinks e T Rex, passando per l’austerità di Johnny Cash e la Carter Family. Indaghiamo su Benji Ferree, l’ultimo arrivato in casa Domino.

Con Will Oldham condivide la pas- E’ stato anzitutto grazie all’interes- In passato hai provato a fare l’at- sione per la recitazione mista a se del mio caro amico Laris Kre- tore. Quando hai capito che sare- quella per la musica. Con Deven- slin. E’ il proprietario di un free sti finito a fare musica? dra Banhart e M Ward, la stessa magazine musicale di Washington Da bambino ero circondato dalla attitudine giocosa e creatività spi- DC chiamato Arthur, che io stesso musica: i miei genitori cantavano ritata. Può contare sul sostegno di distribuivo nei coffee shop e nei ne- in chiesa e, anche se lo odiavo ed una congrega di artisti ed amici che gozi. Un anno fa mi ha proposto di era noioso come andare a scuola, vanno da Brendan Canty dei Fu- registrare un EP di sei brani, giusto l’ho fatto anch’io. Appena ho potu- gazi agli Archie Bronson Outfit fino per fare girare un po’ la musica. Poi to ho cominciato a comprare dischi ai Raconteurs. Ma in realtà non è mi ha presentato a un avvocato, un e andare ai concerti. Da teenager che si sappia molto di lui. Le poche tizio di nome Paul. Sai, di solito non ho imparato a suonare il basso, un notizie che girano sul conto di Benji mi fido degli avvocati, ma stavolta po’ di batteria e di chitarra; ma non Ferree accennano a un’esistenza è andata a finire che siamo stati al avevo una band, suonavo in priva- avventurosa (si dice si sia cimenta- telefono per un paio d’ore a parla- to. In ogni caso, il mio obiettivo pri- to nei mestieri più disparati, dal ba- re di musica. Niente legge, nien- mario era la recitazione, la musica bysitter al fattorino al barista), spe- te cose del genere, solo musica. era soltanto un passatempo. Così, sa per lo più nell’anonimato. Finché Così, parlando di etichette, mi ha dopo essermi preparato, a 21 anni il suo nome non è finito sulla co- chiesto se conoscevo la Domino. Mi mi sono trasferito a Los Angeles pertina di un album targato Domi- sono ricordato che per loro incido- per lavorare nel cinema, sia come no (Leaving The Nest, vedi spazio no i Clinic, una band che mi piace attore che come autore. Purtroppo recensioni). Ora, ci si potrebbe an- molto. Ma a parte questo, cercavo non era come mi aspettavo: ave- che chiedere cosa c’entri la label di un’etichetta che mi concedesse vo bisogno di un agente, ma non Franz Ferdinand e Arctic Monkeys massima fiducia e libertà artistica. l’avevo. Così è finita che mi sono con un trentaduenne originario del Poco tempo dopo, in occasione di trovato fare tutt’altro. Insomma, Maryland, che vanta un passato di un mio show a New York, ho incon- ho cominciato a scrivere canzoni aspirante attore a Los Angeles e un trato il boss della Domino, venuto perché mi annoiavo a morte! Pre- presente di eccentrico folkster in apposta da Londra per sentirmi; la sto però è diventata un’ossessione quel di Washington, D.C. Ce lo ha mia diffidenza iniziale è sparita ap- salutare. Giusto pochi mesi dopo raccontato lo stesso Benjy nel cor- pena abbiamo parlato un po’. Se c’è essermi trasferito a L.A. ho fatto so di una vivace e torrenziale con- un motivo per cui ho firmato con la un regalo per Natale a mio fratel- versazione telefonica, in una grigia Domino, è per come mi hanno par- lo: una cattiva registrazione di una mattina di dicembre. Nonostante si lato. Di solito i discografici ti trat- canzone che avevo scritto per lui, sia appena svegliato, è affabile e di tano come un’idiota, pensano che ma gli piacque tantissimo. Il suo in- ottimo umore, stracontento di esse- chi lavora nel music business sia coraggiamento mi ha spinto a scri- re in Europa per la prima volta. migliore del resto del mondo; non vere ancora. Dopo qualche mese è stato questo il caso, anzi. Così ho rinunciato a recitare, e così ho Non sappiamo molto di te, a parte ho accettato l’idea di intraprende- pensato che sarebbe stato il caso il recente contratto con la Domi- re una carriera. Con la benedizione di concentrare la mia energia nella no. Possiamo partire da qui… del mio amico Laris, ovviamente. musica; da lì ho cominciato a suo-

1 2 s e n t i r e a s c o l t a r e nare in coffee shops, bar eccetera. te, e racconta una storia romantica bel: sembrano una colonna sonora Sono ormai sette anni che vivo a e patetica allo stesso tempo. di Kubrick mixata a Sesame Street. Washington DC, e da allora la mia Ho sentito molta musica dei ’60 Sono un duo, e penso che in Italia vita è cambiata. e ’70 nel tuo disco. A partire da piacerebbero molto. Ci suona la mia Le tue canzoni trovano ispirazio- Kinks e Beatles, e poi Johnny fidanzata, Laura Jean Harris, che è ne da fonti più disparate: libri, Cash, T Rex, Led Zeppelin… anche l’autrice del ritratto sulla co- film, aneddoti storici. C’è un bra- Non fraintendermi, ma i Kinks non pertina del mio disco. Poi amo an- no in particolare di cui vuoi rac- sono una mia influenza. Non è la che i Blood Feathers, e sono amico contarci la storia? musica con cui sono cresciuto, an- Jack Lawrence dei Greenhornes e Fra le mie canzoni, Private Ho- che se negli ultimi anni ho comprato Racounteurs, anche se non ho po- neymoon è forse quella che pren- due dei loro dischi. Sono cresciuto tuto conoscere Jack White per via de spunto in maniera più diretta con i Beatles, sono stati la colon- dei suoi impegni. D’altronde non da qualcosa di non autobiografico. na sonora della mia infanzia, come conosco molta gente famosa, sono Parla della relazione fra Thomas la musica gospel. Il loro catalogo è quasi tutte persone con cui sono Jefferson e una sua serva, Sally He- come un libro di inni religiosi, e lo stato insieme in tour. mings. Ebbero anche dei figli, una stesso può dirsi per uno come Tom La tua passione per il cinema è discendenza che è stata costretta a Waits. Ad ogni modo, l’influen- nota, così come il tuo amore per nascondersi per decenni;ma ovvia- za principale per il disco viene da registi come Lynch, Cassavetes mente i libri di storia non parlano Johnny Cash e la Carter Family. E’ e Truffaut. Si è riversata nel tuo di questo, io l’ho saputo vedendo come se fosse la mia famiglia mu- fare musica? un film-documentario di Ken Burns sicale. Poi sentivo mentre facevo il Sì! In particolare, quando arriva il per la PBS (Public broadcasting sy- disco gli Hot Snakes (ex Drive Like momento di registrare è come se stem, televisione di servizio pubbli- Jehu e Rocket From The Crypt) e gli facessi cinema. Lavoro sulle canzo- co, ndr). Il dato importante è sta- Outkast. E sì, sono anche cresciuto ni con un approccio visivo, ma solo to scoprire che Thomas Jefferson, con Marc Bolan, T Rex, e tutta la perché non so pensare in altri ter- uno dei padri dell’America, non era roba prodotta da Tony Visconti, ma mini: ho visto così tanti film quando affatto un santo. La gente sa che l’influenza che loro hanno esercita- ero ragazzo, fino a venticinque vol- era un buongustaio, che amava to su di me riguarda più il beat, che te ciascuno, se non oltre… è inevi- i vini e i formaggi, che indossava la scrittura. tabile. Alla fine gli intenti non coin- una parrucca, che non aveva biso- Oltre Brendan Canty dei Fugazi, cidono sempre con il risultato, ma gno di vestirsi o di pulirsi il culo da che ti ha aiutato a registrare il di- il mio punto di partenza è sempre solo perché aveva qualcuno che lo sco, ci sono altri artisti con cui visuale. Chi mi aiuta a registrare mi faceva al posto suo. Con questa sei amico o ti senti vicino musi- prende in giro per il mio modo di canzone mi sono voluto divertire un calmente? parlare, visto che uso un sacco di po’ a rompere le palle a Jefferson, Gli Archie Bronson Outfit sono la metafore cinematografiche. Ma in descrivendolo come un bambino vi- mia band preferita! Poi ci sono gli fondo anche questo fa parte di es- ziato che cerca di giustificarsi con Aquarium da Washington. Sono su sere un artista… no? la sua amante nascosta, prometten- Dischord, ma non hanno niente in dole incontri romantici. E’ diverten- comune con il suono di quella la-

s e n t i r e a s c o l t a r e   Wallace Records The Mail Series di Stefano Pifferi

Più che una etichetta, un laboratorio a cielo aperto, senza confini visibili né barriere. Un (non)luogo da dove è, però, bandita l’asetticità tipica del laboratorio per far luogo a tanta passione

L’etichetta di Mirko Spino è ormai permettono di inoltrarmi in percorsi musica in Italia. punto di riferimento non solo quan- così...pericolosi.” Questo interes- titativo con le sue quasi 100 uscite, se si manifesta in oggetti musicali #1) 2partiMOLLItremolanti – Self ma anche e soprattutto qualitativo. che hanno dalla loro non solo l’idea Titled A fregiarsi del faccione dell’eroe più o meno forte che ne fornisce la Poche parti molli e tremolanti nel- tarantiniano sono stati negli ultimi spina dorsale, ma anche la scelta l’esordio della serie accreditato alla anni i gruppi e i singoli musicisti più di formati che caratterizzino e valo- coppia Iriondo/Tagliola. Due lunghi attraenti e stimolanti di quello che rizzino ancora di più le musiche in pezzi in cui, su un tappeto di iride- si continua, a torto, a definire come essi contenute. L’aspetto grafico, scenti drones di chitarra, convivono l’asfittico panorama italiano. Dalla A soprattutto. Estrema cura messa a diverse tipologie di elemento sono- di Anatrofobia alla Z di Zu, pas- disposizione di una appassionata ro (dal rock alla musica concreta). sando per Bron Y Aur, Madrigali competenza. Preparazione tecnica Vuoti cosmici, energia elettrosta- Magri, Sedia e l’universo A Short messa a disposizione della creativi- tica, nastri e riverberi, elettronica Apnea e filiazione tutta, l’intero al- tà. La Wallace come nazionale del- disturbante, dimenticate melodie da fabeto della nuova musica italiana è l’avant-rock italiano e Mirko Spino fonografo italiano, per concluder- passato per l’etichetta di Mirko. come selezionatore tecnico. Ovvia- si con un delirante inno ai “tubi”. Il La conclusione della MailSeries, di mente non mi sento un selezionato- buongiorno, notoriamente, si vede cui leggete più avanti, ci permette di re, anche perché i progetti nascono dal mattino. scambiare due parole sulla idea di spesso dai gruppi stessi e non sono serialità con il boss in persona. “Da “comandati dall’alto”. Tuttavia devo # 2) Ear&Now – FFRR ascoltatore ed acquirente di dischi dire che spesso il fatto che i musi- L’elettroacustica al potere. Mix po- ho sempre amato le serie, ho sem- cisti abbiano voglia di collaborare tente e destabilizzante di suoni pre cercato di completarle. A me oppure si conoscano su un palco in trovati e field recordings artistici come “editore” permettono di uscire una “serata Wallace” etc... è anche (originati cioè in chiese e musei) dal lavoro, non certamente noioso, frutto del lavoro fatto in questi anni, inseriti in una struttura de-struttu- di pubblicare solo i dischi ufficiale una sorta di identità o di casa comu- rata fatta di frammenti sonori otte- dei gruppi, ed inoltre mi permettono ne... il fatto che questa casa sia mia nuta con una ricca strumentazione di allargare i collaboratori dell’eti- non può che farmi piacere... (tra cui piano, farfisa, piffero, ecc.). chetta con ospiti stranieri ed altri Un tentativo di catturare le - che apprezzo ma che magari sono Mail series, ovvero l’avanguardia festazioni sonore della realtà, ma legati ad altre etichette. Inoltre il imbustata senza francobollo d’impatto insolitamente “rock” (vedi fatto di vestire le collane con gra- Dieci piccoli gioielli in ostico (almeno per parte centrale di Sospiri e preghie- fiche e confezioni particolari da an- il mercato) formato 3” splendidamente re o lo psyco/etno-rock di Mille e un cora un po’ di significato al disco... impacchettati in una mini-busta da let- folletto…) quasi a dimostrare che è una cartella di mp3 non ha certo il tera; in ognuno una ventina di minuti di la sensibilità di chi suona a mettere musica affidata di volta in volta ad un fascino di una collezione di miniCD o rimuovere i paletti. eterogeneo gruppo di musicisti tra i più cartonati..... Ne ho in mente altre di stimolanti del panorama italiano. Il risul- serie, solo che la quantità di dischi # 3) Polvere – Self Titled tato complessivo è una fulgida istantanea sfornati e le poche vendite non mi dello state of the art di un certo tipo di Una delle poche sigle al momento

1 4 s e n t i r e a s c o l t a r e ad avere una sorta di continuità al di secondo, vedi l’iniziale Life In Cir- (Ulan Bator). Di impianto più rock fuori della serie (Self Titled, Walla- cular Julies, sorta di bucolica ninna rispetto ai precedenti duetti dell’ex ce 2006) Polvere è la collaborazione nanna calpestata da rumori ambien- A Short Apnea, i 5 bozzetti minimi + dei soliti noti, Coletti e Iriondo, con tali e miasmiche voci d’oltretomba. intro ed outro disegnano un mondo quest’ultimo già vera spina dorsale Percussioni quasirock e andature sonoro frastagliato, in cui spicca la della serie. Di nuovo un duo, di nuo- sghembe fanno del n. #5 il momento tensione sospesa di Mongol Lesson vo incontro/scontro di chitarre elet- forse più “rock” del lotto. n.5 o la desolazione oltre il post- tro-acustiche + percussioni e suoni rock di Cahier Musqué. trovati per un insieme di frattali so- # 6) Tangatamanu – Landing Talk / nori solo apparentemente incoeren- Le Zattere Dei Sentimenti # 9) Oleo Strut – Self Titled ti; vedasi la cigolante andatura di E Un intero universo sonoro e artistico Collettivo franco-italiano basato o l’avant (?), post (?), ante (?)-blues racchiuso in 3”. Sonorizzazione di 2 sulla improvvisazione, Oleo Strut di O. istallazioni di Studio Azzurro, la mu- condensa in 20 minuti il risultato sica del dio-uccello Tangatamanu va di più incontri in terra francese. La # 4) Four Gardens In One – Self oltre la mera forma sonora per in- musica miscelata in queste 3 pièces Titled teragire (nella traccia rom oltre che strumentali è come un improbabile Dopo 3 duetti, ecco un quartetto: nelle performance dal vivo) con i summa dei vari progetti dei protago- 2 Uncode Duello + 2 Bron Y Aur = cinque sensi. Al centro c’è un pia- nisti: degli A Short Apnea dilatati e psichedelia deviata? Errato, ma non no preparato di Cageiana memoria, deliranti in cui prendono senso field troppo. I gorgoglii e le afasie ritmi- ma più che i singoli strumenti/suoni recordings o nastri preregistrati di che dei primi ben si sposano con la concreti è l’intero flusso sonoro a matrice politica, dichiarata anche (de)frammentata idea di psichedelia catturare. nel nome. Il mantra gelido del se- dei secondi. Qualche percussione e # 7) Claudio Rocchetti – I Could condo pezzo annienta ogni velleità 4 chitarre trattate, sfiorate, leccate Go On Singing umana. e soprattutto registrate e mixate in Dai distruttivi dj set col collettivo So- una camera, come se il corpo morto nic Belligeranza alla ambient analo- del Dead Man di Neil Young invece gica, il passo può sembrare non bre- # 10) The Shipwreck Bag Show dei desolati paesaggi americani, si ve. A far da tramite, l’esperienza ¾ – Self Titled affacciasse ad una finestra qualsia- Had Been Eliminated. Escrescenze Dorata conclusione (non solo per il si delle nostre vite. rumoriste, avanzi di elettroacustica, colore del packaging) affidata ovvia- field recordings che disegnano bri- mente a Iriondo questa volta accom- # 5) 61 Winter’s Hat – Self Titled colage sonori nei quali è prevalente pagnato dalla batteria (ante)ritmica Il (non) incontro tra Fabio Magistra- l’uso di dispositivi analogici (radio, di Roberto Bertacchini (Sinistri). li e Mattia Coletti produce 4 pezzi turntables, cassette). Sul frammentato risultato finale si intrinsecamente rock che attraver- Il pezzo più ostico della serie. sente la sinistra influenza di que- sano l’intero arco temporale delle st’ultimo sull’operato di Iriondo, mai stagioni dell’anno. Un rock ovvia- # 8) BIAS – Self Titled come questa volta su territori alla mente dissezionato ed affine a certi L’ennesimo duo di Iriondo lo vede Sinistri (How To Escape… è in pieno momenti lo-folk della produzione del in compagnia di Olivier Manchion trip Infinitive Soundcheck).

s e n t i r e a s c o l t a r e   Takagi Masakatsu drawing the wind di Valentina Cassano

Geometrie frattali, psichedelia pop, figuratività novecente- sca: dalle cronache avveniristiche e sfuggenti degli esordi ad una raffigurazione che narri in digitale il presente: la poetica visuale e sonora di Takagi Masakatsu

Se l’universo musicale elettroni- Levante mai tanto proiettato ad Oc- In questo il suo continuo viaggia- co sta attraversando un periodo di cidente. Un artigiano dell’immagi- re per il mondo si è rivelato una ripensamento del proprio modus ni, ma anche un fine compositore fonte inesauribile di ispirazione, operandi, tornando a concepire la e musicista, iniziato al pianoforte tanto da racchiudere l’esperienza tecnologia come mezzo e non più classico ancora bambino. Poi, nel in Eating (Karaoke Kalk, 9 giugno come fine ultimo, anche il mondo periodo universitario alla Kyoto 2002) e Eating 2 (Karaoke Kalk, dell’arte non è immune a questo City University Of Arts, la fasci- luglio 2003). Senza alcun supporto processo. nazione per la fotografia e i primi di immagini, i due album rievoca- Lasciato ai pionieri delle videoarte video works con il coniquilino mu- no i suoni che Masakatsu ha incro- come Gerry Schum, Nam Jun Paik sicista Aoki Takamasa ad accom- ciato e raccolto dal 1996 al 2002 o Bruce Nauman il tratto marcata- pagnarlo, con il quale pubblica due per le strade del Nepal o di Cuba, mente sperimentale, per cui l’opera dvd sotto la sigla Silicom. Da qui, dal chiacchiericcio nei vicoli (Come veniva creata e fruita al momento l’esile e androgino Takagi prose- March) agli strumenti tradizionali (la portata innovativa stava infat- guirà da solo nella ricerca di una di ogni luogo (che sia un accordion ti nel rendere soggetto lo stesso simbiosi quanto più affascinante o una marimba), unendo il gusto spettatore, oltre che fissare nella e fantasiosa possibile tra suono e giapponese per il dettaglio alle fra- memoria visiva l’arte d’azione), le visual, addentrandosi negli abissi granze francesi della Costa Azzur- giovani promesse si interrogano ambient con Opus (cd+cd rom, Car- ra e alle ariose partiture per archi invece sulla valenza della costru- park, 16 ottobre 2001) e Opus Pia (sintetici) della tradizione classica zione estetica, ingiustamente mes- (cd-dvd, Carpark, 22 maggio 2002). occidentale. È il caso di Botanica, sa da parte, facendole guadagnare Siderali distopie pan soniche (Gui- in cui si avvicina al Wyatt pacifico la ribalta attraverso uno sviluppo ter, Light Park), ovattati landscape e assolato di Dondestan, accostan- che porta sempre di più l’immagine Brian Eno (Toska, Fround) in un dosi di conseguenza anche al jazz, elettronica, o meglio digitale, vicina frastagliato brusio di glitch (Opus un genere che sfrutta nella maniera - se non simile - a quella pittorica. Pia) svettano come potenziale sce- più opportuna (Fausel, Mihyn), non In questo la sensibilità orientale, in nario dietro le figure antropomorfe trasformandolo mai nella versione special modo nipponica, è unica e scontornate di Pia #3, indecifrabili cocktail che tanto va di moda nelle peculiare. In un impasto psichedeli- nei colori, ma suggerite da organi- compilation da spiaggia. Al contra- co e ad alto tasso evocativo l’intera ci richiami vocali (Everything Came rio, la leggerezza sprigionata incu- produzione artistica del Novecen- From Here) a vagare in desolati pa- riosisce proprio per quelle atmosfe- to, passata sotto lo spettro dei più norami da terzo millennio: la virtua- re appena spruzzate d’emozione su efficaci e spettacolari programmi lità della luce con tutta la realtà dei cui tutto si gioca, lasciandosi anche di masking e montaggio (Final Cut corpi in movimento (Study For Ca- non-ascoltare in quanto ambiente Pro, After Effects, Logic Pro), viene mera, Fround) e della natura (Pia). sonoro umile ma efficace. (6.8/10) sovrapposta ai frame di una quoti- Temi accennati, intuiti, scaraventati E dall’elettronica minimale il rag- diana normalità rubati dalla lente di sotto lo sguardo in una forma quasi gio d’azione si apre verso orizzonti una telecamera. Veri e propri quadri pura di reportage, a cui si contrap- melodici che sospirano classicità. in movimento disegnati su una tela pone l’estrema elaborazione elet- Ricordi, profumi, paesaggi. Istanta- LCD con un pennello Macintosh. tronica del suono. Apparentemente nee di vita, propria e altrui. Lo spa- Sono questi gli strumenti del ven- ingenui, ma dalla carica fortemente zio sensoriale e artistico di Takagi tottenne Takagi Masakatsu, uno visionaria. (7.0/10) prende a svelarsi con Journal For dei nomi di punta, insieme a Ryoi- L’intento di Takagi non è però People (cd-dvd, Daisyworld luglio/ chi Kurokawa e Yuki Kawamura, quello di essere un documentari- agosto 2002, ristampa Carpark / della nuova generazione di artisti sta, quanto invece di esprimere Goodfellas, 4 aprile 2006), com- multimediali provenienti da un Sol le più semplici sensazioni umane. binazione di pianoforte e field re-

1 6 s e n t i r e a s c o l t a r e drawing the wind

s e n t i r e a s c o l t a r e 1 7 di traslare nella contemporaneità l’action painting di Pollock (Pri- vate Drawing), l’impressionismo di Kirchner (Primo) e il postimpres- sionismo di Seurat (Girls). Il tratto comune sta nel voler comunicare l’esperienza emozionale e spiritua- le del mondo attraverso l’accentua- zione cromatica, ma ciò che lo di- stingue dal passato è la mancanza del malessere, del disagio di fondo che serpeggiava nell’animo di que- sti artisti. Al contrario, per Takagi il colore è vita, bellezza, pura come può esserlo solo un bambino. Una complessità che si riflette anche sulla parte musicale, in cui molte- plici sono i richiami: dai Tortoise cordings manipolati per un ambient nelius, che firma il remix di Rama. in Pia Files al Four Tet dei primi pop dai toni gentili, sempre più af- Proprio con quest’ultimo il Nostro due album in Private Drawing, dal fine al Takemura di Child’s View, condivide quella genuina e solare Satie delle Gymnopedies nella su- lungo sentieri ricoperti di mandorli spensieratezza che nei tratti fumet- blime Birdland#3 a David Sylvian in in fiore dove far respirare lo spiri- tistici e nell’infanzia vede la sua Exit/Delete, voce ma anche mece- to. Complessi grafismi proteiformi massima rappresentazione (non è nate di Masakatsu nel tour del 2003 riempiono lo schermo in Birdland un caso che i protagonisti dei vi- “Fire In A Forest”, da cui la maggior (che diventerà una vera e propria deo Drop e del più recente Music di parte del materiale è stata tratta. trilogia), sul cui fondo bianco si Oyamada siano dei bambini) e sui (7.5/10) muovo linee nere a creare uno stor- cui calcherà la mano nei successivi Gli acquerelli sonori, le tinte pa- mo di uccelli, similmente ai corvi di lavori. (7.0/10) stello, quella brezza estiva che Van Gogh, e figure umane; gli sce- Potrebbe infatti venir facile tac- è sogno tornano con la frivolezza nari si fanno più accorati (i cento ciare Masakatsu di buonismo Uni- dell’ultimo Air ’s Note (DefSTAR / tramonti di Salida Del Sol), i colori cef guardando il dvd World Is So Sony, 24 marzo 2006), in cui l’elet- diventano protagonisti insieme alle Beautiful (Daisyworld, 25 settem- tronica degli esordi interpreta il forme (la corsa dei bambini di Light bre 2003 - ristampa Carpark, no- ruolo di seconda attrice, a favore di Park #3, il giovane corpo di Aqua), vembre 2006) - commissionato dal- un presente concentrato tutto sul- esaltati dall’alternanza di ombra e la libreria francese agnès b. -, con i la melodia, gli strumenti, la voce, luce (l’ipnotico luna park di Light ragazzi di Cuba ripresi a tuffarsi nel quella candida di Taguchi Haruka e Park #2, i fantasmagorici fuochi mare in South Beach, con l’intermi- quella soul dell’inglese Aqualung. d’artificio di Wonderland, lumine- nabile montaggio di tutti gli umani Riecheggia tra le accuratissime scenti pailettes nell’infinita oscuri- compresi tra i cinque e i diciassette maglie la saudade dei Mice Parade tà). Tutta la poesia nostalgica giap- anni - o giù di lì - incrociati durante (gli archi nostalgici di Ophelia, gli ponese che guarda la tradizione i suoi viaggi nell’omonimo video, o etnicismi sbarazzini di Any) e cer- con occhio futuristico. (7.6/10) con la corsa in technicolor a cielo ti incanti dei Plaid di Ralome (gli Un percorso musicale e visivo che aperto in Run On The Placet. Eppu- impulsi dei fiori di loto in Dancer), inseguirà sempre di più la strada re in questa narratività sempre più alternati a intensi momenti acustici del pop con Rehome (cd+dvd, W+K esibita, sfrontata, che si racconta e (Watch The World e One By One By Tokyo Lab, 25 giugno 2003) e Sail ci racconta della realtà circostante, One), per un album che segue la (cd+cd extra, Daisyworld, 27 ago- qualcosa delle microemozioni del parabola imperfetta del Takagi Ma- sto 2003), entrambi contraddistinti Takagi prima maniera rimane: sono sakatsu: dalla suggestione al com- dall’entrata in campo della voce di le nuance sature, quasi fluorescen- pleto disvelamento, dall’astratto ad Toma Itoko. Sono i richiami di casa ti di Festival In A Forest, saette una figuratività che sappia parlare Morr e dei Ms John Soda quelli zampillanti come folletti, e la sca- da sola, perdendo in parte quella percepiti in Kimmy, le languidezze bra geometricità di una Birdland #2 poesia del ricordo, delle ambienta- F. S. Blumm in Rama e Makmok, jazzata. (6.2/10) zioni rarefatte e misteriose che an- i gorgoglii robotici dei Lali Puna Che abbia perso il tocco lieve e davano a stimolare la fantasia, pur in Rehome e Brighter Shade, pas- evanescente non si può certo dire, nella sua indiscussa riconoscibilità. sando per i vocoder degli AIR in anzi in Coieda (cd+dvd, W+K To- Il recupero della dimensione imma- Red Seeds On Roof e le dilatazioni kyo Lab, 8 settembre 2004) viene ginifica, del non detto, potrebbe ri- extra-sensoriali di un altro grande esaltato dall’animazione, nuova velarsi la strada giusta per il suo nome della scena orientale, Cor- inebriante tecnica che gli permette futuro sonico-visuale. (6.6/10)

1 8 s e n t i r e a s c o l t a r e s e n t i r e a s c o l t a r e    Bobby Conn sangue, sudore e passione di Stefano Renzi

L’essenza del rivive nella musica di questo ap- pena quarantenne musicista di Chicago. Un uomo di fronte al quale ci si dovrebbe inchinare per il solo fatto di aver con- tribuito a salvaguardare il cattivo gusto, da Elvis a Madonna motore trainante della popular music.

Giurassico, per dirlo alla manie- Who’s The Bobby? la rigidità e l’intellettualità delle ra dei Simpson, rigurgito schifoso Jeffrey Stafford (questo il vero performance partorite da gran parte dell’epoca del pomp rock, figlio il- nome di Conn) nasce circa quaran- della scena underground della città legittimo di Ziggy Stardust e Fred- ta anni fa nella città di New York in quel determinato momento. Sul die Mercury, cugino impossibile di che lascia, però, giovanissimo per palco assieme a lui, una formazio- Darby Crash; avrebbe fatto la sua trasferirsi a Chicago, più precisa- ne ridotta all’osso costituita dall’ex figura sul palco o dietro la conso- mente nel sobborgo di St.Charles. Conducent Dj Le Deuce e la violini- le in quell’orgia di vita ed eccessi Come ogni adolescente inebetito, sta Monica Bou Bou. Le etichette che era il Paradise Garage maga- Jeffrey colleziona le prime espe- discografiche cittadine, concentra- ri sculettando strafatto di polvere rienze musicali/sessuali durante te in questo momento su altri suoni, d’angelo accanto a Lerry Levan. Il gli anni del liceo in seno alla for- non concedono chanche al Nostro Bobby Conn uomo/musicista è un mazione hardcore dei The Broken che tra il 1995 ed il 1997 riesce a qualcosa di indecifrabile, troppo Kockamamies, con la quale ottiene pubblicare soltanto due sette polli- moderno, troppo avanguardista nel un discreto successo tra i coetanei ci: Who’s The Paul per Casablanca suo essere irrimediabilmente retrò. in virtù di alcune performance live e Never Get Ahead per Truckstop. Uno che se la fa con le New York decisamente sopra le righe. Coeta- Proprio questa ultima label intra- Dolls e gli Abba, il concept rock e nei emarginati, ovviamente, gli atri, vede nel personaggio un possibile le canzoni da chiesa. quelli “fighi”, già ballano al ritmo di elemento di rottura e di novità con Una puttana, verrebbe da dire, ma una new wave posticcia importata quella che è la scena rock cittadi- allora perché Bobby Conn è così dall’Europa. Terminato il liceo la na, oramai sempre più persa nel importante per la nostra sopravvi- band si scioglie e Jeffrey si incam- “nuovo” fenomeno post rock, ed venza musicale? Forse perché rap- mina verso altri lidi, musicalmente offre a Bobby la possibilità di inci- presenta tutto quello che avremmo più congeniali al suo temperamento dere il suo primo, omonimo, album sempre voluto che il rock and roll istrionico, entrando a far parte del solista. La copertina, una caricatu- continuasse ad essere, l’ambiguità, trio prog rock dei Conducent. L’av- ra del Nostro intento a maneggiare l’eccesso, il nichilismo, il sesso, la ventura con la nuova band, iniziata con cura un microfono ed una croce netta superiorità dell’artista sull’in- nel 1989, dura la bellezza di cinque rovesciata, è, già di per se, un bi- dividuo, l’ultimo baluardo di quella anni senza però produrre alcun tipo glietto da visita più che sufficiente barriera invisibile che divide noi di risultato tanto che Jeffrey, una ad intuire il carattere nichilista e comuni mortali da chi, giorno dopo volta sciolta la formazione, decide provocatorio dell’album che in ap- giorno, rimette in gioco se stesso di continuare il proprio “viaggio” pena nove tracce dissacra, attacca tentando di autodistruggersi, in un da solo inventandosi una carriera e distrugge quaranta anni ed oltre fragoroso ma meraviglioso gioco al solista ed un nuovo personaggio di pop music. Basterebbe la sola massacro. Bobby Conn è la cruda a metà strada tra Iggy Pop ed un Who’s The Paul #16, tredici minu- carne della nostra ingenuità ado- supereroe da fumetto: Bobby Conn. ti di taglia e cuci degni dei miglio- lescenziale, quando saltavamo sul Per farsi notare in una Chicago di ri Negativland, costruiti grazie ad letto roteando le nostre chitarre metà novanta, immersa in pieno una serie infinita di frammenti voca- invisibili, sognavamo e toccavamo trip “post rock”(l’omonimo debutto li e strumentali riconducibili a Paul groupies nascosti nell’angolo più dei Tortoise è datato 1994), il No- McCartney per l’occasione suonati lontano del nostro cesso, quando stro attacca con decisione su quel- e registrati alla metà della velocità davanti pensavano non esistesse lo che è il suo territorio preferito, il originale, per consegnare l’album futuro. E’ il rivedersi appassionati live, mettendo in scena una serie di alla storia ma Bobby, per questo ad una cosa che la passione non è show travolgenti i cui tratti distintivi suo esordio decide di andare oltre più in grado di sprigionare. sono tracciati dall’ambiguità e dal- giocando con il soul/jazz ultra poli- l’eccesso, in aperto contrasto con ticizzato della Black Jazz Records

2 0 s e n t i r e a s c o l t a r e nell’iniziale Overture, con le stig- scherzo divertente tra circo e caba- Pink Floyd. La successiva Angels sangue, sudore e passione mati di Prince (altro suo pallino) ret. Omogeneo e fruibile, Rise Up! è il brano che Marc Bolan (ancora in Sportsman, con il /rock nel- rappresenta un momento di gran- lui) non ha avuto il tempo di scri- la disgregante No Money No Kids, de solidità pop ed anche il punto di vere, You’ve Come A Long Way un con il folk in Axis ’67 (Part One) e svolta nella carriera di Conn che da mostro a tre teste che nasce come persino con se stesso, riproponen- qui in avanti inizierà a combattere un improbabile strumentale si tra- do il suo primo singolo Who’s The la sua personale battaglia contro le sforma in una delicata e dolcissima Paul in una incredibile versione a desolazioni ed i luoghi comuni del ballata per poi rivelarsi in tutta la 33 giri. Se l’intento del Nostro era rock contemporaneo. (7.0/10) sua rozzezza e cafonaggine hard quello di farsi notare, Bobby Conn Con la pubblicazione di Rise Up! rock. Un pezzo sensazionale. Con colpisce ed affonda l’obbiettivo al Conn entra nell’orbita della Thrill The Best Days Of Our Lives si va di primo colpo. (8.0/10). Jockey etichetta alla quale leghe- lounge, Winners è quasi un omag- La miccia è accesa. Il Nostro ha rà il proprio nome per tutti i lavori gio alla Motown dei primi Settanta, un cassetto straripante di pezzi futuri ad iniziare dal singolo Llo- la title track, l’ennesimo minuetto da condividere ed una gran voglia vessonngs (Thrill Jockey, 1999). Il dal sapore prog/barocco, No Re- di farlo nel minor tempo possibile, primo episodio sulla lunga distanza volution il riempipista ideale dello tanto che dodici mesi più tardi è per l’etichetta cittadina, The Gol- Studio 54 come Donna Summer già in circolazione il suo secondo den Age (Thrill Jockey, 2001), ar- in jam con gli Chic, in Pumpers ci album solista Rise Up! (Atavistic riva dopo un’attesa ed un silenzio sono i Kiss con un cervello dietro 1998). Che qualcosa sia cambiato discografico lungo circa due anni, le maschere, mentre la conclusiva dall’omonimo debutto lo si capisce, periodo durante il quale Bobby rias- Whores congeda tutti con un deli- anche in questo caso, dalla coperti- sesta la line up della sua band in- cato falsetto confidenziale messo na, con Bobby ritratto in primo pia- serendo una serie di nuovi musicisti in bella mostra sopra ad un’inte- no forte di una acconciatura stile che avranno il compito di suppor- laiatura indie/folk. (8.0/10). Byrds mentre sullo sfondo si fanno tarlo anche dal vivo. Non cambia, Con la pubblicazione di The Golden reali le avvisaglie di una società invece, l’attitudine del Nostro sem- Age, anche i più scettici tra colle- retro/futurista. Rispetto al suo pre- pre sbilanciata verso un rock ambi- ghi, addetti ai lavori e semplici ap- decessore, infatti, Rise Up! conce- guo e dalle fosche tinte sexy che in passionati, cadono in ginocchio di de maggiore attenzione alla forma The Golden Age trova la sua defini- fronte alla maestosa sfacciataggine canzone e si divincola tra una serie tiva dimensione, attraverso una sa- di questo personaggio dall’aspet- di omaggi e citazioni che il buon piente miscela di sperimentazione, to posticcio. Per Conn si aprono Conn dedica ai suoi idoli/feticci di umorismo e melodia. Si parte con A definitivamente le porte del giro sempre. La title track, ad esem- Taste Of Luxury ed è subito un piro- intellectual/snob cittadino che lo pio, è puro Bowie, United Nations, tecnico incrocio di fiati ed insinuati accoglie a braccia aperte, vogliosa, Baby Man e White Brad si rifanno chitarrine funky, salvo poi implode- probabilmente, di avere tra le pro- al glam and roll di mr. Marc Bolan, re in una coda ovattata e vagamen- prie file un giullare dal talento ec- California è il “solito” funkettino te psichedelica quasi una cosa a centrico in grado di assestare con alla Prince mentre Lullaby è uno metà strada tra Marvin Gaye ed i naturalezza gli ultimi colpi bassi e

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 1 ci sono ci sono… (7.2/10) E’ però impossibile parlare e considerare Conn soltanto alla luce delle sue prove in studio, elementi che rap- presentano soltanto una parte dell’ essenza umana/spettacolare del Nostro. E’ il live, con tutte le sue forzature, gli eccessi e senza dub- bio anche gli sbagli, l’altro momen- to chiave della sua intera vicenda, tanto importante da volerlo persino autocelebrare con la pubblicazione di Bobby Conn & The Glass Gyp- sies – Live Classics Vol.1 (Thrill Jockey / Wide 2005), all’interno del quale è possibile inciampare in un quarto di secolo rock sintetizzato in 25 canzoni. Pezzi di garage’n’roll selezionati per compilare un pri- mo volume che strizza l’orecchio ai seventies, in modo particolare ai Television di Tom Verlaine con una spruzzatina di Bowie e del com- pianto Jeffrey Lee Pierce. Rocker di razza, Bobby dispensa autentica professionalità artistica e misura compositiva da vecchia guardia, sebbene la sua non vetusta creativi- precisi alle fondamenta del rock sbarazzine canzoni nonsense come tà lo rinverdisce dei suoni anarchici o, almeno, a quello che ne è rima- Bus No.243 e la parentesi “pseudo” ed irriverenti della grande epopea sto. Non a caso, per la sua prova seriosa di Home Sweet Home sono wave. La confezione live è eccel- successiva The Homeland (Thrill tutte superfici, lollipop all’amarena, lente, tra funk alieno, psichedelia, Jockey, 2004) si scomoda persino ma basta abbassare la zip per rea- hard’n’blues canzonettaro, geome- sua maestà John McEntire (Sea lizzare l’avan(t)spettacolo connia- trie frippiane senza disdegnare i And Cake, Tortoise, Stereolab, Ga- no: un teatro che si propone e si cari wah wah hendrixiani. La poten- str Del Sol), che affianca il Nostro osserva intelligentemente beffardo, za, il canto lucido, la passione e la in cabina di regia per dare vita ad una scorza di pantomima che na- grinta fa impallidire quando, salen- un album che è la diretta e natura- sconde un motore quattro tempi di do in cattedra, svergogna le smie- le conseguenza di The Golden Age. razza nel quale gli stilemi classici lature post rock così spesso malde- Con le prime scosse di We Come del rock vengono rivisti e corretti stramente strimpellate da imberbi In Pace, un frenetico boogie-blues alla luce di una schizofrenia che è pseudotalenti. Come altre classi- benedetto da San Marc Bolan ma tutta (post) moderna. Avant funk, che intelligenze disadattive (penso troppo tagliato con il compasso, avant glam o post-glitter, post-di- ad esempio a Rob Younger dei New l’asse sonico appena citato sve- sco, fate voi, Ordinary (word) Vio- Christs), Bobby ha patito il mise- la ai più attenti una funambolica lence, ma accostate l’orecchio, ri- rabile ghigno di giovanissimi grup- girandola di stili che s’innesta- spetto ai rocker-frullatori attuali, il pi che, durante l’era della maturità no come ficcanti strategie oblique Nostro è un milkshaker di preliba- del rock, hanno carpito un effimero nel ventre del formato canzone. tezze capace di coniugare il piace- successo al primo colpo, esanguan- Dietro a lustrini, paillette e polve- re dell’ascolto frivolo con le voglie do l’intera vena punk di tutti i con- re di stelle, Conn siringa le spezie di quella donna in preda agli appe- tinenti. Non è un caso se l’attuale più disparate non curandosi mini- titi della gravidanza che è il critico scena neogarage nutre profondo mamente se queste provengono rock. Eh Eh… quell’organetto squa- rispetto per l’incontrastato carisma dalla bancarella o dalle sale da drato ha il retrogusto krauto? Quel di Rob e di Bobby. La presenza di tè di Buckingham Palace; quelle coretto ha il sapore di Abba (We evergreen come Winners, We came dell’astuto neo Ziggy sono infat- Come in Peace)? E quell’omaggio in Peace (anche in versione video- ti ragnatele marziane sullo scac- a Jesus Christ Superstar (We’re clip) e No Revolution rende il di- chiere retroilluminato travoltiano. Taking Over The World), Moroder e schetto abbastanza indispensabile L’elettrock di We’re Taking Over The persino Snakefinger (Relax)? Vo- per chi non conoscesse il nostro. Il World, il funk di Cashing Objections, gliamo trovarci anche Meat Loaf o trentasettenne protagonista delle le sculettate Studio 54 di Relax e le gli archi di Sgt. Pepper? Ma sì va… irriverenti, martellanti, serate anti-

2 2 s e n t i r e a s c o l t a r e bushiane, trattate con acuta lucidi- tà filosofica e radicale opposizione all’effimero mondo dell’apparenze che disarticola i cervelli degli ame- ricani, getta uno sguardo ironico ed esiziale assieme sulla società con- temporanea. Intense high-powered rock’n’roll melodiche canzoni che hanno il vantaggio di suonare assai diversamente che in studio, nette da sovraincisioni, arrangiamenti, editing, mixing etc. Pura grinta: al diavolo horn sections, modular synths, string ensambles e cagate varie. Plutonio allo stato puro, ed il plutonio decade in 100mila anni! (7.2/10) Con la pubblicazione di King For A Day (Thrill Jockey, febbraio 2007 - 7.5/10) (di cui potete leggere nella sezione recensioni) si chiu- de, almeno per il momento, la pa- rabola dell’ottovolante Conn-iano, certi che il futuro riserverà grosse sorprese e, forse, l’ennesima mu- tazione di questo camaleonte dalle movenze feline.

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 3 Of Montreal of mutantes di Edoardo Bridda

Delusioni, mutazioni, illuminazioni di un indie rocker con i capelli a caschetto: storia degli Of Montreal, quitessenza pop per gli anni Duemila.

All’inizio Of Montreal non era altri la classica telefonata: non sono i al rinascimento delle college band che . Un ragazzo di Radiohead ma, più umilmente, un della città. L’anno zero è dunque il Athens, Georgia, romantico e affa- vecchio amico di Athens, Julian 1997, con gli elfi su Elephant (il di- scinato dai Sessanta, indie rocker Kostner. Membro attivo della vita screto When the Red King Comes) con i capelli a caschetto che aveva musicale della città (Music Tapes e e gli Of Montreal su Kindercore. preferito lasciare gli studi per de- ), Kostner par- “Da sempre il nome di Of Montreal dicarsi alla musica e scelto quella la di una scena chiamata Elephant è legato al collettivo che poi col- stramba ragione sociale in seguito Six, un insieme di amici e di relativi lettivo non è”, dichiara Barnes “Ci a un fallimento amoroso. Of Mon- gruppi musicali amanti del pop dei sono un sacco di leggende attorno treal, del resto, era un modo per Beatles e dei Beach Boys, animati a Elephant Six tipo che è tutta gente “condurre uno stile di vita più ro- da uno spirito retrò e di ricerca. che abita nella stessa casa e altre mantico”, sulle tracce di un ideali- Tornato nella home town, l’indie- sciocchezze. Di fatto, è un gruppo smo sparpagliato per tutti gli States rocker con il caschetto trova subito di amici che, senza contratti disco- lungo la prima metà dei Novanta. quel che gli mancava: amici e com- grafici alcuni, hanno deciso di pro- Troviamo Kevin a Seattle all’indo- pagni affidabili. È il 1996 quando muovere le rispettive realtà attra- mani della morte di Cobain, nel- incontra ad un party il batterista verso una label personale, come la la soleggiata Florida a prendere il Derek Almstead. Di lì a poco, con Saddle Creek per dirne una, oppure sole, a Minneapolis a stringer mani l’approdo nell’orbita del bassista come la realtà di Robert Pollard e sotto la pioggia con i tipi della Bar- Bryan (Poole) Helium (ora noto an- dei suoi Guided By Voices. Il co- None, e sempre da quelle parti alle che con lo pseudonimo di The Late stante accostamento con Elephant prese con un progetto discografico B.P. Helium), la partita può davvero Six ha sempre portato con sé lati (abortito) con Chris Mars, batteri- cominciare, anche se quest’ultimo positivi (promozione) e negativi. In sta dei Replacements, nelle vesti tiene a chiarire che l’impegno prin- realtà non ho collaborato a far na- di produttore. cipale rimangono gli , una scere la cosa, i fondatori sono stati Purtroppo, con il trascorrere del formazione avviata due anni prima Neutral Milk Hotel, Apples In Ste- tempo, il bilancio on the road si e dedita ad un power pop efferve- reo e Olivia Tremor Control. Non fa sempre più amaro: pare che in scente e visionario, per certi ver- io. Sono ottimi amici e soprattutto giro nessuna scena sia veramente si una versione addomesticata dei conoscenti che ogni tanto hanno sintonizzata. In tasca, Barnes ha Flaming Lips. collaborato nei miei album”. soltanto una manciata di canzoni Così configurati gli Of Montreal non Comprensibilmente, la presa di di- scritte di suo pugno e arrangiate sono tanto distanti da una versio- stanza dalla Elephant è più nelle con l’aiuto qualche compagno di ne pre-adolescente dei Apples In intenzioni che nella musica. In The strada (successivamente saranno Stereo o degli stessi Elf Power in Bird Who Ate the Rabbit’s Flower compilate in The Early Four Track salsa lo-fi. Niente di particolar- (poi ristampato e rinominato The Recordings dalla Kindercore nel mente originale si dirà, ma la fre- Bird Who Continues to Eat the 2001). Le sonorità sono grossomo- schezza e l’interplay non mancano, Rabbit’s Flower due anni più tar- do post-Dinosaur jr tra folk in sti- così come le pubbliche relazioni di di, con l’aggiunta di bonus track tra le unplugged e in qualche briciola Barnes che stringe amicizie senza cui cover di Yoko Ono, Who e degli di grunge, scazzo lo-fi e indie pop rinunciare all’indipendenza. L’ac- stessi Elf Power), sono evidenti le à la Flake Music (pre Shins), Le- cordo precedentemente preso con similitudini e non certo le differen- monheads e il sempiterno Young. la Bar None, del resto, è ancora ze rispetto alla Elephant. Pur power (5.5/10) valido e a bussare alla porta ora pop e lo-fi, il sound è farcito di so- Chiaramente è tutta roba da svi- c’è pure l’autoctona Kindercore di norità Sessanta fin nel midollo tra luppare e l’empasse è evidente. Se Ryan Lewis and Daniel Geller, una jingle jangle (à la dei non che, a un certo punto, arriva label locale particolarmente attenta R.E.M.), declinazioni Mersey Beat e

2 4 s e n t i r e a s c o l t a r e il primissimo Barrett dei Pink Floyd. Kostner e ancora con Poole (che chi dello spettacolo pre-televisivo (6.0/10) Focus più chiaro, assieme però lascerà a metà session per (Jaques Lemure) del caso. Un po’ a una scrittura stralunata e debitri- raggiungere i compagni Elf Power come degli Shins costretti ad ascol- ce degli anni ’50 di Tin Pan Alley, a New York City) e Derek Almstead tare la discografia dei Genesis al- nel primo full-lenght, Cherry Peel (che presto passerà al basso e ci l’infinito. (7.0/10). (Bar/None, luglio 1997), diviso tra resterà fino alla fine della prima Naturale che la chitarra diventi canoniche indie song (Sleeping in fase degli Of Montreal). puro accompagnamento e il piano the Beetle Bug, This Feeling, I Was In The Bedside Drama: A Petite assuma le vesti di primadonna con Watching Your Eyes), e qualche Tragedy (Kindercore 1998), le arie set d’archi, organetti, fiati, campa- piccola complicazione. (6.7/10) retrò tirano sempre più forte, la fis- nellini, effetti a non finire a imba- sazione per i Beatles e il Mersey stire le coreografie (fondamentale Illuminazioni retrò: piccoli Beat è chiarissima, come evidenti per quest’ultimi l’aiuto dei preziosi indie rockers crescono sono i periodi scelti per le citazio- friends del collettivo). Con queste “Tutto quel che saranno gli Of Mon- ni. Sempre più in immersione con premesse è inevitabile che il lavoro treal viene da Everything Disap- il sottomarino giallo (eccezion fatta di composizione sia estremamente pears When You Come Around”, per la bella ballad floydiana Panda complesso. Per realizzare il terzo dichiarerà Barnes - nel 2000 - al- Bear), Barnes oscilla tra gli esordi album The Gay Parade (Kinder- l’indomani di The Gay Parade, dei Fab Four e il loro periodo pre- core, 1999), Barnes (grazie anche “Sono sempre stato un grande fan lisergico, si rifugia nel fantastico all’aiuto del fratello Dave che è di jazzisti come Cab Calloway o bevendo pozioni d’agrodolce no- anche illustratore e responsabile Benny Goodman, ho sempre adora- stalgia e ingoiando pillole antido- dell’artwork) impiega due anni, ma to vederli suonare. La loro tecnica. to somministrate dalla Bonzo Dog con un talento indomito si porta a Ho iniziato a pensare che c’era un Band. Ancor di più, pare un Lou casa anche questa volta un risul- mondo da scoprire al di sotto degli Barlow che sogna Syd Barrett alla tato ambizioso (alle volte troppo) accordi con il barrè e così ho inizia- corte della regina Elisabetta e que- quanto riuscito, inducendo la criti- to a fare accordi di cui non sapevo sto si traduce in una gamma di stru- ca a definirlo un Magical Mystery neppure il nome. A un certo punto, menti e d’inventiva che crescono di Tour personale, quando il prece- letteralmente impazzito, inserivo pari passo assieme a una scrittura dente sforzo era presumibilmente deliberatamente più accordi possi- incontinente. riconducibile a Revolver. Ricolmo bili all’interno di una stessa canzo- Village Green Preservation Society di naiveté da vaudeville mccart- ne. Poi ho iniziato ad applicare lo dei Kinks diventa riferimento qua- neyiano (Old Familiar Way) e di stesso procedimento per le melodie si obbligato per quel che di fatto è brandelli dello Smile originale di e il risultato finale è stato che per un concept di piccole storie, ritratti Brian Wilson in una geografia fan- qualche strana ragione, ogni brano e caricature; un po’ come i Blur di tastica tra lo Yellow Submarine e teneva un’idea per al massimo die- Parklife (descrivere la decadenza il Muppet Show (Fun Loving Nun), ci secondi”. partendo da un insieme di buone l’album sostituisce l’agrodolce di Kevin in quell’intervista cita anche maniere figlie del “Decline and Fall Bedside con una fanfarona follia e Little Viola Hidden in the Orche- of the British Empire”) depurati dal anche la scrittura si muove: ognu- stra, dove il lavorio del chitarrista è sarcasmo e dalla critica sociale. Il na delle sedici song racconta di un ancora più evidente (melodia Bea- sound Of Montreal sta diventando personaggio creato ad hoc, una si- tles e inserto parodistico di musica un aldilà sempre più complesso: si nestesia tra musica, illustrazione e dixieland), ma parliamo già del se- serve della dizione dai radio-drama narrativa. I personaggi di fiction Ni- condo lavoro, una raccolta maturata dei ’50 e guarda a un’operetta “to- ckee Coco, Jaques Lemure, Hector anche grazie ai dialoghi con Julian tale” psichedelica con tutti i truc- Armando, potrebbero popolare i li-

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 5 bri per bambini e assieme apparte- lowed): The Singles and Songles Con drum machine, ritmi dancey e nere all’immaginario pop più vicino Album (2000) mentre la Kindercore tastiere in primo piano, gli Of Mon- a Lucy in the sky (7.3/10). sforna The Early Four Track Re- treal mark II sono camaleontica- Uno di loro, Claude Robert, dà il cordings (2001), infine la Earworm mente diventati un gruppo catchy suo commiato al pubblico con un il vinile di An Introduction to of senza voltare il fianco al pop ’60, reading (nello stile radiofonico so- Montreal (2001). piuttosto ne hanno abilmente ibri- praccitato) e come ogni buona saga Il vero sequel, Aldhils Arboretum, dato lo stilema attraverso elementi che si rispetti, è lui il protagonista esce un anno più tardi ed è un la- inaspettati come gli Abba, il synth del successivo Coquelicot Asleep voro pressoché song oriented, un pop tastieristico della Yellow Magic in the Poppies: A Variety of Whi- ritorno all’indie-rock con la chitarra Orchestra (Eros’ Entropic Tundra), msical Verse (Kindercore, 2001), di nuovo protagonista. Barnes pro- il glam dell’Eno giovanile e il funky il degno prolungamento della gaia pone una collezione di brani senza dei Talking Heads (Spike the Sen- parata, ma soprattutto il Sgt Pep- particolari novità (a parte le per- ses), sotto il minimo comune deno- per del caso, anzi il Sgt Pepper cussioni etno di Old People in the minatore del kitch, trait d’union del d’oltre Manica senza troppi dubbi. Cemetery) il cui problema principa- tutto e religione dell’autore. Come A un passo dall’ossessione wilso- le è di suonare superfluo alla luce al solito, anche Satanic non è meno niana all’indomani del capolavoro della produzione passata. Andrà ubriacante dei suoi predecessori, dei baronetti, Barnes ha l’arditezza sicuramente meglio la tournée suc- così come l’elemento dance non di sfidarne il capolavoro arrangia- cessiva che consacrerà l’impegno e si traduce in un ballo tanto facile tivo di George Martin e per tutti gli la dedizione di questi anni chiuden- e scontato (anzi!). Si salta abil- scettici, basti l’ascolto della suite do anche (e definitivamente) que- mente dai Talking Heads ai Beach con il famoso tema del sergente in sta fase. (6.3/10) Boys nella stessa canzone (Climb giostra assieme ad altri tre moti- the Ladder), si passa da un riffone vi (un ragtime, un vaudeville, una Il citazionismo danzante: prove rockista ai Beatles inframezzando marimba) per la folgorazione. Pe- p e r u n p o p t o t a l e coretti maschi a la Queen e effetti nelope è un gioiello e assieme la Il dopo è costellato da eventi cru- cartoon (la divertente How Lester cifra stilistica massimalista di Co- ciali nella vita di Barnes: il ragazzo Lost His Wife), e così via. Comun- quelicot, concept zappiano per è oramai trentenne e mette su fa- que non tutto è esattamente come eccesso di amore e non certo per miglia. La pausa coincide con la di- prima, soprattutto in fase di produ- irriverenza, nonché capolinea di un partita di Derek Almstead che se ne zione: il sound è più accurato (la trilogia tra perfette song vittoriane va per coltivare mille progetti (tra novelty Erroneous Escape Into Erik (Coquelicot’s Tea Party) e avant- cui Destroyer). Dunque è tempo Eckles) e la scaletta prevedere po- spettacolo (Upon Settling on the di pensare e reinventarsi, mentre tenziali hit tutto sommato castigate Frozen Island, Lechithin Presents là fuori, nel mondo reale, c’è tutto nell’arrangiamento (Disconnect the Claude and Coquelicot), vaudeville un brulichio di band che copiano i Dots) (7.0/10) da far invidia a McCartney (l’ado- Talking Heads, il post-punk è sul- Una direzione che il successivo rabile Rose Robert) e amabili me- la bocca di tutti e gli anni Ottanta album approfondisce senza bana- lodie Tin Pan Alley per tutti i gusti sono di moda più che mai. Dopo lizzarne il creativo mix tra metodo (Butterscotching Mr. Lynn, Dreamy due anni di pensieri, ripensamen- e follia, tra un presente finalmen- Day of Daydreaming of You). A far- ti e svarioni Satanic Panic In The te abbracciato e una passato non cire concorrono un reading (Events Attic (Polyvinyl 2004) è la risposta rinnegato. C’è un Barnes più atten- Leading Up to the Collapse of De- del musicista a tutto ciò, a quella to all’hit making in The Sunlandic tective Dulllight), un pezzo drona- contemporaneità tanto rifuggita. Twins (Polyvinyl 2005), un lavoro to (Hello from Inside a Shell) e del “Durante la scrittura dei primi due intriso di un rockismi-futuristi (Fo- free jazz liquido (Lechithin’s Tale album ero molto chiuso”, dichiara recast Fascist Future) e songwriting of a DNA Experiment That Went Barnes in un’intervista del perio- più canonico. Requiem for O.M.M.2 Horribly Awry), ed è quanto basta do “Non riuscivo a ascoltare nulla in opening, con le sue strofe e ri- per portarsi l’album a casa. Magari di attuale. Mi concentravo soltanto tornello in linea, è la riprova di inserendolo nei must have pop dei sulle cose dei ’60 e primi ’70. Eppu- tutto questo: una synth song glam Duemila. (8.0/10) re sono sempre stato un fan della rock di grande effetto. Sul restante Di contro, con tali fasti e eccessi, dance music. E sono sempre andato è chiaro che il Nostro continua la naturale che la mossa successiva a ballare godendomi certe pose dei devozione per David Byrne (can- ne paghi lo scotto. Prima però, è Blur o di Bowie. Per Satanic volevo zoni surreali iniettate di funk bian- la volta di una serie di compilation qualcosa che i ragazzi potessero co come I Was Never Young o The figlie dell’accresciuto interesse per ballare. Volevo mettermi in questa Party’s Crashing Us sono parenti la band da parte dell’underground sfida e così mi sono aperto alla dirette dei primi lavori delle teste americano: la Bar-None liquida il contemporaneità. Sono stato sicu- parlanti), e le citazioni funziona- materiale rimasto nel cassetto pub- ramente influenzato da Brian Eno e no a dovere, vedi come cattura lo blicando la raccolta Horse & Ele- dai Talking Heads, dall’afrobeat e scimmiotto Bronsky Beat un brano phant Eatery (No Elephants Al- dal dub come dal rocksteady”. quale Wraith Pinned To The Mist

2 6 s e n t i r e a s c o l t a r e and Other Games, che immortala Huggins (batteria, tastiere), Matt ti: la gente ama il gruppo e vuole la lasciva appiccicosa della disco Dawson (basso)e Dottie Alexander sentire il nuovo lavoro il più presto attraverso un basso ampolloso e un (tastiere) - e vecchie conoscenze. possibile. Ed è giusto così. Abbia- coro gospel killer. Finalmente, il più Il tour registra 200 date in tutto il mo anche reso disponibile l’album ottuso revivalista del collettivo Ele- mondo ed è un discreto successo. attraverso lo streaming sul nostro phant Six fa il post-moderno come Intanto, la neomamma non ha un’as- sito. Questo ci ha aiutato a creare si deve, e guarda caso sceneggia- sicurazione sulla salute, fondamen- un enorme richiamo di gente che, tori, autori di pubblicità e impresari tale in America, e così la famiglia ne siamo convinti, uscirà e si com- teatrali lo contattano. Lui fa buon Barnes si trasferisce dai genitori di prerà il disco originale”. viso al buon gioco non rinuncian- lei ad Oslo e lì trascorre la maggior Hissing Fauna, Are You the De- do a impersonare tutto ciò che gli parte del 2005. La scrittura del suc- stroyer? arriva nei negozi ora, e passa per la testa da Snakefinger cessivo Of Montreal inizia proprio in come terzo capitolo della nuova al nostrano Camerini (il rockabilly questo periodo, con Kevin nel pieno fase degli Of Montreal (SentireA- di So Begins Our Alabee). Nell’al- di una crisi depressiva. Il cantante, scoltare #27) è senz’altro il più bum ci sono persino delle sonoriz- vicinissimo ai trenta, non riesce a audace e istrionico. Aveva ragione zazioni piece teatrali come October gestire tutte le ansie conseguenti al Barnes quando ammetteva che alle Is Eternal, Knight Rider, Our Spring nuovo status di padre, così decide volte si deve essere pretenziosi Is Sweet Not Fleeting (“Avevo fat- prima di affogarsi nell’alcol e poi di (“non puoi sempre pensarci troppo to per me delle opere teatrali ma rintanarsi nella musica. Questa vol- a quello che fai”). Qui si passa dai all’epoca mi chiesero di scrivere ta però, il risultato è diverso: “via Pulp a Camerini, da Wilson alla di- delle musiche e dei testi su com- le caricature fantastiche e dentro i sco music. E tutto suona egregia- missione, quel che è stato scartato sentimenti”, ha recentemente spie- mente prodotto, senza che questo l’ho utilizzato per l’album”) gato Barnes sul sito della Polyvinyl, significhi una briciola di follia in Sunlandic infine è il definitivo “e non solo: grazie al PowerBook meno. Il pop non poteva sperare in approdo della moglie di Barnes G4, questa è stata la prima volta un inizio 2007 migliore. C’è chi car- in cabina di regia. La norvegese che ho registrato le canzoni nel mo- bura velocemente il tipo di appeal Nina, che nel frattempo, oltre a mento in cui le ho concepite, quan- che Barnes ha prodotto in questa concordare i testi, gli ha dato un do in precedenza passavano mesi prova, ma allo scarto contribuisco- figlio (Alabee). E’ probabilmente da quando le provavo alla chitarra no le felici propensioni sixties del per questo turbine di cambiamen- o al piano. Ho registrato metà del personaggio, senza le quali sareb- ti che l’album suona più conciso e lavoro a Oslo”. be stato un lavoro catchy sì, ma fragrante rispetto al precedente. Il nuovo lavoro passa nelle maglie senza spessore estetico. La fortuna Forse meno intuitivo nelle melodie, della rete molto prima della sua vuole che all’ottavo disco Of Mon- ma sicuramente non meno intrigan- uscita ufficiale, ma il co-presidente treal brilli come un gruppo esor- te. (7.2/10) Dopo la realizzazione della Polyvinyl Matt Lunsford, non diente ma con l’artigianato di chi del disco (che vende in USA 47000 teme: “Invece di stare a mugugnare sul pezzo c’è stato dieci anni. Ed è copie), la coppia mette insieme una perché l’album si trovava su inter- esattamente così, con tutti i pro che band con elementi nuovi - Jamey net già da settembre ci siamo det- questo comporta.

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 7 Patrick Wolf la dialettica del lupo di Stefano Solventi e Edoardo Bridda

Marc Almond in salsa drum’n’bass. Dave Gahan in pose classiche. Battiti d’ali sulla campagna d’Albione o fughe nella notte di lupi, li- bertini e licantropi. Patrick Wolf e la rinascita del cantautorato new wave.

Prolegomeni: le turbolenze del carillon e canto svogliato (non un ricorso alle sezioni d’archi). cucciolo granché), la seconda ariosa e clas- Un album che non avrebbe potu- Londinese con gocce di sangue ir- sica per archi e pianoforte (buona). to vedere la luce senza l’aiuto del landese, classe ’83, Patrick è uno Insomma, un genuino ma acerbo padre e della sorella, riabbracciati di quelli che a soli undici anni inci- biglietto da visita, s’intravedono le dopo un lungo e silenzioso conflitto. de canzoncine su un quattro piste. buone qualità di Wolf però ancora Inciso presso gli Island Row Stu- Organo, violino, voce e la febbrile sporche d’erba di prato. dios, Lycanthopy è il dedalo di un irrequietezza consentita dall’età. La Basti sentire il tipico vocalizzo syn- periodo turbolento nel quale il gio- corsa contro il tempo era già inizia- th pop d’annata e le altrettanto pre- vane musicista, lasciatosi alle spal- ta: lasciate alle spalle la frequen- vedibili elettroniche digitali: da una le ogni legame di terra e sangue, tazione del coro ecclesiastico e le parte il rimando agli anni ’80 e dal- s’è gettato in pasto alla vita. E la esperienze teatrali nel collettivo l’altra al drum’n’bass dei ’90, di qua musica non poteva che esserne lo Minty, un Patrick appena sedicenne il Marc Almond esteta e vellutato, specchio: bassa fedeltà dettata dal- abbandonò la famiglia per trascor- di là l’enfasi per il ritmo funambolico le circostanze, l’impeto a ripianare rere un paio d’anni tra Francia (con e parallattico di un Aphex Twin. ogni carenza, un bisogno espres- molte tappe a Parigi, assieme alla Se poi ci mettiamo che la reunion sivo che carambola tra gli steccati sua prima band, i noise-pop Mai- dei Soft Cell era già nell’aria, i nodi curandosi solo di quanto nel cuore son Criminaux), Germania e Cor- della trama portavano dritti verso batte per uscire. novaglia. Un burrascoso periodo di il classico hype passeggero, con A conti fatti, se il motore del lavoro formazione nel quale - oltre a com- tanto di riviste come NME, Logo e sembra azzannare in ugual misura porre canzoni in cui dava sfogo alla Playlouder ad incensare (e - diciamo il canto emotional e recitato di cer- montante passione per l’elettronica noi - a ungere) il piccolo eroe. Ep- to pop inizio ottanta e la drill’n’bass - azzannò l’esperienza cacciandosi pure, ascoltando quella Bloodbeat, dei Novanta (rivista in “economia” nelle avventure più disparate, tra come anche la sezione d’archi nella al laptop), l’inserto di arrangiamen- cui fare l’intruso ai party della high già citata Pumpkin Soup, qualcosa ti folk (chitarre, accordion, fiddle) e society parigina. In un modo o nel- sfuggiva alla morsa dell’effimero. il saccheggio di alcune suggestioni l’altro riuscì ad ottenere i primi ri- Oltre l’emulazione c’era altro. cameristiche racimolate dall’espe- conoscimenti, entrando nelle grazie rienza mitteleuropea (viole caligi- di Kristian Robinson AKA Capitol K, Tesi: nella tana (elettronica) del nose e coretti notturni) accrescono la cui neonata etichetta Faith & In- lupo decisamente lo spessore dell’al- dustry verrà battezzata proprio dal Lycanthropy (Faith & Industry / bum. Un concept, se vogliamo, che lavoro di debutto del giovane (nep- Wide, 2003), primo full lenght licen- sa smarcarsi dalle insidie del forma- pure ventenne) Wolf. ziato nel 2003, oltre che conferma- to in virtù di una scrittura intrepida re il successo pronosticato, rappre- e briosa, pronta sia alla carezza Si trattava di un EP omonimo (Fai- senta molto di più di una ruffiana (struggente come in Demolition, tra th & Industry, 2002), quattro tracce marchetta nella kermesse dello archi, flauto, tastiere e una voce che piuttosto in linea con le soluzioni chic retrò. Per la voce di Wolf in- si strappa il malanimo dal cuore) formali en vogue nel periodo. Due nanzitutto, che dimostra freschezza che allo sguardo cupo (la scheggia tracce che saranno successivamen- e briosità da far invidia agli zii del Depeche Mode centrifugata Notwist te inserite nell’esordio e altrettante synth pop (Almond certo, ma anche di To The Lighthouse), alla psicosi che rimarranno come b sides. Tra Dave Gahan). Poi per l’arrangia- (i cyber-fantasmi Tom Waits e PJ quest’ultime troviamo due ballate: mento, un amalgama elettro-acu- Harvey in The Childcatcher) e al Empress e Pumpkin Soup, la prima stico acerbo ma con forti intuizioni salto nel buio (il delirio languido tra strascicata tra sincopi di basso (uno e aperture folk (irlandese ma non fidale e tastiere di Paris). smanopolo di un’onda sinusoidale), solo) e cameristiche (abbondante il La trasformazione da ragazzo in

2 8 s e n t i r e a s c o l t a r e lupo, che ha seminato lungo il per- melodico/atmosferiche, l’apolide espediente digitale e respiro folk, corso tremiti, rabbia, dramma e un Wolf si ritrovò a piegare la rotta quest’ultimo inteso come tradizio- bel po’ di humour, si compie così in wave-pop verso trame maggiormen- nale retaggio sonico-culturale, cam- Epilogue, solenne dialogo di violino te bucoliche ed emotional, quasi pionario d’immagini, incubi, speran- e ukulele preso in consegna dalle che la propria vicenda umana non ze e tremori pescati dal ripostiglio impietose spire del laptop. attendesse altro per esprimersi al della collettività. Riuscendo a non cadere nella facile meglio. Tutto ciò appare evidentis- Il risultato è mirabile sin dall’inizia- trappola cartoon-esque, con que- simo in Wind in the Wires (Tomlab le Libertine (primo singolo estrat- sto primo lavoro Patrick Wolf seppe / Wide, 21 febbraio 2005), un lavoro to), un brano di gotici cromatismi e spingersi al limite di se stesso, in che segna distanze piuttosto decise ariose melodie mittel, patinati trotti una vera e propria scorribanda not- con i riferimenti noti, smorza il vo- western e aggraziati riff di violino turna che era poi uno struggente/ lume delle incursioni ritmiche d’im- (sorprendentemente, il relativo vi- farneticante addio a ciò che restava patto per concentrarsi sulle melodie deo clip possiede un taglio ancora e gli arrangiamenti acustici. fortemente ottanta, con Patrick che dell’adolescenza (la sua, la nostra). Già la copertina ci dice qualcosa: si contorce ricordando addirittura la la posa da profugo preindustria- “like a virgin” Madonna!). Violino e Antitesi: il lupo perde il pelo (ma le del debutto cede il passo ad un mitteleuropea soffiano anche tra le non le piume) romantico primo piano sullo sfondo saltellanti luminarie rom di The Gyp- Una volta “rientrato” in famiglia, le di bozzetti di pennuti (metafore dei sy King, nel romanticismo concitato idee musicali di Patrick (come la sua due periodi che hanno caratterizza- di This Weather (metti Kurt Weill vita) ebbero a subire cambiamenti to la sua vita fuori e dentro la fami- una sera a cena con Marc Almond) prospettici significativi. A parte il glia). Un ritrovato calore quindi, la e tra le decomposizioni traditional di surplus di maturità che fisiologica- calma e la sicurezza di chi ha buoni Ghost Song. mente gli portò in dono lo scoccare argomenti dalla propria, ciò che gli La materia è ben governata secon- del ventiduesimo compleanno, c’era consente di proporre una collezione do il caso, che ci sia da ridurre le da mettere in conto l’intenso lavo- di tredici brani suonati e cantati pra- dosi al minimo (nel valzer ossu- ro sulla tecnica vocale intrapreso ticamente da solo. Come sue sono to di The Railway House) oppure al conservatorio del Trinity College. parimenti tutte le liriche, e ancor più sciorinare una pressante ritmica Inoltre, come confessato dallo stes- quello stile che, pur conservando un sintetica (sulla febbrile Tristan), so Patrick, grande effetto ebbe su di certo feeling per il gotico, acquisi- quando non giustapporre andazzo lui l’exploit discografico-mediatico sce l’incanto del volo diurno. pop-wave, trasporto folk à la Mike di Antony, l’efebo-androgino pupillo In equilibrio tra brio sampledelico e Scott (a proposito, The Wind In di David Tibet e Lou Reed, il cui fe- strumentazione cameristica, Patrick The Wires è un titolo dal reperto- nomenale album d’esordio (Antony si dimostra a proprio agio con una rio Waterboys) e strisciante atti- and The Johnsons - Durtro, 1999) produzione più raffinata, capace tudine gospel (per confezionare la veniva all’epoca riscoperto. di curare ogni aspetto, d’imbastire conclusiva Lands End). Tracce che Sopraffatto da quelle possibilità una effervescente coabitazione tra rimangono buone anzi buonissime

s e n t i r e a s c o l t a r e 2 9 prove di mestiere, ottimi biglietti solidamento di quell’estetica lattigi- l’età. Complimenti a lui e a chi per da visita di cui il giovane Patrick nosa a sangue caldo) compensano lui, assieme a lui – padre, sorella, può senz’altro andare fiero. solo in parte. grande fratello -, è stato così abile E’ la scrittura semmai che non bril- Wind In The Wires quindi non di- nel curare ogni aspetto della sua pu- la, dimostrando eccelse potenziali- sattende né mantiene le tante pro- blic image. Complimenti annunciati tà come nella struggente title track messe del predecessore, deman- e nessuna truffa. Perché Patrick mu- (un ballatone dalle tinte fosche per dando ad ulteriori prove il compito sicista e personaggio ci piace anche piano, archi e brezze radioattive) di sancire l’effettiva statura del senza coreografia, non ne abbiamo ma, purtroppo, solo lì. Manca quella giovane licantropo. mai dubitato. Lui, del resto, è un tut- stordente, diffusa agilità compositi- In altre parole, se Licanthropy era t’uno con la maschera. Lo si sente va che rendeva speciale il program- una scorribanda notturna, Wind e lo si vede. E’ quel talento innato, ma di Lycanthropy (anch’esso, come è un battito d’ali sulla campagna quell’ironia nobile che ci catturano questo, sorta di concept allegorico/ d’Albione. da sempre, anche quando certi vez- biografico), proprio come manca un zi di secondo letto li offuscavano, hit vero e proprio (Libertine alla fine Sintesi: magiche po(si)zioni addomesticando la passione per il è più charme che genio). Lacune electro-soul bello alle tecniche e ai trip dell’es- che l’evidente maturazione (la mag- Grande esteta Patrick. Addirittura ser (maschere) compiute. gior padronanza dei mezzi, il con- impressionante, tenuto conto del- Patrick, libertino e profugo della

3 0 s e n t i r e a s c o l t a r e seconda rivoluzione industriale tra tutto che il Trinity College è servi- subito lo scorso settembre), la stes- battiti sintetici e cuore, e poi can- to, e scommettete un po’: adesso sa title track sarcastica e romantica tore naturalista di amore e destino, Wolf canta come Wolf e non più (“Now now, brown cow, let me put Cornovaglia e chamber folk. La sin- come l’Almond più il Gahan. Inoltre, you in the boom boom... magic po- tesi è per lui pozione, anzi – ehm... - press break, il ragazzo è passato sition!”), il romanticismo brumoso di una posizione, la porta per il mondo alla Loog Records, sussidiaria del- Augustine (chitarra acustica, voce, incantato, il posto efebo originario, la Polydor (vedi anche Duke Spirit, piano, un drumming strinito), la ma- il principio dove sessualità, gioco e the Bravery, Soledad Brothers). linconia jazzata di Enchanted (con comprensione delle cose stanno nel- E ci sono già due singoli killer in ci- tanto di vibrafono e contrabbasso), l’ovatta del pre. Anche se là fuori, al rolazione, uno uscito lo scorso ot- le poliritmie digitali che strapazzano riparo dello scudo dell’eleganza, c’è tobre 2006 Accident & Emergency il pathos orchestrale di The Stars e pur sempre pulsione e oscurità. (ospite lo spirito affine Edward Lar- infine - per farla breve - l’agro bal- La white e la dark room. Altro che rikin dei Larrikin Love), dove pare letto giocattolo di Get Lost. ambiguo, il Wolf: autoironico e Bright Eyes remissato da un produt- Il nuovo Wolf, l’avrete capito, è una compiaciuto, da sempre ci svela tore hip hop tra un campionamento festa, è la festa Wolf. E se la rima nelle copertine quel che ha in men- riff, contrappunto di tromba, linee è sciolta, la stratificazione dell’ar- te. Mutevole forma-sostanza nel dub, e un synth feeling melodico pri- rangiamento è densissima. Ma è rosso dei suoi capelli e negli abiti mi ’80 ai livelli migliori del nostro. una produzione come si deve lon- fanciulli e campestri. Sul cavalluc- L’altro, appena uscito, Bluebells nel tana da gessi o plastiche (se non cio in posa plastica, il ragazzone è quale si dedica a una ballata baroc- quelle per scelta). In più, c’è tutto in giostra ed è più cosa Disney gay ca delle sue per piano, violini, qual- il suo perché dei testi, dove al soli- che Tim Burton. Chiamatelo fiabe- che linea sintetica a contrasto e fuo- to le vicende nascoste sono sempre sco, perché estetico è lo stile di chi d’artificio(!). Ma il meglio è tutto lì, sento non sento, vedo non vedo. vita non il vezzo. E questo signifi- nell’album, è l’album, Magic Posi- Attraverso una vicenda umana che è ca una manciata di canzoni fresche tion: la bella Magpie per esempio, prima di tutto musica. E che quindi come le sapeva fare quand’era a in duetto con Marianne Faithfull appartiene a tutti, gay, etero o qual- Parigi quando si divertiva a infilarsi (alla sua prima apparizione dopo siasi altra cosa. Bravo Wolf: sintesi di soppiatto nell’alta società. Con l’intervento al seno per un tumore compiuta.

s e n t i r e a s c o l t a r e   3 2 s e n t i r e a s c o l t a r e Recensioni turn it on

Bobby Conn – King For A Day (Thrill Jockey/Wide, 20 febbraio 2 0 0 7 ) Quanti musicisti, artisti e cantanti possono permettersi, oggi, di aprire un disco con una suite prog/psych/hard rock in bilico tra Queen e Yes di oltre otto minuti come Vanitas e chiudere la partita quaranta abbondanti minuti più tardi con un’ambigua ballata tutta falsetto, svolazzi e coretti, costruita su quattro elementari note di pianoforte (Things)? Probabilmente nessuno, nessuno tranne lui, Bobby Conn, la reincarnazio- ne bastarda di Ziggy Stardust, l’uomo (?) autoincoronatosi Anticristo, il più progressista tra i conservatori o il più conservatore tra i progressisti (fa lo stesso), la macchina infernale sospesa tra cabaret e rock, lustrini e vomito. Il solito, grande, Bobby Conn da sbavargli addosso, da idolatrare come una icona, da leccargli la punta delle scarpe in un fremito feticista probabilmente a lui molto caro. Impossibile resistergli quando celebra il matrimonio perfetto tra Luke Haines e (When The Money’s Gone) quando ci strega con perfet- te melodie pop (la title track), quando ridicolizza i Pulp (Love Let Me Down), quando va di prog tamarro (Sinking Ship), quando flirta con il soul/funky/jazz songnando di essere Prince (Twenty One). Semplicemente perfetto, semplicemente Bobby Conn, semplicemente King For A Day. (7.5/10) Stefano Renzi

s e n t i r e a s c o l t a r e   turn it on

Clap Your Hands Say Yeah! – Some Loud Thunder (Wichita / V2, 30 gennaio 2007) Meno male che alla fine arriva la musica a mettere le cose a posto. Tante, troppe, le parole spese per questa band, tra bloggers e indie kids da una parte ed immancabili detrattori e scettici dall’altra. , il p2p, il pas- saparola su web, i canali di diffusione alternativi alla discografia, il (nuo- vo) corso della (new) new wave, l’emul rock che va oltre l’emul stesso, il segno dei tempi che cambiano…eccetera, eccetera - la storia la conoscete bene. Abbastanza per fare dei CYHSY a) i salvatori del mondo indie; b) l’ultima delle bufale underground. Dipende da che parte state. Some Loud Thunder, grazie al cielo, va oltre tutto ciò. Quanto poteva esserci di buono nell’esordio, lì dissimulato dall’inevitabile rimpallo dei ri- mandi (Talking Heads über alles) e dalla sempre benedetta orecchiabilità, qui emerge prepotente e senza compromessi; questo perché la visione dei cinque si fa centrata, chiara e nitida, l’attenzione si focalizza sull’umore d’insieme più che sui particolari imme- diati. Così, piuttosto che inseguire ancora appeal e catchyness dell’ (con la sola eccezione di Satan Said Dance, che più che cavalcare il revival p-funk ne è una semi-parodia), si preferisce virare con decisione ver- so un folk-pop gustosamente rétro, visionario e stralunato, elementare nella struttura ma ricercato nelle trame. Certo, l’ugola di Alec Ounsworth evoca il solito David Byrne giovane, acerbo e tremulo, ma è solo il tassello di un mosaico che stavolta comprende anche i primi Pink Floyd (Love Song No.7), il beat primigenio di marca Stones (Underwater You & Me, la title track), accanto al sempiterno slack dei Pavement (Yankee Go Home, l’acustica Arm and Hammer) e gli ovvi Velvets, mischiati col (la solenne chiusura di Five Easy Pieces). Non un frullatone come i maligni staranno già pensando, ma una tracklist che trova nella coesione il suo punto di forza, in cui ogni scelta stilistica ha il suo peso e ogni ingranaggio si incastra perfettamente nell’altro. Una specie di miracolo, insomma. O più semplicemente, un gran bel disco rock targato 2007. Non ci credevate più, eh? (7.3/10) Antonio Puglia

3 4 s e n t i r e a s c o l t a r e l’iniziale Morning Child. Gioielli che “tendenze” indie britanniche, Futu- è la raccolta che fa non serviranno a far sfuggire Play re Love Songs per voi. ( ) With The Changes dall’oblio a cui 7.0/10 è inevitabilmente destinato, troppo Stefano Renzi rozzi e chiassosi i tempi che corro- no per gente di anima e cuore come i 4 Hero. AA.VV. – Soma Compilation (6.5/10) 2006 (Soma / Family Affair Stefano Renzi novembre 2006) Fondata nell’ormai lontano 1991 a Glasgow ed ancora sulla breccia AA.VV. – Future Love Songs dopo oltre quindici anni di attività, (Angular Records, dicembre la Soma Quality Recordings è una 2 0 0 6 ) delle etichette dance (intendete La scena indie inglese sta viven- 4 Hero – Play With The Changes questo termine nella sua più ampia do un momento di grande fermen- (Raw Canvas, 30 gennaio 2007) accezione possibile) che fungono to, merito soprattutto di questo Dalla pubblicazione del monumen- da punto di riferimento per l’intera fenomeno Nu Rave sulla cui scia tale Two Pages, anno di Grazia scena di club e non solo. Una sorta una serie di giovani ed agguerrite 1998, gli inglesi 4 Hero hanno ini- di istituzione, al pari di altri marchi band, primi fra tutti i futuri domina- ziato un personale quanto affasci- storici come F Communications e tori delle classifiche The Klaxons, nate viaggio artistico verso il cuo- Defected, tutte label che nel corso stanno cercando di rinverdire i fasti re della materia black, lasciandosi degli anni hanno dettato legge in di quella che fu la Madchester di progressivamente alle spalle qual fine ottanta, attraverso una miscela background dance che ne aveva che, oggi come allora, cerca di tro- contraddistinto gli inizi nei primi vare un compromesso tra rock and anni Novanta. Un percorso a ritroso roll e dinamiche dance. estremamente intimo e personale, La Angular Records è stata una tra vissuto lontano dai riflettori e dal le prime etichette a percepire i se- grande pubblico, fatto di produzioni gnali di un rinnovato interesse per attente e mirate, sperimentazione e questo particolare tipo di sonorità ricerca, che avevano come fine ul- diventando una sorta di perno at- timo quello di rinverdire i fasti della torno al quale ruotano alcune delle migliore soul/jazz music degli anni espressioni più vitali della scena. Settanta, fulcro reale attraverso il Future Love Songs, ultima compi- quale si è snodata tutta la parabola lation in ordine di tempo data alle estetica dei Nostri nel corso di oltre stampe dalla label, è una buona quindici anni di carriera. introduzione all’universo Nu Rave/ Se con il precedente Creating Pat- Indie visto che al suo interno è pos- terns l’obiettivo era stato soltanto sibile incontrare brani già diventati fatto di stili e tendenze per la pista in parte centrato, con il nuovo Play dei piccoli classici come Gravity’s da ballo. Soma Compilation 2006 è With The Changes il team inglese Rainbow dei sopra citati Klaxons e l’ennesimo esempio della passione ha portato a compimento il sogno Lust In The Movies dei The Long e della competenza con la quale i di un’intera carriera, quello cioè Blondes, e pezzi (quasi) totalmen- tizi della casa scozzese gestiscono di produrre un album di pura soul te sconosciuti ma di ottima fattura i loro affari, una carrellata di buon music, completamente incentrato come lo sgangherato rock and roll gusto deep/tech/house difficilmente sulle canzoni, sugli arrangiamenti con coda acid dei These New Pu- rintracciabile in raccolte analoghe, e sulle melodie, come nella miglio- ritans (I Want To Be Tracy Emin), merito della solidità di alcuni act re tradizione del genere. Un disco l’altalena New Order/disco maran- storici come Silicone Soul, Funk allo stesso tempo classico e mo- za di To My Boy (Outerregions), la D’Void, Slam ed Alex Smoke ai derno, sincero nei suoi omaggi ai new wave dark di The Violets (In quali si aggiungono per l’occasione pionieri del genere (la title track è This Way), le sirene da rave party pezzi da novanta del calibro dei re- puro distillato Ayers fine Settanta, dei Lost Penguin (Pleasurewood divivi Black Dog (ottima la loro Ri- Superwoman una mancata b side Kills) e il pop fresco e frizzante dei phed V.2) ed uno scintillante Derri- dello Stevie Wonder periodo Son- The Be, Be, See (Eye T.V.). Chiude ck Carter qui impegnato nel remix gs In The Key Of Life), orgoglioso la parata, tale Mitten, sigla dietro di Swallow dei My Robot Friend. nel rivendicare il proprio diritto ad la quale si nasconde una fantomati- Se il dancefloor esercita su di voi esistere (Look Inside, Give In, Why ca Giorgiana Violante, che spiazza un qualche tipo di fascino, Soma Don’t You Talk), addirittura gene- tutto e tutti con una folk song ultra Compilation 2006 è la raccolta roso nell’ostentazione di brani as- lo-fi dal titolo Poveri Rovinatori. Se ideale per dare nuovo slancio alle solutamente fuori dal tempo come volete saperne di più sulle nuove vostre voglie danzerecce. (6.8/10)

s e n t i r e a s c o l t a r e   Stefano Renzi assapora meglio, la musica degli ne di alcuni passaggi para-stoner Adjágas, se si alterna la riflessione in Living Backwards, è tutto un fio- rire di ballate ora delicate ora so- Adjágas – Self Titled (Ever con l’abbandono, in un equilibrio di lenni, orchestrate senza risparmio Records, 29 gennaio 2007) istinto e razionalità che in fondo ne di mezzi e intonate nel registro più Il nome scelto da Sara Gaup e rispecchia la natura, in parti uguali tenue e soulful del vocalist Craig B. Lawra Somby per la loro creatura figlia dello ieri e dell’oggi. (6.8/10) Niente bruschi break forte-piano, sonora definisce, nella loro lingua, Giancarlo Turra niente sincopi, niente oscuri tocchi Genere: post folk uno stato men- di elettronica, niente ugola raschia- tale tra il sonno e la veglia. Molto ta, piuttosto un pop-prog-sinfonico bene: ma la loro lingua quale sa- (più che Genesis o Yes vengono in rebbe? Norvegesi di passaporto, mente i primi Elbow, però) tinto di Sara e Lawra appartengono a una emo, con gli opportuni archi a sot- delle ultime tribù Sami, etnia lappo- tolineare i passaggi e i crescendo, ne che conta ormai poche migliaia più relativo dispiego di tastiere e di unità sparse sul territorio scan- chitarre acustiche (esemplare in tal dinavo. Originariamente nomadi, i senso Exits). Per lo più godibile a Sami sono stati nei secoli sfruttati dosi singole, ma l’effetto d’insieme, e spinti ai margini della società, ra- vi avvertiamo, è quello di un’inar- gion per cui molto del loro folklore restabile colata di melassa. State- è andato ormai perduto. Per buona ne alla larga, o amate questo disco sorte, una parte della loro musica alla follia. Dipende dalle vostre si è salvata grazie al tramandarsi idiosincrasie. (6.6/10) orale attraverso le generazioni, ed è da lì che Adjágas attingono. Dallo Antonio Puglia “yoik”, esattamente, racconto che Aereogramme – My Heart Has descrive cose e persone attraverso A Wish That You Would Not Apples In Stereo - New Magnetic i suoni; come una sorta di “meta- Go (Chemikal Underground / Wonder (Yep Roc, 6 febbraio bardismo” strutturato però fluido e Audioglobe, 5 febbraio 2007) 2 0 0 7 ) da interpretarsi in base all’ogget- Della pluridecorata scuderia Che- Bubblegum ispirato, etica della to della narrazione. Un’espressio- mikal Underground, gli Aereogram- bassa fedeltà, devozione infinita ne antica, che in questo disco di me sono apparsi sin dagli esordi verso il melodismo post-beat e be- debutto è arrangiata e offerta con nel 2001 come i più “tosti”, se ci atlesiano dei medi 60’s e, infine, mezzi e strumenti (post) moderni. passate il termine terra-terra. Detto su tutto e tutti, l’icona salvifica dei Prodotti in modo assolutamente non altrimenti, i più vicini a un suono Beach Boys, di cui i nostri hanno invasivo da På Andreas Mjøs (nel che, alla luce di certe gonfiature negli anni fornito rivisitazioni di curriculum Jaga Jazzist e Susan- muscolari dei compari Mogwai - via volta in volta pregnanti e insisten- na And The Magical Orchestra), GY!BE - e l’esplosione del feno- ti, sono tutto quanto forma l’humus i brani si aprono con naturalezza meno Neurot, chiameremmo post- da cui l’ispirazione degli Apples In intima in sonorità quiete che si ac- metal (quando non addirittura nu-, Stereo trae linfa vitale. La melas- cendono solo di rado a cadenze più anche se una certa matrice indie sa, in questi paraggi, solitamente, sostenute. Abbuonata la barriera è sempre stata presente). Ma no, attacca ma non corrode. Corrobora, linguistica, l’equilibrio tra presente non è questa l’etichetta da affibbia- semmai. E tali sono le melodie di e passato avviene nel pieno rispet- re ai cinque scozzesi, nonostante questo nuovo New Magnetic Won- to, alla larga dalle leziosità che si il recente In The Fishtank condi- der. Old fashioned, comunicative, accompagnano con eccessiva fre- viso con i messia Isis possa sug- solari, impregnate di polifonie co- quenza a operazioni di questo ge- gerire altrimenti. O almeno non lo rali prese pari pari dall’epoca dei nere. Uno spirito più vicino all’indie è affatto nel caso di questo album, “figli dei fiori”, filtrate attraverso folk che alla patinata world music che a partire dal titolo (“il mio cuo- l’esperienza melodiosa e scipita di insomma, al contempo privo di cer- re desidera che tu non te ne vada”, Wings (Same Old Drag), Lennon te ridondanze da suoni del “grande nientemeno che una citazione dal (Sun Is Out) quando non Badfinger nord”. Spiccano nel programma le romanzo L’Esorcista) evoca un ine- (il cui spirito abita molte delle 24 proposte più eteree, come il volo luttabile struggimento romantico tracce di questo doppio album) o (trat)tenuto dalla Madre Terra Mun – un concetto che fa decisamente Electric Light Orchestra (Joanie Ja Mun, l’abbraccio formidabile tra a cazzotti con certe oscure fasci- Don’T You Worry, con echi gioviali plettri e voce Rievdadeapmi, una nazioni filo-alchimiste postmetalla- à la Air). Il vocoder rimane anco- corale Guorus Fatnasat che pare re. Ok, bando ai sarcasmi, è che lo ra una passione dei nostri, e tale registrata con la finestra aperta e straniamento è inevitabile di fronte resta il suo uso in quest’ambito di va a spegnersi dentro una distur- alla decisa sterzata ultra-mélo (me- canzoncine di puro e scintillante, bante mestizia, senza che quasi lodista o melodrammatica, fate vo- scanzonato, pop: appassionato più ce ne si possa rendere conto. Si bis) dei Nostri. Con la sola eccezio- che appassionante. Lo stato del- turn it on

Dälek – Abandoned Language (Ipecac / Goodfellas, 27 febbraio 2 0 0 7 ) Tra le band che stanno trasformando decisamente l’hip hop sia dall’interno che dall’esterno (da cLOUDDEAD a Kill The Vultures), Dälek è quella più legata alle radici nere del genere, ideologicamente e nell’attitudine musicale. E’ per uno strano paradosso (che è forse anche un pregiudizio), già verificatosi altre volte nella storia della musica afro-americana (vedi il jazz), che siano gli artisti “bianchi” a spingere maggiormente per una trasformazione della musica “nera”. Eppure, Ornette Coleman ha radica- lizzato il jazz più di qualsiasi bianco avrebbe potuto fare, conservando, da un’idea molto astratta (quale poteva essere quella della libera improvvisa- zione collettiva) la natura più intimamente afro del jazz. Anche nel caso di Dälek, almeno nelle intenzioni, permane questo legame immaginario con madre Africa sullo sfondo e si traduce soprattutto nell’at- tenzione per il ritmo, delle parole come dei suoni. Tutta la discografia della band di Newark è segnata, rispetto a molta produzione che potremmo definire avant, proprio da questo costante legame con le tradizionali basi ritmiche dell’hip hop, laddove gente come Prefuse 73 è proprio da lì che parte la sua decostruzione del genere.

In questo senso, Abandoned Language, terzo album full lenght di Will “Dälek” Brooks e compagni (se si eccet- tuano le numerose e validissime collaborazioni con Faust, Zu, Kid 606, Techno Animal e Velma) è perfettamente in linea con i suoi predecessori. C’è, però, un’idea di omogeneità che nei lavori precedenti non era ricercata. I collage industrial, le esplosioni noise e le influenze rock di Absence, confluiscono qui in uno stile compatto e maggiormente orientato verso un sound più morbido e allo stesso tempo più ipnotico, con tappeti di sintetizza- tori che trasferiscono l’ascolto ad una dimensione onirica ben diversa dall’aggressività metallica del più recente passato e rimandano più ai Boards Of Canada che ai Throbbing Gristle. Anche il beat rallenta, lasciando al rapping di Will Brooks più spazio e più flessibilità per incalzare le sue nenie socio-politiche. La title track, il sax minimalista di Content To Play Villain, le cupe atmosfere di Paragraph Relentless e Stagnant Waters rispecchia- no al meglio queste idee di fondo, ma è proprio dove si prova a estremizzare questo linguaggio che l’album si fa ancora più interessante: i rumorismi “cinematografici” di Lynch e in particolare la psycho-tronica Subversive Script esprimono il meglio di questa nuova versione di Dälek, vestita di lunghi mantelli di kraut rock, ma con un anima pur sempre black.(7.4/10) Daniele Follero

s e n t i r e a s c o l t a r e 3 7 l’arte di tale prassi fu fissato insie- Un disco che fa risorgere molti me una volta per tutte, e tutte le morti (viventi): in primis Drexciya volte per una, da ben altri gruppi – ipotetico padre del progetto? - del cosiddetto circolo , , sosia del vero artefice dai molti cui i nostri aderirono con ardore, e nomi Heinrich Mueller aka Dop- alludo ora agli Olivia Tremor Con- plereffekt aka Elektroids aka … trol. Quando, però, il gruppo az- e maestro del nascondersi, nemesi zecca il tiro giusto, ancor più che la mai esplicita sul crepuscolo degli melodia essenziale, ecco che pic- idoli house; poi la progressività sul- coli gioelli d’artigianato ‘revivalista’ l’autobahn di Grossvater Parado- pop cominciano a respirare, libran- xon, i Depeche Mode di Speak And dosi alti, aprendo i polmoni, altrove Spell nei break di Infinite Density, rattrappiti, al soffio ispirato che fu le atmosfere bohèmien dei Japan di certo (poco) brit-pop d’una doz- (Gravitational Lense), l’approccio zina d’anni orsono. Sunndal Song, nerdy nei titoli che fa molto scuola anche un passato da aspirante at- ligia a quanto appena detto, ricorda breakdance anni ‘80, il tutto me- tore del cinema proprio come Will le pagine più ispirate di un gruppo scolato da una sapiente produzione Oldham, e gli indizi si fanno cer- quale i Lush di fine carriera (Love- che riattualizza la naiveté del suo- tezze. Beh, quasi. Perché pur re- life, 1996). Un passo fuori quella no 90, oggi alla base della IDM à la stando nel solco della tradizione – palude, nella quale con le ultime Boards Of Canada. Il mondo di Ar- con tanto di santino Johnny Cash mosse discografiche i nostri si era- panet ribalta le atmosfere della sof- in bella mostra (una resa di A Little no arenati, è stato compiuto. New tronica d’oltralpe e crea un iceberg At A Time in salsa Waits-iana) - e Magnetic Wonder: poco new, al- freddissimo, alla deriva da qualsia- nei sicuri confini di genere (quegli quanto wonder, talvolta magnetic. si moda e per questo difficilmente arrangiamenti in odore di old time (6.0/10) intaccabile, con cui i novelli laptop music, con violino, armonica e cel- composers dovranno misurarsi. Chi Massimo Padalino lo), Leaving The Nest sa andare batterà il maestro? (7.1/10) Arpanet – Inertial Frame (Record oltre il – new? – folk più ortodos- Marco Braggion so, vestendo la materia originaria di scintillante briosità pop. Vengo- Benjy Ferree - Leaving The no in mente i Kinks più sbarazzini Nest (Domino / Self, 2 febbraio (In The Country Side, The Desert, 2 0 0 7 ) They Were Here), gli ovvi Beatles (Why Bother), persino il glam dei T Il suo nome probabilmente non vi Rex e l’hard blues di Jack White (la dirà molto. Nonostante i 32 anni sulfurea Dogkillers, la title track). di età e l’aver bazzicato l’ambien- Non un cantautore intimista quindi, te musicale di Washington DC per piuttosto un cantastorie dotato di quasi un decennio, Benjy Ferree è verve ironica (Private Honeymoon, infatti un perfetto sconosciuto. Non un valzer tanto affettato e manie- si può certo dire che abbia avuto ristico da diventare parodia), im- fretta di farsi conoscere (cfr. la no- maginazione fanciullesca (In The stra intervista), piuttosto ha aspet- Woods) e abilità melodica (Hol- tato che il destino bussasse alla lywood Sign). E poi c’è una voce sua porta. Sotto forma di un con- Makers, novembre 2006) che, nonostante gli ascendenti im- tratto con la Domino. Mica male per Due spettri si aggirano per gli iPod portanti – Jeff Buckley, Marc Bolan, un debuttante assoluto, no? di tutto il mondo: quelli dei Kraf- lo stesso Devendra – riesce quasi Non stiamo parlando di una new twerk e dei Tangerine Dream. La sempre ad aggirare l’ostacolo del- sensation del pop come Franz Fer- fine degli anni ‘70 krauta, così pie- l’autocompiacimento. Tanto da ri- dinand o Arctic Monkeys, due nomi na di nuovi suoni e di nuove spe- servare a Benjy un posticino tutto a cui la label inglese deve molto. ranze ma già consapevole della sua suo nel già affollato panorama folk- Tantomeno di un fenomeno da blog, decadenza e della sua involuzione pop contemporaneo. Un bel risulta- Pitchfork & My Space (lui queste in una utopica ‘man machine’, ritor- to, a pensarci. (7.0/10) cose le odia, figurarsi). Tutti gli in- na nel disco di Arpanet prepotente- Antonio Puglia dizi, dalla copertina dipinta - in sti- mente e senza alcuna mediazione. le pre-war, diremmo - fino al buffo Una casa di specchi post-Moroder Benni Hemm Hemm – Kajak aspetto da hobo-freak spiritato, por- che amplificano e riflettono il suo- (Morr Music / Wide, gennaio tano dritti a un folkster sufficiente- no in una stereofonia psichedelica, 2 0 0 7 ) mente eccentrico da non sfigurare un viaggio che astrae dalla house accanto a tizi come M Ward o De- e riattualizza l’electro-progressive Non è passato neanche un anno vendra Banhart. Mettiamoci dentro dei maestri d’oltralpe. dalla pubblicazione europea del

3 8 s e n t i r e a s c o l t a r e ne da indie dancefloor, battezzata così prevedibile? In ogni caso, la disco d’esordio che gli islandesi dal miglior producer in quel campo gloria del NME è garantita (vedi, Benni Hemm Hemm tornano a farsi - Paul Epworth - che per di più si è appunto, il caso dei succitati Kil- sentire col seguito, dal titolo Kajak. trovata a bissare l’hype con l’album lers): lì non sei mai veramente un Che, per inciso, non muove di una del successo integralmente remixa- perdente, a meno che non sparisci virgola l’apprezzato stile con cui la to ad uso e consumo delle piste da del tutto dalla circolazione. Amen. band si è fatta conoscere. Pop-rock ballo. In ogni caso, che i Bloc Par- (4.8/10) sinfonico dalla lingua straniante e ty si siano rivolti a Jacknife Lee dall’irresistibile carica melodica. Antonio Puglia per dare un seguito a Silent Alarm Se la confezione rimane la stessa, ha indubbiamente il suo peso, ma allora, i cambiamenti riguardano Boomhauer - Me Think Ok fino a un certo punto. Perché se le canzoni. Perché i Benni Hemm (Stupido Records, gennaio A Weekend In The City è un bel Hemm padroneggiano meglio gli 2 0 0 7 ) pasticcio, il merito non può esse- strumenti a propria disposizione. Dalla Finlandia, ecco il secondo re solo dell’uomo dietro il suono Con l’effetto non indifferente che album per un trio - basso, batte- degli ultimi U2 e Snow Patrol. Ac- i brani suonano ancora più orec- ria, chitarra e voce - come minimo canto alla produzione ipertrofica ed chiabili, solidi, maturi. Se nel pri- schizofrenico. Nelle diciassette elefantiaca di brani come l’iniziale mo episodio infatti dopo qualche tracce (diciannove, se opterete per Song For Clay, Uniform, o Where ascolto l’attenzione un po’ calava, il vinile) per 37 minuti di durata di stavolta il tempo non riesce ad in- questo Me Think Ok, il fronte so- taccare la qualità di Kajak. E per noro oscilla bruscamente tra spor- la verità è un risultato paradossa- co hard blues, indie rock sognan- le, se si pensa che il nuovo album te e alt-country indolenzito. Nello dura oltre cinquanta minuti, con- specifico: quando fanno i Dottor tro la mezzora abbondante del cd Jekill della situazione c’imbattia- precedente. Ma è vero, si tratta di mo in ballad svagate e frizzantelle, un pugno di pezzi che davvero ma- dolciastre e carezzevoli, roba tipo sticano pop ed emotività. Sex Eða dei Grandaddy ristretti (Cricket, Sjö vive di crescendo post rock e Where You Belong) con qualche in- malinconie cantautorali. Regngal- grugnimento attonito stile Linkous sinn è una morbida ballata che è (This Town Means Well, Come Clo- un massaggio cardiaco alle soffe- ser). Subito prima o subito dopo renze d’amore. Egísa è una oscura però, i lineamenti assumono il ghi- e toccante quadratura del cerchio, gno brutale di Mr. Hide, e allora giù che fa scendere lentamente il sipa- coi fulmicotoni spigolosi e beffardi Is Home?, c’è il chiaro intento di rio su questo progetto pop. La Morr Jon Spencer, quella veemenza an- apparire più complessi nella scrit- Music allora apre bene il 2007. E se fetaminica, quello spigoloso rim- tura, a scapito di una freschezza il buongiorno si vede dal mattino, balzo di sincopi e adrenalina, che che risulta persa in continui cambi ci sarà veramente da divertirsi, nei contempla l’arcaico (John, Load Of di umore e stratificazioni di suo- prossimi mesi. (6.8/10) Troubles II) ed il robotico (Peace ni ed effetti (synth vocoder, riffoni Manfredi Lamartina Of Mind, Careless Bird). Ok, ci può possenti e cori che manco i Muse stare. Non staremo certo a fare i in fregola proggy). Non è infatti ben Bloc Party – A Weekend In The verginelli che si stupiscono della chiaro che cosa Kele e i suoi vo- City (V2, 2 febbraio 2007) presenza di pertugi tra stili diversi. gliano essere: a costo di sembrare, Solo che qui i voltafaccia sembrano Se una band brit arriva alla fatidi- per forza di cose, più adulti, non una strategia precisa, piccole sca- ca tappa del sophomore record - il riescono a produrre né potenziali riche di sconcerto che aprono scre- secondo disco, per dirla come loro - hit ballabili (non lo è certo il pri- polature nelle quali s’annidano i con un milione di copie sul groppo- mo singolo The Prayer, tantomeno germi energetico/melodici di queste ne, possono succedere due cose. O la frenesia disco-punk agli steroidi canzoni. Certo, nulla di grave, roba diventa i Coldplay, o fa la fine di un di Hunting For Witches) né canzoni che non dura moltissimo tra corpo Killers qualsiasi (che poi sono ame- ben confezionate, anche se episodi e anticorpi. Ma intanto sei rimasto ricani, ma vabbè). La trama poi si in sé gustosi come On, I Still Re- agganciato al programma, ed era infittisce nel momento in cui la sud- member, Sunday e la finale SXRT proprio l’obiettivo che i Boomhauer detta band - e qua entra in gioco il (una bella melodia gonfia d’epos si erano prefissi. Di questi tempi, è fattore Rapture – decide di mettersi cinematico Flaming Lips) vanno già un ragguardevole risultato. No? nelle mani di un produttore diverso tanto verso l’indie pop quanto ver- (6.4/10) da quello che ne aveva decretato e so l’emotività di Bono e affini, ma Stefano Solventi garantito il successo. Non un det- si perdono nel magma di un’identità taglio da poco, visto che si parla confusa. C’era da aspettarselo? Il di una realtà nata come sensazio- sistema funziona davvero in modo

s e n t i r e a s c o l t a r e   Bracken – We Know About The in We Know About Need, si tratta zi - composti in gran parte dalla Need (Anticon / Goodfellas, 30 di accenni, spunti, che non trova- ragazza - sono più che dignitosi, gennaio 2007) no una via d’uscita, ma che rive- non coltivano alcuna velleità che Che la Anticon sia in una fase di lano qualcosa in più sul cammino non sia quella d’intrattenere col transizione e stia spostando il suo futuro dell’etichetta newyorchese. loro mood fragrante e blasé (Lady baricentro verso i territori più ac- (6.4/10) Weeping at the Crossroads, I Went cessibili del pop, abbiamo avuto oc- Daniele Follero to Heaven, Before the World Was casione di dirlo più volte. Del resto, Made), permettendosi talora levi- dopo i discreti risultati dei dischi di gati guizzi errebì (Those Dancing Why? e, soprattutto del duo Alias- Days Are Gone, If You Were Co- Tarsier, era facilmente intuibile ming in the Fall) e vellutati swing che la label statunitense avrebbe (Ballade at Thirty Five). La voce continuato per quella strada. Il di- gioca coi propri limiti, spiana le sco d’esordio di Bracken, progetto mancanze con una sensualità sdru- solista di Chris Adams (uno dei due cita che deve venirle piuttosto au- fratelli fondatori degli Hood) ne è tomatica, insomma si fa rispettare, la conferma. Sarebbe però devian- anche perché capita di sentirne in te per chi legge, liquidare con la giro di peggiori. In conclusione, un parola “pop” un disco che merita disco discreto che significa - inevi- attenzione, anche se il risultato in tabilmente - oltre il proprio effetti- fin dei conti non è poi esaltante. Se vo valore, nei rimbombi di costume uso questa breve e tanto abusata che lo aureolano. (6.3/10) parola palindroma in questo caso, S t e f a n o S o l v e n t i è solo in riferimento ad un modello compositivo che privilegia le strut- Carla Bruni - No Promises David Vandervelde - The ture melodiche tonali. In due parole: (Naive / Self, 12 gennaio 2007) Moonstation House Band melodie orecchiabili. Per il resto, la Dopo aver tradito prima l’affran- (Secretly Canadian, 23 gennaio propensione verso arrangiamenti ta Patria accasandosi presso le 2 0 0 7 ) pieni, corposi, tipicamente Anticon scintillanti passerelle parigine, poi e il raro uso della forma canzone l’idea che una modella - per qualcu- Ventiduenne da Chicago, cantante strofa-ritornello, hanno poco a che no LA modella – potesse dedicarsi e polistrumentista, nome da cal- vedere con quello che generalmen- al folk-pop con esiti tutto sommato ciatore e un’ossessione flagrante te si intende per “pop”. We Know lusinghieri (indipendentemente dal per il glam più capriccioso e ac- About The Need risente molto del- fatto che Quelqu’un M’a Dit - il de- corato, già qualche collaborazione l’influenza dei cLOUDDEAD e in butto del 2003 - abbia venduto un significativa alle spalle (con Mark particolare delle escursioni ambient paio di milioni di copie), con que- Eitzel e gli Entrance tra gli altri), di Odd Nosdam, non a caso presen- sto No Promises Carla Bruni non David Vandervelde debutta e lo fa te nell’album tra i guest. Atmosfere perde il vizio di tradire anzi raddop- alla grande. Ovvero, lui ci mette la dreamy tutte archi, echi e tappeti di pia: finiscono scornati prima quelli smania ed il talento nell’incarnare synth fanno da sfondo a quasi tutto che liquidavano l’avventura della forme e spirito Big Star/Marc Bo- l’album, che si divide tra tensioni ex-modella come uno sfizio tanto lan (sentire per credere lo sfasato dark (Back On The Calder Line), redditizio quanto fugace, poi colo- languore di Feet Of A Liar), mentre melodiose dolcezze su breakbeat ro che oltralpe carezzavano l’idea Jay Bennett - che stravede per il à la Alias (Fight or Flight) e buchi d’avere trovato una nuova Hardy o ragazzo - gli consegna le chiavi e neri ipnotico-rumoristi (Evil Teeth; una nuova Vartan, vergando le nuo- i giocattoli del suo Pieholden Suite La Monte Lament) che rovesciano i ve canzoni in (oltraggioso) idioma Sound (lo studio dove i Wilco par- presupposti stessi dell’ album. Pia- inglese, con buona pace dei nostri torirono Yankee Hotel Foxtrot), cevoli deviazioni, soprattutto quel- cugini più sciovinisti. Testi che, aggiungete inoltre il sapiente tocco le di Evil Teeth, sei intensi minuti occorre sottolineare, riadattano di David Campbell ad orchestrare di deliri psichedelici che guardano al formato canzone liriche di poe- archi e ottoni, ed ecco che il so- con un occhio all’elettronica e al ti quali Yeats, Dickinson e De La gno The Moonstation House Band free jazz dei primi Settanta e con Mare. E allora? Allora, voilà, sia- può dirsi felicemente compiuto. l’altro a Kid A dei Radiohead, com- mo spiazzati. Traditi, certo. Perché Dalla sfacciata imitatio T.Rex di pensati purtroppo dalla successiva il “prodotto” - che l’aura di Carla Wisdom From A Tree (quell’impa- Four Thousand Style, una ballad sponsorizza as usual – anche sta- sto d’impetinenza e struggimento) noiosa e decisamente bruttina. Nel volta non è male, ovvero dispiega alla cinematica mestizia Bowie di singolo, Heathens, si sente qualche con disinvoltura folk venato blues Corduroy Blues, dal ghigno acidulo riflesso incondizionato di casa An- e languori mediterranei grazie an- dell’iniziale Nothin’ No (che riman- ticon verso l’hip hop ma, come per che alla sapiente supervisione del da ai Black Crowes di Amorica) quasi tutte le idee messe in gioco chitarrista Louis Bertignac. I pez- alla sbarazzina Jacket (memore di

4 0 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

David Kitt - Not Fade Away (Rough Trade / Self, 26 gennaio 2007) Con la consueta discrezione, il folksinger dublinese David Kitt ritorna con il quinto album Not Fade Away, registrato per la maggior parte nel suo studio e prodotto dallo svedese Tore Johansson (The Cardigans, Franz Ferdinand), in cui suona quasi tutti gli strumenti e vede la collaborazione di metà del quartetto folk-pop The Magic Numbers. Kittser miscela pop d’autore, folk e indietronica, suoi marchi di fabbrica, in un disco eteroge- neo e meno in sordina dei precedenti, che assume un retrogusto malin- conico, soprattutto nelle lyrics, e che contrasta parecchio con la visione amorosa bucolica che aveva tratteggiato solo pochi anni prima in Square One (Warner Music, 2003). Qui ci sono canzoni più aggressive e oscure. C’è la disillusione e la fine dell’incanto, l’oscurità del tradimento e della perdita di fiducia. Musicalmente si apre al pop, con influenze ’80, si veda- no i beats elettro di Grey Day e il techno-funk dell’ironica Don’t Fuck With Me, mentre scherza con un incipit tardo Roxy Music alla More Than This (nella barocca Up To You sugli infiniti tentativi amorosi, che diventa malinconica nel suo spleen). Seguono rimandi jazz/easy listening d’oltreoceano, nell’incipit di One Clear Way (di sapore Steely Dan), miscele di acustico ed elettronico (Sleep, Wish and I Wont Stop), mentre la title track aggredisce nel finale con una chitarra elettrica art-rock. E la intensa Guilty Prayers, Pointless Ends, uno dei picchi dell’album, riecheggia Nick Drake e il folk inglese, per una ballad a due voci che osserva da vicino la gente vivere la vita di tutti i giorni, errori compresi. Per concludere, una delicata country- ballad (With You) in cui si piange su amori perduti, mentre echi di piano e un banjo nel finale la puntellano. Kitt concepisce così il suo disco della maturità. Un autore che meriterebbe almeno la stessa fortuna toccata in sorte a connazionali come Damien Rice, Tom McRae e David Gray, se non di più. (7.2/10) Teresa Greco

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 1 alcune cosucce Spector anni Cin- aprono a scenari psicologici sotti- Fat Cat, una specie di esordio a quanta). Nel finale, una Murder In li e/o a fotografie paesaggistiche tutti gli effetti vista la natura “ca- Michigan venata country-psych e contemporanee tra metallo e aria, salinga” dei predecessori, licen- soprattutto quella Moonlight Instru- cemento e vetro. Tratti visivi deri- ziati per l’etichetta del Bu Hanan mental - balugini di tastiere e mi- vanti da trame sonore, ovvero luci- collective (di cui è co-fondatore). raggi orchestrali per solenne ibri- de ipnosi indotte dalla ripetizione e A David, songwriter sensibile, va do Todd Rundgren / Mercury Rev/ dall’avvicendamento tra l’esperien- senz’altro il nostro apprezzamento Lambchop - schiudono ulteriori ipo- za acustica (meglio la sua segmen- per il complesso tentativo di trac- tesi di sviluppo ed espansione del- tazione, apparizione, sparizione) e ciare un sentiero attraverso lo-fi, l’arte sonora vanderveldiana. Che quella sintetica ambientale (il gli- post-rock, alt-country e nostalgie per ora è una splendida emulazio- tch, il fruscio). Altro aspetto: la mi- swing. Le sue canzoni sono davve- ne. Domani, chissà. (6.8/10) nimal techno, anch’essa decostruita ro belle, soprattutto quando azzec- Stefano Solventi e incanalata in fitte texture per un ca il giusto equilibrio tra innocenza discorso più secco e monocromati- e angoscia, come nella crepuscola- co (e da qui accidentalmente asce- re Scripts o nella dolceagra Beast. tico se vogliamo). Due faccie di Però attorno all’ascolto si adden- una medesima medaglia di metallo sano le nuvolette del dubbio. Pro- solido da parte di ottimi artigiani. vocate, credo, dalla esiguità atmo- Gente accorta che in questi anni ha sferica in cui la piantina germoglia lavorato incessantemente in varie e cresce, le radici rattrappite e le sonorizzazioni filmiche e che qui finestre chiuse, quasi che non esi- dà buona prova di gusto e eleganza stesse uno ieri antecedente i ni- (un esempio per tutti, l’appeal à la neties e - soprattutto - un mondo Tour De France di Treibel). vero fuori dalle sue ossessioni teo- I contro tuttavia non mancano: il sociologiche. Non a caso tanto gli lavoro sposta di poco le intuizioni strali dixieland che gli stilemi coun- maturate ai tempi dei To Rococo try-psych sembrano di terza mano, Rot, e tanta bontà può apparire an- colti dallo scaffale dei Giant Sand che come uno standard acquisito. o dei Circulatory System, il che ci In sostanza, se non mancano di- dispensa dal citare i soliti Young verse buone ragioni per esaltare e Dylan, d’accordo, però sono se- Fennesz e Jelinek, altrettanto non gni referenziali che si esauriscono Denzel + Huhn – Paraport (City può dirsi per Denzel e Huhn. Loro al primo livello: il loro riverbero è Center Offices / Wide, gennaio lo sanno. Ed è un peccato di coe- sordo, a tratti pure masturbatorio. 2 0 0 7 ) renza. (6.4/10) La bellezza insomma c’è, ma suona Sono passati cinque anni da Time impastoiata, impaurita. David Kar- Is A Good Thing, ma il rigore di Edoardo Bridda sten Daniels deve risolvere un paio Bertram Denzel e Erik Huhn è rima- di problemini. (6.4/10) sto intatto, come pure l’imperturba- David Karsten Daniels - Sharp bile metodo made in Deutschland. Teeth (Fat Cat / Wide, 19 Stefano Solventi Proprio come ai bei vecchi tempi gennaio 2007) con i To Rococo Rot (realtà di cui Immaginate: Jason Lytle dopo una facevano parte in principio), i due rovinosa caduta dall’amato skate, compongono brevi bozzetti dal cor- Jason Molina a seguito di un’indi- pus sonico inconfondibile, tant’è gestione da american pie e David che Paraport potrebbe rappresen- Bazan per quel prozac di troppo tare un buon bignami del paradig- nello stomaco, tutti assieme nella ma elettronico ambientale degli comunità di recupero del dottor Tim ultimi anni. Si diceva del metodo: Delaughter, famosa per le proprie- alcuni strumenti suonati in studio tà terapeutiche della brass-band (chitarre, tastiere, basso) vengono diretta dal maestro Howe Gelb. Al successivamente decostruiti e mes- di là del cazzeggio, in una situa- si in loop assieme a sample concre- tion comedy così apparecchiata ti. La circolarità delle note e l’uso potremmo rinvenire tutti o quasi i calibrato del disturbo trovano così tremori, gli incanti, lo spaesamento un output privilegiato nella musica bucolico, i crucci sghembi, le ap- per film immaginari di Eno (Para- prensioni e le manie che abitano Do Make Say Think - You, You’re port, NDR) e nell’architettura (for- Sharp Teeth, quarto disco per Da- A History In Rust (Constellation se il miglior paragone per questa vid Karsten Daniels, polistrumenti- / Wide, 12 febbraio 2007) musica, dai tempi dei To Rococo sta del North Carolina. E’ il lavoro Come Mogwai, Explosions In The e Autechre). Aspetti fondanti che che battezza la collaborazione con Sky e Early Day Miners anche i

4 2 s e n t i r e a s c o l t a r e Do Make Say Think vivono questa tra il buio e la luce, impegnato a Bonnie Doon, che pure è un O’ frazione di secolo da decontestu- torturare la sapiente scrittura già traditional). Non è una ragazzina, alizzati. Il loro post-rock - sì dif- messa in mostra ai tempi di The Eddi. Scozzese di Glasgow, classe ferente dai nomi sopra citati, ma Restless Fall col battito incessan- ’59, un quarto di secolo fa prestava affine agli stessi per l’obsoleto ap- te dei tamburi di Lucio Sagone e le l’ugola a Gang Of Four ed Euryth- proccio al pentagramma – è figlio di chitarre elettriche di Christian Ala- mics, prima di diventare la voce dei un’epoca che non c’è più. Quando ti, donandole l’aspetto di un spec- Fairground Attraction, band pop- esordirono, nel 1998, riscossero un chio d’acqua appena increspato folk baciata da effimera ma brillan- successo che poneva anche le basi (Red Eyes, Waiting on a Friend), te fama grazie all’exploit del singo- per il futuro, oggi quel futuro - ahi- o magari di un mare sconvolto da lo Perfect (correva il 1988). Seguì loro – non ha tempo da dedicare ad flutti ingovernabili (God). Un sen- una carriera solista dignitosissima un disco, il quinto, povero oltremi- tire ruvido e sconnesso, sdrucito e che le ha guadagnato supporters in sura di spunti annotabili e fissato analogico, fisico e poetico al tempo mezzo mondo. Insomma, la ragaz- su tematiche demodè. Comunque, stesso, che non si discosta di mol- za ha un passato e te ne accorgi. per la cronaca, l’affinità è prossi- to dalle ritrosie esistenziali noir di Tuttavia, malgrado la perizia e il ma al precedente Winter Hymn Cesare Basile. (7.4/10) talento, questo disco – che alterna Country Hymn Secret Hymn, con nuove composizioni a brani tradi- interessanti capatine - se proprio zionali, prodotto dal leggendario vogliamo dare qualcosina a Cesare violinista John McCusker, suonato – nei registri una volta cari ai Mo- assieme ad un manipolo di autore- torpsycho (Bound To Be That Way, voli musicisti britannici – alla fine A With Living) e al folk (A Tender non è che un praticello in cui so- History In Rust, In Mind). stare per concedersi una tregua. Al Ma di seguito, ascoltata la soli- bisogno. (6.2/10) ta epica d’un tempo (Executioner S t e f a n o S o l v e n t i Blues, Herstory Of Glory) capisci che oltre un paio di ascolti, ai Do Make Say Think non hai da regalare Eluvium - Copia (Temporary più nulla. (5.0/10) Residence / Alternative Gianni Avella Distribution Alliance, 20 febbraio 2007) Il percorso artistico del Matthew Don Quibòl – Self Titled Cooper di Copia possiede tutti i (Canebagnato, 2006) Fabrizio Zampighi tratti distintivi del traguardo uni- C’è un senso di attesa. Talvolta in- versale. Dal particolare, il punto Eddi Reader – Peacetime quietante, più spesso anticamera di partenza - droni timidi o piano (Rough Trade / Self, 29 gennaio di rabbiose esternazioni. I fraseggi lambiccato (Lambentato, verrebbe 2 0 0 6 ) si chiudono abbracciando un moto da dire) -, siamo dunque giunti al- circolare, quasi a formare una rag- Sedetevi pure. Mettetevi tra quel l’allargamento possente delle pos- giera in cui tutto converge verso un fiddle e quel whistle. Togliete le sibilità timbriche (prima ancora che sol punto; le chitarre sfrigolano; la scarpe e le calze, che i piedi nudi espressive). First of all, dunque, batteria si fa pressante. The Wor- sull’erba – si sa – fanno terapia. una strumentazione che spazia con ld Comes Around cattura con i suoi Beccatevi questa tregua, scommet- maggiore libertà da sovratoni d’ar- feedback Mark Lanegan e i Low , li to che ve la meritate. Eddi Reader chi a synth più roboanti che mai, da spara sotto il cielo di piombo di Hu- fa di certo al caso vostro, con la un piano sentimentale (spesso soli- man Perversion, per poi finirli con sua voce disposta al velluto e al sta da concerto classico), a lamine le malinconie angoscianti di Fear Of miele con qualche goccia d’ango- electro e spettri corali. Soprattutto, Love: un matrimonio pagano speso stura. Come una Sandy Denny sfi- rispetto a Talk Amongst The Trees tra accordi in minore e paesaggi lettata, sgrassata e passata al mi- (e alla sua appendice, When I Live glaciali che solo alla quarta traccia croonde, pronta ad accompagnarci By The Garden And The Sea), qui – non a caso intitolata Play - si lungo le fosche trepidazioni di The la scrittura impara a mettere da scioglie per mostrare un angolino Shepherd’s Song o attraverso la parte con raffinatezza gli spigoli di sole. Nel mentre si naviga a vista madreperlacea tensione della title , e a non rinunciare - in tra folk decadente e improvvisi ri- track. Oppure, se volete, come una ogni caso - a sordide intromissioni torni di fiamma, reminiscenze ved- Eva Cassidy con meno estensio- di registrazioni sul campo, di sibili e deriane e secchezze elettro-folk: li- ne ma altrettanto amore, che ine- dissonanze, di nebbie stordenti. Si tri e litri di profondi chiaroscuri che vitabilmente scavalca gli argini del ascoltino i rumori psico-industriali fluttuano nervosi tra la polvere e le british folk per beccheggiare tra di (Intermission) che preludono alla ombre all’orizzonte. depistaggi esotici (Prisons) o ansi- trance estatica (apocalittica qua e Paolo Saporiti lo trovate proprio lì, ti smithsiani (Ye Banks and Braes là) di After Nature, un post-sogno

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 3 d’incanto e austerità, e alla film I paesaggi e le alternanze di mate- troacustico in cui ai drones ambien- music dell’aldilà di Reciting the Air- ria sonora sono gli stessi – certo tali Bergero unisce suoni di origine ships per piano-synth maestoso (un abilmente espressi, e ci manche- concreta. Un flusso sonoro che si gentile quanto irrisolvibile incontro- rebbe, dopo dieci anni abbondanti muove per chiaroscuri emozionali scontro tra ritmo e atmosfera). C’è di post-rock emozionale. Buttati a al fine di rappresentare (forse) il poi un contrasto amore-morte che pesce sulle alternanze forte-piano, suono di una stella ed in cui la rag- qui si risolve in senso creativo e ri- gli Explosions conservano insom- gelante rarefazione della seconda petitivo al contempo. La piece più ma l’alternanza dinamica del suo- parte sembra mettere in musica il emblematica è Hymn #1 (fortunale no come prerogativa a cui proprio desolato vuoto cosmico. Una com- accoppiato con accorato piano lo- non riescono a rinunciare. È diffi- posizione di una algida bellezza. fi), ma le sue reiterazioni sfinenti, cile appassionarsi a questo come (6.8/10) i suoi disintegration loop a velo- al resto, tra cui la dolcezza dei cità terminale toccano vertici pa- fraseggi più mielosi (si salvano lo radisiaci nell’attacca sinfonico di spettro melodico di It’s Natural To Amreik (Vangelis che fronteggia Be Afraid e il fraseggio del piano placidamente le fanfare di Hinde- – strumento che dà loro discreti ri- mith), nell’aperta melodia (quasi sultati - di So Long, Lonesome), le una fantasia) di Seeing You Off The fantasie adattate dai soliti Mogwai Edges, nel sortilegio Mertens-Ny- che tanto piacquero (il passato re- man-Debussy di Prelude For Time moto è d’obbligo) a tutti. Chi ne Feelers, nelle maestose stratifica- ha voglia, magari non sbaverà per zioni di Repose In Blue. Se il Talk questo disco, ma lo accoglierà tra era erede di Eno e Shields, in Co- i pensieri struggenti della propria pia Eluvium si autoproclama poeta camera d’ascolto. Fa solo un po’ spaziale dalla sfacciata sensibilità specie vedere sulla copertina data decadente, quasi post-romantica 2007, anzi fa specie pensare che (forse anche beethoveniana) e dal- non faccia specie agli EITS stessi. l’amabile perseveranza. Così è, se (5.0/10) Stefano Pifferi vi pare. (6.9/10) Gaspare Caliri Michele Saran Fosca Bernardo Santese - Fhievel – Preghiera per una stella Ballate di fine inverno (fpml, Snotra – All Done By John (Afe 2 0 0 6 ) Records, 2006) Tre amici, divertirsi senza staccare Accoppiata di uscite brevi per Afe; il cervello, l’impegno malgrado tut- da un lato Fhievel, giovane compo- to che con un po’ di mestiere, talen- sitore elettronico italiano, dall’altro to e fortuna può diventare musica. Snotra, lo scozzese John Charles Uno stormo di amici che porta in Wilson, già attivo come Frog Poc- prestito sax, fisarmonica, pianofor- ket. Modi diversi di trattare la ma- te, violoncello, percussioni eccete- teria elettronica che però testimo- ra. Venti canzoni, perlopiù acusti- niano la eterogeneità di Afe. Snotra che, ma anche un filo elettriche per per provenienza geografica e inten- non dire elettroniche (Il fumo degli ti sembra il vero gemello scompar- anni ‘70). Che diventano un disco. so di Richard D. James. In All Done Di ballate. Dedicate alla fine dell’in- By John (riedizione rimasterizzata verno. Ragion per cui in tutte sen- del numero 4 della Electric Avenue ti un filo di speranza, per non dire Explosions In The Sky – All Series della giapponese Duoto- d’allegria (La canzone peggiore) Of A Sudden, I Miss Everyone ne Records) troviamo infatti ritmi che non vuol certo dire felicità, un (Temporary Residence / V2, 20 spezzati, escrudescenze rumoro- refolo insomma che soffia tiepido e febbraio 2007) se, cancrene sonore e guazzabugli non potrebbe essere diversamente, La solita domanda: il recensore electro alla maniera dei terroristi ché altrimenti neppure esisterebbe dovrebbe forse seguire il principio sonici post-Aphex Twin. Una mi- un disco così, marchiato Creative dell’adeguatezza? In altre parole, scela di beats frenetici e frantumati Commons quindi legalmente ma- di fronte a dischi molto simili tra da strutture sonore borderline che sterizzabile, venduto a disarmante loro, gli è concesso ripetere allo però risulta già ascoltata. (6.0/10) prezzo imposto (5 euro). Vale a dire sfinimento concetti già espressi? Di Fhievel avevamo già sentito – se volete - un dito medio di formi- Se sì, allora poche righe possono parlare in passato nelle uscite con ca alzato contro l’elefante moribon- bastare a descrivere questo All Of Luca Sigurtà e Claudio Rocchet- do. Speranza, dicevamo: in qualco- A Sudden, I Miss Everyone, nuovo ti. Lo ritroviamo in questo 3” alle sa che sfugge. Come un orizzonte disco degli Explosions In The Sky. prese con textures di impianto elet- che si sposta. Nostalgia di vite lette

4 4 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Joakim - Monsters & Silly Songs (!K7 – Audioglobe, 19 febbraio 2 0 0 7 ) Joakim Bouaziz è senza dubbio uno dei segreti meglio conservati del- la scena musicale francese. Pur con alle spalle una discreta esperienza compositiva e produttiva, culminata con la pubblicazione dell’eccellente Fantomes (Versatile Records 2003 –nda-), il Nostro non è mai riuscito ad imporre il proprio nome all’attenzione generale rimanendo, per lo più, materia per appassionati. Colpa probabilmente di un lavoro spesso troppo ostico per i più accaniti seguaci delle logiche dancefloor ed allo stesso tempo poco “intellettuale” per la componente più radicale del pensiero elettronico contemporaneo. In realtà, l’intento di Joakim era proprio quello di far sfuggire la propria musica da qualsiasi costrizione dettata da generi e stili, liberandone e rivendicandone la libertà espressiva materializzata nel corso degli anni nelle forme più disparate, dal rock all’electro dalla techno al folk. Un’orgia nella quale il Nostro a sguazzato a suo piacimento sino all’altro ieri ingozzandosi di qualsiasi frammento sonoro fosse minimamente interessante alle proprie orecchie, rigurgitando e rielaborando il tutto attraverso la mano lucida ed attenta del non musicista che qui porta a compimento uno dei suoi capolavori assoluti. Una visione espressa in maniera quanto mai eloquente dal titolo scelto per battezzare l’album: Monsters & Silly Songs, mostri e stupide canzoni, ovverosia le due anime che si annidiano tra i solchi di questa seconda prova in studio di Joakim, impossibile da catalogare perché volutamente trasversale ed inopportuna, capace di sedurre con lampi di meraviglioso electro pop (I Wish You Were Gone) e subito dopo annientare l’ascoltatore con una cavalcata prog/psycho/techno degna dei primi Orb come (Three Legged Lantern). Non esistono attimi di riposo né esitazioni di sorta lungo tutto lo scorrere del disco, Joakim taglia e cuce sensazioni ed emozioni, ombre e fan- tasmi, supportato da una band di ottimi musicisti che lo accompagnano a spasso tra meandri di folk apocalittico (Everything Bright & Still, Palo Alto) fiabe impossibili (Peter Pan Over The Bronx), reminescenze Depeche Mode (Lonely Hearts), marziali electro psicotiche ranze (Sleep In Hollow Tree) ed indie rock song da far sparire in sol colpo tutto il catalogo della Domino e della Rough Trade (Rocket Pearl). Monsters & Silly Songs è il primo grande lavoro del 2007. (8.0/10) Stefano Renzi

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 5 nei libri, osservate nei film, ascolta- zione”. Allora il costrutto traballa, i un ascolto riprodotto, impoverisce te nei ricordi, finite dentro gli occhi limiti ci sono e non c’è maquillage inevitabilmente l’esperienza sono- stanchi di chi ormai può solo rac- che li copra. Anche perché fanno ra. Nonostante ciò e superata la contare (la trilogia di Storia di una parte della cosa e occorre accet- difficoltà di ascoltare musica tanto Rivolta). Canzoni-storie che mima- tarlo, se vogliamo che nella sor- estrema, si scopre presto che le no indignazioni, rammarico, elegie, prendente cover di Blood Of Eden idee di Florian Hecker possiedono bilanci, l’orgoglio di sentirsi orfani quel farraginoso disarmo Lou Reed elementi interessanti. Esperimenti dei deprecatissimi ideali, l’amore / Johnny Cash si riveli messa in di confusione spazio temporale (i per la terra-teatro del proprio vi- scena – già - straordinariamen- giochi minimal-ripetitivisti di Prece- vere che svapora naturalmente in te opportuna per le antiche spore dence); un approccio noise dai toni poesia. L’italia del folk-studio, ma emotive gabrielliane. Disco bello spesso ironici, a partire dai titoli anche De André, Bertoli, Fossati, anche per le debolezze su cui getta (Acid 245; Ph.Inv 9T2); l’applica- e il passo pastoso tra sabbia e mi- impietosa luce. (6.9/10) zione di tecniche stocastiche che si raggi del country rock, e la caligine Stefano Solventi rifanno agli studi di Xenakis (He- visionaria dei bardi britannici. Per non Map & Gingerbread Man) e la celebrare uno struggente malani- tendenza a portare a concretezza il mo, una formidabile inquietudine. gesto sonoro, trovano la loro sinte- Una indomita vitalità. Riuscendo si nella lunghissima In Actu, in cui a non impastoiarsi nella retorica, la creazione di uno spazio fatto di e non è poco. Mettendo la musica suoni e rumori, instabile e terribil- al centro della questione. Cuore, mente avvolgente, vede l’impiego corpo, memoria, collettività. Spe- di tutte le tecniche di elaborazione ranza. Finisci un po’ per crederci. dei suoni sperimentate dal musi- (7.1/10) cista austriaco negli anni. Difficile Stefano Solventi consigliare un disco così se non agli addetti ai lavori e ai collezioni- sti. Eppure…(6.8/10) Giancarlo Frigieri - Close your eyes, think about beauty (Black Daniele Follero Candy, 15 gennaio 2007) Nel vuoto lasciato dalla vicenda Horatiu Raduslescu – Intimate Joe Leaman, c’è la solitudine fie- Rituals (Sub Rosa, 2006) ra di Giancarlo Frigieri. Che non Hecker – Recordings For Horatiu Radulescu è un composi- si nasconde, esce allo scoperto Rephlex (Rephlex / Goodfellas, tore d’origine rumena, classe 1942, scoprendo la ferita di una passio- 4 dicembre 2006) frutto della fertile Accademia di Bu- ne mazziata ma per nulla arresa. Austriaco in tutto e per tutto, nato carest dove ebbe modo di conosce- Solitudine quindi, e sia: chitarre ad Augsburg 32 anni fa e da molto re figure importanti dell’avanguar- perlopiù acustiche, percussioni, tempo viennese d’adozione, Flo- dia locale. Lasciato per ovvi motivi bave di basso, l’armonica, la voce, rian Hecker si occupa di computer il Paese d’origine, riparò come mol- Giancarlo fa tutto da sé, e si sen- music da ormai più di dieci anni ed ti intellettuali della sua terra a Pa- te. C’è questa vibrazione ostinata ha un passato legato all’etichetta rigi, dove frequentò Cage, Ligeti, e malferma, questa stolida fragilità Mego (Fennesz, Jim O’Rourke, Stockhausen e Xenakis, con pun- che si aggira tra placide trepidazio- Radian), per la quale ha pubblica- tate estive ai corsi di Ferrari a Dar- ni folk (Leaves Your Mind), morbidi to la maggior parte dei suoi dischi. mstadt e di Kagel a Colonia. Grazie blues-psych quasi-Lanegan (Ocean Manipolatore di onde sonore, molto alle frequentazioni importanti, Ra- Child), afflizioni sperse su spiagge interessato agli effetti psico-acusti- dulescu ha potuto sviluppare una younghiane (Motherland). Un tra- ci del suono e alla sonorizzazione personale applicazione della teo- passo lento e denso tra inquietudini dello spazio musicale, Hecker ha ria sonora “spettralista” francese piuttosto nude, fili d’angoscia che trovato un’altra accogliente e sti- - sulla quale hanno influito anche ciondolano tra elettricità sparagni- molante dimora per i suoi prodotti ulteriori studi di composizione su ne (The Dead Children Song) e an- discografici alla Rephlex, la nota base aritmetica e di psicoacustica gelico languore (una She Brings Me label del signor Aphex Twin, che, all’IRCAM – che, per amor di sem- Down che sembra Fred Neil nelle a giudicare dal prodotto non ha po- plicità, consiste nell’applicare serie acque chete Lambchop). Frigieri sto condizioni agli esperimenti del di intervalli tra loro diseguali in cor- non sembra obbedire ad un dise- musicista austriaco. Radicalmente rispondenza delle scale armoniche, gno. Costruisce pezzo per pezzo sperimentali, le registrazioni per aggiungendo all’operazione un ac- la propria schiva presenza sonora, la Rephlex, qui raccolte in un uni- curato lavoro di “scordatura” sugli ben sapendo che per conseguire co cd, nella metà dei casi sono il strumenti. Intimate Rituals riunisce l’insidia sabbiosa di una Another risultato di performance in cui lo quattro lunghe composizioni per Sort Of Murder la naturalezza non spazio rappresenta un elemento duo di viola e violini vergate nel basta, occorre una certa “recita- fondamentale e la sua assenza in lasso di tempo tra 1984 e 2003, che

4 6 s e n t i r e a s c o l t a r e scoprire la vena di cantautori d’ol- contare la voce duttile e maliosa di treoceano come Bright Eyes o Mi- Giovanna, che averla o non averla cah P Hinson; ecco perché alcuni fa una gran bella differenza.Poi c’è momenti di Magnetic North pos- il “qualcosa in più”, nello specifico sono ricordarli. Dalla sua, però, di Get Away, uno di quei pezzi che Iain Archer ha un talento genuino da soli valgono un paio di gradini e uno sviluppato gusto per gli ar- sulla scala verso l’eccellenza, con rangiamenti, doti ben calibrate che le strofe che si aggirano circospet- lo tengono lontano tanto da facili te tra reminiscenze sixties e il ri- emulazioni quanto dai sentimenta- tornello che si slancia in una trepi- lismi strappacuore dei Coldplay e da evoluzione come potrebbe una dei suoi stessi ex-colleghi scozze- Kate Bush in fregola shoegaze, si. Dosi di melodismo McCartney / quindi il finale che spalma pathos Elliott Smith (Collect Yourself, Fro- anni ottanta per la migliore dissol- proseguono quanto detto e insieme zen Northern Shores) miscelate a venza auspicabile. Tu chiamala, se offrono uno sguardo evolutivo della vigorose iniezioni di chitarre indie vuoi, maturità. (7.1/10) maturità dell’artista. Das Andere, ’90 (vedi le spinte di When It Ki- Stefano Solventi ostica e scorticante, concede rada cks In o i luccichii Sparklehorse in ipnosi minimale in un racconto so- Soleil), più ballate memori di certe noro di proporzioni matematiche in meraviglie infantili targate Daniel crescendo. Più potabile all’orecchio Johnston (Minus Ten) o di cer- non allenato Agnus Dei, pulsan- ti paesaggi Wilco (Everything I’ve te eredità dell’ultimo Stravinskij Got), per un range espressivo più seriale, innervato di vigorose ed vario e ampio di quanto si creda. energiche simmetrie. Nel solco del- Brillante. (7.0/10) la tradizione dell’autore le altre due Antonio Puglia tracce, giostrate elaborate scorda- ture e armonie concepite utilizzan- Kech - Good Night For A Fight do le regole del matematico Fibo- (Black Candy / Audioglobe, 19 nacci. Data la scarsa applicabilità f e b b r a i o 2 0 0 7 ) al mondo del rock “avant” (non al Col terzo album il quintetto monze- livello di un LaMonte Young o un se fa all’incirca quel che ci si atten- Riley, per intendersi), Radulescu si deva, anzi qualcosa in più. C’era raccomanda a chi indaga percorsi da attendersi che crescessero, e acustici coraggiosi e ai frequenta- infatti i dieci pezzi in scaletta dimo- Ladyfinger (NE) – Heavy Hands tori della contemporanea più spe- strano maggiore cura dei dettagli, (Saddle Creek / Self, 26 gennaio rimentale, che troveranno materia la consapevolezza di limiti e mez- 2 0 0 7 ) bastante a interessarsi. Tutti gli zi, il desiderio di ritagliare forme Per evitare spiacevoli coincidenze e altri si astengano: potrebbero udire indie-pop che indichino con chia- malintesi di sorta con i (quasi) omo- solo un persistente e molesto mar- rezza gli amori sonori della band, nimi Ladyfingers la nuova formazio- toriare di corde. (7.0/10) per combinarli e utilizzarli come ne dell’ex bassista dei Faint, Ethan Giancarlo Turra cosa propria, almeno per i quaran- Jones, ha dovuto porre il suffisso ta minuti scarsi che corrono tra il (NE) alla propria ragione sociale, Iain Archer – Magnetic North riff stoniano di Tidoung e la soffice scegliendo come sigla le due let- (Pias / Wall Of Sound / Self, 9 malinconia di Things. Gli amori so- tere iniziali della regione di prove- febbraio 2007) nori: il lo-fi nelle varie declinazioni nienza, il Nebraska. In circolazione Curriculum ricco per questo son- – impasti d’impertinenza e malumo- da un paio di anni, ma soltanto ul- gwriter nord-irlandese: un paio re (First Time), di furia e disincanto timamente arrivati al debutto sulla d’album a metà ’90 con la benedi- (Venice) -, l’agra verve dei Pixies lunga distanza grazie all’interes- zione di Nils Lofgren e John Martyn (la title track), additivi power-pop samento della Saddle Creek, i La- (che lo vollero come supporter), la per febbrili scorribande wave vaga- dyfinger (NE) si fanno portavoce di permanenza di un anno e mezzo mente X (The Coup), il tutto natural- un hard rock metallico e metallaro, nelle fila degli Snow Patrol (giusto mente ben mischiato l’uno nell’altro erede diretto tanto dei Motörhead il tempo di godersi il successo del e reso effervescente dall’empatia quanto del primissimo grunge dei singolone Run, i cui crediti come naturale di questi ragazzi, capaci Soundgarden di Ultramega Ok e co-autore gli sono valsi un premio di sciorinare vividi arrangiamenti Badmotorfinger. Bastano poche Ivor Novello), il ritorno in sordina (azzeccatissima la tromba in Plea- note dell’iniziale Smuggler, però, alla dimensione solista (Flood The se Don’t Say No), di sfornare hook per rendersi conto del fatto che Tanks, 2005). Un cammino che, validi e neanche troppo ruffiani Heavy Hands rappresenta poco di nelle ultime tappe, lo ha portato a praticamente in ogni pezzo. Senza più di un nostalgico gioco basato

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 7 sulle citazioni: dall’abusato riff di canto loro, dopo aver scaricato Ed- e un tour con Clap Your Hands Say chitarra alla modulazione vocale wyn Collins, responsabile dietro al Yeah, è riuscito a varcare i confini del cantante Chris Machmuller, mixer del loro album d’esordio, si nazionali, fino a ricevere un tratta- (addirittura imbarazzante nel suo sono affidati alle mani ed alle ma- mento speciale da parte delle CSS rincorrere lo stile di Chris Cornell) nopole di Dan “The Automator” (un remix del brano simbolo The è tutto un rincorrersi di nitidissimi Nakamura e del suo amico Russell City, The Airport). Da qui anche déjà vu oramai confinati da tempo Simins cercando di “svecchiare” il l’interesse dell’etichetta di Seattle, nelle regioni più estreme della no- proprio suono attraverso una se- che adesso si occupa di distribui- stra mente. Può darsi che la spin- rie di algoritmi elettronici di basso re Loney, Noir, in realtà già fatto ta e la promozione di una etichetta profilo e qualche gioco di batteria in casa e pubblicato nel 2005. Un “sana” e rispettata come la Sadd- più pirotecnico rispetto al recen- dischetto che farà la gioia di tutti i le Creek possa proiettare in alto il te passato. Il risultato non è però fan di questo genere, intriso com’è sound consunto di Jones e compa- esaltante, anzi, è quanto di peggio della naivetè dei primi Belle And gni, resuscitando così il seme ed ci si possa aspettare da una band Sebastian (I Am John, Carrying A sentimento di una certa parte del di questo tipo: tutto suona male- Stone), dell’innocenza di Brian Wil- movimento grunge ma, se dobbia- dettamente compresso ed ovattato son e dell’immaginario futuristico mo essere sinceri, preferiremmo (Bailing Out, Pin That Badge), privo a 8 bit di Jason Lytle e dei suoi che il ritorno dell’hard rock si limi- della grinta necessaria per incen- Grandaddy (Meter Marks OK, I Will tasse ai soli Wolfmother, peraltro, diare anche i momenti potenzial- Call You Lover Again), con tutti gli una gran bella band. (4.0/10) mente più promettenti (Love You, espedienti del caso al loro posto Stefano Renzi Green Eyed Fool), finendo con il (tastiere, mellotron, fischietti, cam- far sembrare l’intero album una panelli, coretti, qualche ottone) e la sorta di rimpatriata tra ragionieri simpatica bizzarria di una voce in cinquantenni calvi ed appesantiti falsetto che fa tanto Bee Gees (o, (Yeah We Know You). Visti i nomi se volete, una versione a tinte pa- dai personaggi coinvolti verrebbe stello delle Scissor Sisters). Un al- da dire che Stand Your Ground tro succoso e dolcissimo anello che suona legnoso, innocuo e palloso si aggiunge alla colorata catenina come le ultime prove di Jon Spen- di caramelle del twee pop. Occhio cer e compagni con l’unica ecce- alla carie. (6.4/10) zione che la band newyorchese ha Antonio Puglia scritto e pubblicato almeno un paio di capolavori, i due al- L.Pierre – Dip (Melodic / bum pessimi. Fermiamoli in tempo. Goodfellas, 5 gennaio 2007) (4.0/10) Dip non è soltanto la terza prova Stefano Renzi solista di Aidan Moffat, ma anche un prima testimonianza musica- Loney, Dear – Loney, Noir (Sub le in proprio del dopo Arab Strap. Little Barrie – Stand Your Pop, 6 febbraio 2007) Sciolto il sodalizio con Middleton, Ground (Genuine / Self, 2 Chi ha seguito le recenti gesta de- il cantante riprende in mano il con- febbraio 2007) gli I’m From Barcelona, sa bene sueto moniker con il quale aveva Quando ci s’imbarca in un’ope- quanto siano salite le quotazio- iniziato alcuni esperimenti elettro- razione di puro revivalismo come ni dell’indie pop made in Sweden. nici con loop e drum machine, ma quella dei Little Barrie è bene muo- Non fa eccezione Emil Svanängen, questa volta l’impegno è maggiore versi con i piedi di piombo. Trop- amico e collaboratore di quell’inef- e soprattutto l’obbiettivo compren- po facile perdersi in semplici sco- fabile cricca di fricchettoni (potete sivo e oltre il sintetico. Dip infat- piazzature dei momenti che furono, sentire il suo falsetto in This Boy, ti punta a un cinema sonoro fatto troppo semplice guardare agli sto- una delle ultime tracce di Let Me di folktronica, new age, chamber rici modelli di riferimento (in questo Introduce You To My Friends) e music essenziale e minimalismo. caso tutto il blues rock inglese di oggi titolare di un bel contratto Sub E Moffat questa volta non fa tutto fine sessanta) e rimanerne schiac- Pop, proprio come Shins e Ther- in proprio ma, oltre a suonare per- ciati dal peso ingombrante. Occor- mals. Da affare squisitamente ca- cussioni, harmonium e tastiere si fa re cautela ma, soprattutto, serve salingo e DIY (tre i CD-R realizzati dare un contributo da alcuni amici rileggere in maniera quantomeno tra il 2002 e il 2005), il suo progetto quali Alan Barr, Stevie Jones e Al- personale e con un pizzico di viva- Loney, Dear è diventato in appena lan Wylie (sublime la tromba wyat- cità la lezione dei maestri, magari un anno e mezzo un piccolo caso tiana in Gullsong). Le scenografie affidandosi a dei produttori in gra- del pop indipendente internazio- viaggiano da un cauto manierismo do di capire quali siano realmente nale; merito di un album, Sologne a soffici slanci celestiali, con un le esigenze di questo particolare (Dear John, febbraio 2006), che risultato mediamente buono anche tipo di sound. I Little Barrie, dal complice l’inevitabile passaparola se soltanto la titletrack Gullsong è

4 8 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Kristin Hersh – Learns To Sing Like A Star (4AD - Beggars Banquet / Self, 23 febbraio 2007) Impara a cantare come una star! Più o meno questo il contenuto di una mail che continuava ad arrivare a Kristin Hersh mentre era alle prese con il missaggio del disco. Non male come attestato di stima per una che non muove certo ora i primi passi e che pure continua a raccogliere poco cre- dito, se confrontato con i meriti storici. Non è che si debba dare qui l’oscar alla carriera, ormai più che ventennale, della Hersh. Magari una minima riflessione sulla facile obsolescenza di tanti artisti ottimi, questo si. Alla fine poco male, perché tutto c’è in Learns To Sing Like A Star tranne che il solito compitino da musicisti navigati o la spocchia di chi si sente al di sopra delle parti perché faceva già storia quando molto del pubblico attuale ancora doveva nascere.

Per tre quarti questo disco suona deliziosamente , complice evidentemente la geniale ritmica di David Narcizo, uno che non ha mai smesso di pensare il proprio ruolo di batterista in modo creativo. Quando hai un simile motore dietro se ne giova tutta la musica, mai come in questo caso sulla scia di The Real Ramona e University. Le armonie oblique di marca Hersh sono in gran spolvero e azzeccano una serie di fila di piccoli gioielli pop come non le era riuscito da tempo. Se contiamo anche che la mano pregiata in fase di missaggio è quella di Trina Shoemaker - ma il disco se lo è prodotto da sola - aumenta l’entusiasmo.

Le pensose e sofferte melodie folk dei passati dischi solisti vengono qui trasformate in madrigali sbarazzini che tendono ad elettrificarsi strofa dopo strofa o a mimare umori autunnali con l’uso di archi a corredo, quelli suonati da Martin e Kim McCarrick. Non serve certo un orecchio affinato per accorgersi che cose come In Shock, Sugar Baby o l’uno-due micidiale di Vertigo e Winter non le trovi certo ovunque. L’eredità delle Muses è difficile proprio perché è una questione di scrittura più che di atteggiamento. C’è poi da dire che la Hersh invecchia decisamente meglio di Tanya Donnelly, e se ti guardi indietro e riguardi tutta la sua carriera ti viene un piccolo capogiro a pen- sare a quante ne ha passate e a quante ne ha fatte. Come qualità questo disco si va ad accoppiare direttamente con lo struggente esordio solista, l’acustico Hips And Makers. La classe non è acqua, ma sono sicuro che anche questa volta ce ne accorgeremo in pochi. (7.2/10) Antonello Comunale

s e n t i r e a s c o l t a r e 4 9 in grado di catturare pienamente. Lì ge ed allucinazioni cosmiche (My View), ruvide malizie da Kim Car- è tutto un fluire di pensieri attorno Love And I), sbaraglia le palpita- nes distillata (He’s Tellin Me All), alla propria terra (la Scozia) come zioni lunari con strali di elettricità l’alternarsi di grazia e tormento ba- anche Weir’s Way in undici minuti stregata (la desertica inquietudine gnati da un mellotron e ammalianti accarezza dapprima un romantici- Liz Frazer/Hope Sandoval di Bird incroci di chitarra (la stupenda title smo mattutino quieto e solare, per On Your Grave). Le coordinate si track). Tutto in questo disco sembra poi passare di là, alla luce bianca in confondono quindi, avverti la bel- voler rispettare la consegna della una sorta di day after dell’after last lezza dolente e lo spaesamento, moderazione, dell’irrequietezza te- drink. Il resto s’ancora un po: Gust, la gravità e la stucchevolezza (le nuta a freno ma giammai pacificata, con tanto di pseudocori gregoriani spirali liriche un po’ Tori Amos tra anzi se possibile resa più tesa dalla in loop invoca i Popol Vuh nell’idio- gli archi malmostosi di Thinking flemma dolceagra di ballad carez- ma dell’ambient-tronica, Ache, è un Of You). Soprattutto, percepisci lo zate dal violoncello (Little Gods), affare da Rachel’s dimessi, Hike sforzo di architettare il luogo astru- dalle vellutate insidie di steel gui- si sgancia da quella serietà con un so da cui Marissa possa esalare il tar (Faded Bloom), dall’incanto divertente rondò tra girotondi d’ar- proprio madreperlaceo campionario mellifluo di nenie lo-fi (Mavy Sad), chi sotto una buffa drum-machine d’incanti ed afflizioni, vedi il Leo- di blues sciroccati che capitolano in sottofondo. Ma è un gioco e il nard Cohen revisited di Famous funk (F.R.I.E.N.D.S) o vaporizzano resto, pur apprezzabile, non supera Blue Raincoat, all’insegna di pochi mestizie madreperla (Umpteenth la più che sufficienza. (6.5/10) ma pregnanti elementi gotici, qua- Blue). Nessun clamore quindi, ma Edoardo Bridda si una scenografia in cui l’origina- l’inafferrabile densità di chi ne fa rio aplomb si aggira morboso. Che una questione di persistenze e det- dire, c’è del merito in questo, al- tagli, di profondità dissimulata, di meno credo. C’è una calligrafia che circospette palpitazioni. Marta Col- tenta di lasciare il segno, al di là lica, già. (7.0/10) della oziosa etichetta “weird folk”. S t e f a n o S o l v e n t i Tuttavia, non riesco a dissipare del tutto la sensazione di auto-in- dulgenza, con inevitabili corollari d’artificiosità. Perciò, in definitiva, è un pareggio ad oltranza tra plausi e dubbi. Mi sa che l’ultimo penalty tocca batterlo a voi. (6.0/10) Stefano Solventi

Marta Collica - Pretty and Unsafe (Desvelos/Audioglobe, 5 febbraio 2007) Marissa Nadler - Songs III: Bird Marta Collica chi? E’ presto detto: on the Water (Peacefrog, 12 Marta sboccia nei primi Micevice, febbraio 2007) si fa le ossa prima con Cesare Ba- Terzo album per la ragazza del Mas- sile e poi con John Parish, nel frat- sachusetts, classe ‘81, cantante e tempo collabora con Hugo Race, chitarrista dalla cifra fantasmatica coi milanesi Dining Rooms e - last My Brightest Diamond – Tear It e smerigliata, la cui attitudine folk but not least – diventa voce soli- Down (Asthmatic Kitty / Wide, tra l’ancestrale ed il post-moderno sta degli oppiacei Sepiatone. Mar- febbraio 2007) non esitiamo a definire “newsomia- ta Collica, dunque. E scusate se è Autrice e chitarrista in bilico tra na” – nel senso di Newsom Joanna poco. Lei, siciliana, esordisce oggi songwriting e teatralità, con più di – anche se a dire il vero la proposta come solista per l’etichetta sarda un debito per declinazioni rock alla della Nadler precede l’exploit della Desvelos: fin troppo facile rinve- PJ Harvey e sensibilità Kate Bush, sagace arpista. Ma tant’è, in que- nire in questi trepidi quadretti folk Shara Worden alias My Brightest ste cose comanda sempre l’hype, e blues l’idea stessa di isola, quel Diamond - già collaboratrice di giustamente in fondo. Vale la pena sapore di separazione da un mondo Sufjan Stevens negli Illinoismakers comunque di sottolineare le diffe- frenetico e farneticante tra miraggi - con Tear It Down rivisita il suo renze del caso, giacché tra le mo- d’onnipotenza e simultaneità. Mar- album dello scorso anno (Bring Me venze ataviche Marissa dispensa ta, invece, è una voce di polvere The Workhorse) con la collabora- languori e ulcerazioni psych (vedi di luna, tastiere trepide, chitar- zione di remixers eccellenti. il miraggio Beth Gibson di Mexi- re acide e scontrose (a cura de- can Summer e i taglienti assolo di gli ospiti eccellenti Basile, Parish, Tra glitch ambient, drum & bass e chitarra in Rachel), impasta con Race), malanimo che rimbomba in club music, il lavoro fatto sui pez- blanda solennità tastiere vinta- un languore Beth Gibbons (Great zi conserva in alcuni casi la forma

5 0 s e n t i r e a s c o l t a r e originale (Golden Star ad opera di mandolino, banjo e assolo di trom- Alias, rallentata in minimalismo bone, mentre un ineffabile M.Ward biorkiano, Workhorse di Lusine che la accompagna nel ritornello. Ma è vira in ballad ambient), in altri sono solo un piccolo brivido, in un mare usati alcuni frammenti, come per le di déjà vu. Peccato, un po’ più di due versioni di Freak Out, cavalca- coraggio non avrebbe di certo nuo- ta alla Polly Jean, qui in salsa club ciuto. Da riprovarci alla prossima (Gold Chains Panique mix) e drum occasione, Miss Jones. (5.5/10) & bass (Kenny Mitchell); Dragonfly, Teresa Greco in origine ballad atmosferica, ac- quista in glitch e profondità nella bella rivisitazione di Murcof così Nurse And Soldier - Marginalia come We Were Sparkling (Haruki). (Jagjaguwar / Wide, 23 gennaio Tear It Down riporta l’originale ad 2 0 0 7 ) una maggiore pacatezza, pur nel- Per attimo, ma solo per un attimo, Moon e la sua rilettura da parte la varietà di stili dei personaggi il mio spirito critico balzella indo- degli AIR di The Virgin Suicides. coinvolti, per un risultato che si fa lente fra l’ipnosi ed il minimalismo Ci affascinava inoltre, la lounge da ascoltare anche come album a se di Green Tea, traccia d’apertura. Mi sole a mezzanotte, il canto appena stante. (6.6/10) lascio ingannare, ipotizzando uno abbozzato e le vocalità che sape- Teresa Greco snodarsi essenziale per un album vano di foreste, religioni animiste e tutt’altro che scontato. Pop music magia. In Bravado, l’islandese Or- rumorosa annunciano. Pop music lygur Thor Orlygsson ritorna appor- rumorosa in effetti è. Anche se per tando alcune modifiche al format ed inquadrare il duo americano Nurse elaborando maggiormente i testi. Il And Soldier, la definizione potreb- baricentro non si sposta di molto, be essere un po’ troppo riduttiva. ma è quanto basta per portare il Come una psycho music in perfetto sound dalle parti del dark inglese stile Oneida (Bobby Matador, in- fine Ottanta, o meglio a una sua su- fatti) centrifugata in una lavatrice blimazione dream-pop, con il canto valvolare. Marginalia è struttural- a assumere i connotati del crooning mente privo di senso logico. Affa- à la David Silvian o David Gilmour scinante. Un lavoro in cui innesti (in trance). Sulle finiture, non è da rumorosi ed acide vibrazioni di chi- poco il bel lavoro sulla batteria, tarre, trasformano delle brevi ed incisa meglio e soprattutto più in orecchiabili schegge folk, in qual- evidenza rispetto al precedente la- cos’altro. Una sorta di mutazione voro. In questo modo, il sound met- genetica sporca, lo-fi ed ansiogena. te radici aggiungendo verticalità a Norah Jones – Not Too Late Che confonde e piace. Ascoltiamo- una distesa di sintetizzatori scafata (Capitol – EMI, 26 gennaio lo allora questo muro invalicabile di ma non proprio inventiva. Partendo 2 0 0 7 ) feedback distorti sotto i quali acuta dalle premesse citate (ma anche Norah Jones arriva morbidamen- e sofferente sembra di sentire una dai Labradford) e da certo shoe- te al terzo disco, il primo in cui è voce (Capture The Flag). Come di gaze (purificato), Bravado rappre- interamente coinvolta nella scrittu- uomo. Echi di stazioni radio mal senta l’approdo a un ossimoro goti- ra dei pezzi, insieme al bassista e sintonizzate, inserti elettronici in- co-angelico ma non è lontano dalla produttore, Lee Alexander. Cresco- vasivi e distruttivi (a livello com- deriva che quelle stesse sonorità no le sue ambizioni, mentre cerca positivo s’intende) allontanano la subirono a cavallo tra gli Ottanta di scrollarsi di dosso l’immagine luce pop (ottime le soluzioni armo- e i Novanta. Non dimentichiamo stereotipata da cosiddetta “regina niche. Tipo What You Wanted) e ci che per Orlygsson è il terzo disco. del jazz”. E delle classifiche. Non proiettano nel buio (In The Dark). E (6.2/10) che questo album non venderà, ne mai assenza di luce, fu così dolce. siamo sicuri, esattamente come i Edoardo Bridda (6.5/10) precedenti. Not Too Late è esat- tamente il disco di ballad morbide Emmanuele Margiotta Pennelli di Vermeer – ed eteree che ci si aspetterebbe da Tramedannata (La Canzonetta / lei, con in più qualche spezia coun- ÖLVIS – Bravado (Resonant / Self, gennaio 2007) try (Wake Me Up, Be My Somebody) Wide, 19 febbraio 2007) Il progressive rock italiano, quando a variare il risultato, una spoglia Un paio d’anni fa ci aveva catturato non si è sdraiato sulle orme del suo ballad jazz (My Dear Country) e un di Blue Sound il calor bianco delle corrispettivo anglosassone, ha scrit- pezzo - Sinkin Soon - che sei anco- sue cosmiche distese. to grandi pagine della storia della ra lì a chiederti che c’entra: un wal- , e in generale la grana sonica tra musica nostrana, riuscendo a met- zer-blues sghembo à la Waits, tra i Pink Floyd di Dark Side of The tere insieme attenzione per le tecni-

s e n t i r e a s c o l t a r e   che strumentali, elementi folk, jazz glacialità subumana. Una fotografia e cantautorato (politically oriented del quartetto niuyorkese nello sta- o meno): Balletto di Bronzo, Stor- dio intermedio tra l’ovvia sudditan- my Six, Orme, fino ad arrivare ai za rispettosamente calligrafica dei napoletani Osanna, tra le miglio- modelli ispirativi e l’elaborazione ri band italiane in assoluto. Non è di una via personale; non sarebbe un caso che i Pennelli di Vermeer, statofuori luogo un sottotitolo come giovane band partenopea, nasca e “The Formative Years”. (6.3/10) cresca nella Napoli che ha dato i Stefano Pifferi natali più di trent’anni a gruppi che hanno lasciato il segno nel rock ita- Quentin Harris – No Politics liano avanguardista degli anni Set- (Unrestricted Access, ottobre tanta. Quella Napoli città globaliz- 2 0 0 6 ) zata ma dal sapore rétro, poetica e Dopo svariati remix, produzioni e sporca, teatrale e iperreale, come Psychic Ills – Early Violence collaborazioni, Quentin Harris ap- in Palepoli degli Osanna. Ai cin- (Social Registry / Goodfellas, proda finalmente alla lunga distan- que musicisti piace camminare sul dicembre 2006) za. Il passaggio dal quartier gene- filo, come degli equilibristi circensi, Come da titolo, Early Violence rale della house (Detroit) al melting ondeggiando tra canzone d’autore racconta l’evoluzione del quartetto pot nero di New York si sente sulla ubriaca, progressive e musica da americano lungo il percorso vini- pelle e sulle parole di quello che dal ballo. Coniugando una discreta tea- lico che ha portato a Dins, il de- titolo non dovrebbe essere un al- tralità sonora ad arrangiamenti cor- butto su Social Registry di inizio bum politico, ma che inevitabilmen- posi ed elaborati ne viene fuori un 2006. Troviamo infatti il 7” Mental te lo è. La politica è nel mix di sor- interessante pastiche dai toni ora Violence I e il12” Mental Violen- genti ritmiche diverse, tutte basate marcatamente vintage, ora total- ce II: Diamond City, con l’aggiunta su ricordi hip’n’blues. La mesco- mente proiettati nell’oggi. La voce di qualche inedito che ripercorre la lanza che dialoga con la storia del e la scrittura di Pasquale Sorrenti- pur breve esistenza di Psychic Ills ritmo da dancefloor: cavalcate de- no, che fanno evidente riferimento a sin dagli inizi dei fondatori Warren gne della Incredible Bongo Band Capossela, sono sempre sostenute, e Gluibizzi, come duo. Le coordina- mescolata alla chitarra di Santana fortunatamente, da arrangiamenti di te sonore non si discostano molto (Moist Groove), gli ammiccamenti tutto rispetto, che evitano il rischio da quelle dell’esordio lungo: space- di Monique Bingham in Black Wo- di caduta nelle viscere della bana- rock fortemente indebitato con lo men Come From Brooklyn, lo stile lità cabarettistico-canzonettistica. shoegaze più psichedelico e droga- old school detroitiano scavato da Capossela a parte, la scelta della to. I rimandi alle melodie affogate un sassofono in estasi davanti ai cover di Princesa di De Andrè (non dei My Bloody Valentine si spreca- falò dell’estate 2001 (un ricordo di a caso un brano del De Andrè più no, così come quelli alla psichedelia quello che hanno combinato Llorca prog) è una specie di manifesto di dei Loop e compagnia pe(n)sante e gli altri mattatori della F-Commu- intenti per questo esordio che, piac- tutta (da Spacemen 3 ai sottova- nications) in Haunted, il nu-soul di cia o no, si getta nel mezzo con lutatissimi Hair & Skin Trading Gotta Go, la dichiarazione d’intenti grossa personalità e sfrontatez- Co) e alle freakerie assortite dei deep di Hate Won’t Change Me, gli za unendo passato e presente con primissimi Red Krayola. Ma se in archi uberdisco 70 di Say Yes, la coraggiosa ironia. Ne sono testi- Dins i riferimenti – seppur lampanti balearica Let’s Be Young e l’avver- monianza lo ska-prog di Sulla mia – erano messi al servizio di un ap- timento/anthem in coda: “Do it your scrivania o il tango operaista di La proccio piuttosto personale, qui lo way / not commercial / […] / This is pipa operaia, che ricorda un po’gli scarto da quei modelli è giocoforza just the beginning”. Stormy Six, fino alle melodie modali meno evidente: ascoltate la melo- Più politico di così! La soluzione è di Onde che fanno riflettere su dove dia di Days o le reiterazioni di Vice la rivoluzione. Parola d’ordine: New sarebbe riuscito ad arrivare Euge- e ditemi se non vi trovate l’impronta York. (6.8/10) nio Finardi se avesse osato di più. (ricalcata) di MBV. A onor del vero Verrebbe da chiedersi cosa c’entra qualche differenza c’è: dall’impian- Marco Braggion a questo punto il pittore Johannes to strumentale forzatamente ridotto Vermeer Von Delft, dai cui pennelli emerge un approccio meno percus- Richard Swift - Dressed Up For prende il nome il quintetto. Ci pen- sivo e più drone-oriented. In Killer The Letdown (Secretly Canadian sano loro stessi a rispondere nelle ad esempio, se l’indolenza del can- / Wide, 20 febbraio 2007) note di stampa: un bel niente. Non tato rimanda senza ombra di dubbio Un disco che sembra conciliare tante c’entra niente. Poco male, conside- al Jim Reid (Jesus & Mary Chain) cose diverse per non dire contraddit- rando che tutto il resto un senso ce più tossico, la musica si sofferma torie: il malinconico e il ridanciano, l’ha. (6.7/10) su una mescolanza di beats elet- il domani e l’altroieri, l’amore per la Daniele Follero tronici e tastiere dronate che som- semplicità ed il gusto per la strut- mergono la melodia di una algida turazione, l’Inghilterra e l’America,

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Patrick Wolf – Magic Position (Loog / Polydor/Universal, 26 febbraio 2007) Non stupisce molto, a dire il vero, la bellezza di Magic Position. Questo disco senza punti deboli era la conseguenza auspicabile delle tracce spar- se da Patrick Wolf lungo i precedenti spostamenti. Gratifica molto, invece, aver creduto fin da subito al talento di questo ragazzo dall’aria così spersa e fragile ma con l’avventatezza – il coraggio – di mettersi totalmente in gioco, senza che questo abbia mai significato bruciarsi o svendersi. Un gioco organizzato al meglio, affidandosi alle sensazioni più consone. Sce- gliendosi gli abiti del caso. Oggi, gli occhi appiccicati alle vetrate caramellose della malinconia, Pa- trick sa ridere con grazia e piangere con stile. Affascina, stordisce, con- tagia. Strattona e blandisce sì, ma coi modi di chi ha ricevuto la migliore educazione. Anzi, l’educazione migliore: quella della vita. Gli strumenti sono sempre quelli, però mai tanto ben immischiati gli uni negli afflati timbrici degli altri: pianoforte, violini, synth noise, chitarre agre, giochini digitali, drum machine, ottoni... Certe ferite invisibili dell’anima diventano canzoni dal pathos stordente, assolte sul punto di collassare da una presenza sonica nitidissima, vivida, strutturata sen- za mai perdere il filo della pura espressività (la starordinaria Magpie assieme alla graditissima ospite Marianne Faithfull, una Bluebells che sembra Nick Cave sotto una pioggia di fuochi d’artificio). E cosa dire della voce? La voce è oggi la sua voce, quella di un ragazzo che è fuggito da lupo per diventare uomo, con evidenti tormenti in via di assestamento, con ombre di trascorsi amori wave (i Dave Gahan, i Marc Almond) in fase di definitiva metabolizzazione (ascoltate con quale nuda franchezza interpreta Enchanted o il gaio entusiasmo che espettora nella title track). Le sue danze sono spasmi giocosi, fantasie screziate di colori e reminiscenze, un frizzante struggimento capace di mandare i Cure nel minipimer assieme agli Eels (Get Lost), i Depeche Mode tra glasse Sgt Peppers (Accident & Emergency) o il marzapane dei Mùm tra seducenti nuances bjorkiane (la stupenda The Stars). Il ragazzo è cresciuto. Molto. (7.5/10) Stefano Solventi

s e n t i r e a s c o l t a r e   On Exposition Boulevard (New Dorfmeister. Ora che i suoni di ma- West Records, 6 febbraio 2007) trice post sono diventati la Rickie Lee, chitarrista ex-musa di colonna sonora ideale anche di bot- Tom Waits alla fine degli anni ’70 e tegai ed acconciatori di provincia, il titolare di almeno un paio di album buon Klaus, da astuto mestierante, di songwriting da ricordare (l’omo- cambia rotta e prospettive e se ne nimo del 1979 e Pirates, 1981), tor- viene fuori con un album di raffinate na alla musica a quattro anni dal- canzoncine ispirate e dedicate alla l’ultimo The Evening Of My First magia del pop francese d’annata, Day. Carriera altalenante la sua, reclutando per l’occasione una pupa proseguita negli anni, dominata da con i fiocchi come Valerie Sajdik. uno spirito inquieto e da alti e bas- Ne viene fuori un album delicato ed si. Fonte certamente di ispirazione a tratti persino sorprendente nella per cantautrici a venire, da Suzan- sua ingenua rincorsa verso modelli ciò che scorre insomma nei tortuo- ne Vega a Sheryl Crow, per fare che non esiteremo a definire nobili: si sentieri emotivi di Richard Swift, qualche nome. The Sermon… par- l’iniziale Poisson Rouge è il com- cantante, chitarrista e pianista ca- te con uno spoken word accompa- promesso ideale tra la bellezza di liforniano. La scaletta mette in fila gnato alla chitarra (Nobody Knows Francoise Hardy e l’eleganza del perlopiù ballate calde e disinvolte, My Name), per proseguire con l’ip- primo Finley Quaye, La Melodie si sorrette da una vis comunicativa ben notica trance Lamp Of The Body, trastulla con il beat più sbarazzino, pronunciata, il cuore in gioco come fino a It Hurts (una Pj Harvey più la title track ha sapori west coastia- ai bei tempi e pulviscolare sgomen- incazzata del solito?) e a due blues ni che fanno il paio con la riuscita to moderno. Ad esempio: se il val- percussivi waitsiani (Tried To Be A cover di Somebody To Love mentre zerino di P.S. It All Falls Down gioca Man e Donkie Ride) dove si capi- Une Derniere Cigarette e Confusi- tra vaudeville e angoscia come un sce quanto fosse, neanche in modo ne Love parlano il verbo bambino e Tom Yorke ubriaco nel retrobottega troppo nascosto, l’alter ego dell’ar- malizioso di Kahimi Karie. Uno di di Badly Drawn Boy, c’è lo spae- tista californiano. A suo agio anche quei dischi schifosamente perfetti samento trepido dei Grandaddy - in dark ballad (Where I Like Best, I per certi ascolti del tardo pomerig- perturbazioni digitali comprese – ed Was There) suo marchio di fabbri- gio, seduti di fronte ad un Perfect il pop sovraccarico Divine Comedy ca, lunghi stream of consciousness Martini oppure imbottigliati nel in Most Of What I Know, mentre la che ricordano Laura Nyro e Joni traffico asfissiante di una tangen- palpitante circospezione di Building Mitchell, e che l’avvicinano anche ziale. (6.5/10) In America aleggia tra strane appa- al jazz, suo amore da sempre. Il di- Stefano Renzi rizioni sintetiche ed un fosco ghigno sco non ha sempre la stessa ispira- blues. Lo diresti un Rufus Wainwri- zione, sostituita dal mestiere e da ght meno capriccioso, o una obliqua arrangiamenti raffinati, che nulla misticanza tra Jens Lekman ed El- aggiungono. La migliore Rickie Lee vis Costello, ma se dovessi mettere risiede sempre nelle scarne ballad a fuoco il vero sapore dominante ac- per chitarra dove dà se stessa sen- cenderei un paio di riflettori su Ran- za remore. E se lo spirito ribelle dy Newman, il cui piglio sanguigno oggi combatte politicamente contro e bizzarro guizza tanto nella canti- il presidente Bush, l’ispirazione cri- lena ectoplasmatica della title-track stiana (che prevale in questo ultimo (tra tip-tap e riff di ottoni) che nella disco) ha sostituito la lush life di un languida perorazione in tre quarti di tempo. Segni del tempo? O natura- Ballad Of You Know Who, così come le maturità. (6.9/10) a lui possono essere ricondotte cer- Teresa Greco ti dolciastri piano-voce (Artist & Re- pertoire), le gommosità stomp (The Saint Privat – Superflu (Dope Songs Of National Freedom) e l’ac- Noir / Family Affair, gennaio cattivante malinconia - imparentata 2 0 0 7 ) Sondre Lerche - Phantom Punch Blur - di Kisses For The Misses. Saint Privat è il nuovo progetto (Astralwerks-Virgin / EMI, 16 Una parata di delizie che, sul punto di Klaus Waldek, produttore au- febbraio 2007) di sembrarti risapute, si ravvivano di striaco cresciuto nella fertile sce- La naturalezza con cui l’ormai ven- semplici, intense, accorate sublima- na downbeat austrica di metà anni tiquattrenne Sondre Lerche declina zioni. Cocci di presente consegnati novanta e poi smarritosi strada fa- il vocabolario pop non finirà mai di alla nostalgia. (6.9/10) cendo come gran parte dei rampolli stupirci. Il quarto disco Phantom Stefano Solventi cresciuti all’ombra della cattedrale Punch prodotto dal veterano Tony di Santo Stefano e dell’ingombran- Hoffer (Beck, Belle and Sebastian, Rickie Lee Jones – The Sermon te presenza della coppia Kruder & Air) segna il ritorno per il songwri-

5 4 s e n t i r e a s c o l t a r e ter norvegese a sonorità più ag- indefinibile resa coesa dall’azione è difficile, se non utopistico, così gressive, dopo la parentesi jazz- di cultori del feedback (Cristiano come evitare di ripetere sempre la lounge concessasi con The Duper Godano dei Marlene Kuntz), dalla solita solfa su Mark E. Smith, un Sessions l’anno scorso. Una natu- passione di illustri fiancheggiatori signore che quest’anno raggiunge rale maturazione artistica e il ca- (Rob Ellis, produttore, tra gli altri, il traguardo di trent’anni di carriera rattere onnivoro del Nostro fanno sì di P.J. Harvey), dal lavoro di ses- (e cinquanta di età), segnati da una che il suo percorso si snodi natu- sion men di lusso (Josh Klinghof- proverbiale iperproduttività e un’eti- ralmente, tra pop, jazz e canzone fer, lead guitar per John Frusciante ca inossidabile, senza nessun com- d’autore. Indie e guitar pop forma- e Beck), dai cunei stilistici di abbo- promesso. In linea col personaggio, no l’ossatura di quest’ultimo album, nati alla sperimentazione (Giorgio niente autocelebrazioni, piuttosto a cui si unisce il consueto appeal Vendola, audace contrabbassita l’ennesimo disco di inediti e l’enne- melodico di derivazione classica, jazz). Ma anche musica che gira sima line-up integralmente rinno- con echi del primo Costello più ag- scollacciata e lasciva, ammiccante vata, dopo essersi sbarazzato dei gressivo - a cui il Nostro, in più di e silenziosa, come una passeggia- musicisti con cui aveva realizzato un’intervista, rivela di essersi ispi- trice d’altri tempi. Partorita da un lo scorso – e sempre buono - Fall rato per il disco, sin da quando era brainstorming quasi estemporaneo, Heads Roll (2005). Per l’ineffabi- stato con lui in tour - ; così a pezzi ti corre incontro e scopre le gambe, le Smith, l’occasione di rinfrescare più pub-rock che rimandano all’El- costringendoti a guardarla mentre la storica attitudine e il suono Fall, vis degli esordi (The Tape) fanno si perde nei desideri impronuncia- qui riportato alla stessa crudezza, eco song che sembrano uscite da bili di Sister Ruth, s’impasticca col approssimazione e follia iconocla- Two Way Monologue (Tragic Mir- mantra blues di Nocturne, sbava sta dei giorni d’oro a cavallo di fine ror, ballad mccartiana e la melo- dietro alla psichedelia di superfi- ’70 inizio ’80, dopo il (relativo) ad- dia irresistibile di John Let Me Go), cie di Oginokaus, si annienta nel- domesticamento delle prove più re- tra echi Pavement-iani (Face The le ossessioni reiterate di Pointless centi. Basterebbe come prova l’ine- Blood) e rimandi a Beck (Well Well Satire. Un moto disarmonico che è quivocabile risata che apre Over, Well) ed Elliot Smith (After All). An- il fango sudicio di Tom Waits, le Over!, ma anche l’emblematica Fall cora influenze 80’s, nel chitarrismo atmosfere notturne di Hugo Race, Sound (appunto: punk sposato al di She’s Fantastic,con ritmiche fra- l’irritabilità pelvica di Jon Spencer, motorik kraut, nella migliore tradi- stagliate XTC, per concludere con ma anche un dibattersi di chitarre zione della band mancuniana), o il guitar-psych dell’ipnotica Happy e nevrosi di basso tra declinazioni gli sproloqui a ruota libera di Insult Birthday Girl, che rimanda al Buck- noise e microsuites strumentali. Ce Song, o ancora i quasi dieci minu- ley (Jeff) più ombroso. Sondre con- n’ è abbastanza per sforare la so- ti di Das Boat, tributo.parodia dei tinua quindi a rimescolare le sue glia del sette con mezzo punto in Can ubriachi (d’altronde non era carte, rivelando nuovi assi da gio- più. (7.5/10) lui a cantare in tempi non sospet- care. Con la consueta classe, tra Fabrizio Zampighi ti I Am Damo Suzuki?)… A seguire citazionismi e leggerezza, ironia e nei prossimi mesi un tour inglese, apparente semplicità. Ancora una un’autobiografia, un side project su volta, doti che appartengono a po- Domino insieme ai Mouse On Mars chi. (7.1/10) (Von Südenfed, in uscita a mag- Teresa Greco gio con Tromatic Reflexxions) e un’apparizione in una puntata del- lo show comico televisivo Ideals di Spleen – Nun Lover! (Load Up / Johnny Vegas, in cui vestirà i panni Venus, 1 dicembre 2006) di Gesù Cristo (…). Happy Birthday, “Lo spleen è una forma particolare MES. (6.6/10) di disagio esistenziale che si tra- duce - a livello espressivo - in una Antonio Puglia fertile creatività poetica capace di oggettivare le sensazioni e gli stati The Finches – Human Like A d’animo in numerose immagini vi- House (Yakamashi / Goodfellas, sionarie”. Eloquente quanto adatta 30 gennaio 2007) al contesto la definizione citata in The Finches, ovvero un duo acusti- apertura – frutto di una breve ri- co da S.Francisco che dopo un EP cerca tra le maglie strette della rete The Fall – Reformation Post autoprodotto (Six Songs, 2005), ar- -, perché oltre a definire il concet- TLC (Narnack / Sanctuary, 5 riva al disco d’esordio con Human to che da’ il nome alla formazione febbraio 2007) Like A House. Tredici delicati boz- di cui ci occupiamo, ha il pregio di All’incirca ogni due anni – ma a zetti dai contorni impalpabili fatti di cucire un vestito della giusta mi- volte anche molto meno, se non si soffuse trame pop-folk, imprezio- sura a questo Nun Lover!. Musica tratta di album in studio -, ci tro- siti dalle armonie vocali di Carolyn che sorge da un pensiero laterale viamo alle prese con una nuova Pennypacker Riggs, - artista che dell’ennesimo supergruppo, entità uscita a nome Fall. Tenere il conto si occupa anche dell’artwork - , con

s e n t i r e a s c o l t a r e   Aaron Morgan ai backing vocal e schi “suonati”, dopo una parentesi Station, sorta di epopea sul poeta alla chitarra solista. elettro-pop, evidentemente già am- americano maledetto John Berry- Filastrocche eteree (la title track, piamente sfruttata. Così l’album è il man, (Hot Soft Light), Step Outside), ballad dark-folk consueto, delizioso compendio tra riff stoniani (Some Kooks con echi (Two Ghosts, con Alissa Anderson influenze Steely Dan - altri grandi Stooges), ballad (First Night), rock dei Vetiver al violoncello), tocchi ispiratori di O’Hagan - , si veda l’in- epico e muscolare (Party Pit, Mas- country (Lay), indie pop songs (The cedere pigro di Winter’s Day, l’in- sive Nights), echi tra folk e ame- House Under The Hill) che non termezzo strumentale di Something ricana (la scarna ballad Citrus che possono che richiamare alla memo- About Paper), dosi di Wilson mixate riecheggia il Costello di mezzo). ria un mito come Vashti Bunyan, con Van Dike Parks (Sailing Bells), Con più di un debito per gente come evocata per tutto il disco, ma an- ma anche Beatles e Kinks (la mar- Springsteen in primis, e poi Stones che certi umori alla Sandy Denny cetta di Honeytrap, la trasognata e Dylan, e come attitudine i Repla- e Mira Billotte dei White Magic, in ballad Dorothy Ashby), Stereolab cements si racconta dell’eterna una sorta di concept basato sul- (Bacaroo tra lounge e pop psiche- provincia americana, con un occhio la comparazione di due organismi delico, la title track, mini suite tra alla fuga e al riscatto, come nel più (l’essere umano e la casa), con languori psych e umori bachara- classico degli stereotipi del caso, e lyrics evocative che ne accrescono chiani), soundtrack morriconiane diventa epopea nel momento in cui il simbolismo. (The Old Spring Town, Cove Cutter) universalizza alcuni temi intergene- Disarmante nella sua semplicità,ma e lounge music (Rollin’). Tra arran- razionali. Così si spiega il riscontro è proprio questo il suo pregio. Da giamenti e soluzioni armoniche e positivo che ad ondate successive tenere d’occhio. (6.7/10) ritmiche raffinate, fiati, cori femmi- il genere continua a riscuotere da Teresa Greco nili in background di ascendenza quelle parti e non solo (Uncut sta Fagen/Becker, il gruppo realizza assicurando la giusta esposizione ancora una volta, come era acca- anche in UK). La ripresa della tra- duto per Gideon Gaye (V2, 1994) dizione americana, fatta con stile. il “perfetto disco pop”, miscelando (6.6/10) alla sua maniera ingredienti diversi Teresa Greco nelle giuste proporzioni. (7.2/10) Teresa Greco

The Hold Steady - Boys And Girls in America (Vagrant / [PIAS] / Self, 26 gennaio 2007) Il cosiddetto “blue collar rock” ame- ricano di ascendenze seventies – il rock del/per il proletariato della provincia, dal New Jersey di Sprin- gsteen al Detroit Sound di Bob Seeger, passando per il Midwest di The High Llamas - Can Cladders John Mellencamp - si incarna nel (Drag City / Wide, 20 febbraio nuovo millennio in questi ragazzot- 2 0 0 7 ) ti di Brooklyn (ma originari di Min- Il nome High Llamas è inscindibil- neapolis), arrivati al fatidico terzo mente legato a quello di Sean O’Ha- album, già pubblicato sul finire gan, talentuoso chitarrista e com- dell’anno scorso in America. Rock The Hutchinson – Sitespecific positore già nella guitar-pop band band classica con ascendenze ga- For Orange Squirrel (Wallace / ’80 Microdisney. Nato a inizio ’90 rage e ispirazioni letterarie - da Dy- Audioglobe, dicembre 2006) come idea solista, il progetto ha lan in giù - come nella migliore tra- Esiste all’interno del catalogo Wal- visto il susseguirsi di alcuni album dizione americana, gli Hold Steady lace una deriva seventies-oriented, tra pop, psichedelia ed elettro, con- confezionano con Boys And Girls manifestatasi in passato con le pro- diti da numerose collaborazioni ec- In America un disco - prodotto da ve di Bron Y Aur e Rosolina Mar. cellenti, dagli Stereolab (O’Hagan John Agnello (Dinosaur Jr., Mark È ora il turno di questi Hutchinson è anche stato in formazione nei ‘90) Lanegan, Sonic Youth) -, il cui tito- che fin dal nome scelto sembrano a Jim O’Rourke, da John McEntire a lo è preso in prestito da una frase omaggiare tutto un universo fatto Tom Zè fino a Brian Wilson, nume di On The Road di Jack Kerouac. di pantaloni a zampa e improbabili tutelare del Nostro. Il ritorno al pop L’album si snoda tra ampi pezzi- pettinature. Anche la scelta del for- psichedelico ’70, cifra dello scor- suite basati sul piano (omaggio- mato di Sitespecific For Orange so Bet Maize & Corn (Drag City, reminiscenza della E-Street band Squirrel sembra rimandare al pe- 2003), appartiene anche a Can e dei primi due dischi soul-funk di riodo in cui il mondo girava a 33 Cladders, che segna il ritorno a di- Springsteen), come Stuck Between giri: un doppio digipack apribile a

5 6 s e n t i r e a s c o l t a r e turn it on

Sophia – Technology Won’t Save Us (Flower Shop / Self, 12 gennaio 2007) Almeno una sicurezza al momento ce l’abbiamo: c’è sempre meno bisogno di nuovi trend e dell’ennesimo hype quando c’è ancora in giro gente come Robin Proper Sheppard. Perché abbiamo semplicemente bisogno di buoni dischi, di cose che scivolano miracolosamente al loro posto. E se qualcu- no era rimasto un po’ scottato dal precedente People Are Like Seasons dovrà mettersi il cuore in pace: quei God Machine non ci sono più, ed è rimasto poco anche di Fixed Water e di The Infinite Circle. Eppure la prima cosa che ci dice Technology Won’t Save Us è proprio questa: quel poco che è rimasto è ancora molto. Non era così semplice plasmare/purificare la ridondante massa melodica del precedente album dentro queste dieci canzoni, che pure ci dicono molto fin dall’omonimo pezzo strumentale all’inizio del disco. Le orche- strazioni e gli arrangiamenti non sono mai ridondanti: violini e fiati s’integrano alla perfezione col resto, così che si passa senza traumi dalle atmosfere cinematiche di Twilight At The Hotel Moscow a Weightless che potrebbe essere quasi un pezzo degli ultimi Hood. Per il resto è il cantautorato pop a farla da padrone, a partire dagli orecchiabilissimi refrain di Pace, Where Are You Know e P.1/P.2 (Cherry Trees And Debt Collectors) fino ai sospiri di Big City Rot e al crescendo di Birds. Per una volta è bello non fare troppi nomi o accostamenti, dimenticare per un attimo i God Machine (anche se quelle chitarre di Theme For The May Queen No. 3…) e lasciare Robin esattamente al centro del mondo che ha deciso di costruirsi intorno. (7.2/10) Roberto Canella

s e n t i r e a s c o l t a r e 5 7 mo’ di vinile in cui i 50 minuti scarsi tanto di sirena - in Atlantis To In- di musica sono suddivisi nei due cd terzone), collisioni ossessive e dis- come in due ipotetici lati. Con que- sonanti di quattro e sei corde (su ste premesse il sound non può non tutte, il riffone di basso in Gravity’s rifarsi a quel periodo: lunghe ca- Rainbow), testi demenziali a sfon- valcate strumentali in cui convivo- do sci-fi… Un mix perfetto di pre- no due anime, quella prettamente sa in giro e cattiveria, di estetica hard-rock e quella più sensibilmen- (new, appunto) rave e dissacratoria te funkettona. Si potrebbe liquidare attitudine (post)punk, con ineffabi- la questione Hutchinson come una le piglio arty-trash. Micidiale, una versione moderna dei Blue Cheer? volta abboccati all’amo.Certo, ora Non credo, sarebbe troppo ridut- qualcuno vorrà ricordare che gen- tivo. Perché a scavare nel suono te come i Faint (o gli El Guapo, monolitico e strumentale di questo prima della conversione) cose del esordio – ottimamente prodotto da per etichette cult come Angular genere le faceva già da tempo. Ma Magistrali, ma ormai questa non è e Merok, un videoclip lo-fi in sti- non scherziamo, mica sono inglesi, una novità – emergono sempre più le Atari (Gravity’s Rainbow); e poi quelli…(6.8/10) elementi caratterizzanti. In primis un contratto con la Polydor, un al- Antonio Puglia l’approccio del quartetto è poco tro singolo, altri video (sempre più ortodosso, mosso com’è da una prodotti, visionari e trash), un EP Thomas Belhom – No Border sensibilità a metà tra il math-rock (Xan Valleys). Tutto nel giro di po- (Ici D’Ailleurs / Wide, gennaio alla Don Caballero e il noise del- chi mesi. Nel frattempo, non hanno 2 0 0 7 ) la Amphetamine Reptile; ascoltate tardato a levarsi orde di proseliti, Secondo disco per il percussioni- l’incipit di 5ta e converrete con me folgorati sulla via del NME, pronto sta francese Thomas Belhom, che che questo è il noise anni 90 attua- a sciorinar copertine; tanto che già vanta collaborazioni con Calexico lizzato al terzo millennio secondo dalle platee dei festival di Carling e nei primi anni del millennio (ai tem- gli stilemi dei 70. Una apparente Leeds dell’estate scorsa si poteva- pi della coppia Amor Belhom Duo) contraddizione in termini, ma non no sentire alcuni invasati urlare a e una lunga permanenza americana distante dal vero. Inoltre questo squarciagola “Klaxons!!!”, invocan- dalle parti di Tucson, Arizona. Una approccio alla materia seventies è do l’epifania. volta tornato in Europa, intraprende ulteriormente imbastardito dall’uso Che avviene, definitivamente, con una carriera solista, con intermez- di ritmiche kraute (Zug Reloaded, . Mettia- Myths Of The Near Future zi in cui suona con David Grubbs, ovvero le reiterazioni degli Oneida mo subito le cose in chiaro: questo arrivando ora a No Borders, regi- messe al servizio di un funkettone non è un gran disco. O meglio, non strato tra Monaco, Londra, Nashvil- alla Clinton) e incursioni elettroni- è neanche un disco vero e proprio, le e Parigi. Il deserto e il suo sound che dal taglio spacey (il cambio di dal momento che un buon 45% del eletto a categoria dello spirito, con ritmo vertiginoso della parte centra- materiale era già edito in prece- un’attitudine nomade nordeuropea, le di Summe). In Part One sembra denza (con la prevedibile alternan- per un pop-lounge da sonnolenta di sentire una versione più corposa za singolone vs riempitivo). Questo soundtrack: questa la cifra stilistica dei June Of 44, mentre Stutch è un semmai è un fenomeno. Di quelli del Nostro. No Border ospita musi- vero tributo math ai Funkadelic. In che vanno e vengono come le ma- cisti e amici come Stuart Staples definitiva Sitespecific For Orange ree, si sa. E però viene voglia di - con cui Thomas aveva già colla- Squirrel viene ad essere un idea- cascarci, vuoi perché non ci si limi- borato nel recente Leaving Son- le ponte tra le sonorità hard-funk e ta a riciclare la solita wave nel soli- gs - che qui offre la voce profon- kraut degli anni 70 (dai Blue Cheer to modo o, come qualcuno potrebbe da nella lunga ballad atmosferica ai Tangerine Dream) e la musica aspettarsi, a riesumare certi groo- South Over The Seven Hills; Volker rumorosa dei 90, miscelando sa- ve madchesteriani. E’ il - decisa- Zander (già con Burns e Converti- pientemente blackxploitation, math mente cattivo – gusto di questi ra- no, contrabbassista nell’ultimo tour e noise. (6.8/10) gazzi che alla fine fa la differenza: di Amor Belhom Duo), Kim Ohio come altrimenti giudichereste una Stefano Pifferi (Mad River, alla voce in tre pezzi), band che include nel suo debutto Paul Nihaus (Lambchop, alla steel una cover di It’s Not Over Yet, hit The Klaxons – Myths Of The Near guitar). Tra un rifacimento di Pink techno-pop-trash del 1995 targata Future (Polydor / Universal, 29 Turns To Blue degli Husker Du, il ? Il bello è che funziona, in- gennaio 2007) Grace languido lounge morriconiano del- sieme a tutte le altre trovate: cori in Gli déi hanno parlato. New rave. la title track, ballate country-pop falsetto finto disco – 80’s gay pop Ecco il nuovo verbo da diffondere. (Hey Man) e psych (Always) e rap (le reminiscenze Jimmy Somervil- I prescelti, tre ragazzi londinesi con clap-hands waitsiani (Sous un le nel refrain di Golden Skanks), (se ne aggiungerà presto un quar- Hélicoptère) Belhom riafferma la spinte hardcore (la spietata Magi- to). Diversi segni ad annunciare sua libertà di apolide e libero cit- ck, le scorrettezze Prodigy - con il loro avvento: un paio di singoli tadino del mondo, sin dal titolo del

5 8 s e n t i r e a s c o l t a r e disco. No Border, senza frontiere tradizione, convertendo il folk infi- pleonastica ogni imitazione. Oppu- di nessun genere. Anche musicali. nitesimale e le carezze acustiche re ancora, si può dichiarare preli- (6.8/10) dell’ottimo Empty Houses Are Lo- minarmente la fedeltà alle fonti, Teresa Greco nely – forse il disco della svolta, farsi i propri conti e andare avanti. almeno in termini di riscontri com- Di certo i Trans Am non sono dei merciali – in un garbato omaggio novellini di queste perplessità, e alla tradizione americana tutto lap noncuranti approdano ora all’ottava steel, batteria spazzolata e piano- fatica. Che abbiano cambiato qual- forte. Trentacinque minuti scarsi di cosa (che non sia il genere sessua- musica che scendono elegantemen- le)? Bastano le prime parole in mu- te a compromessi con le geometrie sica di questo disco (First Words, mid e slow tempo del country, i toni lentura psichedelica e floydiana, appena sussurrati della poetica del con tanto di steel e simil-gabbiani musicista americano e un approccio alla Echoes, su base vagamente minimale negli arrangiamenti. Cosa house), per rendersi conto del fat- cambia rispetto al passato? Nulla to che non è così. E in effetti l’in- o quasi, se si eccettuano alcune crocio electro anni ’80/psichedelia parentesi strumentali leggermente (North East Rising Sun) sembra es- più elaborate, ma l’odore di stantio sere la cifra più immediata di que- ancora non si sente. Sarà forse per sto nuovo Sex Change. Talvolta il l’abilità che dimostra l’autore nel risultato è l’ovvia conseguenza del Thomas Brinkmann – Klick mescolare le carte, nell’indovinare proselitismo, talaltra c’è del buono / Revolution (Maxernst / progressioni armoniche che suona- (Tesco V Sainsbury’s) in Danimar- Audioglobe, 5 dicembre 2006) no originali o magari nella capacità ca (o meglio, nella Washington dei Thomas Brinkmann torna a fare di dare ai brani l’aspetto rassicu- TA). Che siano gli Ultravox il nuo- Thomas Brinkmann. Riprende i rante di un vecchio dalla lunga bar- vo feticcio – o che siano la punta rovinati vinili e ci costruisce so- ba che fuma la pipa su una sedia a del solito iceberg Neu? Trattasi co- pra un suono. Un disco. Non è un dondolo: nello scovare la quint’es- munque di feticcio che sconvolge i déjà-vu anche se il titolo invita, ma senza del blues rurale insomma, T-Rex (Conspiracy Of The Gods), un nuovo Klick; meno sovversivo con le dodici battute della chitarra che manda giù come un uovo intero del fondante lavoro del 2000, ma acustica a fare da contorno. Fork In il funk da ballo (Oscene Strategies, pur sempre una buona novella. Il The Road e e Dark And Shiny Guy Climbing Up The Ladder (Parts III concept è un flipper, malefico mar- sono valzer crepuscolari, Blue Part And IV)), che prende a tastierate chingegno (Locked Box) dal piano Of The Windshield si perde piace- la nuova electro-wave (Exit Mana- inclinato (Inclined Plane) che tutti volmente in bending disidratati e gement Solution), che scimmiotta almeno una volta hanno armeg- sfumature liriche eleganti, Down la ritmica di Close To Me dei Cure giato, misurandosi con la fortuna On Skidrow spaccia malinconie (Reprieve). Di certo si chiude, con (Questionary About Luck) e spe- sottili di contrabbasso-chitarra, il Triangular Pyramid, nella quasi- rando che quella mezz’ora alla tutto senza mai una caduta di tono. bellezza di un post-rock (!) saggio mercè di una biglia metallica non Un’eleganza formale e sostanzia- come solo sapevano esserlo i Cul venga vanificata dall’incubo della le scalfita soltanto – ma il giudizio De Sac (in ambiti non troppo di- fine forzata (Tilt). Il teutonico si rimane comunque estremamente versi), e di questi tempi è davvero guarda dietro, si aggiorna nel con- soggettivo – da un uniformità di difficile trovarne. Di fatto è forse il tempo e si lascia alle spalle (per linguaggio che alla lunga potrebbe brano migliore, ma a conti fatti è il quanto?) il meta-electro-pop delle far storcere il naso agli estimatori meno fedele ai Trans Am. (5.9/10) recenti uscite. Quando si ingegna dell’ultim’ora. Sottigliezze che co- Gaspare Caliri nel groove cerebrale il Nostro ha munque non minano la qualità “su- sempre pochi rivali (la differenza periore” dei brani di Grand Forks. tra i due Klick è questa: qui si balla (7.0/10) di più), ma rifugiarsi in se stesso, Fabrizio Zampighi un se stesso lontano ormai sette primavere previene cosa: Un ri- pensamento o una crisi artistica? Trans Am – Sex Change (Thrill Vedremo… (6.0/10) Jockey / Wide, 20 febbraio Gianni Avella 2 0 0 7 ) Fa sempre problema chi suona come i gruppi che ama, col rischio di fare Tom Brosseau – Grand Forks dei propri dischi un inventario della (Loveless, 23 gennaio 2007) tracklist favorita. Si può guardare Nel quinto album della sua breve al risultato, oppure alle dinamiche carriera Tom Brosseau si affida alla di passaggio, oppure bollare come

s e n t i r e a s c o l t a r e   ma della catarsi finale. Sul versan- nella club culture europea con un te meno convenzionalmente rock paio di electro rock virati house di trovano spazio le deflagrazioni grande impatto (La Gallina, Inkink represse di Contronatura, le frasi Ark, D.T.W.I.L.). Disco che affievo- musicali autistiche di Traidor, Co- lisce i propri ardori man mano che barde, Asesino, la fattanza india- si avvia all’ultima traccia, Health neggiante di Wir Sind Ein Opern- And Welfare piacerà molto a chi, bau o nelle sospensioni di Dentro al qualche mese fa, è stato folgorato muro. Sia chiaro, la divisione tra le dalla sorpresa Black Neon: come due anime non è così netta e tende in quel caso, nel continuo affastel- spesso alla compenetrazione come larsi di idee geniali ed eterogenee succede nell’afasica cavalcata rit- sta il pregio ed insieme il limite di mica di The Great Crane. Ottimo album godibile ma forse un pò so- poi l’uso dei nastri preregistrati che vraeccitato. (6.5/10) Uncode Duello – Ex Æquo dona un tocco cinematografico alle Vincenzo Santarcangelo atmosfere sospese del duo + molti. (Wallace / Audioglobe, novembre 2006) Come se la lotta tra i due pupi in Disco di un duo che però è una copertina, quello più compiutamen- moltitudine. Non solo numerica- te rock e quello impro-destruttura- mente, dato che alla premiata ditta to, si fosse risolta in un Ex Æquo di Cantù e Iriondo, si aggiungono che rappresenta una sorta di ideale uno stuolo di amici e collaborato- summa del lavoro svolto sul corpo ri. I batteristi innanzitutto: a Lucio morto del rock italico dalla frantu- Sagone e Christian Calcagnile, già mazione di A Short Apnea nei mille presenti nell’omonimo esordio, si progetti odierni. (7.2/10) sono aggiunti Claudia De Simone di Stefano Pifferi Aghata e il sinistro Bertacchini, con il quale Iriondo ha firmato l’ultimo volume della MailSeries della Wal- Urlaub In Polen – Health And lace. Ma da segnalare è un ospite Welfare (Tomlab / Wide, 27 in particolare, Federico Ciappini, ottobre 2006) cantante di Six Minute War Mad- Espletate le formalità di una breve ness che presta la sua voce in tre introduzione - Rauschen -, l’avvio VietNam – Self Titled (Kemado, pezzi tra cui l’iniziale Le cose più di Health And Welfare è di quel- 23 gennaio 2007) importanti. Sì, perché appena il li da far paura: Wanderlust insce- Da una parte il Dylan della svol- disco parte non sembra di essere na un’improbabile quanto riuscita ta elettrica, dall’altra il Lou Reed di fronte ad un albo del duo, ma a combutta tra la stralunata indole a cavallo tra gli ultimi Velvet e il qualcosa di altro. Sembrano scorre- dancey di una Beta Band e l’am- capello platino. Ma il revival ame- re in pochi minuti (in quei pochi se- bient dub degli Scorn, che si porta ricanissimo dei Vietnam - ambien- condi di stupore iniziale) gli ultimi dietro strascichi gospel; in Beatri- tato negli stessi anni della famosa 10, forse 15 anni di rock alternativo ce pare di ascoltare dei Tv On The guerra – è edulcorato ricco di fis- italiano. Dentro ci sono ovviamente Radio maturati nella Colonia metà sità, che snaturano gli stessi padri SMWM e l’idea di una via italiana anni ’70 invece che nella babiloni- – come il rock velvettiano gonfiato al rock internazionale, ma anche ca New York post-9/11: Karlheinz di blues fino al parossismo, dimen- i Massimo Volume più grezzi del Stockhausen come vate, oltre che tico del raga. Incuriosisce l’iniziale periodo pre-Stanze, gli Afterhours David Bowie, o qualcosa del gene- Step On Inside, ma già dopo una esterofili e mille altre cose ancora. re. Georg Brenner (moog, chitarra, manciata di brani stanca il canto Un attacco emotivamente da 30 e synth) e Jan Philipp Janzen (sam- tracotante di Michael Gerner, in- lode. Non c’è però solo spazio per pling, percussioni, moog), già au- farcito di dylanismi, e irrita l’assolo i sentimenti come la nostalgia. Il tori di due album e tre Ep, vengono torrenziale da radio FM americana disco vive di vita propria fra rock proprio da Colonia. Ma nella Colo- di Josh Grubb, con cui la voce spar- songs compiute e sprazzi di impro; nia 2006 piace coniugare l’indele- tisce l’asse armonico del gruppo. della prima categoria fanno parte bile lectio dei Neu! con detonazio- Nonostante la semantica del blues pezzi come la citata le cose più im- ni post-punk di chiara ascendenza (che si vuole perennemente spor- portanti, I piaceri del mezzofondo anglofona (Inkin Ark, The Health co e vero), di maledetto c’è poco, (Giò dei La Crus che canta su un And Welfare, Crash); liofilizzare nei loro folk-blues-rock, nelle loro pezzo out-rock degli Starfuckers?) Can e in una concisa mi- regolarissime american rock ballad o la conclusiva Don Lope De Aguir- nisuite tripartita (The Case Getting dal sempiterno arpeggio arricchito. re, dall’andatura claudicante simil From A To B, From B To C, From C Mancano sia il sudore rappreso dei Madrigali Magri / El Muniria pri- To D); e provare mirate incursioni Creedence Clearwater Revival,

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The Eternals - Heavy International (Aesthetics / Wide, 12 febbraio 2 0 0 7 ) L’ultimo parto del nostro trio, fresco di uscita, mescola la solita farina dub (Lee Perry nel caso) a influenze talmente ibridatesi nel calderone dell’Eternalsound, da risultare un tutt’uno omogeneo ed inscindibile. Feed The Youth parla, senza incespicare nel mondano, la lingua fiera e pro- fonda del dub leeperriano che fu; Heavy International, sdoppiatasi in uno specchio di due voci recitanti, transita invece nei primi album solisti del vecchio Jah Wobble (Betrayal, Virgin 1980), stemprandone però l’umore farsesco in una calcolata alternanza di cacofonie (la chitarra elettrica d’un canto, le tastiere dall’altro). Ma sono forse pezzi quali Crime quelli in cui più riluce l’anima ‘ibridatrice’ dei nostri: voci trovate, batteria ipnotica, un basso circolare che pompa la melodia flebilmente nelle vene della composizione, ed un salmodiare che sempre più fa di Damon Locks una sorta di crooner dub nell’epoca del post trip-hop. L’essenza dell’album rimane, a conti fatti, l’abilità del trio nel dilungarsi in circonvoluzioni post-rock dubbeggianti – fieramente legate alla tradizione dei Seventies quanto a Clash e P.I.L. – che presto si tramutano in brevi jam dove molto accade, in termini di accadimenti sonori (disturbi vari, inserimenti vocali destabilizzanti, continui cambi di tempo e ritmo), anche se poco sembra variare nel clima armonico del brano tutto. L’arte della variazione dub in epoca (post) post-rock si concentra in questi 60 minuti sotto forma di (s)concerto. (7.0/10) Massimo Padalino

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 1 negli assoli e nella ritmica country- soluzioni compositive classicheg- Missing), alle marcette bandesche blues, sia il whisky di Janis Joplin, gianti di ieri l’altro, viene fuori un (Connie’s Song) e ai reggae immi- nella raucedine nel timbro vocale. album revival sixties che abbraccia schiati soul (The Mother, Famine). Forse è più sincero il lirismo (e il a trecentosessanta gradi, con parti- Quindi, con sconcertante mutazione quasi-falsetto, archi compresi!) di colare irriverenza, un intero perio- atmosferica e timbrica, ecco il Paul Too Tired + Piano Song, calata fi- do storico. Nulla di particolarmente Simon periodo Graceland (Messa- nalmente senza rockitudine nella originale, s’è capito. Ma mezz’ora ges), ecco dei Black Keys scarni- facile malinconia di un minutaggio scarsa (tanto è) di musica piace- ficati (Fortune Teller), ecco il Tom interminabile. Si salvano gli appun- volmente ispirata e devota. Basta Waits aspro e accorato (Generation ti Stax ai fiati (Apocalypse) e pure saperlo. (6.3/10) Fade), ecco - nell’ultima, struggen- gli hammond accorti a scaldar la Emmanuele Margiotta te 24 September 1999 - una af- fiammella (Toby), mentre il ritorno franta perorazione piano-voce che al futuro trapela negli Strokes abu- scomoda i Wilco più crepuscolari sati di Gabe o nei boogie ipocriti in trepida mutazione Cash. I pez- dei Black Rebel Motorcycle Club zi sono tutti ispirati, vera e propria di Welcome To My Room, oppure parata di hook e guizzi legnosi, con ancora nella melodia tardi-Jesus bella cura dei dettagli (il profluvio And Mary Chain di Summer In The di djembe, didgeridoo e stomp box, City (quando forse i Vietnam vole- il motivo di Norwegian Wood mime- vano suonarci Lisa Says). Ma alla tizzato nell’esotica Mana...). E’ uno fine di queste dieci canzoni vinco- di quei casi in cui la mancanza di no ancora i principi della old-wave originalità è davvero ben compen- - canto e chitarra - e si ha la sensa- sata. (6.7/10) zione di aver sentito poco più che Stefano Solventi una serie di canovacci per l’ugola di Gerner e per l’ennesimo assolo torrenziale, che sovrasti ogni pron- tezza di spirito del resto dell’orga- Xavier Rudd - Food In The Belly nico. (5.5/10) (Anti / Self, settembre 2006; Gaspare Caliri e Edoardo Universal / SaltX Records, 30 B r i d d a gennaio 2007) Tolti gli album live, questo Food In Welcome – Sirs (Fat Cat / Wide, The Belly è il terzo full lenght per novembre 2006) Xavier Rudd (oltretutto neppure re- Welcome. Ovvero benvenuti nel cente: licenziato nell’ottobre 2005, vecchio millennio. Un salto avanti trova solo oggi distribuzione euro- e due indietro. O meglio, uno indie- pea). Xavier è un non ancora tren- tro ed uno più indietro ancora. Di tenne australiano, multistrumen- almeno trent’anni. Sirs catapulta tista senza tema di usurpare tale l’ascoltatore in piena beat genera- titolo, visto che la lista degli attrez- tion, cogliendone a piene mani, avi- zi consta di chitarre d’ogni ordine damente e acidamente, il fertile hu- e grado (Weissenborn, banjo slide, mus carico di psichedelia, motivetti acustiche a sei e dodici corde, elet- orecchiabili e noise in punta di piedi triche, basso...) nonché armonica, (roba che la Touch And Go avrebbe varie e strampalate percussioni amato alla follia). Un passo indietro più, naturalmente, la voce. Un per- si diceva. Un tocco di madrepatria fetto autarchico quindi, ma lo stes- (Seattle) con sprazzi di irrequieta so non diremo della sostanza di ciò gioventù sonica (Actual Glad) o che scrive, giacché il senso di “deja nirvanica estasi (The Coffee Gir- entendu” ci accompagna per quasi ls), soprattutto negli inserti di voce tutte le dieci tracce in programma. femminile (la beatlesiana This Mi- In primis - per quel semifalsetto che nute). Ma due, dieci, mille passi in- rompe gli argini e per la pregnante dietro. Dal beat instabile degli Who presenza della Weissenborn slide o dei Kinks. Alle intuizioni pop più - si pensa spesso e con un po’ di scure dei Fab4 (First). Gettando sul nostalgia al caro Ben Harper: alle tutto secchiate di corrosivo fluido sue prime cose frugali (l’iniziale rosa (Marry me Man). Tra sugge- The Letter, la title track), a quelle stioni rumorosamente lo-fi di ieri e impalpabili, angeliche mestizie (My

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Zu & Nobukazu Takemura – Identification With The Enemy: A Key To The Underworld (Atavistic / Goodfellas, 20 febbraio 2007) Che gli Zu sono (e rimangono) una delle realtà italiane più interessanti del nuovo millennio, almeno per quanto si è visto finora, non ci siamo ancora stancati di dirlo. La formula, ormai consolidata, del 3 + 1, con un “ospite” che di volta in volta si aggiunge al trio, rimane una fonte inesauribile di creatività. Una formula così efficace da nascondere anche eventuali e possibili incidenti di percorso o perdite della retta via. La presenza di un quarto elemento, nel caso degli Zu, non rappresenta una semplice ag- giunta numerica, ma uno stimolo ad esplorare nuovi stili e nuovi orizzonti musicali. E’ per questa voglia di trasformarsi attraverso le collaborazioni che, finora, il trio romano ha attinto alle fonti più disparate per cercare il “quarto Zu”: dal jazz sperimentale (Mats Gustafsson) all’avant hip hop (Dälek), passando per il violoncello di Lonberg-Holm e l’hardcore di Xa- bier Irondo. Mancava l’incontro/confronto con l’elettronica, con il suono immateriale. Detto fatto. E siccome ai tre romani piace fare le cose in grande, ma non sono ancora riusciti a produrre un disco con il loro amato Alvin Curran, ecco comparire sulle scene Nobukazu Takemura, che si associa alla band portandosi dietro il suo ba- gaglio di elettronica sperimentale. Giapponese, di casa alla Thrill Jokey, Takemura ha attraversato la musica in maniera nettamente trasversale, passando dalle collaborazioni “colte” con Steve Reich e Dj Spooky, al glitch, dal noise all’house music. L’armamentario con il quale si presenta al cospetto di Zu è semplice: microwaves, tappeti noise e “sporcature” glitch, con l’intento di riempire gli spazi lasciati liberi dal trio. Gli Zu, dal canto loro, non cambiano di molto la loro impostazione, con un sound duro, cupo e frammentato, che in questo album tende spesso verso il doom (Standing On This Zero Spot). E’ proprio la frammentarietà che unisce la musica degli Zu a quella di Takemura. Una frammentarietà che compare e scompare, ricomponendosi nel continuum ambient-noise di Unusual Conversation With Yama, per poi disfarsi subito dopo nella schizofrenia di Awake In The Next Room, che recupera la durezza scomposta dell’iniziale Alone With The Alone. La melodia è quasi assente (fatta eccezio- ne per i riff di basso e/o sax), complice un Takemura quasi esclusivamente attento alle caratteristiche timbriche del suono, lasciando da parte le altezze, così da trovarsi in perfetta sintonia (a volte solo e a volte insieme a Jacopo Battaglia, che in alcune occasioni mette da parte le bacchette per affiancarlo ai live electronics) con i giochi rumoristi del basso di Massimo Pupillo e le “urla” del sax di Luca Mai. Le atmosfere, degne di un Miles Davis proiettato nello spazio, di Deliver Me From The Book Of Self, chiude in bellezza un disco che fa sorgere spontanea una domanda: ma com’è che gli Zu, pur sfornando album a ripetizione, non riescono a farne uno brut- to? Sarà che la formula 3 + 1 funziona davvero? (7.2/10) Daniele Follero

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Psycho beat pop capace di far muo- ambientale dilatato messo in coda vere il culo anche al più pachider- a mo d’epilogo che mancava - so- mico dei partecipanti al vostro mary prattutto pare un ricordo dei land- jane party casalingo. Come recita scape più dolci del Fennesz impro- l’adesivo in copertina: “i crauti non live del periodo. Ma è la polpa che sono mai stati così buoni”. (7.5/10) conta, e le suggestioni soniche Stefano Renzi sono lì, nei solchi della scaletta originale, intatte con qualche novi- tà dovuta soprattutto alle capacità Fennesz - Endless Summer di un orecchio che nel frattempo (Editions Mego, 6 dicembre 2006) s’è allenato e afferra con maggiore Plays (Editions Mego, 10” efficacia. vinile, gennaio 2007) La scaletta non differisce dall’ori- Rimasterizzato da Denis Blackham ginale ma Fennesz la lavora dal- negli studi Skye da un nuovo mis- AA.VV. – The In-Kraut Vol.2 l’interno, gioca d’equalizzazione, saggio dello stesso Fennesz, sua (Hip Shaking Grooves Made in amplia le profondità e spazialità immensità Endless Summer, al- 1967 – 1974) (Marina dei layer. Alcuni brani risultano mi- bum sorpresa del 2001, apogeo Records, dicembre 2006) gliorati e maggiormente avvolgenti dell’errore digitale, trasfigurazione Secondo volume della serie The In (l’incanto-incantato di Cecilia, la del sixties pop per la generazio- Kraut, compilation interamente in- piece pop siderale di Happy Au- ne digitale, nuovo approdo per lo centrata sulla riscoperta d’oscuri dio i drappi di xilofoni di Before I shoegazing nei Duemila, capolavo- pezzi d’estrazione rare groove par- Leave) ma è il corpus complessivo ro del viennese e tanti altri metri toriti in Germania a cavallo tra gli a resistere alla prova del tempo. di tappeto rosso, ritorna nei nego- anni Sessanta e Settanta. Un’ope- Placente chitarristico-ambientali, zi con tanto di copertina inedita a razione d’archivio meritoria e quan- maree digitali sconfinate, turbini di opera del fido Jon Wozencroft. E to mai gradita quella dei responsa- scrosci dove, in assenza d’appigli, noi non possiamo che riascoltarlo, bili della Marina Records, etichetta non si può che arrendersi all’infini- curiosi di come suoneranno questi ben nota agli amanti della migliore tamente estivo, al perenne tramon- 50 minuti nel 2007. Iniziamo dalla pop guitar music, oggi sensazional- tare. Questa la pasta di Endless fine, dalle bonus track: sono due mente a proprio agio anche nella Summer, un lavoro che incarna momenti non impedibili ma neces- proposta di materiale prevalente- l’astratto delle prime prove e lo sari: c’è Badminton Girl, nel mood mente di estrazione soul/jazz. coagula nell’intelligibilità, nei ri- di Made In Hong Kong (ma non al- Venti i brani selezionati per l’occa- mandi al mistero, nella metafisica. trettanto incisiva), recuperata da sione, tutti estremamente divertenti In definitiva, è il trionfo dell’amore uno split con i Main del 2001 (su e scoppiettanti, tra i quali spiccano eterno, e dunque, dell’eterna dan- Fat Cat), e l’inedita Endless, un una versione extra soul della cele- nazione. La tristezza cosmica che berrima Black Night dei Deep Pur- da Brian Wilson punta a Leopardi. ple orchestrata dal maestro Hugo Il lavorio dell’inconscio dietro ai Strasser, una improbabile versione mercoledì da leoni e ai sabato del tedesca della Masquenada di Ser- villaggio (A Year In A Minute - ca- gio Mendes ad opera di una con- polavoro). È disponibile anche la turbante Mary Roos ed uno smooth ristampa del prodromo di tutto ciò, jazz per dopate feste post naziste Fennesz Plays, lo stargate per il come Holiday Time sparata in cielo mondo dei Beach Boys e dei Rol- da una interpretazione a metà stra- ling Stones sognato dai My Bloody da tra canto e recitazione di Hilde- Valentine. Con due mandati del ge- gard Knef. Il resto è la “consueta” nere, Fennesz è senatore a vita. orgia di funk, Stax sound, rigurgi- Edoardo Bridda ti Brian Auger, Rhythm & Blues e

6 4 s e n t i r e a s c o l t a r e I Am Kloot - BBC Radio 1 John come certificava il recente The Peel Sessions (Skinny-Pias / Silver Tree. Anche se fosse, qual Self, dicembre 2006) è il senso? Mai fatto incetta di Quella delle Peel Session pare ul- dischi d’oro l’australiana, data la timamente sia diventata una tappa musica offerta e l’ugola di cui è discografica obbligata, vuoi per co- dotata, che tuttavia non le hanno stante celebrazione del compian- impedito – in mezzo ai pochi album to dj inglese vuoi per necessità pubblicati sin qui - di presenziare antologiche sempre più frequenti. su colonne sonore di pellicole che Dopo Delgados, Pulp e Pj Harvey hanno sbancato al botteghino (Il – per citarne alcuni - ecco anche Gladiatore, per il quale ha portato gli I Am Kloot rispondere all’appello a casa un Golden Globe, Mission con questa uscita “radiofonica” che Impossible 2, Ali e Black Hawk raccoglie le sedute ai Maida Vale Down tra i tanti). Studios tra 2001 e 2004, ovvero da- Non si capisce, poi, in base a qua- e rarità assortite - tralasciando i gli esordi della formazione mancu- le criterio si sia potuta ragionevol- side-project, ovviamente - c’è let- niana ai mesi precedenti la pubbli- mente far cernita: fin dai tempi dei teralmente da perdersi, anche per il cazione dell’ultima opera in studio (qui accennati), il più accanito dei fan. La raccolta in Gods And Monsters. Le tracce qui suo materiale vive oltre la dimen- questione, che prende il nome da un raccolte rivelano una band più che sione del momento, necessita di brano apparso sul retro del singolo discreta nello stilare ballate folk immersioni ripetute e continue, vi- Sugar Kane (qui non incluso, tanto venate di noir, talvolta tinteggiate cine al contesto dell’album e non per confondere ancor più le acque), di jazz e di una leggerezza quasi all’estemporaneità del singolo bra- non si propone però l’ingrato com- umoristica à la Robyn Hitchcock no. Tuttavia, pur con tutte le per- pito di mettere ordine in una babele (vero riferimento vocale del leader plessità di cui sopra, se la si valuta di tali proporzioni ma, più sempli- John Bramwell; si ascolti su tutte come iniziale corteggiamento per cemente, raccoglie alcune chicche Titanic); un gruppo che pur nella chi della Signora nulla possiede, assortite dal 1990 in poi (il periodo sua aurea mediocritas - nonostante l’ora e un quarto qui contenuti as- Geffen, insomma) più qualche ine- i loro limiti espressivi, in chi scrive solvono perfettamente la loro fun- dita assoluta. Ad essere prediletta permane la convinzione che, vuoi zione. Che è quella di descrivere è in particolare la fase che ha visto anche per il contesto che li ha visti in un Bignami il peculiare spettro Jim O’ Rourke tra le fila della band nascere ed operare, questi ragazzi stilistico della Gerrard, nel quale si newyorkese, a partire dall’iniziale siano stati ingenerosamente sotto- specchiano contemporaneamente Fire Engine Dream, un’outtake di valutati - conferma comunque validi etnie disparate, gusto per l’orche- Sonic Nurse (di cui sono presenti motivi di ascolto e, per chi volesse, strazione sobria ma imponente nei anche due bonus track dall’edizione approfondimento. Questa raccolta mezzi e, soprattutto, un “cantare giapponese), passando per il glitch potrebbe essere un buon punto di la voce” che – senza toccare gli di Campfire, fino ad un paio di inte- partenza. (6.8/10) eccessi di fiele della Galas, né il ressanti estratti dalle Noho Furnitu- Antonio Puglia miele di Enya – lascia ammirati per re Sessions del 2001; a completa- purezza, evocatività e mistero che re il quadro b-side classiche come sprigiona. Razor Blade (blues acustico della Lisa Gerrard - The Best Of La valutazione, l’avrete capito, di- Gordon, dall’ormai lontano 1994) e (4AD / Self, 16 febbraio 2007) scende più dall’iniziativa in sé che una versione alternativa - anche Chissà se il motivo che ha spinto dalla musica, che di suo appartie- più spaziale dell’originale – di The la 4AD a pubblicare una raccolta ne a giorni senza tempo, ed è così Diamond Sea, la suite che chiudeva della sirena Lisa Gerrard è la sua splendida da catapultarci in dimen- Washing Machine. dipartita per un’altra etichetta, sioni parallele, facendoci per un po’ Solo per fan? Sicuramente, ma va scordare l’attualità. A volte serve, detto che oltre ad essere di qua- eccome. (7.0/10) lità più che apprezzabile (su tutte Giancarlo Turra la sognante Blink, dalla soundtrack di Pola X del 1999), queste undici tracce hanno il pregio di fornire an- Sonic Youth – The Destroyed che all’ascoltatore occasionale un Room. B sides and Rarities ritratto abbastanza fedele dei Soni- (Geffen / Universal, 12 dicembre ci “sotterranei”, inusuali rispetto ciò 2 0 0 6 ) che si sente su album eppure come Pochi al mondo possono vantare un sempre inconfondibili (si ascoltino catalogo di extra come quello dei le primissime note di Fauxhemians, Sonic Youth: com’è noto, tra b-si- il migliore dei blind test possibili). des, compilation, colonne sonore, (6.6/10) pubblicazioni esclusive su vinile

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 5 Antonio Puglia band in grado di rivaleggiare sul è altro che il primo capitolo rispolve- Triffids – In The Pines / piano commerciale con gruppi quali rato dalla ragione sociale Two Lone Calenture (Hot Records / Island Waterboys e Prefab Sprout. Per Swordsmen, che svuota i cassetti. 1986/1988, ristampe Domino, 9 farlo, le canzoni dei Triffids vengo- Viene qui raccolta una selezione febbraio 2007) no completamente rivoltate in fase di materiale pre-Warp – derivante Come annunciato già qualche mese di arrangiamento e produzione, nel appunto dalla Emissions Audio Ou- fa in occasione della ristampa di tentativo di trovare le soluzioni ot- tput di Andy Weatherall (metà della Born Sandy Devotional, continua timali per adattarle ai gusti di un ditta insieme a Keith Tenniswood), la riscoperta/ristampa da parte pubblico più ampio e distratto, sen- compilata dallo stesso per resti- della benemerita Domino Records za però riuscire a trovare la giusta tuirci un’idea di cosa frullava nella del repertorio degli australiani The quadratura del cerchio. Intendia- testa del produttore electro-maker Triffids. Operazione quantomai moci, le canzoni contenute in Ca- nel periodo in cui lavorò con i Pri- gradita e necessaria vista la statu- lenture non sono certo le migliori mal Scream di . Il ra, immensa, della band e l’irrepe- realizzate da McComb, ma la pe- risultato non è il packaging di un ribilità storica di questo materiale, mucchio di polvere, ma una filolo- snobbata da più parti e per questo gia sulle tendenze dance e chill out da tempo immemore fuori catalogo. dei primi (e non solo) Novanta. In The Pines è, probabilmente, il Ascoltando-compilando, si apre con disco più “grezzo” realizzato dai un techno Detroit (Rico’s Helly) che Triffids, registrato, questo alme- sorpassa di lato i primissimi Aute- no stando alle cronache, su di un chre, mentre Spin Desire prende misero otto piste all’interno di un quelle sonorità dandole in pasto ai capannone sito in pieno deserto, garage londinesi, tra synth Boards solitamente utilizzato per la tosa- Of Canada e 808 State; l’intenzio- tura delle pecore. Una situazione nalità, si capisce, è già tutta Warp: decisamente precaria che non ha e allora se da un lato Jakey In The però influito sulla qualità dei pezzi Subway (TLS vs One True Pod) rie- e sulla scrittura di David Mc Comb suma la bleep ‘n’ bass degli LFO sempre limpida e meravigliosamen- di Frequencies, dall’altro Paisley te martoriata da quei fantasmi che Dark ha un arcinoto (ma col senno lo avrebbero accompagnato sino al nalizzazione subita dalle sue com- del di poi) andamento sincopato, e termine dei suoi giorni. Pubblicato posizioni è quantomeno evidente, quei contrappunti metallici di dub a pochi mesi di distanza da Born soprattutto se si ascolta il bonus cd e groove. Sandy Devotional, InThe Pines allegato alla ristampa Domino nel Molte di queste tracce potrebbero rappresenta la faccia meno scura quale sono contenute le versioni tranquillamente essere state con- del sound dei Triffids, tra questi demo di gran parte dei pezzi. Ripu- sumate sui piatti di gente come solchi impegnati a dare sfogo alle lite da tutti gli inutili orpelli mecca- Alex Paternson e infatti ai suoi Orb proprie velleità country (Once A nico/coreografici, titoli come Bury viene da pensare ascoltando In the Day, She’s Sure The Girl I Love en- Me Deep In Love, Kelly’s Blues, A Nursery Visit Glen Street, o il remix trambe in versione live), rock soul Trick Of The Light, There Must Be di Rico’s Helly in coda all’album. (Suntrapper, Do You Want Me Near A Curse On Me, Jerdacuttup Man, C’è pure un indizio del periodo jun- You?), folk (Only One Life) ed ad- dimostrano la bontà del loro poten- gle con Spraycan Attack e We Love dirittura pseudo minuetti (la bellis- ziale e della scrittura di McComb Mutronics (quest’ultima remixata sima title track), mettendo momen- che ancora una volta riesce a stu- da Keith Boy) - ma un indizio non fa taneamente da parte le atmosfere pire per la facilità e l’incredibile una prova, grazie a spezie d’ascol- “desertiche” del precedente lavoro maturità (all’epoca dei fatti appena to (anche) casalingo. di cui peraltro rimngono tracce nel- ventiseienne) con la quale riversa Se la filologia è un onere, è anche la splendida Kathy Know. (7.5/10) su carta le proprie emozioni. Fat- l’onore di presentare come un vec- Discorso totalmente diverso per ta una media tra quello che poteva chio conoscente ai nuovi amici il quello che riguarda Calenture, essere e quello che è stato, si arri- materiale swordsmeniano di Fifth album che segna il debutto major va comunque dalle parti della suffi- and Tenth Missions, Swimming della formazione australiana e per cienza (6.0/10) not Skimming e Stockwell Step- la registrazione del quale i Triffids Stefano Renzi pas; seppure con le pinze – ovvero si trasferiscono in Inghilterra lavo- nonostante il peso della mancata novità –, noi non si vede perché non rando tra Londra, Liverpool e Bath. Two Lone Swordsmen - congedare i due solitari con un bel L’intenzione dei responsabili della Emissions Audio Output: From (7.0/10) all’esame di housistica. Island è quella di sfruttare il cari- the Archive, Vol. 1 CD (Rotter’s sma di McComb, allora considerato Golf Club, 22 gennaio 2007) Gaspare Caliri una sorta di novello Jim Morrison, L’uno punto zero di Emissions Au- per cercare di creare a tavolino una dio Output: From the Archive non

6 6 s e n t i r e a s c o l t a r e s e n t i r e a s c o l t a r e 6 7 Dal vivo

Charles Hayward – Teatro il sound del gruppo-madre. I pezzi darti letteralmente al Sant’Orsola. Galleria Toledo, Napoli (18 variano da avventurose e furiose Chi glielo spiega che l’evento è di gennaio 2007) escursioni post-punk a malinconi- lei, di Isobel, e che Mark è giusto Per Charles Hayward, il concer- ci intermezzi per voce e melodi- lì per servirla? All’inizio nessuno to di Napoli è stato una conferma ca, da cui letteralmente esplode se ne accorge, un paio di cartuc- di come il poliedrico batterista dei l’espressività di Hayward: le par- ce in combinata, tra slide guitar e This Heat abbia ancora molto da ti di batteria sono imprevedibili e valzer da speroni da Ballad of the dire. L’esibizione ha ripetuto la for- di una spettacolare complessità, Broken Seas, fanno bella mostra mula live utilizzata da una decina mentre la sua voce sgraziata urla di sé – uno spettacolo country per d’anni a questa parte (e documen- testi non-sense (tra tutti, l’infantile due outsider -, poi giunge il turno tata dalla serie dei tre Live In Ja- conteggio che accompagna la sua dei sussurri della violoncellista, pan), ovvero completamente solo uscita dopo il bis). che a quella platea e a quel volu- con la sua batteria, accompagnato Se da una parte il concerto lascia me passano inosservati come la solo da electronics (tastiere pre-re- esterrefatti per la potenza e l’inci- birra annacquata. È professionale gistrate controllate tramite pedali). sività di Hayward, che trasforma un la Campbell, è colpa dell’audio se Mentre il pubblico sta cominciando evento sulla carta potenzialmente l’ugola non brilla, eppure la loca- ad entrare in sala, Hayward inizia monotono (solo batteria e voce) ad tion per lei è un’altra, non il grande già la sua esibizione quasi teatrale: un tripudio di suoni e colori, dall’al- club che vuole l’uomo, quell’uomo armato di un microfono effettato col tra fa rimpiangere l’assenza di una che stanotte è soltanto un corpo (e delay, fa “suonare” pavimento, aste, vera band che sostenga il suo cari- fortunatamente ancora una voce), tende, oggetti vari e suoi rumori vo- sma: le tastiere purtroppo il più del- un rispettabile cow boy zombizzato cali, creando un’atmosfera inquie- le volte risultano “plastificate” per dallo sguardo torvo e vitreo, dalla tante, sottolineata dal suo sguardo via di suoni troppo MIDI, e in ge- postura autorevole e dimessa, dal folle che osserva minacciosamente nerale svolgono inefficacemente un total black trasandato ma assente. i presenti. Forse questa introduzio- ruolo dinamico che strumenti come A quell’assenza non compensa Iso- ne si protrae un po’ troppo (termina un basso e/o una chitarra potrebbe- bel, gonfia di fianchi ma non di ner- solo quando tutte le persone sono ro ricoprire più adeguatamente. bo. Nè valsa la pena? A Mark basta entrate e si sono sedute) e finisce Andrea Monaco poco per tarpare le penne, giusto per risultare prevedibile seppur con una terna di cover classiche: I’ll momenti involontariamente comici Isobel Campbell & Mark Take Care Of You, Come Home e (Hayward rimane indeciso sul far Lanegan - Estragon, Bologna Ramblin’ Man, un vocabolario musi- cadere o meno l’asta del microfono (31 gennaio 2007) cale incarnato e rappresentato alla sul bordo palco, salvo poi desistere È un modesto mercoledì infraset- perfezione. Basta questo, anche se per non provocare danni). timanale, di quelli che in un posto lo show oramai puzza di marchetta. Una volta sedutosi alla batteria, in- come l’Estragon fanno il deserto dei E pazienza, ci si deve accontenta- vece, si lancia in uno show coin- Tartari, anche con la star di turno. re del bel blues elettrico che suona volgente e movimentato, da cui gli E invece, di Mark se ne sono ricor- la campanella dove la coppia final- astanti vengono completamente dati tutti. Stasera era la sua sera. mente gira l’elica. Quattro minuti e rapiti per via dell’agilità e dell’ag- E sono tutti lì per lui, ad ammirarlo le luci s’accendono. 18 euro. Goo- gressività sonora che ancora dimo- e - come accadrà durante lo show dbye. stra nonostante l’età. La tecnica - pure a toccarlo, manco fosse già Edoardo Bridda pare ancora più raffinata e preci- una reliquia. Del resto come biasi- sa di trent’anni fa, mentre la voce marli, per chi l’aveva visto l’ultima Jarvis – Magazzini Generali, è rimasta miracolosamente intatta volta nella vecchia location, è giun- Milano (18 gennaio 2007) come all’epoca dei This Heat. to il momento del pellegrinaggio e Lo si vede già mescolato alla fol- I brani presentati sono tutti tratti non dello show. S’aspettano l’oc- la al bar, durante l’opening act dei dal suo repertorio solista, ed è fa- chiale scuro, le sigarette a coprirgli nostri Jennifer Gentle - lodati poi cile riconoscere lo stile inconfon- la faccia e quella pitonata profu- da lui a inizio concerto - che ben dibile che rese così caratteristico sione di blues eroinomane da man- scaldano l’atmosfera con le loro di-

6 8 s e n t i r e a s c o l t a r e latazioni psych-rock, ma è quando mezzi di commenti buffi, e dopo più dalla fila che c’è all’entrata la se- sale sul palco che se ne percepi- di un’ora si arriva ai bis: Running rata si prospetta di quelle ghiotte. sce il carisma. Per la prima volta in The World, ghost-track che non po- Sotto il profilo musicale il live set Italia (con l’eccezione di una fuga- teva mancare, cantata questa volta del messicano non delude: drone ce apparizione con i suoi Pulp alla da tutto il pubblico e, a sorpresa, pesanti e viscerali che battono in Biennale di Venezia nel giugno del l’annuncio di un vecchio pezzo (e gola, ritmiche frastagliate e can- ‘99) l’esplosivo e loquace Jarvis, qui tutti in un primo momento si gianti, elementi classici dolenti a che ha radunato una considerevo- pensa ai Pulp…), che si rivela un disegnare atmosfere cupe e mini- le quantità di fan italiani accorsi ai omaggio al Lou Reed glam (Satelli- mali già ascoltate in Remebranza e Magazzini Generali, non ha disatte- te of Love). Ripensandoci, non po- presenti anche nell’ultimo Cosmos, so le aspettative, anzi. Sempre in teva concludere in modo migliore, di cui propone un assaggio (su tut- movimento, scherza tra un pezzo e piuttosto che fossilizzarsi nel suo te la techno dark di Cielo). Un’ora l’altro con siparietti ironici, incita, passato. Abbiamo molto apprezza- - né più né meno - di ipnotici vortici dialoga, balla con quel suo strano to, Mr. Cocker. rarefatti, di plumbee cadenze minal modo dinoccolato da ragazzino mai Teresa Greco break che stordiscono un pubblico cresciuto. E la voce, che mantiene educatamente seduto per terra. A inalterata la sua forza espressiva, peccare di ingenuità sono però i vi- M.I.T.: Murcof + Minimono riporta indietro nel tempo, anche sual che accompagnano delle così – Teatro Studio, Auditorium se l’occasione è presentazione del- forti suggestioni sonore: dispiace Parco della Musica, Roma (19 l’omonimo disco d’esordio, uscito ammetterlo ma il loop di forme e li- gennaio 2007) lo scorso novembre. Ad accompa- nee geometriche variamente assor- Nome atteso da tempo dagli aman- gnarlo una band (in cui spicca il tite e colorate non sono all’altezza ti dell’elettronica, Murcof fa il suo tocco di Steve Mackey, bassista di della proposta musicale, troppo trionfale ingresso a Roma e per pulpiana memoria) che riproduce elementari e poco innovative, oltre l’occasione gli si spalancano le fedelmente l’album, eseguito quasi che rappresentative, per entrare in porte dell’istituzionale Auditorium, per intero. Ma il vero spettacolo è comunanza con i suoni. A sterzare merito dell’organizzazione del nuo- sempre e solo lui: showman consu- in tutt’altra direzione, e a chiudere vo appuntamento capitolino Meet mato, sempre in bilico tra humour l’evento, è poi il trio fiorentino dei In Town, con la collaborazione del- e autoironia tutta british con piglio Minimono, che mutano lo scenario la Fondazione Musica per Roma, nonchalante, snocciola uno dopo in un vero e proprio dancefloor con Snob Production e lo zampino del- l’altro i pezzi, attaccando con Fat il loro minimal groove, fatto gi gli- l’ormai consolidato Dissonanze, Children (in una sorta di rituale che tch e ritmiche frantumate. che accompagnerà la città per tutta prevede un’arancia sbucciata e A notte inoltrata la sala comincia a la stagione. lanciata al pubblico), compresa la svuotarsi, ma la sensazione di aver Luogo migliore non poteva esser- b-side One Man Show (presente nel trovato un nuovo club in città dove ci, il Teatro Studio, trasformato in singolo Don’t Let Him Waste Your trascorrere un weekend di qualità è un piccolo - neanche troppo - club Time). Il concerto si snoda tra croo- ancora inebriante. con tanto di bar all’interno e diva- ning e canzone d’autore, con inter- netti Le Corbusier, e a giudicare Valentina Cassano ...

s e n t i r e a s c o l t a r e 6 9 7 0 s e n t i r e a s c o l t a r e (Gi)Ant Steps (Gi)Ant (Gi)Ant Steps i h g i p m a Z o i z i r b a F e i t n e v l o S o n a f e t S i d a r u c a z z a j a c i r b u r a n u Max Roach – We Insist! Freedom Now Suite (Candid, 1960) Un battere di tamburi che arriva dal profondo dell’Africa, un sax snoda- to e inarrestabile, una voce che è rabbia e amore al tempo stesso: emancipazione musicale e lotta politica nell’opera di Max Roach.

Nel 1960 l’America è una polve- riera pronta ad esplodere sotto il peso delle discriminazioni razziali; il verbo di leader che propugnano la parità dei diritti e l’emancipazio- ne del popolo di colore – Martin Luther King su tutti - si fa sempre più forte; il diffondersi di movimenti studenteschi solidali che col tem- po si trasformeranno nella fiumana sessantottina modifica le istanze allora faranno pagare a caro prezzo di congas e tamburi - di Tears For culturali di una generazione. La lot- a Roach – finiscono invece per di- Johannesburg. La tracklist si apre ta politica e la musica si fondono ventare una delle chiavi di volta del invece con Driva’Man, impietoso diventando una cosa sola, in una jazz dei Sessanta. spaccato blues per voce e cimba- ricerca di dignità e di autoafferma- A dar vita a questo risorgimento del- lo sulla sottomissione forzata dei zione che mette le ali alla comunità l’Africa in note vengono chiamati neri nelle piantagioni e Freedom afroamericana facendole riscoprire il “vecchio” sassofono di Coleman Day, meraviglioso punto d’equili- la musica “nera” per eccellenza: il Hawkins – la lotta per i diritti tra- brio tra la tromba di Booker Little, jazz. scende gli steccati generazionali -, il trombone di Julian Priester e il il percussionista Olatunji, e la voce substrato ritmico perennemente in Esce Free Jazz di Ornette Coleman, di Abbey Lincoln, allora moglie divenire di Roach: primi passi di un inno alla destrutturazione armonica dello stesso Roach, per un disco in disco dall’anima black necessario ricco di spigoli strumentali, viene cinque movimenti che è pace, pre- e “contro” fin dalla copertina. pubblicato Mingus Ah Um di Char- ghiera, libertà ma anche ribellione. Fabrizio Zampighi les Mingus, ugualmente impietoso Tematiche sviluppate in primis dal con i canoni della tradizione ma trittico Prayer/Protest/Peace, in cui con qualche concessione alla me- la Lincoln parla gospel e pensa in lodia, trova finalmente compimento soul citando il cinguettio che sarà We Insist! Fredoom Now Suite di di Joan Baez, esplode in un urlo Max Roach, il più esplicito manife- primordiale in media res, sfuma in sto controculturale del periodo. Ma- dissolvenza sull’onda dell’ultimo teriale quello raccolto sul disco del scatto. O dall’inno All Africa, in cui virtuoso batterista, nato da una col- una danza tribale quanto estenuan- laborazione con lo scrittore Oscar te riporta in superficie l’origine e il Peterson Jr e inizialmente destinato retroterra culturale della comunità ad un opera musicale composta per nera finendo per annegare nelle festeggiare il centenario della fine malinconie free ma tutto sommato della schiavitù. Brani che sull’onda posate – il tema degli ottoni viene della passione politica - passione comunque costantemente accom- che i poteri forti della discografia di pagnato da un battere incessante

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 1 WE ARE DEMO

a dovere queste più che pregevoli composizioni. Insistere che prima o poi… (6.6/10)

I più attenti forse avevano già no- tato i santarcangiolesi Lilli Burle- ro l’anno scorso grazie al misterio- so Aulacamera. Ora per il nuovo lavoro A cavallo del Deviatore, sempre per quelli di Ribèss Recor- ds, dividono responsabilità ed esiti con I.Mago, sigla dietro alla qua- le si cela il solo Matteo Agostini, fautore di composizioni strumen- S i d e A tali che ben si sposano con i loro tenzione. Completamente fuori dal Stefano LaCara ha alle spalle una preziosismi arcaici e nobilmente tempo. (7.0/10) già notevolissima gavetta a nome folkloristici, andando a diluire e a SorryBoy con quattro ottimi demo perpetrare nel tempo quella ma- I tre Chewingum provengono da in inglese che potrebbero tranquil- gica atmosfera esoterica fatta di Senigallia come, del resto, tutta la lamente sembrare raccolte di b-si- candelabri e casolari abbandona- folle cricca del Marinaio Gaio delle des di Sparklehorse, Grandaddy, ti tra i vapori delle campagne, tra cui gesta ed uscite discografiche Eels e Beck. Abbracciata l’idea di barocco e macelleria, tra una festa si sentirà sicuramente prima o poi esprimersi in italiano, Stefano si popolare e la fine di un film. A le- parlare. Quelle contenute in Eppi è trasformato da due demo a que- gare i due progetti è un fiume: il sono quattro canzoncine piene di sta parte in Comunità Montana Deviatore che fu, prima della sua grazia e immaginario malinconica- dell’Aniene. Musicalmente ora lo deviazione, il Marecchia. L’odo- mente scanzonato, retrò e gocce di si potrebbe collocare dalle parti re della terra, la quotidiana con- pioggia su di me. Chitarra acusti- dei Clouddead ed in particolare di vivenza con i piccoli (le fiabe) e ca di sole e giri in bici, voce sus- Why?, anche a causa al timbro car- gli anziani (le tradizioni) rendono surrata come soffio su un dente di toonesco della voce di Stefano che il tempo un dettaglio tra gli altri. leone (il “soffione”). Ritmi educati in italiano si mostra in tutta la sua Restano immutati i nomi, i miti, le e sornioni, comunque frizzanti: da nasalità. Le basi appaiono come leggende tramandate nei secoli. ballare tra sé e sé col sorriso sulle impasti piuttosto dopati e stranian- Gli strumenti popolari, le musiche labbra. Nei testi, insoliti ed originali ti, capaci comunque di suscitare delle terre di Romagna vengono pensieri d’amore, ricchi di dettagli malinconiche inquietudini pop ed immerse in oscuri tappeti ambient e citazioni esotiche: nomi di città ebeti voglie di muoversi: tastiere fatti di profondità, riverberi e isola- lontane, letteratura del liceo, can- fluttuanti, scratch e voci in reverse. ti luccichii. La voce austera e com- zoni che ti salvano dai momenti gri- Tra le canzoni dell’Almanacco del mossa, tra canto e recita poetica, gi. Ascoltando queste piccole me- giorno dopo potrete trovare una racconta per l’ennesima volta del raviglie rubate al tempo si rischia comicissima chiusura del triango- mago Cagliostro rinchiuso sulla di venire rapiti in un’altra epoca lo con Cristicchi e Antonacci, una rocca di San Leo, del lucertolone forse mai esistita, surreale, dove

a cura di Stefanosimbolica Solventi e Fabrizio Zampighi ed allarmante invasione Ribisso che fuoriusciva dai corsi ancora contano le buone maniere e di corvi e l’ipotesi di un’attenuante d’acqua spaventando le popolazio- la cavalleria, dove si può assiste- alla condotta di Bush. Idee acute e ni, di carrarmati tedeschi infossati re ai corteggiamenti di Valentino e divertenti, immaginario da outsider nella fanga. Quello dei Lilli Burlero Valentina innamorati dell’amore di e radici ben piantate nelle tradizio- è un progetto insolito e non facile, quando avevi otto anni e scoprivi i ni rurali. Il limite maggiore resta forse. Sicuramente originale senza Beatles tra i dischi dei tuoi e c’era la troppo bassa fedeltà della pro- fare alcuno sforzo per essere tale quella ragazzina con le trecce sul- duzione che spesso non valorizza e quindi più che meritevole di at- l’altalena che non capivi bene… Ma

WE ARE DEMO7 2 s e n t i r e a s c o l t a r e WE ARE DEMO ARE WE volevi andare da lei. Ci si ritrova Mau. Freak’n’Roll è la loro ultima inebetiti, travolti da caldi ricordi, prova e ostenta tutto l’ostensibi- sorridenti e sovrappensiero. Riba- le, catalogo-repertorio che poi sul disco, innamorati di cotanta naiveté palco diverrà intrattenimento (voto: e magnetica semplicità apparente. 6.2/10 web: www.fanalidiscorta.it Annotarsi il nome per il futuro, pre- ). I fiorentini Montechristo impon- go. (7.5/10) gono al loro full lenght un titolo che D a v i d e B r a c e più toscano non si può, I cristi e le madonne, all’insegna di un in- die sprezzante e beffardello che si mette in scia Afterhours per svico- lare tra ragli post-wave e liquami psych-blues. Sovente melodici ma solo per ribaltarsi in un sarcasmo Di tutt’altro genere la musica di un po’ Canali e un po’ Fiumani, con Isaia & 00Talpa, ironica miscela il conformismo familistico cattopen- di rock, folk, ska, reggae, con un sante nel centro del mirino. Molti i unico scopo dichiarato: far diverti- debiti, ma notevole il piglio (voto: re. Questo il fine ultimo di una for- 6.4/10 web: www.myspace.com/ mazione pronta a coinvolgere chi montechristofirenze ). Bel titolo an- ascolta in una danza ininterrotta e che per i parmensi Karin, della se- sudaticcia tra giri melodici rubati ai rie viva l’understatement: I’ve Tried cartoni animati e trombe fiammeg- With Sport But Is Not My Cup Of gianti, “raffinate” trovate linguisti- Tea. Spigolature e torpori lo-fi al che – sublime l’accostamento “Lui- modo dei Pavement, alt-country S i d e B sella” “trivella” - e mire demenziali, stropicciato Mark Linkous, senza Melodicamente attraenti, tecni- corse a perdifiato in levare e testi tema – quando occorre - di robotiz- camente dotati, giovani quel tanto “on the road”. Nell’universo un po’ zarsi Notwist o svicolare tra lande che basta da risultare credibili, i sgangherato della band Babbo Na- Califone. Non perseguono clamori Nova 76 arrivano dritti dritti dal- tale fa il paio con le disavventure quindi, ma un palpitare wave che la bassa bergamasca con ai piedi autobiografiche di Vitamina Tc, il sa deviare tra post-rock soffice e un paio di Converse, sotto braccio maniaco collezionista di Cosce Co- fosco slowcore. Con ragguardevo- una chitarra elettrica e un basso sce tiene compagnia al paziente di le sagacia (voto: 6.5/10 web: www. e nel retro del furgone un batteria Terapia, il clima festoso tutto vino e myspace.com/karinband ). Chiude striminzita. Un equipaggiamento cori sguaiati di Osteria convive con le danze - si fa per dire - il quar- di base che non impedisce al trio le romanticherie popolane di Dolce tetto riminese dei Late Guest (At di imbastire rock’n’roll fresco e or- Lulù. Scontate le critiche di chi non The Party), il cui EP Being Damn’ dinato, scoppiettante ma non in- apprezza il genere – come definir- Robots Must Be Great! spedisce genuo, un po’ alla Julie’s Haircut li...scurrili? volgari? - quanto gli quattro tracce ad inerpicarsi sul prima maniera, moderatamente encomi di chi vede invece nelle ac- versante electro-disco-punk-funk. Strokes, ben equilibrato tra ripar- celerazioni vibranti del gruppo un Immaginatevi le fatamorgane cine- tenze e momenti di stasi. Nei 13 antidoto contro la depressione. Chi matiche dei Tv On The Radio e la minuti dell’EP fraseggi incalzanti vi parla vuole limitarsi a rilevare la nevrastenia pulsante degli Xiu Xiu si scambiano vicendevolmente di professionalità di una band che di- tra impeto & spasmi Gang Of Four, ruolo cedendo a soluzioni melodi- mostra sicurezza, convinzione nei e più o meno ci siete. Dai sovracca- che alla Libertines (Il nichilismo di propri mezzi e chiara onestà di in- richi emozionali ai riffettini giocat- Alberto), rallentando in improvvise tolo, dai cascami cyber alla pasto- parentesi malinconiche (Creeping tenti. (6.5/10) sità nervosa del basso, è tutto così On The Floor), pagando pegno Fabrizio Zampighi inflazionato eppure così credibile. al punk più melodico e ad alcune Bonus Track E trascinante (voto: 6.7/10 web: soluzioni di scuola Afterhours (La I quattro Fanali di scorta agisco- www.myspace.com/lgatp ). testa eiacula), il tutto con la giu- no in quel di Torino dal 2000, de- Stefano Solventi sta lucidità. Non fosse per qual- voti ad un indie-rock invischiato che rara caduta di tono nei testi, folk-blues, funk, ska, swing ed altri questi Nova 76 viaggerebbero sul esotismi. Ogni canzone un sipa- sette, livello di allerta che si ab- rietto che dissimula l’impegno in bassa invece di mezzo punto pur macchietta. Ascoltandoli vengono nella convinzione di avere a che in mente il Fortis più irriguardoso, fare con materiale dalle ottime po- il Bennato stralunato, una bislac- tenzialità. (6.5/10) ca ibridazione tra Negrita e Mau

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 3 Si pensava che non fosse più possibile aggiungere altre pagine si- gnificative al romanzo psichedelico. Ci si sbagliava di grosso, perché nella provincia americana dei primi anni Novanta, s’affilavano penne POLVO e chitarre alla bisogna. uno stile di vita attivo di Giancarlo Turra

Come i più assidui frequentatori di d’accordo, siamo “slackers” ma le superiori - Mac McCaughan, che Sentireascoltare ben sanno, i Polvo pensiamo in grande. E, per favore, li accoglie presso la Merge per il si sono ritrovati ad occupare saldi non confondeteci con quegli sfigati debutto su lp. Cor-Crane Secret il secondo posto nella graduato- che suonano in bassa fedeltà solo (Merge, 1992) mette in vetrina un ria dei migliori dischi della Touch perché non sono capaci. eccitante rock “avant” distillato dal- & Go, indetta tra redattori e col- le radici post punk: sensato il pa- laboratori per il venticinquennale Un nervoso apprendistato ragone coi Television, allora, dei dell’etichetta, grazie allo splendido C’era una volta una cittadina ce- quali Polvo si dichiarano aggiorna- capo d’opera Exploded Drawing. lebrata da una splendida canzone ta prole. Well Is Deep è in tal senso Detto che sul podio più alto sta- contenuta in Dirty, caratterizzata evidente, e nemmeno Sense Of It va Spiderland, ossia concorrenza da una fiorente ed eclettica scena lesina rimandi a Moore e Ranaldo. praticamente imbattibile, la cosa musicale, dovuta come spesso ac- A imporsi con autorità sono ciò no- ha costituito una comunque piace- cade oltre oceano alla folta popo- nostante l’altalena umorale in salsa vole sorpresa, garante a posteriori lazione universitaria. Ash Bowie e raga Bend Or Break e gli strumentali del fatto che la formazione di Cha- Dave Brylawski, chitarre e voci dei Kalgon e Duped. Ottimo il riscontro pel Hill abbia saputo scavarsi nel Polvo, si incontrano infatti a una critico, per chi non ha le orecchie tempo una dimensione sotterranea lezione di spagnolo della facoltà di intasate dal grunge (a proposito: il e però importante. Riflettendoci Chapel Hill nel 1990, facendo pre- gruppo va in tour con le Babes In bene, s’è perso ormai il conto delle sto combutta con la sezione ritmica Toyland), mentre il pubblico resta volte in cui dischi epocali sono stati del bassista Steve Popson e del – e resterà – confinato nel ristretto riconosciuti solo con lo scorrere del batterista Eddie Watkins. Si sco- angolo dei cultori. Quelli che hanno calendario… prono accomunati dalla passione fiuto per la qualità, però, e non si Ripensandoli e risentendoli ora, i per le formazioni della SST (hard arrestano a curiosità o mero colle- Polvo suonano ancora bizzarri, ma core punk e le sue mutazioni…) e zionismo (7.2/10). della loro musica parleremo tra bre- il rock più “progredito”. Ispirazioni Si replica nel giro di dodici mesi: il ve. Concentriamoci sul loro essere pronte all’uso peculiare, che sof- salto in avanti si chiama Today’s perfetti prodotti degli anni Novanta fiano vita su sei corde matematica- Active Lifestyles (Merge, 1993), e con tutto ciò riuscire a collocar- mente intricate e dedite a orditure registrato in tre giorni dal valente si disinvolti al di là delle barriere dissonanti, secondo il miglior acid Bob Weston. Il baricentro si sposta cronologiche. Sfuggivano le ca- rock californiano e senza scordare verso un sinuoso tintinnare chitar- talogazioni ferree con la febbrile solidità strutturale ed essenzialità ristico (sensazionale l’epica Gemini impollinazione incrociata dell’era prettamente punk. Il quartetto s’af- Cusp, tra Magic Band e Pavement “crossover”, rimescolando di conti- fila coi concerti ed entra in pista nel giovani) in perenne interazione, nuo stili e linguaggi per collocarsi 1991 col doppio singolo Can I Ride integrato a melodie sbilenche che nell’intimo di orizzonti “oltre rock”. (Kitchen Puff, 1991), ossequio allo s’impongono con la frequentazione Da bravi studenti, pronti a ricordare stile “indie” in voga che somma in- - Sure Shot possiede svagata alle- tutto e non gettar via nulla, riusciva- dolenza Dinosaur Jr. all’obliquo gria follemente “nerd” - e un equi- no in spediti viavai dalla New York baccano dei Sonic Youth. librio strumentale paritario tra le dei Television all’Asia, attraverso Di maggior peso risulta pertanto il componenti. Si riteneva, in piena le destrutturazioni rumoriste della successivo 7” Vibracobra (Rockvil- epoca post rock, che non fosse più Gioventù Sonica, il Medio Oriente le, 1991), dove il rintoccare del tre- possibile stupire con le chitarre, ma e i raga indiani. Psico-delia, se vi molo resta in aria a farsi travolgere ci si sbagliava: Thermal Treasure pare; un isterico cannibalismo delle dalla ritmica possente ma elegante, per pochi secondi induce a control- avanguardie, che prima divorava e come se il risveglio dai sogni con- lare i giri del vinile, poi aggredisce subito dopo rigettava in forme sba- servasse l’abbaglio estatico datoci con un assalto stemperato in aeree lorditive. L’inquietudine sottilmente in regalo. pause; Lazy Comet caracolla da in- nevrotica e la ricerca della melodia fervorato “art blues” ubuiano; Tile- zigzagante, le chitarre sbilenche e Il miraggio è forte da stregare an- breaker confonde l’istrionismo con scordate erano lì a ricordare che, che l’amico - ed ex compagno del- l’isteria ed è una delle migliori rein-

Classic 7 4 s e n t i r e a s c o l t a r e Classic

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 5 venzioni sonicyouthiane; My Kimo- tale Old Lystra è lì per far scuola Weston in cabina di regia. Si porta no ci fa accettare sereni l’ossimoro (7.0/10). Le congetture su una clas- avanti di un (atonale) passo la fu- “dissonanza armonica”. Altrove si sicizzazione in atto già dopo due sione tra psichedelia e new wave: finge di viaggiare su binari “noise” lp sono rafforzate - e al contempo Pope e Brylawski s’aggiungono così salvo smontarli da dentro, si veda scompigliate - dal mini This Eclipse al solco dei tessitori che inizia con Stinger (Five Wigs), e medesima (Merge, 1995). Cipollina e Duncan per proseguire sorte subisce la psichedelia distur- Batradar suona difatti come un nei decenni con le coppie Verlaine/ bata da elettronica e sarcasmo per Daydream Nation “pulito” nei suoni, Lloyd e Kyser/Kunkel. Time Isn’t On My Side. In tempi esibendo peraltro una coda fiam- Il lascito è uno stordente doppio lp, più recenti si rinverranno svariate meggiante che ci s’attende allun- un minuto contorto e l’altro esta- tracce di questa peculiare “ansia gata e invece si spegne all’istante. tico, l’altro ancora articolato e poi statica”, nelle band d’area “emo” Bombs That Fall From Your Eyes suadente. Più spesso, tutte le cose meno propense all’urlo e intente a cammina circospetta e gonfia di va- ed altre ancora allo stesso tem- tradurre gli imprevedibili sussulti lium lasciando in bocca uno straor- po, sviscerando a fondo lo spettro del sentimento. C’è, a confondere dinario sapore d’amaro. Da anno- emotivo/evocativo dell’impatto so- con costanza le carte, un senso di tare sul taccuino anche i disturbi noro sulla mente. Fast Canoe rias- persistente irrisione e d’amorevole della nenia Production Values e sume con eloquenza articolata su beffa post moderna, sia nell’autoa- il brano omonimo, efficace space sonnolenti angoli, ostentando po- nalisi che nell’interpretazione delle rock giocato tra reiterazioni e staf- tenza in un guanto di velluto. Bri- fonti estetiche, che – lo ribadiamo filate ipnotiche. (7.2/10) desmaid Blues non ha nulla delle - accomoda i Polvo nella loro epoca dodici battute e s’accascia su di- e pure al di fuori. (7.5/10) E’ l’ultima uscita per il marchio stanti bordoni alla Neu! Feather Of Merge: il gruppo cede alle lusinghe Forgiveness accenna rock scompo- Diventare adulti di Corey Rusk e il primo frutto che sto e dondolante, come un ubriaco Alla ricerca del sé contribuisco- cade dall’albero fa un tonfo che in bilico tra collera e confidenza. no anche i due e.p. frapposti al ancora oggi rimbomba. Exploded Crumbling Down, Snowstorm In terzo risolutivo album: Celebrate Drawing (Touch & Go, 1996) è, Iowa e High-Wire Moves riportano The New Dark Age (Merge, 1994) senza remore, un autentico capola- la foga in primo piano a irrobustire conquista l’armonia, smussando le voro di eclettismo, che racconta un una canzone perennemente inde- punte nel subbuglio pop ima Tragic geniale restauro del corpo rock più cisa tra psicosi e incanto. Light Of Carpet Ride e nella pura psiche- visionario, basato su di una com- The Moon cavalca al tramonto in un delia di City Spirit. Fractured tiene piutezza certosina del lavoro tra western filmato da David Lynch e fede al nome, mentre lo strumen- chitarre e benedetto dal ritorno di Street Knowledge vede l’Asia in un

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perverso nucleo acid-wave (per non tovalutato a causa dei precedenti: prezzabili nello spaziare tra un’idea dire della lunare laconicità di Mo- Shapes (Touch & Go, 1997;) suo- peculiare di blues ed eterogenei- noloth?). Non si pensi a qualcosa na invece ancora opera ben dotata tà folk sostenute da un approccio di slegato dalle proporzioni, perché d’idee, che da un lato proseguono eclettico e competente alla stru- In This Life sta al crocevia tra pieni quanto fin lì proposto e dall’altro mentazione. Nulla a che vedere coi ’60 e tardi ’70 sgusciando tra echi inseguono modelli inediti (tendenze Polvo per entrambi, ed è più che di Xtc nell’attorcigliata cantabilità; unificate dalla lunga, atmosferica ragionevole. Ci sono modi peggio- The Secret’s Secret indossa fogge El Rocio). ri di maturare e poi invecchiare e, orientali maestose ma contenute, L’ottima Enemy Insects si sveglia cosa che più conta, la serpeggiante mentre The Purple Bear sembra dal torpore con la complicità di in- traccia lasciata nel mazzo di quei parodiare il power pop e Taste Of tarsi chitarristici e macchie di ta- dischi stravolti e quasi immateriali Your Mind sfodera un asso wavede- stiere; The Fighting Kites stende è stata di quelle importanti. Date lico da far impallidire a un decennio un ponte tra Bosforo e Appalachi; solo tempo al tempo… e più di distanza. Tutta abbondanza The Golden Ladder è una litania che sbiadisce, incredibile ma vero, memore dei Kaleidoscope. Più se raffrontata col favoloso saluto di avanti, Downtown Dedication me- When Will You Die…, una dozzina di scola Love e 13 th Floor Elevators minuti dove le divagazioni di corde e non era impresa dappoco, Twenty raggiungono la perfezione assoluta White Tents mantiene i nervi nella e consegnano il gruppo all’Olimpo stasi apparente e alla fine Lantern dei Maestri: ineffabile visione che dichiara una personale sensibilità da lisergici squarci campagnoli ap- all’estetica del deserto di fine mil- proda, lungo una via di fumiganti lennio. (7.3/10) cocci, a un isterico martellare che non apre la mente, bensì la ottun- Chiusa l’esperienza Polvo, Ash de. Ribadendo la presenza d’una Bowie si mette in proprio col pro- sottile logica nell’operato del quar- getto Libraness e il discreto Ye- tetto, alla fine si sente la voglia di sterday...And Tomorrow’s Shells ripartire. (8.0/10) (Tiger Style, 2000; 6.8), situandosi al confine tra il gruppo madre e gli Dopo il diluvio Helium. Meno inelegante di quanto La storia tramanda che molto spes- possa apparire sulla carta, si com- so, ad apice artistico raggiunto, pone di registrazioni sparse negli segua un volgersi altrove per pren- anni che, senza forzature, applica- dere fiato, osservare altri panorami no le consuete storture melodico- nell’incertezza del domani. Dopo chitarristiche (Grief Mechanism, Ri- lo sforzo di Exploded Drawing, chard Petty) a un “indie” dal sapore Watkins getta la spugna e gli su- tipicamente metà ’90. bentra il più lineare Brian Walsby, Dave Brylawski è tornato in North mentre Brylawski trasloca nella Big Carolina per unirsi - con una svolta Apple e poi in India inseguendo i logica - agli Idyll Swords, forma- prediletti orientalismi. Ash, invece, zione propensa a una non banale si ritrova a Boston con in mano un ricerca d’impronta etnica. Due i di- basso negli spenti Helium accan- schi dati fino a oggi reperibili, un to alla fidanzata Mary Timony. Si omonimo (Communion, 1999; 7.0) rincontrano per un ultimo disco sot- e II (Communion, 2000; 7.0), ap-

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 7 Matt Elliott / Third Eye Foundation third eye and roll di Gianni Avella e Antonello Comunale

Mentre Matt Elliott giunge alla ter- in seno alla Too Pure, si dilata e un stol, che non invidia le fratellanze za prova solista con Failing Songs, giovane prepara la all’epoca vigenti a Berlino e Chi- Collected Works riassume tutto (o penna al nuovo costrutto. cago. Il 3EF, in sostanza, rielabora quasi) l’operato dei Third Eye Foun- materiali contigui come Eternity e dation per Domino. Ripercorriamo Il terzo occhio Short Wave Dub degli Amp, Super- la vicenda artistica del sig Elliott, Ma poco prima che Reynolds met- constellation dei Crescent (la mi- dal terzo occhio al soggiorno fran- tesse mano al calamaio, Bristol, gliore del lotto nel suo diluire echi cese. Attraversando la Manica, ov- oramai sospesa tra i 60 e 90 battiti dub e stranianti visioni ) viamente. al minuto, dà alla luce l’atto primo e Way Out Like David Bowman dei dei Flying Saucer Attack di Dave Flying Saucer Attack, ovvero l’elite Bristol anno zero Pearce, parafrasi Kosmische (nella locale arricchita per di più da Eyes Bristol non è Londra, tantomeno tracklist figura una Popol Vuh parte degli Hood, compagine di Wetherby Liverpool. Non è stata attraversa- 1 e 2) dei My Bloody Valentine con notevolmente prossima alle idee di ta da alcuna corrente freakedelica tanto di cover, del tutto vampirizza- Elliott. (7.0/10) né ha concepito baronetti. Musi- ta, di The Drowners dei Suede. calmente è di facile inquadramen- Tra le colate di feedback si odo- Il disco non elude il precedente to, visto che per più della metà del no dei bongos. Sono suonati da Semtex, ma anzi ne conferma la ‘900 in città non è successo pres- Matt Elliott, che dopo quel lavoro trama fosca e brumosa. Dopodichè soché nulla. Poi, però, nel rigurgito - iniziatore del cosiddetto Bristol- la svolta: i Third Eye Foundation post-punk di fine ‘70 che invase la psycho - abbandona i FSA. Tiene il abbandonano la Linda’s Strange Britannia tutta, uno smilzo e palli- moniker utilizzato alla corte Pear- Vacation (nome di un remoto grup- do giovanotto - tale Mark Stewart ce, Third Eye Foundation, e spal- po di Bristol nel cui organico pas- - vittima cosciente del battito funk leggiato da Debbie Parsons debut- sarono futuri Crescent e Amp) per il raduna una congrega di pentiti visi ta nel 1996 con Semtex (Linda’s roster Domino. Nel mentre, presu- pallidi e li registra sotto il marchio Strange Vacation, 1996). Ascenden- mibilmente stufo della flemma trip- Pop Group. te anch’egli di Kevin Shields e soci hop, Elliott comincia ad elaborare Una manciata di dischi per la Sto- nonché genia del nuovo che avanza decisamente a velocità compresa ria. Dopo, lo sfaldamento; con (vedi Kranky), Semtex è caotico e tra 160 e 180 battiti al minuto: tan- gruppi satelliti che pur tenendo caustico, un bad-trip che comprime te le stoccate della a battesimo future stelle del pop l’estetica shoegazing e ne martoria e tanto basta per affacciarsi al futu- (nei Rip Rig And Panic canticchia la lettera. La voce è un canto lonta- ro. Siamo nel 1997 quando, prece- Neneh Cherry…) rimarranno culto no, esangue tra la tenebra di Next duto dal didascalico 12” Semtex si underground. Of Kin e sinistro (come dei Mazzy manifesta Ghost (Domino, 1997). Poi di nuovo silenzio, come se la Star sui carboni ardenti) nella mor- Le chitarre vivono nei ricordi, la città tramasse dalle retrovie; finché bosa Dreams On His Fingers. voce è un lamentoso salmodiare. una comune di artistoidi e graffi- Debutto che come molti censisce e What To Do But Cry, Corpses As tisti, il Wild Bunch, non decide di fa riflettere: se le lunghe Still Life e Bedmates e I’ve Seen The Light rallentare – e imbastardire – la bat- Once When I Was An Indian sono in And It Is Dark sono per la Domino tuta hip-hop. Nel 1991 debuttano i linea con quanto detto sin ora, l’ini- ciò che Aphex Twin è per la Warp. Massive Attack e quel particolare ziale Sleep consegna i My Bloody Il ritmo è incalzante, isterico, umo- elogio alla lentezza viene cataloga- Valentine nei vortici di una Roland rale: Out Sound From Way In, pre- to come trip-hop. Dall’underground W30. La critica parla di sincresi gna di spezie esotiche, riprende il si passa all’overground. Parimenti shoegazing/drum and bass, ma gli lascito quartomondista di Jon Has- col grunge, il novello neologismo indizi, seppur in nuce, non fanno sell; Donald Crowhurst batte terre- attecchisce ortodossi e non. Dal- ancora una prova. (7.0/10) ni adiacenti l’ambient di A Produce; l’Inghilterra, frattanto, nuovi dogmi Dello stesso anno è anche In. Ver- nella title track sembrano dei loschi vengono studiati dall’austero The sion (Linda’s Strange Vacation, Portishead orfani dell’ugola di Beth Wire: la memoria storica dei giova- 1996), atto di stima del Nostro ver- Gibbons e Star’s Gone Out stende ni neomusicisti bianchi, tutti o quasi so una scena, quella dell’altra Bri- minimali tappeti rumoristi.

Classic 7 8 s e n t i r e a s c o l t a r e Classic

s e n t i r e a s c o l t a r e 7 9 Ascoltato oggi, Ghost suona obso- No Covenant legittimata in tal sen- grigio, accidioso e scostante. L’ex leto come lo è la drum and bass, so) parrebbe ovvia la dicitura intel- perdigiorno nella Bristol cosmica ma all’epoca, cioè nel groviglio ligent dance music. (8.0/10) dei primi ’90 indossa ora l’abito del post, fu il giusto compromesso per Matt Elliott saluta il millennio da poeta da osteria, che scrive veloce- chi voleva allinearsi all’elettronica agitatore saggio. Il 2000 di Little mente i propri versi su una tovaglia di consumo senza perdere di vista Lost Soul (Domino, 2000) è come a scacchi prima di cadere in un de- le nuove istanze rock. (6.5/10) si aspettava. L’elettronica lenisce lirium tremens come ultimo atto di La Parsons, vista la totale o qua- ogni spigolo stridente e il suono, una depressione etilica cercata con si abiura in fase di composizione specie in Lost, si mitiga. sempre più compiacimento. Dalla decide di lasciare all’uomo l’asso- Ed è proprio lei, la detta Lost, ad passata esperienza il Nostro trae la lutezza della “fondazione” (si rin- operare da crocevia: una ballad folk capacità di manipolare i suoni, trat- contreranno nel debutto di lei come dai toni gotici, aliena in un contesto tandone la filigrana con ricercatez- Foehn), che nel mini seguente, che già schiudeva al prossimo. za. Ma se il suono del Terzo Occhio Sound of Violence, ratifica il pre- La foga drum and bass veste sin- era prettamente elettronico, quello sente e prospetta il futuro. golari litanie operistiche (I’ve Lost dei dischi solisti è prettamente folk. Quando nel 1998 Elliott produce That Loving Feline, What Is It With Un folk fantasma, ovattato e rivisi- Rustic Houses Forlorn Valleys You, Half A Tiger); le manipolazioni tato dall’elemento sintetico. degli Hood - pastorale scritto à la si ornano di quid idilliaci à la Boar- Questo è sostanzialmente lo scena- Codeine nati a Canterbury – si in- ds Of Canada (le annesse Are You rio in cui viene a nascere The Mess tuisce il perché di You Guys Kill Still A Cliché? e Goddamit You’ve We Made (Domino, 2003). Che la Me (Domino, 1998). Il disco taglia Got To Be Kind,) e l’epica elettro- depressione porti con sé un po’ di nettamente col passato e non in nica tocca la perfezione assoluta in autocompiacimento è cosa nota. Il termini di intelaiatura, che è e ri- Stone Cold Said So. (8.0/10) torpore del sé che si lascia andare mane ancorata all’elettronica, ben- I Poo Poo On Your Juju (Domino, al proprio stato quasi con dolcezza. sì nella forma canzone che regala 2001) è il gesto ultimo del terzo oc- Come le canzoni di questo disco, inaspettate aperture pop. chio. Un disco di remix conforme al che si aggrovigliano attorno ad una Ne è testimonianza l’inaugurale lontano, non solo per il lustro tra- forma di ballata folk da belle epo- Galaxy Of Scars, capatina latineg- scorso, In. Version che sin dal ran- que con un autore che sembra vi- giante sostenuta da un campione di ge - Yann Tiersen con La Dispute, i vere la propria vita con l’accidia e batteria non dissimile dall’abusato Tarwater di To Describe You, i Blon- lo sconforto di un Jacques Brel in (da Madonna ai My Bloody Valen- de Redhead con Four Damaged Le- disfacimento. tine) loop di Security Of The First mons tra gli altri – ipotizza il mood Qualche timido ricordo della Bristol World dei Public Enemy. a venire. (7.0/10) che fu appare qui e li a cementifi- Nell’anno terminale del trip-hop, care queste visioni arcaiche (Also i Third Eye Foundation si cimen- Little Lost Soul Run, The Mess We Made), che si tano in materia (come a dire: se Spogliatosi - forse per sempre - muovono lente e avvolgenti tra pia- possono loro…) nella soporifera In delle vesti elettroniche del Terzo nismi austeri (The Dog Beneath The Bristol With A Pistol, garbatamente Occhio, ritiratosi in uno splendido Skin), cadenze da bossa nova in jazzata come lo è That Would Be isolamento francese alla ricerca di umore nero (Forty Days) e canti di Exhibiting The Same Weak Traits, radici più antiche e profonde, Elliott marinai che dal fondo della stiva at- episodio questo che sarà segreta- comincia ad architettare un nuovo tendono che la tempesta passi per mente studiato dal futuro rampollo percorso tutto suo. Un uomo nudo sempre (The Sinking Ship Song). di casa Domino Four Tet. Pertanto con le proprie ossessioni, i fantasmi Ma non ci sono solo sconforto e immaginifica elettronica da ascol- di un passato che si vuole dimenti- depressione ad agitarsi tra queste to; tant’è che più di catalogare alla care, un futuro che non si riesce ad canzoni. C’è anche la fragranza al- voce drum and bass (con No Dove intravedere e un presente opaco, chemica della tradizione popolare,

Classic 8 0 s e n t i r e a s c o l t a r e le fatture artigianali delle cose fat- gringo a liberare gli oppressi. re girovagando tra questa e quella te con le proprie mani e il pensiero Una piccola rivoluzione d’ottobre contrada per cercare di afferrare la di una vita migliore che nasce dal con tanto di bossa nova che sfocia bellezza delle musiche antiche. Che basso e elegge come eroi i propri in tempi da mazurca viene docu- sia un valzer con cadenze classiche sconfitti dalla storia. mentata su Whats Wrong, ne più (Our Weight in Oil), un sirtaki gre- Questioni che Elliott fa proprie, con ne meno che un piccolo capolavoro co che diventa un tango (The Fai- sempre maggiore convinzione a di sceneggiata post-moderna. What ling Song), un flamenco che incede partire dal secondo atto della sua the Fuck am I Doing on this Battle- tragico (Broken Bones), una bossa trilogia solista. Drinking Songs field? si chiede ad un certo punto un nova spagnola con violini e note di (Acuarela / Ici d’ailleurs / Venus, Elliott sempre più intenzionato ad piano (Desamparado), una sonata 2005) sposa la visione radicale interpretare la parte del cantautore popolare da ex Jugoslavia (The dello storico A.J.P. Taylor, un can- che versa per noi le sue lacrime, Seance), ogni volta emerge eviden- tautorato alcolico sempre più cupo in quello che è destinato a diventa- te la pratica errabonda dell’autore, e introverso, un’ epica retrò e un re un piccolo classico moderno. Se con quella voce che è sempre più fatalismo immanente che si scaglia una sola cosa gli si può rimprovera- quella di un vecchio crooner da contro nemici vecchi e moderni, re, forse, è l’aver deciso di chiude- grammofono. contro “la politica estera degli Sta- re con il remix del primo disco, qui Solo con i suoi pensieri tristi, ac- ti Uniti d’America” di cui si canta- ribattezzato The Maid We Messed. compagnati qua e la soltanto dal no le vittime in A Waste of Blood. Ci avevamo quasi creduto davvero, violino di Patricia Arquelles Marti- Questo sembra davvero il secon- che tutto questo uscisse fuori dalla nez, questo nuovo Leonard Cohen do atto di una tragedia senza lieto polvere del tempo andato come un del mediterraneo, ha ormai compiu- fine. Solo così si spiega il generale tesoro nascosto. to definitivamente il suo personale tono melodrammatico che supera Così come sembra spuntare fuori elettro shifting. La Fondazione del in contrizione il già doloroso The da archivi impolverati l’ultimo lavo- Terzo Occhio e Bristol sono ormai Mess We Made. Una musica che è ro, quel Failing Songs (Acuarela / un ricordo da documentare con box sempre più contesa tra un caloroso Ici d’ailleurs, novembre 2006) che compilativi, mentre viene in qualche abbraccio folkloristico e una gelida chiude il ciclo e ci consegna un ri- modo evocato come padre ideale carezza d’ambiente come a mimare tratto a tutto tondo del nuovo arti- di giovani cantastorie in odore di il perdersi in un orizzonte di cui non sta Elliott, rinato a nuova vita come balcanic wave come Zach Condon. si scorgono certezze. cantautore folk, innamorato dell’or- Semmai le sue visioni folk sembra- Drinking Songs conversa voluta- todossia delle vecchie radici e della no molto più in linea con quelle de- mente un fascino polveroso, come tradizione europea. Non si avverte gli ultimi Silver Mt. Zion, quelli che se fosse una foto ingiallita del se- più l’elemento elettronico. Il pre- come lui, hanno trovato il loro punk colo passato. Ne sono prova le set- sente di Elliott è quello di un picco- rock nella tradizione gitana, zinga- te cantate folk da piccola borghesia lo compositore da chitarra e fisar- ra e testardamente ortodossa della europea che lo compongono, picco- monica che si compiace delle sue secolare musica europea. le colonne sonore per un immagina- piccole dimensioni da club, della rio carteggio tra Dickens e Tolstoj. deliziosa inattualità dei suoi valzer Musica per esorcizzare il dolore, e dei suoi cori da ubriachi pallidi come nella lapidaria overture di sotto la luna. Elliott è forse alla ri- The Kursk, dedicata a tutti “coloro cerca di una lingua europea univer- che si sono persi nel mare”, che si sale, un’unificazione che passi per muove lenta a metà tra un requiem le tradizioni secolari piuttosto che per marinai e una suite morrico- per i trattati di Maastricht. niana per uno spaghetti western, Si avverte forte, in questo disco, la di quelli dove non appare nessun ricerca del suo autore, il suo anda-

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 1 Classic album

The Pop Group - For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder? (Rough Trade, 1980) Da dove iniziare? Forse da qui: ogni tanto è bene tirare fuori la testa dal liquido amniotico che smorza le grida e gli affanni di un mondo pazzesco. Un mondo tragico, cialtrone, distrattamente assassino. Ideologie cannibali ci accompagnano ovunque. Ci sostengono. Sono nelle nostre tasche, nel nostro stomaco, tra i nostri pensieri. Facciamola breve: volenti o nolenti, esistere significa anche essere complici di un crimine. Saperlo significa quantomeno scendere dal letto con una gerarchia diversa di pensieri. Oppure, si potrebbe andare diritti al sodo. Al Pop Group, intendo. Per la precisione a For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?, loro seconda e purtroppo ultima opus. Titolo impressionante, così come la bru- tale, struggente copertina. Ma niente paura: il contenuto ne è l’esatto pen- dant. Lavoro su cui gravava (e grava tuttora) l’ombra del predecessore, il gigantesco pastiche new e no wave, etno-funk e free jazz che risponde al nome di Y. Un debutto dallo scomodo peso specifico (che indusse una spaventata Warner a scaricarli) per una band che subito dopo iniziò a lacerarsi sotto la pressione delle troppe personalità. Tutto questo pesò non poco sul successore, che fu dunque “soltanto” una specie d’implosione funk, per quanto aspro e febbrile, per quanto commisto al dub, al cabaret, all’improv-jazz (e non solo, come vedremo). Pur tuttavia, un bolide incandescente. Canzoni dalla semplice, esplosiva evidenza. Bastano, si bastano, non temono le ingiurie degli anni perché - ahi- noi - frizzano ancora di stringente attualità. A partire dal declama cigolante di Feed The Hungry, reggae robotico digrignato tra strepitii percussivi, slap intruppati di basso e feedback urticante, Mark Stewart - il cantante - che si tuffa nella scia arroventata delle corde e attacca l’ugola al 220 volt spiegandoci l’olocausto invisibile, che potreb- be anche puzzare di retorica se non fosse tanto paranoide. Oppure prendete il dub-funk spezzettato di How Much Longer, zampate di basso, strumming scarabocchiati, riff oppiacei, effetti minacciosi, mentre il canto (canto?) è un incubo Morrison/Murphy/Curtis, rantolo di coscienza allo stremo che sembra farsi carico dell’impossibilità di sentir- si ancora coscienza: “nella nostra ignoranza la gente viene uccisa/nella nostra decadenza la gente muore”. Coraggio, c’è dell’altro: l’iniziale Forces Of Oppressions, ululante, tiratissima, affilata, le urla di Stewart, le chitarre ed il sax avvinghiati al punto da sembrare indistinguibili, delirio teatrale Tom Waits e foga lucida Jello Biafra fusi in un solo orga(ni)smo deforme e palpitante. Al confronto, Justice si dipana lineare, quasi placida, ma è un nastro funk affilato/corrosivo, laddove invece Blind Faith mette in scena l’isterismo sfrangiato di chi ha scorto l’anima nera della psichedelia e ce ne offre il veleno: staffilate noise, ebbrezza beota, bailamme ritmico, sgretolamento struttu- rale progressivo, pazzesco finale con tralignate cineserie. Se There Are No Spectators rotola su dub macilento una densa coltre di malanimo (sembra di attraversare la quiete sulfurea prima dell’apocalisse), One Out of Many è l’allucinato abito sonoro di un protorap dei Last Poets, mentre Rob A Bank mantiene ciò che promette, cioè punk-funk battagliero, digrignato con soave, quasi festosa atrocità. Ho tenuto per ultima Communicate per la sua natura improv-jazz caustica e schizoide, per quel sax a raffiche e quei riff sgretolati, per quel drumming caricaturale e nevrastenico, per quegli improvvisi slittamenti degli assolo - come Ornette Coleman sull’argine del fiume nell’attesa che passi il cadavere di James Chance – e per le apparizioni lacere/ectoplasmatiche della voce: è un bolide in pieno petto che scaraventa i pensieri sotto al tavolo, ti fa sentire sulla linea di tiro, ti volti per non scorgere il lampo dello sparo, assaporando il panico della vulnerabilità. Colpito. Un bolide che ti strattona fino a farti sentire parte del problema e non “di fronte al”. Perché è inutile chiudere gli occhi, trastullarsi al suadente/trascinante profluvio dei cliché sonori, anche se proditoriamente guarniti di obliquo criticismo: il problema rimane, non scompare. Il problema sei tu. Per quanto sgomiti e ti affanni, se ne sta chiuso nella stessa scatola (cranica) dove sbocciano i tuoi pensieri più soffici e carini. Pop Group afferrano e offrono que- sta claustrofobica consapevolezza, se ne servono come un motore, innestano marce spigolose e ti portano a fare un giro. All’inferno e ritorno. Senza muoverti d’un passo. Perché è qui. Stefano Solventi

Classic 8 2 s e n t i r e a s c o l t a r e Classic

Social Distortion – Mommy’s Little Monster (Posh Boy, 1983) A volte ci si chiede che fine abbiano fatto alcuni grandi nomi del passato. Un giorno qualsiasi sfogli una rivista e ti capita di trovarli nella cronaca nera piuttosto che nello spazio recensioni. O, peggio ancora, tra i necrolo- gi. Così è stato, rendendo di pubblico dominio un progressivo e impietoso sfaldarsi, per i Social Distortion di Mike Ness. Formatisi come tanti altri nel 1978, sull’onda del primo punk che aveva investito Los Angeles, ci volle un lustro e alcuni splendidi singoli (raccolti dalla Time Bomb nel 1995 su Mainliner) prima che approdassero all’esor- dio. Intriso di poesia stradaiola nei testi di Mike Ness, cantante, chitarrista e insomma leader, Mommy’s Little Monster perfeziona una moderna ruvida innodia, quasi fosse frutto degli MC5 o d’imbestialiti Stones trapiantati in quella Orange County oggi nota per tutt’altro. Supportate dall’altra guiz- zante chitarra di Dennis Danell e dalla ritmica adeguatamente compatta, in meno di mezz’ora sfilano nove gemme che tradiscono senso di impotenza e rendono viva una rassegnazione compressa – esemplare la liricità di All The Answers – e comunque lucida come a pochi contemporanei riusciva ancora. Disco confrontazionale come il miglior punk sa essere, nel meraviglioso country devastato Telling Them (quale ironia, pertanto, e soprattutto che dolore risentirlo cantare: “farò a modo mio e vincerò sempre, non m’im- porta di cosa dicono tutti”), sonicamente asciugato tuttavia raffinato in ogni suo episodio (un organo spunta da Hour Of Darkness e Moral Threat), sia negli arrangiamenti che nella struttura dei brani. Cambi d’atmosfera e stacchi mandati a memoria da giovanotti di belle speranze come A.F.I. e compagnia brutta, da far ascoltare a chi crede che l’hard core sia (stato) solo un frastuono senza causa né redenzione. Canzoni come The Creeps o Another State Of Mind centrano a tutt’oggi il cuore, conciliando potenza esecutiva e veemenza, riuscendo trasci- nanti senza cadere nella banalità. A riprova, la title track rivitalizza i ’50 e i ‘60 fondendoli assieme, una melodia indimenticabile a funger da collante, laddove l’articolato capolavoro Moral Threat sparge un aroma bruciaticcio da epopea di perdenti, un andare a rotoli già scritto nel copione e nonostante ciò da contraddire, non importa se vanamente. Ness precipiterà poco dopo coi suoi demoni d’eroina dentro quell’ora di oscurità cantata in questi solchi, abisso dal quale rispunterà dopo altri cinque anni col secondo lp Prison Bound, eccellente nel suo sporcare di “radici” il marchio di fabbrica primigenio. Da lì un precipitare artistico sul fondo dell’oceano, beffarda conseguenza per un uomo nel frattempo rinato e oggi dignitoso sopravvissuto di tempi gloriosi. Per la cronaca nera di cui sopra, Danell è morto nell’autunno del 2000 per un aneurisma cerebrale. Aveva solo trentotto anni. A fargli compagnia (è tragica notizia dei giorni scorsi) il bassista Brent Liles, in formazione fino al 1984 e poi negli Agent, travolto da un camion mentre era in bicicletta su una strada di Placentia, in California. Giancarlo Turra

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 3 Maurice Binder, Saul Bass, Kyle Cooper Il design dei titoli di testa

di Antonello Comunale

Da semplice materiale didascalico, di testa sono invece materiale bio- dei titoli di testa è l’ormai leggenda- i titoli di testa sono diventati sem- degradabile, evocazione immagina- rio Saul Bass, l’uomo che ha dise- pre più elemento a sé stante, vezzo ria dell’air du temps del film. gnato lo storyboard della sequenza pop, brevi prodromi dell’era dei vi- della doccia in Psycho, il geniale deoclip, nella migliore delle ipotesi Da semplice materiale didascali- inventore di un design evoluto ed oggetti d’arte nella loro astrazione co per notificare allo spettatore il evocativo che come disse qualcu- da pochi minuti e via. cast tecnico del film che si appre- no sarebbe potuto essere l’artificio Un uomo in elegante doppiopetto sta a vedere, I titoli di testa sono di un Matisse, se soltanto il pitto- avanza di profilo. Lo osserviamo da diventati sempre più elemento a sé re francese fosse nato nel Bronx e una prospettiva alquanto particola- stante, vezzo pop, brevi prodromi avesse ascoltato jazz. re: il fondo della canna di un’arma dell’era dei videoclip, nella miglio- Bass era capace di sintetizzare un da fuoco. L’uomo si accorge di noi, re delle ipotesi oggetti d’arte nella film in pochi minuti, con pochi ele- si gira di scatto e con una movenza loro astrazione da pochi minuti e menti minimali. La sua era un’arte plastica estrae la sua pistola e spa- via. Nascono evidentemente dalle della suggestione, del dire tanto ra. Il cerchio perfetto da cui osser- didascalie del cinema muto. Tavo- con poco. Sono stati soprattutto tre viamo ondeggia e cade, mentre un le scritte, fotografate e inserite tra i registi con cui ha fatto i lavori più manto rosso di sangue cala sull’in- un fotogramma e l’altro per com- importanti: Otto Preminger, Alfred quadratura come un osceno sipario pensare la mancanza di sonoro e Hitchcock e Martin Scorsese. Il di morte. Se mai si potesse fare quindi di dialoghi e voce narrante. primo a capire l’importanza psicolo- una graduatoria delle sequenze Successivamente sono diventati un gica di una sequenza introduttiva fu cinematografiche diventate icone modo per introdurre lo spettatore proprio Preminger con il suo L’uo- pop e materiale costitutivo dell’im- allo spettacolo. Uno scarno libretto mo dal braccio d’oro, film che nel maginario collettivo, la celebre in- d’Opera a schermo, che ci dice chi 1956 contribuì ad abrogare il Co- troduzione dei film di 007 starebbe è l’artefice dell’opera, chi sono gli dice Hayes che proibiva espressa- lì, probabilmente accanto alla doc- attori, chi fa parte del cast tecnico. mente alcune tematiche “immorali”. cia di Psycho, al bagno notturno di E’ con gli anni ’60, con l’avvento Droga e sesso, manco a dirlo. Il Anita Ekberg ne La Dolce Vita e al della pop art, della pratica “bassa” film ha molti elementi di interesse, bimbo cosmico che ci saluta miste- di fare arte e cultura, che i titoli di dall’interpretazione di Frank Sina- rioso nel finale di 2001. testa di un film cominciano, in qual- tra alla partitura di Elmer Berne- che senso, a prendere vita propria. stein, ma nel nostro caso è proprio Di solito nei film di 007 quello che Diventano un abile modo per sin- il rivoluzionario lavoro di Bass per i abbiamo appena descritto è solo tetizzare il tema del film e il clima titoli di testa a destare attenzione. una introduzione, che si ripete im- delle sequenze che seguiranno. Lavorando sul concetto centrale mancabile e precede i titoli di testa. del film, ovvero la dipendenza di un Ci sono passati tutti: Sean Connery, Saul Bass – L’occhio che musista jazz dall’eroina, Bass sce- a cura di Teresa RogerGreco Moore, Timothy Dalton e per u c c i d e glie di usare proprio il braccio come ultimo Daniel Craig nell’ultimissimo “Quello che penso inizialmente su cosa elemento evocativo. Una sequenza posso fare con un titolo è di introdurre Casino Royale. Quello che segue su fondale nero, dove forti e evi- un umore, principalmente di sottolineare però questa sorta di prefazione alle denti strisce bianche vanno poi a il cuore della storia del film, esprimere immagini, che rimane immutabile confluire nel disegno stilizzato di la storia in modo metaforico. Io vedo nel un braccio. Un’immagine che viene nonostante gli anni ed il cambio di titolo un modo per condizionare gli spet- poi usata da Bass, anche nella lo- interpreti è diventato egualmente tatori, così nel momento in cui il film ini- candina del film. oggetto di culto: i celeberrimi tito- zia, dovrebbero avere già una risonanza li di testa. Se l’introduzione rimane emotiva con quello che stanno per vede- Ancora più rivoluzionario è stato il identica (e non potrebbe essere di- re” (Saul Bass) lavoro fatto con Hitchcock, per tre versamente), le sequenze dei titoli Il vero e proprio iniziatore dell’arte suoi film: Intrigo Internazionale,

la sera della84 prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la La donna che visse due volte e Psycho. Per il primo elabora delle linee che si intersecano fino qua- si a disegnare l’ombra di un grat- tacielo su cui far scorrere i titoli, per il secondo – uno dei suoi la- vori più belli – elabora tutto il de- sign della sequenza a partire dal concetto di identità femminile e di perdita di equilibrio, con un alter- narsi di dettagli presi da un viso di donna e di diagrammi spiraliformi ad evocare il senso di vertigine, per il terzo la scissione psicologica di Norman Bates viene significata con un magistrale lavoro di linee che spezzano il lettering dei titoli e lo ricompongono muovendo dai lati dell’inquadratura. A contribuire in maniera determinate alla forza però si faceva largo un’altra cor- titoli soprattutto gli danno credito: evocativa della sequenza contri- rente di pensiero, un modo diverso Repulsion di Roman Polanski e buisce anche la musica di Bernard di concepire il design per i titoli di Barbarella di Roger Vadim. Hermann i cui tagli netti sugli acuti testa. Sono sempre gli anni ’60 e la dell’orchestrazione sembrano fare sequenza di 007 evocata in aper- Da Pablo Ferro alla R/GA perfettamente coppia con il design tura viene concepita rapidamente Sempre a partire dagli anni ’60 della sequenza. da Maurice Binder che la disegna comincia a prendere piede Pablo Per Psycho Hitchcock lo consulte- su un foglio di carta in appena un Ferro e quella che viene definita rà come artista grafico per alcune quarto d’ora. Le sigle introduttive tecnica del quick-cutting, tagli ve- delle sequenze più importanti del della serie di 007 saranno per lo più loci, con cui si indica la maniera di film, compresa quella della doccia, opera sua e di Robert Brownjohn. lasciare il lettering dei testi, come e il contributo determinante di Bass Binder è però il primo e migliore fossero scritti a mano. Il primo e alla forza delle immagini sarà testi- interprete - oltre che il suo re-in- migliore esempio di tutto questo moniato da Hitchcock stesso nella ventore pop - del design fotografico è nei bizzarri titoli di testa di Dr. celebre chiacchierata con Truffaut. inaugurato da Stephen Frankfurt. Stranamore di Kubrick, realizza- Con Scorsese, l’ultimo dei grandi Anche Bass muove qualche passo ti proprio da Ferro. Immigrato a con cui l’artista newyorkese ha la- con questo stile, che prevede l’uso New York dopo un’infanzia passata vorato (tra gli altri: Kubrick, Wise, di immagini e dettagli ingigantiti e a Cuba, Ferro diviene rapidamen- Wilder) il lavoro di Bass è stato fat- articolati. te un maestro del design dei tito- to per lo più in coppia con la moglie li introduttivi, lavoro che continua Elain Matakura, passando abilmen- Nella prima sigla della serie di 007, a fare tuttora. Jonhathan Demme te al design computerizzato. Ne quella per il Dr. No Binder si muo- che ha lavorato con lui per molti fanno fede gli splendidi lavori per ve ancora su un look stilizzato che dei suoi film lo definisce “The best L’età dell’innocenza e Cape Fear, gioca con i cerchi del mirino e dei designer of film titles in the coun- il primo adornato con un magistra- due zeri del numero di serie 007. La try today”. Ferro manterrà uno sti- le uso di lettering e layering, sud- vera e propria apoteosi pop, la rag- le riconoscibile e immediatamente dividendo l’immagine in tre strati, giungerà con i successivi film della accattivante anche nelle decadi ciascuno con il proprio grado di serie, in special modo con Thun- successive, piegando amabilmente colore e di profondità, il secondo derball, Una cascata di diaman- l’umore del tempo alla propria arte. autocitandosi, nei suoi riferimenti a ti, Vivi e lascia morire, L’uomo Prova ne siano due lavori diversis- Seconds – Operazione Diabolica (i dalla pistola d’oro, Moonraker. simi eppure immediatamente iden- dettagli minacciosi di viso e occhi) Lo stile di Binder contribuisce in tificabili nel suo stile, come Vivere e a Psycho (il lettering spezzato). maniera determinante ad evocare il e morire a Los Angeles di Friedkin mondo dell’agente segreto inglese, e Beetlejuice di Burton. Maurice Binder – Il delirio pop muovendosi tra sensuali silhouette di James Bond femminili e stilizzazioni formali per La spinta propulsiva degli anni ’60 Lo stile rivoluzionario di Saul Bass un modo fatato come fosse sonoriz- al design in generale e a quello dei può essere definito “simbolismo zato da una colonna sonora a base titoli di testa in particolare è ab- grafico”. L’evocazione del conte- di lounge e cocktail music. Binder bastanza incontestabile. L’effetto, nuto del film attraverso pochi segni si ripete in grande anche al di fuo- anche grazie al lavoro di questi ed simbolici. Contemporaneamente ri della serie di James Bond e due altri artisti, si protrae fino ad oggi,

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 5 dove si calca molto di più la mano sull’effetto speciale di per sé, piut- tosto che sul contenuto creativo. La rivoluzione portata dalla computer grafica e dall’uso del 3D si sen- te soprattutto a partire dagli anni ’80 e i pionieri in questo ambito sono senz’altro Richard e Robert Greenberg, i fondatori della florida R/Greenberg Associates, o R/GA. Si devono a loro titoli estremamen- te elaborati e dal grande impatto visivo come Superman, Alien, Ter- minator, Predator. Lo stile è quel- lo avveniristico in cui le lettere si scompongono e si animano, in cui il 3D dà una profondità inedita ai fondali, in cui l’animazione dei testi presa dalla vecchia scuola disne- yana, viene trasposta in una nuo- va epoca cyber da digitalizzazione spinta. panorama schizoide del serial killer, Dopo aver lasciato la R/GA insieme nella sua articolazione di immagini ad altri due colleghi, Chip Houghton Kyle Cooper – La metà oscura frenetiche che si muovono quasi in e Peter Frankfurt, Cooper decide di d e l d e s i g n accordo con la soundtrack costitui- fondare con loro la Imaginary For- “Dei buoni titoli di testa possono ec- ta dal remix di Closer dei Nine Inch ces, a cui si devono molte delle se- citarti all’idea di essere al cinema in Nails. Entertainment Weekly defi- quenze introduttive più suggestive quel momento, pronto a vedere proprio nirà la sequenza “A masterpiece of degli ultimi anni, da Mission: Im- quel film. Possono convincerti che non dementia”. possibile a Twister, passando per vorresti essere in nessun altro posto Se7en è il primo lavoro in solita- Gattaca. Se gli si domanda sui suoi nel mondo eccetto dove sei ora, pron- rio, come Kyle Cooper, fa molto maestri Cooper non ha dubbi e cita to a vedere qualcosa di incredibile” rumore e costituisce l’avvio di una Saul Bass e Stephen Frankfurt ed (Kyle Cooper) brillante carriera. Successivamen- è, anche a dispetto della qualità La R/GA diventa rapidamente leader te il New York Times dirà del suo dei film su cui lavora, l’unico con- del settore digital graphic design, lavoro fatto per il remake di Zom- temporaneo ad avere una propria sia per l’advertising tipico che per il bie diretto da Zack Snyder che “Le visione creativa paragonabile a reparto effetti speciali. Soprattutto sequenze dei titoli di apertura e quella dei grandi artisti dell’epoca diventa una fucina di talenti inediti, chiusura sono fatte così bene che d’oro degli anni ’60. Ora è di nuo- legati all’uso del PC come mezzo giustificano il biglietto per sedersi vo in solitario, allontanatosi proprio di esortazione creativa. E’ proprio e vedere il film” e successivamente dalla Imaginary Forces che aveva dalle fucine della R/GA che arriva si sprecheranno le lodi per i titoli contribuito a creare. Di sicuro la l’ultimo mago dei titoli di testa, il di testa di Donnie Brasco e i due sua attività continuerà a concepire giovane enfante terrible Kyle Coo- Spider Man. Quello di Cooper è un piccoli congegni a orologeria, men- per. lavoro meticoloso e certosino, che tre più in generale l’arte dei titoli di Cooper si fa rapidamente un nome non si cura del passare del tempo, testa continuerà ad essere terreno nell’ambito della R/GA. Partecipa ai bensì della perfezione dell’effetto di conquista per molti altri talenti progetti principali, mostra soprat- finale. Per la sequenza introduttiva a venire. tutto i segni di una creatività feb- di Spider Man 2, passa un intero brile e indomabile. Il grande salto

a cura di Teresa Greco anno a scannerizzare vecchi albi in proprio, lontano dalla casa ma- dell’Uomo Ragno, mentre per quel- dre viene fatto con Se7en di David la che apre La Mummia fa precise Fincher. Quello di Cooper è un ta- ricerche storiche sui caratteri tipo- glia e cuci che sembra sintetizzare grafici. Cooper è l’ultimo designer nella nuova epoca del digitale, sia dei titoli di testa che abbia ormai il simbolismo grafico di Bass, che il un certo peso in termini di visibilità gusto per le immagini macroscopi- e di griffe, al punto che alcuni re- che di Binder. Il lavoro fatto per i ti- gisti hollywoodiani hanno rifiutato toli di testa di Se7en è abbastanza di lavorare con lui perché probabil- radicale, nell’uso congiunto di tutte mente la sua sequenza introduttiva le tecniche possibili, nell’evocare il avrebbe divorato tutto il film.

la sera della86 prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 7 Visioni

Apocalypto (di Mel Gibson - USA, 2006)

Il richiamo della foresta. L’arte della guerra. Arma letale. Sono tanti gli stimoli e i rimandi più o meno legittimi, più o meno seri che rimbalzano durante le due ore dell’ultimo lavoro del discusso Mel: dopo La passione di Cristo si era parlato di violenza gratuita, veicolata da immagini forti, sopra le righe. Come allora anche qui c’è una lingua incomprensibile, come allora c’è sangue ovunque, e come allora c’è il clamoroso battage. Ma il film dopo un primo tempo di preparazione ben orchestrata non reg- ge, nonostante le corse a perdifiato, nonostante il verde lussureggiante della foresta e la cura messa nella ricostruzione di combattimenti, sacri- fici e scenari storici. La voglia di trascendere il medium cinematografico risalta con la violenza di un cuore zuppo di sangue che batte ancora: gli organi interni sono di vitale importanza, ma lo è anche la credibilità della storia, la possibilità del nativo che lotta per la vita, il messaggio di coe- sione e tutti i discorsi sul declino degli imperi e delle civiltà. I presagi, le lance, l’arrivo finale dei Conquistadores, la civiltà Maya. Tutti a nuotare in direzioni poco chiare nello stesso bicchiere, agitando le acque per niente, rimestando dosaggi sbagliati e soluzioni poco plausibili. C’è il lieto fine e c’è lo strazio, c’è il pathos che diventa patetico, l’eclisse e il dolore, la vernice e il rodeo dei condannati. C’è la natura che avvolge, che cattura. C’è una trappola per la caccia usata una volta di troppo, e c’è un felino lanciato verso la preda. Su tutto si fa largo l’assurda, pretenzio- sa saccenza, la voglia di parlare e strafare anche senza la propria lingua. Qualcuno forse dimentica il compito fondamentale della pellicola, lo spettacolo del cinema: raccontare storie per immagini, punto di partenza e con- clusione di ogni discorso. Non è un buon segno se, a poche ore dal film, sforzo le meningi per rimettere ordine nei ricordi e disegnarmi il senso. Il fato, il bene, il male. Il ciclo della vita e la sua potenza. Tutti temi talmente alti e universali da essere estremamente semplici. Mel poteva lasciare alle immagini il ruolo di protagoniste, lavorando per sottrazione sulla loro forza trascenden- do i linguaggi in favore dell’istinto e della limpidezza istintiva delle emozioni. Invece perde terreno, dimentica i sottotitoli e diventa verboso, eccessivo e divinatorio. C’è il dolore e c’è il lieto fine. La morte e la vita. L’umano e il divino, il razionale e il mistico. Era difficile oltrepassare Cristo. Gibson ce l’ha fatta.

Alfonso Tramontano Guerritore

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Il grande capo (di Lars Von Trier - Danimarca / Svezia, 2006)

Da Lars Von Trier – uno dei più geniali registi in circolazione – ti puoi aspettare proprio di tutto. E se da anni, ormai, eravamo abituati a vedere tragedie sanguinarie, dolorosissimi drammi, strazianti mélo, ecco il re- gista danese venirsene fuori con questo divertentissimo film, Il grande capo. Fin dalle prime battute, lo stesso regista ci tiene a sottolineare che è solo una stupida commedia, questa sua ultima opera, un film da consumare distratti e dimenticare in fretta. Naturalmente, non è così. C’è sempre ferocia, critica ed intelligenza ad insinuarsi tra le pieghe delle sue pellicole. E quest’ultima, ovviamente, non fa eccezione. La storia sembra venire fuori dal cinema americano degli anni ’50. Il gran- de capo, infatti, è una esilarante commedia degli equivoci. Tutto comincia quando Ravn, il proprietario di una società di informatica, per coprire una serie di scelte impopolari – vendere tutto, licenziare i dipendenti senza av- visarli – inventa la figura di un Presidente su cui scaricare colpe e insulti. La cosa sembra una buona idea, ma tutto si complica. Perché l’acquirente vuole vederlo di persona questo Grande Capo, e Ravn è costretto ad as- sumere un attore. Sarà Kristoffer a dare un volto, un corpo, una biografia, a questa metafisica entità del Potere. E sarà sempre lui a rompere gli schemi, ingranare gli equivoci, mettere in moto la divertente catastrofe finale. Capirete che basta l’incipit per trovare tutti gli elementi che hanno caratterizzato da sempre i film di Von Trier. Infatti, sotto i colpi di scena, il ritmo serrato delle battute, il tono da meta-commedia ottenuto dalle incursioni del regista che introduce smonta e commenta i fatti, c’è una violenta critica al capitalismo occidentale, all’ipocrita ambiente familiare che si crea nelle aziende, alla banalità del potere, che si nasconde, si ritira, per attaccare meglio e agire indisturbato. Non bastasse, il film è un piccolo saggio sul bellicoso rapporto tra Regista (Ravn) e Attore (Kristoffer): e nella versione dei fatti di Von Trier, è sempre pericolosissimo lasciare l’attore preda di se stesso. Se il potere esiste, sembra dirci, incarnandolo nella figura del regista, serve soprattutto a dirigere gli attori sociali affinché le storie collettive vadano a buon fine, per tutti: registi, attori e pubblico. Ma c’è di più: non sarebbe un film di Von Trier se lo stile cinematografico non fosse preponderante rispetto al resto. E qui il regista torna a stupire. Perchè è l’Automavision, un sistema messo a punto dal Nostro, a filmare tutto. La cinepresa si muove senza che lui intervenga: è un braccio robotico, diretto da un computer, a scegliere le inquadrature in maniera casuale. E infatti i punti di vista, le prospettive, i tagli e la composizione interna delle inquadrature, rendono ancora più surreale questa contemporanea vicenda aziendale, e rilanciano un dubbio se- rissimo. Non sarà la Tecnologia ad essere Il Grande Capo in questi apocalittici tempi moderni? Giuseppe Zucco

s e n t i r e a s c o l t a r e 8 9 L’arte del sogno (di Michel Gondry - Francia, 2007)

Di Michel Gondry si è detto tutto il bene possibile. E non poteva essere altrimenti. In pochi anni ha rivoluzionato l’estetica del video-clip e l’im- maginario degli spot pubblicitari. Ha dato alla luce un paio di film, di cui il secondo, il sorprendente Se mi lasci ti cancello, è un gioiello di sen- timento e invenzione. Adesso, dopo le puntuali visite ai festival, eccolo tornare nelle sale con il nuovissimo L’arte del sogno. Il minimo che si può fare è sottolineare l’estro e il genio delle soluzioni visive. Se servisse a definirlo meglio, si potrebbe prendere la piccola frase che scardinò le so- cietà occidentali nel 1968, e ritagliargliela addosso: la fantasia al potere. Ma bisognerebbe fare un passo in più: dire che, con questa sua ultima fa- tica, è diventato un Autore a tutti gli effetti, capace di scrivere soggetto e sceneggiatura senza l’aiuto del geniale Charlie Kaufman – per intenderci: lo sceneggiatore degli ultimi film di Gondry, e di Essere John Malkovich di Spike Jonze – non basta davvero. Servirebbe guardare meglio e più a fondo. Prendete la trama de L’arte del sogno. Stephen, di ritorno dal Messico, finalmente a Parigi, trova un lavoro grazie alla madre. Ma le cose girano malissimo: il lavoro è deludente, la sua creatività mal vista, gli altri dipen- denti del tutto sgradevoli. Non resta che dormire e sognare un mondo migliore. Tutto si risolleva quando, per un incidente, incontra Stéphanie, la vicina di casa. L’amore non è a prima vista. Ma da quel momento, non può far altro che pensarla, incontrarla, trascinarla nei suoi sogni. Come avrete notato è una piccolissima cosa, la storia. Anzi, più che una storia, è una traccia, esile e sottile. Resta da chiedersi perchè Gondry gira una storia del genere. Certo, il film gli permette di fondere la sua vita alla finzione, di venare la storia di Stephen con parti della sua biografia. Oppure di costruire un discorso sui sogni, sull’importanza dei sogni, sull’idea che i sogni siano un luogo in cui le persone si incontrano realmente, per quel- lo che sono – del resto, idea già presente nel video Everlong, girato per i Foo Fighters. Eppure c’è qualcosa che gli preme di più, qualcosa che identifica e rende unici tutti i suoi lavori: la costruzione di un mondo. Ovvio, tutti i registi, nei loro film, costruiscono un mondo, la scena in cui si svolgono le azioni. Ma Gondry lo fa letteralmente. Prende in prestito qualcosa della realtà, e ricostruisce molto, con una fantasia che si sprigiona dal quotidiano, del tutto low cost, dove la città è di carta, il mare di cellophane, le montagne di stoffa. Ed è questa la grandezza del Sogno a cui allude Gondry. L’invenzione di un mondo possibile. Ma anche la con- sapevolezza che un altro mondo è possibile, seppure piccolo, fatto di cose povere, solo apparentemente trascu- rabili. In fondo, e lo diceva già Nietzsche: “Nei processi del sogno l’uomo si esercita alla vita vera”. Così, dopo il cinema, il sogno fatto ad occhi aperti, non resta altro che agire e agire in fretta.

Giuseppe Zucco

la sera della9 0 prima s e n t i r e a s c o l t a r e la sera della prima della sera la

The Prestige (di Christopher Nolan – Usa, 2006) Una magnifica illusione che diventa una magnifica ossessione. L’ultimo film di Nolan è tutto qui. Siamo nella Londra vittoriana di fine ‘800 e gli spettacoli di illusionismo sono una delle forme di intrattenimento popolare più in voga. Il pubblico ha voglia di meraviglie e di stupirsi con lo stra-ordi- nario. Le bocche aperte e gli occhi fissi osservano le artigianali meraviglie degli illusionisti. Allora viene fin troppo facile cedere al sottinteso ricatto di Nolan e interpretare la magnifica illusione/ossessione come lo specchio adamantino in cui si cela il cinema stesso. Stiamo quasi per entrare nel Novecento del resto. Non è dopotutto, la stessa ellissi cercata dal Dracula di Coppola? Li erano le ombre cinesi e la lanterna magica, mentre qui sono le meraviglie sul palco a suggerire l’avvento dell’intrattenimento di massa, del bisogno per il popolo, sempre più stretto negli ingranaggi del dopo ri- voluzione industriale, di abbandonarsi ai sogni e ai viaggi sulla luna.

Allora, forse, usando proprio questa chiave riusciremo anche a cedere, noi per primi, all’avvento dello straordinario, dell’irrazionale, della vera magia dello scienziato pazzo Nikolas Tesla e all’incubo del doppio, il dop- pelganger che si rinnova ad ogni spettacolo sempre identico a se stesso. La tensione di The Prestige gioca a rimpiattino con i due protagonisti / antagonisti. Si cercano e si sfidano e come i Duellanti di Scott non possono fare a meno l’uno dell’altro. Così come Christopher per scrivere la sceneggiatura del film ritrova il fratello Jonathan, abbandonato dopo Memen- to. “Siamo complementari in tutto – dice il regista - perfino nel fatto che lui è mancino, mentre io uso la mano destra”. L’ultimo film di Nolan convince maggiormente proprio in questi due opposti che si attraggono. Il primo, Hugh Jackman, elegante, aristocratico, piacente e scaltro uomo di spettacolo; l’altro, Christian Bale, aggressivo, furbo, proletario e artigiano. The Prestige è quindi un oggetto strano nel suo essere rétro con distacco, nel suo incastrarsi strategicamente negli ingranaggi dell’immaginario popolare (il cinema, il doppio, l’illusione, l’elettricità, il fantasma di Houdini) e nella sua teatralità vittoriana che dà grande spazio alle caratterizzazioni e trova un Michael Caine davvero imperdibile, una Scarlett Johansson sempre graziosa ma forse stavolta davvero un po’ di troppo, un David Bowie deliziosamente sopra le righe, e due straordinari Christian Bale e Hugh Hackman, ciascuno nelle proprie diffe- renze, a fare da perfette colonne portanti di tutto il film. Il finale è una scatola con doppio fondo che apre un paradosso, così come Memento si chiudeva nel momento del suo inizio. Illusione e ricordo, ossessione e liberazione. L’occhio di Nolan si muove tra questi estremi e li insegue come una falena va dietro a un neon.

Antonello Comunale

s e n t i r e a s c o l t a r e   Charles Ives il padre del rinascimento musicale americano

di Daniele Follero

A cavallo tra il XIX e il XX secolo, musicale. Eppure, quando il “rivo- più diverse, fossero esse canzoni in un’America ancora dipendente luzionario” Schoenberg, ben in- pop o sinfonie. Le 114 Songs da dalla cultura europea, nel silenzio serito negli alti ranghi del sistema lui stesso pubblicate nel 1920 sono di chi guarda troppo avanti rispetto della musica europea, era ancora emblematiche della sua versatilità all’epoca in cui vive, Charles Ives lontano dal fissare precise coordi- come pianista e come composito- poneva le basi per una musica che nate alla sua “dodecafonia”, Ives, re. Come in una sorta di playlist fosse veramente nuova, specchio nell’ombra, la musica l’aveva già (ehm…più o meno) l’autore ci ha in- della cultura che la stava generan- cambiata. filato un po’ di tutto: canzonette, art do. Una musica americana vera e pro- songs, pezzi scritti da ragazzino ed Nello sperimentalismo di Ives, in pria non esisteva ancora, in quegli episodi fortemente dissonanti, che quella sua voglia così “popular” di anni di inizio Novecento. Il “nuovo” testimoniano la varietà di stili che contaminare costantemente la sua continente risentiva ancora troppo allo stesso tempo la personalità di musica assorbendo le innumerevo- (artisticamente parlando, nella let- Ives incarnava. li influenze esterne, c’è già in em- teratura come nella musica) dell’in- Si può dire che la carriera di Ives brione tutta la forza prorompente fluenza della “vecchia” Europa. Di come musicista sia nata durante gli della musica del “nuovo mondo”. lì a pochi anni tutto sarebbe esplo- anni universitari. Allievo di Horatio so, vomitato fuori da una cultura, Parker a Yale, Charles apprese i Il padre del “rinascimento quella americana, che reclamava fondamenti della composizione, ri- musicale americano” un’identità ben distinta da quella velando già nelle sue esercitazioni “Se un compositore ha una bel- europea. Il jazz fu la scintilla che dell’epoca la sua particolare estro- la moglie e dei bei figli, come può accese il grande fuoco della mu- sità. Pur restando ancorata agli permettere che i bambini muoiano sica americana del XX secolo. Ma stereotipi sinfonici di fine Ottocen- di fame con le sue dissonanze?” prima d’allora tutto era fermo, o to (Brahms in particolare), la sua (Charles Ives) quasi, mentre il poco più che tren- Prima Sinfonia, scritta tra il 1896 Nel periodo in cui Ives scriveva una tenne Ives scriveva un capitolo im- e il 1898 come tesi finale a Yale, delle sue opere più significative portante del “rinascimento culturale già possiede qualche elemento di (The Unanswered Question, 1906) americano” senza che nessuno ci novità, mortificato però dall’acca- e ne riorchestrava un’altra altret- facesse particolarmente caso. demismo di Parker, sempre pronto tanto importante (Central Park In a frenare le fughe del giovane stu- a cura di DanieleThe Follero Dark), il compositore, simbolo Yale e i primi passi come dente verso i territori della polito- di quel radicalismo americano che compositore nalità e dell’atonalità. Ai quali, in si liberava definitivamente del far- Figlio di George Ives, direttore di ogni caso, il Nostro approderà ben dello della tradizione europea, era una banda militare durante la Guer- presto. Già le successive due sin- un perfetto sconosciuto, uno che ra Civile, Charles venne in contat- fonie, composte a cavallo dei due per guadagnarsi da vivere lavorava to per la prima volta con la musica secoli, contengono in embrione tut- per una compagnia di assicurazioni proprio attraverso suo padre. Affa- ta la poetica ivesiana, fatta di con- e suonava l’organo in chiesa. Al- scinato fino alla mitizzazione dalla taminazione, sovrapposizioni tona- l’epoca, la vita di Charles Edward figura del genitore, il giovane mu- li, quarti di tono, melodie parallele Ives, da poco arrivato a New York sicista rimase sempre legato alla indipendenti tra loro e abbandono da Dalbury, Connecticut (dove era musica da banda (anche se in sen- del concetto ottocentesco di svilup- nato il 20 ottobre 1874), passando so alquanto figurato) e alla dimen- po tematico in favore di un linguag- per New Haven, non era per nulla sione “popular” che questa spesso gio prevalentemente atonale o iper- paragonabile a quella dei grandi assumeva. Fu, probabilmente, pro- tonale (cioè che usa armonie che musicisti “colti” che agli albori del prio questa educazione a metà tra comprendono tutti i suoni di una nuovo secolo provavano a dare il colto e il popolare che portò Ives scala, come gli accordi di 13esima una svolta definitiva al linguaggio a sperimentare le forme musicali usati da Stravinskij). Emergono già

i cosiddetti9 2contemporanei s e n t i r e a s c o l t a r e qui gli elementi principali che ren- contemporanei cosiddetti i deranno lo stile di Ives riconoscibi- le e unico e che caratterizzeranno tutta la sua produzione futura: la citazione e il simbolismo.

Una passeggiata a Central Park La citazione diventa presto uno strumento costantemente impiega- to dal compositore americano. Echi e reminiscenze di un passato più o meno vicino, si succedono nel- l’opera ivesiana come in un work in progress. La citazione, però, non è mai puro e semplice inserimento di passaggi musicali estranei al con- testo, ma sempre un sofferto per- corso di trasformazione attraverso i filtri della coscienza, che si lega automaticamente all’altro aspetto “Stand up and use your ears like modo da coprire una serie precisa fondamentale della poetica di Ives: a man!”: il trascendentalismo di tasti). il simbolismo. Simbolismo e cita- alla maniera di Ives A completare i capolavori ivesiani, zione vanno spesso di pari passo, Fu proprio a Yale che il giovane la Holidays Simphony e i Three come in quello straordinario quadro Charles venne a contatto con la Places In New England rappre- impressionista che è Central Park sua futura guida spirituale ed este- sentano una sorta di punto d’arrivo In The Dark. In questo pittoresco tica: la filosofia trascendentalista lo dello stile di Ives. Entrambe dedi- affresco che immortala attraverso il influenzò a tal punto da poter dire cate al New England, queste due linguaggio musicale l’atmosfera del che, in fondo, quasi tutta la sua mu- partiture orchestrali ne presentano famoso parco newyorchese, la cal- sica sia stata un tentativo di inter- la vita sociale, attraverso la rap- ma quasi piatta e un po’ spaventosa pretare con i suoni i concetti della presentazione musicale delle sue data dagli statici passaggi atonali scuola di Thoreau e Hawthorne. festività e di alcuni luoghi caratte- degli archi, è rotta dall’irrompere Nella Concord Sonata, dal sottoti- ristici. Se queste composizioni, che di strumenti da banda che citano il tolo “Concord, Mass. 1840-60” (la appartengono ancora al primo de- ragtime Hello My Baby sovrappo- sua seconda sonata per pianoforte) cennio del Novecento, non fossero nendosi ai suoni precedenti senza Ives, all’apice delle sue capacità rimaste nel dimenticatoio per deci- chiedere il permesso, per poi scom- compositive, tentò di rappresentare ne di anni, Ives avrebbe potuto go- parire subito dopo. Una banda che un ritratto della personalità dei più dere di miglior fama quando ancora passa per il parco disturbandone la importanti trascendentalisti ameri- era un compositore in attività. Ma tranquillità; gli echi dei night club cani (nell’ordine, rispetto ai singoli è anche vero che questo suo agire di Manhattan, ma anche il richiamo Movimenti: Emerson, Hawthorne, nell’oscurità lo ha liberato da qual- di un passato che, attraverso il ri- gli Alcott e Thoreau) . Era così im- siasi compromesso, consegnandoci cordo del padre e di una gioventù portante per lui che il pubblico ca- la sua musica così come il suo au- passata tra ottoni e percussioni, si pisse questi riferimenti (“use your tore l’ha creata. ripresenta nelle passeggiate sera- ears like a man!”, diceva, esortan- Forse se avesse avuto più succes- li al parco. Nella successiva The do un ascolto consapevole e ricco so avrebbe continuato a comporre, Unanswered Question il simbolismo di immaginazione) che, nel 1915, invece di ritirarsi nel pieno della si fa spiritualista, filosofico. Su uno quando la rivisitò, le fece seguire sua carriera per il semplice motivo sfondo degli archi in stile di cora- un libro, Essays Before A Sonata, che non trovasse più stimolo nello le, una breve frase della tromba manifesto del trascendentalismo scrivere musica. Dal 1927, infatti, e compare con sempre maggiore in- “alla maniera di Ives”. Nella Con- per i seguenti 28 anni che lo sepa- sistenza. E’ l’eterna domanda del- cord Sonata gli elementi di con- ravano dalla morte, Charles Edward l’esistenza, che spesso gli uomini trasto diventano la caratteristica Ives smise totalmente di comporre scherniscono e che alla fine non principale, che si traduce in un uso per l’acutizzarsi di problemi di cuo- trova risposta. Una domanda simi- massiccio di contrappunto eterofo- re, ma soprattutto perché sentiva di le a quella del “destino che bussa nico (uso simultaneo di melodie non aver dato alla musica tutto quello alla porta” nel tema del primo mo- consonanti) e della tecnica dei clu- che poteva, lasciando incompiuto vimento della Quinta Sinfonia di ster (al fine di ottenere un’esecu- il titanico progetto di una Universe Beethoven, che non a caso viene zione fedele alla partitura, l’autore Symphony. Stava agli altri, da al- citato e trasfigurato in un simbolico suggeriva di utilizzare una barra di lora in avanti, capirlo. parallelo. legno della lunghezza di 37,5 cm in

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