Maria Agresta,Alfonso Gatto È Tornato Al Catalogo
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Il puritanesimo scandalizzato della Salerno bene Niente clamori e proteste per Fa’afafine in un massimo cittadino blindato Di OLGA CHIEFFI In un teatro Verdi blindato, con carabinieri a sorvegliarne l’entrata è andato in scena lo spettacolo Fa’ afafine “Mi chiamo Alex e sono un dinosauro” inserito nella stagione dedicata ai giovanissimi studenti delle scuole primarie, che tanto clamore ha suscitato in città. I pensieri belli sono come gli uccelli migratori… Si muovono tutti insieme, così non si perdono”. Questa è solo una delle immagini poetiche ed emozionanti evocate da Alex, il protagonista dello spettacolo “Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro. La pièce che non mancano di sorprendere e commuovere, sono incentrati sul dibattutissimo e spesso frainteso tema del “gender”. Alex, interpretato dal bravo attore Michele Degirolamo, è un bambino curioso, brillante e pieno di inventiva che condivide il suo mondo fantastico coi pupazzi suoi amici, ma non ha ancora deciso se e quando essere maschio o femmina. Il bambino molto speciale infatti sogna di trasferirsi a Samoa per poter vivere da Fa’afafine. La parola composta (fa’a-= alla maniera di; “fafine” =donna) definisce un vero e proprio terzo sesso, coloro che, sin da bambini, non amano identificarsi e a cui la società samoana non impone una scelta. I fa’afafine godono di massimo rispetto. Sono maschi alla nascita, ed esplicitamente incarnano entrambi i caratteri, variando nel comportamento dal femminile stravagante al prosaicamente maschile. La scelta dell’abbigliamento è uno dei momenti più difficili per Alex: maschera del supereroe o scarpe da donna? Vestito da principessa o felpa con cappuccio? La scena tutta (firmata da Caterina Guia) è la sua stanzetta, animata in modo vincente e fantasioso dal video mapping di Daniele Salaris – Videostille, in grado di trasformarsi, in un soffio, in acquario, astronave, cielo stellato, luogo dei sogni. I due genitori Susan e Bob – presenti virtualmente dal buco della serratura, proiettato sull’enorme parete – si trovano ad affrontare le difficoltà del figlio, che nel pieno della sua fase evolutiva si infatua – peraltro senza esser ricambiato – del compagno di scuola Elliot, al quale Alex vuole dichiarare il proprio affetto: il padre, scienziato (lo stesso Giuliano Scarpinato), e la madre (Gioia Salvatori), nervosetta professionista in carriera, restano a dir poco spiazzati dall’apprendere il “problema“ e scoprire quanto il figlio sia “speciale”. “Il mondo non può andare come vuoi tu” – balbetta il padre prima di svenire, inizialmente inconsapevole e preoccupato per la reputazione della famiglia. Il tempo si ferma improvvisamente e tutto sembra essere possibile. Un viaggio sotto forma di suoni, immagini e fantasia cambia lo stato delle cose. Quando Alex, soffrendo del fatto di essere continuamente deriso e vittima di bullismo da parte dei compagni, chiede afflitto e al di là della porta: “Era meglio se non nascevo?”, un illuminante pensiero d’amore viene espresso dai genitori, finalmente divenuti comprensivi: “Troverai qualcuno che ti amerà così come sei…”. Lo spettacolo si chiude simpaticamente con una divertente danzetta, e uno scambio di vestiti, prospettando una rassicurante verità: il primato dell’amore; l’immensa energia in grado di superare ogni limite e giudizio. Lo spettacolo ha suscitato diverse proteste in città, tanto che è stato presentato di pomeriggio, e non di mattina come tutti gli altri, lasciando scegliere i genitori se permettere ai propri figli di avvicinarsi a tematiche come il bullismo di stampo omofobo, o non lottare contro gli stereotipi alla base di muri di esclusione sociale attraverso la magia e la semplicità del teatro e di uno spettacolo pluripremiato e splendidamente allestito. Salerno, purtroppo, che intende essere una piccola Salisburgo e una pari Edimburgo non è nuova ad atti di tal puritanesimo scandalizzato. Non dimentichiamo l’improvviso voltafaccia al prestigioso regista argentino, Hugo de Ana, per il Don Giovanni del 2009, a causa di alcuni nudi in scena, con buffetteria sado-maso, ma non possiamo non meravigliarci di docenti e genitori, non è meglio che i ragazzi affrontino simili temi in teatro, sotto la guida della scuola che smanettando su internet o guardando certi cartoon (ricordiamo Ramna, ad esempio). Un’occasione importante, questa per quanti hanno comunque partecipato (e tra il pubblico abbiamo intravisto anche la maestra di danza Antonella Iannone e il direttore artistico Vincenzo Albano) per stimolare una discussione sulla differenza di genere in ambito educativo e formativo e per contribuire a sfatare luoghi comuni ed equivoci, innescati da una certa disinformazione. La Musica è Donna: Maria Agresta Dalle asperità del nostro Cilento il velluto della voce del soprano è giunto sul palcoscenico del Teatro alla Scala. L’abbiamo raggiunta a Londra ove è Violetta nel cartellone della Royal Opera House Di OLGA CHIEFFI “La musica è Donna” amava dire uno dei compositori che ha lasciato la sua firma sul secolo breve, Duke Ellington, e per onorare questo giorno e l’arte dei suoni abbiamo deciso di affidarci ad una delle voci più fascinose e intense della lirica internazionale, quella del soprano made in Salerno Maria Agresta, talento cilentano di Vallo della Lucania, formatasi al Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, nella classe di Marilena Laurenza, la quale ha spiegato le ali nel 2006 dopo la vittoria della LX edizione del Concorso per giovani cantanti lirici della Comunità Europea, indetto dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. o.c. “Che ricordi ha del suo apprendistato salernitano e del nostro Conservatorio?” m.a. “E’ stato uno splendido periodo. Ho vissuto dieci anni a Salerno e intrattengo affettuosi rapporti con la mia insegnante Marilena Laurenza e in particolare con i miei compagni di corso, che mi seguono il più delle volte molto da vicino, nelle mie performance” o.c. “L’amore per la musica e per l’arte è una tradizione di famiglia?” m.a. “No, nessuno nella mia famiglia è musicista, ma la mia è una terra che ha prodotto e continua a sfornare numerosi talenti musicali, che spesso rimangono anche nascosti. La mia famiglia non credeva alla mia scelta, ma non mi ha mai ostacolato, tenendomi, però, sempre con i piedi per terra. Poi, quando una persona competente ha annunciato ai miei genitori che avevo i numeri per poter guardare al futuro, d’incanto ogni ombra si è dileguata”. o.c. “Come è iniziata la sua carriera e cosa significa oggi calcare le tavole dei massimi teatri del mondo?” m.a “Mi sono diplomata nel 2002 al conservatorio di Salerno ma come mezzosoprano e in questo registro ho vinto diversi concorsi, cantando sino al 2005 anche nel coro del teatro Verdi di Salerno. La svolta è avvenuta nel 2006 con la vittoria Concorso per giovani cantanti lirici della Comunità Europea, indetto dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, che mi ha portato a debuttare nel ruolo di Rosina ne’ Il Barbiere di Siviglia, quindi sempre come mezzosoprano, a Spoleto con seguente tournèe in Giappone. Sono stata ammessa alla scuola della grande Raina Kabaivanska con la quale a Modena mi sono perfezionata e ho conseguito il diploma specialistico di secondo livello. E’ sotto la supervisione della Kabaivanska e di Renato Bruson che sono divenuta un soprano lirico, allargando, così, notevolmente il mio repertorio. Quindi ho potuto affrontare sempre a Spoleto il ruolo di Mimì in Bohème e Leonora in Trovatore e ancora Desdemona in Otello, Odabella in Attila. Oggi sono Violetta alla Royal Opera House di Londra, diretta da Nicola Luisotti, poi sarò Mimì al Metropolitan in aprile, e ancora Traviata a Parigi, ma porto sempre Salerno nel cuore e sono felice quando riesco a ritornare nel mio Verdi. o.c. “Le sue muse ispiratrici?” m.a “Bhè, sono tante. Ascolto molto e da tutte cerco di rubare il meglio, una scintilla. Devo dire, però, che non posso non guardare alla Callas e in particolare a Raina Kabaivanska. Confesso che il primo disco di musica lirica che ho acquistato fu la sua eccezionale Tosca e immagini l’emozione di ritrovarla prima maestra e ora una seconda madre”. o.c. “Come vive il rapporto con il pubblico?” m.a. Senza il pubblico non c'è spettacolo. L'affetto e la stima della gente sono molto importanti per me, e non faccio retorica. o.c. “Come vede questo momento di crisi che attraversa il settore della musica lirica?” m.a. “Come una profonda ingiustizia. Non si può trattare così un'arte che ci ha resi grandi agli occhi del mondo e che tutti ci invidiano. Io sono sicura che la musica può davvero renderci migliori”. o.c. “Cosa ne pensa dei giovani artisti e delle difficoltà che devono superare per arrivare al successo?” m.a. “ E’ in primo luogo facilissimo intraprendere una strada sbagliata, finire in mani cui non interessa la vera musica, ma ben altro. La strada è impervia e la si può percorrere solo attraverso sacrificio e studio. Viviamo per di più tempi duri per la cultura tutta: in tutti i teatri ormai si lesina sulle prove, i conti delle fondazioni sono in rosso, ma il futuro è nelle mani dei giovani, nelle nostre mani e non dobbiamo, non possiamo mollare.” Alfonso Gatto è tornato al Catalogo Grande partecipazione di pubblico all’inaugurazione della mostra allestita da lelio Schiavone in collaborazione con la Fondazione dedicata al poeta Di Aristide Fiore «Mi piace alla fine, dirmi e dirvi che vivo ancora, che ogni segno, ogni parola detta, scritta o dipinta, affidata all'amore altrui, mi dà vita». Difficile trovare una sintesi migliore delle stesse parole del poeta, nel dar conto dell'omaggio che gli è stato reso attraverso la mostra fotografica Alfonso Gatto e il Catalogo 1968-1976, allestita con la collaborazione della Fondazione Gatto dal 6 al 13 marzo presso la galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, nel quarantennale della morte: quarantacinque foto di Michele Adinolfi, Benito Siano e Antonio Tateo, scattate a Salerno tra il 1963 e l'anno della scomparsa, il 1976.