Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali

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Unioncamere Molise

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2-3

Economie

NOVEMBRE 2010 – MAGGIO 2011

Andreassi / Barba / Bellomo / Bindi / Chimisso / Cocozza / Corona / Crisci / di Laura Frattura / Fanelli / Iarossi / Lombardi / Marracino / Martelli / Massullo / Nardelli / Palmieri / Parisi / Pasquale / Pasquetti / Pazzagli / Petrocelli /Presenza / Ruggieri / Zilli

In copertina: Cristiano Carotti, Whales in the sky, acriclico, 150x120, 2007

© 2011 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009

/ 2-3 / 2011

Indice

11 Economie

IN ITALIA

21 Economia e conoscenza. Scuola e agricoltura nel Mezzogiorno a cavallo dell’Unità di Rossano Pazzagli

37 Fabbriche e territorio: il ruolo dell’industria edilizia nel Mezzogiorno di Roberto Parisi

1. Produzione edilizia e paesaggi dell’industria 2. Prodromi edilizi della “questione meridionale” 3. Acque e cemento. Percorsi edilizi verso la modernizzazione assistita 4. L’edilizia “organizzata” per la costruzione totale del paesaggio e delle comunità

59 Gli urbanisti, l’ambiente e la città. Tecnica e politica in Italia negli ultimi quarant’anni del Novecento di Gabriella Corona

1. La pianificazione contro le implicazioni distruttive del mercato 2. Il recupero dei centri storici 3. Urbanistica e austerità 4. La città come ecosistema

IN MOLISE

73 Questioni agricole di Gino Massullo

1. Dalla ripresa settecentesca alla crisi agraria 2. Novecento 3. Oggi e domani: la questione agricola come questione glocale

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91 L’industria alimentare di Rosa Maria Fanelli

1. Il sistema agroalimentare molisano 2. Il tessuto produttivo del settore agricolo 3. Struttura, importanza e dinamiche dell’industria alimentare 4. La dimensione territoriale quale leva strategica di sviluppo dell’industria alimentare 5. Una lettura di sintesi delle principali filiere a tipicità regionale

109 Alla ricerca di una vocazione industriale di Ilaria Zilli

1. Premessa 2. Fra vincoli ambientali e vincoli culturali: pecore, grano ed emigranti 3. L’’industrializzazione assistita: i vantaggi del ritardatario?

125 La modernizzazione del Molise nel secondo dopoguerra attraverso i documenti della Svimez di Ilenia Pasquetti

1. La realtà socio-economica del Molise negli anni cinquanta 2. L’industrializzazione guidata 3. Alcuni considerazioni in merito al piano di sviluppo

143 I primi passi del turismo molisano: l’epoca fascista di Marinangela Bellomo

1. Primi intenti 2. Nuovi progetti di sviluppo turistico negli anni trenta 3. La propaganda nella promozione territoriale 4. Qualche riflessione finale

167 Il turismo. Volano per lo sviluppo locale di Angelo Presenza

1. Competitività: tutto parte da qui 2. Destination building: impianto teorico di riferimento 3. Le condizioni di competitività per la destinazione turistica 4. Pisu di : un esperimento di sviluppo turistico su base co-evolutiva 5. Conclusioni

6 Indice

185 Rompere l’isolamento: la rete dei trasporti fra Otto e Novecento di Maria Iarossi

1. Una visione d’insieme 2. Tra pubblico e privato: la strada comunale obbligatoria di Castelverrino

203 Vendere patrimoni, consumare luoghi di Letizia Bindi

213 Il Molise: condizione economico-sociale e prospettive di sviluppo territoriale di Paolo di Laura Frattura

1. Lo scenario economico 2. Il mercato del lavoro 3. Istruzione e formazione 4. Formazione, ricerca e sviluppo e innovazione 5. Il sistema imprenditoriale 6. Sistema delle infrastrutture 7. Scenari di sviluppo 8. Conclusioni

IERI, OGGI E DOMANI

233 Il Molise e “la cura” della crisi Tavola rotonda con Giovanni Cannata, Gianfranco De Gregorio, Franco Di Nucci, Norberto Lombardi, Erminia Mignelli, Gianfranco Vitagliano, Ilaria Zilli a cura di Antonio Ruggieri

OSSERVATORIO DEMOGRAFICO

269 La popolazione molisana in età lavorativa: quale futuro? di Massimiliano Crisci

1. Tendenze recenti dell’occupazione molisana: alcuni cenni 2. La popolazione in età lavorativa: invecchiamento dei lavoratori autoctoni e inserimento dei migranti stranieri 3. Le migrazioni temporanee dei giovani molisani 4. L’evoluzione futura delle forze di lavoro: invecchiamento e flessione

7 / 2-3 / 2011

STUDI E RICERCHE

279 Critica dell’ “Isola felice”. Il percorso carsico di «Proposte» nella modernizzazione molisana di Norberto Lombardi

1. Un osservatorio sulla transizione 2. Lettera dalla provincia 3. Ultima generazione 4. «Proposte Molisane» e la crisi della società regionale 5. Vita di contadini 6. «Molise», il confronto sul cambiamento regionale 7. Le nuove «Proposte Molisane» 8. Una diversa modernizzazione

315 Il Molise dopo la crisi del modello di sviluppo degli anni settanta di Edilio Petrocelli

1. Alcuni settori da rivisitare e riprogrammare 2. L’identità regionale come autoritratto 3. Le indagini e le proposte degli anni sessanta 4. Le scelte programmatiche dopo l’istituzione dell’Ente Regione 5. Gli anni del cambiamento e della congiuntura economica 6. Le infrastrutture europee e i nuovi assetti interregionali 7. Il “complesso” della popolazione e la rottura dei confini territoriali

329 Venticinque anni di narrativa di Sebastiano Martelli

351 Commercianti di bestiame e agricoltori: note sugli zingari in Molise tra Sette e Ottocento di Valeria Cocozza

INTERVISTE

367 Il caso de La Molisana: conversazione con l’ing. Carlone di Maddalena Chimisso

373 Quale turismo? Il caso della Piana dei mulini di Camillo Marracino

387 Percorsi di internazionalizzazione: il caso Oleifici Colavita s.p.a. di Andrea Quintiliani

8 Indice

DIDATTICA

395 L’Atlante delle Storie. Intervista ad Antonio Brusa sul suo nuovo manuale di storia per la scuola secondaria di II grado di Selene Barba

399 Le mani in pasta: mulini e pastifici nella storia del Molise di Rossella Andreassi e Gianna Pasquale

1. Premessa 2. Scheda descrittiva 3. Finalità, obiettivi e scelte di contenuto 4. Strumenti e materiali utilizzati 5. Attività proposte: fase di apprendimento 6. Laboratori

STORIOGRAFICA

411 Percorsi di storia del libro: l’Abruzzo nell’Ottocento. A proposito di un recente lavoro di Luigi Ponziani di Giorgio Palmieri

1. Fra luci e ombre: il panorama nazionale 2. L’Abruzzo tipografico 3. Le ricerche sull’Ottocento di Luigi Ponziani

MOLISANA

427 La Società operaia di Antonello Nardelli legge Michele Mancini

431 Abstracts

441 Gli autori di questo numero

9

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Commercianti di bestiame e agricoltori: note sugli zingari in Molise tra Sette e Ottocento

di Valeria Cocozza

Nell’estate del 1785, il ventuno giugno, lo zingaro Rocco Spinelli era a Sant’Elia a Pianisi per il mercato settimanale e vendeva uno «stallone morel- lo» a tal Ferdinando Testa, nativo del luogo1. Qualche settimana dopo, il no- ve e il dieci agosto, tornò ancora a Sant’Elia in occasione della grande fiera di Centocelle, che, da quel momento, divenne un appuntamento fisso dei suoi viaggi tra le fiere e i mercati del Regno. Iniziò, così, per Rocco una lun- ga serie di soste a Sant’Elia, in un primo momento solo d’estate e per brevi periodi, di uno o due giorni appena, poi, dal 1787, anche in autunno, con una presenza sempre più assidua nel corso nell’anno e sempre più dilatata per ciò che atteneva la sua durata. Siamo partiti dalla storia di Rocco Spinelli per metterci «sulle tracce degli zingari»2, attivi mercanti di bestiame nelle fiere del Molise tra Sette e Ottocento3. Posta sul braccio tratturale che la metteva in diretto collegamento con Campo- basso, Sant’Elia, che all’epoca contava 3.250 anime4, era, da sempre, luogo di interesse del commercio interno della provincia di Contado di Molise e polo di attrazione di pastori e mercanti. Al pari delle altre fiere secondarie dell’Abruzzo, che si svolgevano nelle piazze di Albe, Castel di Sangro, Celano, Piscina e Ta- gliacozzo, anche gli appuntamenti fieristici di Sant’Elia erano riservati esclusi- vamente al commercio di bestiame, prevalentemente equino e da soma5.

1 Archivio di Stato di Campobasso (d’ora in avanti ASCB) Corti locali, Sant’Elia a Pianisi, b. 6, fasc. 21, fol. 67v. 2 Parafraso il titolo del volume di Elisa Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari. Il popolo rom nel Regno di Napoli (secoli XV-XVIII), Guida, Napoli 2007. 3 Per i mestieri degli zingari si rinvia a E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari, cit., pp. 107-118; Id., Mobilità e lavoro: zingari ferrari a Napoli e nel Regno (secc. XVII-XVIII), in Felice Gambin (a cura di), Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Me- diterraneo occidentale, II, (secc. XVII-XIX), Seid, Firenze 2010, pp. 211-224. 4 Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Vincenzo Manfredi, Napoli 1797-1816 (rist. anast. Forni, Sala Bolognese 1985-1987), tom. VIII, p. 312. 5 Cfr. Alberto Grohmann, Le fiere del Regno di Napoli in età aragonese, Istituto italiano per gli Studi Storici, Napoli 1969, pp. 101 e seguenti. Per le attività mercantili sulle vie della tran-

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Gli zingari, come pure i mercanti delle comunità limitrofe, erano sempre presenti alle fiere di Sant’Elia, contrariamente agli operatori del posto che partecipavano quasi esclusivamente ai mercati settimanali. Abitualmente le fiere si svolgevano fuori dagli abitati con cadenza annuale e richiamavano sia gente del luogo che forestieri. Nella maggior parte dei casi, presentavano un assortimento merceologico specializzato, che rispondeva ai bisogni meno urgenti delle comunità. I mercati, dall’altro lato, si tenevano all’interno dei borghi e agivano su spazi brevi e in tempi ravvicinati, svolgendo piuttosto un ruolo di approvvi- gionamento, per smaltire le produzioni in eccesso e soddisfare i bisogni quo- tidiani e impellenti6. Secondo il calendario delle migrazioni pastorali, la fiera di maggio inaugu- rava la stagione fieristica di Sant’Elia, seguita ad agosto dall’altro atteso ap- puntamento della «taverna di Centocelle», che prendeva nome dal punto terminale del braccio tratturale e, poi, dalla fiera di ottobre, svolta in conco- mitanza con il ritorno dei pastori in pianura per la stagione invernale. Gli appuntamenti fieristici di Sant’Elia si celebravano con una certa siste- maticità e floridezza, rispetto a quanto è attestato tanto per il resto della pro- vincia quanto per altre realtà del Mezzogiorno moderno, caratterizzate da fit- ti calendari di fiere e mercati, promossi per vitalizzare l’economia delle co- munità, ma che, nella realtà dei fatti, non sempre venivano celebrati, a causa della mancanza di denaro e dello scarso concorso di forestieri7. Dalle indagi- sumanza si rinvia a Alessandra Bulgarelli Lukacs, Commercio e distribuzione (1861-1914), in Massimo Costantini e Costantino Felice (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad Oggi, Einaudi, Torino 2000, XII, L’Abruzzo, pp. 496 e ss.; Id., Mercati e mercanti in Abruzzo (secoli XV-XVIII), in Massimo Costantini e Costantino Felice (a cura di), Abruzzo. Economia e territorio in una prospettiva storica, Cannarsa, Vasto 1998, pp. 226-236; Diomede Ivone, Attività economiche vita civile e riti religiosi sui percorsi della transumanza in età moderna, Giappichelli, Torino 1998. 6 Per i circuiti commerciali del Mezzogiorno in età moderna si veda Biagio Salvemini e Ma- ria Antonietta Visceglia, Fiere e mercati. Circuiti commerciali nel Mezzogiorno, in Piero Be- vilacqua (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, Marsilio, Venezia 1991, III, Mercati e istituzioni, pp. 65-122. 7 È nota la presenza di una fiera estiva a Sant’Elia sin dall’età aragonese, che si teneva dal 10 al 14 giugno, in occasione della festività religiosa dei santi Barnaba e Onofrio, per questo cfr. A. Gro- hmann, Le fiere del Regno di Napoli in età aragonese, cit., p. 65; Francesco Longano, Raccolta di saggi economici per gli abitanti delle due Sicilie, Libreria editrice Marinelli, Isernia 1988, pp. 60- 63. Nel resto del Regno molte fiere, assai antiche, di fatto, furono celebrate solo dalla seconda metà dell’Ottocento, nel pieno della “rivoluzione commerciale” che interessò tutta l’Italia meridionale. Si vedano, a titolo di esempio, Francesco Volpe, Mercati e fiere in Principato Citra nella prima metà dell’Ottocento, in Angelo Massafra (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario. Economia, società e istituzioni, Dedalo, Bari 1988, pp. 319-335; Mariantonietta Iarossi, I luoghi dello scambio: fiere e mercati nel Molise preunitario, in «Almanacco del Molise», 2000/01, pp. 55-84; A. Bulgarelli Lu- kacs, Commercio e distribuzione (1861-1914), cit., pp. 539 e sgg. Sul permanere della vocazione fieristica di Sant’Elia si rinvia alla mappatura diacronica elaborata in B. Salvemini e M. A. Visce- glia, Fiere e mercati. Circuiti commerciali nel Mezzogiorno, cit., pp. 95-103.

352 Cocozza, Commercianti di bestiame e agricoltori: note sugli zingari in Molise tra Sette e Ottocento

ni statistiche, prodotte solo a partire dagli anni quaranta dell’Ottocento, è possibile mettere a confronto la vitalità commerciale di Sant’Elia con i due centri maggiori della provincia, Campobasso e Isernia. Nelle fiere del 1849 e del 1850 a Sant’Elia si scambiarono merci per valori rispettivamente di 20.000 e 22.000 ducati, somme di poco inferiori a quelle registrate a Cam- pobasso e superiori a quelle di Isernia, dove, in occasione della fiera dei santi Cosmo e Damiano del 1849, si vendettero 800 capi di bestiame per 15.000 ducati8. Nel resto del Contado di Molise le altre riunioni fieristiche presenta- vano uno scarso assortimento merceologico e movimenti di denaro talmente modesti da sfuggire al controllo degli organi preposti al controllo. I libri delle obligationes penes acta hanno costituito un punto di osserva- zione privilegiato, per seguire le attività degli zingari alle fiere di Sant’Elia con le numerose dichiarazioni rilasciate, dinanzi la Regia Corte, per certifi- care le vendite concluse e sottoscrivere l’obbligazione, necessaria a definire le modalità di riscossione del pagamento in un tempo dilatato. Oltre a Rocco Spinelli, alle fiere di Sant’Elia partecipavano abitualmente anche altri mercanti di «nazione zingara» – come venivano registrati nei do- cumenti dell’epoca – tra cui Feliciano Malaspina (attestato 9 volte tra il 1785 e il 1808), Pasquale Del Duca (7), Liberato Del Duca (5), Vincenzo Di Rosa (4), Cristofaro Di Rosa (3), Paolino Schiavone (3), Pietrangelo Spinelli (4), Nicola Del Duca (2), Giovanni Di Rosa (2), Antonio Sarachella (2), Antonio Schiavone (2), Antonio Spinelli (2), Gennaro Barbetta (1 volta), Carmine Di Saverio (1) e Vitantonio Spinelli (1)9. Tra tutti era proprio Rocco Spinelli ad avere il giro di affari più importante, monopolizzando di fatto l’intera piazza. Il primo anno in cui Rocco parteci- pò alle fiere di Sant’Elia, nel 1785, i suoi affari coprirono il 15% di tutti gli scambi commerciali complessivamente registrati su quella piazza. Successi- vamente, di anno in anno, il volume dei suoi affari si incrementò di continuo, con il picco massimo nel 1803, quando ricavò 300 ducati per la vendita di ventuno capi di bestiame. È da rilevare un sola battuta d’arresto nel 1805, quando, a causa del terremoto del ventisei luglio, le attività mercantili di Sant’Elia furono sospese e Rocco riuscì a vendere solamente due somari. Neanche tra gli altri mercanti del posto e dei paesi limitrofi, che commer- ciavano bestiame a Sant’Elia, si raggiunse un giro di affari pari a quello di Rocco Spinelli, prima di tutto per la quantità dei capi venduti. Tra il 1785 e il 1808, da solo, Rocco vendette ben 169 capi di bestiame, per un valore com- plessivo di oltre 2.300 ducati. Nello stesso arco temporale, gli altri operatori,

8 Nel 1810 alla fiera di Croce di Gioi in Principato citra si vendette bestiame per 4.825 du- cati, pari a un terzo del volume complessivo di affari registrati sulla piazza, cfr. F. Volpe, Mercati e fiere in Principato Citra nella prima metà dell’Ottocento, cit., p. 325. 9 È quanto abbiamo ricostruito a partire dalla documentazione contenuta in ASCB, Corti lo- cali, Sant’Elia a Pianisi, bb. 6-7.

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presenti alle fiere e ai mercati di Sant’Elia, vendettero 179 capi, per una somma complessivamente di 3.600 ducati. Altri zingari, negli stessi anni, riuscirono a vendere quarantanove capi di bestiame, con un ricavo di 510 ducati. A conti fatti, il volume di affari di Rocco rappresentò il 43% di quel- lo complessivamente ricostruito per Sant’Elia. L’incremento degli affari di Rocco era dovuto anche al graduale aumento dei prezzi nelle vendite da lui concluse. Dai dati da noi ricostruiti sembra evidente che i valori di scambio attestati tra gli zingari e gli altri operatori fossero assai diversi tra loro. Tra il 1784 e il 1787 sulla piazza di Sant’Elia, per esempio, era attivo Donato Di Cicco, impegnato tanto nel commercio di bestiame, quanto in attività di prestiti di denaro e grano. In quattro anni Donato riuscì a vendere quindici capi di bestiame per la somma di 339 ducati. In soli due anni, un altro operatore della vicina Casacalenda, Maurizio di Gennaro, tra il 1786 e il 1787 vendette a Sant’Elia otto muli, ricavando circa 340 ducati. In tre anni, dal 1785 al 1787, lo zingaro Rocco Spinelli, con una presenza saltuaria, concluse trentaquattro affari, tra vendite di somari e cavalli, per un totale di 319 ducati. Negli stessi anni tra gli zingari i valori di vendita si aggiravano mediamen- te intorno ai dieci ducati per un somaro e circa tredici ducati per un cavallo, cifre molto più basse di quelle degli altri operatori di Sant’Elia, documentate anche per altre fiere del Regno10. Queste stesse cifre furono raggiunte da Rocco a partire dal 1802, quando si stabilì con la sua famiglia a Sant’Elia, dando inizio alla sua progressiva integrazione nel sistema socio-economico del territorio. Da quel momento, Rocco ampliò ulteriormente i suoi affari, sommando al commercio di bestiame anche attività di prestiti e compraven- dita di beni, finendo con l’accumulare una cospicua proprietà immobiliare e terriera11. Raggiunta una certa notorietà tra la gente del paese, Rocco era e- videntemente proiettato sul commercio di bestiame di più alta qualità. Riu- scì, infatti, ad aumentare i valori di scambio del bestiame, arrivando a vende- re un mulo addirittura a cinquanta ducati, come accadde nel 180412. A Sant’Elia, la sua presenza a singhiozzo divenne regolare dal 1802, quan- do il suo nome comparve per la prima volta, come capo fuoco, negli stati delle anime della chiesa madre. Qualche anno dopo, nel 1806, figurò anche tra i cedolari che si aggiudicarono, per estinto di candela, la riscossione delle regie collette dell’Università di Sant’Elia13.

10 Per i prezzi degli stessi capi di bestiame sui mercati del Regno cfr. F. Volpe, Mercati e fiere in Principato Citra nella prima metà dell’Ottocento, cit.; D. Ivone, Attività economiche vita civile e riti religiosi sui percorsi della transumanza in età moderna, cit., p. 146. 11 È quanto abbiamo ricavato dalle informazioni contenute in ASCB, Repertorio dei notai, Sant’Elia a Pianisi, D’Addario Romualdo (1810-1837), b. 6; ivi, Laudo Francesco (1809- 1829), b. 15. 12 ASCB, Corti locali, Sant’Elia a Pianisi, b. 7, fasc. 23, fol. 102r. 13 Ivi, foll. 223r-224r.

354 Cocozza, Commercianti di bestiame e agricoltori: note sugli zingari in Molise tra Sette e Ottocento

Originario di , dove era nato nel 1764, Rocco era figlio degli zingari Nicola Spinelli e Anna Patanella e aveva sposato la zingara Catella, ori- ginaria di San Leucio e figlia di Nicola Del Duca e Maria Petrillo. Nella loro ca- sa a Sant’Elia vivevano anche le sorelle di Catella, Luigia e Rubina e i loro dieci figli: Carolina, Teodoro, Giuseppe, Ferdinando, Elisabetta, Raffaele Marco, An- gelo Maria, Angelo Antonio, Vincenzo e Francesco Saverio Prospero14. Raggiunta la maggiore età, la primogenita, Carolina, sposò il barbiere di Sant’Elia, Vitantonio Benestà, originario di Castel Saraceno in Basilicata, e, per i primi anni di matrimonio, rimase con il marito nella casa paterna, per poi tra- sferirsi nella strada della Fontana Nuova. Secondo il consolidato modello fami- liare dell’Italia meridionale, i figli maschi di Rocco e Catella andarono a vivere nella casa paterna o nelle sue vicinanze, dando inizio al lento processo di aggre- gazione dei nuclei familiari per la formazione di un tipico quartiere di lignag- gio15. Difatti, Teodoro e Ferdinando, vivevano con le rispettive famiglie nella casa di Rocco, situata nella strada Maggiore de’ Pozzi. In particolare, proprio in occasione del matrimonio di Teodoro, nell’agosto del 1814, Rocco comprò un casa, di tutto rispetto, attigua alla propria, da destinare agli sposi16. Qui continua- rono ad abitare anche quando, rimasto vedovo di Catella, Rocco sposò in secon- de nozze Rosa Felicia De Renzis, una donna del posto non di origini zingare, da cui non ebbe altri figli. Il secondogenito di Rocco e Catella, Giuseppe, invece, andò ad abitare non molto distante dalla casa paterna, nel Largo de’ Pozzi17. Teodoro e Giuseppe, sposarono, a distanza di un anno l’uno dall’altro, due «campiere» di Sant’Elia, Rosa Di Cicco e Maria Teresa Mastrovito18. Per il suo primogenito Rocco riuscì a concludere un matrimonio di un certo prestigio. Questi, infatti, sposò una ragazza del posto, per altro parecchio benestante. Ro- sa, moglie di Teodoro, aveva avuto in dote dai genitori, Feliciano Di Cicco e Veneranda Di Geronimo, una somma in denaro contante e un ricco corredo. La dote di Rosa, come dalla descrizione contenuta nei capitoli matrimoniali, si componeva di tutto l’occorrente per il letto nunziale, vale a dire «un saccone» e un materasso «di tela lavorata», oltre al necessario per riempirlo, quindi lana e «visca». Vi era anche la biancheria da letto per ogni stagione e per ogni occa- sione, con pezzi di buona qualità ricamati a mano, tra cui due coppie di cuscini, otto sopraletti di cui quattro «d’accia d’accia» e quattro di tela d’Olanda lavora- to «con pizzillo e zigarella», sei lenzuola, un «guardamaterazzo» (coprimate-

14 Archivio Storico Parrocchiale di Sant’Elia a Pianisi (d’ora in avanti ASPSEP), Stati delle anime, 1806, n. 552, 1808, n. 593. 15 Per il sistema dei quartieri di lignaggio si rinvia agli studi di Gérarde Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, XV-XIX secolo, Einaudi, Torino 1988, pp. 87 e ss. 16 ASCB, Atti Notarili, Sant’Elia a Pianisi, Laudo Francesco, 1814, ff. 83r-86v. 17 ASPSEP, Stati delle anime, 1831, strada della Fontana Nuova n. 32, strada Maggiore de’ Pozzi nn. 4 e 5, Largo de’ Pozzi n. 32; Ivi, 1834, nn. 128, 738, 747 e 748. 18 ASCB, Stato civile, Sant’Elia a Pianisi, Atti di matrimonio, 1814, n. 15 e 1815, n. 9.

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rasso) con pizzi, due «tornialetti», uno di «tela sottile comprata» e l’altro di or- letto con pizzi, tre coperte, di cui una imbottita di seta, una di «bombace» e una «di panno valcato» di colore turchino ornata «con zigarella». Tra la biancheria della sposa vi erano anche sei camicie, quattro «con maniche e scolle d’orletta» e due per tutti i giorni, sei gonne, quattro di lanetta per l’inverno, una di cordino e una di «ormesino sottile», sei corpetti, uno di raso «con zagano d’oro», uno d’ormesino e quattro di panno sopraffino tutti decorati con «zagano d’argento», quattro mantelle, una di cotone e tre di lana, sei paia di calze, di lino e di lana, tre «moccatoi» (coprispalle) per le spalle e sei per la testa, di cui uno ricamato, uno di lino, due d’orletta con pizzi e due di panno e ancora, un «mappuccio» (copricapo) di lana decorato e tre paia di scarpe nuove. La dote si componeva anche di biancheria per la casa, che consisteva in sei tovaglie, alcune ricamate e alcune per l’uso quotidiano. Infine, alla sposa venivano assegnati alcuni monili d’oro, d’argento, di rame e di ferro, oltre a due «bacelli» (vasi per derrate ali- mentari), per un valore complessivo di 184 lire. Una dote evidentemente ricca dal punto di vista non solo quantitativo, ma anche qualitativo, che per numerosi aspetti si discostava dagli usi in voga al tempo. L’elemento più originale riguarda la presenza di una dote, altrettanto prestigiosa, messa a disposizione dalla famiglia dello sposo. Rocco, proprio per l’importanza che questo sodalizio costituiva per la propria stirpe, donò alla sposa la somma di ottantotto lire, oltre all’abito nunziale e a numerosi e diversi monili, del valore di 388 lire. In particolare, Rocco e Teodoro, dona- rono a Rosa cinque anelli d’oro, comprensivi di quelli nunziali, un crocifisso d’argento, due rosari d’oro e coralli, due «fila di coralli», due paia di orec- chini d’oro e un paio di fibbie d’argento19. L’importanza che Rocco diede all’unione matrimoniale del primo figlio si palesa anche dal confronto con la dote di Maria Teresa, sposa del secondo- genito della famiglia Spinelli. Quest’ultima, infatti, era di tono decisamente inferiore, sia per la diversa disponibilità dei doni accordata da Rocco, che per le diverse condizioni economiche della famiglia della sposa. In particola- re, la famiglia della sposa portò in dote 100 ducati in denaro e altrettanti 100 ducati in «pannamenti». Dall’altro lato, Rocco donò agli sposi venti ducati, oltre agli abiti e a quant’altro fosse necessario per i festeggiamenti nel giorno delle nozze20.

19 Per i capitoli matrimoniali di Rosa Di Cicco si veda ASCB, Atti Notarili, Sant’Elia a Pia- nisi, Laudo Francesco, 1814, foll. 38r-42v. 20 Ivi, 1815, foll. 103r-106r. Quanto alla differente composizione della dote si tenga conto che, nel corso dell’Ottocento, il sistema dotale subì delle trasformazioni rispetto al tipico mo- dello di età moderna, che oltre a mutare nella sua composizione, con sistemi di monetarizza- zione, tese lentamente a scomparire, cfr. Gérarde Delille, Strategie di alleanza e demografia del matrimonio, in Michele De Giorgi e Christiane Klapisch-Zuber (a cura di), Storia del ma- trimonio, Laterza, Roma 1996, pp. 283-303; Ida Fazio, Valori economici e valori simbolici: il

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In quegli stessi anni, poco distante da Sant’Elia, a ruo- tava la storia, a metà tra nomadismo e stanzialità, di un altro zingaro Pasqua- le Del Duca. Nato a nel 1759, Pasquale era figlio di Liberato, uno zingaro attivo nelle fiere di Centocelle tra il 1785 e il 1790, ma sempre e solo «di passaggio». Sulle stesse orme del padre, anche Pasquale si spostava con sua moglie, la zingara Concetta Di Rosa, tra le fiere e i mercati del terri- torio. Fu più volte presente a Sant’Elia, tra il 1799 e il 1804, per la fiera di agosto, con soste sempre molto brevi, di uno al massimo due giorni. Di tanto in tanto, partecipò anche ai mercati di e Riccia21. Attraverso alcune del- le sue vicende genealogiche abbiamo ricostruito le tappe dei suoi spostamen- ti al ritmo dei calendari mercantili. Era alla fiera di Sant’Elia nel luglio del 1799, quando nasceva il primogenito Liberato22. Alcuni anni dopo a Riccia, durante la fiera di settembre dedicata a San Matteo, nascevano nel 1809 Te- odoro Gennaro e nel 1815 Luigia23. Diversamente dai genitori, dediti a una vita semi-nomade, Liberato stabilì la sua residenza a Macchia Valfortore, in- tegrandosi completamente nella comunità, al punto che nella documentazio- ne non risulta più identificato come zingaro, ma come contadino. Sempre a Macchia, nel gennaio del 1818, sposò la contadina Maria Muccigrosso, figlia di Giuseppe e Domenica Molinaro24. Come di rito, un mese prima delle nozze gli sposi fecero la promessa di ma- trimonio e disposero i capitoli matrimoniali. La sposa ricevette dai genitori una dote in denaro contante di sessanta ducati e un corredo modesto. Esso si com- poneva, per il letto nunziale, di un sacco, di un materasso e della «lana lunga» necessaria a riempirlo, otto cuscini, cinque lenzuola, di cui alcuni lavorati e alcuni comprati per l’occasione, due giraletti, uno di tela d’Olanda e uno di te- la ricamata, una coperta «a quattro lane e una valcata». Tra il vestiario della novella sposa vi erano anche cinque camicie di tela e cinque per tutti i giorni, cinque «fazzoletti da testa» e cinque «pel collo», quattro gonne «di pannetto» e una «di panno valcato», tre «corpetti di panno sopraffino, uno di sanche e uno di vellutino», quattro paia di calze di lana e tre di lino, due paia di scarpe nuove e due usate. Quanto alla biancheria per la casa, vi erano due tovaglie «di orletta» e una giornaliera, un mensale e cinque salviette. Pochi erano anche i monili, di scarso valore e perlopiù di metalli poco pregiati25. declino della dote nell’Italia dell’Ottocento, «Quaderni storici», 1992, 79, pp. 291-316. Per il confronto con il sistema dotale in uso presso altre famiglie zingare del Molise in età moderna si veda E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari, cit., pp. 85 e ss. 21 ASCB, Corti baronali, Sant’Elia a Pianisi, b. 6, fascc. 21 e 23; ivi, Jelsi, b. 2. 22 Estratto dell’atto di nascita di Liberato Del Duca contenuto nel suo processetto matrimo- niale in ASCB, Stato civile, Macchia Valfortore, Atti di matrimonio, 1818, n. 25. 23 Ivi, Riccia, Atti di nascita, 1809, n. 214 e 1815, n. 156. 24 Ivi, Macchia Valfortore, Atti di matrimonio, 1818, n. 25. 25 ASCB, Atti notarili, Macchia Valfortore, Lombardi Domenico, 1818, foll. 56r-59v.

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La presenza di nuclei di zingari è attestata anche in altre località del Moli- se. Si tratta di piccoli gruppi anch’essi mobili o seminomadi nel territorio. In particolare, i dati acquisiti dai registri delle nascite dell’anagrafe civile di venticinque comunità della sola provincia di Campobasso, per il periodo dal 1809 al 1865, ci hanno permesso di individuare le nascite di quarantacinque individui, dislocate in quindici diverse comunità a intervalli temporali di- scontinui26. Si tratta, in particolare, delle comunità di , Boiano, Casacalenda, Campobasso, , , Castropi- gnano, Cercemaggiore, , , , Fer- razzano, , Riccia, e (Figura 1).

Figura 1 – Comunità della provincia di Campobasso in cui è attestata la presenza di zingari tra Sette e Ottocento.

26 I dati delle nascite sono così distribuiti: dieci a Casacalenda negli anni 1825, 1835, 1836, 1847, 1850, 1851, 1853, 1854, 1857; sette a Campobasso negli anni 1834, 1839, 1861, 1865; sette a Riccia negli anni 1809, 1815, 1818, 1819, 1826, 1841, 1857; cinque ad Acquaviva Collecroce negli anni 1811, 1825, 1832, 1841, 1857; tre a Boiano nel 1826 e 1827; tre a Ca- stelmauro nel 1819, 1826, 1837; uno a Casalciprano nel 1830; uno a nel 1843; uno a Cercemaggiore nel 1864; uno a Cercepiccola nel 1839; uno a Civitacampomarano nel 1839; uno a Colletorto nel 1861; uno a nel 1834; due a Larino nel 1822 e 1842; uno a Vinchiaturo nel 1862.

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Partendo da questi dati è stato possibile ricostruire la genealogia endoga- mica tra le famiglie zingare dei Barbetta, dei Morelli, dei Ciarelli e dei Cirel- li27. Una mobilità per lo più a breve raggio, con turnazione stagionale, an- nuale o pluriannuale, accompagnata e talvolta alternata da momenti di stabi- lità, a carattere anche solo generazionale28. È frequente riscontrare, per esempio, in un atto di morte la mobilità avuta in vita da uno zingaro, per il quale si indicavano differenti luoghi di nascita, mor- te e «domicilio in vita», ciascuno dei quali, a sua volta, non risultava mai luo- go di dimora fissa. Talvolta, proprio per ovviare alla pluralità dei luoghi, il domicilio era genericamente indicato con l’espressione «girovago». È il caso della registrazione della nascita, in «aperta campagna» a Santa Croce di Ma- gliano, del figlio dello zingaro Rocco Cirelli29. E ancora tanti altri esempi si potrebbero fare, tra i casi riscontrati. Anche la piccola Francesca Mirelli, dece- duta a soli tre giorni, è testimone di una storia familiare di semi-nomadismo, oseremo dire, “giornaliero”. Nata a Guardialfera, Francesca moriva nella ta- verna di Lupara e i suoi genitori, Costantino e Maria Gentilizia Spinelli, si di- chiaravano originari di Tavenna30. Nell’opinione comune era così radicato il nomadismo degli zingari che al funzionario dell’anagrafe civile di Sant’Elia a Pianisi, sembrava alquanto strano scrivere che Rocco Spinelli e suo figlio Teodoro fossero domiciliati a Sant’Elia, tanto da usare in un documento ufficiale l’espressione «quantun- que siano di nazione zingara»31. I continui spostamenti degli zingari di Casacalenda non hanno lasciato nes- sun’altro segno di memoria scritta. Abbiamo potuto tracciare solo le tappe dei loro movimenti. Gli unici segni di interazione con le popolazioni del posto so- no da ricercare nei diversi casi di ospitalità che ricevettero dalla gente del luo- go, conosciuta per via del lavoro che svolgevano, come certamente era capita- to a Solodea e Smeraldo, ospiti del macellaio di . Il confronto tra le genealogie ricostruite apre la strada per qualche rifles- sione sulle abitudini onomastiche in uso tra gli zingari del Molise tra Sette e Ottocento. Da sempre, il nome ha avuto la funzione di qualificare un individuo e di- stinguerlo da tutti gli altri. La scelta del nome, come è noto, generalmente risponde a tradizioni e contesti socio-culturali. Come ha scritto Gérarde De- lille, lo studio dell’onomastica familiare può restituire anche un «vocabolario

27 Per i cognomi degli zingari rinviamo al contributo di Elisa Novi Chavarria, I cognomi del popolo rom, di prossima pubblicazione negli atti del convegno I cognomi italiani nell’ambito dell’antroponimia dell’Europa mediterranea. 28 Leonardo Piasere, I rom d’Europa. Una storia moderna, Laterza, Roma 2004, p. 13. 29 ASCB, Stato civile, S. Croce di Magliano, Atti di nascite, 1894, n. 177. 30 Ivi, Lupara, Atti di morte, 1841, n. 97. 31 Ivi, Sant’Elia a Pianisi, Atti di Matrimonio, 1814, n. 15.

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della parentela», per il quale la forma nominale assume una forte carica iden- titaria di appartenenza familiare, tale da consentire chiaramente di distingue- re, all’interno di una comunità, i “parenti” dai “non parenti”32. I nomi rag- gruppati per serie genealogiche possono dirci molto di più dei nomi analizza- ti singolarmente. Tanto più sarà ricco e completo il reticolo ricostruito, mag- giori saranno le informazioni che si potranno raccogliere da esso. Tra le tradizioni onomastiche dell’Italia meridionale di antico regime, la più diffusa prevedeva la trasmissione dei nomi prima degli avi paterni e poi di quelli materni. Seguivano altre abitudini onomastiche, legate alla reitera- zione dei nomi di fratelli o sorelle defunti o, ancora, dei padrini e delle ma- drine, seppure quest’ultimo sia un caso raro o, perlopiù, ricorrente tra le clas- si sociali più alte33. Nel caso degli zingari l’analisi delle forme di trasmissione dei nomi diven- ta un’altra strada per constatare le trasformazioni e gli elementi di continuità della loro vita sociale. Per la famiglia di Rocco Spinelli la stanzialità e l’interazione con la gente del posto furono, per l’appunto, elementi di trasformazione delle abitudini o- nomastiche. Sposando gente del luogo i figli di Rocco adottarono, in tutto e per tutto, le tradizioni del territorio. A questo proposito, è da segnalare inoltre che, a distanza di tempo dal radicamento degli Spinelli a Sant’Elia, nelle fonti tutti i componenti della famiglia non furono più identificati come zingari. Come si può notare dalla genealogia ricostruita, le scelte onomastiche com- piute dagli zingari Rocco e Catella furono diverse da quelle adottate successi- vamente dai loro figli, ormai stanziati a Sant’Elia (Figura 2). Rocco e Catella, infatti, non reiterarono i nomi di nessuno dei loro avi o di altri parenti.

32 Cfr. G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, cit., p. 292. 33 Sull’onomastica del Mezzogiorno moderno si rinvia agli studi di Genoveffa Palumbo, L’esile traccia del nome. Storie di donne, storie di famiglia in un’isola del Napoletano tra età moderna e contemporanea, Liguori, Napoli 2001; Giovanna Da Molin, La famiglia nel passa- to. Strutture familiari nel Regno di Napoli in età moderna, Cacucci, Bari 1995, pp. 251 e ss.; Id., Famiglia e matrimonio nell’Italia del Seicento, Cacucci, Bari 2000, pp. 349 e ss.; Id., Po- polazione e società. Sistemi demografici nel Regno di Napoli in età moderna, Cacucci, Bari 1995, pp. 219 e seguenti.

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Figura 2 – Genealogia della famiglia di Rocco Spinelli di Sant’Elia a Pianisi.

Diversamente, i figli di Rocco e Catella seguirono, per gran parte, le abitu- dini onomastiche in voga nel territorio. I nomi con cui Carolina e Vitantonio chiamarono i loro figli erano: Nicola Pietrangelo, Liberato, Rosa, Casmiro, Ferdinando, Angela Maria, Luigi, Le- onardo e Domenico. Di questi, solo due, Ferdinando e Angela Maria, corri- spondevano ai nomi di due fratelli di Carolina. Non è escluso, che, tra gli al- tri nomi, ci fossero anche fratelli o sorelle di Vitantonio, a noi non noti, ma certamente non reiterarono i nomi dei rispettivi genitori. Per Teodoro e Rosa conosciamo i nomi solo di tre figli (Catella, Rocco e Domenico), sufficienti a confermare la ripetizione certamente dei nomi degli avi paterni. Nella numerosa discendenza di Giuseppe e Maria Teresa si com- pletò la trasmissione delle forme nominali di tutti e quattro gli avi (Rocco e Catella, Maddalena e Carlo) e si rinnovò anche il nome di un fratello di Giu- seppe (Angelo Maria). I loro otto figli si chiamavano, nell’ordine: Angela Maria, Catella, Maddalena, Filippa, Rocco, Carlo, Saveria, Maria Luisa. Ferdinando e Annangela, infine, reiterarono solo i nomi maschili dei rispet- tivi genitori (Nicolangelo e Rocco), chiamando i loro cinque figli: Nicolan- gelo, Anna Felice, Maria Celeste, Rocco e Giuseppe Antonio34.

34 ASPSEP, Stati delle anime, 1831, strada della Fontana Nuova n. 32, strada Maggiore de’ Pozzi nn. 4 e 5, Largo de’ Pozzi n. 32; Ivi, 1834, nn. 128, 738, 747 e 748.

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Dai pochi dati che abbiamo sulla famiglia di Pasquale del Duca possiamo rilevare la sola reiterazione del nome del nonno paterno al primogenito, Liberato. Emerge, invece, uno scenario completamente diverso, dalla ricostruzione del sistema di trasmissione dei nomi del nucleo di zingari di Casacalenda, in cui non sembra seguirsi nessuno dei modelli onomastici diffusi nell’Italia meridionale, prediligendo, come vedremo, forme nominali diverse tra loro, nell’ambito delle stesse famiglie (Figura 3).

Figura 3 – Genealogie delle famiglie zingare di Giuseppe Cirelli, Francesco Saverio Morelli e Carmine Cirelli.

Mobili tra le fiere di Abruzzo e Molise, Francesco Saverio Morelli e Vene- randa Di Rosa ebbero sei figli, nell’ordine: Solodea, nata a Civita Luparella (in distretto di Chieti)35, Pasquale nato a Casacalenda36, i gemelli Angelo Maria e Francesco nati a Palata37, Carolina nata a Taranta (in distretto di Chieti)38 e, infine, Maria Giustina nata a Casacalenda39.

35 ASCB, Stato Civile, Casacalenda, Atti di matrimoni, 1849, n. 49. 36 Ivi, Casacalenda, Atti di nascita, 1835, n. 201. 37 Ivi, Palata, Atti di nascita, 1841, n. 51. 38 Ivi, Casacalenda, Processetti matrimoniali, 1879, n. 37. 39 Ivi, Casacalenda, Atti di nascita, 1850, n. 266.

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La prima figlia Solodea, nel 1849, sposò a Casacalenda lo zingaro Smeral- do, nato ad Ari (in distretto di Chieti) dagli zingari Giuseppe Ciarelli e Anna Regina Di Rosa40. Anche Solodea e Smeraldo, come i rispettivi genitori, condussero una vita semi-nomade. I loro quattro figli nacquero, infatti, o- gnuno in una località diversa dall’altra: Vincenzo nella casa del macellaio di Morrone del Sannio41, Maria Rosaria a Casacalenda42, Filomena in una ta- verna ad Acquaviva Collecroce43 e Rocco in una taverna nella piazza di San Martino in Pensilis44. Nel 1877 Angelo Maria, fratello di Solodea, sposò a Casacalenda la zingara Maria Vincenza Cirelli, figlia di altri mercanti zingari, Carmine e Maria Di Rosa45. L’ultima unione che ricordiamo riguarda un’altra figlia di Carmine e Maria Di Rosa, Angela che, nel 1891 a , sposò Rocco Cirelli, figlio di Solodea e Smeraldo. I due chiamarono il loro figlio Levino46. Si riscontra, per la genealogia appena proposta, una sola tipologia di trasmis- sione dei nomi tra due generazioni successive e, precisamente, tra padre e fi- glio e tra madre e figlia, nell’ambito di nomi composti. È il caso di Francesco Saverio Morelli che sceglie di dare a uno dei suo figli maschi il suo primo no- me, Francesco e di Maria Di Rosa, che ripete il suo nome come primo di nomi composti per due delle sue tre figlie, Maria Vincenza e Maria Giuseppa. Emerge, invece, negli altri casi la predilezione per un’estrema varietà delle forme nominali che, tendenzialmente, non si ripetono mai tra le generazioni (Figure 4 e 5)47.

40 Ivi, Casacalenda, Atti di matrimoni, 1849, n. 49. 41 Ivi, Morrone del Sannio, Atti di nascita, 1850, n. 81. 42 Ivi, Casacalenda, Atti di nascita, 1854, n. 197. 43 Ivi, Acquaviva Collecroce, Atti di nascita, 1857, n. 39. 44 Ivi, San Martino in Pensilis, Atti di nascita, 1870, n. 166. 45 Ivi, Casacalenda, Atti di matrimonio, 1877, n. 68, Ivi, Processetti matrimoniali, 1877, n. 68. 46 Ivi, Santa Croce di Magliano, Atti di matrimonio, 1891, n. 35; Ivi, Atti di nascita, 1894, n. 177. 47 Si precisa che le tabelle contengono solo i nomi dei figli di Rocco Spinelli che al momento della nascita erano identificati con l’appellativo di zingari, ma non più dopo i rispettivi matrimoni.

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Figura 4 – Nomi femminili zingari (XVIII – XIX secolo).

Nomi Occorrenze Nomi Occorrenze Maria 6 Donata 1 Angela 5 Elisabetta 1 Carolina 3 Floralba 1 Filomena 3 Francesca 1 Grazia Vita 3 Gemma 1 Luigia 3 Maria Consiglia 1 Maria Giuseppa 3 Maria Filomena 1 Teresa 3 Maria Gentilizia 1 Anna 2 Maria Giustina 1 Concetta 2 Maria Luisa 1 Lucia 2 Maria Olimpia 1 Maria Libera 2 Maria Rosa 1 Maria Vincenza 2 Maria Rosaria 1 Rachele 2 Maria Teresa 1 Alba Rosa 1 Maria Valentina 1 Angiola Maria 1 Reginalda 1 Anna Regina 1 Rubina 1 Camilla 1 Savina 1 Catella 1 Solodea 1 Clorinda 1 Veneranda 1 Cristina 1

Figura 5 – Nomi maschili zingari (XVIII – XIX secolo).

Nomi Occorrenze Nomi Occorrenze Giuseppe 10 Giovanni Antonio 1 Pasquale 9 Giuseppe Maria 1 Antonio 8 Isidoro 1 Nicola 6 Levino 1 Angelo 4 Lorenzo 1 Vincenzo 4 Luigi 1 Teodoro 3 Michele 1 Angelo Maria 2 Modestino 1 Carmine 2 Nazario 1 Costantino 2 Paolino 1 Ferdinando 2 Pasquale Pietro 1 Liberato 2 Pellegrino 1 Prospero 2 Pietrangelo 1 Rocco 2 Policarpo 1 Andrea 1 Raffaele 1 Arcangelo 1 Sabatino 1 Celideo 1 Raffaele Marco 1 Consalvo Valerio 1 Sabatino 1 Diodoro 1 Saverio Vincenzo Antonio 1 Domenico 1 Smeraldo 1 Fedele 1 Stefano 1 Felicenzio 1 Supino 1 Feliciano 1 Supino 1 Francesco 1 Teodoro Gennaro 1 Gennaro 1 Vitantonio 1 Gerardo 1

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Come si può notare dal numero delle occorrenze, la priorità nelle scelte onomastiche, tanto nei casi maschili quanto in quelli femminili, ricadeva su nomi di cristiana, con la preferenza di Maria e Giuseppe, secondo una tradizione radicata nel Mezzogiorno e certamente adottata dagli zingari entrati in contatto con le comunità del luogo48. A proposito di quanto detto, si tenga conto che, l’uso di nomi composti tra gli zingari risulta molto raro e, laddove, è possibile registrarli, coniugavano tradizione cristiana e nomi tipicamente zingari. In particolare, facciamo nota- re che nei nomi composti femminili il primo era sempre Maria, seguito da forme nominali desuete nell’onomastica dell’Italia meridionale (Consiglia, Gentilizia, Olimpia). Tra i nomi maschili è da notare una minore varietà delle forme nominali, con una prevalenza di nomi cristiani. Tra loro i più frequenti erano Giuseppe con dodici occorrenze, di cui una sola come primo nome di uno composto (Giuseppe Maria) e Pasquale con dieci occorrenze, di cui, anche in questo caso, una sola come primo nome di altri (Pasquale Pietro). Ricorrevano, poi, i nomi di santi cristiani diffusi nell’Italia meridionale: Angelo, Antonio, Carmine, Domenico, Francesco, Giovanni, Michele, Nicola, Pasquale, Rocco e Vincenzo. Tra le forme nominali femminili troviamo una maggiore frequenza di nomi di derivazione germanica (Regina), o della tradizione classica (Olimpia, Flo- ra). Sono da segnalare anche scelte onomastiche di carattere letterario, come nel caso di Clorinda, nome coniato dalla Gerusalemme Liberata del Tasso. Si fanno poi notare i numerosi casi nominali desueti e scarsamente diffusi nell’onomastica storica del Mezzogiorno, con i femminili Consiglia, Gemma, Gentilizia, Solodea e, i maschili, Celideo, Felicenzio, Levino, Policarpo, Pro- spero, Supino e Smeraldo, nome zingaro per antonomasia, come è attestato dal personaggio femminile dell’opera di Victor Hugo, Notre Dame de Paris. Anche il nome, quindi, diventa indice del processo di integrazione degli zin- gari con le comunità con cui entravano in contatto. Possiamo generalmente ri- scontrare che, la maggiore stanzialità di un gruppo in un determinato luogo, na- turalmente, favoriva una più rapida trasmissione delle tradizioni socio-culturali. Diversamente la frequentazione più saltuaria di uno o più luoghi poteva, even- tualmente, determinare l’adozione anche solo parziale di alcuni degli usi e co- stumi di una data comunità. Certamente il carattere nomade e semi-nomade de- gli zingari li riconduceva prevalentemente a questa seconda categoria. Nel corso del XVIII secolo, infatti, nella maggior parte del Regno di Napoli la situazione degli zingari continuava a essere caratterizzata da una forte mobi- lità, segnata solo a tratti da fasi di stanzialità, talvolta solo generazionali. Alla luce della più recente tradizione di studi di demografia storica si sta rivalutando il consueto paradigma della sedentarietà, che dipingeva la popo-

48 Per l’onomastica degli zingari cfr. E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari, cit., pp. 98-106; Francois de Vaux de Foletier, Mille anni di storia degli zingari, Jaca book, Mi- lano 2010, pp. 216-224.

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lazione dell’Italia di antico regime perlopiù immobile. Analizzando la mo- vimentazione umana è stato ampliato lo spettro dei possibili modelli di mo- bilità della popolazione lungo tutto la penisola, a breve e lungo raggio. Basti pensare alle migrazioni stagionali e temporali del popolo agro-pastorale, che si muoveva al ritmo del calendario dei lavori agricoli. Le migrazioni interne, dunque, non sono più viste solo come il risultato di congiunture storiche ne- gative, legate a politiche sociali di contenimento del sovraffollamento o della povertà, ma devono essere considerate un fenomeno endemico della vita so- ciale49. Inoltre, alla luce delle diverse motivazioni della micromobilità regio- nale, si tende, piuttosto, a riflettere sulla complementarietà tra sedentarietà e mobilità. Se questo discorso vale per le popolazioni di antico regime, può essere, allo stesso tempo, esteso anche agli zingari che conservarono una for- te mobilità nel territorio per tutta l’età moderna. Com’è noto, la storia degli zingari è stata più volte segnata dall’emargi- nazione e da una mobilità per costrizione, frutto di specifiche politiche delle autorità civili per disporre l’espulsione di vagabondi e forestieri, scomodi per la retta condotta della società, ma anche da molti momenti di stanzialità e radi- camento sul territorio come studi recenti vanno via via mettendo in luce50. Spesso, furono le contingenze storiche ed economiche che portarono gli zingari a scegliere uno stile di vita anziché un altro. Alcuni di loro preferiva- no condurre una vita nomade o semi-nomade, spostandosi da una fiera all’altra per vendere e acquistare animali, ferraglie e quanto fosse loro neces- sario, vivendo, fisicamente e socialmente, ai “margini” di una comunità, non perché respinti, ma per motivazioni strettamente logistiche legate alla loro breve permanenza in un luogo51.

49 Cfr. Paola Corti e Matteo Sanfilippo (a cura di), Storia d’Italia. Annali, Einaudi, Torino 2009, XXIV, Migrazioni, pp. 5-20, 425-447; Angiolina Arru e Franco Ramella (a cura di), L’Italia delle migrazioni interne. Donne, uomini, mobilità in età moderna e contemporanea, Donzelli, Roma 2003. 50 Cfr. Henriette Asséo, Les tsiganes une destinée européenne, Gallimard, Paris 1994; E. Novi Cha- varria, Sulle tracce degli zingari, cit.; Franca De Bonis, Guardarsi in viso: modalità aggregative fra i Rom di Cosenza, in Leonardo Piasere (a cura di), Italia romanì, Cisu, Roma 1996, I, pp. 23-41; cfr. anche i contributi di Stefania Pontrandolfo, I rom di Laterza, pp. 41-74, Id. I rom di Melfi e il contesto urbano: una descrizione preliminare, in Stefania Pontrandolfo e Leonardo Piasere (a cura di), Italia Romanì, III, I rom di antico insediamento dell’Italia centro-meridionale, Cisu, Roma 2002, pp. 105- 131. Per le politiche di espulsione adottate dalle autorità civili nel Regno di Napoli di età moderna si veda Elisa Novi Chavarria, Il governo delle anime. Azione pastorale, predicazione e missioni nel Mez- zogiorno d’Italia. Secoli XVI-XVIII, Esi, Napoli 2001, pp. 157-182; Id., Gli zingari in età moderna, in Laura Barletta (a cura di), Integrazione ed emarginazione, Circuiti e modelli: Italia e Spagna nei seco- li XV-XVIII, Cuen, Napoli 2002, pp. 287-308; Id., Sulle tracce degli zingari, cit., pp. 121-144. 51 Cfr. Giuseppe Galasso, Note su emarginazione e marginalità, in L. Barletta (a cura di), Integrazione ed emarginazione, cit., pp. 41-52; Anna Rao, Nomadi disconosciuti: per una ti- pologia delle comunità girovaghe, in Leonardo Piasere (a cura di), Comunità girovaghe, co- munità zingare, Liguori, Napoli 1995, pp. 153-154.

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Finito di stampare nel mese di agosto 2011 da Morconia Print s.r.l. - Morcone (Bn) per conto delle Edizioni Il Bene Comune