Studi Storici Siciliani Semestrale Di Ricerche Storiche Sulla Sicilia

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Studi Storici Siciliani Semestrale Di Ricerche Storiche Sulla Sicilia STUDI STORICI SICILIANI SEMESTRALE DI RICERCHE STORICHE SULLA SICILIA Anno VI n. 7 Aprile 2019 Empedocle - Consorzio Universitario di Agrigento COMITATO SCIENTIFICO: Sonia Zaccaria (Presidente), Gero Difrancesco, Filippo Falcone, Mario Siragusa, Marcello Saija, Paola Savona La Sala DIRETTORE RESPONSABILE: Filippo Falcone DIRETTORE EDITORIALE: Mario Siragusa SEDE: via Foderà n. 38 - Agrigento CONTATTI: 339 2032093 - www.comitatoenginomadonita.altervista.org/CREM/ STUDI STORICI SICILIANI - Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia EDITORIALE AL FEMMINILE di Sonia Zaccaria on sappiamo se Pietro Germi dopo la sua frequentazione con il sommatinese Nino NDi Maria - di cui aveva utilizzato il romanzo “Cuori negli abissi” - per ricavarne il film “Il cammino della speranza”- fosse venuto a conoscenza del fattaccio di cronaca nera, che aveva interessato il paese del suo soggettista. E’ verosimile comunque, che quel- la vicenda, sicuramente non unica sullo scenario della Sicilia degli anni 60, avrà trovato posto nelle riflessioni culturali del regista con il suo contorno paradossale, per ispirargli, nel 1964, il film “Sedotta e abbandonata”. La vicenda di Sommatino rimandava ad un fatto di cronaca nera del 14 settembre 1961, determinato dall’assassinio di un giovane ventisettenne studente universitario, Luigi Fazio, da parte della quindicenne fidanzata Pasqualina Montagna, per un mancato matrimonio riparatore. Tale istituto rappresentava teoricamente il modo di ripristinare l’onorabilità di una donna, perduta attraverso un rap- porto sessuale consenziente o meno, davanti alla società retriva e maschilista del proprio paese. Nello stesso tempo permetteva la impunibilità di chi aveva usato violenza carnale e atti di libidine violenta su una donna e l’aveva sposata. L’articolo 544 del codice Rocco, collocato nella sua distorsione ideologica tra i delitti contro la morale e non tra quelli con- tro la persona, annullava infatti questi delitti compreso quello di corruzione di minorenni, attraverso la riparazione matrimoniale, legittimando la coartazione della volontà della donna e il cosiddetto ratto per matrimonio. “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi e’ stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali” Era l’ennesima norma del codice fascista emanata contro le donne, che avrebbero do- vuto accettare un matrimonio imposto, dopo aver subito anche la violenza sulla propria persona. Nel fattaccio di Sommatino la condizione era ribaltata, dimostrando quanto sot- tile e grottesco, nella sua tragicità, potesse risultare il confine tra vittima e carnefice, tra progresso e regresso, tra tutela e sopraffazione nella mentalità di quegli anni. In questo caso era proprio la donna, oggetto di tutte le violenze compresa quella psi- cologica, a richiedere l’applicazione della legge a rimedio dell’onore perduto, facendosi protagonista essa stessa, vittima pur sempre del pregiudizio e dell’ignoranza, di una vio- lenza richiestale dal contesto sociale in cui doveva continuare a vivere. Anche in questo caso si configurava, sotto mentite spoglie, un delitto per causa d’onore, in cui l’onore non era altro che il dettame di un comportamento e di una condizione voluta dal mondo maschile. Dopo la denunzia per violenza carnale voluta dalla madre di Pasqualina al fine di ri- chiedere il matrimonio riparatore “ebbe inizio una lotta sorda tra la famiglia del Fazio e quella della Pasqualina Montagna. Da un lato si insisteva per la riparazione, dall’altro si rifiutava tale richiesta. In questo clima di antagonismo, si giunse alla tragica mattina del 14 settembre quando la ragazza in compagnia della madre scorse nella piazza di Sommatino l’ex fidanzato. Gli si avvicinò e ancora una volta lo implorò, ma avutane una ennesima risposta negativa, estrasse la pistola che teneva nascosta sotto il maglione e cominciò a far fuoco. La madre assistette immobile al delitto. Pasqualina M. in tutti i suoi interrogatori negò decisamente ogni qualsiasi responsabilità della madre, sostenendo che la stessa non era a conoscenza delle sue reali intenzioni”.(1) 3 STUDI STORICI SICILIANI - Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia Pietro Germi, che non ha fatto mai riferimento a questa vicenda molto discussa sui giornali contemporanei, aveva ricostruito, nel suo film, quel mondo grottesco, in cui pren- devano forma i rituali arcaici maschilisti della Sicilia, ironizzando sulla vacuità di un onore “falso e bugiardo”, tutto esteriorità e niente sostanza. Il processo che interessò Pasqualina Montagna durò diversi anni, e tra sentenza di pri- mo grado, appello e cassazione era arrivato al 23 gennaio del 1966, quando la Corte di Cassazione rimandò il processo al riesame della Corte di Appello di Palermo. Pasqualina Montagna era stata condannata, in prima e seconda istanza, a 12 anni di reclusione per omicidio volontario, mentre la madre era stata assolta dai reati di istigazione e complicità. Nei confronti della prima sentenza del Tribunale di Caltanissetta, il pubblico ministero Gaetano Costa,(2) che aveva ritenuto esigua la pena per la ragazza e completamente in- giusta l’assoluzione per la madre, aveva fatto ricorso in Appello. Cominciava così a farsi strada nella società civile una reazione ai comportamenti tribali di subculture anacronisti- che e immotivate, che trovavano una certa inflessibilità, se non altro, nella magistratura requirente. La notizia della sentenza della Cassazione sul processo contro Pasqualina Montagna era stata riportata negli stessi giorni in cui: “Una ragazza di Alcamo rapita e offesa nei suoi sentimenti si è rifiutata di sposare il suo seduttore. Anche il padre e tutta la famiglia credono che l’onore non debba essere un pregiudizio ma una virtù da tutelare con leale chiarezza”.(3) Si trattava del rovescio della medaglia. Un articolo del giornalista Luan Rexha, in esclusiva sul “Giornale di Sicilia”, riportava la vicenda del rapimento di Franca Viola, una ragazza diciottenne rapita e stuprata ripe- tutamente dal suo ex fidanzato al fine di imporle un matrimonio riparatore. Rilevava con grande evidenza la decisione della giovane donna di non volere il matrimonio riparatore e di volere vivere ancora nel suo paese a testa alta. Il giornalista romano dopo che i giornali nazionali avevano dato ampio risalto al fatto di cronaca, riportava le testuali affermazioni della ragazza: “Non è stato mio padre a convincermi di non sposare Melodia, sono io che non lo voglio. Se fossi stata innamorata lo avrei preso per marito e sarei fuggita con lui anche sapendo di dare un dispiacere alla mia famiglia. E poi lo scriva che noi non andremo via da Alcamo. Noi non dobbiamo vergognarci di fronte a nessuno”.(4) Era una rivoluzione culturale: un fatto che scuoteva dalle fondamenta l’impalcatura di una mentalità retrograda e subalterna, e di una legge che ne favoriva la permanenza. Luigi Melodia, appartenente ad una famiglia mafiosa del paese, accusato di sequestro di persona e di violenza aggravata dovette subire il processo e la relativa condanna, assieme a coloro che si erano resi, in vario modo, suoi complici. Era una vittoria delle donne, che avrebbe dovuto imporre un ripensamento sulla loro soggiogazione sociale e culturale al fine di rendere realmente paritario il principio di uguaglianza tra i sessi, sancito dalla costituzione. Un segnale coraggioso in questa direzione era stato lanciato nell’ottobre del 1965 dal Tribunale di Ascoli Piceno che, a dispetto del modo in cui si era espressa la Corte Costituzionale quattro anni prima (1961), denunziava l’illegittimità dell’art. 559 del codice penale, con il quale si puniva l’adulterio, solo se commesso dalle donne. La Corte Costituzionale formata sempre da soli uomini(5), dopo sette anni smentì se stessa rimediando a mala pena una sentenza di abrogazione solo del reato di adulterio, in virtù della parità tra coniugi all’interno della famiglia. Aspettò ancora un anno per pronunziarsi su altri ricorsi, ed eliminare anche il reato di relazione adulterina e del concubinato.(6) Siamo già al 1969, ed altro momento comincia a vivere la società italiana nel suo complesso, contaminando anche la Sicilia delle città e delle periferie. Un anno prima Ma- 4 STUDI STORICI SICILIANI - Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia rio Monicelli aveva fortemente ironizzato sul costume siciliano e sul suo anacronismo, attraverso il film “La ragazza con la pistola”. In esso una Monica Vitti esilarante aveva dimostrato come i tabù di una società potessero scomparire con il confronto e la spro- vincializzazione dei comportamenti. Anche l’emigrazione ed il lavoro fuori dalle mura domestiche contribuirono all’emancipazione femminile che pur rimanendo ancora vinco- lata alle norme accennate sul delitto d’onore e sul matrimonio riparatore, fecero sentire il loro effetto deflagrante. Si acuiva la inconciliabilità del codice Rocco con una società in veloce trasformazione, che rivendicava la democrazia reale nei rapporti civili. Fin dal 1965 era stato presentato un progetto di legge sul divorzio che doveva essere approvato nel dicembre 1970. Si trattava della legge Fortuna-Baslini, contro la quale si schierarono apertamente i democristiani e i neofascisti del Movimento Sociale. La richiesta di un referendum abrogativo pose in alternativa l’Italia progressista con quella retrograda, l’Italia aperta alla novità con un Italia chiusa in se stessa. La vittoria del “no” (all’abrogazione) ebbe il contributo seppur di stretta misura anche da parte della Sicilia. Le donne siciliane dimostrarono la volontà di liberazione, svincolandosi da una cultura di sottomissione, cui l’aveva relegata la più retriva interpretazione clericale della “costola di Adamo”. I risultati siciliani diedero il 50,5% dei voti al No e il 49,5% al Si. I partiti che avevano sostenuto il No nelle elezioni politiche di due anni prima erano arrivati al 44,1% per cui la differenza si poteva assegnare ad una nuova seppur stentata modifica della co- scienza civile. Nelle nove città siciliane capoluogo di provincia, tranne Agrigento e Mes- sina, la volontà antiabrogazionista era stata maggioritaria.
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