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COVER_MARINO.pdf 1 27/05/2011 15.01.29 C M Y CM MY CY CMY K Prefazione di Vittore Baroni immagine di copertina: Paolo Albani, Un Filo di Voce (1988; cm 36x35x15, filo di cotone su vinile, plastica, metallo). Per gentile concessione dell’autore. immagine su bandella anteriore: il sax è una rielaborazione dell’immagine di copertina del volume Pop Story di Riccardo Bertoncelli (Arcana, 1973) © Tramway Milano. © crac 2011 [email protected] www.edizionicrac.blogspot.com www.myspace.com/edizionicrac finito di stampare nel mese di giugno 2011 presso Digital Team - Fano (PU) edizioni crac è un marchio di Studio Graffa Formazione e ricerca di Refe Marco & C. s.n.c. Via Bixio, 120 60015 - Falconara Marittima - AN P. IVA 02439020427 www.studiograffa.it [email protected] direzione editoriale: Marco Refe copertina: Roberto Marinelli grafiche e impaginazione: Il presente volume è una rielaborazione di Daniele Cardinali «Paesaggi immaginari»: Critica ufonica e discogra- Roberto Marinelli fia potenziale - Recensioni e dischi (im)possibili nel giornalismo rock, tesi di laurea in Discipline distribuzione: della Comunicazione, Facoltà di Scienze della NdA Formazione, Università degli Studi di Palermo, A.A. www.ndanet.it 2007-2008, relatore Prof. Ivano Cavallini. «I critici sono fondamentalmente persone frustrate. Mi domando quanto debbano essere frustrati quelli che fanno i critici dei critici» Piero Scaruffi prefazione PRANK ’N’ ROLL: I DISCOLI DELLA FANTa-criticA Chiunque si sia occupato di musica pop-rock dalla “prima linea”, ovvero bazzicando uffici di case discografiche, concerti e festival per raccogliere promo e interviste, si è prima o poi scontrato con l’avversione, da parte di molti artisti, a dar sfoggio di empatica eloquenza. E all’ennesimo abboccamento in cui, pur sforzandosi di escogitare domande intelligenti e originali, il volenteroso fan- zinaro (o il malpagato cronista) si accorge di dover cavare con le tenaglie risposte monosillabiche alla non-ancora-rockstar di tur- no, stizza e necessità contingente inducono il tapino a incorrere nei primi peccatucci veniali: non solo la correzione di strafalcioni grammaticali e l’eliminazione di ripetizioni superflue, ma anche la sostituzione di aggettivi non molto appropriati, l’infiorettatura di un concetto per dargli quel minimo di spessore... Da lì a com- piere il fatidico balzo nella prima risposta inventata di sana pianta ci corre poco, e quanto ne consegue è poi facilmente intuibile. Avremo da un lato tutta una stampa, anche digitale, dall’etica non proprio adamantina (ma non è di banali casi di malaprofes- sionalità che qui ci si vuole occupare). Dall’altra avremo invece, ed è l’oggetto del singolare saggio di Gabriele Marino, le recen- sioni consapevoli e mirate (nonché liberatorie) di dischi più o meno scopertamente inesistenti, la creazione di musicisti in tutto o in parte immaginari, la registrazione di stupefacenti conversa- zioni (perfino con cari estinti, come Elvis e Jimi) o la cronaca di collaborazioni e contaminazioni altamente improbabili (Britney canta Manson, appunto). Il giornalista musicale, diciamola pure tutta, è spesso un musicista mancato o un artista frustrato, quale miglior rivalsa dunque del collocare le proprie fantasie diretta- mente nella Top Ten? Ovviamente questa non è l’unica motivazione possibile. Chi si inventa musiche e musicisti lo fa anche (non necessariamente in quest’ordine) giusto per non annoiarsi, o per regalare al mondo inusitati capolavori virtuali, per far colpo su qualcuno, per sno- bismo perché così-non-fan-tutti, per dar sfoggio d’arguta imma- 5 ginazione meta-critica, per suggerire ai più ardimentosi un per- corso (im)possibile, per far sbocciare un nuovo genere e mutare il corso della storia musicale, per mettere in discussione la co- mune nozione di vero o falso. Si tratta, lo capirete, di una partita persa in partenza, un donchisciottesco scontro coi mulini a vento dell’industria (e, peggio, della consuetudine) culturale: chi potrà mai contrastare i milioni di veri cd, cd-r, vinili e file Mp3 ad en- cefalogramma semi-piatto che minacciano di insinuarsi nelle no- stre orecchie? Eppure, nonostante la quasi certezza della sconfit- ta finale, c’è chi non può trattenersi dall’architettare beffe a regola d’arte, marachelle di cui sogghignare di nascosto o bufale, come la presunta morte di Paul McCartney, capaci di guadagnare le prime pagine dei giornali (la rivista di controcultura statuniten- se ReSearch ha dedicato nell’87 un voluminoso numero, intitola- to Pranks!, a bricconate creative di questo tipo). Realizzare una fanta-recensione non è comunque più facile che scriverne una regolare, anzi, occorre un bel lavoro di fino per gestire al meglio la verosimiglianza dei dati e un gran controllo del linguaggio per ottimizzarne gli effetti. Per questo a nessuno è ancora venuto in mente di mettere in circolazione una rivista dedicata alle sole musiche immaginarie (o forse c’è già un blog, da qualche parte?). In ogni caso, mi prenoto per un pezzo sul temibile Tony Clifton. Chiariamo com’è che mi trovo ad occupare la pole position della prefazione. Anche se non ne ho mai fatto un mestiere, mi occupo di musica da quando avevo i pantaloni corti e fin dall’inizio ho trovato naturale e preferibile mescolar bene le carte: erano narra- critiche le mie prime tavole scritte e disegnate a rapidograph per Carta Stampata, un foglio tardo-hippie dei primi Settanta, in epo- ca new wave curavo invece per la fanzine Rock Zero un inserto di musiche bizzarre e inverosimili che poi, sotto la maschera dello pseudo-gruppo Lieutenant Murnau, ho provato anche a regi- strare con casalinghe tecniche “plagiariste”. Un minimo di cre- dibilità fanta-giornalistica me la sono insomma guadagnata sul campo (sulla rivista/ep Janus Head scrivevo nei primi Ottanta de- gli inquietanti e inesistenti Kibbo Kift presentandoli come grup- po folk-metal, un trend che si è “materializzato” solo vent’anni dopo) e devo dire che senza la valvola di sfogo di tante auto-pub- blicazioni e articoli anomali, non sarei sopravvissuto alla routine di decenni di militanza su testate come Rockerilla, Velvet, Rumore. 6 Tanti hanno seguito o mi hanno preceduto sulla cattiva strada del “pranksteraggio” audio-letterario, ampliata oggi a dismisura dalle potenzialità del web. Il fenomeno ingloba o tocca tangen- zialmente mondi diversi: quello dei bootleg e delle compilation fai-da-te (spesso “dischi impossibili” nati dall’intraprendenza di fan/pirati), quello dei montaggi “plunderfonici” che dan vita a gruppi fantasma tramite mash up e creature di Frankenstein sono- re (dagli Hybrid Kids di Morgan Fisher ad Aldo Kapi, composi- tore del Kyrgyzstan concepito dal dj romano Okapi), quello delle carriere parallele sotto pseudonimo e dei dischi-parodia (come gli XTC mutati in Dukes of Stratosphear o le cover scollacciate di Gem Boy), quello dei meta-album sotto mentite spoglie (vedi Helter Stupid dei Negativland o The Big Bubble dei Residents) e poi i gruppi solo-immagine e le spoof band (dai Mind Invaders agli Spinal Tap), le cultural forgeries (prendendo in prestito un termine ai Can, autori di memorabili “falsificazioni etnologiche” su Unlimited Edition) e tutte quelle operazioni artistiche basate sul riciclo di vinili e copertine di dischi (se Duchamp ha disegna- to i baffi alla Gioconda, John Oswald ha messo le tette a Michael Jackson). Tanta roba, e non ho neppur tirato in ballo i termini iconoclasta e situazionista. Di musiche che non esistono ce ne sono insomma, per definizio- ne e paradosso, proprio per tutti i gusti. Sono strafelice di tro- varmi in compagnia dei casi celebri ideati da alcuni dei miei miti giovanili (Bangs, Bertoncelli, Marcus, Meltzer, non son degno!): guide illuminate e affidabili su cosa e come ascoltare, modelli ammirevoli di un giornalismo che è anche mimesi della carica (intellettuale) sovversiva del rock, parte integrante ed evolutiva della cultura che questa musica rappresenta. Credo che ciò che più accomuna quanti sono portati a inventare, oltre che a de- scrivere, le situazioni musicali sia l’ecletticità spinta di interessi e ossessioni (Meltzer, ad esempio, ha firmato una decina di libri sui più disparati argomenti, ha girato film e militato in band punk-sperimentali), oltre all’attitudine al funambolismo lettera- rio e ad una buona dose di surreale senso dell’umorismo (penso che tutti i sopra menzionati abbiano adorato Groucho Marx e Spike Jones, The Goon Show e i Monty Python, Woody Allen e Andy Kaufman…). Un libro come quello di Marino è prezio- so quanto è pericoloso. Prezioso perché per la prima volta qui 7 si documenta e analizza un fenomeno sotterraneo che sussiste dall’infanzia del rock, dissodando il terreno ad ulteriori ricerche che potranno infoltire una casistica già ben articolata, ma che è lecito sospettare possa rivelarsi molto più ampia. Pericoloso perché scoperchia la proverbiale “scatoletta di vermi”, svelan- do le burle creative di qualche fanta-critico ancora impunito e soprattutto ispirando molti (ne sono certo) a seguirne le orme. Leggete a vostro rischio e diletto. Vittore Baroni 8 introduzione PERCHÉ LA CRITICA MUSICALE Questo libro è la rielaborazione di una tesi di laurea scritta per un corso triennale in Comunicazione, un lavoro nato dalla mia passione smodata per la critica musicale. La critica è lo strumento che mi ha permesso di conoscere artisti e musiche che amo; è il luogo privilegiato di confronto e con- divisione a distanza con tanti altri appassionati (gli ‘ascoltatori professionisti’); nonché l’ambito nel quale — proprio grazie alla tesi — sono poi riuscito a cimentarmi, chiudendo così il circuito ideale del fan ascoltatore-lettore-scrittore. Se è vero che «il miglior modo per imparare a scrivere è leggere», questo lavoro — un lavoro non di critica, e quindi sulla musica, ma sulla critica, di lettura della critica — si è rivelato un ottimo apprendistato. Quello che più mi interessa della critica musicale, e in generale dello scrivere di musica, sono le sue stesse condizioni di possibi- lità, le contraddizioni e le tensioni che costitutivamente la anima- no.