Giornale Febbraio
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(r.e.) Due autentici ed inconfutabili maestri giganteggiano nel programma di febbraio del Circuito Cinema Comunale: il regista francese Alain Resnais, in personale pressoché completa alla Videoteca Pasinetti, ed il compositore Nino Rota, cui va il variegato omaggio del Centro Culturale Candiani dal titolo Nel Gran Circo del Cinema, comprendente la proiezio- ne di una decina di film da lui musicati per vari registi (non solo Fellini…), due concerti jazz d’après, una giornata di studi e di riflessioni. Un prolungato doppio sguardo retrospettivo (anche se con Resnais siamo fortunatamente ancora ben dentro la contemporaneità: vedasi il recente Cuori, Leone d’argento alla Mostra) per segnalare una volta di più la necessità di non dimenticare le lezioni del passato, optando magari inconsapevolmente – più spesso, in realtà, ideologi- camente – per la presunta immanenza del presente. Nel caso di Resnais, l’ostinata ricerca linguistica intorno alle forme del cinema e della narrazione (e chi le bazzica più?); nel caso di Rota, la complessità di apporti musicali che, per usare le parole di Roberto Pugliese, restano testimonianza di una “ribollente, incessante e felice contraddittorietà creativa” (e chi tresca più con le contraddizioni?). Diciamolo: insieme a molte altre, sono “lezioni” che rischiano di questi tempi la riser- va indiana degli studi universitari, patrimonio di memorie destinate inesorabilmente ad invecchiare con le generazioni che le sono state coeve, senza più la forza – e qui sta il problema – di passare il testimone. Per Rocky Balboa, il cinema americano ha escogitato la più improbabile delle resurrezioni estreme, sfruttando – narrativamente – l’espediente e la sug- gestione di un gioco simulato al videogame; per il James Bond di Casino Royale ha cercato un po’ maldestramente di aggiornare ai tempi nostri scenari spionistici certamente più pregnanti e convincenti mezzo secolo fa, ai tempi della guer- ra fredda: non è, insomma, che il cinema sia proprio smemorato, il problema è che ricorda (e rievoca, rivisita, rielabora) soltanto ciò che gli pare. Che gli pare sensato in termini di box-office o di quel che di esso ancora rimane. Per gli auto- ri, più spesso, l’oblio. Non il nostro, naturalmente. Nino Rota, al cinema con (finto) candore DI Roberto Pugliese A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, Nino sciante e delirante demonismo. Il grande Rota autocitazionistico film spettacolari ma riprove- Rota (Milano 1911 – Roma 1979) appare come del cinema è, piuttosto, quello viscontiano di volmente convenzionali come Assassinio sul una figura sempre più problematica nel Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo: il primo Nilo (John Guillermin) o Uragano (1979, Jan febbraio Novecento musicale europeo, in ciò conflig- una inesorabile perlustrazione nei sentieri del Troell: la sua ultima fatica). gendo con lo stereotipo del “Candido” che l’ha tragico e del melò(dramma) con un uso sapien- La felicità d’ispirazione (che Rota viveva con accompagnata per anni e che comunque pro- tissimo delle procedure leitmotiviche e la capa- gioia, e non come un “superiority complex”, in 2007 prio un attento studio sulla sua opera ha sapu- cità, finalmente (con)”testuale” di mescolare ciò dimostrandosi l’erede più moderno e diret- to svelare per quello che è: un filtro, una fonti diverse (jazz, canzone, sinfonico) in chia- to del genio assoluto di Giacomo Puccini) si tra- “maschera” dietro la quale Rota celava sofistica- ve significante e profilmica; il secondo immen- sfonde anche nelle collaborazioni zeffirelliane, zioni, astuzie, ribaltamenti e travisamenti da so affresco che regola una volta per tutti i conti soprattutto in Romeo e Giulietta, che non solo autentico illusionista della musica. Sono carat- di Rota con la tradizione operistica e in partico- annovera il love theme forse più struggente di teristiche che hanno avuto modo di emergere lare con Verdi, citato ad ogni battuta ma mai tutta la storia della musica da film ma interioriz- soprattutto nella più popolare e amata fra le palesemente esibito (valzer inedito a parte…). za e per così dire “desatura” anche i riferimenti attività praticate dal compositore, quella di Un rapporto quello con Visconti (si ricordi alla musica rinascimentale, e nella saga del autore di musica cinematografica, in primis per anche Le notti bianche) che permise al musici- Padrino di Coppola: qui tutto è rielaborato e Federico Fellini, di cui Rota è stato a tutti gli sta di ripercorrere a fondo il proprio rapporto rivissuto in una specie di ritorno alle radici, effetti la “voce” primaria e più suggestiva. (…). con il passato, elemento cruciale della sua poe- dalla tradizione operistica agli studi classici, dal- Da sempre è mia opinione che il capitolo felli- tica. Ed è anche il Rota cinematografico meno l’amatissimo Sud (il milanese Rota era di fatto niano non costituisca che una parte, e non conosciuto quello che rivela altre sorprese, pugliese-partenopeo d’adozione) alle canzoni necessariamente la più importante né artistica- come Il maestro di Vigevano di Petri o L’isola degli emigranti, dalla musica “d’ambiente” al mente decisiva, di questa produzione: sempli- di Arturo di Damiani: partiture spesso rarefatte, più toccante e nostalgico lirismo. cemente perché il monolitismo poetico dell’u- sardoniche, stilizzate, ben lontane sia dalla Non c’era posto, in Rota, per elaborazioni intel- niverso felliniano si frantumava, musicalmente, ridondanza neoromantica viscontiana che dalle lettualistiche o sovrastrutture teoriche; d’al- in una serie di richieste pulviscolari, parcellizza- smorfie marionettistiche felliniane. Illuminanti tronde egli non era affatto un musicista “istinti- te, volutamente dispersive, che condussero anche certe collaborazioni straniere o in copro- vo” ma lucidamente artigianale e costruttivo, Rota a prodursi in quella straordinaria – ma sti- duzione, come il pochissimo noto La monta- quasi l’alfiere di uno strutturalismo alla rove- listicamente univoca – galleria di “situazioni” gna di cristallo (di Henry Cass e Edoardo scia, dove la molteplicità infinita degli elementi che vanno dal celeberrimo Tema di Gelsomina Anton), vero tripudio di reminiscenze rachma- che costituiscono “l’insieme” della sua poetica (mutuato da una Serenata di Dvorak) per La ninoviane, o il Waterloo di Bondarciuk, sapien- si scambiano e s’intrecciano continuamente di strada fino alla fanfaretta della passerella finale te esercizio kolossal, o partiture più sofisticata- ruolo, rifiutando una unitarietà ed un’omoge- di Otto e mezzo («grossa occasione di assem- mente sommesse come Delitto in pieno sole di neità impoverenti, monotematiche in favore di blaggio musicale del dèjà entendu», per usare René Clement e il drammatico La rinuncia di una ribollente, incessante e felice contradditto- la felice definizione di Ermanno Comuzio): que- Anthony Harvey, o infine la capacità di trasfor- rietà creativa. st’ultima in realtà gravida di un sottinteso, stri- mare in occasioni di radioso kitsch sinfonico e Alain Resnais: il laboratorio delle immagini DI Roberto Zemignan Per quanto riguarda gli omaggi istituzionali al tro, americano, è Orson Welles). nel suo cinema, è la predilezione per l’universo cinema d’autore, finalmente l’inverno 2006- Già i cortometraggi, nati su commissione, in fantastico, un misto di immaginario “spinto” e 2007 ha onorato l’opera di Alain Resnais. occasione di commemorazioni o per volontà di realtà consueta, una sorta di realismo magico Vincitore con Cuori (2006) di un ulteriore associazioni culturali, dimostrano tutti, anche tutto iconografico (basti pensare a La vita è un Leone a Venezia per la regia (il primo quello se in misura diversa, l’interesse manifestato romanzo, 1983, in cui la storia si articola a tre d’oro, per L’anno scorso a Marienbad, risale al immediatamente da Resnais nell’usare il lin- livelli: passato, presente e una favola di ambien- Anno XXI, n. 2 febbraio 2007 1961), l’infaticabile regista francese (classe guaggio cinematografico per investigare gli altri tazione medievale) che l’ha portato a creare Autorizzazione Tribunale di Venezia 1922) è stato celebrato con diverse retrospetti- linguaggi artistici, mettendo in evidenza alcune capolavori quali Voglio tornare a casa! (1989), n. 1070 R.S. del 5/11/1991 ve presentate in varie città e con un convegno costanti tematiche. Una di queste, quella che dove il cinema dialoga con il mondo dei fumet- DIRETTORE RESPONSABILE Roberto Ellero internazionale di studi all’interno del ciclo dedi- l’ha reso immediatamente celebre e l’ha porta- ti o Parole, parole, parole... (1997), rivisitazio- cato a “Lo sguardo dei maestri”. In effetti l’inte- to ad occupare un posto nell’olimpo cinemato- ne della commedia musicale attraverso il princi- Mensile edito dal Comune di Venezia resse per il suo cinema (una ventina di lungo- grafico è la riflessione sul tempo, nella dimen- pio – tutto moderno – della contaminazione Ufficio Attività Cinematografiche metraggi e una decina fra corto e mediome- sione della memoria. Il suo cinema ha sondato dei linguaggi. E il penultimo film, Non sulla traggi, tutti – o quasi – considerati altrettanti le tracce memoriali che si sedimentano nelle bocca (2003) arriva a mettere in scena un’ope- REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE capolavori) nasce dalla cifra autoriale che lo pieghe del vissuto, sia che si tratti delle onde retta del 1925 in cui la recitazione dei protago- Palazzo Mocenigo, San Stae 1991 contraddistingue: la sperimentazione del lin- sismiche propagate dagli eventi bellici che nisti, così come alcune soluzioni di regia, non