DOTTORATO DI RICERCA IN

Storia dell’arte e storia dello spettacolo

CICLO XXVI

COORDINATORE Prof. Maria Grazia Messina

Il Duomo di Massa Marittima nel Medioevo

Settore Scientifico Disciplinare L-ART/01

Dottorando Tutore Dott. Calamini Raffaella Prof. Tigler Guido

______(firma) (firma)

Coordinatore Prof. Messina Maria Grazia

______(firma)

Anni 2011/2013

I miei più sentiti ringraziamenti vanno a Bianca Maria Aranguren (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana), Riccardo Belcari, Luana Berrettini (Biblioteca Comunale di Massa Marittima), Giovanna Bianchi, Gianluca Camerini (Archivio Vescovile di Massa Marittima), Andrea De Marchi, Giulia Galeotti, Lorenzo Marasco, Giovanni Mariano (Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Siena e Grosseto), Matteo Mazzalupi, Marco Paperini, Roberta Pieraccioli (direttrice del Museo d’Arte Sacra di Massa Marittima), Gianna Tinacci (Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Siena e Grosseto), don Sergio Trespi (parroco di San Cerbone), Emanuele Zappasodi. Desidero inoltre ringraziare la mia famiglia, i miei amici e Giovanni.

Le abbreviazioni nel testo andranno sciolte nel seguente modo:

ACM = Archivio Comunale di Massa Marittima ASF = Archivio di Stato di Firenze ASS = Archivio di Stato di Siena AVM = Archivio Vescovile di Massa Marittima SBAPSI = Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Siena e Grosseto SBSAE = Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Siena e Grosseto

Indice

Introduzione

1) Profilo storico Populonia, la prima sede diocesana: le origini, i vescovi e la cattedrale Il trasferimento della sede episcopale a Suvereto Massa Marittima in epoca prevescovile Massa Marittima sede diocesana L’affermazione del Comune, la costruzione di Città Nuova e i rapporti con e Siena

2) Il Duomo di San Cerbone Letteratura critica I precedenti Descrizione Materiali L’esterno Facciata Fianco sinistro Fianco destro Cupola Abside Campanile L’interno Controfacciata Navata centrale Navata sinistra Navata destra

3) La fase romanica La prima fase Il portale La seconda fase La differente decorazione dei fianchi La terminazione, la copertura e il presbiterio rialzato dell’antica chiesa L’arredo interno Conclusioni

4) La cattedrale tra il Duecento e i primi decenni del Trecento Gli interventi precedenti l’ampliamento della cattedrale La decorazione della cupola Il fonte battesimale di Giroldo da Como Altre opere massetane di Giroldo da Como La fase gotica L’ampliamento dell’edificio e il completamento della facciata Gli interventi nelle navate Il nuovo arredo presbiteriale

5) Gli interventi trecenteschi e quattrocenteschi Le pitture Le sculture Le vetrate Le oreficerie

6) Gli interventi dal Cinquecento a oggi

Apparati Schede delle opere nella cattedrale Schede delle opere nel Museo d’Arte Sacra provenienti dalla cattedrale

Bibliografia

Introduzione

Tra i monumenti romanici più significativi della Toscana, il Duomo di San Cerbone di Massa Marittima manca di uno studio monografico moderno che analizzi l’edificio nell’avvicendarsi delle sue fasi costruttive e nel rapporto tra architettura e decorazione, tra arredo interno e organizzazione dello spazio liturgico. Sebbene validi e recenti studi dedicati alle singole componenti del monumento ne abbiano messo in evidenza la rilevanza nell’architettura medievale toscana, sottolineando la qualità del suo apparato decorativo e l’importanza delle personalità artistiche coinvolte – da Giroldo da Como a Goro di Gregorio, da Giovanni Pisano a Duccio di Buoninsegna –, a tutt’oggi i due principali studi sulla città e sulla cattedrale rimangono i testi di Luigi Petrocchi (1900) e di Enrico Lombardi (1966), trattazioni lodevoli per volontà di completezza, ma connotati dal breve respiro connaturato all’erudizione locale. Dalla volontà di colmare un simile vuoto storiografico nasce questa tesi di dottorato, condotta in continuità con il mio precedente percorso universitario, rivolto principalmente allo studio del Romanico toscano. La ricerca si è avvalsa, oltre che dello studio della letteratura specifica e dell’analisi autoptica dell’edificio, della consultazione di molto del materiale documentario conservato nell’Archivio Comunale e nell’Archivio Vescovile della città e nell’Archivio di Stato di Siena, che ha reso possibile la scoperta di alcune novità sui vari cambiamenti subiti dall’arredo interno della cattedrale. Il testo si articola in sei capitoli. Il primo presenta un breve profilo storico, concentrato sul trasferimento della seda vescovile da Populonia a Massa Marittima e sulle vicende della città nei secoli che videro l’edificazione, in più fasi, della cattedrale. Il secondo capitolo, corredato da un ampio apparato fotografico a cui viene fatto riferimento nelle successive parti del testo, è riservato alla descrizione dell’edificio in ogni sua singola parte. Nel terzo si affronta il problema della genesi del monumento e della sua costruzione romanica, nella quale si individua per la prima volta l’attività di tre differenti maestranze. All’ampliamento di fine Duecento e alla realizzazione del prestigioso arredo interno che seguì la ridefinizione dell’area presbiteriale è dedicato il quarto capitolo, cui segue, nel quinto, l’analisi della decorazione tre e quattrocentesca della cattedrale, in gran parte ancora inedita. Nell’ultimo capitolo vengono illustrate le varie modifiche subite dall’edificio in epoca moderna, la cui conoscenza è indispensabile per la comprensione dell’aspetto primitivo del monumento. Segue un

1 apparato di schede dedicate alle singole opere realizzate per la cattedrale, la maggior parte ancora in loco ed altre ricoverate nel Museo d’Arte Sacra della città.

2 1. Profilo storico

Populonia, la prima sede diocesana: le origini, i vescovi e la cattedrale

Le travagliate vicende della sede diocesana, situata in origine a Populonia, e i suoi successivi trasferimenti sono ormai cosa nota, grazie soprattutto ai numerosi e recenti studi che hanno chiarito molte delle questioni più problematiche. Il ricordo dell’antico centro costiero da cui Massa ereditò in epoca medievale il titolo di sede episcopale si è conservato nella sua intitolazione (Diocesi di Massa e Populonia) fino al 1978, data del passaggio all’attuale denominazione (Diocesi di Massa Marittima e Piombino). Unico insediamento etrusco sul mare, l’antica città di Populonia era situata sul promontorio di Piombino, distante da Massa una quarantina di chilometri ad ovest. 1 Dalle prime campagne di scavo della metà dell’800 ad oggi la ricerca archeologica ha riportato alla luce numerose tombe, oggetti metallici, ceramiche, tracce di insediamenti abitati, databili a partire dall’Età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.) fino all’età romana imperiale, incluso un tempio di grandi dimensioni riferibile al II secolo a.C. 2 La strategica posizione sulla costa e il controllo sulle miniere metallifere del Campigliese e della vicina Isola d’Elba sono le principali ragioni dell’importanza economica della città, che dovette perdurare almeno fino al I secolo a.C., dato che in seguito alla guerra sociale (91-88 a.C.) a Populonia venne istituito un municipium .3 Al pari di altri centri dell’Etruria settentrionale, la città sostenne Mario nella guerra civile e venne di conseguenza assediata dall’esercito di Silla, subendo presumibilmente una parziale distruzione. Quello che pochi decenni più tardi ci consegna il geografo greco Strabone è infatti il ritratto di una città semiabbandonata, ove non sopravvivono che i templi e poche altre costruzioni; in quell’epoca la popolazione si concentra nell’area portuale. 4 Simile è la condizione di abbandono riportata da Rutilio Namaziano all’inizio del V

1 Sulla storia della città vedi: F. FEDELI , 1983; F. FEDELI , A. GALIBERTI , A. ROMUALDI , 1993; S. GELICHI , 1996, p. 39; G. CAMPOREALE , 2004, pp. 365-372. 2 G. CAMPOREALE , 2004, p. 366; F. FEDELI , A. GALIBERTI , A. ROMUALDI , 1993, pp. 13-19. 3 L’istituzione del municipium trova conferma in alcune epigrafi (F. FEDELI , 1983, p. 155; S. GELICHI , 1996, p. 39). 4 STRABONE , (1988), pp. 97-98 (V, 2.6). 3 secolo: in mezzo alle macerie il poeta romano riconosce dell’antica cittadina solamente le mura. 5 Nonostante le deprimenti descrizioni, all’inizio del VI secolo Populonia è documentata quale sede episcopale. Un Asellus episcopus ecclesiae Populoniensis è infatti tra i partecipanti di due sinodi romani di papa Simmaco il 23 ottobre e il 6 novembre del 502, circostanza che prova l’esistenza di una chiesa già strutturata; lo stesso Asello è presente al sinodo di papa Gelasio I del 13 marzo 495, dove viene però menzionato senza specificare di quale diocesi è vescovo. 6 Nessuna notizia anteriore a tale data ci è pervenuta, ma è stato supposto che l’origine della diocesi sia da collocare nel IV secolo, dopo la pace costantinana e all’interno dell’opera di evangelizzazione della Tuscia partita nel I secolo da Roma e rivolta in particolare alle città di una qualche rilevanza commerciale o politica, in quanto considerate ideali centri di propagazione della nuova fede. 7 Il secondo vescovo noto dopo Asello è Cerbone, santo titolare della cattedrale massetana. 8 Due sono le fonti principali utili per ricostruirne la storia: il capitolo XI del libro III dei Dialoghi di Gregorio Magno (593-594) 9 e la Vita Sancti Cerbonis , nota attraverso due redazioni. 10 Quest’ultima, formatasi secondo studi recenti alla fine dell’XI secolo e stilata all’inizio del XII, 11 dipende strettamente, oltre che da Gregorio Magno, dalla Passio Sancti Reguli ,12 la cui composizione è stata recentemente collocata

5 “ Proxima securum reserat Populonia litus, qua naturalem ducit in arva sinum. Non illic positas extollit in aethera moles lumine nocturno conspicienda pharos, sed speculam validae rupis sortita vetustas, qua fluctus domitos arduus urguet apex, castellum geminos hominum fundavit in usus, praesidium terris, indiciumque fretis. Agnosci nequeunt aevi monumenta prioris, grandia consumpsit moenia tempus edax. Sola manent interceptis vestigia muris, ruderibus latis tecta sepulta iacent. Non indignemur mortalia corpora solvi: cernimus exemplis oppida posse mori .” (C. R. NAMAZIANO , De reditu suo , I, vv. 401-414): per il commento e la traduzione dei versi consulta A. F O, 2003, pp. 257-270. 6 G. GARZELLA , 2005, p. 137. I sinodi sono stati datati con esattezza al 502 da G. B. PICOTTI , 1958, II, pp. 763-766. In alcuni studi il vescovo è chiamato erroneamente Atello (F. ORLANDI , 1732, p. 1408; A. CESARETTI , 1784, p. 7; G. CAPPELLETTI , 1862, pp. 681, 724). 7 S. SODI , M. L. CECCARELLI LEMUT , 1996, pp. 9-56; G. GARZELLA 2005, pp. 137-139. 8 Recenti studi hanno infatti espunto la figura di San Fiorenzo, presunto predecessore di Cerbone, dalla cronotassi dei vescovi populoniesi, in quanto non documentanto storicamente ma conosciuto solo attraverso la leggenda agiografica del suo successore. In particolare Gabriella Garzella (G. GARZELLA , 1991, pp. 1-21), sulla scorta di un nuovo esame dei documenti, ha ricostruito la corretta successione dei vescovi di Populonia, correggendo i vari errori presenti nelle liste compilate precedentemente (F. UGHELLI , 1647, coll. 783-812; I. UGURGIERI AZZOLINI , I, 1649, pp. 213-215; A. CESARETTI , 1784, pp. 7- 74; G. CAPPELLETTI , 1862, pp. 681-709, 724-726; S. GALLI DA MODIGLIANA , I, 1871, pp. 92-123, 165- 173, 197-213, 335-359; P. B. GAMS , 1873-1886, pp. 755-756; F. LANZONI , 1927, pp. 554-558). 9 Gregorii Magni ..., (1924), pp. 156-159. 10 La prima redazione, ovvero la trascrizione di Uberto Benvoglienti del testo di un antico manoscritto senese, è riportata in F. UGHELLI , III, 1718, coll. 703-709; la seconda è edita in Acta Sanctorum ..., 1785, pp. 96-101. 11 E. SUSI , 2005, pp. 61-65. Ulteriori studi sui racconti agiografici di San Cerbone e del santo a lui legato, Regolo, sono: P. CONTE , 1978, pp. 235-260, e M. SIMONETTI , 1981, pp. 107-130. 12 Acta Sanctorum ..., 1746, pp. 229-240. 4 in un momento successivo alla traslazione a Lucca delle reliquie del santo dalla chiesa di San Regolo in Gualdo (781). 13 La narrazione di Gregorio Magno inizia durante la guerra greco-gotica (533-553 circa), con la cattura da parte di Totila, re degli Ostrogoti, di Cerbone, vescovo di Populonia, colpevole di aver offerto ospitalità a soldati bizantini. 14 Portato a Roma dove è in corso l’assedio ostrogota, il santo viene condannato dal re a essere pubblicamente dato in pasto a un orso, ma una volta presentato alla belva questa gli lecca i piedi invece di divorarlo, con grande stupore degli astanti: Totila si convince così a lasciarlo libero. Tornato a Populonia, Cerbone è costretto ad una precipitosa fuga all’Elba a causa dell’invasione longobarda. Nell’isola il vescovo trascorre gli ultimi anni della sua vita; all’avvicinarsi della propria morte egli chiede ai suoi chierici di essere seppellito a Populonia, dove aveva preparato il proprio sepolcro. Essendo la città ancora occupata dai Longobardi, che si spinsero oltre gli Appennini intorno al 575, i chierici esitano timorosi, ma egli li intima di procedere senza paura. Il desiderio viene soddisfatto: dopo aver miracolosamente evitato una tempesta durante il tragitto marino, il corpo di Cerbone viene trasportato a Populonia e ivi sepolto. La Passio Sancti Reguli , altro testo importante per la genesi della successiva Vita Sancti Cerbonis , narra invece le gesta dell’arcivescovo africano Regolo, il quale, abbandonata l’Africa in seguito alle persecuzioni degli Ariani sotto il re Unerico (484-497), parte via mare per la Tuscia accompagnato da due vescovi (Felice e Cerbone), tre presbiteri e due diaconi. 15 Durante il viaggio una terribile tempesta mette a repentaglio la nave che li trasporta, ma le preghiere del santo consentono all’imbarcazione di arrivare sana e salva a destinazione. Una volta in Tuscia, Regolo sceglie una vita eremitica, ma la sua fama di santità si diffonde fino a giungere al re degli Ostrogoti, Totila, il quale manda dei messi per convocarlo al suo cospetto. Trovato grazie alle indicazioni di una pastorella, l’eremita si rifiuta di seguire gli inviati del re, che lo decapitano. Il santo raccoglie la propria testa e si allontana, per essere poi raggiunto da Felice e Cerbone, avvisati della morte dell’arcivescovo da un angelo; ai due vescovi Regolo indica il luogo prescelto per la propria sepoltura. La prima parte della Vita Sancti Cerbonis riporta in maniera molto simile gli stessi fatti narrati nella Passio , aggiungendo il particolare dei genitori di Cerbone che affidano il

13 E. SUSI , 2005, pp. 36-49. 14 Il capitolo dei Dialoghi riguardante San Cerbone, da cui sono tratte le successive notizie, è riportato anche in C APPELLETTI , 1862, pp. 681-683. 15 Il seguente racconto è tratto da Acta Sanctorum Septembris , 1746, pp. 229-240. 5 figlio a Regolo. 16 Segue il racconto dell’imprigionamento del santo da parte di Totila, tratto dai Dialoghi di Gregorio Magno. Si passa in seguito alla parte ‘nuova’ del testo: liberato da Totila, Cerbone ritorna a servire la chiesa di Populonia sotto la guida del vescovo Fiorenzo, e alla morte di quest’ultimo viene scelto come suo successore, carica che accetta dopo un iniziale rifiuto. Poiché una grazia divina lo rende in grado di udire i cori angelici all’alba, Cerbone comincia a celebrare la santa messa domenicale prima del sorgere del sole, provocando così numerose lamentele. Gli abitanti dei villaggi vicini, che a causa della distanza sono in grado di arrivare a Populonia solo a messa conclusa, presentano infatti una protesta al papa in carica, Vigilio, il quale convoca Cerbone a Roma. Durante il tragitto verso la sede papale i messi inviati a Populonia dal pontefice, che si erano precedentementi rifiutati di consumare un pasto con Cerbone e i suoi chierici, sono tormentati da una terribile sete; chiesto aiuto al vescovo, questi li salva chiamando due cerve a dissetarli col loro latte. Nel corso del viaggio Cerbone guarisce tre malati di febbre incontrati sulla strada e, per non presentarsi a mani vuote davanti al papa, comanda a uno stormo di oche di accompagnarlo. Giunto al cospetto del pontefice lascia liberi i volatili e quest’ultimo, colpito dal racconto dei vari prodigi compiuti dal vescovo, si reca con lui sulla tomba di San Pietro, dove gli spiega il motivo della sua chiamata. In risposta alle accuse degli abitanti di Populonia Cerbone chiede al papa di passare con lui in preghiera la notte precedente la domenica; al sorgere del sole, recitate le lodi mattutine, il vescovo prende la mano destra di Vigilio e pone il proprio piede sul suo: in tal modo il pontefice riesce ad udire i cori angelici. Il papa proclama dunque l’innocenza di Cerbone e stabilisce che da quel momento in avanti anche in San Pietro si celebrerà la messa antelucana. La Vita Sancti Cerbonis si conclude col racconto gregoriano della fuga all’Elba e della miracolosa tumulazione del corpo a Populonia. Tra i numerosi elementi leggendari presenti nel racconto agiografico del santo spicca in particolare la sua origine africana. 17 Alcuni dati interni alla narrazione di Gregorio, ovvero la cattura di Totila, da collocare agli anni della prima conquista di Roma tra la fine del 546 e il 547, 18 e l’invasione longobarda di Populonia, generalmente datata al 570 ma forse da posticipare di qualche anno, 19 permettono di inquadrare cronologicamente la vita di Cerbone e di situare verosimilmente la sua morte negli anni

16 La seguente narrazione è tratta dalla trascrizione in F. UGHELLI , 1718, coll. 703-709. 17 Su questo tema vedi C ONTE (1978) e S USI (2005). 18 G. GARZELLA , 1991, pp. 2-3. 19 P. M. CONTI , 1973, pp. 78-81. 6 ‘80 del VI secolo; 20 non si potrà non rilevare che la narrazione presuppone un episcopato e una vita molto lunghi, accettabili da un punto di vista agiografico, meno da un punto di vista storico. L’invasione longobarda è il primo duro colpo alla diocesi populoniese, che impiegherà diverso tempo per riprendersi. Nel 591, terminus ante quem per la morte di Cerbone, le condizioni sono preoccupanti: come si deduce da una lettera di papa Gregorio Magno, la chiesa di Populonia è sacerdotis officio destitutae, ut nec poenitentia decentibus ibidem nec baptisma possit praestari infantibus ; il destinatario della missiva, il vescovo Balbino di Roselle, è esortato dal pontefice a fare visita alla chiesa e a nominarvi un presbitero, due diaconi e tre preti per le parrocchie suffraganee. 21 La sede episcopale viene ripristinata entro il 649, data della partecipazione del vescovo di Populonia Mariniano al sinodo di papa Martino I. 22 Sono noti i nomi di altri due vescovi in carica nell’VIII secolo: Sereno, presente a un sinodo di papa Agatone nel 27 marzo 680, e Pietro, che nell’aprile 769 figura tra i partecipanti di un sinodo di Stefano II. 23 La localizzazione della chiesa cattedrale populoniese è ad oggi ancora incerta: nel corso dei secoli si sono succedute ipotesi diverse, che l’hanno volta volta identificata in resti di edifici ubicati in punti differenti. La prima citazione di un edificio sacro viene generalmente rintracciata nel passo dei Dialoghi di Gregorio Magno dove Cerbone chiede di essere seppellito in ea namque Populonii aecclesiae cui praeerat , dove sepulchrum sibi preparavit .24 Tuttavia, come sottolinea Gelichi, poiché a quell’altezza cronologica non era ancora diffusa la consuetudine di seppellire i vescovi all’interno della cattedrale, il termine aecclesia potrebbe avere il significato di ‘diocesi’, ed il luogo di inumazione del santo potrebbe non coincidere con la chiesa episcopale. 25 Pure Redi considera verosimile l’eventualità che la sepoltura sia stata effettuata in un posto differente, anche per impedirne la profanazione, dato che la città era ancora sotto il controllo dei Longobardi. 26 Anche se rimane sconosciuto il primo luogo dove riposarono i resti del santo, sembra plausibile che non si trovasse lontano della costa, sia perché in una tale situazione di pericolo il seppellimento non dovrebbe essere avvenuto troppo distante dal punto di approdo dell’imbarcazione dei chierici, 27 sia per un indizio

20 G. GARZELLA , 1991, p. 3 n. 8. 21 G. CAPPELLETTI , 1862, pp. 680-681; P. F. KEHR , III, 1908, p. 269 n. 1. 22 G. GARZELLA , 1991, p. 4. 23 G. GARZELLA , 1991, pp. 4-5 24 Gregorii Magni dialogi , 1924, p. 158. 25 S. GELICHI , 1996, p. 45. 26 F. REDI , 1996, pp. 53-82: 63. 27 F. REDI , 1996, p. 63. 7 presente in un passo della Vita Walfredi ,28 dove l’autore, per quantificare la distanza del monastero di San Pietro di Monteverdi dal mare, fa riferimento al portu, qui Populonius dicitur, ubi corpus quiescit humatum sancti Ceruonii confessoris et pontificis .29 In ogni caso, ovunque si trovassero in precedenza, le spoglie del santo lasciarono il luogo della prima sepoltura per seguire dal IX secolo i successivi spostamenti della sede diocesana. 30 Nella ricerca della localizzazione dell’antica chiesa episcopale particolare importanza è stata data ad alcuni ruderi un tempo visibili sulla costa e descritti dal frate domenicano Agostino del Riccio (1541-1598), che ne indicava l’appartenenza a una chiesa intitolata a San Giuliano. 31 Giovanni Targioni Tozzetti, il quale riporta la descrizione del frate, aggiunge poi altre informazioni riferitegli dal suo compagno di viaggio Zanobi Pomi. 32 Le rovine di questa chiesa, presumibilmente a tre navate o dotata di una cripta a oratorio o di un portico data la presenza di numerose colonne tra i ruderi, sono ormai scomparse: l’ipotesi di Redi di collegare ad esse una struttura a cassone in laterizi e arenaria, rinvenuta sulla spiaggia ad ovest del porto di Baratti, 33 è caduta in seguito ai risultati degli scavi condotti sulla battigia. 34 Lo studioso suggeriva inoltre di identificare la chiesa perduta con la prima cattedrale populoniese, la quale, in un momento imprecisato, avrebbe cambiato la sua originaria intitolazione alla Vergine 35 a quella a San Giuliano; 36 altri invece vi riconoscono l’antica pieve di Porto Baratti, la cui prima attestazione è rintracciabile nel 1298 nella lista degli enti che devono versare le decime alla diocesi di Massa. 37 Lo stesso Redi aveva inizialmente proposto di identificare nei ruderi di un altro edificio a pianta rettangolare, situato sul Poggio di Castello e non distante dal porto di Baratti, i resti di una presunta seconda cattedrale, a suo parere trasferita nei secoli V-VII in

28 Vedi nota 51 più avanti nel testo. 29 H. MIERAU , 1991, p. 58. 30 E. SUSI , 2005, pp. 48-49, nn. 136-137. 31 “Vedonsi altresì le rovine d’una Chiesa già dedicata a S. Giuliano, le di cui colonne atterrate sono ricoperte dall’Aliga, e altri rigetti del Mare, come riferisce F. Agostino del Riccio Domenicano, in un suo Trattato delle Pietre MSS. nella mia Libreria” (G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 192). 32 Sul fondale del porto di Baratti “sono moltissimi Capitelli di Colonne, ed anche Colonne, Cornici, e Lastre di Marmo, che ben si distinguono sott’acqua, particolarmente nel tempo del reflusso” (G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 193). 33 F. REDI , 1996, pp. 57-58. 34 F. REDI , A. FORGIONE , 2004-2005, p. 210. 35 In un passo della Vita Sancti Cerbonis la chiesa di Populonia è citata infatti come “ecclesia beatae Dei Genitricis Mariae ” (Acta Sanctorum ..., 1785, p. 97). 36 F. REDI , 1996, p. 61. 37 “Plebes de Porcubaractoli” ( Rationes decimarum... , 1932, p. 149). 8 posizione più elevata per motivi di sicurezza. 38 Già Antonio Minto, autore di scavi nella zona nel secondo decennio del secolo scorso, basandosi su una tradizione locale aveva individuato in questi i resti dell’antica chiesa di San Cerbone, ovvero, si presume, della primitiva cattedrale; 39 ai medesimi ruderi doveva riferirsi anche Agostino Cesaretti quando, trattando dei primi vescovi della diocesi, localizzava “la chiesa di Populonia (…) quasi sopra la spiaggia del mare, dove si riconoscono ancora le sue vestigie, in cima del porto Baratto, ora detto Baratti”. 40 Alcuni scavi effettuati nel 1998-1999 sotto la supervisione dello stesso Redi e di Riccardo Francovich hanno invece rivelato che si tratta dei residui di una costruzione post-tridentina che non presenta fasi più antiche. 41 Gli storici hanno posto l’attenzione anche su un terzo edificio, vale a dire la cappella dedicata a San Cerbone oggi ubicata a picco sul mare a est del porto. Nelle sue strutture attuali il piccolo edificio a aula unica risale al Settecento, ma presenta due frammentari bassorilievi, datati all’VIII-IX secolo, 42 e alcuni grossi conci rifiniti e squadrati, riferibili al XII o al XIII, 43 reimpiegati nella muratura. Per Gelichi l’attuale cappellina sarebbe stata innalzata sul luogo di un più antico edificio, visibile in pianta su una planimetria del 1589 riprodotta in copia nel 1797, 44 dove è rappresentato orientato est-ovest e corredato da una torre campanaria a sud; la costruzione sarebbe inoltre identificabile, secondo lo stesso studioso, con la chiesa di San Giuliano menzionata da Agostino del Riccio. Di simile opinione è Giulio Ciampoltrini, che collega l’edificio raffigurato sulla pianta a una chiesa di San Cerbone “lungo la marina e rovinata à fatto”, nominata in una lettera del 1566 scritta da Giovanni Cervoni a Cosimo I dei Medici:45 la dedicazione al vescovo populoniese prova a suo parere l’inattendibilità della singolare intitolazione a

38 F. REDI , 1996, pp. 61-62. 39 “A nord del ripiano, ora esplorato, sotto il castello, verso il porto di Baratti, si scorgono i resti di una tarda costruzione rettangolare, che i terrazzani indicano per le vestigia di dell’antica chiesa di San Cerbone; e la località prende il nome di ‘S. Cerbone vecchio’, per distinguerla dalla chiesetta del porto, di recente costruzione, che pure s’intitola al primo vescovo di Populonia.” (A. MINTO , 1914, pp. 411-418: 416.) 40 A. C ESARETTI , 1784, pp. 8-9. 41 F. REDI , A. FORGIONE , 2004-2005, pp. 203-227. Poco distante dalle rovine del grande edificio sono stati ritrovati i resti di una piccola cappella gentilizia, databile al medesimo periodo. 42 S. GELICHI , 1996, pp. 47-48. Sui rilievi vedi anche R. BELCARI , 2003, p. 126. 43 R. BELCARI , 2009, pp. 84-85. 44 S. GELICHI , 1984, p. 345; S. GELICHI , 1996, pp. 46-47. La pianta, già nell’Archivio Arcivescovile di Siena, è pubblicata in G. CIAMPOLTRINI , 2003, p. 158. 45 Cervoni si era recato a Populonia per visitarne le rovine; la lettera (ASF, Mediceo del Principato, 522, c. 879), è pubblicata in G. CIAMPOLTRINI , 2003, p. 155. Degli stessi anni è la descrizione di Leandro Alberti (L. ALBERTI , 1581, pp. 31-32), basata sulla testimonianza dello scultore Zaccaria Zacchi: si citano tracce di mura e di un anfiteatro, pozzi, una fontana e “assai altri vestigi di edifici”. Dagli scritti dello studioso scozzese Thomas Dempster, compilati alla fine del secondo decennio del ‘600 ma pubblicati il secolo successivo, si apprende che all’inizio del XVII delle rovine citate dall’Alberti non rimaneva niente (“Hodie certe praeter nomen, & oppidulum pastorale, nihil omnino restat”. Thomae Dempster..., 1723, p. 58). 9 San Giuliano riportata da Agostino del Riccio. 46 Redi al contrario rigetta l’identificazione tra la chiesa citata da Targioni Tozzetti e l’edificio sulla pianta, non solo perché in quest’ultima costruzione, monoabsidata e suddivisa in due ambienti, non paiono trovare spazio le colonne citate da Agostino del Riccio, ma anche perché questi si riferiva a un complesso in quegli anni già in gran parte distrutto, non riproducibile con tanta esattezza su una cartina.47 Propone invece di riconoscere le tracce di questa piccola costruzione in alcune strutture murarie parallele al muro perimetrale occidentale del recinto della cappellina e appartenenti a due diversi epoche, X-XI e XI-XII secolo, riportate alla luce da scavi recenti (aprile-maggio 2006).48 In conclusione, sembra possibile ipotizzare l’esistenza di cinque edifici sacri differenti, presenti nella zona in epoche diverse: una prima costruzione, provvista di colonne, ubicata nei pressi della spiaggia e pressochè distrutta nella seconda metà del ‘500, quando è ricordata la sua dedicazione a San Giuliano; un secondo edificio, intitolato forse a San Cerbone, citato in una lettera di Giovanni Cervoni e visibile in una pianta del 1589; una terza chiesa, di epoca post-tridentina e situata nell’area di Poggio Castello, di cui sopravvivono pochi resti; una cappella gentilizia, poco distante da questa e databile al medesimo periodo; infine la cappellina di San Cerbone, attualmente esistente a picco sul mare. Non sappiamo se il primo di questi edifici, del quale non è stata rinvenuta finora alcuna traccia materiale, fosse stato edificato in epoca tardo antica e fungesse originariamente da cattedrale. E’ comunque necessario precisare che l’idea di chiesa vescovile in quanto edificio specifico, creato appositamente per tale scopo, non era ancora delineata nell’Alto Medioevo: si trattava in realtà di “un concetto e un complesso istituzionale”, identificabile volta volta con la chiesa legata al vescovo in carica, e quindi non necessariamente coincidente con l’edificio che nei secoli successivi si stabilì come ‘cattedrale’. 49

46 G. CIAMPOLTRINI , 2003, p. 157. 47 F. REDI , 1996, p. 58. 48 A. FORGIONE , F. REDI , 2008, pp. 215-226. Redi abbandona così l’iniziale ipotesi di identificare le tracce della chiesa sulla cartina con alcuni resti architettonici sotterranei rinvenuti a 200 metri di distanza dell’attuale cappellina di San Cerbone (F. REDI , 1996, pp. 59-60). 49 C. VIOLANTE , 1993, pp. 11-14: 12. 10 Il trasferimento della sede episcopale a Suvereto

Il IX secolo si rivela ben presto nefasto per la città: nell’809 Populonia viene attaccata dai “Graecis qui Orobiotae vocantur ”50 e poi dai pirati Mauri (saraceni). 51 L’entità dei danni arrecati dalle due invasioni e quanto questi abbiano inciso sulla successiva decisione di trasferire la sede diocesana sono ancora oggetto di discussione. Se la critica tradizionale ha generalmente associato gli attacchi nemici allo spostamento della diocesi, secondo un apparentemente lineare rapporto di causa-effetto, ad un’analisi più attenta il fenomeno si presenta molto più complesso. Non è tuttora chiaro, ad esempio, quando esattamente questo spostamento abbia avuto luogo: i primi due vescovi noti per il IX secolo, Guriperto (presente il 15 novembre dell’826 a un sinodo romano di Eugenio II) 52 e Odalperto (tra i partecipanti del sinodo di Leone IV, l’8 dicembre 853), 53 sono ancora semplicemente qualificati quali vescovi di Populonia, senza alcun riferimento a un passaggio di sede. Solo a partire dal 861 i documenti rivelano indizi sull’avvenuto trasferimento, che è forse da mettere in relazione, piuttosto, con cambiamenti di natura politica: non è difatti escluso che i vescovi populoniesi si siano spostati verso l’entroterra per accrescere il controllo sui ricchi giacimenti minerari lì presenti, fino a poco tempo prima gestiti dall’enclave lucchese. 54 Nell’861 il presule di Populonia, presente a Roma al sinodo di Niccolò I, è denominato Paulus Corninus episcopus ,55 mentre nell’886 papa Stefano V intima un vescovo Corniensis a non ricevere i chierici della diocesi volterrana. 56 Se l’utilizzo del nuovo nominativo è chiara avvisaglia del trasferimento dell’episcopio populoniese in una nuova sede detta Cornino, non è altrettanto chiaro se con questo toponimo ci si riferisse

50 “In Tuscia Populonium, civitas maritima, a Graecis qui Orobotiae vocantur depraedata est ” (Monumenta Germaniae... , 1826, p. 196). 51 “…gens nefandissima Maurorum ex Mauritania per nave ad portum venerunt Populonium …”. L’invasione è narrata in una fonte contemporanea, la Continuatio della Vita Walfredi , composta da un monaco del monastero di San Pietro in Monteverdi in Val di Cornia e databile ai primi decenni del IX secolo. Il testo a cui si agganciava la Continuatio , la Vita Walfredi , narra le vicende del santo fondatore del cenobio (752-753) e risale probabilmente all’ultimo decennio del secolo VIII (H. MIERAU , 1991, pp. 37-63). Gabriella Garzella ha recentemente supposto che l’assedio dei pirati riportato in questa fonte non sia da identificare, come è stato finora fatto, con l’attacco dell’809 narrato da Eginardo, ma che si tratti al contrario di due eventi distinti (G. GARZELLA , 2005, pp. 137-151; vedi anche S. DEL LUNGO , 2000, p. 15). 52 Monumenta Germaniae ..., 1908, p. 561. 53 G. D. MANSI , XIV, 1769, col. 1020. 54 G. ROSSETTI , 1973, pp. 209-337 E. SUSI , 2005, p. 48. 55 G. D. MANSI , XV, 1770, col. 603. 56 P. EWALD , 1879, n. 2 p. 400. Prima dell’anonimo Corniensis è noto un vescovo di nome Giovanni, presente a un sinodo di papa Giovanni VIII tenutosi a Ravenna nell’877 (G. D. MANSI , XVII, 1772, col. 342): non è in realtà escluso che si tratti della stessa persona. 11 a una specifica località o a una zona più estesa (la bassa valle del fiume Cornia). 57 Nell’aprile 923 la concessione di un livello da parte di Vincluso, il primo degli unici due vescovi noti per il X secolo, 58 viene stilato in “ Kornino, ad ecclesiam sancti Iusti ”: 59 l’intitolazione rimanda alla pieve di Suvereto, documentata anche nel 954, che si trovava originariamente a due chilometri di distanza dall’attuale abitato, nella località chiamata oggi Poggetto e nel Basso Medioevo Pieve Vecchia .60 Alla fine del XII la pieve viene trasferita più vicina alla città, ma comunque all’esterno delle mura, dove si trova l’attuale San Giusto, che porta all’interno un’epigrafe con la datazione 1189 e i nomi dei due artefici Barone di Amico e Bono di Calcisciano.61 Come si evince da un documento del 1071 conservato nell’Archivio Arcivescovile di Lucca, nell’XI secolo Suvereto ospitava presso il castello una chiesa dedicata al santo populoniese (“ castello et curte illa qui esse videtur in comitatum Popoliense dictus Suvereto, cum ecclesia Sancti Cerboni ibi consistente ”), 62 della quale mancano attestazioni successive: Gabriella Garzella ha suggerito la possibilità che la pieve fosse stata traslata proprio in questa chiesa, e che il conseguente cambio di intitolazione sarebbe stato motivato anche dal definitivo spostamento della sede vescovile a Massa Marittima. 63 L’esistenza nell’XI secolo di un edificio dedicato a San Cerbone ben si concilia con la presunta presenza del vescovado e, si presume, delle reliquie del santo populoniese, ma non comporta necessariamente che si trattasse della cattedrale, tanto più che proprio nel documento del 1071 essa risulta di proprietà della famiglia degli Aldobrandeschi, condizione anomala per una chiesa episcopale. 64 La prima attestazione nota della traslazione della sede episcopale a Massa Marittima è una lettera del 1062 di papa Alessandro II, che si rivolge al vescovo di Populonia, Tegrimo, definendolo Massano episcopo .65 Questi, appartenente alla famiglia nobile di

57 M. L. CECCARELLI LEMUT , 1985, pp. 19-74: 21. 58 Il secondo vescovo di cui abbiamo notizia, Guido, è menzionato in un documento del 14 febbraio 979 riguardante la concessione in livello di alcuni beni che si trovano “in loco et finibus Cornino ”; a marzo Guido è già vescovo di Lucca (G. GARZELLA , 1991, p. 8). 59 Edito in A. CESARETTI , 1784, doc. IV pp. 92-93, e, parzialmente, in S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. B p. 174; regesto in A. LISINI , I, 1908, p. 32. 60 M. L. CECCARELLI LEMUT , 1985, p. 23 n. 27. Sullo spostamento della diocesi a Suvereto si veda M. PAPERINI , 2012, pp. 26-29. 61 M. L. CECCARELLI LEMUT , 2004, pp. 1-116: 34; R. BELCARI , 2009, p. 72. 62 Il documento è pubblicato in G. GARZELLA , 2001, pp. 297-320: 318-320. 63 G. GARZELLA , 2001, p. 305. 64 Come messo in evidenza da Riccardo Francovich (L. DALLAI , R. FARINELLI , R. FRANCOVICH , 2005, p. 129 n. 74). 65 Epistolae pontificum... , 1885, n. 74 p. 41; regesto in P. F. KEHR , 1908, n. 3 p. 270. Agostino Cesaretti (1784, p. 32) data intorno al 1180 l’adozione dei vescovi populoniesi del nuovo titolo “di Massa”: l’erudito afferma che “Massa, che in questi tempi principiò ad acquistar qualche nome; giacchè crebbe notabilmente in magnificenza, e grandezza; meritò, che dai Romani Pontefici le fosse accordato, che il 12 Staggia, è già documentato nel 1059, 66 ma con il titolo di vescovo di Populonia, così come il suo predecessore, Enrico, menzionato tra i partecipanti di tre sinodi romani negli anni 1015, 1036 e 1050. 67 Poco dopo la metà dell’XI secolo, dunque, Massa Marittima è già divenuta la nuova sede vescovile.

Massa Marittima in epoca prevescovile

Posta su un promontorio isolato su tre lati, Massa Marittima è oggi una città di circa novemila abitanti sul versante meridionale delle Colline Metallifere, nell’attuale provincia di Grosseto. L’abitato, racchiuso da una cinta muraria ‘ad ali di farfalla’, si espande da ovest a est e si presenta diviso in due parti, in maniera quasi verticale, dalla struttura fortilizia del Cassero (fig. 1.1, 1.2). A occidente di questa sono situate le due aree più antiche, il Borgo e la Città Vecchia, irregolarmente organizzate a nord della piazza dove affacciano il Duomo e il Palazzo Comunale; a oriente si estende la Città Nuova, strutturata a pettine e costruita ex novo nel secondo quarto del Duecento. Al centro, vicino al Cassero, si trova il castello di Monteregio, già residenza dei vescovi massetani. A partire dall’VIII secolo vari documenti sembrano attestare l’esistenza di un centro denominato Massa nella Toscana sud-occidentale, ma ancora si discute su quali debbano essere riferiti alla nostra. Il documento della vendita di alcuni terreni situati nel fondo Cellole, redatto in Massa Maritiba nel 738, 68 è stato citato a volte come la prima attestazione dell’esistenza della città. 69 Altri due atti di vendita, il primo del 16 dicembre 746 rogato in Luca in finibus Massa 70 ed il secondo redatto a Massa Robiani nel 754, 71 vengono generalmente interpretati come ulteriori testimonianze dell’esistenza della nostra cittadina in epoca altomedievale: i documenti mostrano numerosi punti in comune, uno per tutti il nome dell’acquirente, che provano che si tratti della stessa località. Poiché i beni menzionati si trovano in Val di Pecora e in Val di Cornia, la

Vescovo di Populonia fosse chiamato anche col titolo della Chiesa di Massa, cioè Episcopus Populoniae, et Massae …”. 66 Il presule è tra i partecipanti a un sinodo di Niccolò II (G. D. MANSI , XIX, 1774, coll. 912, 920). 67 G. D. MANSI , XIX, 1774, coll. 364, 582, 771. 68 Il documento appartiene al fondo dell’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, confluito nel 1780 nel Diplomatico fiorentino e oggi all’Archivio di Stato di Siena. E’ pubblicato in F. BRUNETTI , Codice diplomatico toscano , I, ... 1806, n. 30 p. 494. 69 Viene riferito a Massa Marittima da E. REPETTI (III, 1839, p. 140), G. VOLPE (1913, pp. 71-72) e F. SCHNEIDER (1975, p. 118 n. 79). 70 Memorie e documenti per servire... , V, 1837, pp. 22-23 n. 35; L. SCHIAPARELLI , I, 1933, doc. 87 pp. 254-256. 71 Memorie e documenti per servire... , IV, p. 82 n. 45. 13 dicitura Luca in finibus Massa è stata letta da alcuni come riferimento all’enclave lucchese nel territorio populoniese;72 a conferma dell’ubicazione di Massa Rubiani nella stessa area Riccardo Francovich ha citato anche altri due documenti, datati agli anni 825 e 829, 73 nei quali alcuni terreni nelle valli dei fiumi Cornia e Pecora sono concessi a un presbiter Ropprando di Freiberto de loco Massa que dicitur Rubbiani . Al 18 aprile 973 risale invece la vendita di alcuni possedimenti del Marchese Lamberto a un prete Ropprando: nella lista dei terreni sono citate le corti di Massa e Massa Minore .74 Il 15 febbraio 989 la vedova di Lamberto, Ermengarda, afferma in un atto di vendita di avere già riacquistato da Ropprando tutti i beni venduti dal marito. 75 Pochi decenni dopo in loco Massa viene redatta una pergamena conservata all’Archivio di Stato di Siena e datata 16 marzo 1016, riguardante la vendita di un pezzo di terreno posto vicino alla chiesa di San Giusto e confinante da un lato con la “ terra s(anc)ti cerbonis ”; 76 a causa di un’errata lettura di Emanuele Repetti l’atto è stato talvolta considerato la prima attestazione dell’esistenza di una cattedrale massetana. 77 Il toponimo compare poi in un diploma di Corrado II del 1027, in cui è nominata una “ curtem de Massa ”, appartenente all’abbazia di San Salvatore di Sesto (diocesi di Lucca) e posta “ in comitatu Cornino ”. 78 Nonostante l’occorrenza del toponimo in epoca altomedievale, la fondazione dell’attuale cittadina sembra databile all’XI secolo e attribuibile a una volontà vescovile. 79

72 E. LOMBARDI , 1985, p. 14; L. DALLAI , R. FARINELLI , R. FRANCOVICH , 2005, pp. 134-135. Di diversa opinione è Gabriella Garzella (2001, pp. 307-308), secondo la quale i due atti furono redatti in un’altra Massa, probabilmente collocata nei pressi di Lucca. Il territorio di Populonia dovette essere incluso nella iudiciaria lucense poco dopo il 591 (P. C ONTI , 1973, p. 102). 73 Memorie e documenti per servire..., V/2, 1837, p. 283 n. 472, p. 300 n. 500 74 “…tricesima nona massa, quadragesima massa minore…”. L’atto è edito in: C. CALISSE , 1893, pp. 289- 345: 332-335. Il documento, assai utile per comprendere l’estensione dei possedimenti degli Aldobrandeschi, è da considerare una sorta di ‘vendita simulata’ (G. VOLPE , 1913, pp. 75-76; G. ROSSETTI , 1973, pp. 309-310). 75 A. LISINI , 1908, p. 34. 76 ASS, Diplomatico Città di Massa , 1015 marzo 16 (regesto in A. LISINI , 1908, p. 40; trascrizione sette o ottocentesca in ASF, Archivio Diplomatico (1778-1852), 136, 1015 marzo 16). 77 Emanuele Repetti (1839, p. 140) interpretò un passo del suddetto documento, oggi poco leggibile, come “in terra sancti Cerbonis cathedralis ”, ma l’errata decifrazione è stata corretta con “in terra sancti Cerbonis s(upra)s(crip)ta petia de terra ” da Gabriella Garzella (1991, p. 9 n. 33), che considera il documento quale prima attestazione della città di Massa Marittima. La lettura di Repetti viene presa per buona da F. SCHNEIDER (1975, pp. 118-119 n. 79), da G. ROSSETTI (1973, pp. 247-248) e da E. LOMBARDI (1985, p. 14). 78 Monumenta Germaniae ..., 1909, doc. 80 pp. 106-109: 108. 79 M. PAPERINI , 2013, pp. 46-47. 14 Massa Marittima sede diocesana

Le ragioni del secondo spostamento della diocesi non sono documentate, ma è stato supposto che la condizione geografica favorevole della cittadina, posta in un’area delle Colline Metallifere particolarmente ricca di risorse, abbia avuto un peso rilevante nella scelta. 80 Gabriella Garzella ipotizza che la decisione abbia avuto anche una componente politica, ovvero la volontà dei vescovi di salvaguardare la propria indipendenza allontanandosi da un’area strettamente controllata dai potenti Aldobrandeschi: 81 il clima di pericolo di quegli anni sembrerebbe essere confermato dall’increscioso rapimento e sequestro durato tre giorni del vescovo di Roselle Dodone, da parte di un membro della famiglia, Ugo I, residente a Suvereto. E’ questo l’episodio che porta papa Alessandro II a scrivere nel 1062 la già citata epistola al presule massetano, spronandolo a conferire sanzioni spirituali al colpevole. 82 Nel 1066 lo stesso pontefice è l’autore di una bolla destinata al successore di Tegrimo, Bernardo, 83 a conferma dei vari privilegi spettanti ai vescovi massetani, quali la riscossione delle decime, delle primizie e delle offerte per i vivi e per i morti del vescovado, nonché le decime sui metalli estratti nelle miniere del territorio diocesano e dell’Isola d’Elba. 84 Al 6 aprile del 1068 risale invece un atto privato redatto “ in loco Massa, prope ecclesia Sancti Cerboni a ipso etpiscopatus ”, 85 che è da considerare la prima attestazione dell’esistenza della cattedrale.86 Nel 1074 papa Gregorio VII indirizza una bolla al vescovo successivo, Guglielmo, da lui eletto nel suo primo anno di pontificato,87 per ribadire i diritti della chiesa massetana e definire i confini della diocesi, 88 includendo alcuni possedimenti contesi con la diocesi di Roselle che verranno

80 G. GARZELLA , 2005, p. 145. 81 G. GARZELLA , 1995, pp. 177-178; G. GARZELLA , 2001, p. 309; G. GARZELLA , 2005, pp. 144-145. 82 Vedi nota 65. 83 Bernardo è documentato anche negli anni 1065 (tra i partecipanti di un sinodo del 6 maggio di Alessandro II: J. P. MIGNE , 146, 1884, n. 27 col. 1308), 1067 (presente a un placito del 31 agosto) e 1068 (partecipa a un sinodo di Alessandro II: G. CAPPELLETTI , IV, 1846, p. 47). 84 Regesto in P. F. KEHR , 1908, n. 4 p. 270. 85 ASF, Diplomatico S. Michele in Passignano , 1068 aprile 6; regesto in G. PRUNAI , 1975-1976, doc. 37 p. 332. 86 G. GARZELLA , 2001, p. 313. 87 Il 30 giugno 1073 “…Gregorius papa constituit et consecravit (…) Guilielmum in Maritima Massanum ” ( Monumenta Germaniae Historica. Epistulae Selectae , II, Gregorio VII, Registrum , 1.I, Berolini 1920, doc. 85a, p. 123). Nel 1080 Guglielmo viene scelto dal medesimo pontefice come suo legato in Sardegna ( Monumenta Germaniae ..., 1923, doc. 10, p. 528-530). 88 A. CESARETTI , 1784, doc. VII pp. 95-97. S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. C pp. 214-215. 15 restituiti formalmente a quest’ultima nel 1076. 89 Nel 1082 e nel 1085 è documentato il presule successivo, anch’egli di nome Guglielmo. 90 Verso la fine dell’XI secolo alcuni lasciti incrementano i possedimenti dei vescovi. Nel 1099, sotto il presule Giovanni, alla chiesa massetana vengono donati la metà del castello di Tricasi da parte del conte Rodolfo figlio dell’aldobrandesco Ugo e della vedova di quest’ultimo, Iulitta 91 , e il castello dell’Accesa per opera di Rolando, la moglie di lui Maladonna e la cognata Ghisla, della famiglia dei signori di San Miniato; 92 la prima delle due donazioni venne confermata da Matilde di Canossa al successivo vescovo Lorenzo il 28 dicembre 1103. 93 Nel 1133, sotto il vescovato di Rolando 94 e tramite un privilegio, oggi scomparso, di papa Innocenzo II, 95 la diocesi populoniese passa dalla diretta dipendenza dalla sede di Roma alla soggezione all’arcidiocesi di Pisa; il cambiamento non viene accettato placidamente, e nel 1137 l’arcivescovo pisano Uberto è costretto a richiamare Rolando all’ubbidienza. 96 La suffraganeità di Massa viene confermata in un documento del 22 aprile 1138, 97 citato talvolta a torto come data del passaggio della diocesi alla nuova giurisdizione; 98 allo stesso anno risalerebbe, secondo Gabriella Garzella, l’ultima attestazione dell’uso dell’appellativo ‘di Populonia’ per la diocesi. 99 Il successivo vescovo noto è Alberto, documentato nel 1149, 100 nel 1158 101 e, forse, nel 1160. 102 Un documento del 9 marzo 1150, riguardante la lite tra i canonici di Massa e l’Abbazia di San Bartolomeo in Sestinga a proposito dei diritti sulla chiesa di Sant’Andrea in Valli,

89 Edito in S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. D pp. 216-221; regesto in P. F. KEHR , 1908, n. 4 p. 259. 90 G. GARZELLA , 1991. 91 “…offerimus Dei et Ecclesiae S. Cerbonis, quae aedificata in loco Massae… ”. Pubblicato in: F. UGHELLI , 1718, coll. 710-711; A. CESARETTI , 1784, doc. IX pp. 98-100; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. E pp. 363-366. 92 Il documento, già conservato nell’Archivio Vescovile di Massa Marittima ma oggi apparentemente introvabile (G. GARZELLA , 2001, p. 312 n. 62), è regestato in A. CESARETTI , 1784, doc. VIII p. 98. 93 Documento edito in: F. UGHELLI , 1718, col. 711; A. CESARETTI , 1784, doc. X p. 101; S. GALLI DA MODIGLIANA, 1871, doc. F pp. 366-367. 94 Il vescovo Rolando risulta tra i partecipanti di due sinodi di papa Pasquale II nel 1106 e nel 1112; nel 1115 è documentato in Corsica e nel 1126 a Roma (G. GARZELLA , 1991, p. 15 n. 61). 95 Il documento è citato in P. F. KEHR , 1908, n. 10 p. 271. Per la discussione sull’effettiva esistenza di tale privilegio vedi G. GARZELLA , 1991, p. 15 n. 63. 96 G. GARZELLA , 1991, p. 16 n. 64. 97 Edito in CESARETTI , 1784, n. XI, pp. 102-105, S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. G pp. 368-370. 98 E. LOMBARDI , 1985, p. 22. 99 G. GARZELLA , 1991, p. 9 n. 34. Si tratta di una sentenza del 16 novembre 1138 (N. CATUREGLI , Regesto della Chiesa di Pisa , Roma 1938, n. 367), ultima attestazione del vescovo Rolando. 100 Un documento del 16 gennaio 1149 ci informa di una disputa tra il vescovo Alberto e la famiglia Gherardeschi per il possesso delle quote di alcuni castelli (ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1149 gennaio 16, regesto in A. LISINI , 1908, p. 84). 101 Il 31 marzo Alberto scambia con l’abate Bernardo di San Pietro di Monteverdi i diritti su alcuni castelli in Val di Cecina con la metà di due mulini sul Cornia (F. SCHNEIDER , 1907, n. 183). 102 L’anonimo vescovo massetano che muore alla fine del 1160 al ritorno da un viaggio da Pisa potrebbe essere, per Gabriella Garzella (1991, p. 17), Alberto. 16 testimonia l’esistenza di un capitolo di canonici. 103 La dipendenza dalla metropolia di Pisa non precede di molto l’assegnazione di Massa Marittima alla stessa città, tramite un privilegio del 1162 dell’imperatore Federico Barbarossa che stabiliva i confini del contado pisano in Maremma. 104 A partire da quegli anni il possesso della cittadina è reclamato e conteso da più versanti. Nel 1189 Enrico VI promette di restituire al vescovo i diritti sulla città, 105 ma appena due anni più tardi li concede a Pisa; 106 la controversia che ne deriva viene risolta provvisoriamente nel 1194, con una sentenza del tribunale imperiale che ripristina il potere vescovile 107 e un diploma dello stesso imperatore con cui rende al vescovo Martino 108 la “ plenariam Iurisdictionem in civitate Massana, cum suis pertinentiis ” e il possesso dell’” arcem Montis Regis ”. 109 Questo fungeva da residenza fortificata dei presuli massetani ed aveva una chiesa dedicata a San Bartolomeo, come si deduce da un atto lì rogato nel 1209. 110 Nonostante la disputa si fosse conclusa in suo sfavore, il 27 aprile del 1195 l’imperatore accorda i medesimi diritti sulla città al conte Ildebrandino degli Aldobrandeschi, provocando una nuova controversia che viene vinta, l’anno successivo, ancora una volta dal vescovo. 111

L’affermazione del Comune, la costruzione di Città Nuova e i rapporti con Pisa e Siena

Superate le minacce esterne, i vescovi massetani devono affrontare nel terzo decennio del XIII secolo la volontà di emancipazione del Comune. Pochi anni dopo aver

103 ASS, Diplomatico Città di Massa , 1149 marzo 9 (regesto in A. LISINI , 1908, p. 84). 104 Edito in Monumenta Germaniae ..., 1979, n. 356 pp. 198-203. 105 Nel documento Massa Marittima è definita per la prima volta civitas (G. GARZELLA , 2001, pp. 315- 316). 106 Monumenta Germaniae ..., 1893, doc. 333 pp. 472-477. 107 Edito in: F. UGHELLI , 1718, coll. 712-713; A. CESARETTI , 1784, doc. XIII pp. 107-108; A. CAPPELLETTI , 1862, pp. 695-696; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. H pp. 371-372. 108 La prima attestazione di Martino è del 28 ottobre 1189, quando è presente alla consacrazione del monastero di S. Mustiola di Torri (A. CAPPELLETTI , 1862, pp. 694-695). 109 Il documento è pubblicato in A. CESARETTI , 1784, doc. XIV pp. 108-110; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. I pp. 373-374. 110 Il 27 settembre 1209 i rettori del Comune giurarono di difendere la vita e i diritti del vescovo e dei vicedomini. Il documento, unica attestazione del vescovo Ildebrandino (G. GARZELLA , 1991, p. 19), venne stilato “in suprascripto castello de Monteregio propre ecclesiam sancti Bartholomei ” (A. L ISINI , 1908, p. 140; edito in G. VOLPE , 1910, doc. II pp. 266-271). Nello stesso anno il conte Rinaldo di Monterotondo si sottomise alla città (G. VOLPE , 1910, doc. I pp. 263-265). 111 Il 17 novembre 1196 il presule massetano Martino recupera il dominio sulla cittadina (edito in F. UGHELLI , 1718, coll. 713-714; A. CESARETTI , 1784, doc. XV pp. 110-111; A. CAPPELLETTI , 1862, pp. 696-697; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. J pp. 375-376). 17 sottomesso la città a Pisa e aver ottenuto così la cittadinanza pisana (1216), 112 il vescovo Alberto si trova in difficili condizioni finanziarie, forse anche a causa del grosso impegno economico richiesto dalla costruzione della nuova chiesa e alle spese derivate da una lite del 1217 con i canonici. 113 Costretto nel 1221 a contrarre un debito di 267 marche con una società senese,114 ma impossibilitato ad estinguerlo, la sua svantaggiosa posizione non può che incoraggiare le ambizioni d’indipendenza del Comune, istituzione attestata in Massa per la prima volta nel 1205. 115 Nel giro di pochi anni il presule è obbligato a barattare i suoi diritti sulla città con l’assoluzione del debito senese: autorizzato da papa Onorio III nel 1223, 116 il 31 luglio 1225 Alberto, 117 seguito dai vicedomini, 118 assolve i cittadini da ogni obbligo e giuramento di fedeltà nei propri confronti, mentre il Comune si impegna a sua volta a difendere il vescovo e a lasciargli il possesso della fortezza di Monteregio e degli altri suoi castelli. 119 I difficili rapporti tra il Vescovo e il Comune non sono peculiari della città di Massa, ma si presentano in molte città italiane in anni in cui il rafforzamento del governo comunale entra in contrasto con la preesistente autorità, ecclesiastica in gran parte dei casi, con esiti differenti. Così come Massa, altre città subirono l’arma più forte del vescovo, ovvero la scomunica: Bologna fu colpita da interdetto tre volte dal 1215 al 1232, Parma quattro dal 1220 al 1293, e simile sorte subirono Forlì e Fano. 120 Il caso massetano si distingue tuttavia dagli altri esempi italiani per il particolare rapporto tra il presule e la città, molto

112 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1216 aprile 22; edito in A. CESARETTI , 1784, doc. XX pp. 119- 125; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. L pp. 408-416; G. VOLPE , 1910, doc. III pp. 271-275. 113 Il documento, che il Cesaretti menziona come esistente all’Archivio Vescovile, non è citato nell’inventario del Pizzetti; è probabile che non fu trasferito all’Archivio di Stato di Siena, e che sia andato successivamente perduto (A. CESARETTI , 1784, n. XXI pp. 125-127). 114 ASS, Diplomatico Città di Massa , 1220 febbraio 8 (A. CESARETTI , 1784, doc. XXII pp. 128-130; G. VOLPE , 1910, pp. 261-327: doc. V pp. 282-285). 115 Si tratta di un atto stilato il 5 gennaio 1205 nell’ospedale dell’Opera di San Cerbone, concernente la vendita di alcuni possessi di Lambertuccio del fu Gualando al vicedomino e ai due consoli di Massa (ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1204 gennaio 5; edito in G. VOLPE , 1964, pp. 47-51). 116 Il 23 dicembre del 1223 Onorio III autorizza Alberto a sciogliere la città dalla sua giurisdizione in cambio dell’assolvimento dei suoi debiti (G. VOLPE , 1910, doc. VIII pp. 288) e nel contempo richiama i cittadini colpevoli di aver molestato il vescovo e li minaccia di trasferire la diocesi se non lo avessero alleviato dal suo debito (documento edito in A. CESARETTI , 1784, doc. XXV pp. 132-133; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, doc. P pp. 518-519; G. VOLPE , 1910, doc. IX pp. 288-289). Il pontefice era intervenuto anche il 26 settembre 1220 affidando al preposto, all’arciprete e all’arcidiacono di Siena l’incarico di riappacificare il vescovo massetano e i cittadini ribelli (edito in G. VOLPE , 1910, doc. VI pp. 285-286). 117 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1225 luglio 31 (edito in A. CESARETTI , 1784, n. XXVII pp. 134- 136; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, n. N pp- 420-422; G. VOLPE , 1910, doc. X pp. 289-300). 118 G. VOLPE , 1910, doc. XII pp. 306-309. 119 G. VOLPE , 1910, doc. XI pp. 300-305. 120 2 D. WALEY , 1980 , pp. 70-74. 18 simile a quello tra un signore e il proprio castello, come messo in luce dai recenti studi di Marco Paperini. 121 I documenti che sanciscono la libertà del Comune rivelano l’esistenza di un progetto di ingrandimento della città o di un suo trasferimento sul monte di Certo Piano o di Colletortorio; viene specificato che in tal caso le esenzioni concesse dal vescovo non avrebbero perso di validità, 122 e che il Comune avrebbe concesso al presule l’area per la costruzione di sette botteghe e al capitolo massetano lo spazio necessario per una chiesa cattedrale, per un cimitero e per domo opere , ovvero per la casa dell’Opera.123 Questa clausola, che in passato ha portato a considerare a torto il 1225 come anno di inizio della costruzione della chiesa, pare indicare che l’Opera è, almeno fino a quel momento, gestita dal Capitolo della Cattedrale. Gli anni seguenti il patto stipulato nel 1225 tra il vescovo e il Comune rappresentano per Massa un momento di grande vivacità costruttiva. Il progetto di ampliamento della città o di un suo trasferimento sul monte di Certo Piano o di Colletortorio, registrato nei documenti, si concretizza negli anni immediatamente successivi con la creazione dell’attuale terziere di Città Nuova. La nuova fondazione urbanistica, caratterizzata da un impianto molto regolare, viene principiata ad oriente di Monteregio nel 1228, come testimoniato dall’iscrizione collocata sulla Torre del Candeliere (fig. 1.3), 124 su un pianoro che Roberto Farinelli identifica su basi documentarie con la località di Certo Piano citata negli atti del 1225. 125 L’ampliamento della città comporta una consistente

121 M. PAPERINI , 2013, pp. 43-45. 122 “… liberam licentiam ac potestatem et facultatem transferendi civitatem massanam de loco in quo modo sita est et constructa, quandocumque voluerit ipsa universitas vel maior pars ipsius, et edificandi in monte qui dicitur Certum Planum aut in monte qui dicitur Colletortorium aut in utroque, sive crescendi atque ampliandi eamdem civitatem extra muros et carbonarias suas quo usque remanebit in eodem loco ubi constructa est et estenditur, quantum necesse fuerit pro domibus et edificiis construendis et viis, muris et carbonariis mittendis et ordinandis, salvo castello nostro Montis Regii cum pertinentiis suis quod non veniat in ampliationem istam ” (G. VOLPE , 1910, p. 291; commento in G. VOLPE , 1913, pp. 143-149). 123 “ Item si contingerit massanam civitatem hedificari in monte qui dicitur Certum Planum dabimus nos et dabit comune massanum vobis vel successori vestro, si vos non superessetis, qui tunc temporis fuerit massanus episcopus septem ibi plateas idoneas pro septem apotecis faciendis in meliori loco, et capitulo massano terras sufficientes ad eorum dictum pro ecclesia cathedrali et pro cimiterio et pro domo opere et pro dominibus suis et plateas quantas sibi videbitur espedire. ” (G. VOLPE , 1910, p. 302; commento in G. VOLPE , 1913, pp. 152-153). 124 L’iscrizione recita OCTO BIS D(E)C(E)S C(U)REBA(N)T MCC Q(UA)N(.) TEDICI MALABARBE MASSE IUDE(N)TI PLACUI INITIU(M) AULE DONARE P(R)ESENTI PRI(N)CIPIU(M) NOVE URB(IS) D(E)C(US)Q(UE) FERE(N)TI (S. GALLI DA MODIGLIANA , 1873, p. 65 nota 3). Sulla torre è presente una seconda epigrafe sulla quale compaiono le figure incise di due testine umane, un pesce e un’oca, le lettere VBT FASELUS JUD. MELLO SAS, i nomi del giudice Ubertus Faselus e del camerario Mellone, entrambi in carica durante la podesteria di Tedice Malabarba (S. GALLI DA MODIGLIANA , 1873, p. 65 nota 3; L. PETROCCHI , 1900, pp. 104-105; R. FARINELLI , 1997, pp. 35-36 n. 44). 125 In un atto del novembre 1262 (ASS, Capitoli , 10, carta s.n.) il convento di S. Chiara, già intitolato alla Madonna e situato in Città Nuova, viene definito “monasterii Sancte Marie de Certo Plano Masse ” (R. 19 immigrazione di uomini (ben 1117 dal 1232 al 1302) che ottennero, insieme alla cittadinanza, un lotto di terra in Città Nuova su cui poter costruire. 126 Molte sono le imprese urbanistiche che coinvolgono la città nel corso del XIII secolo. Parallelamente al suo ingrandimento viene costruita una nuova cinta muraria, ad includere la nuova espansione della città, e forse anche il suo nucleo più antico. 127 La cerchia è spesso datata ai primi anni del ‘200, a causa di un’iscrizione un tempo sopra la porta urbica di San Pietro (accesso distrutto nel 1857), 128 pubblicata da Giovanni Targioni Tozzetti che vi lesse la data A.D. MCCVI Ind. XIIII. 129 Poiché l’indizione non coincide con la data riportata 130 e le parole dello stesso erudito lasciano intendere che l’epigrafe non fosse di facile lettura, 131 è possibile che si tratti di un’errata interpretazione; Farinelli sottolinea inoltre che ciò che sopravvive della muratura della porta pare essere meglio confrontabile con paramenti di tardo XIII secolo – inizio XIV, ovvero coi tratti più tardi delle mura, piuttosto che con murature dell’inizio del Duecento. 132 Alla costruzione della cinta muraria vanno probabilmente collegati due documenti degli anni 1231 e 1232 133 (e non 1248, come riportò erroneamente Luigi Petrocchi) 134 conservati nell’Archivio di Stato di Siena. Nel primo atto, rogato in presenza di Bonaventura marmorarius , vengono citati Iacobinus marmorarius , Richomannus famulus dictui Iacobini e Grandone lonbardus , che dichiarano il compenso ancora da ricevere per “ lapidibus et muris dicti comunis faciendis ”; nel secondo, testimoni i marmorai Iacobino, Ventura e Guido, magister Petrus lonbardus marmorarius , deve essere ancora pagato “ pro servitio quod fecerat et operibus quas dederat dicto comunis favendis et muris eiusdem comunis murandis ”. 135

FARINELLI , 1997, p. 38 n. 54). Sulla costruzione del nuovo terziere vedi anche: R. FARINELLI , 2003, pp. 314-315. 126 R. FARINELLI , 1997, pp. 50-51. 127 La datazione di quella parte della cinta muraria che circonda la Città Vecchia è ancora incerta (R. FARINELLI , G. SANTINUCCI , 2009, p. 126). 128 L. PETROCCHI , 1900, p. 13. Lo studioso afferma che la porta “aveva sopra di sé una torre maestosa”. 129 G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 84; G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, p. 124. 130 L’indizione dell’anno 1206 non era la quattordicesima (XIIII) bensì la nona (VIIII o IX): è possibile che l’erudito abbia confuso la V di VIIII con una X. Ammesso invece che sia corretta la lettura dell’indizione, al posto di 1206 (MCCVI) la data potrebbe essere stata MCCXI o MCCCI: in entrambi gli anni cadeva l’indizione quattordicesima. Le altre date corrispondenti a quest’ultima (MCCXXVI, MCCXLI o MCCXXXXI, MCCLVI, MCCLXXI, MCCLXXXVI) sono più difficilmente fraintendibili con la data 1206. 131 “Sulla porta che conduce alla Madonna del Poggio è un’Iscrizione, in cui non seppi leggere altro che le seguenti parole …” (G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 84; G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, p. 124). 132 R. FARINELLI , 1997, p. 35. 133 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1231 dicembre 31 (A. LISINI , 1908, p. 227); ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1231 febbraio 28 (A. LISINI , 1908, p. 228). 134 L. P ETROCCHI , 1900, p. 19. 135 I due documenti sono commentati e in parte riportati da Roberto Farinelli (1997, pp. 45-46), il quale non esclude che i lavori avessero invece interessato un edificio comunale o la stessa cattedrale. E’ stato 20 Un’altra importante impresa fu la costruzione della chiesa di San Pietro all’Orto (fig. 1.3), edificio a una sola navata oggi utilizzato come sede del terziere di Città Nuova. Roberto Farinelli ha ipotizzato che la chiesa sia stata edificata solo dopo l’ampliamento della città, interpretando la datazione dell’epigrafe in facciata come 1257 e non 1197 come generalmente proposto dagli studi: a una cronologia più tarda concorrerebbero lo stile dell’iscrizione e la forte regolarità della nuova zona, mal conciliabile con la preesistenza di edifici rilevanti. 136 Lo stesso studioso suppone anche che il clero abbia ottenuto veramente lo spazio promesso nei patti col Comune, e che esso sia da identificare con il terreno posto in Città Nuova e concesso dal vescovo al podestà massetano in un atto del 1247, “ pro ecclesia edificanda recipienti ”, 137 edificio in cui va riconosciuta plausibilmente la nascitura San Pietro all’Orto. 138 Il patto del 1225 tra vescovo e Comune non sancisce la fine dei conflitti interni alla città. Già nel 1247 e 1248, alla morte del vescovo Niccolò, il podestà obbliga i canonici ad eleggere un nuovo presule di suo gradimento: l’ingerenza non è gradita al papa Innocenzo IV, che annulla l’elezione e convoca a Roma un rappresentante dei canonici. 139 Pochissimi anni dopo il Comune massetano attacca direttamente i beni del vescovo, gli stessi che nel 1225 si era impegnato a difendere; non tardano ad arrivare il richiamo dello stesso pontefice (1253) 140 e la scomunica del vescovo Ruggero degli Ugurgeri, confermata nel 1255 da papa Alessandro IV. 141 La restituzione dei possessi vescovili è di breve durata: lo stesso Ruggero viene nuovamente spogliato dei suoi castelli nel 1258 e cacciato da Massa per aver ritentato di rafforzare il partito guelfo nella città; anche stavolta giunge puntualmente la scomunica papale. 142 Gli scontri col vescovo sono dovuti in questi anni anche alla formazione, all’interno della città, dei due partiti dei Guelfi e dei Ghibellini, che porta alla contrapposizione tra il vescovo da un lato e il Comune, legato alle ghibelline Pisa e Siena, dall’altro. 143

supposto che il Jacobino citato nell’atto del 1231 fosse il padre di Giroldo da Como, autore del fonte battesimale nella cattedrale datato 1267 dove lo scultore si firmò magistro Giroldo quondam Iacobi de Cumo (vedi il capitolo 4). 136 ANNO MILLENO CENTENO BIS QUADRAGENO / ADDITO SEPTENO POST ISTOS ATQUE DECENO / HOC TEMPLUM CR(IST)I LAPIDI CO(N)IUNGITUR ISTI / S(AN)C(TU)S PETRUS, S(AN)C(TU)S PAULUS, IOH(ANNE)S. 137 R. FARINELLI , 1997, Appendice II, doc. I, pp. 80-83. 138 R. FARINELLI , 1997, pp. 56-57. 139 La lettera è del 13 febbraio 1248 ( Monumenta Germaniae ..., 1887, doc. 500 p. 353). 140 G. V OLPE , 1964, pp. 112-113. Il documento è pubblicato in S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, n. P, pp. 518-519. 141 Edito in A. CESARETTI , 1784, doc. XXXIII pp. 141-143; S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, n. R, pp. 523-525. 142 L. P ETROCCHI , 1900, p. 257. 143 L. PETROCCHI , 1900, p. 252. 21 Nel 1227 infatti Massa Marittima aveva rafforzato il suo legame con Pisa, concordando di sostenere col proprio esercito la città marinara e di pagare una tassa annuale di venti soldi d’oro in cambio della protezione e cittadinanza pisana 144 . Nel corso degli anni il predominio di Pisa viene però scalzato dall’inserimento di Massa nell’orbita di un’altra grande potenza: Siena. Già nel 1241 tra le due città viene stipulato un trattato di amicizia; 145 nel 1252 e nuovamente nel 1253 Massa invia i suoi soldati in aiuto ai Senesi in guerra contro Lucca e Firenze. 146 L’orientamento ghibellino della città massetana si rafforza con la vittoria di Siena sulla guelfa Firenze nel 1260, ma la discesa in Italia di Carlo d’Angiò nel 1266 e la vittoria del partito guelfo nella battaglia di Benevento portano al passaggio di Massa al partito avversario. 147 Il cambiamento viene registrato nella vicenda conservativa del curioso dipinto murale della Fonte Pubblica del Palazzo dell’Abbondanza, costruita nel 1265 sotto il podestà Ildebrandino di Pisa, come tramandato dall’epigrafe murata tra il primo e il secondo arcone (fig. 1.4). 148 Sulla muratura tergale della fonte, corrispondente alla prima campata sinistra, è stato riscoperto nel 2000 un dipinto raffigurante un grande albero dai frutti a forma di fallo, ai piedi del quale si contano nove figure femminili, due in lotta tra di loro per il possesso di un frutto; sopra le loro teste volteggiano aquile nere (fig. 1.6). La presenza di quest’ultime, simbolo ghibellino per eccellenza, e l’ipotesi della contemporaneità di esecuzione della fonte e del dipinto, legato dunque anch’esso alla data 1265, hanno portato Alessandro Bagnoli a leggere la raffigurazione come un inno al partito ghibellino, presentato come portatore di fertilità ed abbondanza; 149 George Ferzoco ha in realtà messo in evidenza il messaggio negativo suggerito dalla singolare iconografia,

144 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1227 novembre 7. L. PETROCCHI , 1900, p. 236. 145 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1241 marzo 9. L. PETROCCHI , 1900, p. 251. 146 L. PETROCCHI , 1900, p. 255. 147 L. PETROCCHI , 1900, p. 264. 148 HEC RES SCITO LEGENS ANNIS SUB / MILLE DUCENTIS / ET SEXAGINTA QUINQUE P(ER)ACTA FUIT / ANNIS UT FIAT INDICTIO CO(N)SONA IU(N)CTA / TUNC ERAT OCTAVA Q(UI) LEGIS ISTA / SCIAS. / ILDIBRANDIN(US) DE PISIS QUANDO / POTESTAS H(IC) ERAT TERRE PLURIS HONO/RIS EQUES. L’epigrafe appartiene a quella “tipologia delle iscrizioni dedicate alla realizzazione di opere pubbliche, diffusasi dal XIII secolo in avanti e più volte attestata nell’ambito dei territori di influenza pisana”, come segnala Riccardo Belcari per la Fonte dei Canali di Piombino, dotata di una lapide con inscritta la data 1248 e i nomi del capitano della città Ugolino Assopardi, del maestro Dorgodorio e dell’operaio Cambio; lo studioso riporta anche gli esempi piombinesi delle due epigrafi del 1212 connesse alla Porta a Terra e di quella del 1235 della porta oggi inclusa nel ‘Castello’, e, a Cagliari, l’iscrizione del 1263 che ricorda la costruzione dell’arsenale (R. BELCARI , 2007, p. 354). Sull’epigrafia nell’edilizia pubblica si veda anche O. BANTI , 1993, pp. 151-172. 149 A. BAGNOLI , P. CLEMENTE , 2000. 22 e ha conseguentemente proposto di datare il dipinto a dopo il 1266, in un’epoca in cui erano i Guelfi al potere. 150 Negli anni successivi stretti sono i rapporti con Siena, anch’essa passata al partito guelfo: questa ha un ruolo importante nelle lotte tra Massa e i Pannocchieschi, nobile famiglia che possedeva numerosi castelli sui confini di Massa e che già nel sesto e nell’ottavo decennio è protagonista di contrasti con la città. 151 Nel 1276 il legame con Siena si ufficializza in una lega, con la quale le due città si impegnano a difendere l’un l’altra contro i comuni nemici, Massa promette di eleggere un podestà senese per i seguenti venticinque anni e le più importanti famiglie massetane di sciogliere le precedenti alleanze con Pisa; 152 ciononostante, l’appartenenza al partito ghibellino di alcune di queste ultime fu alla base, nei decenni a seguire, delle sommesse di famiglie quali quelle dei Todini, e dei Gufi. 153 Il rapporto con la città senese proseguì, negli anni successivi, tra nuovi patti (una nuova lega fu stipulata nel 1319), scontri, come quello sorto in occasione dell’assedio massetano del 1326 del castello di Montieri, sul quale Siena vantava pretese, e tentativi di Massa di svincolarsi dal predominio di questa, firmando ad esempio un trattato con Pisa nel 1331 che portò alla guerra contro la città senese. 154 Fu infine con i patti sanciti il 5 ottobre 1335 che Massa perse definitivamente la propria indipendenza a vantaggio di Siena, segnando l’inizio del proprio declino: seppure la città mantenne formalmente un’autonomia e continuò a governarsi seguendo il proprio statuto, le istituzioni vennero svuotate di sostanza, come dimostrava l’obbligo di scegliere un cittadino senese come podestà, nominato, dai capitoli del 1399, direttamente da Siena. 155 La sottomissione alla città senese portò all’occupazione e alla trasformazione in fortezza del castello di Monteregio, residenza vescovile, e alla costruzione del grande arco di collegamento con la torre del Candeliere, con la conseguente divisione interna della città (1336-1337) (fig. 1.7). 156 L’edificazione della fortezza, per la quale venne chiamato da Siena lo scultore e architetto Agnolo di Ventura, 157 è ricordata da un’epigrafe apposta sulla Porta alle Silici. 158

150 G. FERZOCO , [2005]. Sulla fontana si veda anche A. S. H OCH , 2006, pp. 471-488, e la tesi di E. M. LONGENBACH , 2008 (scaricabile all’indirizzo web http://dc.lib.unc.edu/cdm/ref/collection/etd/id/1581). 151 L. PETROCCHI , 1900, pp. 254-255, 265-271. 152 L. PETROCCHI , 1900, pp. 271-273. 153 L. PETROCCHI , 1900, pp. 274-284. 154 L. PETROCCHI , 1900, pp. 295-315 155 L. PETROCCHI , 1900, pp. 316-330; L’Archivio Comunale ..., 1996, pp. 3-4. 156 L. PETROCCHI , 1900, pp. 109-118; E. LOMBARDI , 1985, pp. 289-290. 157 E. ROMAGNOLI , II, 1835, pp. 344-345; R. BARTALINI , 2005, pp. 259, 269 nota 10. 158 A(NNO) D(OMINI) MIIIXXXVII INDICT(IONE) VI DIE XVIIII FEBR(UARI) / F(A)C(TU)M E(ST) HOC OPUS T(EM)P(O)R(E) K. IT (.)UCCII DE BISERNO HON(ORABILIS) CA/PITANEI GUERRE C(OMU)NIS SEN(IS) D(OMI)NI CIONIS D(OMI)NI MINI ROS/SI DE MORNTANINIS 23 Il XIV secolo vide anche la costruzione della chiesa di Sant’Agostino, che acquistò la funzione parrocchiale dell’adiacente San Pietro all’Orto, ormai di dimensioni insufficienti all’accoglienza dei parrocchiani di Città Nuova; il 14 marzo 1300 il vescovo massetano Orlando assistette alla posa della prima pietra (fig. 1.8). 159 L’edificio venne completato solo alcuni decenni più tardi; al 1348 risale l’edificazione del coro, opera dei maestri Stefano di Meo, Gualtieri di Sozzo e Niccolò di Iacopo, su progetto di Domenico d’Agostino, fratello del più noto Giovanni (fig. 1.9). 160

GUALTERII D(OMI)NI RENALDI DE RENAL/DINIS ET RENALDI D(OMI)NI NERII SERVI CIVIUM SEN(IS) / AD HOC HEC DEPUTATORUM PRO CO(MUN)I SEN(IS). 159 R. FARINELLI , 1997, pp. 62-65. Su Sant’Agostino si veda L. PETROCCHI , 1900, pp. 129-139; E. LOMBARDI , 1966, pp. 68-73. 160 ASS, Patrimonio Resti, Sant’Agostino di Massa Marittima , cas. 899, 1348 novembre 18. Il documento è pubblicato in G. MILANESI , I, 1854, pp. 246-247. Su Domenico di Giovanni si veda R. BARTALINI , 2005, pp. 337-347. 24 2. Il Duomo di San Cerbone

Letteratura critica

L’assenza di documenti e di iscrizioni che attestino l’inizio dell’edificazione, o la prima consacrazione, della cattedrale massetana, spiega in parte la diversità di opinioni e di datazioni che a partire dal Settecento si riscontra nella letteratura critica. L’unica fonte epigrafica che faccia riferimento alle fasi costruttive dell’edificio è l’iscrizione murata all’ingresso della cappella laterale della navata destra, che àncora il prolungamento del Duomo alla data 1287.

La prima citazione dell’esistenza in loco Massa di una ecclesia Sancti Cerboni si ritrova in un atto privato del 6 aprile 1068, conservato nel fondo diplomatico dell’abbazia di San Michele a Passignano; 161 è ormai abbandonata l’idea, frutto di un’erronea interpretazione di Emanuele Repetti, che la prima attestazione della cattedrale sia da rintracciare in un atto di vendita del 1016. 162 Non esistono difatti riferimenti precedenti al 1068 ad edifici sacri nella città; quest’ultima è d’altra parte documentata con certezza quale sede diocesana soltanto a partire dal 1062. 163 Successive menzioni di una chiesa di San Cerbone si trovano in vari documenti tra la fine dell’XI e il secolo successivo. 164 In uno dei tre atti del 31 luglio 1225, concernenti i patti stipulati tra vescovo e Comune, quest’ultimo si impegna, in caso di trasferimento della città, a fornire al capitolo una porzione di terra sufficiente per una chiesa cattedrale, contemplando dunque la possibilità di una sua ricostruzione. 165 I successivi appigli cronologici per la chiesa sono la data 1267, incisa nel fonte battesimale nella prima campata della navata destra, e la suddetta iscrizione del 1287. La perdita della documentazione relativa alla costruzione dell’edificio è precedente ai primi testi settecenteschi che trattano della città massetana. Giovanni Targioni Tozzetti, nella prima edizione delle sue Relazioni d’alcuni viaggi , in cui riferisce della sua visita del 1742 a Massa, accenna ad un incendio che nel 1684 avrebbe distrutto gran parte

161 ASF, Diplomatico S. Michele in Passignano , 1068 aprile 6. Regesto in G. PRUNAI , 1975-1976, doc. 37 p. 332. 162 ASS, Diplomatico Città di Massa , 1015 marzo 16: vedi capitolo Profilo Storico . 163 Vedi capitolo Profilo Storico. 164 Sono due documenti del 1099 e uno del 1103: vedi capitolo Profilo Storico . 165 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1225 luglio 31: vedi capitolo Profilo Storico . 25 dell’archivio vescovile.166 Allo stesso evento farà riferimento nel 1784 anche Agostino Cesaretti, che trova notizia dell’avvenimento “in un frammento di pergamena esistente all’Archivio del Pubblico”; egli attribuisce parte della responsabilità della perdita dei documenti al vescovo Antonio Casini, che tra il 1427 e il 1429 aveva fatto trasferire le carte riguardanti la cattedrale dall’archivio comunale a quello vescovile, successivamente colpito dall’incendio. 167 In assenza di documentazione, il Targioni Tozzetti ipotizza per la parte del duomo precedente al prolungamento del 1287 una datazione all’inizio del XII secolo; 168 la medesima cronologia è riproposta nel 1802 da Francesco Fontani nel suo Viaggio pittorico , per le somiglianze con “molte Chiese di Lucca e di Pisa”. 169 Diversa è l’opinione di Emanuele Repetti, che per primo nel 1839 considera i concordati del 1225, col loro riferimento all’eventuale ricostruzione della cattedrale, come l’atto di nascita dell’attuale edificio. 170 L’idea di Repetti non viene recepita da Stefano Galli da Modigliana, che nel 1873 data la chiesa “ai tempi della famosa contessa Matilde”, 171 né da Arturo Arus e Agostino Ademollo, 172 i quali propongono comunque una datazione al XIII secolo. Il collegamento con la carta del 1225 viene invece ripreso e ribadito da Luigi Petrocchi nella sua monografia su Massa (1900), un’opera ancora fondamentale per lo studio della città seppure costellata di numerosi errori: lo storico locale colloca l’edificazione del Duomo tra il 1228, inizio della costruzione della Città Nuova, e il 1267, data apposta sul fonte battesimale di Giroldo da Como. 173 La stessa opinione, già riproposta da Gaetano Badii nel 1926, 174 è confermata dalle autorevoli voci di Mario Salmi (1926) e Pietro Toesca (1927), 175 il primo dei quali identifica l’Enricus che firma il capitello della terza colonna della navata sinistra con l’architetto della chiesa, giudicandolo un maestro “di educazione lucchese, compagno forse di Guidetto”. A partire dagli anni ‘60 si assiste al graduale abbandono della cronologia duecentesca dell’edificio in favore di una datazione più alta. Il primo a respingere l’opinione di Petrocchi è Enrico Lombardi (1966), parroco della cattedrale e autore di numerosi testi sulla città massetana: egli smentisce il legame tra l’edificio e il documento del 1225, ed

166 G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 82; 1770, p. 122. 167 A. CESARETTI , 1784, p. 54. 168 G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 121; 1770, p. 169. 169 F. FONTANI , 1802, p. 63. 170 E. REPETTI , 1839, p. 143. 171 S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 411-412 nota 1. 172 A. ARUS , 1884, pp. 8-9; A. ADEMOLLO , 1894, p. 155. 173 L. PETROCCHI , 1900, pp. 23-24. 174 G. BADII , 1926, p. 47. 175 M. SALMI , 1926, p. 48 nota 44; P. TOESCA , II, 1927, pp. 555. 26 ipotizza che l’attuale duomo, edificato nel corso dell’XI secolo, conservi nella muratura del fianco destro i resti dell’edificio nominato nel frainteso documento del 1016. 176 Anche Laura Gronchi, autrice nel 1968 e nel 1969 di due articoli dedicati al portale in facciata e alle lastre figurate oggi nel Museo d’Arte Sacra, 177 anticipa la costruzione della cattedrale alla metà del XII secolo, 178 mentre Enzo Carli, dopo averla riferita nel 1941 al secondo quarto del XIII, nel suo testo del 1976 la colloca tra la fine dell’XI e la metà del XII. 179 Una simile anticipazione alla metà del XII secolo è proposta da Italo Moretti e Renato Stopani nel 1981. 180 Comincia così a venir meno l’idea di un ‘ritardo’ della costruzione massetana nel panorama del romanico toscano, implicito nella cronologia duecentesca. Eccetto che per pochi casi,181 dei quali il più recente è quello di Dethard von Winterfeld, 182 la datazione al XII secolo verrà riproposta in quasi tutti gli studi successivi, accogliendo il favore, tra gli altri, di Bruno Santi, 183 Guido Tigler, che colloca la costruzione intorno al 1180, 184 e Riccardo Belcari, che ipotizza che “almeno il primo ordine scandito da arcate cieche di ascendenza pisana” sia stato eseguito entro la fine del XII secolo. 185 A differenza della fase romanica della cattedrale, l’aggiunta gotica ha presentato assai meno problemi agli studiosi, almeno da un punto di vista cronologico. L’iscrizione del 1287, murata all’interno in corrispondenza dell’angolo tra la settima campata destra e la cappella Galliuti, offre difatti un sicuro riferimento cronologico per l’inizio dei lavori di prolungamento dell’edificio, la cui conclusione è databile, secondo Petrocchi, attorno al 1304, data da lui decifrata in un’iscrizione apposta sull’arco trasverso che divide l’ottava e la nona campata della navata centrale. 186 Più discussa è stata invece la paternità di tale ampliamento, per la quale la già citata lapide è al contrario fonte non di certezze ma di confusione: all’interno dell’iscrizione, che riporta l’anno di inizio dell’ampliamento della chiesa e il nome dell’operaio in carica, risulta cancellata la prima parte del nome dell’artista, del quale rimane solo il toponimico “Pisanus”. 187

176 E. LOMBARDI , 1966, pp. 7-16; E. LOMBARDI , (1975), pp. 20, 26-31. 177 L. GRONCHI , 1968; L. GRONCHI , 1969. 178 L. GRONCHI , 1968, p. 62. 179 E. CARLI , 1941, p. 64; E. CARLI , 1976, pp. 9-10. 180 I. MORETTI , R. STOPANI , 1981, p. 140. 181 G. MARCHINI , 1957, p. 39; A. MAZZOLAI , 1967, p. 75; F. MASTROPIERRO , 1972, p. 22; P. MONTORSI , 1988, p. 87. 182 D. VON WINTERFELD , 2007, p. 27. 183 B. SANTI , 1995, p. 28. 184 G. TIGLER , 2006, p. 94. 185 R. BELCARI , 2002, p. 150; 2003, p. 138 nota 74; in Campiglia... , II, 2003, p. 622; 2005, p. 216. 186 L. PETROCCHI , 1900, p. 34. 187 L’iscrizione recita: INCEPTUM FUIT HOC OPUS ANNO D. MCCLXXXVII IND XV BIGALLO OPERARIO EXISTENTE QUI FECIT AUGMENTARI ECCLESIAM [...] PISANUS ME FECIT. 27 Come vedremo più avanti, la critica si è divisa tra chi riconosce o meno in questa fase l’intervento di Giovanni Pisano. Nuovi dati stanno infine emergendo dalla campagna di restauri, iniziata nel 2008 e tuttora in corso, che interessa la parte terminale dell’edificio; le nuove acquisizioni del gruppo di lavoro, esposte al pubblico in un convegno del 2012 e pubblicate nei recenti atti dello stesso, sembrano consentire l’individuazione di una fase costruttiva intermedia, della prima metà del Duecento, ipotesi che verrà discussa più avanti nel testo. 188

Precedenti

La documentata esistenza di una chiesa di San Cerbone già nell’XI secolo ha portato gli studiosi a indagare sulla collocazione dell’edificio precedente all’attuale. La questione è legata a doppio filo al problema di Massa Vecchia, ovvero l’area archeologica usualmente identificata con l’antica sede della città e della prima cattedrale massetana. Il sito è situato ai piedi del colle dove oggi sorge la cittadina, a ponente dell’abitato e in corrispondenza del podere Orti Moris; il toponimo si riscontra per la prima volta nella redazione più antica dello statuto del Comune, databile tra il 1299 e il 1328 e conservata all’Archivio di Stato di Firenze. 189 La perdurante consapevolezza locale dell’esistenza di una zona archeologica è confermata dalle menzioni che del sito fanno l’autore di un’anonima storia della città del XVII secolo, 190 Giovanni Targioni Tozzetti, 191 Stefano

188 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, pp. 73-79; N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , 2013, pp. 171-176. 189 Vedi la rubrica “ De non sozzando aquam de Massavechia ” (ASF, Statuti , 434, distinzione V, rubrica C, c. 98v). Sugli statuti di Massa, dei quali sopravvivono cinque redazioni, si veda L’Archivio Storico Comunale , 1996, p. 8 nota 176. 190 “...quella parte verso Scarlino dal volgo oggi detta Massa Vecchia” (ACM, Memorie storico-letterarie , 1, c. 6). Si tratta della Istoria dell’antica Città di Massa Marittima , opera in tre parti della quale non si conserva l’originale ma una copia del 1738 eseguita dal cancelliere Giovanni Maria Martinelli, autore di un quarto libro aggiunto alla cronaca. La parte principale della Istoria , generalmente attribuita ad Agabito Gabbrielli, padre agostiniano vissuto a Massa nel XVII secolo, è stata recentemente riconosciuta da Massimo Sozzi come opera di un anonimo cronista dello stesso ordine religioso, che la compilò tra il 1626 e il 1636 ( Istoria dell’antica Città , 2011, pp. 9-22). Il testo è stato pubblicato a cura di Stefano Galli da Modigliana nel 1881 ( Storia dell’antica città di Massa , 1881) e nuovamente edito nel 2011. 191 “Ho inteso dire, che le rovine di Massa antica , si vedono verso il piano, a Ponente della moderna Città, e tralle altre le rovine di due Tempj, uno de’ quali assai capace, di buone Pietre, e di struttura antica; ma io non le ho vedute. Altri mi hanno detto che le rovine di Massa antica cominciano di sotto al Duomo, e seguitano sino al piano per la parte di Fonte Bufalona, e che dietro al Duomo si trovano molti Sepolcri antichi; ma con mio gran dispiacere non lo seppi in tempo, e non potei da per me assicurarmi del fatto.” (G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, p. 123). 28 Galli da Modigliana 192 e Giuseppe Sordini. 193 Ricerche archeologiche eseguite negli anni ‘80 del secolo scorso hanno riportato alla luce frammenti ceramici in parte databili tra età repubblicana e tardo-antica, in parte già al IX secolo, e appurato che l’area fu interessata da insediamenti abitativi dall’antichità almeno fino al XII secolo. 194 Sono stati inoltre rintracciati i resti di un edificio ecclesiastico di ingenti dimensioni, oggi nuovamente interrato, di cui si conserva gran parte delle fondamenta ma ben poco in alzato; è plausibilmente identificabile con uno dei templi citati dal Targioni Tozzetti. 195 Dalla descrizione di Costanza Cucini 196 si deduce che si trattava di una chiesa a pianta basilicale di dimensioni monumentali (36 metri di lunghezza e 15 di larghezza), orientata e dotata di cripta voltata e di presbiterio rialzato, come si desume dalla traccia dell’attacco della volta e dalle semicolonne con capitelli sopravvissute sulla superficie interna dell’abside semicircolare. La muratura esterna, a sacco, è composta da grossi blocchi spianati di calcare chiaro e appare movimentata da una decorazione di sottili lesene lungo l’intero perimetro esterno; lungo la facciata corre una modanatura sulla quale dovevano aprirsi i portali. A sinistra del prospetto si trova il campanile a pianta quadrangolare, molto deteriorato ma ancora sviluppato in altezza; a destra dell’abside sono state individuate le tracce di altri ambienti, probabilmente pertinenti alla chiesa, uno dei quali ospita una grande vasca di travertino. E’ Luigi Petrocchi a ipotizzare per primo che la primitiva cattedrale massetana sia da riconoscere proprio in questa costruzione, e a identificare quest’ultima con la chiesa intitolata a San Benedetto menzionata nelle Riformagioni del Comune fino a metà Quattrocento.197 La proposta di Petrocchi e la dedicazione della chiesa di Massa Vecchia vengono successivamente riportate come certe in quasi tutta la letteratura

192 “Dalla parte di ponente del presente sito della città e per piccolo tratto anche a mezzogiorno (…) esiste uno spazio di terreno che per qualche estensione [in nota: Circa un mezzo Chilometro di lunghezza, fino al luogo chiamato “Orti” dei Signori Moris] presenta, o nella sua superficie, o poco sotto suolo, tanto che l’aratro dell’agricoltore vi s’addenti, o vi rimbalzi la marra, avanzi frequenti e non dubbi di umane abitazioni, e di munizioni urbane. Questo tratto ingombro di rovine, la maggior parte omai vinte dal rigonfio della naturale vegetazione, o fatte sparire per gli accorgimenti dell’industria agricola, chiamano tuttora con vocabolo tradizionale Massa Vecchia” (S. GALLI DA MODIGLIANA , 1871, p. 193). 193 “ Massa Veternensis ricordata da Ammiano Marcellino, lib. XIV, come patria dell’Imperatore Costanzo Cloro (...) sorse alle falde del poggio di Massa Marittima, nel luogo detto oggi Massa vecchia , dove si veggono ancora numerose rovine di fabbriche romane del tempo imperiale, nonché tronchi di colonne di granito, capitelli di marmo, musaici ecc.” (G. S ORDINI , 1894, p. 57 nota 1). 194 C. CUCINI , 1985, pp. 257-260; L. DALLAI , R. FARINELLI , R. FRANCOVICH , 2005, pp. 131-134. 195 Vedi nota 43. 196 La descrizione dei resti della chiesa è tratta da C. CUCINI , 1985, pp. 257-260. 197 “ …San Benedetto, antica cattedrale di Massa Veternense, della quale si trovano memorie nelle Riformagioni del Comune fino alla metà del secolo XV, e che è forse rappresentata da quegli avanzi che si osservano negli orti Moris di Massa vecchia.” (L. PETROCCHI , 1900, p. 71 n. 1) e “la sua antica chiesa cattedrale, poi dedicata a San Benedetto, fu restaurata dal Comune fino alla metà del XV secolo” (L. PETROCCHI , 1900, p. 239). 29 successiva. Parte della critica ipotizza, senza il supporto delle fonti, che da questo edificio provenga un gruppo di lastre istoriate che si conservano oggi al Museo d’Arte Sacra; 198 Gaetano Badii riporta l’opinione che alla stessa appartenesse anche il leone che sostiene il fusto dell’acquasantiera presso la prima colonna destra della navata dell’attuale cattedrale. 199 Mario Lopes Pegna propone una provenienza da Massa Vecchia per i cinque frammenti in granito che compongono le parti basse di alcune semicolonne che decorano il fianco sinistro della cattedrale, per la presenza di un sesto pezzo, “identico per qualità e diametro ai cinque ricordati”, da lui visto presso i ruderi della chiesa degli Orti Moris; 200 la presenza nel sito di “colonne di granito” e di “capitelli di marmo, musaici ecc.” era stata ricordata pure da Giuseppe Sordini nel 1894. 201 Anche Enrico Lombardi ipotizza che gli stessi pezzi derivino dal medesimo luogo o dalla chiesa di Sant’Andrea. 202 La provenienza da Massa Vecchia del sarcofago antico murato nel 1880 nella prima campata sinistra del Duomo pare invece essere attestata da alcuni documenti conservati all’Archivio Comunale. 203 La tradizionale identificazione della precedente cattedrale con i resti dell’edificio di Massa Vecchia non può essere confermata con sicurezza, seppure siano molti i punti apparentemente a suo favore. Primo tra tutti, il toponimo del luogo: l’aggettivo ‘vecchia’, infatti, sembrerebbe provare che la località si presentasse già abbandonata all’inizio del XIV secolo, in favore, si direbbe, di una Massa ‘nuova’. Ciononostante, l’utilizzo del toponimo non rappresenta una sicura conferma di una collocazione antica della città in un luogo diverso: non si può infatti escludere che il nome sia stato attribuito alla località – il cui abbandono fu forse motivato dall’insalubrità del sito frequentemente soggetto ad alluvioni 204 – solo più tardi, come accaduto in altri casi. 205 Vi è poi il problema della datazione e della destinazione del monumentale edificio religioso. Le caratteristiche strutturali, le imponenti dimensioni e l’utilizzo di grandi blocchi regolari ne hanno motivato una collocazione in epoca romanica, tra la fine

198 L. PETROCCHI , 1900, p. 62; G. BADII , 1926, p. 23; W. BIEHL , 1926, p. 63; E. CARLI , 1976, p. 35; C. CUCINI , 1985, p. 258. 199 G. BADII , 1926, p. 23. 200 M. LOPES PEGNA , 1962, p. 33. 201 G. S ORDINI , 1894, p. 57 nota 1. 202 E. LOMBARDI , 1966, p. 16. 203 Vedi il capitolo 3. 204 C. CUCINI , 1985, p. 257. 205 Si pensi al caso di Siena Vecchia, appellativo attribuito ai resti di un fortilizio posti su una collina nei pressi di Brenna e Stigliano, frazioni del comune di Sovicille, dove si sarebbero stanziati i Galli Senoni (G. GIGLI , II, 1723, p. 570; E. REPETTI , V, 1843, p. 363); oppure alle due pievi di Santa Maria del Giudice, Lucca, delle quali quella tradizionalmente denominata ‘nuova’ in realtà precede la ‘vecchia’ (G. TIGLER , 2006, pp. 277-278). 30 dell’XI e il XII secolo. Una simile cronologia permette difficilmente di identificarlo con la chiesa di San Cerbone citata nel documento del 1068, e allo stesso tempo non si presenta molto distante da quella attribuibile per via stilistica all’attuale cattedrale, con la quale mostra, anzi, numerosi punti di contatto. Si dovrebbe dunque pensare alla successione, nel corso di poco più di un secolo, di tre edifici differenti: una prima San Cerbone, già documentata nel 1068, di cui non sopravvivono tracce; una seconda chiesa, pienamente romanica, di cui rimangono gli avanzi a Massa Vecchia, e la terza e definitiva cattedrale in cima al poggio. Rimarrebbe oltretutto difficile comprendere perché il presule in carica avrebbe deciso di edificare una chiesa episcopale a una distanza tanto scomoda (qualche chilometro) dalla propria residenza, ovvero il castello di Monteregio, i cui resti dominano dall’alto la città di Massa Marittima. Se si esclude per la chiesa di Massa Vecchia una funzione di cattedrale, resta aperta la questione della sua destinazione. La sua dedicazione a San Benedetto, come già accennato, è un’ipotesi di Luigi Petrocchi, che purtroppo non riporta i riferimenti ai documenti archivistici dove tale chiesa è nominata; una prima consultazione dei nove volumi delle Riformagioni conservati all’Archivio del Comune che coprono, in maniera incompleta, un periodo di tempo che va dal 1365 alla fine degli anni sessanta del secolo successivo, non ha consentito purtroppo di rintracciare alcun riferimento a un edificio così intitolato. Una tale dedicazione, anche ammesso che fosse avvenuto un cambio di intitolazione da San Cerbone a San Benedetto con la costruzione del nuovo Duomo, presupporrebbe la presenza di una comunità cenobitica, ma non risultano documentati monasteri nella diocesi massetana così nominati. 206 Esiste naturalmente l’ipotesi alternativa che la chiesa più antica si trovasse sul luogo della cattedrale attuale, ma sfortunatamente essa non può essere né confermata né esclusa, data la mancata realizzazione di un’approfondita campagna di scavi archeologici sotto il Duomo, interessato solo, come si vedrà più avanti, da limitate indagini archeologiche nello scorso decennio.

206 Nella diocesi di Massa vi erano i monasteri di San Quirico di Populonia (Piombino, LI), San Pietro d’Acquaviva (Venturina, LI), San Giustiniano di Falesia (Piombino, LI), San Mamiliano (Isola di Montecristo, LI) e San Pietro in Palazzuolo a Monteverdi Marittimo (PI). Per i primi quattro vedi da ultimo R. BELCARI , 2009, pp. 174-213; sul cenobio di Monteverdi vedi G. GIULIANI , 2005, pp. 175-204. 31 Descrizione

La cattedrale di San Cerbone è posta in cima ad una gradinata di travertino nell’angolo meridionale di piazza Garibaldi, nella zona sud-occidentale della Città Vecchia (fig. 2.2). E’un edificio a tre navate con abside poligonale, orientato sud-est/nord-ovest, lungo 58,72 m e largo 18 m al livello del prospetto (fig. 2.1). 207 La chiesa non è dotata di un transetto vero e proprio, ma di due cappelle laterali che si aprono nell’ottava campata di entrambe le navate minori. La torre campanaria a sezione quadrata è addossata al fianco sinistro della chiesa, in corrispondenza della settima campata interna; dalla nona campata della navata destra si ha accesso alla sagrestia e a una serie di locali di servizio. Da una porta nell’ultima campata della navata sinistra si accede a una scalinata esterna che conduce al cosiddetto ‘soccorpo’, un ambiente collocato sotto l’abside.

Materiali 208

La muratura dell’edificio è costituita prevalentemente da blocchi di travertino, una pietra largamente impiegata nelle costruzioni e nella cinta muraria della città. Se ne possono distinguere in particolare almeno tre varietà diverse utilizzate nella cattedrale. La prima varietà è contraddistinta da una notevole porosità e da un colore che varia in alcuni blocchi tra il giallo paglierino e un ocra più deciso, e in altri tra un grigio molto chiaro e uno più scuro. Sono caratterizzati dal travertino ‘più poroso’: il campanile; la muratura del cleristorio sotto la cupola su entrambi i lati dell’edificio; il fianco destro dello stesso; il fianco sinistro, fino ai capitelli sotto gli archi, eccetto che per le ultime due arcate adiacenti alla torre campanaria, dove il travertino poroso è utilizzato fino all’inizio della zebratura; la facciata, fino all’altezza dei capitelli, eccetto che nell’arcata a destra del portale centrale, dove i blocchi ‘più porosi’ arrivano al di sopra della losanga; nelle due cappelle di crociata e nella muratura esterna del fianco sinistro compresa tra la cappella di crociata sinistra e l’ingresso alla cappella della Madonna delle Grazie. Per quanto queste due tonalità si trovino per lo più combinate all’interno della muratura, il travertino giallastro si concentra soprattutto nelle ultime due arcate

207 Misurazioni tratte da A. ARUS , 1884, pp. 13-14. 208 Ringrazio la geologa Serena Di Grazia per le utilissime informazioni sui diversi litotipi presenti in cattedrale e per avermi segnalato la letteratura specifica citata nelle note seguenti. 32 cieche del fianco sinistro, nella seconda serie di arcate del fianco destro, nel campanile e nelle cappelle di crociata. La seconda varietà di travertino è caratterizzata da una maggiore compattezza e da un colore che va da un grigio chiaro, quasi bianco, a un grigio più deciso. Questa tipologia è utilizzata nella sezione superiore del fianco sinistro, includendo i capitelli, le ghiere degli archi e le monofore, e in facciata, a partire dai capitelli del primo ordine, fino alla cornice marcapiano che separa il secondo ordine dal terzo. Lo stesso travertino è usato per le fasce più chiare della zebratura del cleristorio su entrambi i lati dell’edificio, mentre nel fianco destro il suo impiego è limitato alla parte superiore della prima arcata. La terza varietà di travertino, particolarmente compatta e di colore grigio scuro, venne utilizzata per il terzo ordine della facciata e per l’aggiunta del 1287, ovvero per tutta la parte dell’edificio al di là della cupola e della settima coppia di sostegni della navata centrale, escluse le cappelle di crociata. Oltre alle tre varietà citate di travertino, nella muratura della cattedrale si ritrovano anche inserti di litotipi diversi, alcuni dei quali impiegati primariamente per ottenere effetti di policromia. Tra questi spicca la serpentinite, alternata al travertino nella zebratura che decora il secondo livello del prospetto, la parte alta del fianco sinistro fino al tiburio e il cleristorio su entrambi i lati dell’edificio. Affioramenti di questa pietra verde e scura, e quindi luoghi di possibile estrazione, sono stati rintracciati nei dintorni di Massa Marittima nei pressi di Canneto e Monterotondo Marittimo, oltreché, in maniera più ridotta, nel Podere Macchia al Fango e a Poggio Ginestra. 209 Nel terzo ordine del prospetto, nella zebratura dietro l’archeggiatura e nelle sezioni mistilinee tra gli archetti e gli spioventi del tetto, è stato utilizzata invece una pietra di colore rosato, il marmo rosso di Gerfalco, un calcare di colore rosato che affiora nella menzionata frazione del comune di Montieri, a una ventina di chilometri da Massa. 210 Da un calcare bianchissimo sono state ricavate le varie parti che compongono il portale sotto l’arcata centrale della facciata. In assenza di analisi chimiche è difficile affermare se si tratti o meno di marmo di Carrara; sembra più plausibile ipotizzare che si tratti del “candido marmo lamellare che appartiene alla gran massa calcarea di Monte Calvi”, presso Campiglia Marittima, segnalato da Emanuele Repetti. 211

209 Informazioni sulla situazione geologica del territorio di Massa Marittima, sui litotipi presenti nell’area e sui loro affioramenti si possono trarre dalle relazioni del progetto CARG di Isprambiente, consultabili sul sito web http://www.isprambiente.gov.it/Media/carg/note_illustrative/306_Massa_Marittima.pdf. Per le serpentiniti si vedano le pagine 63-64 del file pdf. 210 E. REPETTI , I, 1833, p. 801. 211 E. REPETTI , I, 1833, p. 421. 33 Un’altra pietra individuabile nella parte esterna dell’edificio è il granito, presente nei tronchi di colonna che compongono le parti inferiori dei fusti di alcuni dei sostegni delle arcate del fianco sinistro, precisamente del sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo dalla facciata. Si tratta di rocchi di uguale diamentro e di altezza variabile tra i 74 e i 160 cm. A differenza delle colonne in cui sono inseriti, la loro sezione è perfettamente circolare, eccetto che il tronco nel fusto dell’undecisima colonna; la diversità di forma si rende evidente nel loro posizionamento leggermente avanzato sulle basi su cui poggiano, pensate appunto per un fusto appiattito sul retro. Questa circostanza, insieme all’assenza del materiale in altre parti della chiesa, ha giustamente portato a considerare gli inserti di granito come materiale di reimpiego proveniente da un edificio più antico, identificato da Enrico Lombardi nella cosiddetta cattedrale di San Benedetto, a Massa Vecchia, o nella distrutta chiesa di Sant’Andrea. 212 A suffragio della prima ipotesi Mario Lopes Pegna cita un sesto pezzo di granito, “identico per qualità e diametro ai cinque ricordati”, da lui visto presso i ruderi della chiesa degli Orti Moris. 213 E’ probabile, anche se non dimostrabile senza un esame petrografico, che i frammenti provengano da cave elbane: 214 l’isola era compresa nella diocesi populoniese e il vescovo godeva della riscossione delle decime sulle sue miniere. 215 All’esterno della cattedrale è stato infine utilizzato anche il laterizio, nel tiburio della cupola e come risarcimento di alcune zone danneggiate della muratura. Diversa è la situazione del paramento murario dell’interno dell’edificio, tornato in parte visibile dopo l’eliminazione degli altari barocchi nei restauri del 1880. A differenza della muratura esterna, nelle pareti delle navate laterali e nella controfacciata non vi è alternanza tra due tipi diversi di travertino, bensì ne viene utilizzata una sola varietà, quella più ‘porosa’. La mancanza di corrispondenza con l’esterno è dovuta in primo luogo alla tecnica costruttiva ‘a sacco’, che prevede l’elevazione di due diaframmi murari paralleli ed il riempimento dello spazio intermedio con un agglomerato di pietrame e malta; è possibile intravedere parte di quest’ultimo in alcune sezioni danneggiate della muratura. La valutazione del travertino è resa meno agevole dalle tracce di intonaco tuttora percepibili nelle colonne della navata e nelle parti dei muri laterali in cui lo strato è stato eliminato, e che unificano il paramento donandogli un

212 E. LOMBARDI , 1966, p. 16. 213 M. LOPES PEGNA , 1962, p. 33. 214 Ben cinquasette colonne in granito elbano (trentotto delle quali solo nel Duomo) sono state censite a Pisa in edifici dei secoli XI e XII, ma è incerto se si tratti di materiale di reimpiego o estratto in epoca medievale (G. TEDESCHI GRISANTI , in Niveo de marmore... , 1992, pp. 43-51). 215 Vedi capitolo Profilo storico . 34 aspetto più chiaro. Vi sono poi aree della chiesa dove l’intonaco è ancora presente in maniera considerevole e non lascia intravedere la pietra sottostante: a parte i resti degli affreschi murari, si tratta della cappella Galliuti, di parte della cappella di crociata opposta, delle due cappelle laterali del presbiterio e di una estesa porzione inferiore della muratura della quinta campata della navata sinistra.

Esterno

Facciata

La facciata della cattedrale è del tipo a salienti ed è suddivisa in tre ordini da due cornici marcapiano (fig. 2.3). Il primo ordine è ripartito in sette arcate cieche sorrette da sei colonne e da due pilastri angolari agli spigoli del prospetto (fig. 2.4); l’arcata centrale – la quarta – è maggiore delle altre in altezza e in larghezza, e racchiude al suo interno l’unico portale. L’archeggiatura poggia su uno zoccolo che corre lungo tutta la facciata e prosegue sul fianco sinistro; è formato da un primo scalino, alto circa 50 cm, utilizzabile come seduta, e da un secondo gradino inclinato e a sezione trapezoidale, interrotto a intervalli regolari dagli aggetti su cui posano le colonne delle arcate cieche. La zoccolatura è sormontata da una cornice superiore in cui sono ‘inglobate’ le basi attiche degli otto sostegni. Le sei colonne che sostengono l’archeggiatura presentano fusti divisi in più rocchi di diversa altezza e leggermente livellati sul retro per permettere un migliore appoggio alla muratura del prospetto; tale appiattimento non ne modifica sostanzialmente il profilo, e invero non si può parlare di semicolonne ma di colonne vere e proprie. Ciascuno degli otto sostegni è dotato di un capitello decorato su tre facce. Sul capitello del pilastro angolare sinistro si alternano foglie d’acqua e caulicoli da cui nascono due coppie di volute sovrapposte; il fiore d’abaco del lato rivolto verso la facciata è costituito da due foglie lobate affrontate (fig. 2.5). Il secondo sostegno è sormontato da un capitello composito, ornato da un ordine di foglie d’acanto e da grosse volute sulle quali si aprono gonfie roselline; nella parte superiore si individuano numerosi forellini di trapano (fig. 2.6). Il terzo capitello, corinzio, presenta due serie di rigogliose foglie d’acanto e caulicoli da cui fuoriescono foglie frastagliate al posto di elici e volute (fig. 2.7). Il quarto capitello è suddiviso in due parti da una cinturina di perline e fusarole, che separa l’ordine inferiore di foglie d’acanto dalle vigorose volute superiori, collegate da tubicini alle fronde sottostanti e caratterizzate da

35 una rosellina al centro della spirale; un intreccio di motivi fogliacei decorano la superficie del kalathos tra le volute, donandogli l’aspetto di un piano traforato (fig. 2.8). I fiori d’abaco delle facce frontale e destra sono occupati da protomi umane indossanti una corona; mentre della centrale sono visibili le orecchie, nella testina laterale queste sono coperte da una lunga ciocca di capelli, a definirne forse il sesso femminile. Nel quinto capitello, composito, la fascia inferiore a foglie d’acanto è separata dalle volute superiori dalla stessa fascetta a perline e fusarole del precedente; l’area del kalathos tra le volute è decorata da una teoria di ovuli inclusi in un doppio sguscio, mentre i fiori d’abaco sono ornati da fiorellini o altri motivi vegetali (fig. 2.9). Il sesto è un capitello corinzio a due ordini di foglie d’acanto; tra le fronde della fila superiore nascono i caulicoli da cui partono le volute e le elici, le quali si dispongono rispettivamente agli spigoli o al centro della faccia (fig. 2.10). Il settimo capitello ha, come il sesto, la struttura del corinzio, ma presenta due file sovrapposte di foglie lisce (fig. 2.11). L’ottavo sostegno, ovvero il pilastro angolare destro, è sormontato da un capitello che si differenzia dai precedenti nella resa meno naturalistica delle foglie, per lo più pennate e costellate di forellini di trapano, e per l’inserimento nella faccia sinistra di un quadrupede di profilo, del quale sono ben evidenti l’ossatura della cassa toracica e gli organi genitali (fig. 2.12). La lunga coda, la presenza di un collare, il muso allungato e la forma delle zampe suggeriscono l’identificazione con un cane. Ogni capitello è sormontato dalla mezza figura di un leone reggiarcata, i primi tre dei quali imprigionano una preda tra le zampe anteriori. La parte tergale dei leoni, corrispondente alla sezione d’inizio della ghiera dell’arco, è scolpita con il medesimo motivo vegetale di quest’ultimo, in modo tale da inserirsi armonicamente nella decorazione dell’arcata. La prima fiera è caratterizzata da fronte prominente, grandi occhi, muso rivolto verso l’alto, grosse fauci aperte da cui fuoriesce la lingua, denti triangolari, piccole orecchie di forma ovale e criniera suddivisa in ciocche a uncino fittamente decorate da file di buchini di trapano (fig. 2.13). Tiene tra le zampe dotate di affilati artigli un bovino di cui compare solo la grande testa. Entrambi gli animali hanno la pupilla degli occhi definita da un inserto nero di piombo. Il secondo leone presenta la stessa struttura del muso e degli occhi del precedente, ma la criniera è formata da ciocche che ricordano fiammelle e non vi sono segni dell’uso del trapano (fig. 2.14). Anche la preda, capovolta sotto la fiera, ha le fattezze di un leone. Il terzo leone reggiarcata si distingue dai precedenti per una conformazione più naturalistica del muso, maggiormente allungato, e della bocca, nella quale sono messi in evidenza soltanto le

36 due coppie di affilati canini; la criniera è spartita in ciocche cosparse di forellini di trapano e gli arti anteriori sono piegati all’altezza del gomito (fig. 2.15). La fiera tiene tra le grinfie una figura umana a mezzo busto dai capelli ricci. Il quarto, il quinto e il sesto leone hanno criniere suddivise in ciocche uncinate e mostrano muso e dentatura analoghi a quelli del primo e del secondo (figg. 2.16-2.18). Infine, nelle fiere che coronano l’ultima arcata cieca, si assiste ad un’accentuazione dei tratti più ‘mostruosi’ delle figure precedenti nella maggiore dimensione della testa, nei grossi e sporgenti bulbi oculari e nelle fauci spalancate dotate di lunghi denti (figg. 2.19, 2.20). La criniera dalle lunghe ciocche scavate in profondità del settimo leone appare nell’ottavo costellata di fori di trapano, che decorano anche le esasperate arcate sopraccigliari. Ciascuna delle sette arcate cieche presenta una ghiera composta da una banda piatta e liscia inclusa nella muratura sovrastante l’archeggiatura, e da due fasce decorate con motivi fitomorfi nella strombatura. Da un punto di vista materiale, ognuna di queste bande è composta da sezioni giustapposte, decorate in modo tale che la giuntura tra i conci cada in maniera non invasiva nel passaggio da un elemento vegetale all’altro; solo in uno dei segmenti della fascia superiore della quinta arcata l’ornamentazione appare tagliata su entrambi i lati, probabilmente per rimediare ad un errato calcolo delle misure. Nelle prime tre arcate e nella quinta da sinistra la banda più alta, dal profilo convesso, presenta un motivo vegetale a coppie sovrapposte di foglie lobate poste di profilo e collegate da steli, che si ripete alternando la direzione delle fronde (fig. 2.21). Nonostante la decorazione possa apparire a prima vista la semplice successione dello stesso motivo fitomorfo, ciascun elemento si distingue dall’altro per sottili differenze nella definizione delle foglie, ornate con forellini di trapano, o di altri piccoli dettagli vegetali. Nelle restanti tre arcate, centrale compresa, la fascia superiore è invece ornata da un tralcio di foglie di vite e grappoli d’uva (fig. 2.22). All’interno di questo tralcio vitineo si riconoscono talvolta delle figurine animali e umane, non facilmente percettibili da terra: nella sesta arcata, all’estremità destra del concio centrale, compare una piccola figura umana che sembra tenere un attrezzo nella mano sinistra alzata (fig. 2.23), mentre nel settimo arco, in cima all’ultimo segmento, si distingue un minuscolo quadrupede intento a mordere un racema. Le fasce inferiori, uguali per decorazione in tutti gli archi, sono ornate da un motivo a coppie di volute affrontate sopra una foglia d’acqua ripiegata. Mentre nelle prime tre arcate le volute mostrano la classica definizione a spirale, nell’arco maggiore alle spire si alternano piccole foglie o roselline;

37 quest’ultime ricompaiono in un segmento della quinta arcata e prevalgono nelle fasce interne della sesta e della settima. Il portale al di sotto dell’arcata centrale è sovrastato da un’apertura circolare tamponata, la cui cornice presenta un ordine di foglie d’acanto sovrapposto a una fila di due diverse foglioline lobate alternate (fig. 2.24); tracce del perimetro dell’apertura sono ancora visibili all’interno dell’edificio, in controfacciata, a sinistra di una nicchia che ospita la statua ottocentesca di San Cerbone. Due oculi dotati di una semplice cornice modanata si aprono sotto le arcate più esterne (figg. 2.25, 2.26). L’oculo sotto il settimo arco ospita un piccolo rosone, composto da un nodo centrale da cui partono otto colonnette lisce con capitelli decorati con elementi vegetali o testine umane, sui quali si imposta un anello di pietra sormontato da archetti a tutto sesto. Sotto le restanti arcate vi sono quattro losanghe, diverse per dimensioni ed inserite nella muratura a differenti altezze. La losanga al di sotto del secondo arco presenta un elemento vegetale centrale, mediocremente conservato, inquadrato da una cornice modanata ornata da un tralcio di foglie e grappoli d’uva (fig. 2.27). La medesima decorazione caratterizza il secondo rombo, che ha al centro una rosellina intorno al quale sono disposte quattro foglie lanceolate e nervate (fig. 2.28). Piuttosto diversa è invece la losanga posta sotto la quinta arcata, che si distingue dalle altre per l’alta qualità dell’intaglio e presenta una rigogliosa foglia centrale, circondata da roselline dentro racemi e incorniciata da una serie di foglie partite dal profilo rettangolare (fig. 2.29). Nella quarta losanga il medesimo motivo è imitato nell’incorniciatura, con risultati più modesti; sul profilo interno della cornice più esterna sono incise a bassorilievo foglie lanceolate, mentre il centro del quadrilatero ospita una prominente rosa a quattro petali, in cattive condizioni di conservazione (fig. 2.30). Il portale posto sotto l’arco maggiore è in marmo bianco ed è composto da due stipiti che sorreggono un architrave sormontato da una cornice e da un arco a tutto sesto su animali reggiarcata; la lunetta è a sua volta coronata da un frontone impostato su mensole (fig. 2.31). L’intero portale appare curiosamente decentrato e spostato verso sinistra all’interno dell’arcata. I due stipiti sono ornati sul lato frontale da due fasce rettangolari, una inscritta nell’altra, separate da sottili cornici lisce e includenti al centro una canaletta verticale concava; la banda più esterna è decorata da fitte scalanature oblique, mentre la più interna da fettucce tripartite disposte in un intreccio semplice nello stipite di sinistra e in una maglia più complessa in quello di destra. La faccia laterale degli stipiti rivolta verso la porta presenta due profonde scanalature verticali e

38 concave, inquadrate da una doppia cornice rettilinea. Entrambi gli stipiti sono sormontati da un capitello a sezione rettangolare diviso in una parte inferiore decorata a girali vegetali - fittamente trapanati in quello sinistro - e una superiore occupata da due ordini sovrapposti di foglie lanceolate. Il soprastante architrave, poggiante sugli alti e lisci abachi dei capitelli, è diviso in cinque formelle dove sono raffigurati episodi della vita di San Cerbone; 216 su di esso poggiano due grandi e identiche protomi leonine che sorreggono l’arco della lunetta (fig. 2.32). I tratti del muso delle fiere sono resi in maniera fantasiosa e non naturalistica; solo la presenza dei canini nella dentatura e della criniera, divisa in gonfie ciocche terminanti in un ricciolino con al centro un foro di trapano, confermano l’identificazione con un leone. Le pupille dei grandi occhi sono evidenziate da un inserto nero in piombo ed i baffi sono ottenuti con sottili incisioni ai lati delle narici dilatate. La resa della criniera, gli occhi, la forma del muso e dei denti sono analoghi a quelli della coppia di fiere in secondo piano nella seconda formella dell’architrave, a conferma dell’appartenenza di tutto il portale a un’unica maestranza. Tra le due protomi, sopra l’architrave, corre una cornice decorata da larghe foglie lobate alternate a foglie simili ma più piccole; le nervature delle prime sono in parte puntinate da minuscoli buchi di trapano. Su due segmenti della stessa cornice si innesta il coronamento a capanna del portale, incluso in alto da spioventi modanati e in basso da una ghiera similmente articolata. Due protomi animali di difficile identificazione sono murate ai lati degli stipiti, a circa due terzi della loro altezza da terra; sono dotate di denti affilati, ancora visibili nella testa di sinistra, e di grandi occhi dalla pupilla nera di piombo. L’assenza di criniera esclude che si tratti di leoni, ma è difficile identificarli con sicurezza con un’altra specie animale. Il secondo ordine del prospetto è separato dall’inferiore da una cornice marcapiano liscia e modulata, che corona anche i due spioventi della facciata (fig. 2.33). La parte centrale è occupata da una galleria di cinque arcate su sei colonne, le più esterne delle quali poggiano su due capitelli rovesciati, mentre le altre sono sorrette dalle quattro figure del tetramorfo (in ordine, da sinistra: un’aquila acefala che afferra un coniglio, un leone che atterra una preda, un uomo con una corta veste e un libro aperto tra le mani, un ariete) (figg. 2.34-2.37). I capitelli delle colonne sono ornati da motivi fitomorfi – foglie, roselline ed elici – eccetto il quarto da sinistra che ospita quattro aquile; gli abachi sono decorati da una serie di foglie lanceolate rivolte verso il basso. Il primo

216 Per la descrizione dell’architrave si veda il capitolo 3. 39 capitello da sinistra si distingue dagli altri per la pietra utilizzata, più grigia, e per le minori dimensioni; l’ultimo invece, ornato con foglie a crochet , è stilisticamente imparentato con i capitelli del terzo ordine della facciata. La terza e la quarta colonna schermano in parte un grande oculo, la cui cornice, modulata, è ornata nella banda più esterna da foglie d’acqua ripiegate e coppie di elici, lo stesso motivo che decora la cornice marcapiano superiore. I cinque archi presentano una fascia superiore con tralcio vitineo, analogo a quello incontrato nelle ghiere delle arcate del primo ordine, ed una inferiore con foglie d’acqua sormontate da elementi fogliacei affrontati (figg. 2.38- 2.40). La muratura inclusa tra l’archeggiatura e la cornice marcapiano è caratterizzata da una bicromia bianco-verde ottenuta tramite l’alternanza di file di conci di travertino e di serpentinite; alcune sezioni della zebratura sono state sostituite da conci dello stesso travertino grigio e compatto usato nell’ampliamento di fine Duecento, probabilmente per risarcire zone danneggiate della muratura. L’ultimo ordine della facciata, costruito utilizzando un travertino grigio e compatto, è coronato dai due spioventi del tetto, sotto i quali corre un motivo a dentelli, e presenta una galleria di dieci arcatelle su colonne di altezza ascendente (fig. 2.41). Ogni colonnetta è dotata di un capitello decorato da giri di foglie d’acanto, lisce o a crochet ; questo è a sua volta sormontato - tranne che nella colonna più alta - da una piccola lesena e da un secondo capitello di simile ornamentazione (figg. 2.42, 2.43). Le tre colonne centrali sono sorrette dalle figure reggicolonna di un grifone, un uomo con barba inginocchiato e un cavallo (fig. 2.44). In secondo piano, alle spalle della galleria, si apre una quadrifora a sesto acuto strombata, sostenuta da tre colonnine con capitelli a crochet . La muratura è in questa zona contraddistinta da una zebratura grigio-rosa, ottenuta alternando al travertino il marmo rosso di Gerfalco, e presenta un’apertura, forse non voluta, in corrispondenza del secondo archetto da sinistra. Ai lati dell’archeggiatura, di fronte ai pilastri angolari, vi sono due leoni ruggenti a mezzo busto, rivolti verso l’interno e poggianti su una mensola fogliata (figg. 2.45, 2.46). Tre alte guglie, animate da doccioni zoomorfi, fogliami e ornamentazioni a can corrente, coronano la parte più alta del prospetto.

Fianco sinistro

La parte del fianco nord-est dell’edificio corrispondente alle prime sette campate della navata sinistra e compresa tra il prospetto della chiesa ed il campanile è ritmata da

40 tredici arcate cieche impostate su un basso zoccolo declinante (50 cm circa in corrispondenza dello spigolo della facciata, per poi calare gradualmente fino a scomparire una volta raggiunto il portale vicino alla torre campanaria) a sua volta sormontato da una cornice inclinata (figg. 2.47, 2.48). Ciascuna arcata è sostenuta da colonne ad eccezione della seconda dal campanile, supportata a destra da un semipilastro. I fusti delle colonne sono composti da rocchi di numero e altezza diversi, e si presentano, come nel prospetto, leggermente appiattiti sul retro. La parte inferiore di alcuni dei sostegni (sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo dalla facciata) è composta da un tronco di colonna in granito di altezza variabile tra i 74 e i 160 cm (fig. 2.49). A differenza delle colonne in cui sono inseriti, la loro sezione è perfettamente circolare, eccetto che per il rocco nel fusto dell’undecisima colonna; la diversità di forma si rende evidente nel loro posizionamento leggermente avanzato sulle basi su cui poggiano, pensate appunto per un fusto schiacciato sul retro. Ogni sostegno è dotato di capitello e di base attica; questa è come inglobata nella cornice superiore dello zoccolo che presenta la stessa articolazione toro-scozia-toro. Tre dei capitelli che sostengono le arcate sono corinzi, mentre i restanti sono compositi. Il primo dalla facciata è il capitello del pilastro angolare, che presenta sul lato esterno un giro di foglie d’acqua e caulicoli sopra i quali si dispongono due coppie di elici; una testina umana funge da fiore d’abaco per la faccia maggiore, mentre un piccolo e sorridente ariete si trova al centro del lato sinistro (fig. 2.50). Il secondo capitello, composito, è suddiviso, come gli altri della stessa tipologia, in un ordine inferiore con un giro di foglie d’acqua e uno superiore con grosse volute che recano al centro una rosetta; i fiori d’abaco sono, partendo da sinistra, una testa umana riccioluta dai tratti camusi, una protome barbuta e un animale acquattato dalle zanne affilate (fig. 2.51). Il terzo capitello è uguale al precedente tranne che per i fiori d’abaco, decorati da elementi fitomorfi (fig. 2.52). I tre seguenti sono capitelli corinzi a foglie lisce; i fiori d’abaco, vegetali nel quinto, presentano nel sesto due protomi di uomo e foglie affrontate e nel quarto una testina umana nella faccia centrale e un ariete e un leone dalle fauci spalancate nei lati sinistro e destro (figg. 2.53- 2.55). Il settimo capitello è composito e uguale per decorazione al secondo e al terzo, ma reca al posto dei fiori d’abaco tre figurine di leoni (fig. 2.56). L’ottavo e il nono, ancora compositi ma con volute a spirale semplice, presentano entrambi una testina umana al centro della sezione superiore e ai lati una sfera non finita e una testa di lupo (l’ottavo) e un fiore e una foglia (il nono) (figg. 2.57, 2.58). Col decimo si torna al composito con volute con rosetta centrale; i fiori d’abaco sono due protomi umane e un

41 disco non scolpito (fig. 2.59). Gli ultimi tre capitelli – l’undicesimo e il tredicesimo compositi con foglie d’acqua, il dodicesimo a sezione rettangolare perché di semipilastro – si differenziano dai precedenti per il loro stato apparentemente non- finito: i fiori d’abaco sono dischi lisci e privi di decorazione, e le volute dell’undicesimo sono rimaste piene, senza l’incisione della spirale (figg. 2.60-2.62). Le ghiere degli archi sono composte da una fascia interna semplice a spigolo vivo e una esterna plurimodanata; le due arcate presso la torre si distinguono dalle altre per la modanatura più semplice della fascia superiore e, nel caso dell’ultima, per il profilo leggermente acuto dell’arco. Sotto le arcate seconda, sesta, ottava, decima e dodicesima si aprono monofore: le prime quattro sono decorate nell’intradosso dell’arco da un’aquila con un coniglio nelle zampe, un leone a mezzo busto, una protome di toro e la testa di un altro animale, forse un cavallo (figg. 2.64-2.67). La quinta monofora non presenta il coronamento arcuato e modulato delle precedenti, né le cornici aggettanti in cima agli sguanci. Sotto il quarto arco vi è un oculo con una piccola apertura centrale e una larga cornice decorata da foglie lisce alternate a caulicoli da cui nascono coppie di volute (fig. 2.63). I due portali del fianco si trovano sotto la quarta e la tredicesima arcata. Il primo è composto da due stipiti che sorreggono il soprastante architrave; questo, molto alto e liscio, e con le estremità composte da più pezzi, è sormontato da un’arcata a doppia fascia come quelle dell’archeggiatura cieca (fig. 2.68). Alla base della lunetta, sopra l’architrave, corre una cornice a foglie lobate molto simile a quella del portale in facciata, ma in travertino ed eseguita in maniera più corsiva (fig. 2.69). I due segmenti decorati col medesimo motivo su cui si imposta la ghiera esterna dell’arco appaiono invece identici alla cornice del prospetto: vi si riconoscono le stesse file di minuscoli forellini lungo le nervature e i buchi di trapano più grandi tra i lobi delle foglie. Lo strato di sporco che li copre e la visione dal basso ostacolano il riconoscimento del tipo di materiale, ma dal colore delle parti pulite sembra trattarsi dello stesso marmo candido usato per il portale di facciata. L’accesso posto sotto la tredicesima arcata è, nel suo stipite sinistro, parzialmente inglobato nella muratura del campanile (figg. 2.70, 2.71). Le basi degli stipiti si trovano su due altezze diverse rispetto alla quota pavimentale: la sinistra poggia su un concio a sezione trapezoidale ed è allo stesso livello dello zoccolo del campanile, a circa 169 cm dal terreno, mentre la destra coincide per altezza con la base dell’ultimo sostegno, alla quota di circa 100 cm. I due stipiti hanno capitelli simili per fattura e materiale a quelli

42 che sorreggono le ultime tre arcate cieche del fianco e la corrispondente archeggiatura del fianco opposto dell’edificio, e sono decorati da un giro di foglie d’acqua, le più basse delle quali nascondono un caulicolo da cui nasce una doppia coppia di elici e volute; i fiori d’abaco sono dischi lisci, non scolpiti (figg. 2.72, 2.73). Il capitello sinistro è in parte inglobato nella muratura della torre campanaria; nel lato frontale è presente una testina d’uccello che nasce in una foglia d’acqua e afferra la punta della stessa col becco rivolto verso l’alto, un inserto decorativo visibile anche in alcuni capitelli del fianco destro della chiesa. Il portale è completato da un architrave liscio e da un archivolto piatto, leggermente decentrato rispetto ai capitelli degli stipiti; il fondo della lunetta si trova su un piano ribassato rispetto alla muratura dell’edificio, in maniera analoga a quanto accade nei due accessi del fianco opposto. La sezione di muratura sopra le arcate è caratterizzata da una zebratura bianco-verde composta da tre fasce di serpentinite intervallate da due di travertino compatto. Tra la zebratura e la grondaia corre una cornice suddivisa in due fasce, la superiore decorata da palmette sovrapposte a una serie continua di foglioline verticali, l’inferiore da un motivo a fusarole e perline. La cornice si interrompe poco prima del campanile ed è in un travertino compatto di una tonalità calda tendente al marrone. Dopo il campanile incontriamo una cappella laterale addossata da un lato al fianco della cattedrale, dall’altro alla torre a cui è allineata; la sua muratura è costituita da conci in travertino dorato di media grandezza, fatta eccezione per poche bozze in travertino grigio scuro in corrispondenza dello spigolo (fig. 2.74). Al centro del lato nord-est si apre una monofora, mentre nella parete sud-est si leggono le tracce di una tamponatura, forse di un’antica finestra. Superata la cappella riemerge il tratto di muratura del fianco sinistro dell’edificio coincidente con la nona campata interna (fig. 2.116); esso è caratterizzato da un travertino di colore caldo, simile a quello utilizzato nell’adiacente cappella, ed è coronato in alto da una teoria di tre archetti sorretti da mensoline fogliate e coronati da una cornice a dentelli. Sotto l’archeggiatura si apre un grande oculo dotato di una moderna vetrata; alla sua base sono visibili nel paramento murario due tracce parallele, forse segni dell’ammorsatura della falda di un tetto, che scendono diagonalmente sul semipilastro che segnala all’esterno l’inizio nella cappella in fondo alla navata sinistra, e poi sulla muratura di quest’ultima. Lo stesso semipilastro è fino a due terzi circa della sua altezza in travertino dorato, e per il resto in travertino grigio scuro. Sotto alla citata apertura circolare si addossa un corpo architettonico del secolo scorso, articolato su tre livelli per contenere le due rampe di scale e il corridoio che

43 conducono al soccorpo della cattedrale. Dopo questo la quota del terreno si abbassa sensibilmente rispetto a quella della pavimentazione interna dell’edificio, la cui altezza è evidenziata da una cornice marcapiano che a partire dal semipilastro gira intorno all’area absidale della chiesa. La stessa cornice funge da separazione tra la muratura della ‘cripta’ della cattedrale, in travertino poroso, e il paramento in pietra grigia dell’abside e delle due adiacenti cappelle. Il secondo livello del fianco sinistro, corrispondente al cleristorio, appare visivamente diviso in tre sezioni differenti. La prima coincide con le prime cinque campate dalla facciata ed è caratterizzata da una zebratura di travertino e serpentinite; la seconda corrisponde alla sezione sotto il tiburio e presenta un paramento in semplice travertino; la terza parte connette la cupola al corpo absidale. Al paramento zebrato, più arretrato rispetto alla sezione sotto il tiburio, si sovrappone un motivo ad arcatelle che va invece a situarsi sullo stesso piano della muratura inferiore alla cupola e dello spigolo del secondo ordine della facciata (figg. 2.75-2.80). Ogni piccolo arco è sorretto da un lato da una colonnetta con capitellino e dall’altro da una mensola: sia i capitelli che le mensole sono decorati con fogliami di varie forme, alcuni simil-crochet, e con protomi umane e animali. Nella sovrapposizione dei due livelli le monofore non risultano al centro dello spazio compreso tra le due colonnette, ma spostate in modo tale che lo sguancio destro della finestra risulti affiancato da una delle colonnette; ciò comporta che nella visione obliqua del fianco che si ha dalla piazza le monofore appaiono perfettamente incluse nella metà destra della coppia di archetti. La contemporaneità di esecuzione dei due livelli del paramento zebrato è confermata dal fatto che sia i capitelli che le mensole, eccetto quelle sospese davanti alle monofore, sono inglobate nel loro lato nascosto a un concio alloggiato nel filare sottostante. Al di sopra delle fasce zebrate sopra gli archetti prosegue la cornice marcapiano a foglie lisce e coppie di volute che nel prospetto separa il secondo ordine dal terzo; tra la cornice e la gronda del tetto vi è un’ultima fascia in laterizio coperta da uno strato di malta. La seconda sezione del cleristorio, corrispondente alla sesta e settima campata interna e caratterizzata da una semplice muratura in travertino, è compresa tra il paramento zebrato e la muratura della fase post 1287 (figg. 2.80, 2.81). Dall’analisi del punto di giunzione tra le prime due sezioni del cleristorio si nota che il paramento zebrato sopra le arcatelle si appoggia ai conci della muratura in semplice travertino, indicando la posteriorità della prima rispetto alla seconda. Quest’ultima, più alta rispetto alla cornice della precedente sezione, raggiunge l’altezza dell’attuale tetto ed è sormontata da una

44 cornice di laterizi disposti di taglio, sorretta da mensoline sulla quale poggia il lato sud- ovest del tiburio; la cornice prosegue fino alla fine della cupola, ed è sormontata nella sua ultima parte da un filare di conci di travertino. In basso a destra, vicino all’inizio del paramento zebrato, si leggono le tracce di un’antica apertura, forse quadrata, murata con mattoni e malta. La terza parte del cleristorio, a sua volta più alta della precedente, è in conci di travertino grigio scuro ed è coronata da una cornice decorata da foglie d’acqua e coppie di volute (fig. 2.82). In essa si aprono due monofore archiacute dal coronamento sagomato e gli sguanci sormontati da cornici fogliate; in alto, all’immediata destra della seconda finestra, una piccola apertura quadrata permette l’accesso al sottotetto. Una parasta separa questa sezione dall’inizio dell’abside.

Fianco destro

Da un punto di vista decorativo, il fianco destro o sud-ovest della cattedrale si presenta meno ricco rispetto al prospetto e al lato opposto dell’edificio (fig. 2.83). Il sistema di archeggiature che corre sull’intero fianco sinistro e sulla facciata prosegue sul fianco destro per sole tre arcate, per poi interrompersi prima della seconda monofora. L’archeggiatura cieca riprende dopo la quinta monofora con quattro arcate che si arrestano nel punto di incontro tra il corpo dell’edificio e la parete nord-ovest della cappella Galliuti, nella quale è inglobato il semipilastro destro che sorregge l’ultimo arco. Nella parte alta della muratura si aprono sei monofore, una sotto la seconda arcata cieca, quattro nella sezione del fianco priva di archeggiature e la sesta sotto la prima delle ultime quattro arcate. Nelle prime cinque aperture eccetto la quarta il coronamento arcuato e modulato e le cornici superiori dei due sguanci sono inserti in travertino più compatto; gli intradossi degli archi sono decorati da una protome umana (prima e seconda monofora), una testa d’ariete (quarta monofora) e una di lupo o orso (quinta monofora) (figg. 2.84-2.88). La sesta apertura non presenta alcuna rifinitura ed è ricavata direttamente nella muratura (fig. 2.89). Partendo dalla facciata, le prime tre archeggiature sono sostenute dal pilastro angolare del prospetto, da una colonna, da un semipilastro e da una seconda colonna. Mentre la base del pilastro angolare si trova al medesimo livello di quelle dei sostegni delle arcate in facciata, le basi delle due colonne e del semipilastro successivi poggiano direttamente

45 sul terreno e si presentano comprensibilmente molto danneggiate (fig. 2.90). Il pilastro e il semipilastro sono costruiti con blocchi di travertino, mentre i fusti delle due colonne sono formate da quattro rocchi sovrapposti e presentano entrambe un inserto di pietra più compatta, presumibilmente più tardo, tra il primo e il secondo rocchio. Il lato sud- ovest del capitello del pilastro angolare è occupato in basso da una serie di foglie pennate parzialmente danneggiate e ornate da forellini di trapano nella nervatura (fig. 2.91). In mezzo alle foglie nascono due caulicoli da cui si dipartono due elici - in parte mancanti - verso l’interno e due volute verso l’esterno; le spirali di quest’ultime sono sostituite da un elemento floreale simile a quello del fiore d’abaco. Il capitello del secondo sostegno presenta la classica struttura del corinzio, con una corona di foglie d’acanto nella sezione inferiore ed elici e rigogliose volute nella superiore; i fiori d’abaco sono decorati da fiori ed elementi vegetali, e su ogni lato le elici avvolgono rosette pentalobate (fig. 2.92). Il capitello del semipilastro, di aspetto più semplice, è decorato da due ordini di foglie d’acqua sormontate da volute ed elici (fig. 2.93). Il kalathos del capitello successivo appare al contrario rivestito da una serie di foglie pennate di forma e dimensione diverse, alcune dotate di un lungo picciolo, ornate in maniera disordinata da fori di trapano; al centro del lato frontale, al posto del fiore d’abaco, si erge una figurina umana macrocefala a mezzo busto che reca in mano una rosellina, mentre sulla faccia sinistra è visibile un uccello di profilo, appollaiato sulla punta della foglia sottostante (fig. 2.94). Le ghiere dei tre archi sono suddivise in una fascia interna semplice e in una esterna modanata; la prima arcata si differenzia dalle altre per la modanatura doppia della fascia superiore che la rende simile agli archi del fianco opposto dell’edificio. Terminata la prima serie di arcate, si apriva nella muratura un portale, oggi murato con blocchi di travertino; ne sono visibili l’archivolto, l’architrave e i due stipiti sormontati da due pezzi aggettanti di cornice in travertino grigio e di larghezze differenti, che fungevano da capitelli (fig. 2.95). La quota originale della porta si trova a 42-45 cm dall’attuale piano di calpestio: ancora ben riconoscibile è il blocco monolitico della soglia. Mentre lo stipite sinistro, monolitico, termina poco più in alto di quest’ultima, la base dello stipite destro, anch’esso monolitico ma di minore larghezza, poggia direttamente sulla zoccolatura che ha inizio a destra del portale a un’altezza di 143 cm rispetto all’attuale quota del terreno. Questa è composta da tre filari di grossi blocchi spianati di travertino, sormontati da una cornice dal profilo obliquo alta circa 32 cm che doveva proseguire ininterrotta fino alla cappella Galliuti; il passaggio dal lato interno

46 dello stipite dello scomparso portale all’aggetto dello zoccolo è ottenuto in maniera graduale ed elegante tagliando la superficie dei primi blocchi per formare uno spigolo inclinato (figg. 2.96, 2.97). In corrispondenza della quarta monofora la zoccolatura acquista un ulteriore filare di pietre e si alza di 53 cm; l’innalzamento è assecondato dalla cornice inclinata, che presenta, in corrispondenza del gradino, un blocco a forma di L rovesciata che segue l’andamento dello zoccolo. La stessa cornice viene poi interrotta dai plinti dei sostegni della seconda archeggiatura che si imposta sopra la zoccolatura, fatta eccezione per l’ultimo semipilastro, la cui base poggia direttamente sullo zoccolo (fig. 2.98). Il primo e l’ultimo sostegno di questa serie di arcate sono semipilastri, mentre i tre centrali sono colonne; i primi sono costituiti da file di blocchi di travertino sovrapposte, mentre i fusti delle colonne, analogamente all’archeggiatura precedente, sono formati da cinque rocchi. Le ghiere dei quattro archi presentano la medesima articolazione delle tre compagne della sezione iniziale del fianco dell’edificio. Il capitello del primo semipilastro si presenta in tutto analogo al corrispondente del fianco opposto: una parte inferiore, modulata, a sezione rettangolare, un abaco dai lati inflessi e un disco liscio, non decorato, come fiore d’abaco (fig. 2.99). Il secondo capitello, anch’esso similissimo al corrispettivo del fianco sinistro, è ornato nella parte inferiore da un singolo giro di foglie d’acqua; la sezione superiore è priva di decorazione e termina in due volute mancanti del consueto disegno a spirale. Similmente liscio è il fiore d’abaco (fig. 2.100). Il capitello del terzo sostegno si differenzia dal precedente soltanto per le volute, qui più grandi, decorate e dal profilo articolato come quello di tre nastri sovrapposti avvolti su loro stessi (fig. 2.101). Il quarto capitello è affine al secondo, dal quale si distingue per la presenza della testina d’uccello che afferra col becco la punta della foglia d’acqua da cui fuoriesce (2.102). L’ultimo capitello appartiene al semipilastro quasi totalmente inglobato nella muratura della cappella Galliuti; di fattura molto semplice, è suddiviso in tre fasce lisce sovrapposte di larghezza crescente. La seconda arcata include un portale sormontato da un architrave monolitico e da un archivolto piatto. Il portale appare murato per due terzi della sua altezza originale con blocchi di travertino e con un inserto in laterizio parzialmente ricoperto di malta; nello spostamento verso il basso dell’apertura parte della zoccolatura è stata asportata e la sezione inferiore dello stipite sinistro, pari a un terzo circa della sua altezza totale, è stato tagliata a metà nel senso della lunghezza (fig. 2.105). I due capitelli quasi identici degli stipiti del portale sono caratterizzati da un

47 ordine di cinque foglie d’acqua; la seconda e la quarta foglia, più basse delle altre, nascondono un caulicolo da cui nasce una doppia coppia di elici e volute, dalle terminazioni polilobate quella inferiore, a spirale quella superiore (figg. 2.103, 2.104). A differenza del semicapitello di destra, in quello di sinistra è presente l’inserto decorativo della testa di uccellino che becca la quarta foglia. Sotto l’ultima arcata lo zoccolo si interrompe bruscamente anche per fare spazio ad un terzo accesso, oggi murato, la cui soglia coincide con l’odierna quota del terreno (fig. 2.106). Di questo portale rimangono due coppie di pietre in travertino grigio compatto, incorporate nella muratura, che chiudevano lateralmente gli angoli superiori del portale; il profilo trapezoidale delle pietre superiori, sottolineato da un triangolo inciso in corrispondenza dello spigolo inclinato, dona alla terminazione superiore del portale un andamento curvo e smussato. Nella muratura sotto la terza arcata, poco più in alto della cornice superiore dello zoccolo, è inserita un’epigrafe di forma pressoché quadrata, che reca la seguente iscrizione in caratteri onciali (fig. 2.107):

NOBIL(IS) ISTE NAT(US) SE(N)SUQ(UE) P(RO)BITATE DOTATUS / CO(M)TE DE BIS(ER)NO CUI LUCEAT LUX AB ET(ER)NO / IACET PROT(R)AT(US) CU(M) PATRE HIC TUMULATUS / CESS(ENT) GAUDE(RE) ET N(ON) DESINA(N)T TUSCII FLERE / QUIA DEFECER(UN)T ARMA BELLICA ET P(ER)IERU(N)T / Q(UO)N(IAM) FUIT EXTI(N)CT(US) CO(MI)TE QUI HIC IACET I(N)T(US) / P(RO) QUO ROGEM(US) DEU(M) PAT(R)E(M) ET EXOREMUS / QUATINUS ET(ER)NA(M) PACE(M) T(RI)BUAT ET SE(M)PIT(ER)NA(M) AMEN / A.D. MILLO CCC XIII I(N)DIT(IONE) XI DIE XXIII M(EN)SIS / IULII.217

Superata la quarta arcata, una serie di edifici di altezze differenti si addossano alla chiesa mascherandone la muratura fino all’inizio dell’abside. Il primo di questi è la cappella Galliuti, edificata con lo stesso travertino color ocra del fianco destro e illuminata da una semplice monofora ad arco semicircolare che si apre nella parete nord-ovest (fig. 2.108). Seguono la sagrestia, a cui si accede dalla nona campata della navata destra, e altri due ambienti, il primo addossato al muro di fondo della cappella alla destra dell’abside, il secondo incluso tra questo e la parete sud-est della sagrestia. Lo studio delle murature di questi ultimi spazi è reso disagevole per la presenza delle

217 Una trascrizione dell’epigrafe si trova in G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 119; G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, pp. 165-166, M. MACCIONI , 1771, p. 4 e in E. LOMBARDI , 1966, pp. 22-23. 48 abitazioni attaccate al muro sud-ovest della cappella Galliuti, che impediscono l’accesso al retro della cattedrale. Analogamente al fianco opposto, anche il secondo livello del fianco destro presenta una divisione in tre sezioni: una prima, caratterizzata da paramento zebrato e cinque monofore, parte dallo spigolo del prospetto e include le prime cinque campate della navata; la seconda coincide con la muratura sotto la cupola ed è in semplice travertino, e la terza prosegue fino all’attacco dell’abside (figg. 2.109-2.111). A differenza del lato nord-est, la prima sezione non presenta la serie di arcatelle sovrapposte al paramento, ma una semplice zebratura su un solo livello. La cornice che la sormonta, separata dalla gronda del tetto da una fascia in laterizio in parte coperta di malta, è modanata e non decorata da foglie d’acqua e volute come in facciata e sul fianco opposto. Alla sinistra del punto di giunzione tra le due sezioni si apre una finestrella quadrata che all’interno coincide con l’arco trasverso che separa la quinta campata dalla sesta e che permette presumibilmente di accedere al sottotetto. Il paramento sotto il tiburio è dotato della medesima cornice a mattoni disposti di taglio che compare nel fianco nord-est e termina nel punto di unione con la muratura della fase post 1287 (fig. 2.112). La terza sezione del cleristorio, di altezza più elevata rispetto alla precedente, presenta, come nel fianco sinistro, due finestre archiacute e un’apertura quadrata per accedere ai sottotetti; la seconda monofora risulta tamponata dagli edifici aggiunti successivamente (fig. 2.115).

Cupola

Sopra la già citata sezione di muratura priva di archeggiature della parete della navata centrale, corrispondente alle campate sesta e settima, si imposta il tiburio ottagonale che riveste la cupola della cattedrale (figg. 2.113, 2.114). Costruito in laterizio, esso appare diviso in tre parti. La sezione inferiore, coincidente col tamburo, presenta un semplice paramento in mattoni movimentato a circa metà della sua altezza da una sottile fascia in pietra bianca; sui quattro lati paralleli e perpendicolari all’orientamento della chiesa si aprono oculi strombati decorati da rosoncini litici, dei quali solo quelli dei lati allineati ai fianchi sono oggi visibili dall’esterno. Il rosone dell’oculo nord-est è composto da sei mandorle intrecciate attorno a un anello centrale, che racchiude a sua volta un fiorellino a sei petali; nel rosone del lato opposto, visibile dal fianco destro, dodici colonnette dotate di capitellino si dipartono da un nodo circolare centrale e sorreggono una teoria di archetti acuti.

49 La prima sezione del tiburio è separata dalla superiore da una modulata cornice marcapiano in travertino; sopra a questa, su ognuno degli otto lati, si imposta una serie di cinque nicchiette abbastanza profonde, sormontate da una finissima cornicina in laterizio a rilievo. Segue una seconda cornice marcapiano in mattoni, modulata e più alta della precedente. La terza sezione, infine, struttura novecentesca e di minore larghezza rispetto alle inferiori, è costituita da un’alta base ottagonale con un piccolo oculo al centro di ciascun lato, su cui poggia un tetto piramidale culminante in una lanterna.

Abside

Su entrambi i lati dell’edificio una parasta separa visivamente il corpo della chiesa dal presbiterio. La quota pavimentale di quest’ultimo si trova a diversi metri al di sopra del livello esterno del terreno, ed è evidenziata, come già detto, da una cornice marcapiano modulata. La muratura sottostante, quella del cosiddetto ‘soccorpo’ della chiesa, si presenta rimaneggiata nelle giunture tra i conci, riprese con integrazioni in cemento presumibilmente nel secolo scorso; nel lato centrale del corpo pentagonale e nel muro inferiore alla cappella in fondo alla navata sinistra si trovano monofore a tutto sesto. Il presbiterio è costituito da un’abside pentagonale e da due adiacenti cappelle a terminazione rettilinea (figg. 2.116-2.118). La muratura della parete di fondo di quest’ultime termina in alto a mo’ di spiovente sopraelevato rispetto al tetto delle navate laterali (quello della navata destra appare parzialmente ricostruito in cemento), e presenta una monofora a tutto sesto sormontata da un coronamento archiacuto; l’apertura della cappella del fianco sud-ovest è in parte invisibile dall’esterno, poiché si affaccia in uno degli ambienti della sagrestia. Nei due lati lunghi dell’abside, alla quota del cleristorio, si trovano due monofore a terminazione semicircolare, mentre nei tre lati corti si aprono tre grossi finestroni a tutto sesto, caratterizzati da un’articolata strombatura e da un coronamento piatto a sesto acuto; un oculo polilobato sormonta la finestra centrale, che presenta scolpito all’interno del suo coronamento un leone rampante, stemma della città massetana. Le grandi aperture sono separate da larghe paraste; in cima alle due centrali fungono da doccioni due mezzi busti di leoni a fauci spalancate. L’intera area presbiteriale è movimentata da una serie di cornici marcapiano, in parte frammentarie: la prima partendo dal basso, semplicemente modanata, interessa solamente l’abside e taglia i finestroni a circa due quinti della loro altezza; la seconda,

50 poco più in alto, è decorata da foglie d’acanto e corre all’altezza del lato superiore degli sguanci delle finestre del muro di fondo delle due cappelle; la terza, a dentelli fino all’incrocio coi lati diagonali dell’abside e a foglie d’acanto nella sezione centrale, corrisponde invece al livello della gronda dei muri dei fianchi dell’edificio; la quarta, ancora a dentelli, si sviluppa sopra i finestroni dell’abside dove si spezza a formare tre ghimberghe decorate da gattoni, oggi in parte perduti e ormai assenti sulla finestra destra; l’ultima, ornata di foglie lisce e coppie di volute, si trova sotto la gronda del tetto.

Campanile

Il campanile è a pianta quadrata e si erge tra il palazzo del vescovado e la cattedrale; il lato sud-ovest è appoggiato alla muratura esterna dell’edificio all’altezza della settima campata della navata sinistra (fig. 2.119). La base del campanile era originariamente attraversata da un passaggio di cui sopravvive l’apertura ad arco a tutto sesto sul lato nord-ovest, attuale accesso alla torre; il varco venne bloccato con la costruzione della cappella della navata sinistra che a essa si addossa (fig. 2.120). Ai lati dell’ingresso corre uno zoccolo alto 169 cm. I quattro lati del campanile sono movimentati da una serie di finestre che aumentano di dimensione salendo verso l’alto: partendo dal basso si incontrano due strette feritoie, una bifora, una trifora, una quadrifora e due pentafore (figg. 2.121-2.124). Fatta esclusione per le feritoie, ogni apertura è sormontata da una teoria di archetti pensili sorretti da mensoline ornate con una foglia d’acqua, che decora gli archetti stessi. Gli archi delle finestre insistono su colonnine lisce caratterizzate da un’accentuata èntasi e provviste di capitelli a foglie lisce di variata decorazione; questi sono raccordati agli archi da pulvini ornati da protomi umane, coppie di testine zoomorfe o foglie lisce e piccole volute. Il campanile si conclude con al centro una struttura piramidale a base esagonale e piccole guglie ornate da fogliami su ciascuno dei quattro angoli (fig. 2.125). E’ necessario avvertire che gran parte di ciò che oggi è visibile della torre campanaria è frutto di un radicale restauro in stile eseguito negli anni ’20 del secolo scorso.

51 Interno

Controfacciata

La muratura della controfacciata appare per la maggior parte priva di intonaco, fatta eccezione per tre grandi frammenti di affreschi e per parte del paramento corrispondente alla prima campata della navata sinistra (fig. 2.126). La fascia inferiore della muratura presenta un aggetto che coinvolge i primi tre filari nella sezione compresa tra il portale e il semipilastro sinistro, prominenti in blocco di pochi centimetri, e le prime due file di conci nella zona tra l’apertura e l’incrocio con la parete laterale destra; di queste la più alta sporge di 8 cm rispetto al paramento superiore, mentre la più bassa forma un gradino che varia dai 6 cm presso il portale ai 17 cm allo spigolo del prospetto e che ingloba il dado su cui si imposta il semipilastro destro (fig. 2.127). Al centro della controfacciata si apre il portale maggiore della chiesa. Sopra la lunetta del portale, a sinistra di una nicchia ricavata nello spessore del muro per ospitare una statua di San Cerbone, si intravede parte del profilo dell’oculo murato ancora visibile in facciata. Salendo ancora in altezza nella muratura si apre il grande oculo provvisto di vetrata istoriata che si trova al centro del secondo ordine del prospetto. La sezione centrale della controfacciata è divisa dalle pareti di fondo delle navatelle da due semipilastri su cui si impostano le volte a crociera delle campate iniziali delle navate e il primo valico del colonnato. Entrambi i capitelli dei semipilastri sono una rivisitazione del corinzio: il destro presenta un ordine di foglie d’acanto intervallate da caulicoli riccamente ornati da cui si dipartono due coppie sovrapposte di volute ed elici; il fiore d’abaco della faccia frontale è occupato da un leoncino dalle fauci aperte e i canini bene in vista (fig. 2.128). Il capitello sinistro è decorato invece da due file di foglie d’acanto; tra le foglie dell’ordine superiore spuntano i caulicoli da cui nascono volute e elici disegnate non come semplici nastri ma come lunghe foglie lobate che si arricciano attorno a rigogliose rosette (fig. 2.129). Nella parete di fondo della navata sinistra, in alto a destra sopra il frammentario affresco di una Crocifissione , si apre un oculo, la cui cornice strombata è parzialmente coperta dalla muratura del fianco sinistro della cattedrale e dalla costola della soprastante volta a crociera. La stessa cosa accade all’oculo posto in posizione simmetrica all’altro lato della controfacciata.

52 Navata centrale

I due colonnati che conducono dalla controfacciata all’abside sono composti da nove coppie di sostegni, cinque coppie di colonne (le prime quattro e la sesta) e quattro di pilastri cruciformi (fig. 2.130). Cinque colonne presentano un fusto monolitico (le prime quattro della fila destra e la seconda della fila sinistra), mentre le altre cinque sono formate da più rocchi. Esse differiscono l’una dall’altra per la differente lunghezza; la prima colonna destra si distingue in particolare per la sua maggiore dimensione, compensata dalla minore altezza del capitello e dall’assenza del plinto sotto alla base. Tutti i sostegni mostrano tracce di intonaco. Il primo capitello del colonnato sinistro è corinzio e presenta due ordini di foglie d’acanto; tra le foglie della fila superiore nascono caulicoli lisci da cui si dipartono due coppie sovrapposte di volute ed elici (fig. 2.131). I fiori d’abaco sono decorati con rosette e elementi vegetali. Il capitello corrispondente della fila opposta presenta una struttura simile ma foglie meno carnose e una sola coppia di volute ed elici, che racchiudono nella loro spirale rigogliose rosette (fig. 2.132). Il capitello della seconda colonna sinistra è assai simile al primo della stessa fila, eccetto che per i caulicoli, qua riccamente ornati (fig. 2.133). Anche il compagno del colonnato destro è una raffinata rivisitazione dell’ordine corinzio (fig. 2.134). La terza coppia di colonne presenta invece capitelli neo-compositi. L’esemplare della fila sinistra è diviso da una cinturina di perline e fusarole in due parti, l’inferiore occupata da un ordine di foglie d’acanto, la superiore da due gonfie volute che includono una rosetta; il kalathos del capitello appare decorato da un intreccio di motivi vegetali, e sulla faccia rivolta verso la facciata porta una tabella con l’iscrizione ENRICUS HOC OPUS FECIT (fig. 2.135). Il compagno della fila destra è di analoga struttura, ma presenta fogliame e volute più piatti e intagliati in superficie; il kalathos è ornato da una teoria di ovuli inclusi in un doppio sguscio (fig. 2.136). Sugli angoli del plinto di base della colonna destra sono scolpite grosse rosette pentalobate (fig. 2.137). Il quarto capitello sinistro è decorato da due ordini di foglie d’acqua sormontate da due grosse volute dal profilo aggettante; i fiori d’abaco mostrano, partendo dal lato rivolto verso la facciata e proseguendo in senso orario, un leone che sormonta un drago, una testa di satiro barbato, un secondo leone privo di preda e una protome umana dalla chioma ricciuta e la bocca carnosa (figg. 2.138-2.140). Il capitello della fila opposta presenta nella parte inferiore un giro di foglie d’acanto e nella superiore un’alta foglia centrale sormontata da un elemento

53 fitomorfo e affiancata da due aquile angolari con preda (fig. 2.141). Queste tengono negli artigli, partendo dalla faccia verso il prospetto e proseguendo in direzione oraria, un quadrupede dalle lunghe zampe posteriori (forse un coniglio), un drago, un cinghiale e un ariete. Il plinto della colonna destra è ornato agli angoli da rosette, come nel terzo sostegno della medesima fila (fig. 2.142). I capitelli della quinta coppia di pilastri cruciformi sono molto simili. Il capitello sinistro presenta su ogni faccia una fila di cinque foglie d’acanto, le centrali più basse delle altre e sormontate da caulicoli fitomorfi e da due coppie di volute ed elici (fig. 2.143). Il lato verso la facciata ha come fiore d’abaco la figurina di un leone, mentre la faccia rivolta verso la parete sinistra dell’edificio mostra una diversa e più corsiva lavorazione del fogliame rispetto alle altre, da imputare forse a una successiva rilavorazione. Il quinto capitello della fila destra presenta la medesima struttura del compagno sinistro, ma fiori d’abaco solo vegetali (fig. 2.144). La parte inferiore dei pilastri, comprensiva della base e delle prime due file di conci e terminante all’altezza di circa 110 cm, è eseguita in una pietra più scura del materiale della parte superiore. Al centro delle quattro facce del pilastro sinistro, a circa 220 cm da terra è presente una cavità rettangolare tamponata. I capitelli delle seste colonne sono corinzi con due ordini di foglie d’acanto e caulicoli vegetali; nell’esemplare sinistro la nervatura centrale di ogni foglia ha una particolare conformazione a ‘tridente’ (figg. 2.145, 2.146). Analogamente alla precedente coppia di sostegni, la parte più bassa delle colonne, fino all’altezza di 190 cm, è di materiale differente (fig. 2.147). La base si presenta diversa rispetto a quella delle altre colonne perché ottagonale anziché circolare e perché posta su un plinto di altezza maggiore; i piccoli spazi di risulta tra il fusto della colonna e il profilo ottagonale della base sono decorati con elementi vegetali. I pilastri cruciformi della settima coppia di sostegni presentano un aspetto particolare, dovuto alla compresenza di due diverse fasi costruttive (figg. 2.149-2.156). Ciò è particolarmente evidente nella conformazione dei due capitelli: sulla faccia rivolta verso il prospetto e su metà del lato rivolto verso la parete delle navate laterali si estende un capitello a foglie d’acqua con fiori d’abaco lisci e circolari, mentre il resto del pilastro è sormontato, a un’altezza superiore, da un capitello corinzio a due ordini di foglie d’acanto; nel pilastro sinistro le foglie della fila inferiore sono curvate da un lato per ottenere l’effetto ‘mosse dal vento’. Sulla faccia rivolta verso le pareti esterne, sopra al capitello a foglie d’acqua, sale una piccola lesena coronata da una mensolina fogliacea, su cui si imposta una membratura ad arco che collega il sostegno al corrispondente semipilastro sulla parete opposta, anch’esso

54 sormontato da una piccola lesena con mensola. Come nella quinta e sesta coppia di sostegni, la parte inferiore presenta fino alla quota di 199 cm circa da terra un aspetto differente, dovuto all’utilizzo di un travertino più scuro e molto compatto e alla struttura a file di conci più piccoli (fig. 2.148). L’ottava coppia di sostegni è costituita da due pilastri cruciformi sormontati da capitelli corinzi (fig. 2.157). L’ultima coppia di pilastri mostra solo tre lati, dato che la faccia posteriore è inglobata nella muratura delle tre absidi. Il capitello del sostegno sinistro è decorato da due ordini di gonfie foglie lobate e nervate, con la punta rivolta verso l’interno (figg. 2.161, 2.162); il corrispondente capitello del colonnato opposto presenta sul lato frontale e destro una fila superiore di foglie lisce a crochet, e una inferiore di fogliame frastagliato ‘mosso dal vento’, e sul lato sinistro due ordini di foglie più piccole e lobate (figg. 2.158-2.160). Su entrambi i pilastri, sulla faccia rivolta verso il prospetto, sono affrescate due croci di consacrazione entro tondi. Le prime cinque e le ultime due campate della navata centrale hanno una copertura a volte a crociera, impostate su lesene che sormontano ciascuno dei sedici sostegni sul lato rivolto verso il centro della chiesa (fig. 2.163). Le lesene sulle prime quattro coppie di colonne sono intonacate e sormontate da un semplice capitello modanato. La successive tre coppie di lesene sono in travertino a vista: la quinta è dotata di capitello corinzio con rosette in luogo delle volute e delle elici, collegate da tubicini alle foglie sottostanti; la sesta si interrompe poco più in alto della precedente ed è priva di capitello; la settima, terminante a un’altezza ancora superiore, presenta un capitello a due ordini di foglie lisce dalla punta frastagliata sul sostegno sinistro, e d’acanto ‘mosse dal vento’ sul pilastro destro (fig. 2.164). Mentre le lesene delle seste colonne non sorreggono alcunché, su quelle della quinta e settima coppia si imposta il tamburo della cupola ottogonale (fig. 2.165). Sia il tamburo con i quattro pennacchi a tromba sia la soprastante cupola sono intonacati; sotto la prima tromba sinistra è visibile il frammento di un affresco. Nei quattro lati del tamburo compresi tra i pennacchi si aprono oculi circolari, due dei quali tamponati: l’apertura rivolta verso il prospetto è bloccata dalla volta della quinta campata e quella verso l’abside dalla copertura dell’ottava. La cupola ottagonale vera e propria è separata dal tamburo da una cornice a dentelli. Le ultime due coppie di lesene, anch’esse in travertino, sorreggono le volte a crociera delle campate ottava e nona (figg. 2.166, 2.167). Il capitello della lesena dell’ottavo pilastro sinistro presenta due ordini di foglie, le superiori lisce e le inferiori ‘mosse dal vento’ (fig. 2.169), mentre quello del sostegno del lato opposto è decorato da due file di foglie lisce

55 e nervate e con la punta piegata in avanti; al centro dell’arco trasverso che le collega vi è uno stemma alla croce caricata di sei crescenti montanti, affiancato su entrambi i lati da un’epigrafe del 1304 fortemente ripassata e modificata, e più all’esterno da un’iscrizione del 1637 (fig. 2.170). I capitelli infine delle ultime due lesene presentano la medesima ornamentazione con due ordini di foglie frastagliate e profondamente nervate, diverse dalle precedenti perché non aggettanti ma aderenti al piano di fondo (fig. 2.168); l’arco che le collega presenta al centro lo stemma alla fascia accompagnata da tre crescenti, posti due nel capo e uno nella punta, della famiglia Tolomei (fig. 2.171). Nella parte alta della parete della navata centrale, nelle prime cinque e nell’ottava e nona campata, si aprono monofore: le prime cinque sono a tutto sesto e le ultime due a sesto acuto. Alle aperture del cleristorio destro delle campate precedenti la cupola si sovrappongono lievemente la vela destra delle volte a crociera. Al di là della nona coppia di sostegni si apre l’abside maggiore della cattedrale (fig. 2.172). Essa presenta cinque lati, due più lunghi in continuazione delle pareti della navata centrale e tre centrali, più brevi, caratterizzati dalla presenza di grandi finestroni strombati. Lungo le pareti corrono tre cornici marcapiano: la più alta, modanata e dentellata, collega i capitelli delle lesene della nona coppia di sostegni al lato superiore degli sguanci del primo e del terzo finestrone; la seconda, semplicemente modanata, si svolge alla quota della base delle finestre e la terza appare modanata e dentellata. I tre finestroni dal profilo ad arco semicircolare presentano un coronamento archiacuto e un’articolata strombatura tagliata trasversalmente, alla quota della cornice marcapiano più alta, da una cornice a foglie d’acanto che connette le tre finestre (figg. 2.173-2.176). Sotto il coronamento a sesto acuto del finestrone centrale si trovano la figura di un Agnus Dei e sotto un leone rampante, animale dello stemma della città di Massa; sopra la stessa finestra si apre un oculo circolare contenente un rosoncino a sei lobi (fig. 2.177). Al di sopra della cornice più alta, nei lati lunghi dell’abside, si aprono due monofore strombate a tutto sesto con apertura esterna trilobata (fig. 2.178). L’abside è coperta da una volta esapartita costolonata, la cui chiave è decorata da un fiore a cinque petali; i tre costoloni centrali scendono dalla volta lungo le pareti dell’abside fino a terra, evidenziando la partizione del corpo absidale in cinque lati (fig. 2.179). Gli spicchi della volta sono intonacati; tracce di una decorazione a foglie lanceolate sopravvivono sui costoloni, lungo il profilo degli archi sotto le vele e attorno alle due monofore (figg. 2.180-2.182). Un affresco raffigurante due vescovi è visibile sul lato destro dell’abside, immediatamente sopra alla seconda cornice marcapiano; sul

56 lato opposto, incluso tra le cornici inferiore e mediana, sta un piccolo ciborio di pietra, affiancato da due angeli reggicero affrescati.

Navata sinistra

La parete della navata sinistra presenta numerosi frammenti di affreschi che nascondono in parte il paramento murario (figg. 2.183, 2.184). Le prime due file dal basso di conci aggettano di pochi centimetri rispetto alle superiori: il gradino è visibile nelle prime quattro campate fino al monumento Traversi, superato il quale uno spesso strato di intonaco copre la parte inferiore della muratura fino al portale della sesta campata (fig. 2.185). La navata è voltata a crociera: le volte delle prime cinque campate sono intonacate e impostate su peducci, mentre quelle della sesta e della settima sono a mattoni a vista e sono sorrette, nella parete laterale, da semipilastri. Una recentissima campagna di restauro ha riportato alla luce la decorazione ad affresco delle due volte successive, anch’esse poggianti su semipilastri. Partendo dalla controfacciata, nella parete della prima campata incontriamo fissato al muro un rilievo antico con immagine clipeata (fig. 2.186). Segue poco più avanti un arcosolio, all’interno del quale è murato un sarcofago antico; la parete di fondo della nicchia presenta un trittico ad affresco raffigurante una Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Caterina d’Alessandria . Nella parte alta della parete si apre una monofora decorata con la protome di un cane o di un lupo; sulla cornice arcuata della finestra è presente una scritta con la data 1858 (fig. 2.190). Una piccola e rettangolare lastra lapidea intarsiata con un motivo di losanghe è murata nel pavimento presso la controfacciata; poco più avanti si incontra un’iscrizione sepolcrale in caratteri onciali, di piccole dimensioni, seguita da una ben più grande lastra terragna divisa in più pezzi. Su quest’ultima è incisa una figura sotto un arco acuto e pentalobato, la cui cuspide è affiancata da entrambi i lati da uno scudo con la figura di un gallo, stemma della famiglia Galliuti; lungo la figura corre un’iscrizione con il nome del defunto Toro dei Galliuti e la data 1338. Nella parete della successiva campata troviamo la parte destra di un grande affresco raffigurante un’ Annunciazione , che termina laddove si apre il primo portale laterale del fianco sinistro (fig. 2.187). Una lastra in marmo bianco con un’epigrafe del secolo scorso è fissata al muro sotto il dipinto. L’accesso è sormontato da una lunetta affrescata con al centro una Madonna col Bambino in trono tra i santi Bartolomeo e Caterina

57 d’Alessandria; ancora più in alto si apre un piccolo oculo circolare. A destra del portale vi è un altro affresco frammentario rappresentante un episodio della vita di Sant’Antonio Abate. Di fronte al secondo sostegno del colonnato sta un’acquasantiera a fusto, con bacile mistilineo sorretto da una colonnetta con capitello corinzio assai consunto, decorato con i quattro simboli del Tetramorfo. La parete della terza campata presenta al centro un grande frammento di un affresco raffigurante la Cavalcata dei Magi, seguito più avanti da una croce di consacrazione entro un tondo (fig. 2.188). La monofora è decorata dalla figura di un’aquila ad ali spiegate che tiene negli artigli un drago (fig. 2.191). La parete della campata seguente è in gran parte occupata dall’ottocentesco monumento al vescovo Gaspare Traversi, la cui cuspide centrale va in parte a sovrapporsi alla monofora soprastante (fig. 2.189); quest’ultima è tamponata e ornata nell’intradosso dell’archetto di coronamento da una grande foglia con la punta ripiegata in avanti e la nervatura centrale costituita da una seconda foglia lanceolata decorata con forellini di trapano (fig. 2.192). Nella muratura alla sinistra del monumento si notano i segni di un arcosolio tamponato con pietre e mattoni; simili tracce di un secondo arcosolio sono visibili nel paramento alla destra dell’opera ottocentesca. All’inizio della quinta campata è visibile un’altra croce di consacrazione, sotto alla quale si notano i residui dell’angolo di una cornice affrescata bianca e rossa e le tracce di una nicchia tamponata e intonacata, in parte coperte da una tela seicentesca raffigurante l’ Annunciazione (fig. 2.193). Anche la muratura alla destra del dipinto mostra nella parte inferiore, almeno nella parte non coperta da intonaco, un paramento disordinato che tradisce la presenza di un’antica apertura poi tamponata. L’intradosso della monofora soprastante è ornato da una grande foglia liscia dalla punta ripiegata (fig. 2.196). La quinta e la sesta campata sono separate da un semipilastro dotato di capitello semplicemente sagomato e con fiore d’abaco a disco, analogo al suo corrispondente all’esterno della chiesa (fig. 2.197). Sul semipilastro sopravvive la sinopia di un affresco rappresentante Cristo che guarisce un cieco . La parete della sesta campata è ricoperta da uno spesso strato di intonaco che raggiunge l’altezza della base dell’architrave dell’accesso che si apre accanto al successivo semipilastro (fig. 2.194). Sopravvive, accanto allo stipite del portale, un piccolo affresco d’epoca moderna con una Madonna col Bambino, sopra al quale, ma più spostata verso sinistra, vi è una lapide di fine Settecento per il vescovo Pietro Maria Vannucci. Il portale è sormontato da una lunetta

58 decentrata verso destra rispetto alla larghezza dell’accesso, allo stesso modo della lunetta corrispettiva all’esterno. Nella parte alta della parete si apre una monofora priva di decorazione. Segue un semipilastro con capitello analogo al precedente, a separazione della sesta campata dalla settima (fig. 2.198). Il paramento di quest’ultima presenta, nella parte bassa, un aspetto molto più grezzo rispetto alla sezione superiore; si individua anche, alle spalle del confessionale ligneo posto contro la parete, un arco ribassato in laterizio, inglobato nella muratura, coronamento forse di una perduta nicchia (fig. 2.195). In alto a destra è visibile il profilo di una porta tamponata, già di accesso al primo piano del campanile (fig. 2.199); ancora più in alto, ma spostata verso sinistra, si apre una monofora uguale alla precedente ma bloccata dall’esterno dal volume della già citata torre campanaria. L’intradosso dell’arco tra il sesto e il settimo sostegno conserva una decorazione ad affresco molto danneggiata nella quale è appena possibile riconoscere una successione di elementi floreali di colore purpureo (fig. 2.200).

Il semipilastro che divide la settima dall’ottava campata è dotato di un capitello uguale ai due precedenti, ma rimaneggiato: esso appare resecato a circa metà della sua larghezza e completato nella sezione destra da un inserto che ne imita la forma ma lascia il fiore d’abaco tagliato a metà (fig. 2.201). Il capitello è sormontato da una piccola lesena con capitello fogliato su cui si imposta l’arco trasverso di collegamento col settimo pilastro cruciforme. Nell’ottava campata si affaccia la cappella laterale adiacente il corpo del campanile, nota nelle fonti moderne come cappella del Santo Rosario (fig. 2.203). Il pilastro cruciforme sinistro dell’arcone d’accesso a questo ambiente presenta un capitello corinzio a due ordini di foglie d’acanto che si sviluppa sui tre lati liberi del sostegno; mentre non vi sono interruzioni nella decorazione del capitello, la cornice superiore dell’abaco presenta una sporgenza nella parte sinistra della faccia rivolta verso l’abside, che sembra indicare la continuazione, poi interrotta, della stessa in direzione sud-est (fig. 2.202). Una conformazione simile ha il capitello opposto dell’arcone, anch’esso decorato su tre lati da due ordini di foglie d’acanto e con la medesima protuberanza nella cornice nella faccia rivolta verso il prospetto della chiesa (fig. 2.204). La fronte di questo capitello è contraddistinta da una decorazione più ricca: ai lati delle volute dello spigolo sinistro stanno due putti che vi si aggrappano per un braccio; la figura destra, rivolta verso il centro del capitello, è mancante di un arto, col quale doveva portarsi un corno alla bocca (fig. 2.205). Il fiore d’abaco è decorato da

59 una testina virile dalla chioma ricciuta, accompagnata a destra da una piccola aquila stante sulla punta di una delle foglie sottostanti; nell’angolo destro del capitello stanno in equilibrio sulle foglie due leoni affrontati. La cappella del Santo Rosario è a pianta quadrata e voltata a crociera; la volta si imposta sui due pilastri di accesso, su due paraste agli angoli della parete di fondo, quella sinistra molto stretta e sormontata dalla sezione di un capitello con gonfie foglie ripiegate all’indietro, quella destra, più larga, a due ordini di fogliame nervato e frastagliato (figg. 2.206, 2.207). Gran parte della superficie muraria è coperta da strati di intonaco sporco e danneggiato. Nella parete sinistra si apre un grande arcone cieco che coincide presumibilmente con l’apertura passante del piano inferiore del campanile, tamponata al momento della costruzione della cappella (fig. 2.208). Sulla parete di fondo si conservano i frammenti di una Madonna col Bambino in trono e della cornice inferiore di un affresco perduto. Sul semipilastro angolare destro sopravvivono i residui di una Santa Caterina dipinta. L’ambiente trae luce da una monofora a tutto sesto nella parete di fondo della cappella. Tornando nella navata, le vele della volta della campata, così come quelle della campata successiva, sono state recentemente interessate da un restauro che ne ha messo in luce l’originale decorazione ad affresco (figg. 2.210, 2.211). La parete della nona campata è quasi interamente intonacata: in essa si apre in basso la porta che conduce alle scale per l’accesso al soccorpo della chiesa (fig. 2.209). Nell’architrave della porta è incisa la data MCMXLVII. Sopra la porta è murata un’epigrafe in due pezzi che ricorda la consacrazione della cattedrale nel 1586. Ancora più in alto si apre un grande oculo di diametro quasi pari alla distanza tra il capitello già descritto e quello del semipilastro che separa la nona campata dalla decima. Quest’ultimo sembra essere composto dall’unione di sezioni di due capitelli diversi: la parte sinistra mostra un ordine inferiore di fogliame mosso dal vento e uno superiore di foglie a crochet, attorno a un kalathos ricurvo decorato da rosette pentalobate; la parte destra, a sezione rettangolare e separata dalle precedente da una banda di malta liscia, presenta anch’esso una fila di foglie a crochet e una di foglie frastagliate, ma morfologicamente diverse dalle prime (fig. 2.212). La parte sinistra del capitello è in parte inglobata nello strato d’intonaco che ricopre la parete. Dalla nona campata si accede alla cappella del presbiterio che si trova alla sinistra dell’abside maggiore (fig. 2.216). L’ambiente è a pianta quadrata e voltato a crociera; le vele della volta poggiano, sull’angolo in fondo a sinistra, su una stretta parasta con capitellino molto danneggiato, un tempo decorato con due file di foglie disposte attorno

60 a un kalathos curvo ornato di rosette, in tutto analogo alla parte sinistra del capitello del semipilastro destro della nona campata (fig. 2.213). Il capitello dell’angolo in fondo a destra, anch’esso assai guasto, presenta una decorazione con lunghe foglie frastagliate (fig. 2.214). Sulla parete di fondo si apre un finestrone con terminazione a tutto sesto e coronamento archiacuto; lo affiancano due cornici, una modanata alla base e una fogliata alla quota dell’imposta dell’arco superiore (fig. 2.215). Al centro della cappella sta un altare novecentesco in travertino, con mensa sorretta da sei colonnine.

Navata destra

Rispetto alla navata sinistra, la parete della destra presenta meno frammenti ad affresco o porzioni di muratura intonacate (figg. 2.217, 2.218). Le campate della navata sono voltate a crociera, fatta eccezione per la nona, sormontata da una cupola emisferica; le volte delle prime cinque campate e dell’ottava sono intonacate, mentre la sesta e la settima sono in laterizio a vista, seppure non del tutto prive di tracce di intonaco. Mentre le volte delle prime tre campate sono sorrette da peducci, la quarta si imposta a sinistra su un semipilastro e le successive su semipilastri da entrambi i lati. La prima campata è quasi interamente occupata da una piattaforma di tre gradini sulla quale è situato il fonte battesimale in travertino di Giroldo da Como, poggiante su quattro leoni acquattati con preda (fig. 2.220). Al centro della vasca si erge un tabernacolo marmoreo quattrocentesco. L’accesso al monumento è impedito da una cancellata in ferro battuto che si sviluppa lungo i lati nord-est e sud-est del fonte. La parete della prima campata, compresa tra l’altezza dell’imposta della monofora e un semipilastro addossato al muro poco più a destra del peduccio della volta soprastante, mostra uno spessore maggiore rispetto alla muratura delle campate successive (fig. 2.219). Il semipilastro ha gran parte dello spigolo sinistro smussato ed è dotato di un capitello semplice, a tronco di piramide rovesciato. All’immediata destra del semipilastro sopravvive la parte superiore di un affresco rappresentante la figura sotto arcata di San Bernardino. La monofora che si apre nella parte alta della muratura è decorata nell’arco da una foglia liscia dalla punta ripiegata. La due file più basse di conci della parete della seconda campata aggettano di pochi centimetri rispetto al paramento soprastante, in maniera simile a quello che avviene nella navata opposta (fig. 2.221). La ridottissima gradinatura prosegue fino al lato destro di un portale tamponato che occupa la parte sinistra della parete della campata;

61 dell’accesso sono ancora ben visibili gli stipiti, l’architrave monolitico e un alto arco acuto di coronamento (fig. 2.222). Nonostante il portale si trovi in corrispondenza di un’apertura tamponata visibile anche all’esterno dell’edificio, la sagoma dei due accessi appare differente. All’interno della lunetta è murata un’epigrafe del 1563. Nella parte alta della muratura si trova una monofora decorata nell’archetto dalla protome di un animale dalle orecchie piccole e gli incisivi affilati, forse un cane o un lupo (fig. 2.223). Anche la parte inferiore del paramento della terza campata è aggettante di pochi centimetri rispetto alla muratura superiore (fig. 2.224). Al centro della parete è appesa una tela ottocentesca raffigurante l’ Assunzione . Nella monofora soprastante è scolpita la testa di un uomo barbato (fig. 2.226). L’aggetto della sezione più bassa della muratura caratterizza anche la quarta campata, al centro della quale è murato un monumento di fine Ottocento eretto in ricordo del vescovo Morteo, composto dal busto dello stesso e da una lastra con iscrizione commemorativa (fig. 2.225). A destra del monumento sopravvive una croce di consacrazione ad affresco. La monofora in alto è decorata da una testa di bovino (fig. 2.227). Il semipilastro che divide la quarta dalla quinta campata ha un basso capitello decorato da un ordine di foglie lisce e una base modanata (fig. 2.229). A metà circa della sua altezza è murata un’iscrizione lapidea fortemente ripassata, sovrastata da un piccolo scudo scolpito con lo stemma della famiglia Bandini, alla banda caricata di due teste d’aquila affrontate controbeccanti un bisante. Immediatamente a sinistra del semipilastro è murata un’altra epigrafe del 1580. Nella parete della quinta campata si riconoscono i segni di una grande apertura arcuata tamponata, al centro della quale è oggi appesa una tela seicentesca rappresentante la Natività della Vergine ; l’assenza di simili tracce all’esterno indica che doveva trattarsi di un’enorme nicchia. Nel pavimento antistante vi è una lastra sepolcrale terragna con raffigurato a bassorilievo il defunto indossante una lunga veste e un berrettone; lo sormonta un arco trilobo, al di sotto del quale si trova uno scudo, quasi illeggibile, mentre lungo il perimetro della lastra, nella sezione al di sopra dell’arco, è ancora visibile un’iscrizione con il nome di Tura di Bartolo. Adiacente alla lastra terragna per il lato corto superiore vi è un chiusino quadrato, la cui unica decorazione consiste in quadrifogli a tarsia posti agli angoli della cornice. L’ultima monofora della parete del fianco destro è ornata dalla testa di un suonatore che si porta alla bocca un corno (fig. 2.228).

62 La quinta campata è divisa dalla sesta da un semipilastro con capitello a quattro fasce lisce sovrapposte di larghezza crescente. Alla sinistra del semipilastro e dietro un moderno confessionale vi è una grossa nicchia tamponata; l’assenza di parte del materiale di riempimento nella sezione superiore permette di riconoscere la presenza di tracce di colore bluastro sullo sfondo della stessa e sull’intradosso dell’arco (fig. 2.230). A sinistra della nicchia si apre un portale dal profilo rettangolare, ottenuto tramite l’abbassamento e l’allargamento di un’apertura più antica, la cui parte superiore, oggi tamponata ma ancora dotata di architrave e di lunetta, è visibile nella muratura al di sopra dell’attuale accesso (fig. 2.231). All’interno della suddetta tamponatura è inserita una lapide del 1615 in onore del vescovo Alessandro Petrucci. La monofora nella parte alta della parete è priva di decorazione; sulle vele della volta, oggi a mattoni in vista, si distinguono residui di intonaco e apparenti tracce di pittura. Il semipilastro che separa la sesta dalla settima campata è dotato di un capitello con fiore d’abaco a disco liscio, uguale al corrispondente della navata opposta. La muratura della parete si presenta irregolare e rimaneggiata: fino alla quota di 166 cm circa il paramento ha un aspetto grezzo e non rifinito; sono poi riconoscibili in alto il profilo di una grande monofora tamponata e in basso a destra la sagoma di un portale chiuso da grandi conci, entrambi visibili anche all’esterno dell’edificio (fig. 2.232). Circa al centro della parete, al livello del pavimento e alle spalle di un confessionale, sono murate due piccole lapidi sepolcrali corredate di iscrizione. L’intradosso dell’arco che collega il quinto e il sesto sostegno del colonnato destro mostra due frammenti di pittura ad affresco: del primo, nella sezione rivolta verso l’abside, rimane la parte superiore della figura di un santo vescovo collocato di fronte a una nicchia sorretta da colonnette e sviluppata in profondità; del secondo, praticamente illeggibile, si distingue soltanto la cornice dell’angolo di un riquadro al cui interno sopravvivono due fasce di colore rosso. Il semipilastro successivo, terminante con un capitello analogo per forma al precedente, è sormontato da una lesena con capitellino a doppia foglia d’acanto su cui si imposta, allo stesso modo del corrispondente della navata sinistra, l’arco trasverso che lo collega al settimo pilastro del colonnato (figg. 2.234-2.236). Il semipilastro è affiancato dal pilastro cruciforme che delimita a destra l’accesso alla cappella laterale che si apre nell’ottava campata; i capitelli che sormontano i due lati liberi del pilastro presentano un’ornamentazione a due ordini di foglie d’acanto. Poco al di sotto del capitello rivolto verso la navatella si trova la celebre iscrizione che segna il 1287 come l’anno d’inizio dei lavori di prolungamento della chiesa. Sul lato del pilastro rivolto verso l’abside è

63 visibile un affresco frammentario raffigurante Santa Caterina d’Alessandria stante sotto un’edicola. Il pilastro cruciforme opposto, collegato al precedente dall’arco trasverso di accesso alla cappella, presenta sui tre lati visibili un capitello a due file di foglie d’acqua nervate, sormontate da caulicoli da cui si dipartono volute ed elici (figg. 2.237, 2.238). Sul lato nord-ovest del pilastro è dipinta una Madonna con Bambino stante, la cui sinopia riemerge sotto le lacune dell’affresco. Nel pavimento antistante è presente una lastra quadrata con al centro uno scudo con aquila bicipite, circondata da una cornice, suddivisa in più pezzi e mal riassemblata, su cui si leggono i frammenti di un’iscrizione sepolcrale con la data 1460. La cappella laterale che si apre nell’ottava campata è voltata a crociera e presenta una pressoché totale intonacatura ottocentesca o novecentesca, comprensiva di bande decorative lungo le membrature architettoniche; sopravvive della decorazione pittorica originale solo un affresco al centro della parete di fondo, parzialmente integrato, con la raffigurazione di tre sante (fig. 2.41). La volta si imposta, oltre che sui due pilastri cruciformi ai lati dell’ingresso, sui capitelli di due pilastrini agli angoli della cappella. Il capitello sinistro è ornato da due ordini di foglie d’acanto dalla punta gonfia e ripiegata all’indietro; al centro del lato principale e agli spigoli stanno coppie di uccellini affrontati che beccano, dei quali perduto è l’uccellino di sinistra di fronte al fiore d’abaco, mentre l’unico pennuto dello spigolo sinistro è parzialmente inglobato nella parete sud-est della cappella (fig. 2.239). Il capitellino del pilastro angolare destro, di minori dimensioni, presenta invece due file di foglie frastagliate che si sviluppano attorno a un kalathos circolare (fig. 2.240). Di fronte alla parete sinistra sta il monumento sepolcrale in marmo scuro del vescovo Giovan Battista Borachia, morto nel 1924; in alto è murato un tondo a bassorilievo in marmo bianco raffigurante una Madonna col Bambino. Di fronte alla parete centrale, sotto l’affresco delle tre sante, è collocato un semplice altare in travertino, la cui mensa è sostenuta al centro da un supporto ad anfora. La nona campata della navata destra non presenta una copertura a volta ma una piccola cupola emisferica (fig. 2.242). Nella parete si apre l’accesso alla sagrestia, sul cui architrave è incisa l’iscrizione del 1341 (fig. 2.243). Al di sopra dell’architrave, sulla sinistra, è murato un piccolo frammento di cornice dentellata, mentre la parte superiore del paramento è occupata da un grande organo (fig. 2.244). Nel pavimento è inserito un chiusino quadrato di cui sopravvive solo la cornice su cui corre un’epigrafe. Al centro dell’intradosso dell’arco trasverso che collega l’ottavo pilastro cruciforme con il pilastro

64 destro di accesso all’abside è visibile la sinopia di un tondo; nella sezione dell’arco rivolta verso sud-est sopravvivono, sempre in rosso di sinope, un’aquila aggrappata a un motivo fogliaceo e due disegni di un arcone cuspidato (fig. 2.245). Dal fondo della nona campata si accede alla cappella alla destra dell’abside (fig. 2.246): i due capitelli su cui si imposta l’arco d’accesso presentano entrambi due ordini di foglie, le superiori a crochet e le inferiori ‘mosse dal vento’ (fig. 2.247); perduti sono invece i pilastrini angolari su cui si impostava la volta a crociera. Analogamente alla corrispondente cappella a sinistra dell’abside, nella parete di fondo si apre un finestrone archiacuto, affiancato da due cornici marcapiano, la superiore, fogliata, all’altezza dell’imposta dell’arco, e l’inferiore, modanata, alla quota della base della finestra (figg. 2.248, 2.249). Sotto il finestrone vi è un altare in travertino composto da una mensa sorretta da quattro colonnette con capitelli fogliati; sotto la mensa si conserva una lastra quadrata a bassorilievo con al centro un tondo con raffigurato un Agnus Dei . Sull’altare è collocata una croce dipinta su tavola a fondo oro. A differenza della parete di fondo, in gran parte a pietre in vista, le due laterali sono totalmente intonacate, e ospitano le tele del Trionfo del Rosario e dell ’Immacolata Concezione .

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66 3. La fase romanica

La cattedrale presenta due principali fasi edilizie. La prima, di epoca romanica, include il corpo delle navate fino alla settima campata compresa; la seconda, generalmente legata alla data 1287, comprende la parte absidale e il terzo ordine della facciata. A differenza di quanto solitamente affermato dalla critica, la fase romanica non si presenta come un unico blocco, ma come la successione di diverse campagne di lavori nelle quali operarono maestranze differenti.

La prima fase

La porzione più antica del Duomo può essere riconosciuta nella costruzione romanica caratterizzata dall’utilizzo della varietà più porosa di travertino. La muratura è composta da conci di grandi e medie dimensioni squadrati e levigati, posti in opera su corsi orizzontali paralleli, secondo quelle che Giovanna Bianchi ha definito “tecniche da scalpellino con conci di cava posti su filari orizzontali”. 218 I letti di posa e i giunti sono molto sottili. Frequente è la presenza di conci con buche pontaie “a risparmio” 219 e di blocchi sagomati a L per la correzione di irregolarità nei filari. Nel fianco sinistro questa fase comprende il paramento murario fino all’altezza della zebratura sopra la tredicesima e dodicesima arcata e fino al livello di imposta delle arcate negli archi successivi (figg. 2.47, 2.48): il passaggio dal travertino poroso e scuro alla varietà più compatta e chiara è ben visibile tra le ghiere della dodicesima e undicesima arcata cieca (fig. 3.1). Appartengono a questa prima fase anche il portale sotto il tredicesimo arco e l’accesso sotto la quarta arcata (pur mostrando, quest’ultimo, caratteri stilistici diversi). Nella facciata l’altezza raggiunta dalla pietra porosa varia a seconda delle arcate, ma arriva più o meno alla quota dei capitelli (fig. 2.3); il portale, anche se inserito in questa fase, è riferibile, come vedremo, ad una maestranza diversa. Più difficile è il giudizio sul fianco destro (fig. 2.83), costruito interamente in travertino più poroso eccetto che per la sezione del paramento sopra al primo pilastro angolare corrispondente allo spigolo del prospetto (fig. 3.2); mentre la seconda serie di arcate appartiene interamente a questa prima fase, ed è contestuale all’edificazione del paramento (fig. 2.98) - come è ben visibile nel rocco inferiore del secondo e del quarto

218 G. BIANCHI , 2008, pp. 33-34. 219 Così le definisce Riccardo Belcari (R. BELCARI , 2009, p. 39). 67 sostegno, inserito, e non semplicemente giustapposto, nella parete muraria (figg. 3.3, 3.4) - l’andamento dei filari appare leggermente diverso passando dal paramento della citata archeggiatura alla muratura della parte ‘vuota’ del fianco, con cambio di spessore nei corsi orizzontali (fig. 3.5). Sono certamente riferibili a questa prima fase entrambi i portali e lo zoccolo che occupa la parte inferiore del fianco compresa tra il portale murato e il muro nord-ovest della successiva cappella Galliuti, essendo logicamente precedente alla seconda serie di arcate cieche che su di esso si imposta (figg. 2.95-2.98). Si può forse individuare una cesura orizzontale tra questa fase e la successiva all’altezza dell’imposta delle quattro monofore che si aprono nella sezione del fianco priva di archeggiature, nel filare dove è ricavata una serie di buche pontaie, dove si ha un lieve cambio di cromia nella pietra (fig. 3.6). Per quanto riguarda l’interno, la lettura delle murature è inficiata dalla presenza di molte zone affrescate o che conservano tracce di antichi intonaci o di successive scalpellinature (figg. 2.184, 2.216): è però plausibile che l’altezza raggiunta in questa prima campagna di lavori coincida con quella già indicata per la muratura esterna. Spettano a questa fase anche i due colonnati interni fino alla settima coppia di sostegni, ed il tratto di muratura del cleristorio sottostante la cupola, privo di bicromia, corrispondente alle campate sesta e settima (figg. 2.81, 2.111, 2.164); esso è chiaramente successivo al colonnato interno, sul quale è impostato, ma può essere incluso nella medesima campagna di lavori per le lesene sopra le quinte colonne, provviste di capitellino classicheggiante (fig. 3.7). Anche le lesene sopra la sesta coppia di sostegni, prive di capitello, sembrano appartenere a questa fase; il fatto che esse si interrompano e non abbiano un ruolo di sostegno è testimonianza, come si vedrà più avanti, dell’esistenza di un differente progetto di copertura prima della costruzione della cupola.

Per quanto completata solo nella successiva campagna di lavori, la scansione ad arcate cieche delle pareti esterne venne impostata fin da questa prima fase edilizia: forte è il debito nei confronti del Duomo di Pisa, nelle sue fasi buschetiana e rainaldiana (fig. 3.8). Nel caso massetano sia le arcate dei fianchi che quelle del prospetto si impostano su colonne, mentre nella cattedrale pisana queste sono riservate alla facciata, al cleristorio, all’abside e alle terminazioni del transetto, lasciando il posto a lesene nella restante decorazione esterna. L’utilizzo di colonne - come potrebbero essere definite in questo caso, non trattandosi di vere e proprie semicolonne – a sostegno delle arcate

68 cieche non è così comune nelle chiese romaniche di Pisa 220 e del pisano, 221 dove si predilige l’uso delle lesene; fanno eccezione, nel capoluogo, il Battistero e il Campanile. Colonne o semicolonne sono invece impiegate a Lucca in San Michele in Foro (fig. 3.9), sia per il prospetto che per i fianchi, e a Santa Maria Forisportam (facciata e abside) (fig. 3.10); nel lucchese nei prospetti di Santa Maria a Villa Basilica (LU) (fig. 3.11), Santa Maria Assunta a Loppia (Barga, LU) e della Pieve Vecchia di Santa Maria del Giudice (Lucca); a Pistoia nelle facciate di Sant’Andrea e San Bartolomeo in Pantano. La decorazione del prospetto massetano a sette arcate cieche trova un suo parallelo, oltre che nel Duomo pisano, nelle stesse San Michele in Foro e Santa Maria Forisportam, oltre che nella pieve di Loppia; 222 la maggiore altezza e larghezza della centrale si rintraccia ancora una volta nella chiesa lucchese di San Michele in Foro e nella pieve di Villa Basilica, e, a Pisa, in San Paolo a Ripa d’Arno, in San Pierino e in San Frediano, oltre che nella pieve di San Cassiano a Settimo (Cascina, PI) (fig. 3.12). Tra i casi citati solo quello di Loppia è dotato di un unico portale in facciata, come a Massa. Altra caratteristica del Duomo di San Cerbone è la presenza di una base attica continua che corre alla base del fianco sinistro e del prospetto ed ingloba le basi delle colonne dell’archeggiatura (fig. 3.13); una scelta raffinata che in Toscana si incontra in pochi casi, tra cui quelli delle facciate del Duomo di Carrara (MS), delle collegiate di Sant’Andrea a Empoli (FI) e di Sant’Agata ad Asciano (SI), e nei fianchi della pieve di Santa Maria del Giudice e nel destro della cattedrale di Volterra (PI) (fig. 3.15).223 Per quanto riguarda il già citato zoccolo presente nel fianco sud-ovest della chiesa, esso costituisce una scelta non casuale nell’articolazione dell’esterno della cattedrale (fig. 3.16, 3.19). La presenza di una zoccolatura si può rintracciare anche in altri casi medievali. Nella collegiata di Sant’Andrea a Carrara, un edificio le cui vicende

220 Si vedano le chiese cittadine di San Matteo in Soarta (fianco sud) e di San Paolo all’Orto (facciata), dove le colonne sono presenti solo nel cleristorio; ma anche di Sant’Andrea Forisportam (facciata); di San Nicola (facciata); di San Paolo a Ripa d’Arno (fianco nord e prospetto) e di San Pierino (fianco sinistro e prospetto). 221 Si vedano le pievi di Sant’Ermolao a Calci (PI), dei Santi Maria e Giovanni a Cascina (PI) e di San Cassiano a Settimo (Cascina, PI). 222 Tra i casi di cinque arcate cieche su colonne nel prospetto vanno ricordate le due pievi di Santa Maria del Giudice, nel lucchese, e San Michele degli Scalzi e Sant’Andrea Forisportam a Pisa. 223 I due fianchi della cattedrale volterrana sono oggi celati da vari edifici addossati: rimane visibile solo la prima sezione del fianco destro dopo lo spigolo del prospetto, la testata sud del transetto e l’angolo tra il braccio settentrionale di quest’ultimo e l’abside rettangolare che si affaccia su piazza dei Priori. Sul Duomo si veda, come ultimi interventi, U. BAVONI , La Cattedrale di Volterra , Firenze 1997; Chiese di Volterra , a cura di P. G. Bocci, F. A. Lessi, I, Firenze 2000, pp. 23-96; G. TIGLER , 2006, pp. 81-87. 69 costruttive necessitano ancora di essere ben chiarite, 224 il gradino basamentale con cornice modanata del prospetto prosegue anche sul fianco destro, dove subisce un innalzamento di livello a metà circa della sua lunghezza confrontabile con lo scalino dello zoccolo di Massa Marittima (fig. 3.17). Ben più studiata è la zoccolatura visibile nella muratura esterna della cattedrale di San Vigilio a Trento, che segue sia l’andamento del terreno che circonda la costruzione sia il primitivo cambio di altezze all’interno dell’edificio: vi si notano ben due aumenti di quota, nella testata meridionale del transetto e nel passaggio tra il braccio sud di quest’ultimo e il coro, entrambi elegantemente assecondati dalla cornice modulata dell’alto basamento (figg. 3.18, 3.20). 225 Una simile gradinatura caratterizzerà più tardi anche il fianco sinistro del Palazzo Comunale di Città di Castello, dove segue l’innalzamento del vicolo che lo costeggia (fig. 3.21). 226 E’ ipotizzabile che anche a Massa Marittima lo zoccolo fosse in rapporto con le quote esterne e interne della cattedrale. Oggi il terreno dell’area antistante il fianco destro si alza gradatamente dall’inizio del basamento fino all’incrocio con la cappella Galliuti (fig. 3.22); non abbiamo notizia di come questo spazio fosse articolato in epoca medievale, ma l’esame ravvicinato del basamento può offrire alcuni indizi per tentare di ricostruirne l’aspetto. Nel primo tratto del lato sud-ovest dell’edificio, dallo spigolo della facciata fino al principio della zoccolatura, il piano di calpestio doveva essere il medesimo di quello attuale, dato che vi si appoggiano le basi dei tre sostegni delle arcate cieche (fig. 2.90); solo in corrispondenza della soglia del portale murato poteva forse innalzarsi di qualche centimetro, per incorporarla parzialmente (fig. 2.95). Una volta superato il portale, si può ipotizzare che il livello dovesse diventare un poco più alto per coprire parte dell’ultimo filare della zoccolatura, sotto al quale si intravede oggi

224 Già nel 1926 Mario Salmi (M. SALMI , Il Duomo di Carrara , in “L’Arte”, XXIX, 1926, pp. 124-135) riconobbe la successione di tre diverse fasi costruttive all’interno della cattedrale carrarese: nella prima maestranze pisane, emiliane e genovesi avrebbero edificato, intorno alla metà del XII secolo, l’ordine inferiore della facciata e una porzione del fianco destro, compreso il portale di San Giovanni; nella seconda, tra la metà e la fine del Duecento, una maestranza lucchese avrebbe completato l’abside e i fianchi dell’edificio; ad allievi di Giovanni Pisano, infine, spetterebbe il secondo ordine del prospetto, databile intorno al 1325. In seguito, sia Carlo Ludovico Ragghianti che Clara Baracchini hanno anticipato la cronologia della prima fase, spostandola agli anni ’70-’80 dell’XI secolo, e della seconda, arretrandola alla metà del XII (C. L. RAGGHIANTI , in F. BUSELLI , 1972, pp. 7-17; C. BARACCHINI , in Niveo de Marmore , 1992, pp. 290-293). Diversa è l’opinione di Guido Tigler, che propone di datare l’inizio della costruzione al secondo quarto del XII e la successiva ripresa dei lavori negli anni ’30 del Duecento (G. TIGLER , 2006, pp. 30-39). Per Francesca Buonincontri il capo della maestranza emiliana attiva a Carrara è il maestro Cristoforo d’Intelvi che lavora in Santa Maria Maggiore a Bergamo (F. BUONINCONTRI , 2005, pp. 56-71). 225 A. PERONI , in Il Duomo di Trento ..., 1992, p. 113. 226 Una discussa epigrafe sull’architrave del portale del palazzo lega la sua edificazione all’anno 1322 e al nome di Angelo da Orvieto (O. GURRIERI , [1959]). 70 una striscia di pietre di fondazione. Poco prima del punto in cui lo zoccolo acquista nella parte superiore un ulteriore filare di conci, il terreno doveva elevarsi a metà del secondo filare, a 80 cm da terra, dove è visibile adesso una lunga incavatura nella pietra, che forse costituiva un tempo l’alloggio della lastra orizzontale di un gradino (fig. 3.23); dobbiamo immaginare che questo scalino fosse anticipato da uno precedente, che permettesse di raggiungere in due tempi l’altezza di 80 cm. Un successivo gradino doveva innalzare ancora il livello del terreno, lasciando visibili solo i due filari di conci al di sotto della cornice inclinata; questo è confermato anche dall’osservazione della rifinitura della superficie dei blocchi sottostanti, lasciati grezzi perché originariamente non visibili (fig. 3.24). Tracce di un’ultima elevazione sembrano riconoscibili all’inizio della seconda serie di arcate, sotto il primo semipilastro, dove il profilo dei conci più bassi si fa particolarmente irregolare e aggettante (fig. 3.27); il piano di calpestio doveva proseguire a quel livello (60 cm circa sopra all’attuale) fino almeno alla Cappella Galliuti. Non veniva dunque raggiunta l’altezza dell’antica soglia del portale sotto la seconda arcata, che rimaneva a poco più di un metro rispetto al livello del terreno; al dislivello doveva porre rimedio una serie di gradini, le cui tracce sono andate perdute nel marcato abbassamento dell’apertura del portale e nel conseguente taglio delle pietre sottostanti (figg. 3.25, 3.26). In quest’ultima parte del fianco l’altezza dello zoccolo era dunque in relazione, come nel Duomo di Trento, con quello che era il livello della pavimentazione interna della cattedrale, dotata, come vedremo più avanti, di un presbiterio rialzato; possiamo anche supporre che l’innalzamento delle quote lungo tutto il lato sud-ovest fosse funzionale proprio alla graduale diminuizione del dislivello tra l’esterno e l’altezza del portale corrispondente al presbiterio rialzato (fig. 2.98). Enrico Lombardi ipotizzava che la sopraelevazione delle ultime arcate, già collegata alla presenza di un presbiterio rialzato da Petrocchi, potesse essere presente in origine anche sul fianco opposto, prima di essere abolita con il conseguente completamento della parte inferiore delle colonne coi rocchi di reimpiego; 227 la stessa ipotesi, già riproposta da Carli, è sostenuta oggi dal gruppo di lavoro impegnato nel restauro della cattedrale, che datano l’abbassamento della quota pavimentale interna e il rifacimento del fianco sinistro alla prima metà del XIII secolo. 228 Dal punto di vista materiale, l’unica evidenza che si conserva di una zoccolatura nel fianco sinistro dell’edificio sono i due blocchi, a sezione trapezoidale il

227 L. PETROCCHI , 1900, p. 24; E. LOMBARDI , 1966, pp. 16, 22. 228 E. CARLI , 1976, p. 18; A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78; N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , 2013, pp. 172-173. 71 superiore e rettangolare l’inferiore, posti sotto lo stipite sinistro del portale corrispondente a quello appena analizzato e oggi inglobati nella muratura del campanile: la loro presenza indica che la sezione del fianco nord-est a cui si addossa la torre campanaria era dotata di una zoccolatura sormontata di cornice inclinata, come nel lato opposto (fig. 3.28). Per quanto riguarda la zona alla destra del portale presso il campanile, collegare la presenza dei rocchi di reimpiego alla necessità di completare i fusti di colonne originariamente impostate su un gradino più alto, significa immaginare la presenza di una zoccolatura che arrivasse a comprendere anche la quinta colonna dalla facciata, che è il primo sostegno che include un rocco in granito (fig. 2.49): lo zoccolo avrebbe avuto quindi inizio dopo il primo portale laterale, come in effetti accade nel fianco opposto. Altri dati a favore della presenza di un basamento si desumono dall’osservazione del paramento murario sottostante le tre arcate alla destra del portale presso la torre (fig. 3.29). Da un punto di vista cromatico, la sezione della muratura compresa tra la cornice modanata del gradino e un’ideale linea retta all’altezza di 160 cm circa dalla citata cornice appare visibilmente più scura: questa sezione include, con impressionante precisione, il rocco inferiore del tredicesimo sostegno e i rocchi in granito delle colonne nona e decima, alti rispettivamente 156 e 160 cm. Sopra questa alta fascia composta da conci di media grandezza si impostano delle pietre di grandi dimensioni, che si incontrano solitamente nei filari più bassi della muratura e che nel fianco opposto costituiscono la fila di conci sopra la zoccolatura; la stessa costruzione della muratura si riscontra nel semipilastro della dodicesima arcata cieca. Simili conci di grandi dimensioni vengono utilizzati nei filari più bassi nella facciata e nell’abside della pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (LI) (fig. 3.30) e del prospetto di San Giusto a Suvereto (LI) (fig. 3.31), costruzioni entrambe databili agli anni settanta-ottanta del XII secolo. 229 Si tratta dunque di un’ipotesi plausibile, anche se difficilmente si potrà immaginare che una simile elevazione coincidesse, come nel lato sud-ovest, con un innalzamento della quota del terreno, che avrebbe in qualche modo rovinato l’unità dello spazio antistante l’edificio e rivolto verso la piazza. Due elementi possono risultare curiosi: la coincidenza di misura tra il diametro delle colonne delle arcate e i rocchi di granito, presumibilmente reimpiegati da un altro edificio, e la perfetta uniformità della base attica che unisce l’intero fianco sinistro e il prospetto. Nel primo caso si dovrà supporre che i rocchi siano stati rilavorati per adeguarli al nuovo uso, nel secondo che la cornice sia stata completata, laddove esisteva un tempo lo

229 G. TIGLER , 2006, pp. 242-244; R. BELCARI , 2009, pp. 60-79. 72 zoccolo, in modo da non interromperne la continuità. Più complesso rimane capire quando avvenne questa modifica, e se preceda o meno l’abbassamento della quota pavimentale del presbiterio. Se si osservano le parti decorativi riferibili a questa prima fase dei lavori, risulta evidente che nel corso della costruzione ebbe luogo un cambiamento di programma, che non influenzò il progetto complessivo o le tecniche murarie, ma certe scelte decorative. Non è chiaro se tale variazione sia da imputare ad un cambio di maestranze; se anche ciò fosse avvenuto, si tratta comunque di artefici della medesima cultura e formazione. A un primissimo momento costruttivo vanno collegati, all’esterno, i capitelli dell’undicesimo, del dodicesimo e del tredicesimo sostegno del fianco sinistro e della seconda serie di arcate del fianco opposto, comprese le membrature dei portali ivi inclusi (figg. 2.60-2.62, 2.70-2.73, 2.99-2.105). Questi elementi sono accomunati, oltre che dall’uso dello stesso materiale poroso, da un’apparente condizione di non-finitezza: i fiori d’abaco sono infatti dei dischi lisci e le volute sono lavorate solo nel tredicesimo capitello del fianco sinistro e nel terzo capitello della seconda serie di arcate del fianco destro. Ciò non significa necessariamente che la decorazione di questi elementi sia rimasta incompiuta: frequente è la presenza di capitelli ‘non-finiti’ in chiese del XII secolo, presumibilmente ispirati a modelli antichi realmente non terminati. Simili casi si rintracciano, per citare solo alcuni esempi, nei matronei della cattedrale pisana corrispondenti alla fase buschetiana (1064-1120), 230 nelle navate del Duomo di San Zeno di Pistoia (prima metà del XII secolo), 231 nei capitelli romanici in cotto intonacati nella basilica di San Miniato al Monte (fig. 3.32), assai simili a quelli della fiorentina chiesa di San Pier Scheraggio, adesso visibili in via della Ninna (edifici databili entrambi alla fine dell’XI secolo). 232 Nel quarto capitello di quest’ultime arcate e nel capitello dello stipite sinistro di entrambi i portali esterni compare una testina di uccello rovesciata che becca la punta della foglia soprastante, un inserto decorativo - l’unico terioforme di questa sottofase - che non compare altrove nella cattedrale (figg. 2.72, 2.102, 2.103). Lo stesso motivo può essere rintracciato nel Duomo di Pisa, in uno dei pilastri polistili del matroneo sud

230 Sul Duomo pisano si veda Il Duomo di Pisa , 1995, e da ultimo G. TIGLER , 2006, pp. 41-54. 231 C. ACIDINI LUCHINAT , 2003; G. TIGLER , 2006, pp. 121-129. 232 Sulla cronologia alla seconda metà dell’XI secolo e la discussione sulle precedenti datazioni si veda G. TIGLER , 2006, pp. 147-154 (San Pier Scheraggio) e 155-166 (San Miniato al Monte). In quest’ultima chiesa i restanti capitelli sono corinzi e compositi di spoglio. Confronta anche S. RINALDI , A. FAVINI , A. NALDI , 2005, pp. 90-91 e 108-111. 73 corrispondente alla campata della cupola e risalente alla fase buschetiana dell’edificio (fig. 3.33). 233 Passando all’interno, presentano gli stessi caratteri stilistici le parti più basse dei settimi pilastri polistili della navata centrale e i capitelli dei semipilastri sulle pareti laterali delle seste e settime campate (eccetto forse per il primo della sesta campata della navata destra, apparentemente di restauro) (figg. 2.149, 2.153, 2.197, 2.198, 2.201, 2.229, 2.233). A questa prima sottofase era presumibilmente riferibile anche l’antica e perduta terminazione della cattedrale, almeno fino all’altezza delle coperture.

Ad un secondo momento vanno collegati, all’esterno, i capitelli delle prime undici arcate del fianco sinistro e del prospetto, eccetto il capitello posto allo spigolo tra la facciata e il fianco destro, e i primi due della prima serie di arcate cieche del fianco sud- ovest; all’interno, i due colonnati della navata centrale fino alla sesta campata compresa, i capitelli dei due semipilastri di controfacciata e le due paraste che sostengono l’arco trasverso sopra il quinto sostegno di entrambi i colonnati. Cambia la rifinitura, assai più raffinata, delle membrature architettoniche; a differenza della sottofase precedente, si sceglie di utilizzare per queste un travertino diverso, più chiaro e compatto, analogo a quello che sarà in seguito impiegato dalla maestranza successiva. La seconda sottofase è riconoscibile per la forte matrice classicista, senza dubbio d’origine pisana, che caratterizza in particolare i capitelli, eleganti ed elevate rivisitazioni di modelli antichi. Essi si dividono in corinzi e compositi, a foglie lisce o d’acanto. Quest’ultime sono riservate alla facciata e alla maggioranza delle colonne dell’interno (solo il quarto capitello del colonnato sinistro ha due giri di foglie d’acqua invece che di foglie d’acanto), mentre le foglie lisce si incontrano soprattutto nel fianco sinistro. I rigogliosi capitelli del prospetto, di qualità altissima (fig. 3.34), ricordano gli esemplari fortemente anticheggianti delle navate della cattedrale di Pisa, e in generale tutto il filone della scultura all’antica sviluppatosi in seno al Duomo pisano e da lì propagatosi nelle chiese della città e del territorio. Maggiori somiglianze sussistono con i capitelli compresi nell’aggiunta rainaldiana dell’edificio (anni ’50 del XII secolo), 234 ovvero nelle prime tre campate dalla facciata (fig. 3.35). A una datazione non

233 Questo particolare, difficile da vedere da terra, è riprodotto in una fotografia in Il Duomo di Pisa , 1995, p. 101. 234 P. SANPAOLESI , 1956-1957, pp. 248-394, con datazione dell’aggiunta rainaldiana agli anni ’20 del XII; A. MILONE , in Il Duomo di Pisa , 1995, pp. 191-206; G. TIGLER , 2006, p. 51. 74 antecendente la metà del secolo fa pensare anche l’occasionale presenza di protomi, ieratiche occupanti dei fiori d’abaco di alcuni capitelli del fianco sinistro (figg. 2.51, 2.53, 2.55, 2.57-2.59, 3.36) del prospetto (quarto da sinistra, fig. 2.8) e dell’interno (quarta colonna sinistra, fig. 2.140): si tratta di un inserto decorativo diffuso particolarmente nella seconda metà del secolo, come si vede dai capitelli con teste angolari usciti dalla bottega biduinesca (pieve di San Cassiano a Settimo, 1180; 235 a Pisa Sant’Andrea Foris Portam, anni ’80 del XII (fig. 3.37), 236 e Campanile di Pisa, 1174) 237 e di Gruamonte (Sant’Andrea a Pistoia, 1166), 238 oltre che nella pieve di San Giovanni Battista a Mensano (SI, anni ’80 del XII),239 e nei pulpiti di Volterra (settimo- ottavo decennio del XII) (fig. 3.38) 240 , di San Gennaro di Capannori (LU, 1162) (fig. 3.39) 241 e di San Michele a Groppoli (PT, 1193). 242 Alla stessa maestranza spetta anche il terzo degli otto leoni reggiarcata del prospetto (fig. 3.40), visibilmente diverso dai suoi compagni per una minore accentuazione ‘mostruosa’ di alcuni tratti come gli occhi e la dentatura. Il muso appare allungato e conformato in maniera naturalistica e la bocca non è corredata di una serie di indistinti denti triangolari, ma si rendono ben visibili, come in natura, solo i canini; le ciocche triangolari della criniera sono decorate da forellini di trapano e profonde striature. Gli arti non scendono diritti dalla spalla alla zampa, come fossero un unico pezzo, ma sono piegati all’altezza del gomito con una distinzione tra omero e ‘avambraccio’, quest’ultimo inciso nella parte bassa per indicare la presenza del pelo. Tutte queste caratteristiche avvicinano l’esemplare massetano ad alcuni leoni reggiarcata o stilofori appartenenti a complessi di ambito pisano e biduinesco della seconda metà del XII secolo: vedi il leone destro del portale centrale (fig. 3.41) e quello inserito nello spigolo sinistro del prospetto della pieve di San Cassiano a Settimo; i due leoni erratici conservati nel Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, 243 provenienti da una non meglio identificata chiesa del territorio (fig. 3.42); le due fiere stilofore del pulpito di San

235 La costruzione della pieve è attribuibile allo scultore Biduino, che firmò e datò l’architrave centrale della facciata e che, con ogni probabilità, ricoprì anche il ruolo di architetto. Sulla chiesa vedi M. L. CRISTIANI TESTI , 1987, pp. 93-121; G. CHERCHI CHIARINI , 1995; S. CHELINI , 2006; G. TIGLER , 2006, pp. 231-232. 236 3 F. PALIAGA , S. RENZONI , 2005 , pp. 35-36; G. TIGLER , 2006, p. 232. 237 P. SANPAOLESI , 1956; C. L. RAGGHIANTI 1995; P. PIEROTTI , L. BENASSI , 2001; A. CALECA , 2002; G. TIGLER , 2006, pp. 65-72. 238 G. TIGLER , 2006, pp. 279-282. 239 A. GARZELLI , 2003, pp. 300-318; G. TIGLER , 2006, pp. 240-241. 240 F. A. LESSI , 2002, pp. 6-13; G. TIGLER , 2006, pp. 85-87; G. TIGLER , 2011, pp. 15-23. 241 M. SALMI , 1914 b, pp. 139-145; G. TIGLER , 2006, pp. 275-277. 242 F. REDI , 1976, pp. 23-48; G. TIGLER , 2011, pp. 23-30. 243 A. MI LONE , in Niveo de marmore... , 1992, pp. 143-144; A. MILONE in I marmi di Lasinio... , 1993, pp. 165-166. 75 Michele a Groppoli (fig. 3.43) e i due leoni del Museo Bardini di Firenze (fig. 3.44), anch’essi di provenienza ignota ma di chiaro influsso pisano-biduinesco. 244 Gli stessi termini di paragone valgono anche per la figura umana nelle grinfie della fiera, che per i tratti del viso, la chioma a riccioli circolari, con foro di trapano al centro, e la posa sdraiata con le braccia piegate sotto il busto e le mani aggrappate al bordo del piano di base ricorda le prede degli esempi appena citati. Anche la terza losanga (figg. 2.29, 3.45), posta sotto la quinta arcata cieca del prospetto, differisce in qualità e fattura dalle tre compagne. Essa è coerente coi capitelli anticheggianti, come si desume sia dall’intaglio netto e pulito, che da particolari quali le rosette pentalobate accompagnate da steli fogliati, analoghe a quelle che abitano i fiori d’abaco di alcuni dei capitelli in facciata; è anche, oltretutto, l’unico dei rombi ad essere inserito nella muratura in travertino più poroso, mentre le altre sono inglobate nel paramento successivo, più chiaro e compatto. Se l’inserimento stesso di losanghe nell’ornamentazione esterna di un edificio deriva da Pisa, 245 nell’idea di decorarne l’interno con elementi vegetali ad altorilievo il caso massetano si discosta dal modello della cattedrale buschetiana, ove il fondo dei rombi ospita motivi a tarsia prettamente bidimensionali; una soluzione che verrà poi ripresa nella facciata rainaldiana e in chiese non solo pisane ma anche pistoiesi. Fiori ad altorilievo compaiono nelle losanghe della pieve di Vicopisano (secondo e terzo decennio del XII secolo), 246 e, più tardi, in quelle della torre pendente (1174) (fig. 3.47), nella facciata di San Paolo a Ripa d’Arno (anni ’80 del XII secolo), 247 nella pieve di San Cassiano a Settimo, nel prospetto di Santa Maria Foris Portam a Lucca (anni ’80 del XII) 248 (fig. 3.46) e nella recinzione presbiteriale della pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (ultimi decenni del XII). 249 Nuova è invece l’estensione della decorazione sulla cornice del rombo, che sembra trarre spunto – nell’idea più che nei motivi – dalle incorniciature delle formelle intarsiate, diffuse tra Firenze, Pisa e Pistoia. Sul terzo capitello del colonnato sinistro all’interno della chiesa compare l’epigrafe ‘Enricus hoc opus fecit’, che tramanda il nome di uno degli artefici impegnati in questo momento nel cantiere (fig. 3.48). La struttura dell’iscrizione è analoga a quella di molte

244 E. NERI LUSANNA , in Il Museo Bardini... , 1986, p. 210; A. NESI , F. SERAFINI , in Museo Stefano Bardini... , 2011, p. 43. 245 Il tema dei rombi nelle pareti esterne di un edificio, motivo di origine armena rielaborato nella moschea di Al Hakim al Cairo (G. TIGLER , 2006, p. 46), compare già in chiese pisane dell’XI secolo quali , San Zeno, Santa Caterina e la prima San Matteo in Soarta. 246 Vicopisano: il patrimonio... , 2000, p. 37-55; G. TIGLER , 2006, pp. 234-236. 247 G. TIGLER , 2006, pp. 214-219. 248 G. TIGLER , 2006, pp. 252-257. 249 R. BELCARI , 2009, p. 68. 76 epigrafi-firma presenti nella Toscana nord-occidentale nella seconda metà del XII secolo. 250 Per questo maestro, spesso considerato anche architetto e capo della maestranza, 251 fu proposta un’identificazione con Enrico da Campione da Petrocchi, 252 con un maestro lucchese, collaboratore di Guidetto, da Salmi, 253 e con il vescovo committente da Lombardi, 254 mentre per Guido Tigler potrebbe trattarsi dello stesso Enrico che firma i capitelli del portale della facciata di Sant’Andrea a Pistoia – ma esegue forse anche le ghiere dei due ingressi laterali del medesimo prospetto - 255 e che compare in un documento del 1165 stilato tra l’Opera del Duomo di Pisa e i due maestri Guglielmo e Riccio. 256 L’origine pisana del maestro che firma il capitello massetano è ribadita anche da Sanpaolesi, Carli e Belcari. 257 Pur sussistendo alcune somiglianze tra gli animaletti delle due ghiere pistoiesi e quelli che abitano i capitelli massetani, rimane impressionante lo scarto tra la resa raffinata di questi ultimi e le figurine macrocefale e sbilenche dei capitellini firmati del portale di Sant’Andrea (fig. 3.49), minori in qualità anche delle stesse teste umane che compaiono nei capitelli di Massa. Per quanto un’identificazione tra i due maestri non possa escludersi del tutto, è a mio parere più probabile che si tratti di un caso di omonimia, come già affermato da Belcari: 258 dall’analisi delle opere pistoiesi e di un rilievo a lui giustamente attribuito, raffigurante l’ Annuncio a Zaccaria e Elisabetta , proveniente da Altopascio e oggi al Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca, 259 l’ Enrigus del portale di Sant’Andrea sembra emergere come una delle personalità più modeste tra quelle

250 Basti pensare, come ricorda Gigetta Dalli Regoli che inserisce Enrico in un gruppo di artisti attivi tra fine XII e inizio XIII secolo (G. DALLI REGOLI , 1986, p. 45), alle firme di Biduino a San Salvatore in Mustiolo a Lucca (BIDVUINO ME FECIT HOC OPUS); di Buonamico in un’epigrafe della pieve di San Giovanni Battista a Mensano (SI) (A.G.L.A. OPUS QUOD VIDETIS BONUS AMICUS MAGISTER FECIT PRO EO ORETIS) e nella lastra dalla Badia di San Quirico in Moxi, Castellina Marittima, ora nel Museo Nazionale di San Matteo di Pisa (OPUS QUOD VIDETIS BONUS AMICUS FECIT PRO EO ORATE); di Giovanni e Leonardo, su un’acquasantiera nel medesimo museo (MAGISTER IOANNES CUM DISCIPULO SUO LEONARDO FECIT HOC OPUS AD HONOREM DEI ET SANCTI PETRI APOSTOLI ); di Gruamonte a Pistoia, a Sant’Andrea (FECIT HOC OPUS GRUAMONS MAGISTER BONUS ET ADEODATUS FRATER EIUS) e a San Giovanni Fuorcivitas (GRUAMONS MAGISTER BONUS FECIT HOC OPUS);di un maestro, forse allievo di Biduino, nel puteale di Sorbano del Giudice, Lucca (BE(I)VI(D)US MAGISTER FECIT HOC OPUS). 251 M. SALMI , 1926, p. 48 nota 44; E. CARLI , 1976, pp. 19-20, B. SANTI , in Guida storico-artistica , 1995, p. 29; R. BELCARI , 2003, p. 138 nota 74. 252 L. PETROCCHI , 1900, p. 28. L’opinione è riproposta anche da F. MASTROPIERRO , 1972, p. 22. 253 M. SALMI , 1926, p. 48 nota 44. 254 E. LOMBARDI , 1966, pp. 8-9. 255 G. TIGLER , 2006, pp. 91, 280; G. TIGLER , in Il museo e la città , 2011, p. 49. 256 A. R. CALDERONI MASETTI , 2001, pp. 241-242; G. TIGLER , 2006, p. 280. Come ricorda Anna Rosa Calderoni Masetti, un “Henricus magister de S. Laurentio de Quinthica” è nominato in un atto rogato a Pisa, nel coro del Duomo, il 14 agosto del 1196 (A. R. CALDERONI MASETTI , 2001, p. 242). 257 P. SANPAOLESI , 1975, p. 261; E. CARLI , 1976, p. 20; R. BELCARI , in Campiglia... , II, 2003, p. 622 nota 121. 258 R. BELCARI , 2006, p. 14 nota 58. 259 Sul rilievo vedi A. MILONE , in Niveo de marmore... , 1992, pp. 141-142, con letteratura precedente. 77 formatesi attorno a Guglielmo, difficilmente capace di raggiungere gli alti standard qualitativi del cantiere massetano o dello stesso capitello firmato. Rimane invece aperta l’eventualità che si tratti del medesimo Enrico citato nel documento pisano del 1165. Il capitello della quarta colonna della navata destra, decorato da quattro aquile che ghermiscono prede (fig. 3.50), è stato confrontato da Riccardo Belcari con l’aquila nella lunetta del portale del fianco settentrionale della pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (fig. 3.51); 260 l’edificio, come si ricava da un’iscrizione incisa su un concio in facciata, fu costruito nel 1173 sotto la guida di un maestro di nome Matteo, 261 il cui coinvolgimento nel cantiere massetano è stato ipotizzato dallo stesso studioso. 262 Il confronto tra i rapaci è molto calzante, sia per l’analoga definizione del piumaggio e degli artigli, sia per le fattezze della preda quadrupede, e può essere esteso anche ad altri simili esemplari nel panorama della scultura pisano-lucchese della seconda metà del XII secolo, quale ad esempio l’aquila dell’architrave nel fianco destro di San Micheletto a Lucca, della bottega di Biduino (anni ’90 del XII) (fig. 3.52). 263 L’attenzione alla resa naturalistica delle prede si riallaccia a quell’interesse verso la raffigurazione animale ben evidente in imprese della bottega guglielmesca quale il cosidetto Fregio delle Cacce, sulla cornice tra il primo e secondo ordine delle loggette della facciata della cattedrale pisana, e in successive opere biduinesche (fig. 3.53). 264 Anche la presenza di rosette agli angoli delle basi della terza (fig. 2.137) e della quarta colonna (fig. 2.142) della navata destra trovano corrispettivi in ambiente pisano: simili decorazioni caratterizzano ad esempio le colonne della pieve di San Cassiano a Settimo (fig. 3.55) o della parte presbiteriale di Santa Giulia a Caprona (ultimi decenni del XII secolo). 265

260 R. BELCARI , 2002, p. 150; R. BELCARI , in Campiglia... , II, 2003, pp. 665-666; 2006, pp. 9-10. 261 Sulla pieve campigliese vedi R. BELCARI , in Campiglia... , II, pp. 592-711; G. TIGLER , 2006, pp. 242- 244; R. BELCARI , 2009, pp. 60-71. 262 R. BELCARI , 2002, p. 150. 263 L’architrave presenta, oltre all’aquila con preda posta all’estrema sinistra, tre grossi girali vegetali, sorretti da un lato e dall’altro da due figurine panneggiate all’antica, di chiara influenza biduinesca. All’interno della chiesa, oggi sede della Fondazione Ragghianti, un’iscrizione del 1195 riporta l’anno di morte di prete Angelo, committente dell’edificio (G. TIGLER , 2006, p. 116). 264 Vedi i due fregi animalistici alla base della torre pendente, gli architravi dei due portali laterali di San Cassiano a Settimo e le bestioline delle lunette nella facciata di Pieve San Paolo (Capannori, LU). 265 F. REDI , 1981, pp. 717-741; G. TIGLER , 2006, pp. 236-237. 78 Il portale

L’unico esempio di scultura narrativa nella decorazione esterna della cattedrale è l’architrave del portale che si apre in facciata, sotto l’arcata cieca centrale (figg. 2.31- 2.32). Esso dovette essere inserito nel prospetto nel passaggio tra la prima e la seconda maestranza, poiché da un lato sembrerebbe precedere, per ragioni costruttive, la muratura che si trova al di sopra dell’architrave, dall’altro si sovrappone con il suo coronamento cuspidato al paramento in travertino chiaro e compatto che sta al di sotto della ghiera dell’arco, riferibile alla sottofase ‘lombarda’. Ciononostante, come vedremo, da un punto di vista stilistico il portale non risulta riferibile a nessuna delle prime due maestranze attive nel cantiere del Duomo. Come già evidenziato nel capitolo precedente, il portale si compone, partendo dal basso, di due stipiti provvisti di capitelli e affiancati da due testine animali a tutto tondo, di un architrave istoriato, di una cornice fogliata soprastante, e infine di un coronamento a frontone su un arco a tutto sesto sorretto da due protomi leonine. Nei cinque riquadri dell’architrave sono rappresentati episodi della vita di San Cerbone tratti dalla Vita Sancti Cerbonis , nota attraverso due redazioni e strettamente dipendente dal capitolo XI del libro III dei Dialoghi di Gregorio Magno (593-594) e dalla Passio Sancti Reguli .266 Nel primo riquadro da sinistra (fig. 3.56) è raffigurata una nave dotata di vela quadra o triangolare e di quattro remi, fluttuante sulle onde di un mare in cui si intravedono due pesci; popolano l’imbarcazione otto figure disposte su due piani e una nona apparentemente sdraiata nello scafo. Tre di esse indossano un copricapo ‘a melone’; alcune sorreggono i remi, una è aggrappata all’albero maestro e un’altra porta le mani al viso, in segno di agitazione. Tutte le figure sono rivolte verso l’angolo in alto a destra della formella, dove compare un angelo che con le mani tiene il pennone della vela; l’ala destra di quest’ultimo fuoriesce dalla composizione e si distende sulla cornice superiore. La scena raffigurata è stata identificata sia con l’arrivo di San Cerbone in Tuscia, al seguito di San Regolo, 267 sia con il viaggio intrapreso dai chierici del santo per trasportare il suo corpo dall’Isola d’Elba a Populonia. 268 La seconda ipotesi parrebbe effettivamente suffragata dalla presenza di una figura sdraiata all’interno dell’imbarcazione, a poppa, avvolta in quella che sembra essere una coperta, che si

266 Vedi capitolo Profilo storico . 267 E. CARLI , 1976, p. 35; G. TIGLER , 2006, p. 94. 268 A. ARUS , 1884, p. 13; L. PETROCCHI , 1900, p. 25; E. LOMBARDI , 1966, p. 17; A. MAZZOLAI , 1967, p. 75; L. GRONCHI , 1969, p. 9; B. SANTI , in Guida storico-artistica... , 1995, p. 29. 79 potrebbe identificare con la salma del santo, ma altri elementi sembrano piuttosto confermare che si tratti del burrascoso tragitto dall’Africa alla costa toscana. Il primo di questi è la collocazione della scena all’inizio dell’architrave, che presupporrebbe logicamente una precedenza cronologica rispetto agli episodi rappresentati di seguito. Il secondo è il fatto che tre dei nove personaggi indossano un cappello del tipo ‘a melone’ analogo a quello indossato da Cerbone nelle scene successive, e dunque equivocato dallo scultore per un copricapo indicativo di una carica vescovile; ciò è in linea con il racconto del viaggio di San Regolo verso la Toscana, intrapreso in compagnia di altri due vescovi, di tre presbiteri e di due diaconi. Il numero dei personaggi sulla barca non coincide invece con quello riportato nella leggenda. Sembra quindi che, nella progettazione della scena, si fosse creata un po’ di confusione tra l’iconografia dell’arrivo di Cerbone in Italia e l’episodio post mortem della traslazione del corpo del santo, avvenuta in simili perigliose circostanze. La seconda formella (fig. 3.57) raffigura invece l’episodio del santo condannato da Totila, re degli Ostrogoti, a essere divorato dagli orsi durante uno spettacolo pubblico; Cerbone è raffigurato all’interno di un anfiteatro, alluso dall’arco a tutto sesto sorretto da due colonnette attorno al quale si dispongono sette figurine, delle quali quella più a destra, seduta su un piccolo trono, è identificabile con il sovrano per la corona indossata sul capo. Il santo è affiancato da una coppia di orsi, che invece di attaccarlo gli lecca i piedi, e da altre due bestie feroci identificabili con due leoni, data la loro somiglianza con le protomi leonine che sormontano l’architrave; un’aggiunta, oltre che riempitiva di uno spazio altrimenti vuoto, volta a rafforzare la vocazione circense del luogo in cui la scena è ambientata. Nella formella successiva (fig. 3.58) San Cerbone è rappresentato a cavallo, sulla sinistra, seguito da un altro cavallo in secondo piano di cui è rappresentata solo la testa. Al di sotto dell’animale sono disposte due figure, una seduta e una inginocchiata, la seconda delle quali sembra porgere un oggetto alla prima. La parte destra del riquadro è occupata da una cerva allattante un cerbiatto, dietro alla quale spunta il muso di un altro animale e una quarta figura umana che interloquisce con il vescovo. Alcune parti della cerva e del cucciolo sono andate perdute, così come la chioma dell’arbusto retrostante, di cui sopravvive solo il sottile tronco e uno dei rami. Qui è narrato il miracolo compiuto dal santo durante il tragitto verso Roma, accompagnato dagli emissari inviati dal papa, che, non avendo voluto consumare un pasto con Cerbone e i suoi chierici,

80 sono tormentati da una terribile sete e vengono salvati dal latte di due cerve chiamate dal vescovo. Nella quarta formella (fig. 3.59) è raffigurato il momento in cui il santo populoniese, incontrato papa Vigilio, lascia libero lo stormo di oche a cui aveva comandato, durante il viaggio, di seguirlo. Le otto oche, tre delle quali in volo, sono accompagnate da due uomini, uno dei quali tenta col braccio alzato di cacciarle. Si tratta della formella in peggiore stato di conservazione: una grossa frattura diagonale al centro, oggi riempita, ha provocato in epoca imprecisata il distanziamento delle due metà del riquadro e la caduta in basso di una sezione della decorazione, oggi integrata;269 anche la testa dell’ultima figura a destra è andata perduta. L’ultima scena (fig. 3.60) è ambientata all’interno di una chiesa, come è sottolineato dall’altare, ricoperto da una tovaglia che reca una croce definita da fitti forellini di trapano, e dagli oggetti liturgici appesi in alto a destra, forse due turiboli. In essa è rappresentato il momento in cui, la mattina seguente il suo arrivo, Cerbone prende la mano destra di Vigilio e pone il proprio piede sul suo, permettendo così al pontefice di udire quei cori angelici che per grazia divina il santo di Populonia era in grado di sentire all’alba. All’avvenimento assistono due accoliti ai lati dell’altare, con in braccio un libro, e altre due fedeli in fila sulla sinistra, il primo aggrappato a un fascio di bastoni e con una borsetta appesa al braccio, sopra i quali sono scolpiti due angeli all’interno di un’iride, che sorreggono un libro e intonano cori. Il primo a citare i rilievi è il Cesaretti (1784), che li colloca nel XIII secolo; 270 la stessa cronologia è implicitamente suggerita da Arturo Arus (1884), che data l’edificio al medesimo periodo, 271 e da Agostino Ademollo (1894), che considera la cattedrale opera del XII o XIII secolo. 272 Segue il Petrocchi (1900), che attribuisce all’architrave la stessa datazione della costruzione romanica, da lui collocata nella prima metà del Duecento. 273 All’interno di questa cronologia, mantenuta negli studi successivi fino agli anni ’60, varie sono state le interpretazioni stilistiche del complesso. Il Biehl (1926) rileva la commistione di elementi pisani e lombardi e considera il portale opera

269 L’integrazione non compariva ai tempi dell’articolo della Gronchi (L. GRONCHI , 1969, p. 9), quando già si era perduta quella visibile nella foto Alinari pubblicata da Biehl (W. BIEHL , 1926, p. 63); l’architrave fu probabilmente reintegrato nel corso dei recenti restauri (vedi nota 21). 270 A. CESARETTI , Memorie sacre e profane dell’antica diocesi di Populonia al presente diocesi di Massa Marittima , I/1, Firenze 1784, p. 20 nota A. 271 A. ARUS , 1884, pp. 8-9. 272 A. ADEMOLLO , 1894, pp. 158-159. 273 L. P ETROCCHI , 1900, pp. 24-25 81 dell’Enrico che firma il capitello all’interno; 274 Pietro Toesca (1927) ribadisce il collegamento con l’arte pisana nel “modellato sommario”, ma anche una certa lontananza dal modello nel “fine uso del trapano e la composizione complessa”; 275 Mario Salmi (1928) considera le figure “faticosamente esemplate su modelli antelamici”. 276 In seguito all’intervento di Enrico Lombardi (1966), il primo a contraddire il collegamento tra la datazione dell’edificio e il documento del 1225, la cronologia dei rilievi subisce un arretramento al XII secolo. 277 E’ Laura Gronchi l’autrice del primo circostanziato intervento sul portale, a cui dedica un articolo nel 1969: pur non negando le somiglianze con la scultura pisana della seconda metà del XII secolo, la studiosa sottolinea le tangenze con l’arte etrusca, proponendo di attribuire l’architrave, da lei datato alla metà del XII secolo, ad uno scultore colto, formatosi nella Toscana meridionale e forse nel Lazio settentrionale; separa poi la realizzazione dell’architrave da quella della cornice fogliata, del coronamento, degli stipiti, dei capitelli e delle due protomi animali infisse ai lati dei medesimi stipiti, per lei elementi di reimpiego databili ai secoli VIII o IX. 278 Lo scarto di cronologia viene motivato dalla Gronchi non solo da un differente modo di concepire il modellato, ma anche dalla supposta “diversa qualità del marmo”, 279 impressione erronea, quest’ultima, provocata probabilmente dalle cattive condizioni di conservazione del portale. Le datazioni proposte dalla Gronchi per le varie parti del portale sono condivise da Enzo Carli (1976), che ritiene l’autore dell’architrave un maestro pisano, e gli attribuisce alcuni dei leoni reggiarcata del prospetto. 280 Lo studioso sottolinea inoltre la somiglianza tra il listello decorato con fogliame sopra l’architrave e le cornici di alcune delle lastre oggi conservate al Museo d’Arte Sacra, 281 un’analogia rimarcata anche da Paolo Montorsi, che, a differenza della Gronchi e di Carli, considera i rilievi del museo pienamente romanici, e nega che nel portale siano stati utilizzati pezzi di epoche diverse. 282 Seguono gli interventi di Bruno Santi (1995), 283 che propone una datazione al primo Duecento, e di Guido Tigler (2006, 2009), che attribuisce i rilievi a una maestranza lombarda, li confronta con l’architrave della chiesa di San Celso a Milano, databile al primo quarto

274 W. BIEHL , 1926, p. 63. 275 P. TOESCA , 1927, p. 850. 276 M. SALMI , 1928, p. 119. 277 E. LOMBARDI , 1966, pp. 17-18. 278 L. GRONCHI , 1969, pp. 14-20. 279 L. GRONCHI , 1969, p. 17. 280 E. CARLI , 1976, pp. 35-37. 281 E. CARLI , 1976, p. 37. 282 P. MONTORSI , 1988, p. 97 nota 52. 283 B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 29. 82 del XII secolo, e con i rilievi di Porta Romana (1171 circa), e sottolinea il collegamento compositivo con la formella della Porta dei Principi della cattedrale di Modena, raffigurante il viaggio di San Geminiano a Costantinopoli (1120 circa). 284 Conferma la natura lombarda dell’artefice anche Riccardo Belcari (2007), che data il portale ai primi del Duecento. 285 La letteratura relativa, oscillando per la datazione dell’architrave tra il XII e il XIII secolo, ha dunque rilevato ora i contatti con l’arte pisana, ora quelli con opere lombarde, con un’incursione nel passato etrusco da parte della Gronchi, e ha spesso sottolineato un legame con le lastre già murate in controfacciata: una varietà di interpretazioni che testimonia una certa difficoltà a inquadrare l’opera nel contesto toscano dell’epoca. Al di là delle diverse letture stilistiche, non è irrilevante sottolineare che almeno fino all’intervento della Gronchi gli studi hanno generalmente trascurato l’alta qualità del portale. Questa è stata in passato parzialmente camuffata dagli innegabili problemi di conservazione, ben visibili nelle fotografie d’epoca (fig. 3.61) che ritraggono un complesso reso quasi illeggibile da una patina nera di sporcizia, eliminata nei restauri eseguiti negli anni 1996-1997, che hanno restituito al marmo il suo originale candore; 286 rimangono naturalmente ancora percettibili la caduta delle parti più aggettanti delle figure delle formelle, la spaccatura del quarto riquadro e il sollevamento di un segmento della cornice del primo scomparto, che appare di conseguenza lacunosa. Trasmettono inoltre un’impressione di trascuratezza alcune anomalie nella composizione, tra le quali le più evidenti sono la collocazione decentrata del portale, che risulta spostato verso sinistra e non allineato all’oculo che si apre sotto l’arcata, e la posizione del coronamento a frontone, molto rialzato rispetto all’architrave, al punto da coprire leggermente con il vertice la cornice dell’oculo soprastante (fig. 2.31). Curiosa è anche la collocazione delle due protomi leonine, interposte tra l’architrave e il citato coronamento senza sorreggere la ghiera esterna dell’arco della lunetta, come normalmente richiede il ruolo di simili figure nei portali toscani (fig. 3.62). 287 La discordanza tra l’effetto finale, un po’ disarmonico, e l’alta qualità - nel rilievo, nella composizione - delle formelle istoriate, è plausibilmente dovuta ad errori nella messa in opera del portale, sia nel vero e proprio inserimento nel paramento murario, sia

284 G. TIGLER , 2006, p. 95; G. TIGLER , 2009, p. 833. 285 R. BELCARI , 2007, p. 362. 286 SBSAE, Archivio Storico, C-21, Massa Marittima , Cattedrale di S. Cerbone, fino al 31/12/1998 . 287 Si vedano i portali romanici di area pisana e lucchese, quali quelli delle pievi di San Cassiano a Settimo (ingresso centrale), di San Jacopo ad Altopascio e di San Giorgio a Brancoli, della collegiata di San Cristoforo a Barga, delle chiese di Sant’Andrea, San Giusto, San Pier Somaldi, Santi Giovanni e Reparata e San Michele in Foro a Lucca. 83 nell’assemblaggio delle varie parti che lo compongono. La parte soprastante l’architrave era forse stata pensata diversamente: se immaginiamo di spostare le due protomi ferine ai lati dell’architrave, e di abbassare l’arco e il suo coronamento per farli aderire alla cornice superiore di questo, il complesso assumerebbe un aspetto più compatto e le due teste di leone si troverebbero, più sensatamente, a sostenere la ghiera dell’arcata, come accade nella maggioranza dei portali romanici di ambito pisano-lucchese. Una seconda e simile possibilità contemplerebbe invece la sostituzione delle due protomi ferine coi pezzi di cornice che fungono da mensola per gli spioventi del coronamento, lo spostamento delle teste ai lati dell’architrave e l’abbassamento della lunetta: in questa maniera la cornice a foglie lobate, oggi tagliata alle estremità in maniera asimmetrica, acquisterebbe più o meno la stessa lunghezza del sottostante architrave, e i leoni, leggermente rialzati per compensare il dislivello tra l’arco interno della lunetta e la terminazione del coronamento, sorreggerebbero direttamente la ghiera dell’arco. Qualunque fosse il piano originario, ammesso che davvero la sistemazione attuale gli sia stata infedele, la circostanza sembra indicare che il portale non sia stato montato dalla maestranza che l’aveva realizzato, e che sia stato portato a Massa dopo la sua esecuzione, avvenuta altrove. A questo fa pensare anche l’utilizzo, in luogo del travertino, del marmo di Carrara non rintracciabile in altre parti dell’edificio. L’alta qualità dell’opera risulta tuttavia evidente non appena si passa all’osservazione ravvicinata della decorazione delle varie parti del complesso: basti osservare la grande cura spesa nella riproduzione dei dettagli, talvolta impreziositi dai buchini di trapano, delle vesti dei personaggi, della nave che trasporta Cerbone in Toscana, della tovaglia dell’altare nell’ultimo riquadro. Sebbene le figure possano apparire a un primo sguardo primitive e goffe, a causa delle grosse teste e delle espressioni un po’fisse, incantate, che rendono i visi simili a maschere, buone sono la costruzione del resto del corpo e la resa minuta delle capigliature e delle mani. Considerevole è inoltre la molteplicità e la varietà dei gesti, all’interno di ogni singola scena: si notino, nel primo riquadro, le diverse reazioni dei personaggi alla tempesta; nel secondo, il pubblico che attornia il semicerchio dell’anfiteatro, con le teste appoggiate sulle piccole mani, come bambini aggrappati a un muretto troppo alto; nel terzo, la complicata posa della figurina a destra sotto il cavallo del vescovo, con il ginocchio della gamba in primo piano che tende la veste che in parte la ricopre. La raffinatezza dell’opera traspare chiaramente anche nella composizione, studiata ed equilibrata, delle singole scene, e nel rapporto tra i riquadri stessi, scandito da corrispondenze nelle forme e movimenti direzionali, come ha

84 efficacemente evidenziato Laura Gronchi. 288 Ma la caratteristica più qualificante dell’autore dell’architrave risiede nella sua considerevole abilità di gestire lo spazio, esplicata soprattutto nella sapiente digradazione dei piani della rappresentazione, che vede l’alternarsi di figure a quasi tutto tondo, come i personaggi stanti nell’ultima formella, ad altre solo in parte emergenti dal fondo della scena, come l’angelo che salva l’imbarcazione dalla tempesta. L’uso insistito del trapano nella decorazione dell’architrave, dove minuscoli forellini adornano lo sfondo delle scene lungo i lati dei riquadri e decorano piccoli dettagli quali il copricapo di re Totila, le briglie dei cavalli, le stole di Cerbone e di Vigilio, il castello di poppa della nave nella cimasa, si ripete nei racemi fogliati del capitello dello stipite sinistro e nella cimasa, dove ogni singola nervatura del fogliame è puntinata con cura: una conferma della coerenza delle varie parti che compongono il portale, 289 insieme all’utilizzo – oggi evidente grazie alla recente pulitura – dello stesso materiale e non, come suggerito dalla Gronchi, di due marmi diversi;290 fa eccezione solo la sezione più alta della cornice del frontone, integrata con un pezzo in travertino (fig. 3.63). Neanche la suddivisione del coronamento in pezzi di diversa lunghezza comprova il suo essere composto di elementi di reimpiego, 291 ma piuttosto il suo essere giunto in cantiere in una forma frammentaria. Detto ciò, la datazione altomedievale di alcune parti del portale, proposta dalla studiosa e ripetuta da Carli, sembrerebbe a primo acchito trovare una conferma nella decorazione degli stipiti, contraddistinti dal tipico intreccio a fettucce tripartite (figg. 3.64-3.65); basti pensare, a titolo d’esempio, alla simile ornamentazione di alcuni dei bassorilievi reimpiegati nella muratura del fianco nord della cattedrale pisana, databili ai secoli VIII e IX (fig. 3.66). 292 Anche il motivo a corda che incornicia entrambi gli stipiti del portale si ritrova, analogo, nella cornice di quattro dei sei rilievi murati nel fianco sinistro della chiesa di San Micheletto a Lucca, databili all’VIII secolo (fig. 3.67), 293 ma compare già nelle scanalature che si avvitano attorno ai fusti delle colonnette che decorano opere antiche quali sarcofagi, are e urnette cinerarie. La scelta di simili motivi decorativi non certifica tuttavia una cronologia altomedievale, dato l’impiego di analoghe decorazioni anche in opere di sicura datazione romanica. Si pensi allo stipite destro del portale sul fianco meridionale dell’abbazia di Sant’Antimo,

288 L. GRONCHI , 1969, pp. 9-13. 289 P. MONTORSI , 1988, p. 97 nota 52. 290 L. GRONCHI , 1969, p. 17. 291 L. GRONCHI , 1969, p. 17. 292 Sui pezzi altomedievali inclusi nel paramento esterno del Duomo di Pisa vedi C. NENCI in Il Duomo di Pisa... , 1995, pp. 362, 402, 407, 413-414 e M. L. CRISTIANI TESTI , 2011, pp. 71-80. 293 I. BELLI BARSALI , 1959, pp. 33-35; G. CIAMPOLTRINI , 1991, pp. 42-48. 85 ornato a intreccio di triplici nastri (fig. 3.69); 294 all’architrave del portale in facciata di San Cassiano a Controne, Bagni di Lucca, di fine XI secolo (fig. 3.68); 295 ai bassorilievi, apparentemente altomedievali ma databili alla seconda metà del XII, dei portali del Duomo di Sovana 296 e della chiesa di San Pietro in Villore a San Giovanni d’Asso. 297 Casi di pseudospolia dunque, o meglio di spolia in re , ovvero di reimpiego non del vero e proprio manufatto più antico, ma della sua decorazione, del suo spirito. 298 Anche l’accostamento, proposto da Carli, 299 della cimasa fogliata (fig. 3.70) alla cornice di alcune delle lastre del museo (fig 3.71) non è dirimente per la datazione altomedievale della prima, sia perché per i rilievi già in controfacciata è stata in seguito riconosciuta una datazione romanica, sia perché non sussiste una somiglianza stringente tra le due opere; considerando la maggiore qualità del fogliame della cimasa, caratterizzato da un intaglio accurato ed incisivo e da una minuta decorazione a forellini di trapano, si potrebbe al massimo ipotizzare che l’autore delle lastre si sia ispirato ad essa per l’ornamentazione di alcune delle cornici, fermo restando che si tratta di un motivo vegetale comune, di sovente utilizzato nelle incorniciature. Passando invece all’inquadramento stilistico del portale, se analizziamo le opere lombarde proposte come confronto sia da Montorsi per le lastre del museo, e dunque indirettamente per l’architrave, 300 sia da Guido Tigler, 301 in esse si ravvisano alcuni punti di contatto con i rilievi massetani, che comprendono ad esempio le simili capigliature ‘a caschetto’ e i tratti fisionomici dei personaggi. Indubbio è il legame con l’architrave della Porta dei Principi della cattedrale di Modena, con scene della vita di San Geminiano: ad esso rimanda la divisione in riquadri, estranea ai rilievi istoriati del XII secolo della Toscana nord-occidentale, caratterizzati invece da una narrazione ininterrotta con eventuale ripetizione degli stessi personaggi, derivante dal racconto continuo dei fronti di sarcofagi antichi. 302 Strette somiglianze sono oltretutto rilevabili tra il riquadro raffigurante il viaggio del santo a Costantinopoli e la prima formella di Massa, dove medesime sono la struttura dell’imbarcazione, l’inclinazione del pennone

294 G. TIGLER , 2006, p. 193; W. ANGELELLI , F. GANDOLFO , F. POMARICI , I, 2009, pp. 103-104. 295 G. TIGLER , 2006, pp. 274-275. 296 G. TIGLER , 2006, pp. 333-339. 297 G. TIGLER , 2006, pp. 326-328. 298 Sulla distinzione tra spolia in re e spolia in se , vedi R. BRILLIANT , 1982. Sul reimpiego di scultura altomedievale in contesti romanici confronta A. PERONI , 1985, pp. 175-188; F. GANDOLFO , 1997, pp. 439-444; E. M. VECCHI , 2001, pp. 255-283. 299 E. CARLI , 1976, p. 37. 300 P. MONTORSI , 1988, p. 97 nota 52. 301 G. TIGLER , 2006, p. 95. 302 L. GRONCHI , 1969, p. 13. 86 della vela e la posizione del remo (figg. 3.72-3.73); 303 un collegamento, quest’ultimo, spiegato da Laura Gronchi con il perpetuarsi di un “ topos della tradizione figurativa narrativa medievale” 304 , e da Tigler con la conoscenza diretta dell’opera modenese, 305 ma che si limita tuttavia al solo schema compositivo delle due scene, delle quali la massetana si presenta assai più affollata e ricca di particolari. Rimane però indiscutibile un certo scarto di qualità che distanzia le raffinate sculture massetane dai rilievi milanesi di Porta Romana (fig. 3.74) e di San Celso (fig. 3.75), popolati da figurine goffe e sproporzionate, tutte distribuite su un unico piano, che in un certo senso, come le citate lastre del museo, possono fare quasi sorridere per la loro ingenuità; in esse manca in particolare proprio quella capacità di articolare lo spazio che costituisce il tratto più distintivo dell’operato del maestro delle storie di San Cerbone, e che invece trova un parallelo nella scultura romanica pisana, con la quale il nostro portale mostra qualche punto di tangenza. Laura Gronchi ha giustamente segnalato affinità compositive tra la formella massetana e l’architrave firmato da Biduino oggi in Collezione Mazzarosa a Lucca, riscontrabili nell’inserimento di figurine accucciate sotto il cavallo e nei rami fogliati, oggi in gran parte perduti, che riempivano la parte alta del riquadro, in posizione analoga a quella dell’albero alla destra del quadrupede nell’ Entrata in Gerusalemme (figg. 3.76-3.77). 306 La collocazione del sovrano di profilo su un trono sorretto da colonnette (fig. 3.78) ricorda poi le varie sedute regali visibili in opere di cultura pisana della seconda metà del XII secolo; tra queste si possono ricordare, a titolo d’esempio, i troni visibili nella scena dell’ Ultima cena nel pulpito di Guglielmo, oggi a Cagliari (1168-1151) (fig. 3.79); nell’ Adorazione dei Magi del portale di Sant’Andrea a Pistoia (1166) (fig. 3.80); nell’architrave della facciata di San Salvatore in Mustiolo a Lucca (anni ’80-’90 del XII secolo) (fig. 3.81); in quello con Storie di San Silvestro proveniente dall’omonima chiesa pisana e oggi ricoverato nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa (ultimo quarto del XII secolo). 307 Seppure certi elementi del portale massetano che non trovano corrispondenze in opere toscane, quali le già citate fisionomie delle figure, ma anche le teste leonine sopra l’architrave, molto lontane dalle antichizzanti e naturalistiche fiere pisane, parlino a sfavore di una medesima radice

303 I caratteri della nave, dotata di prua e poppa rialzate e curvate verso l’interno, sono quelli tipici delle imbarcazioni mercantili del XIII secolo, ancora somiglianti nelle forma a quelle romane (D. ARDUINI , C. GRASSI , 2002, p. 19). 304 L. GRONCHI , 1969, p. 14. 305 G. TIGLER , 2006, p. 95. 306 L. GRONCHI , 1969, p. 13. 307 Il collegamento con opere biduinesche per il “motivo architettonico delle arcatelle” è stato già sottolineato da Laura Gronchi (L. GRONCHI , 1969, p. 13). Sull’architrave dalla chiesa di San Silvestro vedi A. MILONE in I marmi di Lasinio ..., 1993, pp. 169-172. 87 culturale, risulta difficile negare la conoscenza da parte dell’autore di lavori guglielmeschi e biduineschi, non solo per le summenzionate citazioni iconografiche e compositive, ma anche per il comune dominio dello spazio, per il deciso stacco dal piano di fondo delle figure, e per una loro certa esilità e flessuosità. A ciò si aggiunga la costruzione a pieghe sottili e fitte del panneggio e uno spiccato gusto per il dettaglio, che contrassegnano, ad esempio, anche l’ Entrata a Gerusalemme del portale centrale di San Cassiano a Settimo (fig. 3.82). Siamo di fronte allora a un maestro di cultura eclettica, di origini forse padane, ma edotto della scultura imbevuta di riferimenti all’arte antica e paleocristiana della Toscana nord-occidentale. Tracce dell’attività della medesima maestranza sembrano riconoscibili nel materiale scultoreo emerso durante gli scavi archeologici eseguiti dal 2002 al 2006 nei resti del monastero di San Quirico di Populonia, e riferibile al perduto chiostro dello stesso: trattasi di frammenti di elementi architettonici, tra cui capitelli, mensole zoomorfe e colonnine di varia fattura. 308 Tra questi vanno segnalati il residuo della criniera di una fiera, articolata in turgide ciocche terminanti in un ricciolo con al centro un foro di trapano, in tutto simile alla criniera delle due protomi leonine sopra l’architrave massetano (figg. 3.83, 3.85); una seconda mensola zoomorfa, paragonabile alle due testine animali murate ai lati degli stipiti, l’identificazione delle quali è ancora nebulosa (figg. 3.84, 3.86); 309 una base con decorazione fitomorfa (fig. 3.89) e un frammento di un capitello, caratterizzati da un accurato e minuto uso del trapano, Leitmotiv del portale di Massa (fig. 3.88); una mensola con motivo vegetale assai simile (fig. 3.90), nell’intaglio, al fogliame della cimasa soprastante l’architrave (fig. 3.87). 310 Il complesso populoniese, documentato dalla prima metà dell’XI secolo, risulta già dotato di “claustro” nel 1056, ma poiché i resti riportati alla luce non sono collocabili cronologicamente a prima della metà del secolo XII, è stato proposto come termine post quem per la ricostruzione del chiostro il 1143, anno in cui il pontefice Celestino II accordò al monastero la protezione apostolica. 311 Non è escluso che la decorazione claustrale venisse eseguita nell’ultimo quarto del secolo, in anni prossimi alla realizzazione della facciata massetana.

308 Sul complesso di San Quirico e sugli scavi ivi effettuati vedi R. BELCARI , 2006, pp. 89-104; R. BELCARI , 2009a, pp. 761-766; R. BELCARI , 2009b, pp. 174-185. Lo stesso studioso aveva già rilevato punti di contatto con Populonia “per confronti con alcune componenti decorative del primo cantiere massetano” (R. BELCARI , 2006, p. 101). 309 Guido Tigler (G. TIGLER , 2006, p. 94) le ha identificate come un lupo (a destra) e una lupa (a sinistra). 310 La foto del primo frammento citato è pubblicato in R. BELCARI , 2009a, p. 763, le immagini degli altri in R. BELCARI , 2009b, pp. 181, 183-185. 311 R. BELCARI , 2006, p. 90. 88 Va infine segnalato che il portale che si apre sotto la quarta arcata del fianco sinistro dell’edificio (fig. 2.68), risalente alla prima sottofase, imita in parte il portale della facciata, pur presentando una struttura assai più semplice: al di sopra dell’architrave piatto e liscio si trova difatti una cimasa che presenta il medesimo motivo fogliato di quella dell’accesso frontale, ripetuto tuttavia in maniera corsiva e meno curata (fig. 2.69). La ghiera esterna della lunetta poggia poi, come il coronamento cuspidato nel prospetto, su due segmenti di cornice, che ad un’osservazione ravvicinata si rivelano essere frammenti proprio della cimasa del portale di facciata, come dimostra sia il materiale (calcare, invece del travertino con cui è edificato l’accesso laterale) sia l’analogo intaglio netto e preciso (figg. 3.91-3.92). Si potrà supporre, dunque, che al momento della costruzione dell’accesso laterale il portale di facciata fosse già stato montato, o comunque già presente in cantiere, e che nell’incomprensione della struttura originariamente prevista la cornice sia stata resecata in più sezioni, due delle quali utilizzate nel montaggio della porta del fianco.

La seconda fase

All’operato della maestranza di cultura pisana sembra seguire direttamente l’intervento di una seconda maestranza di origine differente. A questa si può attribuire il completamento del fianco destro, dei primi due livelli della facciata e della parte superiore del fianco sinistro, questi ultimi con una pietra meno porosa e caratterizzata da una cromia più chiara, tendente al bianco (figg. 2.3, 2.47-2.48, 2.83). Questa sottofase comprende, nel prospetto, il capitello del pilastro angolare di destra (fig. 2.12); i leoni reggiarcata eccetto il terzo da sinistra, precedentemente commentato (figg. 2.13-2.14, 2.16-2.20); le losanghe sotto la seconda, la terza e la sesta arcata (figg. 2.27-2.28, 2.30), le ghiere delle arcate cieche, e la decorazione del secondo ordine, comprensivo di galleria e figure stilofore (figg. 2.33-2.40), eccetto che per il primo e l’ultimo capitello. Nel fianco sinistro include le prime quattro monofore partendo dalla facciata (figg. 2.64- 2.67); nel destro, oltre alle prime cinque monofore (figg. 2.84-2.88), il terzo capitello delle arcate cieche (fig. 2.94). Comprende infine la costruzione del campanile (figg. 2.119). Il passaggio di maestranza non portò né ad un cambio di tecnica muraria - si continuarono a utilizzare conci di medie dimensioni, squadrati e levigati – né, pare, ad una modifica nel progetto decorativo iniziale: vengono infatti completate le arcate

89 cieche e la serie dei leoni reggiarcata, entrambe già impostate nella fase precedente. Le nuove parti dell’edificio si distinguono tuttavia da quelle indicate come pertinenti alla maestranza ‘pisana’ per un diverso linguaggio stilistico, distante dai modelli antichi precedentemente citati e con esiti di qualità meno sostenuta. Ciò è evidente nel capitello del pilastro angolare destro del primo ordine del prospetto o in quello del terzo sostegno della prima archeggiatura del fianco destro; la struttura del capitello antico, composito e corinzio, viene stravolta da elementi anticlassici, quali la giustapposizione asimmetrica di diversi motivi vegetali e l’uso disordinato del trapano. Se poi si osservano i sette leoni reggiarcata è evidente un’esaltazione di caratteri ‘mostruosi’ - i denti triangolari, i grossi e sporgenti occhi - volti ad esaltare l’espressionismo delle fiere a discapito di una resa più naturalistica che di contro caratterizza il terzo esemplare da sinistra, già ricollegato alla maestranza ‘pisana’. Sono tratti che rimandano a opere di ambito lombardo, e che trovano un loro corrispettivo in terra toscana in alcune parti decorative della collegiata carrarese, quali le scene di caccia sulle cornici allo spigolo tra il prospetto e il fianco settentrionale, e il retro e il fianco opposto, già datate dalla Baracchini alla prima metà del XII secolo, 312 e da Tigler riferite a una maestranza arcaizzante “di casa tra Liguria e Emilia” attiva intorno al 1235 (fig. 3.93). 313 Lo stesso studioso le collega anche agli esiti di maestranze ritardatarie attive nell’Appennino modenese, collocabili nei primi decenni del Duecento e ben studiate da Gandolfo e Montorsi. 314 Il tema dei leoni reggiarcata si diffonde a Pisa a partire dalla facciata rainaldiana, è presente nel romanico pistoiese (seppure con una variazione sul tema), 315 si sviluppa nella bottega biduinesca, per poi approdare nell’architettura lucchese dei primi decenni del Duecento. Connessioni con il Romanico pisano sono poi visibili nelle prime tre arcate cieche e nella quinta in facciata (fig. 3.94), decorate da un motivo a coppie di foglie sovrapposte, che trova precisi confronti in area pisana; è possibile rintracciare tale motivo, per citare alcuni esempi, nell’architrave del portale centrale della chiesa di San Paolo all’Orto (fig. 3.95), nei capitelli dei pilastri interni di San Matteo in Soarta (metà XII secolo, ora Museo Nazionale) (fig. 3.96) 316 a Pisa e della pieve di San Cassiano a Settimo, oltre che negli spioventi bassi e nella seconda cornice marcapiano del prospetto

312 C. BARACCHINI , in Niveo de Marmore , 1992, p. 292. 313 G. TIGLER , 2006, pp. 35-38. 314 Tempo sospeso... , 1987. 315 Nelle chiese ove è attiva la bottega guidata da Gruamonte, ovvero Sant’Andrea, San Bartolomeo in Pantano e San Giovanni Fuorcivitas, leoni reggiarcata inseriti sopra il portale principale sono posti di profilo e non frontalmente. 316 G. TIGLER , 2006, pp. 209-210. 90 del Duomo di Pisa, dove però i singoli elementi non sono collegati da steli. Le restanti ghiere, al pari di quelle della galleria del secondo livello del prospetto, presentano invece un motivo a tralcio di vite che non compare comunemente nella decorazione esterna di facciate pisane, ma trova piuttosto un suo parallelo – tematico, non stilistico e compositivo – nei gonfi girali con foglie di vite e grappoli d’uva che caratterizzano le realizzazioni della bottega di Guidetto, attiva nel prospetto di San Martino a Lucca (intorno al 1204) e in numerose altre chiese della città e dei dintorni. 317 Simili tralci vegetali contraddistinguono la cornice interna delle prime due losanghe (figg. 2.27- 2.28), che si differenziano in qualità e motivi dalla terza (fig. 2.29), posta sotto la quinta arcata cieca; la quarta losanga, di converso, imita nell’incorniciatura la precedente, con risultati assai più modesti (fig. 2.30). Paralleli lucchesi hanno invece le monofore dei fianchi dell’edificio, arricchite, sia all’interno che all’esterno, da foglie o da figure umane ed animali. Si tratta di un’idea che compare a Pieve San Paolo, Capannori, a Lucca nella basilica di San Frediano, 318 in Santa Maria Forisportam, in San Michele in Foro e in San Pier Somaldi, oltre che nella collegiata di Sant’Andrea a Carrara. La monofora che si apre nella terza campata della navata sinistra, decorata da un’aquila che adunghia un drago (fig. 3.97), è confrontabile con una finestra ugualmente ornata del fianco sinistro di San Michele in Foro, opera di mano differente ma di medesimo soggetto (fig. 3.98); lo stesso vale per la monofora tamponata della campata successiva, con foglia dalle nervature evidenziate da forellini di trapano (fig. 3.99), assai simile a quella di un’apertura del cleristorio meridionale di San Frediano e di una delle monofore della navata destra della chiesa lucchese di Santa Maria Forisportam (fig. 3.100). La finestra della quinta campata destra, con la figura di un suonatore di corno nell’archetto (fig. 3.101), sembra invece una citazione della mensola della facciata della cattedrale lucchese sottostante la colonnetta con l’autoritratto di Guidetto (1204) (fig. 3.102). Sembra di assistere dunque all’operato di una maestranza che adotta soluzioni di casa nella Toscana nord-occidentale, ma al contempo le reinterpreta sulla base di una cultura figurativa tipica dell’Italia centro-settentrionale. Si tratta di un atteggiamento che caratterizza gli artefici lombardi che dall’inizio del Duecento risultano attivi a Lucca e

317 A Lucca le chiese di San Michele in Foro, Sant’Andrea, San Cristoforo e Santi Giovanni e Reparata. 318 La costruzione dell’attuale basilica di San Frediano è da datarsi tra il 1112 e la metà circa del XII secolo; la chiesa subì in seguito modifiche, tra le quali una sopraelevazione – per la quale Tigler ipotizza una cronologia al tardo XII secolo – che comprende le monofore fogliate (G. TIGLER , 2006, pp. 109-119). Sulla chiesa si vedano anche, tra i vari contributi, I. BELLI BARSALI , 1950; R. SILVA , 1985; R. SILVA , 2010. 91 nei dintorni, oltre che in altri centri toscani; 319 non è però possibile riconoscere un’identità di mano tra le opere massetane e le sculture dei vari maestri lombardi distribuite in area lucchese. Anche la torre campanaria, o almeno ciò che di originale rimane di essa, sembra spettare alla seconda maestranza attiva nel cantiere della cattedrale; essa viene datata da Salmi nel XIII secolo 320 e da Tigler, che la attribuisce a maestranze lombarde, alla prima metà del Duecento. 321 Il campanile è evidentemente successivo alla prima fase costruttiva dell’edificio, dato che si appoggia al fianco sinistro della cattedrale coprendo almeno due delle arcate cieche che lo scandiscono e tamponando una monofora ancora visibile all’interno nella settima campata (fig. 3.103). Al momento della sua edificazione sopravviveva in quella sezione del fianco la zoccolatura ancora visibile nel lato opposto della chiesa: si leggono infatti, alla base dello stipite sinistro del portale sotto la tredicesima arcata cieca, i profili dei due grossi blocchi tagliati che componevano i due filari più alti dello zoccolo (fig. 3.28). Alla stessa altezza di quest’ultimo si trova il basamento della torre. Il rapporto col fianco sinistro dell’edificio è stato letto dal gruppo di lavoro impegnato nei restauri della cattedrale come la dimostrazione che il campanile venne edificato dopo la demolizione del presbiterio rialzato e la conseguente rimozione dello zoccolo che insisteva nella parte bassa del fianco; la quota della soglia dell’accesso alla torre coincide difatti con l’attuale piano di calpestio. 322 L’impossibilità di analizzare, per il momento, l’interno del campanile, oggi incluso nell’area inaccessibile di cantiere dei restauratori, non mi ha consentito di valutare de visu se il piano di calpestio sia stato o meno abbassato in un momento successivo alla costruzione della torre; si può solo rilevare che l’accesso sarebbe risultato perfettamente agibile anche se l’altezza della soglia fosse stata più alta dell’attuale, e che l’eventuale presenza di una scalinata per l’accesso al portale laterale quando ancora sopravviveva il presbiterio rialzato non presuppone necessariamente che anche la pavimentazione antistante l’uscio del campanile si dovesse trovare a un livello più elevato. Non va inoltre dimenticato che ciò che del campanile è oggi visibile è in gran parte frutto di un restauro in stile eseguito negli anni ’20 del Novecento, su progetto dell’architetto senese

319 Numerosi sono i contributi dedicati allo studio degli scultori lombardi attivi in Toscana e in particolare a Lucca; qui ci limiteremo a citare M. SALMI , 1914 a; P. GUIDI , 1929; G. DALLI REGOLI , 1986; G. DALLI REGOLI , in Niveo de marmore , 1992, pp. 163-171; G. TIGLER , 2009. 320 La torre campanaria è citata da Mario Salmi, che la considera una ripresa di quello senese, costruito nel XIII su una torre dei Forteguerri (M. SALMI , 1926, pp. 61-63 note 74-75). 321 G. TIGLER , 2006, p. 96. 322 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, pp. 78-79 nota 17; N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , 2013, p. 173. 92 Egisto Bellini, un intervento che coinvolse anche l’ingresso ad arco alla sua base (figg. 3.104-3.105). 323 Il precedente aspetto della torre è tramandato da alcune fotografie d’epoca, (figg. 3.106-3.107) 324 che testimoniano la presenza di un differente sistema di aperture, evidente frutto di rimaneggiamenti nel tempo; la stessa copertura piramidale risaliva a un intervento del 1746. 325 Dal confronto tra queste immagini - che immortalano purtroppo solo il lato rivolto verso la piazza e la parte alta di quello verso l’abside - e l’aspetto attuale del campanile è possibile riconoscere come già esistenti solo la bifora e la trifora, mentre totalmente reinventate appaiono la quadrifora e le pentafore. Le stesse strette feritoie presenti sotto la bifora si presentavano a inizio secolo scorso ben più ampie e non allineate. Le tormentate vicende del campanile sono in parte ricostruibili grazie alla documentazione conservata agli archivi storici delle due soprintendenze ai beni artistici e ai beni architettonici della città di Siena, 326 dove sopravvivono i progetti per il campanile dell’architetto Bellini, autore anche del restauro della parte superiore della cupola. 327 Una prima richiesta di intervento sul campanile, danneggiato da un fulmine insieme alla cupola, è del 1918; a questa segue un preventivo della ditta Parri & Cinelli, che si prende l’impegno dei lavori al campanile e alla cupola. 328 Nel preventivo si specifica che l’intervento comprenderà la “ripresa di tutte le decorazioni mancanti e restauro di quelle esistenti”, ma anche la “provvista e collocazione in opera di colonnette di pietra complete di base e capitello (travertino)”. Risale al gennaio del 1922 una relazione non firmata, ma presumibilmente del soprintendente ai monumenti Chierici, sul progetto presentato dalla Soprintendenza per il consolidamento ed il restauro della torre: in essa si specifica che la demolizione e la ricostruzione degli ultimi piani “non annullerà l’autenticità del campanile, perché la parte da rifarsi venne costruita in epoca posteriore al resto del monumento, e pure essendo di forme eleganti e intonata alla parte duegentesca, non presenta particolari architettonici ed ornamentali di grande importanza”; si ricorda inoltre che “il progettista

323 Il lucido del progetto per la porta della torre si conserva in SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 23 febbraio 1929, c. 347. L’architetto è noto per i numerosi restauri in stile in area toscana, compreso il rifacimento della case-torri di San Gimignano. 324 Fotografie d’epoca sono conservate presso l’archivio Alinari, la fototeca del Kunsthistorisches Institut e la fototeca Berenson a Villa I Tatti di Firenze. 325 ACM, Case pie. Memorie del secolo XVII e XVIII , Libro 345, p. 464 (L. PETROCCHI , 1900, p. 67). 326 La documentazione sul campanile è oggi divisa tra gli archivi storici delle due soprintendenze: la parte databile fino al 1923 si trova al SBSAE, mentre il materiale successivo si conserva alla SBAPSI. Un breve resoconto dei restauri all’anno 1924 fu pubblicato in Bollettino d’Arte (G. CHIERICI , 1924-1925, pp. 189-190). 327 I progetti per il restauro del campanile e della cupola sono conservati nell’Archivio Disegni della SBAPSI e sono stati recentemente pubblicati in F. ROTUNDO , R. PAGLIARO , 2007, pp. 276-278. 328 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , carte s.n. 93 si è proposto di impiegare nuovamente tutti gli elementi vecchi nell’ordine e nel luogo che attualmente conservano”. 329 Una lettera del 20 maggio 1923 dell’Ispettore dei Monumenti Gaetano Badii informa il soprintendente che durante la demolizione della torre sono state ritrovati “molti frammenti di capitelli, e fra questi uno con figure umane (...) d’epoca assai anteriore a quella della costruzione del campanile”; 330 si tratta forse del frammentario capitellino con tre figure umane oggi esposto nella prima sala del Museo d’Arte Sacra, indicato come proveniente da Sant’Agostino ma di ubicazione originaria sconosciuta (fig. 3.108). 331 Un’altra lettera del 7 agosto riferisce dei risultati dei saggi effettuati alle fondazioni della torre: nel terreno di riempimento, scavato ad una profondità di 1,60 metri, vengono ritrovate ossa e teschi e il sepolcreto della famiglia Bindini, provvisto di epigrafe sul muro interno, già descritto in realtà dal Petrocchi; 332 a un metro di profondità i due lati delle fondamenta sono uniti da un grosso muro, creato, viene supposto, per evitare lo scoscendimento del terreno. 333 Il 31 agosto 1924 la Soprintendenza concede l’appalto per i lavori di ricostruzione del campanile alla cooperativa Muratori ed Affini di Massa Marittima; 334 seguono dal 1925 al 1926 alcuni resoconti del direttore del restauro Egisto Bellini sullo stato d’avanzamento dei lavori. 335 A maggio 1927 il restauro si interrompe per mancanza di fondi; 336 una lettera di protesta del 9 maggio 1928 del Comitato Pro Campanile riferisce alla Soprintendenza del ferimento di un sagrestano in seguito alla caduta di una campana, sistemata provvisoriamente nel sagrato, e richiede al governo i soldi per ultimare la ricostruzione della torre. 337 Il restauro risulta finalmente ultimato a spese del Comune il 27 settembre 1932. 338 Dalla documentazione menzionata e dall’osservazione delle fotografie d’epoca emerge chiaramente che le uniche parti che possono ancora conservare gli elementi ornamentali originali sono le bifore e le trifore. Se dunque tutti i capitellini e le mensole dei piani superiori andranno giudicati come inserimenti novecenteschi creati a imitazione delle

329 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , carte s.n. 330 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , carte s.n. 331 La provenienza da Sant’Agostino non fa presupporre necessariamente un originario impiego nello stesso edificio; gli spazi del convento funsero da museo cittadino, e dunque da raccoglitore di opere ed oggetti artistici, a partire dal 1867 (S. GALLI DA MODIGLIANA , 1873, p. 551). 332 L. PETROCCHI , 1900, p. 66. 333 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , carte s.n. 334 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 31 agosto 1924. 335 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 10 ottobre 1925, c. 184; SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 24 marzo 1926, c. 194; SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 20 giugno 1926, c. 192. 336 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , maggio 1927. 337 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 9 maggio 1928, c. 277. 338 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 27 settembre 1932, c. 359. 94 parti preesistenti, potranno invece essere considerati originali la testa di ariete, al centro della bifora che si affaccia sulla piazza, e la mensola con protomi animali della soprastante trifora (figg. 3.109, 3.111): nonostante non sia possibile riconoscerne con sicurezza la presenza attraverso le vecchie immagini, il loro aspetto danneggiato li differenzia dai particolari decorativi di restauro, per molti dei quali sembra si sia tratto ispirazione proprio dalla citata mensola con protomi animali. Queste ultime possono essere confrontate con le sculture teriomorfe della facciata riferibili alla seconda maestranza attiva nella cattedrale (fig. 3.112); in particolare con la preda del secondo leone reggiarcata, sia per le incisioni circolari attorno agli occhi sia per i denti triangolari e l’analoga definizione del pelo sul capo. La testa d’ariete della bifora può invece essere messa a raffronto con il bovino ingabbiato sotto il primo dei leoni del prospetto (fig. 3.110), pur tenendo conto del pessimo stato conservativo della protome, che presenta oggi invasivi riempimenti neri negli occhi e in una delle orecchie. A questo momento risale la decisione di creare la zebratura di travertino e serpentinite nella fascia alta del fianco nord-est, che prosegue per un paio di conci oltre lo spigolo della facciata (fig. 3.113): è plausibile che nel progetto originario fosse invece prevista, al di sopra delle arcate cieche, una cornice aggettante e modanata come quella che si sovrappone alle arcate presso la cappella Galliuti, sul fianco opposto, e che è a sua volta sormontata da due filari di pietre (fig. 3.114). I conci iniziali del paramento zebrato superiore alla tredicesima arcata si interrompono con un taglio verticale nel punto di contatto col campanile, al quale si appoggiano; ciò parrebbe indicare la preesistenza della torre alla messa in opera della muratura sopra le arcate, ma non è escluso che si tratti del risultato di maneggiamenti nell’ambito di un restauro. La stessa zebratura venne successivamente replicata nel cleristorio di entrambi i fianchi e nella parte alta del secondo ordine della facciata. Si tratta di un tipo di decorazione assai comune in Toscana, Leitmotiv dell’architettura romanica pistoiese – dove alla pietra si alterna, come nel caso massetano, il serpentino 339 –, ma diffuso anche in altri centri della regione, a cominciare dall’esempio illustre del Duomo pisano fino alla più tarda cattedrale senese, oltre che in edifici romanici sardi e corsi, direttamente influenzati da Pisa. 340

339 Si vedano le chiese di San Giovanni Fuorcivitas, Sant’Andrea, San Bartolomeo in Pantano, e, più tardi, la facciata del Duomo di San Zeno e il Battistero. 340 Si pensi, in Sardegna, alle chiese di San Pietro di Sorres (Borutta, SS), della Santissima Trinità di Saccargia (Codrongianos, SS), di San Pietro del Crocefisso (Bulzi, SS) e, in Corsica, di San Michele di Murato. 95 La stessa maestranza si occupò anche della costruzione del secondo ordine del prospetto (fig. 2.33): che non possa sussistere un’interruzione dei lavori tra i primi due livelli è dimostrato dalla decorazione a tralcio di vite delle ghiere dei cinque archetti della galleria (figg. 2.38-2.40), in tutto analoga a quella di tre delle arcate del livello inferiore, per non menzionare il motivo a foglie d’acqua e coppie di volute, ricorrente in entrambi i piani della facciata. La struttura del secondo livello, con gli spioventi ‘pieni’ e la galleria delimitata alla sola sezione centrale, non è frequente nell’architettura toscana del tempo, dove è più usuale, ove presente una galleria, far proseguire le colonnette fino al punto di incontro tra gli spioventi e la cornice marcapiano nell’ordine sottostante, come accade, ad esempio, nel prospetto della cattedrale pisana (fig. 3.8). Una soluzione simile a quella massetana è adottata nella pieve di Santa Maria di Villa Basilica (LU, facciata di inizio XIII secolo) (fig. 3.11) 341 e in Santa Maria a Chianni (Gambassi Terme, FI, ultimi decenni del XII secolo) (fig. 3.115), 342 anche se in quest’ultimo caso la facciata è articolata solo nella zona centrale anche nel primo ordine. 343 Rara è poi la coesistenza di una galleria e di un rosone, che da questa viene schermato: molto più comune è la presenza di una o più aperture a bifora o di un oculo o rosone isolato, in assenza di archeggiatura. La stessa compresenza si rintraccia soltanto nella facciata della pieve di Santa Maria Assunta di Arezzo, dei primi anni del Duecento (fig. 3.116), 344 dove compare un oculo tra due bifore nel primo piano della galleria; nella chiesa di a Pisa, dove il prospetto è frutto di un rifacimento della seconda metà del XIII secolo con riutilizzo di capitelli romanici; 345 e infine nella chiesa di San Michele in Foro a Lucca (fig. 3.117), dove un rosoncino passante, affacciato sul cielo e non sull’interno della chiesa, si apre nel terzo ordine delle loggette (1220 circa). 346 In questi ultimi esempi, tuttavia, l’oculo o rosone è solo una delle varie aperture che forano il diaframma della facciata dell’edificio, mentre nel duomo massetano si assiste ad una sorta di sovrapposizione di due tipologie diverse di prospetto. 347

341 M. T. FILIERI , in La piana lucchese... , 1999, pp. 104-106. 342 I. MORETTI , R. STOPANI , 1968, pp. 235-245; A. DUCCINI , 2000, pp. 219-223; Santa Maria a Chianni... , 2003; G. TIGLER , 2006, pp. 312-313. 343 Come avviene, ad esempio, nella chiesa dei Santi Quirico e Giulitta a Capannori (M. T. FILIERI , 1990, pp. 89-90). 344 G. TIGLER , 2006, pp. 183-192, con bibliografia precedente. 345 G. TIGLER , 2006, pp. 210-212. 346 G. TIGLER , 2006, pp. 258-262. 347 Anche Von Winterfeld sottolinea la particolarità della soluzione massetana, sia nelle grandi dimensioni del rosone sia nella sovrapposizione della galleria (D. VON WINTERFELD , 2007, pp. 31-32). 96 Poco comune è anche l’inserimento di figure stilofore a sostegno delle colonnette di una galleria in una facciata (figg. 2.34-2.37). 348 A differenza di quanto affermato dal Lombardi, 349 le figure sotto le quattro colonne centrali – un’aquila con preda, un leone con preda, un uomo che sorregge un libro e un ariete – non compongono il gruppo del tetramorfo, data la presenza dell’ovino al posto del bue. La figura umana stilofora (fig. 2.36) può essere felicemente confrontata per i tratti molto semplificati, la forma del naso e i capelli a ‘caschetto’ con la protome che decora la monofora interna della terza campata della navata destra (fig. 2.224). I quattro capitelli centrali sono ancora legati ai motivi della maestranza precedente, quali la rivisitazione del corinzio o le quattro aquile angolari (figg. 2.38-2.40); nel secondo capitello da sinistra, dove a un ordine di foglie lisce si sovrappone una rete di volute e rosette pentalobate collegate da tubicini di raccordo, si ripetono le decorazioni di foglie, volute e fiori delle ghiere delle arcate del primo livello del prospetto. L’ultimo capitello a destra presenta invece foglie a crochet , analoghe a quelle dei capitelli del terzo ordine del prospetto: si tratta dunque di un rifacimento di fine Duecento, resosi forse necessario per le cattive condizioni del capitello originale. Di epoca simile pare essere anche il primo capitello della serie, sormontato da un pulvino liscio, diverso dagli altri cinque, frutto anch’esso, forse, di un rifacimento successivo. Sia la prima che la sesta colonnetta poggiano su un capitello rovesciato che funge da base: il primo è decorato da grossi frutti piriformi con gambi che nascono dal collarino, forse pigne o grappoli d’uva; il secondo, di aspetto moderno, presenta volute e foglie angolari. L’idea di interporre tra i capitelli delle colonnine e le arcate soprastanti un largo ed alto pulvino di sagoma troncopiramidale, decorato con foglie ripiegate in avanti, non è comune nelle chiese pisane e lucchesi, dove si inserisce generalmente un pulvino parallelepipedo, diviso nel lato frontale in riquadri ornati; 350 ritroviamo, invece, pulvini simili nei due ordini della parte alta della facciata di Santa Maria di Villa Basilica (fig. 3.118). Il secondo livello della facciata presenta al di sopra degli archetti il paramento bicromo già incontrato in cima al fianco sinistro dell’edificio; la zebratura si interrompe solo nello spigolo tra il prospetto e il fianco sinistro e nella sezione sopra all’archetto

348 Ciò è messo in luce anche da Von Winterfeld, che evidenzia anche come gli archi della galleria del secondo livello, alti e slanciati, si discostino dalle tradizionali arcate cieche che normalmente si incontrano negli ordini superiori dei prospetti (D. VON WINTERFELD , 2007, p. 31). 349 E. LOMBARDI , 1966, p. 18. 350 La presenza di tali pulvini caratterizza i quattro ordini di loggette del prospetto della cattedrale pisana (metà XII secolo), e, nel secolo successivo, la galleria del Battistero e la facciata di San Michele in Borgo; si ritrovano, per citare alcuni esempi, anche a Lucca nelle facciate delle chiese di Santa Maria Forisportam, San Michele in Foro e San Martino. 97 centrale della facciata, dove venne sostituito da conci di un travertino simile a quello utilizzato nel livello superiore. Nella fascia centrale dei primi due ordini del prospetto, esattamente al di sotto della citata integrazione, si nota un dissesto che interessa la ghiera dell’archetto sottostante, il paramento sopra l’oculo, il profilo di quest’ultimo, evidentemente discontinuo, e infine la ghiera liscia di coronamento della quarta arcata cieca del primo ordine (figg. 3.119, 3.120). Simili danni non sono invece percepibili se, partendo dall’integrazione, si sale al terzo livello della facciata. Si può dunque presumere che i risarcimenti siano contemporanei e funzionali all’aggiunta dell’ultimo ordine del prospetto, e che fossero volti a rimediare a un preesistente problema di stabilità, causato forse da un evento naturale quale un terremoto. Non è del tutto escluso che esistesse un terzo livello già prima della fine del Duecento, e che sia stato sostituito dall’attuale completamento perché irrimediabilmente danneggiato nello stesso evento; ma data l’indimostrabilità dell’ipotesi, rimane più prudente ipotizzare che la facciata, incompleta fino allo scadere del XIII secolo, si concludesse col secondo ordine e presentasse una terminazione rettilinea, simile a quella dell’incompiuto prospetto della cattedrale di San Martino a Lucca (fig. 3.121).351 Sono d’altronde molto frequenti i casi di prospetti rimasti interrotti per anni, a volte secoli; basti pensare alla chiesa di Sant’Andrea a Carrara, dove il secondo livello della facciata fu eseguito solo intorno al 1325, mentre il terzo non venne mai realizzato (fig. 3.122). 352 Il cleristorio bicromo di entrambi i fianchi dell’edificio appare contestuale alla zebratura del secondo livello della facciata, data la continuità di questa sui tre lati della chiesa (figg. 2.75-2.80). La sua edificazione deve inoltre risalire a un momento successivo rispetto alla costruzione della muratura sottostante la cupola, di semplice travertino, dato che vi si appoggia; ciò risulta evidente se si osserva il punto di giunzione tra i due paramenti nel fianco sinistro (fig. 2.80). In un momento imprecisato, forse in occasione della costruzione delle volte a crociera della navata centrale nel XVII secolo, sopra il cleristorio venne aggiunto un alto strato di malta e laterizi, per allinearlo in altezza al paramento sottostante il tamburo della cupola e rialzare così il tetto della cattedrale. Mentre il lato destro dell’edificio presenta un semplice paramento zebrato, interrotto da monofore, sul fianco sinistro vi si sovrappone una serie di archetti, sorretti alternativamente da colonnine e mensole. Come già evidenziato nella precedente

351 Il prospetto della cattedrale lucchese fu preso, secondo Guido Tigler, a modello nella pieve di Santa Maria Assunta ad Arezzo (G. TIGLER , 2006, pp. 190-191). 352 E’ stato ipotizzato che fossero destinati al terzo livello del prospetto carrarese i marmi semilavorati citati in un documento del 1385, dove il Comune chiedeva ai Visconti di non sottrarli dal cantiere dell’edificio (G. TIGLER , 2006, pp. 31-38). 98 descrizione dell’edificio, le monofore non appaiono perfettamente raccordate all’archeggiatura, ma ciò non è dovuto ad un errore progettuale: la loro posizione è tale da far risultare ciascuna apertura perfettamente inclusa nella metà destra della coppia di archetti, quando osservata dalla piazza (fig. 3.123). 353 La contemporaneità dell’esecuzione del paramento zebrato del cleristorio e del secondo ordine del prospetto, dove appare strettamente legato all’archeggiatura, a sua volta stilisticamente legata al primo ordine, pare in contrasto con la decorazione dei capitellini e dei peducci del cleristorio del fianco sinistro; questi ultimi, ornati con elementi fogliacei o protomi animali, sembrano essere opera di una maestranza diversa, caratterizzata da un linguaggio più progredito (figg. 3.124-3.130). Risulta d’altra parte improbabile che questi siano stati aggiunti successivamente, dato l’inglobamento del loro lato posteriore tra i conci della muratura. Molti dei citati capitelli presentano foglie che avvolgono una sfera o foglie a crochet di un tipo ancora non maturo, certamente precedente al fogliame della stessa tipologia che compare nel terzo ordine della facciata o in alcune parti decorative riferibili agli interventi di fine Duecento e inizio Trecento; a una cultura ancora romanica fanno pensare anche le testine animali presenti in alcuni dei capitellini. Sia la tipologia del crochet che l’idea della decorazione floreale sotto la base del peduccio si riallacciano ai motivi ornamentali tipici dell’architettura cistercense. Il primo compare per la prima volta in Borgogna, a Pontigny (1170 circa), per poi diffondersi in molte altre abbazie dell’ordine; esempi protoduecenteschi si trovano in Italia nella controfacciata e nel chiostro di Fossanova. 354 La presenza di un fiore o di un elemento fogliato sotto le mensole ricorda la decorazione dei peducci delle semicolonne pensili di San Galgano, la cui costruzione sembra da comprendere tra il 1218-1220 e la consacrazione del 1288. 355 Alla decorazione del cleristorio può essere avvicinato anche un capitellino erratico che presenta gli stessi caratteri stilistici, esposto nella prima sala del Museo d’Arte Sacra come opera di “Scultore della fine del XII secolo” proveniente dal Duomo (fig. 3.131). 356

353 L’apparente discordanza tra monofore e archetti è spiegata da Von Winterfeld non con un cambio di progetto, ma con la disinvoltura che a suo parere caratterizza l’architettura delle regioni a sud delle Alpi (D. VON WINTERFELD , 2007, p. 29). 354 C. GHISALBERTI , 1992, p. 839. Sulle chiese cistercensi si veda Architettura cistercensi ..., 1995. 355 La costruzione della chiesa abbaziale, filiazione di Casamari, prese l’avvio dal coro e dal transetto (I. RAININI , 2001). 356 Informazioni tratte dal cartellino del museo. 99 La differente decorazione dei fianchi

Il diverso grado di decorazione dei due fianchi della cattedrale, evidente anche ad un esame superficiale del complesso, costituisce un problema che necessita un approfondimento. Come è emerso dall’analisi dell’esterno della chiesa, il fianco sinistro o nord-est mostra un’ornamentazione piuttosto curata, seppur meno elaborata di quella della facciata, la quale rimane, come di consueto, la parte decorativamente più ricca dell’edificio: le differenze rispetto al prospetto comprendono le ghiere degli archi, solo modanate, e i capitelli, a foglie d’acqua e non d’acanto (figg. 2.2). In questo fianco sono inoltre concentrati gli elementi di reimpiego, ovvero i rocchi di colonna di granito inseriti nelle parti basse delle colonne. Il lato destro si presenta invece fin dal primo sguardo più povero e semplice in termini di decorazione, soprattutto per l’interruzione dell’archeggiatura cieca nella sua parte centrale; a ciò si unisce l’assenza del gradino su cui poggiano le arcate del resto della chiesa, della zebratura che corre sotto la gronda nel fianco sinistro ed il motivo ad arcatelle che sul lato opposto si imposta sopra al paramento murario del cleristorio (fig. 2.83). La scelta di differenziare i due lati dell’edificio risale dunque alla primissima fase costruttiva, e venne portata avanti anche dalla seconda maestranza attiva nel cantiere della cattedrale. Tale difformità non è sfuggita all’attenzione degli studiosi, che ne hanno dato negli anni spiegazioni diverse. Enrico Lombardi, ad esempio, considerava il fianco destro come la parte più antica dell’edificio, e vi riconosceva resti della cattedrale precedente, da lui ancora collegata al documento del 1016. 357 L’idea invece recentemente prospettata da Dethard von Winterfeld, 358 che alla parte priva di arcate fossero addossate originariamente le abitazioni dei canonici o del vescovo, era stata refutata già nel 1976 da Enzo Carli, che notava come “l’apparecchio murario, la presenza di uno zoccolo e una porta murata subito dopo la terza arcata a partire dall’angolo di facciata sembrerebbero meglio addirsi ad una parete esterna”. 359 Proprio la zoccolatura, nella sua funzione decorativa e di indicatore dell’innalzamento della quota del terreno e del livello pavimentale interno, esclude la possibilità che su questo fianco fossero originariamente apposte delle costruzioni. E’ più probabile che questa fosse la zona anticamente occupata dal chiostro della cattedrale, che non poteva trovarsi presso il lato sinistro dell’edificio, rivolto verso la piazza. Sebbene l’esatta posizione di questo ambiente non ci sia stata tramandata

357 E. LOMBARDI , 1966, p. 9. 358 D. VON WINTERFELD , 2007, p. 29. 359 E. CARLI , 1976, pp. 17-18. 100 dalle fonti, la sua esistenza è confermata dalla presenza in Duomo di un capitolo di canonici, documentato a Massa fin dal 1150. 360 Il “claustro” della cattedrale compare nello Statuto di Massa dell’inizio del XIV secolo, dove troviamo il divieto di giocare, lanciare pietre, tirare con la balestra e fare confusione dentro e davanti la chiesa e nel chiostro; 361 un dato, questo, che ci indica come all’inizio del Trecento questo spazio fosse in qualche modo accessibile non solo al clero ma anche ai cittadini. L’assenza di una vera e propria indagine archeologica nell’area sud-ovest del Duomo non permette di confermare né di confutare l’ipotetica collocazione del chiostro presso questo fianco: l’area è stata finora interessata solo da una piccola campagna di scavo eseguita nel settembre del 2009 dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici, nell’ambito di alcuni lavori commissionati dalla curia per risolvere un problema di umidità all’edificio; l’intervento ha rimesso in luce sette sepolture, databili approssimativamente a un periodo successivo al XIV secolo, ma non è stato risolutivo per quanto riguarda l’individuazione delle tracce di un chiostro (fig. 3.132). 362 Sconosciute rimangono anche l’estensione di questo spazio, la sua forma, più o meno monumentale, e l’eventuale presenza di portici. Si potrebbe comunque ipotizzare che l’accesso a questo ambiente, se qui si trovava, coincidesse con il punto in cui, dopo un passaggio più stretto, l’area antistante la parete destra si apre in uno spiazzo: ciò spiegherebbe anche la presenza della breve serie di arcate e del portale nella prima parte del fianco, una continuazione, in versione diminuita, della decorazione della parte più ‘visibile’ e frequentata della cattedrale a cui questa sezione ancora apparterrebbe. Escludendo dunque la semplicistica soluzione di un diverso grado di finitezza dei due lati della cattadrale o di una loro differente cronologia, sembra più plausibile che una spiegazione della differenza tra i fianchi vada ricercata nella diversa visibilità di cui godevano i due lati dell’edificio. Che il fianco sinistro presenti una ricchezza decorativa di poco inferiore a quella del prospetto non desta infatti alcuna meraviglia, una volta considerata la posizione della cattedrale massetana all’interno del sistema viario cittadino. L’edificio si trova nella parte più a sud della Città Vecchia e occupa l’area meridionale dell’attuale piazza Garibaldi, dove si affacciano anche il Palazzo del Podestà e il Palazzo Comunale (fig. 3.133); lo spazio è documentato fin dal 1221 come platea comunis de Massa 363 e già all’inizio del Duecento era il centro amministrativo

360 ASS, Diplomatico Città di Massa , 1149 marzo 9 (regesto in A. LISINI , 1908, p. 84). 361 Vedi la rubrica De ludentibus in maiori ecclesia masse et prohicientibus lapides (ASF, Statuti , 434, distinzione V, rubrica XLI, cc. 88v – 89r). 362 B. ARANGUREN , G. BIANCHI , E. DELLA ROSA , B. DE SANTIS , 2009, pp. 439-440. 363 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1220 gennaio 14 (pubblicato in G. VOLPE , 1910, pp. 276-282). 101 della città. La chiesa è collocata su un’alta piattaforma gradinata di travertino con un orientamento sud-est / nord-ovest, grazie al quale rivolge alla città non soltanto il suo fianco sinistro ma anche la facciata, se pure di traverso. Il lato sinistro o nord-est dell’edificio funge dunque da secondo prospetto e rappresenta, con la facciata, la sezione esterna della chiesa di maggiore visibilità. E’ suggestivo pensare che allo stretto rapporto tra questa parte della cattedrale e la cittadinanza sia legato il basso gradino su cui si impostano le colonne dell’archeggiatura della facciata e del fianco sinistro, forse utilizzato fin dal principio alla stessa maniera di oggi, ovvero come seduta per chi sosta nella piazza; un’immagine che riporta alla mente la litografia del XIX secolo di William Eden Nesfield della porta di San Ranieri del Duomo di Pisa, nel quale alcune persone sono ritratte sedute e sdraiate sulle gradule di Giovanni Pisano. 364 La forte relazione tra la decorazione, la visibilità e la posizione di una chiesa all’interno dello spazio, urbano o non urbano, in cui è inclusa, ha caratterizzato l’articolazione esterna di molti edifici ecclesiastici, i più importanti dei quali raramente si trovavano isolati come appaiono oggi; interi lati di cattedrali, pievi, chiese abbaziali e conventuali risultavano originariamente invisibili perché vi si trovavano addossate varie altre strutture, comprensive spesso di un chiostro. Uno dei casi toscani più significativi è quello del Duomo di Siena, i cui fianchi rimasero praticamente nascosti fino al 1659, quando su iniziativa del governatore Mattias de’ Medici e con l’autorizzazione di papa Alessandro VII Chigi venne demolita la casa dell’arcivescovado, addossata al fianco destro, e successivamente la cosiddetta Loggia del Rettore, permettendo l’apertura di un grande spazio lungo entrambi i fianchi dell’edificio (fig. 3.134). 365 A questi lavori seguì il completamento della decorazione della parte bassa del fianco destro, fino a quel momento privo di rivestimento marmoreo, in un intervento in stile piuttosto inusuale più unico che raro in un’epoca così precoce. Per quanto riguarda la cattedrale lucchese, Graziano Concioni ha studiato quella che era la disposizione degli edifici dei canonici e delle loro pertinenze sulla fine del XIII secolo presso il lato destro dell’edificio; dalla sua ricostruzione è possibile vedere come queste case si organizzassero intorno a un chiostro, il cui ingombro è ancora ben percepibile nel cortile adiancente la cattedrale. 366 Sopravvive ancora, anche se solo in parte e in una risistemazione che risale alla metà del secolo scorso, il chiostro del XII secolo dell’attuale Duomo di Prato, fino al ‘600 pieve

364 G. PIANCASTELLI POLITI , 1986, pp. 56-63; R. P. NOVELLO , 1995, p. 210. Le gradule furono eseguite a partire dal 1297 per coprire il perimetro della cattedrale dopo la recente sopraelevazione della gradinata; vennero demolite nel 1857. 365 M. BUTZEK , 1996, pp. 22-43. 366 G. CONCIONI , 1994, p. 130. 102 di Santo Stefano, il cui fianco destro, proprio perché più nascosto, si presenta ben più povero da un punto di vista decorativo rispetto al lato opposto (fig. 3.135). 367 Non sono poi infrequenti i casi in cui sono proprio i fianchi a diventare le facciate principali delle chiese, come ad esempio in San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, il cui lato nord funge da vero prospetto dell’edificio e ne ospita il portale principale, con architrave firmato da Gruamonte e databile agli anni ’60 del XII secolo. 368

La terminazione, la copertura e il presbiterio rialzato dell’antica chiesa

Come già accennato nell’analisi dei fianchi della chiesa, nella sua prima fase edificatoria la cattedrale dovette essere dotata di un presbiterio rialzato che occupava la sesta e la settima campata, come indicano numerose tracce materiali all’esterno e all’interno dell’edificio. L’indizio principale si rileva dai due portali che sui fianchi permettono l’accesso alla sesta campata delle navate laterali del Duomo; come indica l’altezza delle basi degli stipiti, l’antica quota della soglia si trovava originariamente a 170 cm circa dall’attuale piano di calpestio esterno (figg. 2.70, 2.105). Il primitivo livello delle porte è particolarmente evidente sul fianco destro dell’edificio, dove è sottolineato anche dalla zoccolatura su cui si impostano le arcate cieche; nel lato nord- est invece solo la base dello stipite sinistro presenta la stessa elevazione, mentre la base destra è a soli 100 cm circa da terra. All’interno della cattedrale le tracce di un presbiterio rialzato si ravvisano nella quinta, sesta e settima coppia di sostegni del colonnato della navata, che appaiono integrati nella loro porzione inferiore da un inserto di materiale diverso e di altezza crescente via via che ci si sposta in direzione dell’abside dell’edificio (figg. 3.136-3.139). Nei quinti pilastri la cesura tra l’integrazione e la sezione originale si trova a 110 cm circa da terra, nei fusti della sesta coppia di colonne a 190 cm e nei pilastri polistili successivi a 199 cm circa. Nelle pareti laterali delle campate sesta e settima il paramento murario si presenta fino all’altezza di 166 cm circa assai più irregolare e meno rifinito di quello superiore: ciò è soprattutto visibile nella navatella destra (fig. 3.140), mentre l’intonaco ancora presente sulla parete della sesta campata sinistra impedisce la valutazione del paramento. Così come nella

367 Sul Duomo pratese e il suo chiostro vedi M. BURRINI , 1997, pp. 85-97; G. TIGLER , 2006, pp. 289-290; C. CERRATELLI , 2009, pp. 94-100; 368 G. TIGLER , 2006, pp. 286-288. 103 basilica fiorentina di San Miniato al Monte (fig. 3.141) e nella chiesa sarda di Santa Giusta ad Oristano (fig. 3.142), databile tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo e tutt’oggi dotata di presbiterio rialzato, 369 i sostegni corrispondenti al presbiterio rialzato non sono più alti rispetto alle colonne delle prime campate, cosa che invece avviene nel caso del Duomo di Prato. Dalle altezze delle integrazioni dei sostegni e dalla quota della muratura grezza della parete del fianco sinistro, coincidente con la soglia del portale laterale della sesta campata, si può desumere che lo spazio corrispondente alla settima campata delle navate si trovasse a circa 170 cm più in alto dell’attuale pavimento. La differenza di 25-35 cm tra la quota del paramento grezzo e l’aggiunta inferiore dei sostegni è da motivarsi col fatto che nell’allungamento verso il basso delle colonne e dei pilastri vennero eliminate le antiche basi, la cui altezza doveva più o meno coincidere con il dislivello citato. Il passaggio dall’altezza del presbiterio rialzato alla quota pavimentale delle prime cinque campate doveva avvenire circa a metà della sesta campata, superati i portali laterali, dai quali si accedeva alla parte sopraelevata della chiesa; procedendo verso la facciata dalle soglie degli accessi la quota si abbassava dai 170 cm circa agli 80 cm circa in corrispondenza della quinta coppia di pilastri, dove dai 110 cm dell’integrazione andranno sottratti più o meno 30 cm dell’antica base. La ricostruzione dell’aspetto di questa struttura è naturalmente complicata dalla mancanza di notizie archeologiche e documentarie sull’antica terminazione della chiesa e sulla sua eventuale cripta. Una piccola campagna di scavo ha interessato nel luglio del 2004 un’area di 10 x 3 metri compresa tra l’estremità sinistra dell’attuale area presbiteriale e l’altare, mettendo in luce una sepoltura, presumibilmente di una figura di rilievo, verso il centro della navata, le imponenti fondamenta di uno dei pilastri post 1287 e resti di una muratura di modeste entità, non riferibili alla precedente abside della chiesa. 370 Considerando lo spessore della settima coppia di sostegni (figg. 2.148-2.156), maggiore di quello dei pilastri che dividono la quinta e la sesta campata, si potrebbe ipotizzare che la primitiva abside dell’edificio si aprisse direttamente dietro la settima campata, e che la parte dei pilastri cruciformi rivolta verso il presbiterio, oggi decorata dai semicapitelli di fine Duecento, fosse in origine inclusa nel muro di fondo della chiesa: il semipilastrino della faccia interna dei sostegni, quella rivolta verso la navata centrale, poteva forse costituire la breve sezione di muro trasversale ai lati dei pilastri o

369 R. CORONEO , 2010, pp. 291-301. 370 Ringrazio il dottor Lorenzo Marasco, che al tempo diresse gli scavi, per queste utili informazioni. Alcune di queste notizie sono pubblicate in B. ARANGUREN , G. BIANCHI , E. DELLA ROSA , B. DE SANTIS , 2009, p. 439. 104 parte di una strombatura prima dello sfondamento verso sud-est provocato dall’abside. Si può pure osservare che la parte di muratura del pilastro, riconoscibile come ancora romanica grazie alla superficie grezza che la distingue dai rifiniti conci superiori, termina in alto, nel sostegno destro, al livello del lato inferiore dei capitelli del XII, mentre sul lato interno del sinistro raggiunge l’altezza della base dell’abaco: ciò sembra indicare che anche in origine i capitelli dei semipilastri non girassero attorno al sostegno allo stesso livello, come invece accade nella quinta coppia di pilastri della chiesa. A una terminazione dopo la settima campata fa pensare anche il semipilastro che all’esterno sorregge l’ultima arcata cieca del fianco destro, e che oggi è quasi totalmente inglobato nel muro nord-ovest della cappella Galliuti: le differenze che lo distinguono dai sostegni dei tre archi precedenti (il capitello semplicemente modanato, la base collocata non su un dado ma direttamente sullo zoccolo) sembrano indicare che questo fosse il pilastro d’angolo, posto sullo spigolo tra il fianco e la muratura di fondo dell’edificio (fig. 3.143). Se però torniamo ai settimi pilastri cruciformi all’interno della chiesa, si osserva che il semipilastro rivolto verso le pareti laterali appare sormontato per metà della sua larghezza da un piccolo capitello chiaramente rimaneggiato ma stilisticamente riferibile ancora alla fase romanica; esso è fronteggiato nella parete della navata minore da un semipilastro dotato di capitello decorato su tre lati (quello sulla parete nord-est tagliato e integrato nella sua metà destra) (figg. 2.201, 2.233). La decorazione di parte del lato esterno del pilastro cruciforme e dei capitelli dei semipilastri delle navatelle indicano che queste non potevano che terminare in un punto più arretrato rispetto al sostegno, e che i semipilastri sulle pareti non potevano essere inclusi nello spigolo tra il muro trasversale di chiusura e il fianco dell’edificio. Sarà necessario dunque immaginare o un’ottava campata prima della terminazione della cattedrale oppure la presenza di due absidi laterali, un’icnografia, quest’ultima, non così diffusa nel panorama dell’architettura romanica pisano-lucchese del XII secolo. Per quanto riguarda la cripta, sebbene non ne sussistano tracce materiali, la sua esistenza è da considerarsi probabile, sia come ‘giustificazione’ dell’esistenza di un presbiterio rialzato, sia come luogo idoneo alla custodia delle reliquie di San Cerbone, che da Populonia avevano accompagnato i vescovi prima a Suvereto poi a Massa. L’aspetto del paramento nella parte bassa della sesta e della settima campata ricorda in verità quello di una muratura di fondazione, destinata a rimanere invisibile, ma ciò potrebbe significare semplicemente che, in origine, essa si presentasse più spessa, e che sia stata pareggiata in seguito all’abbassamento della quota del presbiterio.

105 L’operazione di demolizione della struttura sopraelevata fu probabilmente contestuale ai lavori di allungamento della cattedrale, generalmente collegati alla data 1287 sull’epigrafe all’interno, ma di recente anticipati alla prima metà del XIII secolo: 371 nella nuova conformazione dell’area terminale della cattedrale, l’arretramento dell’abside e l’allungamento della zona riservata ai fedeli non poteva che portare all’eliminazione del preesistente presbiterio rialzato e dell’eventuale cripta. Affinché fosse poi possibile continuare ad accedere alla cattedrale dal fondo della chiesa fu naturalmente necessario adeguare alla nuova quota pavimentale anche l’altezza della soglia dei due portali laterali. Oltre al presbiterio rialzato, fin dall’inizio fu prevista la presenza di volte nelle ultime due campate delle navatelle, come indicano i tre semipilastri lungo la parete dei fianchi riferibili stilisticamente alla primissima fase costruttiva. Queste non potranno essere identificate con le volte a crociera della sesta e settima campata visibili ancora oggi, dato che al di sopra della copertura, nei sottotetti, sopravvivono tracce di affreschi. 372 E’ plausibile che il cambio di copertura tra la quinta e la sesta campata fosse funzionale a segnare visivamente il passaggio tra la zona dei laici e il presbiterio. Più difficile è comprendere se fosse prevista fin dall’origine una cupola come copertura delle ultime due campate della navata centrale. All’interno dell’edificio, su entrambi i lati della parete del cleristorio, sono visibili tre lesene che partono dall’abaco del quinto, sesto e settimo sostegno (fig. 2.164): la prima e la terza sono dotate di semicapitelli e sorreggono gli archi trasversi dell’attuale cupola, mentre la centrale, priva di capitello, si interrompe al secondo filare di conci sopra le arcate della navata, rimanendo inutilizzata. Mentre la lesena sopra il settimo pilastro appartiene per stile e materiale all’ampliamento post 1287, il capitello della prima lesena è riconducibile alla fase romanica dell’edificio (fig. 3.07); la centrale, probabilmente incompiuta, appare imparentata da un punto di vista materiale con la prima lesena, ma risulta rispetto ad essa più alta pur non essendo dotata di capitello. Se supponiamo che la lesena centrale avesse originariamente un ruolo di supporto, dobbiamo immaginare che nelle campate sesta e settima fossero un tempo in opera una volta a botte o due volte a crociera: entrambe le possibilità presupporrebbero che al posto della terza lesena di fine Duecento ve ne fosse una già in epoca romanica, e che la centrale fosse fin dall’origine priva di capitello, per non superare in altezza la lesena precedente. La seconda possibilità è che

371 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. Vedi il capitolo 4. 372 Vedi il capitolo 5. 106 la lesena centrale sia stata abbandonata per un cambio di progetto poco dopo la sua edificazione, in vista della costruzione della cupola. Quest’ultima si imposta sopra la sesta e settima campata della navata centrale, immediatamente a nord-ovest dell’ampliamento di fine Duecento, ed è dunque fisicamente collocata nella porzione romanica dell’edificio (fig. 2.165). Nulla si conosce della sua prima costruzione da un punto di vista documentario; più note sono le sue tormentate vicende conservative, in parte ricostruite da Luigi Petrocchi con l’ausilio di documenti conservati nell’Archivio Comunale cittadino. 373 Lo studioso riporta che nel 1463 il Comune affidò a quattro cittadini il compito di riparare i guasti che la struttura già presentava; 374 seguirono la sostituzione dei piombi nel 1551 375 e altri restauri resisi necessari già nel 1570 376 ma eseguiti solo nel 1625, quando venne cambiata l’armatura lignea e la copertura plumbea; 377 nel 1685, al crollo di parte della cupola, 378 seguì una ricostruzione sotto la guida dell’ingegnere Girolamo Pollini. 379 La struttura subì numerosi rifacimenti anche nel corso del secolo scorso, come è ben emerso dalla consultazione degli archivi delle due soprintendenze senesi: lavori di restauro della cupola sono citati nel carteggio tra l’Opera del Duomo e la Soprintendenza nel 1902, 380 poi dal 1906 al 1908 per le conseguenze di forti cicloni, 381 e dal 1918 al 1919 per i danni causati da un fulmine. 382 Nel 1928 la struttura si presentava nuovamente in condizioni preoccupanti, 383 e un nuovo restauro fu avviato due anni dopo sotto la direzione dell’architetto Egisto Bellini; 384 a un progetto di quest’ultimo si deve il passaggio dalla copertura a calotta, visibile nelle fotografie di fine Ottocento e inizio Novecento (figg. 3.106, 3.107), al rivestimento piramidale. 385 L’unica cosa che sappiamo con certezza, dunque, è che dell’attuale rivestimento esterno della cupola la parte superiore alla seconda cornice aggettante è totalmente frutto del restauro del

373 L. PETROCCHI , 1900, pp. 34-36 nota 1, da cui sono tratti i seguenti riferimenti documentari. 374 ACM, Riformagioni 12 marzo 1463 , Libro 658, p. 364. 375 ACM, Riformagioni 12 aprile 1551 , Libro 539, p. 75. 376 ACM, Riformagioni 3 dicembre 1570 , Libro 541 p. 3. Il restauro, affidato al frate domenicano Michele di Bartolommeo, risulta non ancora compiuto in una lettera del Governatore di Siena nel 1574 (ACM, Carteggio dal 1567 al 1574 , Libro 491, p. 194) e in una supplica al Granduca Ferdinando dei Medici del 1592 (ACM, Ordini e rescritto dal 1390 al 1592 , Libro 429, pp. 25-26). 377 ACM, Opera di San Cerbone dal MDXXI al MDCLXII , Libro 357, p. 371. 378 ACM, Case Pie del secolo XVII e XVIII , Libro 345, pp. 445-446. 379 ACM, Case Pie del secolo XVII e XVIII , Libro 345, p. 451. 380 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte fine 1800 - inizi 1900 , carta s.n. 381 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte fine 1800 - inizi 1900 , carte s.n. 382 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , carte s.n. 383 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 29 settembre 1928. 384 SBAPSI, Archivio storico, Duomo di Massa Marittima , 06 agosto 1930. 385 F. ROTUNDO , R. PAGLIARO , Egisto Bellini (1877-1955), disegni di architettura e di ornato , Pisa 2008, p. 279. 107 secolo scorso (figg. 2.113, 2.114). Più difficile risulta la valutazione del resto del tiburio, che dovette essere più volte rimaneggiato; la fascia scandita dalla teoria di nicchiette, nel lato parallelo alla facciata, mostrava ad esempio a fine Ottocento una finestra rettangolare centrale in luogo di tre delle nicchie, che venne eliminata prima ancora dei restauri belliniani (fig. 3.144). 386 Il giudizio sulla struttura dovrà dunque concentrarsi soprattutto sul tamburo, in particolare sulla sua parte interna, da considerare plausibilmente l’unica sezione della cupola pervenuta nella sua forma originale. In assenza di documentazione, le datazioni proposte negli anni si sono basate soprattutto sul confronto stilistico, dando origine a pareri discordi sulla sua anteriorità o posteriorità rispetto all’ampliamento principiato nel 1287. Arturo Arus la giudicava opera della seconda metà del XVI secolo, 387 mentre Alfonso Ademollo proponeva per essa una cronologia quattrocentesca. 388 Luigi Petrocchi, il primo a trattare la cupola, la considerava costruita all’inizio del XIV secolo e dunque di poco successiva all’aggiunta giovannea. 389 Una simile datazione fu riproposta anche nel 1970 da Klotz, il quale attribuiva il tamburo a Giovanni Pisano e lo riteneva, anche per la presenza dei gotici rosoncini marmorei all’interno degli oculi, opera di primo Trecento; il modello della struttura sarebbe da ricercare nella cupola del Duomo pisano, e un esemplare di confronto nella chiesa di San Donato a Siena. 390 Più recentemente Dethard von Winterfeld ha confermato la datazione medievale del tamburo, indicando però come modello il Duomo senese; lo studioso afferma inoltre la posteriorità della cupola rispetto all’ampliamento del presbiterio, poiché il lato sud-est del tamburo è sorretto da un arco trasverso impostato su lesene appartenenti all’aggiunta giovannea. 391 Per Enrico Lombardi, al contrario, la cupola è precedente al prolungamento, al quale si deve la sua attuale posizione arretrata rispetto al ‘transetto’ costituito dalle due cappelle laterali; 392 anche Giuseppe Marchini ipotizza una datazione al terzo quarto del XIII secolo. 393 Bruno Santi considera la struttura “coeva alla costruzione dell’intero organismo”, ma senza specificare se alla fase romanica o alla gotica; per il tiburio propone invece una

386 La finestra è visibile in una fotografia conservata alla fototeca Berenson di Villa I Tatti e pubblicata da Arturo Arus nella pagina precedente il frontespizio (A. ARUS , 1884), ma è già mancante in fotografie Alinari databili al 1900 circa, dove il lato parallelo al prospetto appare già regolarizzato. 387 A. ARUS , 1884, p. 11. 388 A. ADEMOLLO , 1894, p. 157. 389 L. PETROCCHI , 1900, p. 34. 390 H. KLOTZ , 1970, p. 81. 391 D. VON WINTERFELD , 2007, p. 30. 392 E. LOMBARDI , 1966, p. 12. 393 G. MARCHINI , 1957, p. 39. 108 cronologia quattrocentesca. 394 Il gruppo di lavoro responsabile dei restauri in corso, infine, afferma che l’attuale tamburo avrebbe sostituito, nella prima metà del Duecento, un preesistente corpo a pianta rettangolare, ma senza specificare quali tracce materiali abbiano portato a una tale conclusione. 395 Dall’analisi diretta dell’esterno risulta evidente che la porzione di muratura sottostante il tamburo nella parete della navata centrale è precedente alla sezione bicroma che la collega al secondo ordine della facciata: ciò è particolarmente evidente nel fianco nord- est, dove la parte iniziale delle fasce di travertino e serpentinite che sovrastano l’archeggiatura poggia sulle prime file di conci della sezione priva di bicromia (fig. 2.80). Questa è sormontata da una cornice a denti di sega in laterizio, sorretta da una serie di mensoline dello stesso materiale, che pare contestuale: nel fianco sinistro infatti, nel punto di passaggio tra la sezione di muratura sotto la cupola ed il paramento in travertino grigio dell’ampliamento, una fila di mattoncini della cornice sopravvive sotto le tre file più alte di conci dell’aggiunta, che vi si sovrappone essendo di altezza maggiore (fig. 2.81). Questa sovrapposizione, visibile su entrambi i lati dell’edificio, segna la posteriorità del prolungamento rispetto alla muratura sottostante il tamburo. Se passiamo all’interno della chiesa, si nota che la stessa aggiunta di fine Duecento, essendo, come già detto, più alta rispetto al corpo nord-ovest della cattedrale, tampona l’oculo del lato sud-est del tamburo, che finisce con l’affacciarsi nel sottotetto sopra la volta a crociera dell’ottava campata (fig. 3.145). Anche l’apertura del lato rivolto verso la facciata risulta oggi occlusa dalle moderne volte della navata centrale; e dalla navata è possibile discernere la presenza di un rosoncino marmoreo (fig. 3.146). La maggiore altezza della copertura del prolungamento rispetto alla base del tamburo della cupola e la posizione arretrata di quest’ultima rispetto al finto transetto costituito dalle due cappelle laterali, da considerare coeve, per motivi stilistici, all’ampliamento principiato nel 1287, sono elementi di disarmonia che a mio parere testimoniano la non contemporaneità della cupola e dell’area presbiteriale, e la seriorità di quest’ultima rispetto al tamburo. Una datazione di quest’ultimo anteriore alla metà del XIII secolo è d’altronde confermata anche dalla presenza di un lacerto d’affresco databile, come vedremo più avanti, alla prima metà del Duecento. 396

394 B. SANTI , in Guida storico-artistica , 1995, p. 31. 395 N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , in Sacre Materie... , 2010, pp. 32-33; A.C HIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78; N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , 2013, pp. 172-173. 396 Vedi il capitolo 4. 109 La tipologia del tiburio ottagonale includente una cupola su trombe, di lontana origine lombarda, è diffusa in area senese-grossetana in architetture monastiche databili alla seconda metà del XII secolo, quali l’abbazia di Santa Maria dell’Alberese (GR), detta di San Rabano (fig. 3.147), 397 San Bruzio presso Magliano in Toscana (GR) (fig. 3.148), 398 Santa Maria Assunta a Coneo (Colle Val d’Elsa, SI),399 San Lorenzo a Coltibuono (Gaiole in Chianti, SI), 400 San Salvatore della Berardenga (Castelnuovo Berardenga, SI, con cupola ellittica) 401 e San Donato a Siena; 402 si ritrova anche in chiese non abbaziali quali il Duomo dei Santi Pietro e Paolo di Sovana, 403 la senese San Cristoforo e la collegiata di Sant’Agata ad Asciano, 404 queste ultime due caratterizzate da una cupola emisferica e non ottagonale. Tutte le chiese appena citate sono accomunate dalla medesima pianta a croce commissa e a una sola navata, icnografia preferita nell’architettura monastica e vallombrosana in particolare; fa eccezione il Duomo di Sovana, più simile alla cattedrale massetana nello schema a tre navate, ma differente nell’ingombro della cupola, impostata non su due campate, come a Massa, ma su una soltanto. Il tiburio si imposta generalmente sulla crociera, e l’abside (o absidi, nei casi in cui ve ne siano tre) si apre immediatamente dopo la cupola, tranne nel caso ascianese, dove al di là del tiburio si sviluppa un’ulteriore campata. Per quanto riguarda l’utilizzo del laterizio, circoscritto nella cattedrale massetana al solo tiburio, esso risulta molto frequente nell’edilizia di area senese e volterrana, dove è spesso abbinato alla pietra per creare una bicromia bianco-rossa: quest’ultima caratterizza le pievi di San Giusto a Balli (Sovicille, SI), di San Simone a Radicondoli (SI) e dei Santi Ippolito e Cassiano a Conèo (Colle Val d’Elsa, SI), ma soprattutto la non distante Rotonda di Montesiepi a San Galgano (Chiusdino, SI), costruita in pietra calcarea e laterizio nell’ultimo quarto del XII secolo (fig. 3.149). 405 A Massa si ottenne

397 Sull’abbazia di San Rabano, oggi parzialmente distrutta, vedi E. FEDI , 1942; A. M. GIORDANO , 1965a; A. M. GIORDANO , 1965b; A. M. GIORDANO , 1966; San Rabano e... , 2009. 398 C. GNONI MAVARELLI , in Le Colline del... , 1999, p. 95. 399 Consacrata nel 1124 da papa Callisto II, la chiesa venne probabilmente ricostruita nella seconda metà dello stesso secolo (G. TIGLER , 2006, pp. 318-320). 400 [ aggiungere bibliografia ] 401 La chiesa è stata datata ai primi del Duecento da Moretti e Stopani (I. MORETTI , R. S TOPANI , 1970) e all’ultimo quarto del secolo precedente da Tigler, che considera il paliotto del Maestro di Tressa del 1215, oggi alla Pinacoteca di Siena ma originariamente nella Badia Berardenga, come plausibile terminus ante quem della fine dei lavori architettonici (G. TIGLER , 2006, pp. 320-321). 402 L’abbazia vallombrosana di San Donato fu consacrata nel 1147, ma risulta ancora in costruzione nel 1176 (I. MORETTI , R. S TOPANI , 1981, p. 74 nota 42). 403 La muratura esterna del tiburio è da giudicare seicentesca secondo Guido Tigler, che data la chiesa al terzo quarto del XII secolo (G. T IGLER , 2006, pp. 333-339). 404 Entrambe le chiese di Siena e di Asciano sono collocate nel XIII secolo da Moretti e Stopani (I. MORETTI , R. S TOPANI , 1981, p. 68). 405 Sulla Rotonda di Montesiepi si vedano I. RAININI , 2001, pp. 23-34; G. TIGLER , 2006, pp. 322-325. 110 un simile, ma ben più ridotto, effetto di bicromia tramite l’inserimento dei rosoncini litici negli oculi e di una fascia bianca che cinge il tamburo a metà della sua altezza, oltre che di una cornice marcapiano in travertino che separa il tamburo dalla parte superiore del tiburio. Dai confronti addotti si può quindi ipotizzare per l’edificazione della cupola un arco cronologico che va dalla fine del XII secolo, dopo la conclusione dei lavori della prima maestranza – sulle cui colonne essa poggia –, alla datazione degli affreschi che sopravvivono nel tamburo, precedenti alla metà del Duecento.

L’arredo interno

Nella prima sala del Museo d’Arte Sacra si conservano dieci lastre in anidrite provenienti dalla cattedrale. Decorate ad altorilievo, esse hanno un’altezza di 68 cm e diversa larghezza; quattro presentano una cornice liscia, le restanti una cornice fogliata. Sulla prima lastra (cm 68 x 26 x 10,5) (fig. 3.150) che si incontra partendo dall’angolo sinistro della stanza è scolpita la figura di un santo, riconoscibile come tale per l’aureola, che sguaina una spada. Essa può essere identificata, proprio per l’attributo iconografico, con San Paolo 406 o San Martino; 407 la seconda ipotesi è apparentemente avvalorata dall’assenza dei tratti fisioniomici tipici di San Paolo, che potrebbero essere tuttavia da imputare a una certa semplificazione che contraddistingue i rilievi. Come dimostra l’assenza della cornice fogliata sul lato destro, la lastra costituiva la parte sinistra di un rilievo più largo, ed era disposta ad angolo con una seconda formella, la cui cornice liscia è scolpita sul lato esterno del bordo sinistro della nostra (fig. 3.151). Rispetto agli altri rilievi, la superficie del frammento del santo con spada si mostra scabra, cromaticamente più chiara e priva della patina lucida e scura che ricopre le restanti lastre del gruppo; la diversità è dovuta alla differente storia conservativa del frammento, separato dai compagni alla fine del XVI secolo. La formella seguente (cm 68 x 49,5 x 10,5) (fig. 3.152), dotata di cornice liscia, presenta due figure prive di nimbo: la prima tiene un libro sul petto, mentre la seconda, più grande e identificabile con un vescovo, indossa una mitria, sorregge con la mano sinistra il pastorale e alza la destra in segno di benedizione. L’interruzione della cornice dimostra, in maniera analoga alla precedente, che anche questa lastra costituiva la parte

406 A. MILONE , G. TIGLER , 1999, p. 174. 407 L. GRONCHI , 1968a, pp. 61-62. 111 sinistra di una formella originariamente più larga. Lo stato frammentario del rilievo e la mancanza di attributi specifici rende incerta l’identificazione delle figure, in cui si sono voluti talvolta riconoscere San Regolo e San Cerbone 408 o San Cerbone e un diacono;409 seppure non dimostrabile, è plausibile che il vescovo rappresenti il santo protettore, non altrimenti raffigurato nel gruppo delle lastre. Seguono tre rilievi (cm 68 x 69 x 10,5; 68 x 69,5 x 10,5; 68 x 69,8 x 10,5) (figg. 3.153- 3.155) rappresentanti ognuno quattro figure frontali di santi, identificabili con gli Apostoli e la Madonna , quest’ultima distinguibile per i capelli lunghi che ricadono sulle spalle. Ciascuna figura reca in mano un libro, tranne l’ultima della terza lastra, dotata di due chiavi, una stretta al petto e l’altra ciondolante dal braccio destro, che permettono di identificarla con San Pietro. Lo sfondo delle tre formelle è decorato con un fogliame simile a quello che orna la cornice dei lati superiore e inferiore; i bordi laterali esterni della prima e della terza lastra appaiono, di converso, resecati e privi di incorniciatura. La sesta formella (cm 68 x 69,5 x 10,5) (fig. 3.156) mostra al centro Cristo in trono entro una mandorla sorretta da quattro angeli disposti agli angoli della lastra. 410 A differenza dei casi precedenti, la cornice si presenta completa; il lato esterno del bordo sinistro è decorato da un motivo fogliato e costituiva in origine il lato destro della cornice di un’altra formella (fig. 3.157). Segue la settima lastra (cm 68 x 70 x 10,5) (fig. 3.158), dotata anch’essa di cornice fogliata e divisa orizzontalmente in due parti: la superiore mostra l’ Ascensione di Cristo , mentre l’inferiore è occupata dalla Madonna incoronata al centro e da due angeli su ciascun lato. Analogamente alla settima, anche le tre lastre successive presentano una divisione in senso orizzontale, ma a differenza della precedente la sezione inferiore è ulteriormente divisa verticalmente in due formelle, decorate da rosoni, rosette o motivi fogliacei. Quasi del tutto mancante è il riquadro inferiore sinistro dell’ottava lastra (cm 68 x 69 x 10,5) (fig. 3.159), che appare reintegrato. Nella parte superiore dello stesso rilievo sono raffigurati tre personaggi, il centrale con due bisacce sulle spalle, e i laterali che traggono o inseriscono nelle stesse degli oggetti tondi identificabili, forse, con dei pani. La scena, di difficile comprensione, è stata interpretata sia come la Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci ,411 sia come l’ Elemosina .412 Suddivisa nella fascia alta della nona (cm

408 L. PETROCCHI , 1900, p. 62. 409 E. LOMBARDI , 1966, p. 10. 410 A. MILONE , G. TIGLER , 1999, p. 174. 411 A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, p. 173. 412 H. DECKER , 1958, p. 306; E. LOMBARDI , 1966, p. 10; L. GRONCHI , 1968a, p. 59. 112 68 x 69 x 10,5) e della decima formella (cm 68 x 69,5 x 10,5) (fig. 3.160), originariamente adiacenti, è la raffigurazione della Strage degli Innocenti , dove si riconoscono Erode, seduto in trono all’estrema sinistra, due soldati armati di spada, quattro figure femminili e numerosi bambini. Le cornici delle tre lastre sono lisce; solo il riquadro inferiore sinistro della decima formella mostra un inizio di decorazione fogliata, rimasta evidentemente interrotta. Menzionate nella letteratura critica fin dalla fine dell’Ottocento, le lastre sono state oggetto di datazioni e giudizi contrastanti, motivati dal loro aspetto innegabilmente arcaico. Una cronologia all’inizio dell’XI secolo viene proposta da Arturo Arus (1884), che ne riporta le vicende conservative e suggerisce un confronto coi rilievi milanesi di Porta Romana, e da Agostino Ademollo (1894). 413 Il Petrocchi (1900), che data i rilievi all’XI o XII secolo, ne ipotizza per primo una provenienza dalla prima cattedrale di Massa Vecchia, dove avrebbero costituito “decorazione di amboni, di altari o di architravi di porte”. 414 La presunta originaria collocazione viene riproposta dal Badii (1926), che suggerisce una cronologia tra il X e l’XI secolo, e dal Biehl (1926), che li associa ai rilievi del portale in facciata e li suppone parte di un pulpito o di un architrave. 415 Pietro Toesca (1927) giudica i pezzi “grottescamente grossolani”, ma non precedenti al XII secolo. 416 Mario Salmi, che considera la cattedrale costruita dopo il 1228, attribuisce ai rilievi una simile datazione, e sottolinea la somiglianza tra i fogliami e rosoni delle formelle e le lastre del pulpito di Guido Bigarelli di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia. 417 La stessa cronologia verrà in seguito riproposta da de Francovich (1935-1936), che confronta i pezzi massetani con il sarcofago dei santi Lucilio, Lupicino e Crescenziano, conservato nella cripta di San Zeno a Verona, al pari di Haseloff (1930), che per la medesima ragione li considera eseguiti nel secondo quarto del Duecento; 418 seguono gli interventi di Breschi (1940), che colloca le sculture tra IX e X secolo, di Decker (1958) e di Lombardi (1966, 1985) 419 , per i quali esse sono invece databili al secolo XI. Il primo approfondito contributo sulle lastre risale al 1968, anno di pubblicazione dell’articolo di Laura Gronchi, che riassume la fortuna critica dei pezzi, propone nuovi confronti e giunge alla conclusione che si tratti di opere altomedievali,

413 A. ARUS , 1884, p. 41; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 178-179. 414 L. PETROCCHI , 1900, p. 62. 415 G. BADII , 1926, p. 23; W. BIEHL , 1926, p. 63. 416 P. TOESCA , 1927, p. 851 nota 51. 417 M. SALMI , 1928, p. 119 nota 37. 418 G. DE FRANCOVICH , 1935-1936, pp. 268, 302 nota 5; H. HASELOFF , 1930, p. 83. 419 C. BRESCHI , 1940, p. 151; H. DECKER , 1958, p. 306; E. LOMBARDI , 1966, pp. 5, 10, 24; E. LOMBARDI , 1985, p. 266. 113 databili a partire dall’VIII secolo, provenienti dunque da un edificio precedente, forse la prima cattedrale di Populonia; la stessa studiosa pubblica per la prima volta il frammento del Santo con spada e tre pezzi di cornice, da lei collegati alla serie dei rilievi. 420 In seguito all’articolo della Gronchi, anche Enzo Carli, che aveva inizialmente collocato le lastre nel XII secolo (1946), accoglie la datazione altomedievale (1976). 421 La nuova cronologia viene contraddetta nel 1979 dalla Cochetti Pratesi, che include le lastre, erroneamente localizzate a “Massa Carrara”, in un filone di opere “arcaicizzanti in piena e matura età romanica”, 422 e nel 1988 da Paolo Montorsi, che data la serie massetana tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo e la inserisce in un ideale corpus di sculture arcaizzanti che comprende anche i rilievi di Fiumalbo e Fanano, in provincia di Modena, e di Porta Romana al Museo di Castello Sforzesco di Milano; lo stesso studioso collega le lastre massetane all’architrave di facciata, per le analogie tra la decorazione a fogliami delle cornici delle formelle e la cimasa del portale. 423 La datazione pienamente romanica è in seguito accolta da Antonio Milone (1996), che colloca i rilievi alla metà del XIII secolo, da Riccardo Belcari (2003) e da Guido Tigler (2006, 2009). 424 Quest’ultimo, fautore di una cronologia alla prima metà del Duecento, attribuisce le formelle a una maestranza lombarda, che riprende i rosoni dalla scultura romanica pisana e che trova paralleli in altri episodi di ritardo culturale in Friuli, quali i rilievi dell’altare di San Tommaso di Canterbury ad Aquileia, il fonte di Gemona e la serie di cinque lastre friulane conservate tra la chiesa di Barbana, il Museo Diocesano di Udine e il Museo Paleocristiano di Aquileia. 425 Alle lastre massetane è stata anche dedicata una recente tesi di laurea triennale all’Università di Firenze. 426 E’ dunque ormai superata dalla critica la datazione all’VIII secolo sostenuta da Laura Gronchi, e, con essa, la provenienza dalla chiesa di San Benedetto di Massa Vecchia, che pure è talvolta riemersa in testi recenti. 427 Per alcune delle stesse opere suggerite come confronto dalla studiosa, che spingeva lo sguardo fino all’area balcanico- danubiana, parte della critica ha in seguito proposto una post-datazione a epoca pienamente romanica: il sarcofago della cripta di San Zeno a Verona, ad esempio, e le

420 L. GRONCHI , 1968a-b. 421 E. CARLI , 1946, p. 16; E. CARLI , 1976, pp. 33-35. 422 L. COCHETTI PRATESI , 1979, pp. 113-114. 423 P. MONTORSI , 1988, pp. 87-89, 97 nota 52. 424 A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, p. 173; R. BELCARI in Monasteri e castelli ..., 2003, p. 139 nota 78; R. BELCARI , 2005, pp. 225-226; G. TIGLER , 2006, p. 96; G. TIGLER , 2009, p. 833. 425 G. TIGLER , 2006, p. 96. 426 V. DI GIORGIO , Considerazioni su un gruppo di rilievi romanici nel museo diocesano di Massa Marittima , Università degli Studi di Firenze, a.a. 2009-2010, rel. prof. G. Tigler. 427 G. G ARZELLA , 2005, p. 146. 114 tre figure provenienti dal Monastero di Cairate e conservate nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, assieme a due figure di donatori del Duomo di Lodi, due rilievi della cattedrale piacentina, il portale di Ferentillo, il fonte battesimale di Vicofertile e lo stesso ‘pulpito’ massetano, sono state spostate al XII e XIII secolo dalla Cochetti Pratesi nel citato articolo del 1979. 428 Laura Gronchi individuava nei rilievi la mano di due diversi scultori: il primo, presumibilmente il maestro, autore della Maiestas Domini , della Strage degli Innocenti , del Santo con spada e della seconda e terza formella della serie degli Apostoli ; il secondo, l’allievo, esecutore delle lastre rimanenti, fatta eccezione per il Vescovo e diacono , databile secondo la studiosa al XII secolo. 429 Alcune differenze tra i pezzi sono effettivamente percepibili, soprattutto tra i primi quattro apostoli e i restanti otto, questi ultimi contraddistinti da una volontà di variatio visibile nelle capigliature, nella posizione delle mani e anche nella definizione dei volti. Si tratta comunque di differenze ridotte, che rientrano nella prassi medievale del lavoro di bottega, non sufficienti a giustificare, nel caso della lastra raffigurante il Vescovo e diacono , una separazione di quest’ultima dalla serie e una sua diversa datazione. Alcune delle opere suggerite dalla critica come confronto possono prestarsi come termine di paragone per le lastre del museo: si pensi al panneggio a pieghe verticali e fitte di una delle tre figure femminili dell’Ambrosiana (fig. 3.161), già segnalato dalla Gronchi, 430 o a quello delle figurine dell’architrave di San Celso a Milano (fig. 3.73). L’attenzione ai volumi mostrata dalle figure massetane, che si rivela essere l’elemento più caratteristico della serie e che sfocia nella resa a quasi tutto tondo di alcuni particolari quali le braccia degli angeli che reggono la mandorla della Maiestas Domini , i bambini uccisi nella prima lastra della Strage degli innocenti e le roselline ben tornite del riquadro inferiore destro della stessa formella, non si riscontra invece in molte delle sculture nord italiane nominate dalla letteratura specifica; fanno eccezione i rilievi del sarcofago di San Zeno a Verona (fig. 3.162), già avvicinati alle sculture massetane da de Francovich, e del fonte di Vicofertile (fig. 3.163), opere entrambe del XII secolo. Spostando invece lo sguardo sul panorama romanico toscano, è anche qui possibile rintracciare opere caratterizzate da un certo ritardo culturale allo stesso modo che in Emilia, in Lombardia o in Friuli. Sculture caratterizzate da un’accentuata semplificazione e primitività, accompagnate talvolta da un forte accento volumetrico,

428 L. COCHETTI PRATESI , 1979, pp. 111-114. Sul problema della datazione altomedievale di sculture con figure antropomorfe si veda E. NAPIONE , 2010, pp. 43-52. 429 L. GRONCHI , 1968b, pp. 33-34. 430 L. GRONCHI , 1968, p. 41. 115 sono ad esempio i capitelli delle pievi di San Pietro a Romena, Santa Maria a Stia e San Martino in Vado nel Casentino, e di Santa Maria Assunta a Pian di Scò nel Valdarno Superiore, databili intorno alla metà del XII secolo grazie alla data 1152 iscritta sul primo capitello sinistro della pieve di Romena, e anch’essi un tempo collegati a maestranze lombarde. 431 Un altro complesso di sculture che mostra qualche tangenza con le lastre massetane è il gruppo di pezzi erratici appartenenti all’antico arredo della pieve di Santa Maria Assunta di Villa Basilica (LU) (fig. 164), oggi accatastati nella prima campata della navata destra insieme a materiale lapideo di epoche diverse. Fatta eccezione per alcune sculture in calcare attribuibili a un artefice di cultura guidettesca, ovvero due leoni stilofori e alcuni frammenti di cornice, questi ultimi oggi a Lucca, 432 il gruppo si compone di quattro lastre rettangolari, tre decorate con figure umane e una con motivi floreali e protomi, e numerosi pilastrini e pezzi di cornice, tutti in arenaria. 433 Poiché alla stessa maestranza si deve la decorazione della facciata dell’edificio, databile all’inizio del XIII secolo (figg. 3.11, 3.118), 434 la stessa cronologia può essere estesa anche alle sculture erratiche, il cui arcaismo, reso ancor più evidente dal confronto con le coeve opere guidettesche, non andrà di conseguenza imputato a un’alta datazione bensì a una limitata capacità della bottega coinvolta. Un altro caso esemplare di ritardo culturale è l’architrave della chiesa di Santa Maria a Talciona (Poggibonsi, SI) (fig. 165), raffigurante l’ Adorazione dei Magi , ove il contrasto tra la greve primitività delle figure dei Re Magi e della Sacra Famiglia, seppure di forte presenza plastica, pare mal conciliarsi con la data 1234 incisa sullo sfondo della scena, di fianco alla stella cometa. 435 Infine, il confronto toscano più stringente per le lastre massetane, già

431 Sulle pievi si veda M. SALMI , 1912, pp. 161-173; W. ANGELELLI , F. GANDOLFO , F. POMARICI , 2003; G. TIGLER , 2006, pp. 303-305. 432 I pezzi di cornice, ritirati per l’esposizione alla mostra di Sarzana del 1992, non furono restituiti alla pieve e si trovano oggi nei depositi del Museo Nazionale di Villa Guinigi (C. BARACCHINI , M. T. FILIERI in Niveo de marmore , 1992, pp. 194-195). 433 Sui pezzi di Villa Basilica si veda G. DEL DEBBIO , 1966, pp. 31-38; C. B ARACCHINI , M. T. FILIERI in Niveo de marmore , 1992, pp. 194-195; A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, pp. 188-190. 434 M. T. FILIERI, in La piana lucchese... , 1999, pp. 104-106. 435 Mancano oggi, per una lacuna, le ultime due lettere della data, ancora visibili nella foto pubblicata dal Salmi, che definì l’architrave “più documento storico che espressione d’arte” (M. SALMI , 1928, p. 28), ma non più in quella pubblicata da Moretti e Stopani (I. MORETTI , R. STOPANI , 1968, pp. 161-165). Tra i vari casi toscani di opere apparentemente altomedievali, ma riconosciute come già romaniche da parte della critica, non si potranno non citare i capitelli della pieve di San Gennaro di Capannori, elementi strutturali di una pieve da datarsi tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del successivo (M. T. FILIERI , 1990, pp. 51-53), il cui aspetto arcaizzante va ricollegato a una precisa volontà dei committenti di riallacciarsi alle proprie origini longobarde (G. TIGLER , 2002, pp. 45-89); ma anche i rilievi nel prospetto della pieve di Vicopisano e della vicina chiesetta di San Jacopo a Lupeta, la cui datazione altomedievale (M. L. CRISTIANI TESTI , 1974b, pp. 3-22; M. L. CRISTIANI TESTI , 1974a, pp. 3-21) è stata contraddetta da Guido Tigler (G. TIGLER , 2006, pp. 234-236). 116 proposto da Guido Tigler, 436 è forse quello con due capitellini erratici in alabastro conservati al Museo dell’Alabastro di Volterra, tradizionalmente considerati provenienti dal distrutto monastero di San Giusto e datati alla prima metà del XII secolo (figg. 3.166-3.167)). 437 Scolpiti sui quattro lati con aquile, figure umane e animali, essi mostrano punti di tangenza con le lastre nella definizione a striature dei capelli a caschetto e nella frontalità dei volti, caratterizzati da nasi triangolari e fissità dello sguardo. Andrà tuttavia ribadita, al termine di questo breve elenco di confronti, la necessità di non sottovalutare che le somiglianze riscontrabili tra sculture di questo tipo, siano esse toscane o lombarde in senso lato, sono in parte imputabili proprio all’arcaismo che le accomuna. A ciò si aggiunga che i rilievi massetani presentano, nella loro rusticità, un’attenzione decorativa - nelle vesti, nelle ali degli angeli, negli attributi degli apostoli – che non si riscontra né nelle citate opere toscane, né in gran parte di quelle dell’Italia settentrionale, e che se non andrà considerata necessariamente indice di maggiore maestria dell’artefice rispetto ai lapicidi finora presi in considerazione, andrà comunque motivata con un riferimento a modelli più illustri della scultura del tempo. Proprio l’individuazione degli eventuali modelli e il rapporto con la decorazione e le vicende della cattedrale massetana, più del confronto con opere similmente arcaizzanti, potranno aiutare a stabilire una datazione per la serie di lastre. Interessante si dimostra in tale senso la scelta di dividere in senso orizzontale quattro dei rilievi, nonché di decorare con rosoni ed elementi vegetali i riquadri bassi di tre delle formelle così suddivise. La distribuzione della figurazione su due registri si riscontra nel pergamo di Guglielmo per la cattedrale pisana, trasferito all’inizio del XIV secolo a Cagliari, 438 nel pulpito del Duomo pistoiese, del quale si conservano due rilievi istoriati nella cripta, 439 in un rilievo erratico della Collezione Mazzarosa a Lucca, 440 e, già nel Duecento, nelle lastre del pulpito di Guido Bigarelli di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia. 441 La decorazione a rosoni (fig. 3.168), certamente derivante dai lacunari romani, come affermato dalla Gronchi, 442 ma solo indirettamente, deriva dalle transenne

436 G. TIGLER , 2009, p. 833. 437 A. MILONE in Niveo de marmore , 1992, pp. 104-105; M. CATALDI in Volterra d’oro ..., 2006, pp. 70- 72. 438 A. R. CALDERONI MASETTI , 2000; G. TIGLER , 2009a, pp. 30-55; G. TIGLER , 2009b, pp. 5-37. 439 A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, pp. 180-181; G. TIGLER , 2011b, 49, pp. 8-28; G. TIGLER , 2011c, 50, pp. 21-42. 440 A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, pp. 171-172. 441 L. BADALASSI , 1995, pp. 6-11; G. DALLI REGOLI , 1992, pp. 91-111; G. TIGLER , 2001a, pp. 87-102; G. DALLI REGOLI , 2001, pp. 405-411; G. TIGLER , 2001b, pp. 412-416. 442 L. GRONCHI , 1968b, p. 42. 117 presbiteriali della metà del XII secolo, conservate nel Museo dell’Opera del Duomo di Pisa, 443 e dai plutei che componevano la recinzione delle cattedrali volterrana (fig. 3.169) 444 e pistoiese, 445 e verrà ripresa dalle maestranze lombarde attive il secolo successivo nelle stesse due città. 446 Il rapporto con il pergamo guglielmesco si dimostra anche nel confronto tra le due lastre su cui è narrata la Strage degli innocenti (figg. 3.170, 3.171) e il rilievo pisano di medesimo soggetto (fig. 3.172): analoga è l’organizzazione della scena, nella posizione di Erode in trono, all’estrema sinistra, nel gesto del soldato che alza la spada con il braccio destro, mentre con l’altra afferra un bambino per i capelli, e nelle donne che attendono coi figli in braccio. Le citazioni sembrano sufficientemente puntuali per supporre una conoscenza, da parte dello scultore attivo a Massa, dell’opera di Guglielmo, reinterpretata in maniera certamente più rigida e goffa. I confronti con la scultura pisana degli anni ’60 del XII secolo costituiscono dunque un terminus post quem per la datazione dei rilievi, e una decisiva smentita della passata cronologia altomedievale. Rivolgendo infine lo sguardo alla decorazione dello stesso duomo massetano, non potrà sfuggire la forte somiglianza tra i quattro frammenti di cornice ornati da un tralcio vitineo (figg. 3.173-3.175) e la decorazione delle ghiere delle arcate del primo ordine del prospetto, di cui vengono replicate le foglie scavate da solchi a sezione triangolare e i grappoli d’uva (fig. 3.176). Tale consonanza, già notata dalla Gronchi, viene spiegata dalla studiosa con la consapevole imitazione, da parte della maestranza impegnata alla metà del XII secolo nell’edificazione della facciata, dei frammenti altomedievali già presenti in cantiere. 447 Considerando tuttavia che questi ultimi appaiono la versione semplificata dell’ornamentazione del prospetto, è più probabile che il rapporto vada invertito, e che nelle cornici si sia voluto imitare la decorazione della facciata: ciò comporta la posteriorità delle lastre rispetto alla seconda fase costruttiva della cattedrale, o tutt’al più la loro concomitanza. Considerando inoltre che le lastre appartenevano, come vedremo, all’originale arredo interno del Duomo, risulta naturale

443 Le lastre sono attribuibili alle maestranze impegnate alla metà del XII secolo nella decorazione della facciata della cattedrale, e sono divise tra il Museo dell’Opera del Duomo e il Battistero, dove sei formelle formano oggi l’altare (A. MILONE in Il Duomo di Pisa , 1995, pp. 613-617). 444 Le lastre si trovano oggi distribuite tra il Museo Diocesano della stessa città, l’ottocentesca tomba Incontri nella controfacciata della cattedrale e il Victoria and Albert Museum di Londra (F. CORSI MASI in Medioevo. I modelli , 2002, pp. 355-368; G. TIGLER , 2006, pp. 85-87). 445 I plutei pistoiesi, rinvenuti a metà ‘800, sono oggi divise tra la cripta della cattedrale e gli altari delle chiese di San Giovanni Fuorcivitas e San Francesco (A. ANTONELLI , 2001, pp. 85-100; G. TIGLER , 2006, pp. 125-127). 446 Si considerino ad esempio le formelle dei fonti battesimali dei Battisteri di Pistoia (Lanfranco, 1226) e di Pisa (Guido Bigarelli, 1246). 447 L. GRONCHI , 1968b, pp. 42-43. 118 immaginare che si sia provveduto alla sua esecuzione in un momento non lontano dalla fine dei lavori di costruzione dell’esterno dell’edificio, e quindi contemporaneamente o successivamente all’operato della seconda maestranza. Il rapporto con l’edificazione della cattedrale consente dunque di avanzare la datazione delle lastre, già collocata dopo gli anni ’60 del XII secolo grazie ai confronti con Guglielmo, nei primi decenni del secolo successivo. Fino al 2003 tutte le lastre, ad eccezione del frammento raffigurante il santo con spada, si trovavano murate su due file nella prima campata della navata sinistra, in controfacciata, dove erano state collocate durante i restauri del 1880 diretti dal canonico Arturo Arus (fig. 3.177). Come ha ben ricostruito Riccardo Belcari, 448 la loro sistemazione rientrava in un intervento che coinvolse l’intera campata, e che incluse inoltre lo spostamento del sarcofago romano nell’arcosolio della parete sinistra, ai piedi dell’affresco appena riscoperto, e il rifacimento della pavimentazione con l’inserimento della lastra terragna di Toro Galliuti, già nella cappella laterale destra: un nuovo allestimento, certamente meditato dall’Arus, esemplare di una concezione ottocentesca del restauro e oggi parzialmente distrutto in seguito alla musealizzazione delle lastre. 449 Fino al 1880, come racconta lo stesso canonico, i rilievi “coprivano la parte anteriore dell’altare nella Cappella del Sacramento – ovvero nella Cappella Gagliuti, nel braccio destro del ‘transetto’ - e barbaramente erano stati a mezzo interrati”. 450 Non tutti i rilievi erano stati tuttavia riutilizzati nello stesso altare: nella descrizione del paliotto riportata da Agostino Ademollo vengono citate solamente le lastre raffiguranti la Maiestas Domini , gli Apostoli e la Strage degli Innocenti .451 Queste ultime sono menzionate anche in un preventivo di poco anteriore ai restauri, conservato all’Archivio Comunale e riguardante lo smantellamento dei vari altari: alla prima delle quattordici voci si legge “Rimozione degli otto anzi sei pezzi di marmo che attualm. compongono il paliotto dell’altare del SS. Sacramento ove sono scolpiti gli Apostoli, la Strage degli Innocenti, tre dei quali pezzi trovuasi interrati circa la metà nel pavimento, per collocarli in luogo più riservato all’oggetto che sieno conservati per far conoscer il progresso della scultura in basso rilievo”. 452 Nello stesso preventivo, alla voce seguente, è citato un “altro pezzo

448 R. BELCARI , 2005, pp. 218-226. 449 R. BELCARI , 2005, p. 226. La decisione di spostare i rilievi provocò nel 2003 alcune polemiche che risultarono in una petizione cittadina per richiedere che fossero lasciati nella cattedrale (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 ). 450 A. ARUS , 1884, p. 41. 451 A. ADEMOLLO , 1894, pp. 178-179. 452 ACM, Memorie di case pie, 8, Opere di San Cerbone e S. Agostino atti diversi 1873-1910 , Miscellanea diversi . 119 all’altare della Madonna del Rosario in marmo rappresentante la Vergine in coro di Angeli. Questo però è rotto nel mezzo”. 453 Dal documento si deduce dunque che la lastra raffigurante L’Ascensione di Cristo e l’Incoronazione della Vergine era invece reimpiegata nell’altare della Cappella del Rosario, ovvero nel braccio opposto del ‘transetto’. In quale dei due altari fossero invece murati i rilievi dell’ Elemosina e del Vescovo e diacono non è chiaro. La consultazione del materiale documentario conservato all’Archivio Comunale ha inoltre consentito di ricostruire le vicende conservative delle lastre precedenti al loro utilizzo nei citati altari. Illuminante in tale senso è un registro dell’Opera di San Cerbone in cui sono annotate le spese in uscita per i lavori di rimodernamento che interessarono l’edificio nei mesi immediatamente precedenti la cerimonia di consacrazione del 23 marzo 1586; 454 tra i vari interventi effettuati in quel periodo spicca la demolizione del coro “di mezzo la chiesa”, una modifica in linea coi dettami controriformistici che dovette cambiare radicalmente la fruizione dello spazio interno della cattedrale. Il 14 dicembre 1585 i muratori Santino e Bernardino risultano pagati per lo smontaggio di “le grati di ferro et le pietre che son dinanzi al coro”, 455 mentre il successivo 5 gennaio i pagamenti “per haverii aiutato in Duomo tre giorni alla compagnia di maestro Lorenzo legnaiolo, di maestro Santino et di maestro Bernardino muratori a levare i ferri et grate del coro di mezzo la Chiesa” vanno ai maestri Gregorio e Marco. 456 Quest’ultimo, insieme a maestro Andrea, è pagato una settimana dopo “per opere cinque datoci in Duomo con li suoi garzoni (...) a muovere le pietre che erano in Duomo dietro al detto coro, et acomodatele a uno altare”, 457 mentre allo scalpellino Gregorio vengono versate quattro lire per “appiombare et scatenare le pietre del coro da

453 ACM, Memorie di case pie, 8, Opere di San Cerbone e S. Agostino atti diversi 1873-1910 , Miscellanea diversi . 454 ACM, Opera di San Cerbone , 5, cc. 260-285. 455 “A m.o Sa(n)tino et a m(aestr)o Ber(nardi)no a di 14 di d(et)to lire dieci p(er) op(er)e ci(n)que et due op(er)e del loro garzone p(er) havere aiutato a metter giu le grati di ferro et le pietre ch(e) so(n) dina(n)zi al coro et metter giu la tavola del altare gra(n)de et co(n)durla a pie della Chiesa et pricipiato i murelli dove si ha da posare d(et)ta tavola alla co(m)pagnia di m(aestr)o Lore(n)zo di m(aestr)o Gregorio di m(aestr)o Marcho et di m(aestr)o And(re)a” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 260 r, 1585 dicembre 14). 456 “A m(aestr)o Gregorio scarpellino, a m(aestr)o Marcho et a m(aestr)o And(re)a muratori a di d(et)to lire diciotto p(er) haverii aiutato i(n) Duomo tre giorni alla co(m)pagnia di m(aestr)o Lorenzo legnaiolo di m(aestr)o Sa(n)tino et di m(aestr)o Ber(nardi)no muratori a levare i ferri et grate del coro di mezzo la Chiesa et levare la tavola del altare gra(n)de et co(n)durla da basso” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 269 v, 1585 gennaio 5). 457 “A m(aestr)o Marcho et a m(aestr)o And(re)a muratori a di 12 di d(et)to lire tredici soldi q(uin)dici so(n) p(er) op(er)e ci(n)q(ue) datoci i(n) Duomo co(n) li suoi garzoni a (...) il giorno a muovere le pietre ch(e) erano i(n) Duomo dietro al d(et)to coro, et acomodatele a uno altare et murato una bucha di Altari vechi fatti gia guastare dal visitatore apostolicho” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 269 v, 1585 gennaio 12). 120 basso et impiombarle allo altare fatto”. 458 Le stesse pietre sono nuovamente citate il 18 febbraio, nei pagamenti al muratore Marco per “murare piu pietre iam nel coro da basso dalla banda delle sedie del offitio de Priori et assetta la porta del Perbio di dietro”, e a Gregorio per “scarpellinare delle dette pietre iam nel detto coro et alla detta porta del perbio”. 459 Nonostante non si faccia mai cenno a un’eventuale decorazione delle lastre lapidee che componevano la recinzione del coro, il fatto che esse siano state utilizzate nella fattura di nuovi altari costituisce un elemento a favore della loro identificazione con le formelle oggi al museo, recuperate nel 1880 proprio dallo smontaggio di due altari di fine Cinquecento. Diverse sono invece le vicende conservative del frammento con il Santo con spada , inedito fino all’articolo del 1968 di Laura Gronchi, la quale racconta di averlo scoperto nei depositi della cattedrale; 460 la differenza cromatica e di rifinitura della superficie è spiegata dalla studiosa con un interramento o una prolungata esposizione all’aperto del pezzo, che avrebbero consumato la patina di grasso che dona alle altre nove lastre un aspetto lucido e scuro. L’ipotesi della Gronchi trova parziale conferma in una lettera del 1948, inviata da Curzio Breschi al soprintendente, in cui l’ispettore onorario fa il resoconto del materiale rinvenuto nella demolizione dell’altare in stucco della Cappella del Rosario, e nomina tra i vari frammenti lapidei “una figura di santo con spada”, da identificare senza dubbio con il nostro rilievo; nella stessa lista compaiono anche “due lunghi pezzi di cornice a foglie lanceolate come negli architravi della cattedrale” e “quattro pezzi lunghi di cornice con viticci con pampine e grappoli”. 461 I primi due frammenti citati possono essere identificati o con i due pezzi decorati da un motivo fogliato, individuati per la prima volta da Virginia Di Giorgio nel 2009 462 e oggi abbandonati insieme ad altro materiale lapideo sotto una loggia addossata al lato sinistro esterno del soccorpo (fig. 3.178), oppure con uno solo di questi e con il frammento riutilizzato come parte del davanzale esterno della finestra della cappella alla destra

458 “A m(aestr)o Gregorio scarpellino a di 12 di ge(n)naio lire quatro so(n) p(er) op(er)e due datoci i(n) Duomo appio(m)bare et scatenare le pietre del coro da basso et i(m)pio(m)barle allo altare fatto et messe due pietre al perbio et servivano a tenerci i libri et rimessoci due tasselli et i(m)bio(m)batili” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 270 r, 1585 gennaio 12). 459 “A m(aestr)o marcho muratore a di 18 di d.to lire due soldi qui(n)dici p(er) una op(er)a dateci i(n) duomo et co(n) il garzone a murare piu pietre i(am) nel coro da basso dalla ba(n)da delle sedie del offitio de Priori et assetta la porta del Perbio di dietro”; “A m(aestr)o Gregorio scarpellino a di d(et)to lire quatro p(er) due giornate a scarpellinare delle d.te pietre i(am) nel d.to coro et alla d.ta porta del perbio” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 270 v, 1585 febbraio 18). 460 L. GRONCHI , 1968a, pp. 55-56. 461 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948. 462 V. DI GIORGIO , 2009-2010. 121 dell’abside (fig. 3.179), che oggi si affaccia su uno degli ambienti della sagrestia. Come testimoniato da un’altra lettera inviata da Breschi al soprintendente, il terzo di questi pezzi venne recuperato l’anno successivo, nella demolizione dell’altare di San Giuseppe, già nella cappella alla destra dell’abside. 463 I quattro frammenti decorati con foglie di vite, tre dei quali pubblicati dalla Gronchi nel medesimo articolo, 464 sono invece identificabili con i due pezzi utilizzati alla base della finestra summenzionata, insieme alla cornice fogliata (fig. 3.173), e con i due frammenti reimpiegati in un altro ambiente della sagrestia, come base d’imposta di una finestrina (fig. 3.175) e di una nicchia (fig. 3.174), quest’ultimo non conosciuto dalla studiosa e dunque inedito. Poiché sia il Santo con spada sia i pezzi di cornice mancano della patina scura che caratterizza le altre lastre, è plausibile pensare che essa fosse stata applicata a quest’ultime al momento del reimpiego nei nuovi altari, per donare loro lucentezza, mentre i restanti frammenti, utilizzati come semplice materiale di riempimento, ne rimasero privi; si dovrà dunque escludere l’ipotesi che tale trattamento risalga al Medioevo, come suggerito al contrario dalla stessa Gronchi. 465 E’ dunque plausibile che le lastre oggi al museo e i frammenti di cornice ad essi riferiti, prima di essere variamenti reimpiegati nei nuovi altari di fine XVI secolo, costituissero la recinzione del coro, che, come nel caso del Duomo senese, si trovava nella navata centrale. 466 Questa, tuttavia, non poteva essere la loro collocazione originaria, dato che il coro smantellato nel 1585 risaliva senza dubbio all’assetto donato alla cattedrale all’inizio del Trecento, al termine dei lavori di ampliamento iniziati nel 1287: ne consegue che, al momento del loro utilizzo nei nuovi altari, le lastre avevano già subito un primo reimpiego all’interno della chiesa, durato quasi tre secoli. Non sappiamo se nel nuovo coro la parte decorata fosse rivolta verso la navata, o se, al contrario, verso l’interno, e quindi in qualche modo ‘nascosta’: seppure risulti indubbiamente difficile immaginare che l’arcaismo e la grevità delle sculture potesse rispondere al gusto di primo Trecento, non si può escludere che la comunità dei fedeli attribuisse un valore tradizionale e ‘affettivo’ agli antichi rilievi e che ciò ne abbia garantito la continuità della visibilità all’interno dell’edificio. Indipendentemente dalla loro sistemazione trecentesca, le lastre dovevano originariamente appartenere a una struttura diversa,

463 “...si sono ritrovati i frammenti di altre opere (...) altri frammenti di cornice superiore con decorazione a fogliami, di cui si ritrovarono già elementi nel disfatto altare del Rosario” (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 dicembre 1949). 464 L. GRONCHI , 1968b, pp. 42-43, 47. 465 L. GRONCHI , 1968a, p. 55. 466 Sul coro trecentesco si veda il capitolo 4. 122 legata all’arredo della cattedrale nella sua configurazione romanica, in un momento in cui, come già appurato, l’edificio era caratterizzato da un presbiterio rialzato. Una prima ricostruzione di questo complesso è stata tentata da Laura Gronchi, la quale, a ricaduta della datazione altomedievale da lei attribuita ai rilievi, ne ipotizzava una destinazione primitiva diversa, da identificare possibilmente con l’antica cattedrale di Populonia, dalla quale, al momento del trasferimento dei vescovi a Massa, essi vennero in qualche modo recuperati, non essendosene forse “perso il ricordo nella tradizione locale”. 467 Una volta trasportate nella nuova sede, le lastre sarebbero state reimpiegate come parapetto del presbiterio rialzato, senza però rispettarne l’ordine originario; la necessità di adeguare la larghezza della struttura alla nuova ubicazione avrebbe poi motivato l’esecuzione di un rilievo aggiuntivo ‘in stile’ raffigurante San Cerbone, assente nelle lastre altomedievali perché provenienti da un edificio dedicato non al santo vescovo bensì alla Vergine. 468 La studiosa immaginava un parapetto dotato di pulpito semisporgente, il primo costituito dalla serie degli Apostoli e dal santo con spada, il secondo dalle lastre suddivise in due parti, ovvero le due formelle della Strage degli Innocenti sul fronte, Cristo in mandorla e l’Incoronazione sul lato interno e l’ Elemosina su quello esterno. Nel rilievo con la Maiestas Domini , invece, sarebbe da riconoscere il fronte dell’altare maggiore, forse visibile dalla navata dall’apertura nello stesso parapetto. Le lastre sono state successivamente considerate provenienti dal pulpito e dall’arredo presbiteriale da Antonio Milone, 469 e da un pontile da Guido Tigler, che propone come modello comparativo il pontile del Duomo di Modena. 470 Nella totale mancanza di documenti o di antiche descrizioni che tramandino l’aspetto dell’interno romanico della chiesa, l’unica strada percorribile per un’ipotesi di ricostruzione del complesso è quella del confronto con i casi superstiti di varie tipologie di arredo databili alla stessa epoca, fermo restando che, a causa delle demolizioni in epoca controriformistica della maggior parte delle strutture medievali che anticamente fungevano da diaframma tra la zona destinata ai laici e quella riservata ai religiosi, pochi sono gli esempi di recinzioni presbiteriali e di pulpiti sopravvissuti nella loro forma originaria. Sarà utile anche tenere a mente quello che è emerso dall’osservazione del paramento murario e delle integrazioni delle ultime tre coppie di sostegni del corpo

467 L. GRONCHI , 1968b, pp. 44-46. 468 L. GRONCHI , 1968b, pp. 44-45. L’intitolazione della chiesa populoniese alla Madonna si deduce da un passo della Vita Sancti Cerbonis , dove essa è citata come “ ecclesia beatae Dei Genitricis Mariae ” (Acta Sanctorum... , 1785, p. 97). Sulle varie ipotesi di localizzazione e intitolazione della prima cattedrale di Populonia si veda il capitolo 1 . 469 A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, p. 173. 470 G. TIGLER , 2006, p. 96; G. TIGLER , 2009, p. 833. 123 romanico dell’edificio, ovvero che la chiesa era dotata di un presbiterio elevato, che la settima campata delle navate si trovava rialzata di circa 170 cm rispetto all’attuale pavimento, e che il passaggio dall’altezza del presbiterio alla quota delle prime cinque campate doveva avvenire circa a metà della sesta campata, superati i portali laterali, presumibilmente con delle scalinate che includevano, a 80 cm da terra, la parte inferiore dei quinti pilastri. Prima di procedere ai confronti, risulta imprescindibile l’analisi autoptica dei rilievi atta a trarne gli elementi utili per una ricomposizione. Il primo e più evidente di questi è la diversa impaginazione della figurazione nelle lastre, quattro delle quali presentano una divisione orizzontale, che non presuppone, tuttavia, che componessero necessariamente una struttura differente rispetto alle altre; nel pulpito del Duomo pistoiese, ad esempio, trovavano spazio formelle sia ‘intere’ sia suddivise in due parti, come testimoniano i due rilievi istoriati oggi conservati nella cripta.471 Un altro fattore di differenziazione delle lastre si riscontra nell’incorniciatura, liscia in quattro casi e fogliata negli altri; è probabile che questa diversità fosse voluta fin dall’origine, anche se nel bordo inferiore della decima formella è visibile un inizio di decorazione vegetale, che lascerebbe sospettare che si programmasse inizialmente di decorare le cornici di tutti i rilievi. Poiché originariamente il frammento con il Santo con spada, dotato di incorniciatura fogliata, era unito a una formella dalla cornice liscia, ne consegue che neanche questa caratteristica è probante per una divisione dei rilievi in due gruppi distinti. Le differenze tra le lastre riguardano, in ogni caso, solamente la loro decorazione: l’elemento più rilevante rimane la coincidenza al centimetro nelle misure dell’altezza, che rende inverosimile l’idea che potessero in origine comporre strutture molto differenti, come ad esempio un altare e un pulpito. Gli altri elementi che si possono trarre dall’osservazione dei rilievi stessi sono: l’originaria appartenenza delle tre formelle con gli Apostoli a un unico lungo rilievo; la contiguità delle due lastre raffiguranti la Strage degli Innocenti , e la posizione angolare delle formelle col Santo con spada e con la Maiestas Domini , che presentano entrambe, sul lato sinistro, il bordo destro della cornice di un altro rilievo. E’ verosimile inoltre pensare, per analogia di soggetto e di decorazione, che il Santo con spada potesse concludere sul lato sinistro il lungo rilievo degli Apostoli ; l’assenza di ornamentazione fogliacea sullo sfondo del rilievo è forse da imputare alla consunzione dello stesso, dato che paiono ancora percepibili tracce di lavorazione. Non è possibile calcolare quanto fosse larga la lastra con il Santo con spada , e quante figure ospitasse,

471 Sul pulpito pistoiese si veda A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, pp. 180-181; G. TIGLER , 2011b, 49, pp. 8-28; G. TIGLER , 2011c, 50, pp. 21-42. 124 ma solo affermare che alla sua sinistra iniziava un’altra formella disposta in senso ortogonale, dotata, come già detto, di cornice liscia; dei pezzi a noi pervenuti l’unico mancante del bordo destro e corredato di cornice non fogliata è l’incompleto rilievo con il Vescovo e Diacono , mentre l’unica formella superstite priva di cornice destra fogliata, e dunque candidata a trovarsi in origine attaccata alla Maiestas Domini , è il terzo rilievo degli Apostoli . Non è comunque possibile affermare con sicurezza che le lastre citate fossero veramente adiacenti, data la tutto sommato probabile perdita di alcune delle formelle della serie. Appurati questi elementi, la pertinenza dei rilievi a un pulpito non appare incoraggiata. Il primo ostacolo è il numero delle lastre, apparentemente eccessivo, se confrontato coi pulpiti toscani superstiti, perché fossero tutte incluse in una simile struttura, soprattutto considerando la possibile mancanza all’appello di alcuni pezzi e la frammentarietà di quelli raffiguranti il Santo con spada e il Vescovo e diacono . L’incompletezza della serie sembrerebbe suggerita dalla difficoltà a individuare il filo rosso che colleghi i soggetti dei rilievi a noi pervenuti, che non paiono, allo stato attuale, ordinati in un vero e proprio ciclo; non è d’altronde escluso che non lo fossero neanche in origine, e che il trait d’union sia “la vita che si svolgeva entro ed intorno alla Cattedrale”, come suggerito da Enrico Lombardi. 472 La presenza delle uniche due parti narrative, la Strage degli Innocenti e la cosiddetta Elemosina , sono state difatti spiegate con l’importanza della festa degli Innocenti nella città massetana, durante la quale si raccoglieva tanta cera votiva quanto nella festività del santo patrono, 473 e, per il secondo soggetto, con l’uso di raccogliere offerte in giro per la città per sostenere l’Ospedale di San Cerbone, 474 istituzione attestata per la prima volta in un documento del 1205. 475 L’esempio toscano che potrebbe costituire un modello per un possibile pulpito massetano, per le dimensioni e il numero di lastre incluse, è il pergamo guglielmesco della cattedrale pisana, la cui ideale ricostruzione è stata più volte tentata; 476 si tratta di un’eventualità non impossibile, ma difficile da sostenere, anche per la differente configurazione dell’interno dell’edificio. Un altro impedimento per l’ipotesi di un pulpito è lo sviluppo longitudinale della serie degli Apostoli , tema che non trova paralleli nei superstiti arredi toscani, e che si presenta più adatto a essere ospitato su un

472 E. LOMBARDI , 1966, p. 10. 473 E. LOMBARDI , 1966, p. 10. 474 E. LOMBARDI , 1966, p. 10. 475 Si tratta di un atto stilato il 5 gennaio 1205 nell’ospedale dell’Opera di San Cerbone, concernente la vendita di alcuni possessi di Lambertuccio del fu Gualando al vicedomino e ai due consoli di Massa (ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1204 gennaio 5; edito in G. VOLPE , 1964, pp. 47-51). 476 Per i vari tentativi di ricostruzione del pergamo di Guglielmo si veda G. TIGLER , 2009b, pp. 5-37. 125 architrave, come difatti accade nei casi della facciata di San Bartolomeo a Pistoia, dei Santi Giovanni e Reparata e di San Martino a Lucca. Diverso è il caso della Strage , soggetto presente in due esempi in Toscana, ovvero in un rilievo della seconda metà del XII secolo, conservato in Collezione Mazzarosa a Lucca, 477 e in una delle formelle del già menzionato pulpito di Guglielmo per la cattedrale pisana. Nello stesso pergamo guglielmesco si incontra anche un Cristo in mandorla, sollevato da quattro angeli, come parte superiore di una scena di Pentecoste .

Per quanto riguarda invece la possibilità di un’originale appartenenza ad una recinzione presbiteriale, è utile ricordare che in Toscana pochi sono gli esempi sopravvissuti alle demolizioni di epoca moderna. Si possono annoverare ad esempio i recinti della basilica di San Miniato al Monte a Firenze (fig. 3.180), del terzo quarto del XII secolo, 478 composto da lastre intarsiate quadripartite; la recinzione della pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima (ultimi decenni del XII secolo), con plutei a commesso marmoreo con motivi geometrici a rilievo; 479 quella della collegiata di San Cristoforo a Barga (fig. 3.181), databile intorno al 1256, a specchiature di marmo rosso e con cornici decorate a intarsio. 480 Oltre ai casi citati, degni di nota per il loro stato conservativo, andranno ricordati i numerosi frammenti provenienti da strutture demolite, essenziali per comprendere il tipo di decorazione riservato a questi complessi: si pensi alle transenne presbiteriali conservate nel Museo dell’Opera del Duomo di Pisa, della metà del XII secolo, 481 e ai plutei che componevano la recinzione delle cattedrali volterrana 482 e

477 Mostra d’arte sacra ..., 1957, n. 7 p. 18; C. L. RAGGHIANTI , 1960, p. 61; A. MILONE in Pulpiti medievali... , 1999, pp. 171-172. 478 G. TIGLER in Pulpiti medievali... , 1999, p. 166; G. TIGLER , 2006, p. 163. 479 R. BELCARI , 2009, pp. 67-70. 480 Già Mario Salmi (M. SALMI , 1928, pp. 108-109) collegò alla data di concessione del diritto battesimale (1256) la realizzazione della recinzione e del pulpito barghigiano. L’ipotesi è avvalorata dal fatto che alcune scene di quest’ultimo sembrano derivare dalle formelle con episodi dell’Infanzia di Cristo del ricomposto pulpito di Guido Bigarelli nella chiesa pistoiese di San Bartolomeo in Pantano, alle quali va collegata la data 1239 su un listello ritrovato durante lavori alla metà del secolo scorso; un'altra conferma è offerta dal fatto che Barga fu in guerra fino al 1248, e ciò rende inverosimile una campagna di lavori di tale entità prima di questa data. Le sculture di Barga sono inoltre confrontabili con quelle del pulpito di Santa Maria al Monte (PI), databili tra il 1258 e il 1261, e con l’architrave della chiesa di San Pier Maggiore a Pistoia, dove sul fianco Sud un’epigrafe riporta la data 1263 (G. TIGLER , 2001a, pp. 87-102; G. TIGLER , 2001b, pp. 412-416). Per una datazione tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30 spinge invece Gigetta Dalli Regoli. (G. DALLI REGOLI , 1992, pp. 91-111; G. DALLI REGOLI , 2001, pp. 405-411). 481 Le lastre sono attribuibili alle maestranze impegnate alla metà del XII secolo nella decorazione della facciata della cattedrale, e sono divise tra il Museo dell’Opera del Duomo e il Battistero, dove sei formelle formano oggi l’altare (A. MILONE in Il Duomo di Pisa , 1995, pp. 613-617). 482 Le lastre si trovano oggi distribuite tra il Museo Diocesano della stessa città, l’ottocentesca tomba Incontri nella controfacciata della cattedrale e il Victoria and Albert Museum di Londra (F. CORSI MASI in Medioevo. I modelli , 2002, pp. 355-368; G. TIGLER , 2006, pp. 85-87). 126 pistoiese. 483 Da questa breve rassegna si rileva che in Toscana si privilegiassero per la recinzione presbiteriale lastre aniconiche, decorate a intarsio o lasciate lisce, mentre la parte figurata veniva eventualmente riservata al pulpito, 484 che poteva appoggiarsi allo stesso recinto, come a San Miniato al Monte, a Brancoli o a Barga. Il caso massetano apparirebbe, dunque, quanto meno raro nel panorama toscano. Da un punto di vista dimensionale le lastre di Massa, alte intorno ai 68 cm, sono assai più piccole dei monumentali plutei intarsiati di San Miniato, alti 140 cm, unica delle chiese menzionate a presentare un presbiterio rialzato e quindi un’articolazione dello spazio interno simile a quella massetana. Le misure dei rilievi trovano invece trovano una maggiore somiglianza nella recinzione della collegiata barghigiana, le cui formelle rettangolari sono poste su un muretto che le solleva dal pavimento di un’altezza di poco inferiore alla loro; a differenza del caso fiorentino, a Barga l’area presbiteriale si presenta al contrario sollevata solo di pochi gradini, ed il recinto, avanzando in corrispondenza della navata centrale, si articola su cinque lati, tre paralleli alla controfacciata e due alle pareti laterali, presentando così delle lastre disposte ad angolo, come doveva accadere a Massa. Il problema del numero delle formelle, della loro decorazione e della presenza di lastre angolari potrebbe essere in parte superato ricercando il possibile modello dell’arredo massetano al di fuori dalla Toscana; in particolare, come già proposto da Guido Tigler, 485 nel pontile del Duomo di Modena (fig. 3.182). Questa struttura, smembrata nel 1592 e oggi visibile in una ricostruzione operata da Tommaso Sandonnini tra il 1916 e il 1921, si sviluppa in senso longitudinale per tutta la larghezza della navata centrale, è sorretta da una fila di colonne dotate di capitelli figurati e presenta un pulpito sporgente

483 I plutei pistoiesi, rinvenuti a metà ‘800, si dividono oggi tra la cripta della cattedrale e gli altari delle chiese di San Giovanni Fuorcivitas e San Francesco (A. ANTONELLI , 2001, pp. 85-100; G. TIGLER , 2006, pp. 125-127). 484 Non tutti i pulpiti toscani presentano formelle istoriate ad altorilievo: si pensi ai casi di San Giovanni Maggiore (Borgo San Lorenzo, FI), di San Miniato al Monte a Firenze, di San Gennaro di Capannori, di Sant’Agata a Sant’Agata di Mugello, Scarperia (FI); di Fagna, Scarperia; di San Lorenzo a Signa (FI). Scene figurate caratterizzavano invece i pulpiti della cattedrale pisana, oggi nel Duomo di Cagliari; di San Zeno a Pistoia; della cattedrale di Volterra; di San Michele a Groppoli (Pistoia); di Santa Maria Forisportam a Lucca; di San Pier Scheraggio (oggi in San Leonardo ad Arcetri, Firenze); di San Pietro a Gropina (Loro Ciuffenna, AR), della Collegiata di Barga. Una via di mezzo tra l’aniconico e il figurato sono gli esempi duecenteschi nelle pievi di San Giorgio a Brancoli, Lucca, e di Santa Maria al Monte (PI), dove la cassa è scandita da arcatelle su colonnette impostate su un alto architrave, fogliato nel primo caso e a intarsio marmoreo nel secondo; simile al pulpito di Brancoli doveva essere anche quello di Villa Basilica, di cui sopravvivono i frammenti di un simile architrave a decorazione vegetale. Sui pulpiti toscani si vedano A. MILONE , G. TIGLER , 1999, pp. 157-191, e R. MELCHER , 2000. 485 G. TIGLER , 2006, p. 96. 127 a sezione semicircolare nella parte sinistra. 486 Mentre la parte rettilinea, decorata con Scene della Passione di Cristo , viene collegata al nome di Anselmo da Campione e alla data 1184, il pulpito costituisce un’aggiunta del primo quarto del XIII secolo, come dimostra un’iscrizione sul leggio, oggi conservato nel Museo dell’Opera del Duomo, in cui l’opera viene riferita a Bozzalino, massaro della cattedrale dal 1208 al 1225. 487 Con l’inserimento del pulpito duecentesco la parte preesistente subì un probabile spostamento laterale (verso sud, se il pulpito si trovava originariamente in cornu evangelii , verso nord se in cornu epistolae , come più usuale almeno in Toscana), 488 provocando il decentramento della lunga scena dell’Ultima cena . Nel pontile dovevano trovare spazio anche due lastre istoriate oggi murate nei pennacchi tra gli archi di accesso alla cripta. Lo stato attuale del complesso, il cui grado di fedeltà all’assetto originale è ormai inverificabile, può comunque offrire un possibile modello per una ricostruzione dell’arredo massetano. Interessante è ad esempio la presenza, a Modena, di una scena dal pronunciato sviluppo longitudinale quale l’ Ultima cena , che trova, per formato, un parallelo a Massa nella serie degli Apostoli . Il collegamento con Modena, e con una tipologia di arredo non comune in Toscana, potrebbe anche costituire un indizio per stabilire l’origine della bottega impegnata nella realizzazione dell’arredo massetano. 489 In conclusione, considerando l’ipotetico aspetto dell’antico presbiterio rialzato, le caratteristiche delle lastre, i modelli toscani e non, si possono azzardare alcune congetture sul primo utilizzo delle formelle all’interno della cattedrale. La prima è quella di un grande pergamo, posto nel lato destro della sesta campata della navata centrale, con la cassa poggiante da un lato sul piano del presbiterio rialzato, dall’altro su due o più sostegni, poggianti a loro volta sul pavimento antistante. Tutte le lastre sarebbero così incluse nel pulpito, che presenterebbe, nel lato rivolto verso la navata centrale, le due formelle della Strage degli innocenti e il frammentario Vescovo e diacono , con al centro un reggileggio; nel lato che guarda verso la controfacciata, il Santo con spada e l’eventuale sua parte mancante, che fa angolo a sinistra con una lastra dalla cornice liscia (la formella completa del Vescovo e diacono ?) e la serie degli Apostoli ; nella parte che si affaccia nella navata laterale destra, la Maiestas Domini , che

486 Sul pontile modenese si veda R. GRANDI in Lanfranco e Wiligelmo ..., 1984, pp. 560-565; S. LOMARTIRE in I maestri... , 1992, pp. 37-81; M. P. FANTINI in Il Duomo di Modena , 1999, pp. 362-366. 487 S. LOMARTIRE in I maestri... , 1992, p. 63. 488 Per la posizione dei pulpiti all’interno delle chiese si veda G. TIGLER in Pulpiti medievali... , 1999, p. 87. 489 G. T IGLER , 2006, p. 96. 128 include nel lato sinistro la cornice fogliata di un’altra lastra disposta ad angolo (l’ultima degli Apostoli ?), Cristo in mandorla e l’Incoronazione della Vergine e l’ Elemosina . Questa soluzione consentirebbe la presenza di altre lastre perdute, da inserire nelle facce laterali, e presupporebbe l’esistenza di un parapetto, magari aniconico, che chiuda il presbiterio sulla navata centrale e, forse in parte, sulle laterali, dove doveva esistere un’apertura per l’accesso dalle scale al coro rialzato. La limitata altezza delle formelle verrebbe corretta da un sistema di alte incorniciature, dove troverebbero spazio anche i vari frammenti di cornice già ricollegati ai rilievi. La seconda possibilità è quella di un pontile, sollevato su un alto basamento per compensare l’altezza delle lastre, necessariamente sporgente per giustificare la presenza di lastre angolari, e di larghezza sufficiente a coprire l’ampiezza della navata centrale (680 cm). Poiché, se messe in fila, le formelle non superano una lunghezza di 630 cm circa, e poiché non potevano comunque trovarsi tutte allineate a causa delle cornici angolari, si dovrebbe in questo caso supporre la perdita di un tot di formelle sufficienti a coprire la navata mediana. Una simile soluzione costringerebbe a mantenere sul lato frontale lastre con incorniciature diverse, e la serie degli Apostoli in una posizione non centrale, con risultati poveri dal punto di vista estetico. L’ultima possibilità è quella di una struttura ‘ibrida’, simile al pontile modenese dopo l’aggiunta duecentesca del pulpito, ovvero la convivenza di un parapetto rettilineo e di un ambone sporgente: in questo modo troverebbero spiegazione sia l’identità di altezza delle lastre sia la loro diversa impaginazione. Nel lato frontale della cassa andranno immaginate necessariamente le formelle della serie degli Apostoli , se la vogliamo completata a sinistra dal Santo con spada , che deve necessariamente fare angolo con una lastra a cornice liscia; a destra il terzo rilievo degli Apostoli potrebbe chiudersi con la cornice laterale del bordo esterno sinistro della Maiestas Domini . Quest’ultima e la lastra del Vescovo e diacono costituirebbero i lati corti del pulpito sporgente, mentre le restanti lastre formerebbero il parapetto rettilineo. Anche in questo caso risulta indispensabile la presenza di altre lastre perdute, per chiudere in larghezza la navata centrale. Ciascuna di queste ipotesi, nessuna delle quali appare realmente risolutiva, presenta dei punti deboli e si presta facilmente a critiche. Qualsiasi ricostruzione del complesso, soffrendo inevitabilmente della mancanza di dati documentari ed archeologici, andrà dunque considerata per quello che è: una semplice congettura basata sui limitati elementi a disposizione.

129 Conclusioni

L’analisi delle varie fasi costruttive e della successione delle maestranze nel cantiere della cattedrale romanica consente di trarre alcune conclusioni sulla cronologia dell’edificio. I vari confronti stilistici per la prima fase portano a una datazione di questa attorno agli anni ’80 del XII secolo, e presuppongono l’attività di una maestranza di cultura pisana, forse guidata da quel maestro Enrico che, unico del cantiere, consegna la propria firma alla posterità. Una tale datazione, sostenuta dalla più recente letteratura critica, 490 non trova purtroppo sicure conferme né smentite nelle vicende storiche della cittadina. Guido Tigler 491 afferma che nel 1180 la cattedrale dovesse essere già costruita, basandosi sulla notizia riportata da Agostino Cesaretti che da quell’anno il presule Mariano iniziasse a dichiararsi massetano e non solo populoniese; 492 in realtà ciò accadeva già a partire dal 1062, quando il vescovo Tegrimo venne definito Massano episcopo in una lettera di papa Alessandro II. 493 Una prova indiretta dell’edificazione in corso del Duomo potrebbe essere il documento del 1189, nel quale Enrico VI promette di restituire al vescovo i diritti sulla cittadina: in esso troviamo per la prima volta Massa definita civitas e non semplice locus .494 Seppure la perdita della maggior parte dei documenti di quegli anni imponga prudenza nell’utilizzo di una simile testimonianza, è forte la tentazione di collegare questa nuova qualifica della città con un suo sviluppo urbanistico, che poteva comprendere la costruzione di una nuova cattedrale, in sostituzione di quella che già doveva esistere, in forme diverse, dal 1068. E’ d’altronde immaginabile che proprio in quegli anni la Città Vecchia si stesse ingrandendo fino a raggiungere la sua capienza massima, se pochi decenni più tardi sarà sentita l’esigenza di fondare la Città Nuova. Alla maestranza di cultura pisana seguì l’operato di una seconda maestranza di cultura ‘lombarda’; tra queste due fasi andrà collocata la messa in opera del portale in facciata, opera di una bottega ancora diversa. Poiché, come già sottolineato, il passaggio di consegne non comportò evidenti modifiche al progetto iniziale, né sono percepibili grandi interruzioni di cantiere, si può supporre che esso sia avvenuto senza soluzione di continuità. Alla seconda sottofase andrà riferita anche la costruzione della torre campanaria. Un utile riferimento cronologico per comprendere lo stato di avanzamento

490 Vedi il capitolo 2. 491 G. TIGLER , 2006, p. 89. 492 A. CESARETTI , 1784, p. 32. 493 Vedi il capitolo 1. 494 Vedi il capitolo 1. 130 dei lavori è offerto da un documento del 14 gennaio del 1221, che riporta i giuramenti tra i cittadini massetani, il vescovo e i vicedomini, tenutisi in vari luoghi della città, tra cui “ in ecclesiam sancti Cerbonii ”, 495 da supporre, a quella data, più o meno agibile e dotata di copertura. Nel forte impegno economico richiesto dal nuovo cantiere andrà forse riconosciuta una delle ragioni dei problemi finanziari lamentati dal vescovo fin dal 1221, che costrinsero il presule a vendere al nascente Comune nel 1225 la sua libertà. 496 Non è chiaro se nel grande fervore edilizio che seguì i patti del 1225 si procedette anche all’eventuale completamento della cattedrale, le cui ultime parti eseguite sembrano essere il cleristorio bicromo, dove compaiono capitellini già a crochet , e l’arredo interno, realizzato, a rigor di logica, una volta completata l’architettura dell’edificio, e ispirato nelle sue sezioni decorative a motivi ornamentali utilizzati dalla seconda maestranza. Possiamo comunque ipotizzare che la chiesa, dopo una quarantina d’anni di cantiere, fosse ormai più o meno completa.

495 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1220 gennaio 14, edito in G. VOLPE , 1910, doc. IV pp. 276-282. 496 Vedi il capitolo 1. 131

132 4. La cattedrale tra il Duecento e i primi decenni del Trecento

Gli interventi precedenti l’ampliamento della cattedrale

Tra la conclusione della sua edificazione all’inizio del secolo XIII e l’ampliamento iniziato nel 1287, il cantiere della cattedrale di San Cerbone non si arrestò completamente, ma vennero portati avanti interventi pittorici, scultorei e forse anche architettonici che interessarono l’interno e l’esterno dell’edificio.

La decorazione della cupola

Un primo importante intervento sul quale è difficile oggi dare un giudizio preciso fu la decorazione pittorica del tamburo della cupola. Sopravvive difatti ancora un lacerto ad affresco sotto il primo pennacchio a tromba del lato nord-est, visibile fino alla primavera del 2013, quando è stato ricoperto da uno strato di intonaco che oggi lo nasconde quasi del tutto alla vista (figg. 4.1, 4.2). 497 Esso si presentava diviso in due parti da una fascia rossastra dai bordi chiari: sulla sinistra, accanto a una torretta in laterizio, la cui parte superiore ad archetti è sormontata da un corpo verticale traforato di finestre, si distinguevano le figure di due vescovi, uno dei quali tiene la testa abbassata e si inchina davanti all’altro. Alla destra della fascia si intravedeva solo la poppa di un’imbarcazione sulla quale si riconoscevano a fatica due figurine rivolte vero destra. La prima scena può essere letta come San Regolo che investe Cerbone della carica vescovile, mentre la seconda si dovrà identificare con la burrascosa traversata affrontata

497 Il frammento di affresco di seguito analizzato ha subito una vicenda conservativa quanto meno singolare. Non è nota la data della sua riscoperta, che risale senza dubbio a prima del 1948, quando viene citato in una lettera di Curzio Breschi al Soprintendente (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C- 21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948, carta s.n.). Una fotografia della cupola massetana, dove il lacerto risulta visibile, viene pubblicata nel 1970 da Heinrich Klotz nel suo volume su Brunelleschi (H. KLOTZ , 1970, fig. 106). Rimasto scoperto per almeno quarantatre anni, ma tuttora inedito, esso è stato ricoperto da uno strato di intonaco nella primavera del 2013, con l’intento di nasconderlo alla vista, e così “evitare fughe di notizie”, fino alla campagna di lavori che dovrebbe tirare fuori ciò che sopravvive dell’intera decorazione del tamburo (comunicazione orale del dottor Alessandro Bagnoli). Poiché, a detta del parroco, manca la disponibilità finanziaria per tali restauri, è impossibile prevedere per quanto tempo il lacerto rimarrà celato e dunque escluso dagli studi. Del frammento si distingue oggi solamente la parte inferiore della torretta di mattoni sulla sinistra. 133 dai due santi partiti dall’Africa per raggiungere la Tuscia. 498 Si tratta dunque, con ogni probabilità, di nient’altro che i primi due episodi di un ciclo di affreschi dedicato alla vita del santo patrono cittadino, che proseguiva presumibilmente sul resto del tamburo. Ciò pare essere confermato anche da saggi recenti effettuati in occasione dei lavori di consolidamento della cupola, che hanno permesso di verificare la presenza di pittura al di sotto dell’intonaco che ricopre la superficie del tamburo. 499 La possibilità di studiare il lacerto soltanto attraverso poche fotografie eseguite prima della sua copertura, le cattive condizioni di conservazione e la distanza da terra, non permettono di esprimere giudizi precisi sulla qualità della pittura, né di suggerire una datazione che non sia solamente ipotetica. Una cronologia alla prima metà del XIII secolo è stata proposta da Alessandro Bagnoli; 500 una simile datazione della decorazione della cupola a qualche decennio prima dell’ampliamento del 1287, rappresenta una conferma dell’anteriorità della cupola rispetto ai lavori di fine Duecento. 501

Il fonte battesimale di Giroldo da Como

La seconda importante commissione che riguardò l’interno della cattedrale fu quella del monumentale fonte battesimale di Giroldo da Como, collocato nella prima campata della navata destra sopra un basamento di tre gradini (fig. 2.218). L’opera si presenta come un grande blocco quadrato, sollevato da terra da quattro figure di fiere acquattate su prede poste sotto gli angoli della vasca, due rivolte verso la navata centrale, una verso la controfacciata e una verso l’abside (figg. 4.3-4.5). Tre dei felini sono leoni, mentre il quarto, il più nascosto perché posto sotto lo spigolo tra la controfacciata e la parete laterale destra, è identificabile con una leonessa per l’assenza della folta criniera che caratterizza i compagni. Ciascuno dei quattro lati della vasca è scandito da cinque arcatelle trilobe sorrette da colonnine dai fusti tortili o incisi da scanalature verticali e zigzagate; il bordo superiore è decorato da una teoria di ovuli e fusarole. Nel lato rivolto verso l’abside sono raffigurati, da sinistra a destra, San Regolo , la Vergine , Cristo in trono , San Giovanni Battista , con in mano un rotolo con inciso “ Ego vox clamantis ”, e San Cerbone ; ciascuna figura è accompagnata dal proprio nome,

498 Per la leggenda agiografica di San Cerbone si veda il capitolo Profilo storico . L’episodio del viaggio in nave dall’Africa alla Toscana è rappresentato, come già visto in precedenza, anche nella prima formella dell’architrave del portale di facciata. 499 Comunicazione orale del restauratore Massimo Gavazzi. 500 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, pp. 78, 79 nota 18. 501 Vedi il capitolo 3. 134 iscritto sul fondo (fig. 4.6). Negli spazi di risulta tra gli archetti e il bordo superiore si incontrano una figurina seduta in trono, contro lo sfondo di un edificio turrito; la decapitazione di San Regolo; due angeli a ali spiegate, rivolti verso il Cristo in trono ; un gruppo di oche in volo e infine due angeli, uno dei quali tiene con le mani un rotolo spiegato dove compare l’iscrizione “ Gloria in excelsis Deo ”, chiari riferimenti alle vicende agiografiche del santo patrono. Il resto del fonte è occupato dalla narrazione degli episodi della vita di San Giovanni Battista, che procedono in senso antiorario iniziando dal lato rivolto verso la navata centrale (fig. 4.7). Qui si incontra, sotto il primo archetto, l’ Annuncio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria , accompagnato dall’iscrizione “ Ne timeas Zacharia ”; seguono l’ Imposizione del nome al Battista , il Battesimo di Cristo , Tre angeli sorreggono le vesti di Cristo , la Predicazione del Battista . Sopra gli archetti sono raffigurati, da sinistra, il profeta Malachia , con in mano un rotolo; la Visitazione ; Cristo in mandorla tra due angeli ; Dio Padre accompagnato da due angeli e dall’iscrizione “ Ecce agnus Dei qui tollit peccata mundi ”; i profeti David , Geremia e Isaia , ognuno con un rotolo spiegato. 502 Sul bordo superiore corre una lunga iscrizione da cui si desumono la data di esecuzione (1267) e i nomi dello scultore (Giroldo da Como) e dell’operaio in carica (maestro Ferruccio di Maestro Mitorino di Torniella). 503 Il lato del fonte rivolto verso la controfacciata presenta sotto l’archetto centrale San Giovanni Battista che battezza , osservato da un gruppo di uomini e uno di personaggi indossanti un elmo nei due scomparti di sinistra, e, a destra, da scribi 504 e due figure a cavallo, queste ultime da identificare, grazie all’iscrizione, 505 coi soldati di Erode giunti per arrestarlo (figg. 4.8-). Sopra gli archetti si incontrano alle due estremità due profeti, e nei restanti spazi i quattro simboli del Tetramorfo . Sull’ultimo lato, quello parallelo alla parete destra dell’edificio, sono narrate le vicende finali della vita del santo, ovvero l’ Arresto del Battista , portato di fronte a Erode in

502 L’identificazione dei profeti e l’interpretazione delle poco leggibili iscrizioni sui rotoli (Malachia: “Ecce ego mitto angelum meum ”; Davide: “ Angelis suis mandavit a te ”; Geremia: “ Priusquam te formarem novi te ”; Isaia: “ Posuit os suum quasi gladium acutum ”) si devono al Petrocchi (L. PETROCCHI , 1900, pp. 42-44). 503 A(NNO) D(OMINI) MCCLXVII INDIC[TIONE XIV] MAG(IST)RO FERRUCCIO (QUON)DAM MAG(IST)RI MICT(O)R[INI DE] TORNIELLA OP(ER)ARIO EXISTENTE HOC OPUS SCUL(P)TUM A MAG(IST)RO GIROLDO (QUON)DAM IACOBI D(E) CUMO AD HONOREM DEI, BEATI IO(HANNI)S BAPTIST(A)E ET BE(A)TISSIMI CERBO(N)I PATRONI NOSTRI (ET) ALIORUM SA(NCT)ORUM DEI. 504 I personaggi nella scena alla destra del battesimo sono forse da identificare come i protagonisti dell’ Interrogazione del Battista da parte dei Sacerdoti e dei Leviti , mentre a sinistra sarebbero rappresentati il Popolo accorso a ricevere il battesimo e i Publicani (C. BARDELLONI , 2000, p. 52 nota 24). 505 MILITES VENERU(N)T AD IOH(ANN)EM BAPTISTAM. 135 trono, il Banchetto di Erode , e infine la Decapitazione del Battista , preceduta da Salomè che riceve la testa del Battista . Gli spazi di risulta tra gli archetti e il bordo superiore sono riempiti da rigogliosi elementi vegetali, accompagnati, nel primo e nell’ultimo, da un pavone di profilo dalla lunga coda. L’interno del fonte è articolato in quattro pozzetti angolari; al centro della vasca, sotto il basamento del tabernacolo marmoreo aggiunto nel 1447, il fondo si abbassa di livello formando un piccolo bacino circolare (fig. 4.8). I primi eruditi a citare il fonte furono Giovanni Targioni Tozzetti, che ne trascrisse erroneamente l’iscrizione riportando la data 1262, 506 Guglielmo Della Valle 507 e Francesco Fontani, che menziona la data come 1226. 508 La prima accurata descrizione si deve al Petrocchi, che analizza ogni singola scena rappresentata sulla vasca e riporta le numerose iscrizioni. 509 Oggetto di un contributo monografico nel 1940, 510 l’opera è stata spesso menzionata con giudizi in genere negativi nella letteratura storico-artistica nel corso dello scorso secolo; 511 testo fondamentale per un inquadramento del fonte all’interno dell’attività di Giroldo rimane l’articolo di Claudia Bardelloni pubblicato nel 2000 su Prospettiva, frutto della sua tesi di laurea dedicata alla ricostruzione del nutrito corpus dello scultore lombardo. 512 L’opera è stata infine inclusa nel recente e approfondito volume sui battisteri e fonti battesimali toscani. 513 Il fonte massetano è, insieme alle lastre del Museo d’Arte Sacra di San Miniato al Tedesco del 1274 e di Montepiano, 514 una delle tre opere datate e firmate da Giroldo da Como, testimonianza dunque fondamentale nella ricostruzione del corpus dell’artista. Il nome di quest’ultimo si rintraccia per la prima volta su due epigrafi conservate a Volterra, una nella Torre di Giovanni Toscano (1250) e l’altra murata nel Battistero ma proveniente dal castello di Monte Voltraio (1252), dove lo scultore si firma Giroldo di

506 G. TARGIONI TOZZETTI , 1751, p. 89; G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, p. 130. 507 G. DELLA VALLE , II, 1785, p. 129 nota 1. 508 F. FONTANI , 1802, p. 64. 509 L. PETROCCHI , 1900, pp. 42-44. 510 C. BRESCHI , 1940. 511 G. DE NICOLA , 1912a, pp. 89-93; G. SWARZENSKI , 1921, p. 189; G. BADII , 1926, p. 51; W. BIEHL , 1926, pp. 87-88; M. SALMI , 1926, p. 60 nota 71; P. TOESCA , 1927, p. 786; M. SALMI , 1928, p. 114; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 157; E. LOMBARDI , 1966, pp. 26-31; E. CARLI , 1976, p. 37; E. LOMBARDI , 1985, pp. 267-271; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33; V. ASCANI , 1995, pp. 775-776; V. ASCANI , 2001, pp. 597-598. 512 C. BARDELLONI , 2000, pp. 21-57. 513 A. DUCCI in Monumenta... , 2011, pp. 117-119, 143, 147 514 La data 1274 e la firma dell’artista sono iscritte su una lapide commemorativa conservata al Museo Diocesano di San Miniato insieme a una lastra raffigurante l’ Annunciazione (A. CALECA in Niveo de marmore , 1992, pp. 241-242; C. BARDELLONI , 2000, pp. 32-34). 136 Jacopo di Lugano, città allora in diocesi di Como. 515 Quest’ultimo è stato identificato con il maestro lombardo attivo a Massa Marittima negli anni ’30 del XIII secolo, dove compare in due documenti del 1231 e 1232 riferibili molto probabilmente alla costruzione della nuova cinta muraria. 516 La prima opera scultorea dell’artista pare essere una lastra datata 1259 raffigurante San Bartolomeo benedicente e un frate orante , conservata nel Castello di Vincigliata ma forse proveniente da Lucca. 517 Segue il rilievo con la Madonna col Bambino nel Museo dell’Opera del Duomo di Prato, proveniente dalla Badia di Montepiano, la cui data incompleta è interpretabile come 1262, 1264 o 1269; opera, per la Bardelloni, da considerarsi precedente al fonte di Massa. 518 Seguono alcuni frammenti scultorei della chiesa di Cireglio, presso Pistoia, da collocare intorno alla metà degli anni ’60; il fonte massetano, del 1267; una figura di San Giacomo in veste di pellegrino, al Museo Civico di Pistoia; le due lastre del Museo Diocesano di San Miniato al Tedesco, del 1274; tre altorilievi nel Museo di Villa Guinigi a Lucca, con un Angelo Annunciante , una Madonna Annunciata e Santa Fausta ; tre rilievi che costituivano la fronte di un sarcofago proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pistoia, uno stemma della famiglia Ammannati, due statuette femminili e un leone con preda, tutti conservati nel Museo Civico di Pistoia e databili alla fine degli anni ’80. La studiosa gli attribuisce infine, in maniera discutibile, alcune opere di ambito nicoliano, come i rilievi ora nell’altare della cappella Castellani in Santa Croce (Firenze), l’acquasantiera con busti del Duomo di Pistoia e il rilievo con San Giorgio che uccide il drago della fiorentina Porta San Giorgio, oggi ricoverato a Palazzo Vecchio. 519 Giroldo compare anche in due atti notarili rogati a Lucca nel 1282 e nel 1284. 520 Nonostante l’approfondita ricostruzione della Bardelloni, la figura di Giroldo meriterebbe un ulteriore esame, che metta in evidenza gli elementi culturali che emergono dalle sue opere e che non si spiegano semplicemente con l’influenza di Nicola Pisano, quali le riprese dal gotico d’oltralpe e da Bisanzio. Per quanto riguarda il fonte battesimale di Massa, esso presenta effettivamente, come sottolinea la stessa studiosa, novità che denunciano la conoscenza dell’attività di Nicola Pisano, appresa forse durante un soggiorno lucchese: gli elementi di modernità rispetto alle opere precedenti

515 C. BARDELLONI , 2000, p. 21. 516 G. TIGLER , 2006, p. 89. Sui documenti, erroneamente citati dal Petrocchi come del 1231 e 1248 (L. PETROCCHI , 1900, p. 19), si veda il capitolo 1, nota 133. 517 C. BARDELLONI , 2000, pp. 21-22. 518 C. BARDELLONI , 2000, pp. 23-28. 519 C. BARDELLONI , 2000, pp. 28-45. Contrario all’attribuzione a Giroldo delle citate sculture è Guido Tigler (G. TIGLER , 2013, pp. 311, 330 nota 13). Sul rilievo della Cappella Castellani si veda anche F. CERVINI , 2007, pp. 30-41. 520 C. BARDELLONI , 2000, p. 21. 137 comprendono le capigliature dei personaggi, la volontà di variarne le fisionomie e di accentuarne la vitalità. 521 L’aggiornamento sull’arte del tempo è visibile anche nei capitellini degli archetti, che imitano i capitelli dell’abbazia di San Galgano, allora in via di conclusione. 522 Valerio Ascani sottolinea la ricchezza decorativa e narrativa delle scene, ma anche un certo sovraffollamento di figure, 523 che dovette spingere Pietro Toesca a leggere nella vasca una “confusione di forme involutamente gotiche”. 524 Ciò che sorprende dell’opera massetana è proprio il grande impegno speso a curare ogni piccolo dettaglio, dalla decorazione, sempre diversa, di ogni singola colonnetta e capitellino, al traforo minutissimo dei troni, all’attenta decorazione a trapano degli elementi vegetali nei pennacchi. Va inoltre sottolineata la consapevole ripresa dell’antico, sia nel motivo decorativo del bordo, a ovuli e fusarole, sia nei panneggi anticheggianti, e l’abbondanza di iscrizioni di commento alle scene raffigurate. Come individuato dalla Ducci, il modello per l’opera di Giroldo pare essere l’incompleto fonte battesimale della pieve di Sant’Ermolao di Calci (PI), 525 degli anni ’80 del XII secolo, nel quale una tradizione riportata dal Repetti vede un’opera destinata originariamente al Battistero pisano (fig. 4.21). 526 Di analoga forma quadrata, esso presenta un unico lato decorato, scandito da cinque arcate sotto le quali sono raffigurati al centro Cristo immerso nel fiume Giordano, San Giovanni Battista alla sua sinistra in atto di battezzarlo, la Vergine e due angeli; negli spazi tra gli archi e il bordo superiore della vasca sono rappresentati angeli dalle ali spiegate. Il fonte massetano riprende dell’opera calcesana la medesima scansione ad archetti - trilobi nel caso duecentesco - su colonnine, sotto ai quali trovano spazio sia gli affollati episodi narrativi della vita del Battista, sia, sul lato rivolto verso l’abside, singole figure frontali sull’esempio di Calci. Il riferimento a tale modello potrebbe essere motivato, come propone la Ducci, da un desiderio della stessa committenza di “ribadire la pisanitas ” di Massa, legata alla città marinara politicamente e religiosamente. 527 Niente sappiamo del fonte battesimale che doveva precedere la vasca di Giroldo da Como, né in che punto della chiesa si trovasse. E’ presumibile, ma solo in via puramente ipotetica, che potesse trattarsi di un semplice fonte monolitico, del tipo più

521 C. BARDELLONI , 2000, p. 522 V. ASCANI , 2001, p. 598. 523 V. ASCANI , 2001, p. 598. 524 P. TOESCA , 1927, p. 786. 525 A. DUCCI , in Monumenta... , 2011, p. 117. 526 E. REPETTI , 1855, p. 146. L’ipotesi è considerata verosimile da Guido Tigler (G. TIGLER , 2006, p. 240), che collega l’incompletezza del fonte a lavori documentati nel Battistero pisano nel 1184, poi interrotti per mancanza di fondi. 527 A. DUCCI , in Monumenta... , 2011, pp. 118-119. 138 diffuso in Toscana, dove in epoca romanica si preferivano vasche di struttura imponente e poligonale, impiantate direttamente sul pavimento. 528 L’attuale collocazione del fonte duecentesco è considerata non originale da Annamaria Ducci a causa della difficile visibilità dei lati rivolti verso le pareti dell’edificio; la studiosa suppone che la posizione dell’opera possa aver subito modifiche durante i lavori di ampliamento della cattedrale iniziati nel 1287, oppure successivamente, in epoca moderna. 529 L’ipotesi non è da escludere, ma rimane oscuro quale sarebbe stata l’ubicazione primitiva del fonte, la cui attuale posizione vicino all’ingresso pare piuttosto usuale. 530 Non esiste documentazione che chiarisca se l’attuale pedana fosse o meno presente ab origine ; in caso contrario girare attorno alla vasca sarebbe forse risultato più agevole. Nel 1447 il fonte subì un’importante modifica, con la sistemazione al centro della vasca di un alto tabernacolo marmoreo che alterò molto la percezione della vasca medievale. Non conosciamo la data esatta invece della sistemazione come “gradino” del battistero del sarcofago antico oggi murato nella prima campata della navata sinistra (fig. 4.22). Il fronte dell’opera è decorato al centro da un clipeo sorretto da due vittorie alate, entro il quale è scolpito il busto di una giovane defunta; sotto il clipeo si trovano due pantere affrontate, mentre alle due estremità del sarcofago sono scolpite le figure di Amore e Psiche che si abbracciano. L’opera appartiene a una tipologia di sarcofago databile tra il III e il IV secolo, di cui si rintracciano altri esempi in Toscana, di sovente oggetto di reimpiego all’esterno e all’interno degli edifici sacri. 531 Luigi Petrocchi fu il primo a individuare un possibile riferimento all’opera in alcune provvisioni conservate all’Archivio Comunale,532 dove il Comune ordina per tre anni consecutivi, dal 1467 al 1469, la ricerca a Massa Vecchia della “bella pila” che andò dispersa durante

528 Si pensi, per citare alcuni esempi, alle vasche monolitiche e prive di decorazione delle chiese di San Pietro in Bossolo (Tavarnelle Val di Pesa, FI), San Cassiano a Settimo (Cascina), San Lorenzo alle Corti (Cascina, PI), Santa Giulia a Caprona (Vicopisano, PI), Santa Luce (PI), Santa Maria a Cellole (San Gimignano, SI); ai fonti poligonali composti da pannelli di San Giorgio a Brancoli, San Giovanni a Cerreto (Borgo a Mozzano, LU), San Jacopo a Boveglio (Villa Basilica, LU) San Cristoforo a Barga, Santa Maria a Diecimo (Borgo a Mozzano, LU), San Giovanni a Pisa. Frequenti sono anche le vasche quadrate, monolitiche – Sant’Agata, Asciano (SI), Santi Giovanni e Reparata a Lucca, San Giovanni Battista a Sesto di Moriano (LU), San Marco a Rigoli (San Giuliano Terme, PI), Sant’Ermolao a Calci (PI) – o composte da lastre intarsiate (Battistero di Pistoia). Anche la pieve campigliese era dotata di un fonte ottagonale, di cui rimangono oggi solamente le fondamenta. Sui fonti battesimali toscani si veda, come ultimo contributo, Monumenta... , 2011. 529 A. DUCCI , in Monumenta... , 2011, pp. 117-118. 530 Come sottolineato dalla stessa Ducci, non pare esistere in Toscana un’unica regola per la sistemazione del fonte battesimale all’interno della chiesa, ecceto la posizione nei pressi della controfacciata, in linea con l’idea del battesimo quale ingresso nella comunità religiosa (A. DUCCI , in Monumenta... , 2011, p. 100). 531 Riccardo Belcari cita, come esempio di riutilizzo di simili sarcofagi all’esterno di una chiesa, i casi di San Paolo a Ripa d’Arno a Pisa e di San Lorenzo a Genova (R. BELCARI , 2005, pp. 218-223). 532 L. PETROCCHI , 1900, p. 62. 139 un’alluvione; la presumibile identificazione di questa col nostro sarcofago ne documenterebbe un ingresso in cattedrale non precedente all’ultimo quarto del Quattrocento. 533 Secondo l’Arus, esso sarebbe stato utilizzato nel 1635 come sarcofago per Donna Maria Cristina, figlia del Duca di Umbria e cognata del Principe di Piombino Orazio Aragona Appiano, ma nel documento relativo alla tumulazione della donna “fra il battesimo et il muro della parte di dietro” non si trova menzione del sarcofago. 534 L’opera è segnalata come “gradino” del fonte da Targioni Tozzetti, 535 da Della Valle 536 e da Fontani; 537 nel 1880, durante i lavori di restauro dell’edificio, ne fu deciso lo spostamento per migliorarne la conservazione e fu murato alla base dell’arcosolio affrescato della prima campata sinistra, appena riscoperto. 538 La sua attuale collocazione è dunque frutto di un allestimento di fine Ottocento, e non un esempio di reimpiego trecentesco, come era stato invece ipotizzato da Salvatore Settis. 539

Altre opere massetane di Giroldo da Como

Il capitellino dell’acquasantiera della navata sinistra

La presenza di Giroldo da Como nella città massetana sembra rivelarsi anche in altre opere. La prima è il capitellino dell’acquasantiera posta di fronte al secondo sostegno del colonnato sinistro (fig. 4.25), 540 nei pressi dell’ingresso laterale dell’edificio, dove fu collocata nel 1935 a sostituzione della pila oggi presso il fonte battesimale. 541 Essa

533 Il testo delle summenzionate provvisioni (ACM, Riformagioni , 15, e, 1467 febbraio 14, c. 217r; ACM, Riformagioni , 15, f, 1468 febbraio 1, c. 300r; ACM, Riformagioni , 15, h, 1469 febbraio 24, c. 384 r) è stato analizzato recentemente da Riccardo Belcari, che ha corretto alcuni errori compiuti dal Petrocchi (R. BELCARI , 2005, p. 222). 534 A. ARUS , 1884, pp. 39-41; A. ADEMOLLO , 1894, p. 178. Il documento citato dall’Arus (AVM, Extraordinarium 1622-1638 , cc. 244 v-244 r), che non ne inserisce il riferimento esatto, è stato trascritto da Federico Roccabianca nella sua tesi di laurea inedita ma consultabile sul sito academia.edu (F. ROCCABIANCA , Società, chiesa e vissuto religioso nella diocesi di Massa e Populonia in epoca medicea , Università di Siena, a. a. 2003-2004, rel prof. Gaetano Greco). 535 G. TARGIONI TOZZETTI , 1770, pp. 130-131. 536 G. DELLA VALLE , II, 1785, pp. 129-130 nota 1. 537 F. FONTANI , 1802, p. 64 538 A. ARUS , 1884, pp. 39-41. 539 S. SETTIS , 1986, p. 480. 540 Petrocchi data l’opera al XIII secolo (L. Petrocchi, 1900, pp. 44-45), mentre per Jussa Eissengarthen, autrice di una tesi dottorale sui fonte e le acquasantiere gotiche in Toscana, si tratterebbe di un’opera della prima metà del XIV secolo (J. EISSENGARTHEN , 1975, p. 54). Per Giuseppe Marchini il capitello è da collegarsi all’intervento di Giovanni Pisano (G. MARCHINI , 1957, p. 40). 541 In una lettera del 4 agosto 1935 l’ispettore onorario Gaetano Badii comunica al Soprintendente che l’acquasantiera poggiante su un leone (oggi collocata accanto al fonte ma al tempo posizionata presso il 140 presenta un bacile di sagoma mistilinea, poggiante su una colonnetta liscia dotata di capitello corinzio a un ordine di foglie d’acanto, tra le quali spuntano, a intervalli regolari, i quattro simboli del Tetramorfo: un’aquila, una protome di bue, un angelo a mezzo busto che tiene un cartiglio e un leoncino (figg. 4.23, 4.24, 4.26, 4.27). La colonna e la larga base modanata appaiono di restauro, mentre il resto dell’opera si mostra in un mediocre stato di conservazione: molto usurato è il capitello, che mostra evidenti stuccature nella parte superiore, ma anche la vasca denuncia cadute di materiale e lacune sul bordo. Ad un’analisi attenta la vasca e il capitello non sembrano opere della stessa epoca: mentre la forma del bacile rientra in una tipologia già trecentesca, di cui fanno parte anche altre acquasantiere di ambito senese databili alla prima metà del XIV secolo, 542 il capitello sembra appartenere ancora al secolo precedente, sia per la resa delle foglie d’acanto, ricche di forellini di trapano, sia per le quattro figurine scolpite sul capitello. Queste, seppur mal giudicabili a causa delle cattive condizioni conservative, mostrano punti di tangenza con i rilievi del fonte battesimale, a cui rimandano il caratteristico modo di contornare gli occhi, con incisioni sottili e quasi circolari, e la figurina dell’aquila, che si ritrova quasi identica in uno dei pennacchi del lato della vasca rivolto verso la controfacciata. Al fonte rimanda anche il motivo anticheggiante a ovuli e perline che corre sul bordo superiore del capitello. Pare dunque di essere davanti all’assemblaggio di due pezzi di epoca diversa, la cui motivazione, e cronologia, rimane oscura; non è oltretutto certo che la vasca sia realmente medievale, e non ottocentesca. Sembra quindi ipotizzabile che a Giroldo da Como fosse stato commissionato, oltre al fonte battesimale, anche un’altra componente dell’arredo interno che comprendeva il capitellino in questione, forse proprio un’acquasantiera, la cui vasca, magari irreparabilmente danneggiata, potrebbe essere stata sostituita nel Trecento.

primo ingresso laterale sinistro) si trova in restauro presso la ditta Fratelli Fiorini, per riparare ai danni provocati da alcuni ragazzi che vi si erano aggrappati durante una cerimonia del 12 ottobre precedente, causandone la caduta e la rottura; Badii aggiunge inoltre che essa verrà spostata presso il fonte, in posizione più riparata, al posto dell’altra pila (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone, Carte fino al 31/12/1998, 4 agosto 1935). 542 Tra queste vanno ricordate la pila nella cattedrale di Siena, posta davanti alla porta della navata laterale destra (S. COLUCCI in Le sculture del Duomo di Siena , 2009, pp. 86-87); l’acquasantiera nell’adiacente Battistero, presso l’ingresso a destra (la compagna di sinistra fu eseguita nel 1899 dallo scultore Maccari; V. LUSINI , 1901, p. 89) e la pila nella chiesa di Santa Maria dei Servi, sempre a Siena. Le pile senesi appena citate, delle quali la vasca massetana rappresenta una versione semplificata per l’assenza di decorazioni vegetali nelle nervature tra le convessità del bacile, possono essere datate alla prima metà del XIV secolo, per un confronto con la vasca del fonte battesimale della collegiata di Poggibonsi (1341), di simile forma, e per la probabile esecuzione della pila del Battistero in contemporanea con l’edificazione dell’edificio (compiuto nel 1325). 141 Frammenti lapidei nel Museo d’Arte Sacra

La seconda opera riferibile al maestro è un frammento di vasca d’acquasantiera conservato al Museo d’Arte Sacra di Massa Marittima; inedito, esso figura come opera di Giroldo da Como nel cartellino del museo (fig. 4.28). Della tazza, originariamente dal profilo quadrilobato con quattro aggetti circolari agli angoli, rimane oggi un lato intero e un terzo dei due adiacenti, il tutto mancante di parte della base inferiore e dunque del fondo. Il frammento presenta un bordo liscio su cui corre un’iscrizione, della quale rimangono le parole (fig. 4.29):

. S . MARCO . EVANGELISTA . A . D . M . C. C….S. MATTEO

Al di sotto dell’orlo vi sono due fasce decorative, la prima contenente un motivo di ovuli e perline, la seconda una serie di foglioline romboidali con la punta rivolta a destra, sovrapposte l’una all’altra con andamento antiorario. Le due fasce sono interrotte sotto gli aggetti angolari del bordo da testine aggettanti con nimbo, di cui ci rimangono una protome leonina e una umana: sono due dei quattro simboli del Tetramorfo, come indica l’iscrizione che corre sopra di esse (figg. 4.30, 4.32). Ciascuna testina poggia su una rigonfia foglia d’acanto, che decora gli angoli del corpo della vasca; questo è ornato al centro di ogni faccia da baccellature. La superficie dell’opera è consunta, l’iscrizione non è perfettamente leggibile ed i tratti delle due testine si presentano molto usurati. I bordi perfettamente resecati del frammento portano a pensare che la spaccatura della vasca non sia da imputare a una rottura accidentale, ma a un intervento volontario, da spiegare forse con uno spostamento dell’oggetto e con una sua nuova sistemazione, magari a muro. L’aspetto delle parti scomparse è ricostruibile abbastanza agevolmente: è certo che la decorazione visibile fosse presente sull’intera vasca, e che ai due angoli perduti ci fossero le testine di un’aquila e di un bue, simboli dei due evangelisti mancanti all’appello (San Giovanni e San Luca). Anche l’iscrizione doveva girare su tutto il bordo, portando i nomi dei due santi assenti e, forse, la firma dell’artista; sopravvive solamente la data di esecuzione dell’opera, leggibile a fatica: sono riconoscibili le prime lettere (A, D, M), della quarta rimangono due stanghette verticali, probabili terminazioni di una C, la quinta è nuovamente una C, dopo la quale rimane lo spazio per una sola lettera, prima della S di S. MATTEO. In questo spazio è riconoscibile con sforzo una lineetta verticale in basso a destra, che potrebbe essere

142 l’estremità sia di una L (1250) che di una terza C (1300). Da un punto di vista stilistico, l’attribuzione a Giroldo da Como è da ritenere plausibile, ed è confortata dai confronti con opere da lui firmate o a lui attribuite, quali i leoni alla base del fonte battesimale della cattedrale (fig. 4.31), la lastra dalla Badia di Montepiano e le testine murate all’esterno della chiesa di Cireglio (fig. 4.33): allo scultore lombardo rimanda ad esempio la caratteristica definizione del contorno degli occhi con incisioni leggere e sottili e della pupilla con un piccolo forellino. La paternità dell’opera sembra però contrastata dalla data inscritta sul bordo, comunque essa venga interpretata: se una cronologia all’anno 1250 è stilisticamente inverosimile, perché si percepisce un’attenzione alla volumetria che Giroldo acquisisce solo più avanti grazie al contatto con Nicola Pisano, una collocazione all’anno 1300 pare troppo tarda per un artista la cui prima attestazione risale al 1250 e l’ultima al 1284. In quest’ultimo caso si potrebbe pensare all’opera di uno stretto seguace dello scultore, che ne perpetua fedelmente lo stile. 543 Considerando tuttavia le mediocri condizioni dell’iscrizione, e dunque una sua possibile erronea interpretazione, è forse più prudente lasciare sospesa la questione della datazione e limitarsi a collegare il frammento all’ambito di Giroldo. L’opera si trovava fino al 2005 nella chiesa di Sant’Agostino, murata in una parete d’angolo con la sagrestia,544 in una collocazione certamente non originaria; alla chiesa pervenne dai depositi comunali, 545 ma non abbiamo notizia di sue vicende precedenti, né di quale fosse l’edificio per cui era stata originariamente creata. Nello stesso museo vengono collegati a Giroldo anche due frammenti di cornice decorata con un motivo di ovuli e fusarole, provenienti dalla cattedrale e in tutto analoghi al bordo superiore del fonte battesimale (fig. 4.34); è possibile che vadano identificati con la cornice “uguale

543 In tal caso un buon candidato potrebbe essere il figlio Lapo, del quale rimangono un Angelo Annunciante e una Vergine Annunciata nell’Accademia di Belle Arti di Carrara, che l’artista firma e data con caratteri onciali assai simili a quelli del frammento massetano. Le due figure, già citate da Salmi (M. SALMI , 1928, p. 121, n. 63), che riconosceva nello scultore il figlio di Giroldo, sono state esposte nella mostra di Sarzana del 1992 (M. CATALDI , in Niveo de Marmore , 1992, p. 305). La data incisa sulla base della figura dell’ Angelo Annunciante manca dell’ultima (o ultime) cifra (MCCCXX..).Un confronto stilistico con le testine della pila massetana risulta però molto arduo, dato che purtroppo la figura della Vergine ci è giunta acefala, e il volto dell’Angelo molto consunto. Allo stesso scultore è stata anche attribuita la lastra con l’ Annunciazione murata nel fianco destro della cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze e appartenente alla sepoltura della Compagnia dei Laudesi: già collegato all’ambito di Giroldo da Salmi, esso è stato attribuito a Lapo di Giroldo da Ascani (V. ASCANI , 1995, pp. 775-776) e dalla Bardelloni (C. BARDELLONI , 2000, p. 44); per Gert Kreytenberg si tratta invece di un artista fiorentino attivo negli anni ’30 del XIV secolo (G. KREYTENBERG in La cattedrale di Santa... , II, 1995, pp. 149-150) e per Enrica Neri di “un debole maestro nella tendenza di Giroldo da Como” (E. NERI in Arnolfo: alle origini... , 2005, p. 368). Il rilievo si mostra tuttavia di qualità molto inferiore a quella del frammento massetano. 544 Comunicazione orale della dottoressa Roberta Pieraccioli, direttrice del Museo d’Arte Sacra. 545 C. BRUNI , scheda OA 0900125342, 1980 (con datazione al XII secolo e errata interpretazione dell’iscrizione come un passo di un canto liturgico dal libro di Ezechiele). 143 alla cimasa della vasca del battistero” di alcuni frammenti della mensa del primitivo altare della cappella alla sinistra dell’abside, rinvenuti dopo la rimozione di parte dell’altare in stucco ancora esistente. 546 Non sembra riferibile invece al maestro lombardo l’acquasantiera posta attualmente davanti alla prima colonna destra, nei pressi del fonte, attribuita a Giroldo da Swarzenski 547 e da Riccardo Belcari, ma solo per quanto riguarda la figura stilofora. 548 Come vedremo più avanti, l’opera pare databile alla fine del secolo XIII o all’inizio del XIV, e venne probabilmente eseguita durante i lavori di ampliamento della cattedrale.

La fase gotica

L’ampliamento dell’edificio e il completamento della facciata

Nella settima campata della navata destra, murata in alto sul semipilastro che fa angolo con la cappella Galliuti, si trova la nota iscrizione considerata unanimamente come testimonianza dell’inizio dei lavori di ampliamento che coinvolsero la parte terminale della cattedrale (fig. 4.35): INCEPTUM FUIT HOC / OP(US) A(NNO) D(OMINI) MCCLXXXVII / IND(ICTIONE) XV BIGALLO OPERARIO / EXISTENTE Q(UI) FEC(IT) AUGM(EN)/TARI ECCL(ES)IAM [...] PISA/NUS ME FECIT L’epigrafe è collocata esattamente nel punto di passaggio tra il corpo romanico dell’edificio e la sezione aggiunta; la successione delle fasi è chiaramente visibile nella settima coppia di pilastri della navata centrale, dove coabitano i capitelli del XII secolo della primissima campagna di lavori e quelli già pienamente gotici di fine Duecento (figg. 2.149-2.156). La stessa compresenza si nota anche nei semipilastri al termine delle settime campate delle navate laterali, come già evidenziato nel capitolo dedicato alla descrizione dell’edificio (figg. 2.201, 2.233). Alla cattedrale romanica vennero aggiunte due nuove campate, la vasta abside poligonale, le due cappelle ai suoi lati e le cappelle che si aprono nelle ottave campate formando una sorta di transetto. Diverse sono state in passato le opinioni degli studiosi sulla paternità della nuova area presbiteriale e sull’interpretazione da dare alla volontaria cancellazione, nell’epigrafe,

546 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 9 luglio 1940, carta s.n. 547 G. SWARZENSKI , 1921, p. 189. 548 R. BELCARI , 2005, p. 226 nota 77. 144 della parola precedente l’aggettivo pisanus .549 Luigi Petrocchi, in base alla misura della lacuna nell’iscrizione e a confronti stilistici tra il terzo ordine della facciata, generalmente ritenuto coevo all’allungamento della cattedrale, e il pulpito di Sant’Andrea a Pistoia, completa l’iscrizione con il nome ‘Jokes’ e attribuisce l’intervento a Giovanni Pisano: lo spazio cancellato sembra potere difatti ospitare quattro o al massimo cinque lettere, e sopravvive ancora un segno abbreviativo per una S sopra l’ultima lettera. 550 L’interpretazione del Petrocchi viene accettata da Walter Paatz (1937), 551 che prende in esame l’attività architettonica di Giovanni e del padre. Diversa è l’opinione di Enzo Carli (1941, 1976), che esclude che la lacuna dell’epigrafe sia da completarsi coll’abbreviazione per contrazione del nome Johannes e nega il legame tra l’ampliamento dell’edificio e il completamento della facciata, assegnando quest’ultimo a un seguace umbro di Giovanni Pisano, formatosi sui rilievi della fontana perugina e autore anche delle sculture del portale laterale della collegiata dei Santi Quirico e Giulitta di San Quirico d’Orcia. 552 Condividono invece l’attribuzione dell’ampliamento e del terzo ordine della facciata al celebre architetto Pietro Toesca (1951), che intravede somiglianze tra le membrature esterne dell’abside e i pilieri angolari del prospetto del Duomo senese, 553 e John Pope-Hennessy (1955). 554 Giuseppe Marchini, pur non condividendo l’integrazione della lacuna dell’epigrafe col nome di Giovanni, 555 conferma il riferimento del prolungamento all’artista pisano, per confronti con la facciata della cattedrale senese, le sculture di San Quirico d’Orcia, i pulpiti di Pisa e Pistoia, ma anche con la chiesa fiorentina di Santa Trinita, di cui lo studioso accoglie l’attribuzione a Nicola Pisano suggerita dal Vasari e accettata dal Paatz. 556 Confermano la paternità giovannea Enrico Lombardi (1966), Valentino Martinelli (1969), Angiola Maria Romanini (1971) e Henk Van Os (1984). 557 John White, sulla base della lettura di ciò che rimane della parola cancellata nell’epigrafe, esclude categoricamente che possa trattarsi di Giovanni Pisano, e propende piuttosto per un architetto legato all’atelier guidato prima da Nicola poi dal figlio, sottolineando

549 L’epigrafe è riportata anche da Monica Vannucci come esempio di una tipologia di iscrizione frequente dal XIII secolo, dove compaiono il nome dell’operaio e la provenienza dell’artista, tipico del XIII secolo (M. VANNUCCI , 1987, p. 123). 550 L. PETROCCHI , 1900, pp. 28-33. 551 W. PAATZ , 1937, pp. 37-43. 552 E. CARLI , 1941, pp. 61-69; E. CARLI , 1976, pp. 22-24. 553 P. TOESCA , 1951, pp. 42-43 note 30-31. 554 J. POPE -HENNESSY , 1955, p. 179. 555 G. MARCHINI , 1957, p. 40. 556 G. MARCHINI , 1957, pp. 38-41. 557 E. LOMBARDI , 1966, pp. 18-20; V. MARTINELLI , 1969, pp. 33-34; A. M. ROMANINI , 1971, pp. 59, 62; H. W. VAN OS, 1984, p. 141. 145 l’armonia e la qualità dell’aggiunta. 558 Sicuri dell’attribuzione sono invece Cesare Brandi (1985), che rileva nell’abside influenze dell’architettura francese che avvalorerebbero la tesi di un viaggio di Giovanni in Francia, 559 Géza Jászai (1995) 560 e Antonino Caleca (1996), al quale “pare impossibile che un architetto-scultore pisano diverso da lui abbia realizzato a partire dal 1287-88 un complesso stilisticamente così caratterizzato”. 561 Anche Guido Tigler (2006) accetta l’identificazione con Giovanni Pisano, ma attribuisce al maestro solo la progettazione architettonica, assegnando a un suo collaboratore, attivo anche a San Quirico d’Orcia, l’esecuzione delle sculture del terzo ordine del prospetto. 562 Dethard von Winterfeld (2007) conferma lo stretto legame tra l’ampliamento della chiesa e la bottega giovannea, mediante confronti tra il Duomo massetano e quello senese, ma data il terzo ordine della facciata entro il 1287, ribaltando il rapporto di dare-avere tra Massa e Siena e facendo della prima, per alcune sue parti, il precedente della seconda. 563 La partecipazione di Giovanni Pisano al cantiere massetano è considerata possibile da Sabina Spannocchi (2008). 564 Diversa è infine l’opinione del gruppo di lavoro incaricato dei restauri che interessano al momento la zona presbiteriale, i cui risultati sono stati in parte anticipati in un testo del 2010,565 e poi comunicati nel novembre del 2012 all’interno del convegno Città e Territorio , i cui atti sono stati pubblicati alla fine dell’anno successivo: 566 l’indagine archeologica sugli alzati avrebbe difatti permesso l’individuazione di tre fasi diverse nell’area presbiteriale della chiesa, la prima della prima metà del Duecento, la seconda attribuibile a Giovanni Pisano e la terza conclusa entro il primo decennio del XIV secolo (figg. 4.36, 4.37). La fase costruttiva successiva a quella romanica, ma precedente a quella del 1287, avrebbe comportato un primo prolungamento della chiesa, che consisterebbe nell’erezione, fino al livello di gronda, dei muri perimetrali delle due navate laterali in corrispondenza dell’ottava e della nona campata. 567 Alla stessa campagna edificatoria sarebbero da riferire anche l’abbassamento del primitivo presbiterio rialzato, il rifacimento del fianco sinistro, la costruzione del tamburo ottagonale della cupola e quella del campanile; non si sarebbe invece proceduto alla partizione interna dei volumi, e forse nemmeno

558 2 J. WHITE , 1987 , pp. 54-56. 559 C. BRANDI , 1985; pp. 38-39. 560 G. JÁSZAI , 1995, p. 753. 561 A. CALECA , 1996, p. 17. 562 G. TIGLER , 2006, p. 91. 563 D. VON WINTERFELD , 2007, pp. 32-35. 564 S. SPANNOCCHI , 2008, pp. 39-41. 565 N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , in Sacre Materie... , 2010, pp. 32-33. 566 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, pp. 76-79. Gli stessi dati sono editi in N. MONTEVECCHI , A. SBARDELLATI , 2013, pp. 171-176.. 567 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 77-78. 146 all’erezione della parete di fondo. 568 Per questa fase intermedia il gruppo di restauro ha proposto una datazione alla prima metà del XIII secolo. La successiva campagna di lavori, riferibile all’epigrafe del 1287 e al nome di Giovanni Pisano, avrebbe portato a compimento la fase precedente, con l’articolazione dei volumi interni, la costruzione della parte finale del cleristorio al di sopra della navata centrale e forse la copertura voltata dell’ottava campata sinistra; a questa maestranza andrebbero attribuiti i semicapitelli della parte superiore dei settimi pilastri, le ultime due coppie di sostegni e i capitelli dei semipilastri delle navate laterali posti tra l’ottava e la nona campata. 569 Questa seconda fase – la terza, considerando quella romanica come la prima –, caratterizzata da una grande cura nella realizzazione delle murature e della decorazione architettonica, si sarebbe conclusa all’inizio del XIV secolo, prima forse della realizzazione della copertura o della parete tergale. 570 Nella quarta e ultima fase costruttiva si sarebbero edificate l’abside e le due cappelle ai suoi lati, dopo aver demolito, se già esistente, la precedente terminazione; sarebbero state inoltre concluse le coperture a crociera delle ultime due campate della navata sinistra. 571 Non viene invece indicata nel testo una datazione per le due cappelle del ‘transetto’. Se confermati da successive analisi, i risultati pubblicati dai restauratori, e da loro stessi considerati provvisori, rappresenterebbero un deciso stravolgimento della tradizionale opinione della critica, che non ha mai contemplato la possibilità di un ampliamento dell’edificio prima della data tramandata dalla nota epigrafe. In attesa di conoscere i dati definitivi che verranno presumibilmente divulgati al termine dei restauri, si potranno in questa sede mettere in luce alcuni elementi che sembrano in parte contrastare con le opinioni dei restauratori, ed altri che paiono al contrario avvalorarli. Il primo elemento che sembra opporsi all’idea di un ingrandimento della chiesa prima della fine del Duecento è l’epigrafe del 1287. Supponendo infatti che, anche se non concluse nella loro parte terminale, l’ottava e la nona campata fossero già state costruite precedentemente, l’espressione “ augmentari ecclesiam ” utilizzata nell’iscrizione perderebbe di senso: i lavori del 1287, limitandosi, secondo gli stessi restauratori, all’articolazione interna delle ultime due campate e alla costruzione del cleristorio, 572 non avrebbe aumentato la grandezza della chiesa, ma semplicemente portato a termine dei lavori già avviati. La stessa posizione dell’epigrafe, murata sul semipilastro tra la

568 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. 569 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. 570 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. 571 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78-79. 572 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. 147 settima campata destra e la cappella Galliuti, sembrerebbe indicare che proprio da quel punto siano partiti i lavori a cui fa riferimento l’iscrizione, anche se in assenza di scavi archeologici non vi è certezza che la chiesa romanica terminasse con la settima campata, è anzi possibile che ve ne fosse almeno un’altra. 573 Passando alla muratura delle pareti laterali delle ultime due campate, essa è giudicabile serenamente solo dall’esterno della nona campata sinistra, dato che sulle ottave campate si aprono le due cappelle del ‘transetto’ e la parte terminale della navata destra è nascosta da costruzioni addossate; meno agevole risulta l’osservazione del paramento dall’interno, a causa delle tracce di intonaco (figg. 2.209, 2.242). Innegabile appare in effetti la differenza di muratura tra la parete laterale della nona campata, in travertino poroso, e il paramento in travertino grigio e compatto del cleristorio soprastante, dell’abside e delle due cappelle adiacenti (fig. 2.74). Le attuali basi della quinta, sesta e settima coppia di sostegni, da un punto di vista materiale, sembrano al contrario essere state realizzate con la pietra più scura di queste ultime parti dell’edificio (figg. 3.136-3.139). Parrebbe dunque che il rifacimento delle sezioni inferiori dei citati pilastri e colonne sia riferibile alla fine del Duecento, piuttosto che a un intervento della prima metà del secolo come suggerito dai restauratori; 574 in tal caso risulterebbe più difficile retrodatare alla prima metà del Duecento la demolizione del presbiterio rialzato. Per quanto riguarda la cupola e la torre campanaria, entrambe riferite alla fase della prima metà del Duecento dai restauratori, si può ricordare che la presenza dell’affresco duecentesco offre solamente un terminus ante quem per la costruzione del tamburo, e che i particolari decorativi originali del campanile sono confrontabili con l’apparato scultoreo della facciata dell’edificio attribuibili alla seconda maestranza ‘lombarda’. 575 Detto ciò, non potendo comunque escludere che vi siano state delle modifiche alla struttura romanica precedenti all’intervento del 1287, è necessario lasciare la questione in sospeso, fino al termine dei restauri nell’anno 2014 e alla conseguente pubblicazione dei risultati definitivi. 576

Come già anticipato nel resoconto della fortuna critica di questa parte dell’edificio, numerosi sono gli elementi che in passato hanno consentito di collegare, in maniera

573 Vedi capitolo 3. 574 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78. Nello stesso testo però, alla figura a p. 77, le integrazioni sono indicate con la stessa colorazione della fase post 1287. 575 Vedi il capitolo 3. 576 La futura pubblicazione dei dati raccolti è stata anticipata in A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 79 nota 8. 148 plausibile, l’aggiunta duecentesca al nome di Giovanni Pisano. Il primo e il più dibattuto è proprio l’iscrizione murata nella settima campata destra della cattedrale. Il toponimico Pisanus dell’architetto che segue la lacuna dell’epigrafe porta automaticamente a cercare tra gli artisti con tale nome, e la data 1287 riconduce naturalmente a Giovanni. Lo spazio cancellato poteva ospitare quattro o cinque lettere; del nome non rimane che un segno abbreviativo a forma di comma che stava sopra all’ultima lettera, ‘scampato’ alla cancellazione della parola; il segno sostituisce generalmente la desinenza –us , come difatti accade al secondo rigo della stessa iscrizione, nella parola op(us) , ma può essere utilizzato per rappresentare una semplice s o come segno abbreviativo generale. 577 Non si riesce invece a distinguere il segno orizzontale sottostante l’iscrizione all’inizio della lacuna, che Petrocchi interpretava come la base di una J.578 Si potrebbe comunque ipotizzare, per far rientrare nello spazio scalpellato il nome di Giovanni, all’originaria presenza delle lettere johe , con il comma finale per la s e un segno sopra la h per la contrazione del nome johannes , che doveva essere al nominativo. Il nome appare così contratto anche in altre iscrizioni-firma dello scultore, quali il pulpito di Sant’Andrea a Pistoia579 e il basamento della Madonna col Bambino della Cappella Scrovegni a Padova. 580 Misterioso rimane il motivo della suddetta cancellazione, di certo non imputabile a un’eventuale volontà ‘politica’ di eliminare il riferimento alla città di Pisa, data la sopravvivenza del toponimico. Enzo Carli ha ipotizzato, con molta prudenza, che il nome sia stato cancellato in seguito al subentrare di una nuova maestranza, forse senese, al primo maestro pisano. 581 Suggestiva è l’idea di Sara Cumoli, autrice di una tesi di laurea sul Duomo discussa nel 2001, che suppone che l’eliminazione del nome di Giovanni sia stata eseguita come segno di riverenza nei confronti della città di Siena, che lo scultore aveva improvvisamente abbandonato nel 1297, a causa dei gravi dissidi con gli Operai del Duomo. 582 Si potrebbe anche immaginare che Giovanni abbia lasciato, per simili contrasti, anche il cantiere massetano prima della conclusione dei lavori, e che sia stato deciso, per rivalsa, di non consentire al suo nome di restare legato alla cattedrale. Rimane comunque difficile, nella totale assenza di fonti che tramandano il testo

577 G. CENCETTI , 1997, pp. 399-400. 578 L. P ETROCCHI , 1900, p. 32. 579 SCULPSIT IOH(ANN)ES QUI RES NO(N) EGIT INANES. NICOL(A)I NAT(US) SENSIA MELIORE BEATUS. QUE(M) GENUIT PISA DOCTU(M) SUP(ER) OMNIA VISA. 580 DEO GRATIAS OPUS JOH(ANN)IS MAGISTRI NICOLI DE PISIS. 581 E. CARLI , 1976, pp. 22-24. 582 S. CUMOLI , La Cattedrale di Massa Marittima , Università degli Studi di Pisa, a. a. 2000-2001, rel. prof. A. Caleca. 149 originale dell’iscrizione, forse modificata poco dopo la sua esecuzione, che si giunga alla soluzione dell’enigma, e che l’epigrafe possa costituire più di un semplice indizio per l’attribuzione dell’ampliamento dell’edificio. Il secondo elemento a favore della paternità giovannea di questa sezione della cattedrale è offerto dal confronto stilistico, che coinvolge in particolare gli elementi scultorei. Decisivo è il raffronto, già proposto da Enzo Carli, 583 tra il capitello posto all’inizio della nona campata sinistra della cattedrale, all’ingresso della cappella del ‘transetto’, e il rilievo incluso tra il capitello del pilastro angolare sinistro e i capitelli della strombatura del portale laterale sinistro della facciata del Duomo di Siena (figg. 4.38, 4.39). Questo presenta al centro un mascherone barbuto racchiuso in un rigoglioso girale vegetale, posto tra due simili elementi fitormorfi, dei quali quello sinistro include una protome umana, e affiancato in alto da due putti che suonano un corno, e in basso da due quadrupedi seduti (cavalli?). La seconda testa trova un corrispettivo quasi sovrapponibile nella protome posta come fiore d’abaco del capitello massetano, mentre il gesto dei putti suonatori è replicato nella figurina abbigliata con una lunga veste che alla sinistra del capitello sale decisa su una foglia d’acanto, aggrappandosi con la mano destra a una voluta e portandosi la mano sinistra alla bocca come per suonare un corno, ormai perduto assieme al braccio che lo sorreggeva. Caratteri alla Giovanni Pisano mostrano anche le figure stilofore del terzo ordine del prospetto e la coppia di leoni che ne chiude gli spioventi (figg. 4.40-4.44); la contemporaneità di esecuzione della parte terminale dell’edificio e il coronamento della facciata è confermata dall’utilizzo dello stesso travertino, grigio scuro e compatto; dal confronto tra i leoni posti alle estremità del prospetto (figg. 4.40-4.41) e i leoncini dell’angolo destro del capitello all’ingresso della Cappella del Rosario (fig. 4.38); dal fogliame dei capitelli, a crochet o d’acanto con la punta ripiegata all’indietro (figg. 2.42, 2.43), che riappare all’interno dell’edificio nel capitello posto tra la nona campata e la cappella laterale alla sinistra dell’abside (fig. 2.210), e nella faccia frontale del capitello del pilastro tra l’abside e la cappella laterale destra (fig. 2.160). Il telamone barbato col ginocchio destro a terra e il sinistro rialzato è avvicinabile, come già sottolineato negli studi, 584 all’analoga figura alla base di una delle colonne del pulpito di Sant’Andrea a Pistoia (1298-1301), del quale viene solitamente considerata una versione semplificata (fig. 4.45); di diverso avviso è

583 E. CARLI , 1941, pp. 20-21 nota 3. 584 L. PETROCCHI , 1900, pp. 32-33; G. TIGLER , 2006, p. 91; D. VON WINTERFELD , 2007, pp. 32-33. Enrico Lombardi parla invece della vicinanza delle figure stilofore con opere conservate a Prato, intendendo forse Pistoia (E. LOMBARDI , 1966, pp. 18-20). 150 Dethard von Winterfeld, che lo considera precedente a quello pistoiese, paragonandolo al caso dell’architrave della facciata del Duomo di Siena, opera di bottega che tuttavia precede, in alcuni particolari iconografici, il pulpito della cattedrale pisana. 585 Il cavallo è stato avvicinato al Toro nella facciata della cattedrale di Grosseto da Annarosa Garzelli, che considerava le figure massetane e quelle grossetane come il tramite, per alcune figure del prospetto del Duomo di Orvieto, della conoscenza della scultura di Giovanni Pisano; 586 la stessa scelta di inserire la figura di un cavallo nel prospetto deriva dalla cattedrale senese. I due leoni laterali sono invece confrontabili con il leoncino reggiarcata del portale sul fianco della collegiata dei Santi Quirico e Giulitta, attribuito alla bottega di Giovanni e avvicinato, come già accennato, al terzo ordine della facciata di San Cerbone da Carli e Tigler (figg. 4.46, 4.47); il legame con San Quirico d’Orcia non sembra consentire, tuttavia, di supporre un’identità di mano con le sculture massetane. Queste ultime andranno considerate, per la loro qualità non eccelsa, opera della bottega giovannea; certi caratteri quali l’aspetto grezzo della superficie e una certa sproporzione anatomica, percepibile sia nel telamone sia nel grifone, andranno comunque valutati nell’ottica della loro originaria collocazione ad una notevole distanza da terra, e della prevista visione dal basso, condizioni non riproducibili nell’attuale sistemazione museale. L’idea di porre un telamone a sostegno non di un portale, come a San Quirico d’Orcia, né della cassa di un pulpito ma nella parte alta della facciata trova i suoi precedenti in architetture romaniche quali il Duomo di Lucca o il secondo ordine del Duomo di Massa stesso. Il legame tra Giovanni Pisano e il cantiere della cattedrale massetana è in ultimo confermato dalla presenza in cattedrale di un Crocifisso ligneo a lui attribuibile, riconosciuta come opera autografa soltanto nel 1977 da Max Seidel, 587 che ha trattato la scultura in più di un contributo (figg. 4.48-4.50).588 L’alta qualità del manufatto, conservato oggi nel Museo d’Arte Sacra, è emersa in seguito al restauro degli anni ’80 del secolo scorso, che asportando le varie ridipinture subite dal crocifisso nei secoli ha riportato alla luce la finitura pittorica originale. 589 All’interno della produzione lignea di Giovanni Pisano, presumibilmente in gran parte perduta, l’opera è confrontabile stilisticamente con i crocifissi della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia e del Duomo di

585 D. VON WINTERFELD , 2007, p. 33. 586 A. GARZELLI , 1969, p. 139. 587 M. SEIDEL , 1977, pp. 3, 11. 588 M. SEIDEL , in Scultura dipinta... 1987, pp. 28-29; M. SEIDEL , 1991, pp. 67-77; M. SEIDEL , in Sacre Passioni... , 2000, p. 79; M. SEIDEL , 2001, pp. 65-157: 75. 589 Per la relazione del restauro eseguito da Barbara Scheicher si veda M. SEIDEL , 1991, pp. 76-77 nota 15. 151 Prato, entrambi databili intorno all’anno 1300, e con la formella della Crocifissione del pulpito pistoiese, terminato nel 1301. 590 La sua pertinenza originale all’arredo interno della cattedrale massetana trova conferma nella citazione che dell’opera viene fatta nel Reliquiario della croce d’argento, opera di più artisti tra i quali spicca il nome di Andrea Pisano, la cui provenienza dal Duomo è provata dalla presenza dell’immagine di San Cerbone negli smalti che decorano il retro della croce (fig. 5.82). 591 Non è chiaro quale fosse al tempo la sua collocazione in cattedrale: è probabile che venisse conservato in sagrestia, e portato fuori solo in occasione di processioni pubbliche.

Condivisibile è la discontinuità messa in evidenza dai restauratori tra la due campate dell’ampliamento e la parte terminale della chiesa, ovvero l’abside e le due cappelle laterali. 592 La differenza è percepibile soprattutto nella decorazione architettonica, di qualità discretamente inferiore; spicca inoltre una certa disinvoltura nell’utilizzo di motivi vegetali differenti nella stessa membratura architettonica (come ad esempio nel capitello del pilastro tra l’abside e la cappella laterale destra, fig. 2.159), nell’unione di sezioni di oggetti diversi (come nel capitello del semipilastro nella parete laterale sinistra, all’ingresso della cappella della Madonna delle Grazie, in cui è inserita parte di un capitello a sezione circolare, fig. 2.210) e nel reimpiego di materiale della fabbrica romanica (come, all’esterno, nella cornice a foglie lisce e volute che corre in alto, analoga a quella sopra il cleristorio sinistro, fig. 2.116). Mentre nella parte iniziale del prolungamento si prediligevano l’acanto classico del corinzio o il fogliame mosse dal vento, in questa fase, ovvero nel punto di unione tra l’ultima campata delle navate e il presbiterio, compaiono i capitelli a crochet , presenti anche nel terzo ordine della facciata, dove il rapporto tra il telamone e l’analoga figura del pulpito pistoiese fanno pensare a una realizzazione dei primi anni del XIV secolo; nelle basi d’imposta degli archetti delle monofore delle tre cappelle absidali si predilige invece un motivo di foglie d’acanto più carnose e segnate da profonde e grosse venature (figg. 2.176, 2.213, 2.246, 2.247). Forti sono le similitudini tra la decorazione esterna dell’abside, con tre alte ghimberghe che sormontano i finestroni, ornate da gattoni sulla parte superiore (perduti sono quelli della ghimberga di destra) e da dentelli in quella inferiore, e il terzo piano del Battistero pisano, scandito da un ordine di cuspidi triangolari a coronamento delle bifore,

590 M. SEIDEL , 1991, pp. 70-71. 591 M. SEIDEL , 1991, p. 72. 592 A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 78-79. 152 anch’esse arricchite da cani correnti e dentelli (fig. 4.51). Le analogie, che comprendono anche le cornici che collegano le ghimberge e le finestre, sono state considerate da Enzo Carli 593 e Guido Tigler una conferma dell’appartenenza del terzo ordine del Battistero all’intervento di Giovanni Pisano, piuttosto che a una fase costruttiva del terzo quarto del XIV secolo. 594 I due doccioni leonini posti in alto ai lati della ghimberga centrale dell’abside (figg. 4.53, 4.54) sono, nelle loro forme solide e compatte, ormai distanti dai tormentati e dinamici leoni giovannei, e mostrano piuttosto punti di contatto con sculture delle maestranze attive a Siena nei primi decenni del Trecento, dopo l’allontanamento di Giovanni: si confrontino, ad esempio, con le protomi leonine nelle losanghe dei pilastri della facciata del Battistero senese (1320-1326) (fig. 4.55). 595 Notevoli somiglianze si possono d’altronde ravvisare tra le tre guglie collocate al vertice (figg. 4.56, 4.57) e alla base degli spioventi del terzo ordine del prospetto massetano, e la decorazione della parte alta dei piloni angolari e dei pinnacoli posti a coronamento dell’ultimo piano della facciata del Duomo di Siena, rifatti nel XVI secolo verosimilmente su modello delle guglie preesistenti: 596 le analogie comprendono non solo i doccioni animali, ma anche la doppia cornice che taglia orizzontalmente le nicchie a sesto acuto su ciascun lato della guglia, e i simil-boccioli posti al culmine delle stesse (fig. 4.58). Il ripido declivio del terreno in corrispondenza della nuova terminazione, con la quale l’edificio si espandeva sensibilmente verso sud-ovest, dovette suggerire lo sfruttamento della parte inferiore della neocostruita abside con l’edificazione di un altro ambiente, il cosiddetto ‘soccorpo’, con una soluzione simile a quella adottata nel Duomo senese, con la costruzione del Battistero che supportasse l’ampliamento verso Vallepiatta. Il nuovo ambiente non era al tempo accessibile dalla cattedrale soprastante, di cui non costituiva la cripta; esso veniva utilizzato, come segnalato dal Petrocchi, come sede della compagnia della Santissima Trinità e del Santo nome di Gesù. 597 Il collegamento con il

593 Il Duomo di Pisa ..., 1989, p. 181. 594 G. TIGLER , 2006, p. 64. L’attribuzione del terzo ordine del Battistero a Giovanni Pisano è proposta anche da Antonino Caleca (A. CALECA , 1991, pp. 157-161). 595 Come ultimo intervento sulla decorazione della facciata del Battistero si veda Scultura gotica senese , 2011, p. 111. 596 La facciata del Duomo venne conclusa entro il 1317 (A. MIDDELDORF KOSEGARTEN , 1984, p. 32). 597 L. PETROCCHI , 1900, p. 69. Altre compagnie religiose presenti a Massa erano la compagnia di Santa Croce, il cui oratorio si trovava dietro la cattedrale, ed era al tempo dello studioso utilizzato come magazzino della famiglia Moris; la compagnia della Madonna del Poggio, la cui sede divenne la chiesa di San Pietro all’Orto dopo la costruzione dell’adiacente Sant’Agostino; la compagnia di San Bartolomeo e San Francesco, il cui oratorio si trovava nel chiostro di San Francesco, e dal 1377 la chiesa di San Bartolomeo in Città Nuova; infine la compagnia di San Michele Arcangelo, la cui sede era inizialmente presso Porta al Teatro, poi nel XVI secolo nella chiesina di san Lorenzo, e infine, dopo la demolizione di questa nel 1835, nella chiesa di San Michele, ristrutturata nel 1955 per ospitare la Biblioteca e l’Archivio 153 Duomo venne creato solo alla metà del secolo scorso, 598 con la costruzione di una rampa di scale che da una porta nella nona campata della navata laterale sinistra permette la discesa al livello inferiore e l’ingresso al soccorpo. Per fare questa modifica venne eliminata la Cappellina delle Reliquie, un piccolo ambiente descritto in una perizia dell’ingegnere del Circondario Maestrelli, negli anni ’30 dell’Ottocento, 599 poi da Arus e Petrocchi. 600 Non ci sono giunte immagini dell’interno di questa cappella, presente nella pianta della chiesa disegnata da Egisto Bellini (fig. 4.59), 601 ma è possibile vederne l’esterno in foto d’epoca di fine Ottocento e primo Novecento, dove appare come un piccolo corpo di fabbrica addossato alla cappella sinistra del ‘transetto’, dotata di un tetto a un solo spiovente posto immediatamente sotto l’oculo, al tempo murato, le cui tracce si rilevano ancora oggi nel paramento esterno della nona campata (fig. 4.60). Sull’architrave della porta che oggi conduce alla rampa è incisa la data MCMXLVII. L’ambiente del soccorpo, la cui ampiezza è identica a quella dalla soprastante abside, si presenta come un’ampia stanza voltata a crociera con un’unica finestra, una semplice monofora in linea con il finestrone centrale superiore (figg. 4.61, 4.62). Il paramento murario è oggi ingiudicabile perché totalmente intonacato; l’unica traccia di antichità è l’affresco nella nicchia della parete opposta all’apertura, raffigurante una Crocifissione tra i Dolenti, San Cerbone e San Bernardino da Siena .

Si può dunque supporre che l’edificazione dell’aggiunta, partita nel 1287, sia proceduta sotto la guida di Giovanni Pisano, impegnato in quegli anni nel cantiere della facciata del Duomo senese, fino all’abbrivio del secolo successivo, quando lo scultore, trasferitosi nella città natale in seguito ai contrasti con Siena, era ormai impegnato nella realizzazione del pergamo pisano. La costruzione della parte terminale dell’edificio dovette allora essere portata avanti da una maestranza diversa, quasi certamente senese, che seguì, forse modificandolo, l’esistente progetto giovanneo, in assenza tuttavia del

Comunale, oggi nel convento delle Clarisse (L. PETROCCHI , 1900, pp. 68-71; B. SANTI in Grosseto... , 1999, p. 160). 598 Il programma dei lavori per la costruzione della scala che conduce al soccorpo venne spedito da Curzio Breschi alla Soprintendenza nel 1948 (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 6 aprile 1948, carta s.n.). L’arca e le statuette poterono essere sistemate nell’ambiente inferiore solo nel 1958 (SBAPSI, Archivio Storico, Duomo di Massa Marittima , 10 ottobre 1958). 599 “Di faccia alla Sagrestia nell’opposta navata esiste una cappella internata detta della Carrozza con altare e sua trabeazione in stucco di rozzo lavoro.” (R. BELCARI , 2012, p. 75). 600 A. ARUS , 1884, pp. 32-33; L. PETROCCHI , 1900, p. 56. 601 F. ROTUNDO , R. PAGLIARO , 2007, p. 277. 154 caputmagister .602 La conclusione dei lavori architettonici viene fissata dal Petrocchi intorno al 1304, per la presenza di uno stemma sull’arco trasverso che separa l’ottava campata della navata centrale dalla nona (fig. 2.170). Lo scudo, d’argento, alla croce d’azzurro caricata di cinque crescenti d’oro, riferibile alla famiglia Piccolomini, si trova al centro di un’iscrizione di difficile interpretazione per la presenza di parole apparentemente insensate, dovute all’incomprensione di un pittore che ripassò l’epigrafe nel 1835. 603 La sua corretta lettura si deve al Petrocchi, che vi legge la data 1304 e il nome dell’allora signore di Massa Cione di Alemanno Piccolomini. 604 Quest’ultimo, citato da Girolamo Gigli che lo ricorda come Capitano dell’esercito della Repubblica senese nella battaglia del 1291 contro Montepulciano, 605 compare come Capitano del Popolo di Massa in un documento del 29 agosto 1304.606 Il secondo stemma citato dal Petrocchi come riferimento alla fine dei lavori si trova sull’arco trasverso successivo, posto all’ingresso dell’abside, ed è d'azzurro, alla fascia d'argento accompagnata da tre crescenti montanti dello stesso (fig. 2.171). 607 Si tratta dello scudo della famiglia Tolomei, e viene ricollegato dallo studioso al vescovo Cristofano di Mino Tolomei di Siena, presule della città nel primo decennio del XIV secolo. 608 Seppure i due stemmi, trovandosi ancora nell’area delle navate, non rappresentano un vero ante quem per il completamento dell’abside, essa dovette essere comunque conclusa entro la metà del secondo decennio, prima dell’esecuzione della grande pala d’altare, commissionata, a rigor di logica, non prima della fine dei lavori architettonici. Per quanto riguarda le due cappelle del ‘transetto’, la Cappella del Rosario nella navata sinistra e la Cappella Galliuti nella destra, esse dovettero essere quanto meno previste fin dall’inizio dei lavori di ampliamento, come si deduce dai capitelli dei pilastri che ne delimitano l’ingresso, in entrambi i casi progettati per girare attorno al pilastro (figg. 2.201, 2.202, 2.204, 2.205, 2.233-2.236); questi ultimi presentano, nel caso della Cappella del Rosario, dei ripensamenti in corso d’opera, visibili in entrambi i capitelli in una sezione sporgente ed interrotta dell’abaco, nella faccia rivolta verso l’interno dell’accesso all’ambiente. Non è chiaro se furono concluse nei primi anni

602 La possibilità che la fase 4 non rifletta un progetto differente ma una semplice modifica di quello di Giovanni Pisano è stata suggerita anche dai restauratori (A. CHIANTELLI , N. MONTEVECCHI , 2013, p. 79). 603 A. ARUS , 1884, pp. 43-44. 604 ANNO DNI MCCCIV / IND. III. A LA SIGNORIA DI MESSER CIONE / D’ALLEMANNO PICCOLOMINI DI SIENA / LA PRIMA VOLTA CAPITANO DEL POPOLO DI / MASSA. (L. PETROCCHI , 1900, p. 33; E. LOMBARDI , 1966, p. 20). 605 G. GIGLI , 1723, p. 456. 606 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1304 agosto 29. 607 L. PETROCCHI , 1900, p. 33; E. LOMBARDI , 1966, p. 22. 608 Luigi Petrocchi colloca gli anni di vescovato del Tolomei tra il 1300 e il 1307, in disaccordo col Cesaretti che lo ritiene presule a Massa dal 1310 al 1313 (L. PETROCCHI , 1900, pp. 33-34 nota 1). 155 dell’ampliamento o già nella fase di costruzione delle cappelle del presbiterio. Nel caso della cappella di sinistra, il capitello angolare destro della parete di testata (fig. 2.207) è in tutto simile al compagno del pilastro d’ingresso destro (fig. 2.202), confermandone una contemporaneità d’esecuzione; per quanto riguarda la Cappella Galliuti, il capitello posto all’angolo sud-ovest, decorato con foglie d’acanto dalla punta gonfia e ripiegata all’indietro e da coppie di uccellini affrontati (fig. 4.63), dichiara il suo debito a soluzioni naturalistiche frequenti nella bottega del padre di Giovanni Pisano: il motivo degli uccelli che beccano si ritrova nei capitelli del pulpito del Duomo senese, e viene riproposto anche nel pulpito della chiesa di San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, tradizionalmente collegato al nome di Fra Guglielmo e alla data 1270, dove il fogliame è della stessa tipologia di quello massetano (fig. 4.64). 609 La muratura delle due cappelle del ‘transetto’, leggibile solo dall’esterno a causa dell’intonaco che ne ricopre le pareti interne, 610 venne realizzata utilizzando un travertino poroso; essa non appare così distante dal paramento della nona campata sinistra, datato dai restauratori alla fase della prima metà del XIII secolo. Nulla osta all’idea che le cappelle appartenessero al progetto giovanneo originario, nel quale doveva essere previsto un transetto; la loro posteriorità all’aggiunta, talvolta riferita negli studi 611 e ipotizzata anche da von Winterfeld, 612 origina dall’opinione di Petrocchi, seguita da Lombardi, per il quale sia la cappella sinistra sia la destra – già costruita nel 1338, anno sulla lapide terragna di Toro Galliuti che vi era seppellito – erano state costruite negli stessi anni della sagrestia. 613 Un’iscrizione sull’architrave dell’ingresso di questo ambiente, a cui si accede dalla nona campata della navata destra, sembra difatti legare la sua edificazione all’anno 1341

609 In un articolo recente Patrizio Turi (P. TURI , 2010, pp. 165-182) ha messo in luce, in seguito alla revisione delle fonti e dei testi ottocenteschi pistoiesi, l’inconsistenza sia della datazione sia dell’attribuzione a Fra Guglielmo, segnalate per primo da Tigri (G. TIGRI , 1854, p. 223). Si tratta comunque di un’opera strettamente legata alla bottega di Nicola, databile forse agli anni ’70, quando lo scultore era attivo a Pistoia. Sul pulpito e su Fra Guglielmo si vedano inoltre A. R. CALDERONI MASETTI , 1996, p. 155; A. GIUSTI , 1999, pp. 113-131. 610 Mentre nella Cappella del Rosario l’intonaco si presenta sporco e irregolarmente distribuito, la Cappella Galliuti presenta oggi una decorazione in stile realizzata nei restauri che interessarono l’ambiente nel 1926. Lo schizzo dell’ornamentazione pittorica da eseguire è allegato a una lettera del 28 marzo 1926 diretta alla Soprintendenza, dove, resocontando dei restauri, si riporta che “l’altarone in gesso è ormai demolito e ripresi gli intonachi della parete: così è riaperta la vecchia finestra della Cappella; è stato necessario riprendere a bozze lo sguancio e la spalletta che erano stati guardati e spezzati. L’affresco è certo assai rovinato e in parte anche mancante.” (SBAPSI, Archivio Storico, Duomo di Massa Marittima , 28 marzo 1926, ff. 132-133). 611 B. SANTI in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 31. 612 D. VON WINTERFELD , 2007, p. 33. 613 L. PETROCCHI , 1900, p. 38; E. L OMBARDI , 1966, p. 34. 156 (2.241) e al nome dell’operaio Muccino di Guiduccio, lo stesso che commissionò una delle tre campane del campanile nel 1338: 614

+ HOC OP(US) FAC(TU)M E(ST) T(E)MP(O)RE MUCCI/NI GUIDUCCII OP(ER)ARII S(AN)C(T)I CER/BONII A D M CCCXLI

Un breve accenno meritano infine le sinopie visibili nell’intradosso dell’arco che unisce l’ottavo pilastro destro al pilastro d’ingresso del cappellone centrale, dove appaiono raffigurati due arconi cuspidato, un’aquila aggrappata appollaita su un rigoglioso elemento fogliaceo e il profilo di un tondo sulla chiave di volta (fig. 4.65). Si tratta forse del disegno di una perduta decorazione ad affresco dell’arco: a ciò farebbe pensare l’uccello su motivi vegetali, che ricorda, nelle sue fattezze, i due rapaci alla base del pulpito pistoiese di Giovanni Pisano (fig. 4.66), ma non i disegni sommari delle due architetture.

Gli interventi nelle navate

L’acquasantiera della navata destra

Agli stessi anni dell’ampliamento risale la realizzazione di una delle tre campane del campanile della cattedrale, la cui iscrizione tramanda la data 1302 e il nome del fonditore; di questo rimane solo il toponimico Pisanus , in maniera curiosamente analoga a quella dell’iscrizione del 1287. 615 Al medesimo periodo può essere riferita anche l’acquasantiera collocata presso il primo sostegno della navata destra (fig. 4.67); questa si compone di una vasca ottagonale posata su una colonnetta liscia, sorretta da un leone accovacciato che tiene tra le zampe anteriori un animale (forse un agnello, per il vello arricciato che si distingue sul capo) di cui è visibile solo la testa (fig. 4.70). Il bacile è decorato nella zona inferiore di ogni lato da una grossa foglia d’acanto lobata,

614 MENTEM SANCTAM SPONTANEAM HONOREM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. RICCIARDUS FLORENTINUS ME FECIT. TEMPORE MUCCII GUIDUCCI DE RAVENA OPERARII A. D. MCCCXXXVIII. ORA PRO NOBIS BEATE CERBONI. 615 A meno che con i puntini di sospensione il Petrocchi non abbia voluto semplicemente segnalare la difficoltà di lettura della parola, il nome proprio del fonditore appare, della sua trascrizione, cancellato come nell’epigrafe del 1287: MENTEM SANCTAM SPONTANEAM HONOREM DEO ET PATRIE LIBERATIONEM. MAGIST: C (o G) .... PISANUS ME FECIT A. D. MCCCIII (L. PETROCCHI , 1900, p. 67). L’iscrizione non è stata verificata personalmente; essa cita un passo dell’epitaffio di Sant’Agata comunemente iscritto sulle campane, e tramanda l’origine dell’artefice da Pisa, patria di numerosi fonditori di campane nel Medioevo (P. F. PISTILLI , 1992, pp. 85-91). 157 dalle profonde nervature e inclinata verso destra, come mossa dal vento. Al centro di una delle facce è scolpito un Agnus Dei, mentre le restanti sono occupate da una protome umana, ora di profilo ora di tre quarti, caratterizzata ognuna in maniera differente (figg. 4.68, 4.69): partendo dalla prima a sinistra dell’agnello, abbiamo un giovane con la tonsura, di profilo verso sinistra e un uomo con capelli lunghi e barba, di profilo verso destra; seguono due giovani dai capelli tirati all’indietro e terminanti in un ricciolo, il primo rivolto a sinistra, il secondo a destra; poi due uomini barbuti di tre quarti, rivolti l’uno verso l’altro, il primo dalla testa calva e i capelli lunghi, il secondo dalla chioma più corta; infine, un ultimo uomo con barba e capelli lunghi, rivolto verso l’Agnus Dei alla sua sinistra. I lati della tazza sono separati sullo spigolo da una grossa striscia terminante con una punta come una freccia; al di sotto del bordo liscio corre un motivo vegetale. L’opera si trova in uno stato di conservazione mediocre: la superficie della tazza è piuttosto usurata e sono visibili diverse spaccature della pietra e cadute di materiale, da imputare probabilmente ai danni subiti dalla pila nel 1934. Molto logorato è anche il leone, la cui parte superiore della testa e della criniera si presenta ormai appiattita e liscia. Delle teste raffigurate sul bacile si possono identificare solo le figure di San Pietro e San Paolo, accoppiate, e di San Giovanni Battista, in abbinamento con l’agnello. 616 Dei restanti quattro personaggi uno è certamente un religioso, come si intuisce dalla tonsura, ed è accoppiato con un uomo anziano non identificabile; gli altri due uomini glabri sembrano due giovani di alta estrazione sociale, come sembra di capire dall’acconciatura della capigliatura, che consiste in un ricciolo infondo ai capelli ottenuto con un ferro caldo. Il collegamento a Giroldo proposto da Swarzenski non risulta sostenibile, a mio parere, né da un punto di vista cronologico né da uno stilistico. Sembra difatti difficile datare l’opera anteriormente alla fine del XIII secolo, 617 sia per l’acconciatura dei capelli presentata da due delle figure, elemento di moda che compare negli affreschi di Giotto della Basilica Superiore di Assisi, per poi connotare quasi tutti gli uomini di un certo rango nelle rappresentazioni di primo Trecento, 618 sia per i caratteri del fogliame carnoso e mosso dal vento alla base della tazza, confrontabile con quello che compare su alcuni capitelli dell’ampliamento, quali quelli della parte alta del settimo pilastro sinistro, o all’ingresso della cappella alla destra dell’abside. Le teste della vasca, nella

616 La stessa interpretazione è data da J. EISSENGARTHEN (1975). 617 Proposero invece una datazione duecentesca il Petrocchi (L. PETROCCHI , 1900, p. 60) e una al XII secolo Mario Lopes Pegna (M. LOPES PEGNA , 1962, p. 141). 618 L. BELLOSI , 1980, pp. 11-34. 158 loro immobilità e nella fissità dello sguardo, imputabile alla forma quasi circolare degli occhi, richiamano alla lontana opere senesi dell’inizio del XIV secolo, quali il monumento funebre di Ranieri degli Ubertini (morto tra il 1297 e il 1300) attribuito a Gano di Fazio, e le formelle con Storie di Cristo nella Pinacoteca di Siena. 619 Di qualità superiore, come già sottolineato dalla Bardelloni, che giudica la pila opera di un artefice locale, 620 è il leone stiloforo, pur nello stato di conservazione che ne inficia oggi il giudizio. Neanche questo può essere, a mio parere, avvicinato al fonte di Giroldo, la cui vicinanza fisica permette di verificare facilmente le differenze che separano la fiera della pila dai leoni posti sotto la vasca battesimale. Queste diversità comprendono la definizione della criniera, a piccole ciocche su più file in Giroldo, a lunghi ciuffi nella pila; la conformazione del muso; la presenza delle orecchie, assenti nei leoni del fonte. La figura stilofora ricorda piuttosto, nella definizione della criniera e del muso su cui ancora si intravede la maculatura che indica l’innesto dei baffi, esempi più tardi quali i due leoni della controfacciata del Duomo di Grosseto, opera di una maestranza senese di primo Trecento che certamente si ispirò ai leoni di Marco Romano del Duomo di Siena, 621 anche se delle fiere appena citate il leone massetano, immobile e leggermente macrocefalo, non ha certamente la vivacità, affidata solo allo scatto della testa e alla bocca aperta al ruggito. Gaetano Badii riporta la tradizione che la figura stilofora provenga da Massa Vecchia, 622 Mario Lopes Pegna considera antico il fusto, 623 mentre Riccardo Belcari ipotizza che la pila possa essere il risultato di un assemblaggio. 624 Mentre la prima ipotesi è difficilmente verificabile, la seconda non è da escludere, considerando anche la rarità dei leoni stilofori utilizzati come supporto di acquasantiere in Toscana; 625 resta comunque il fatto che non sussiste una differenza stilistica con la decorazione della tazza tanto profonda da pensare necessariamente all’accorpamento di due opere diverse, accomunate, di converso, dall’utilizzo dello stesso materiale. In conclusione l’acquasantiera andrà dunque considerata l’opera di un

619 Entrambe le tombe sono illustrate in R. BARTALINI , 2005, pp. 70-71, 84-86. 620 C. BARDELLONI , 2000, p. 52 nota 27. 621 I leoni senesi furono attribuiti a Marco Romano da Previtali (G. PREVITALI , 1983, pp. 63-64). 622 G. BADII , 1926, p. 23, 55. 623 M. LOPES PEGNA , 1962, p. 141 624 R. BELCARI , 2005, p. 226 nota 77. 625 Una coppia di leoni sorreggeva la perduta pila medievale un tempo nella chiesa di San Biagio a Firenze e poi passata in collezione Menabuoni alla fine del XVIII secolo, prima di risultare dispersa (R. CALAMINI , 2013, in corso di stampa). Il leoncino su cui posa l’acquasantiera proveniente dal monastero di San Vittore a Catignano e conservata al Museo d’Arte Sacra di San Gimignano (SI) potrebbe essere invece nato per un altro monumento, dato che l’opera sembra essere un riassemblaggio di pezzi diversi (M. CIONI , 1911, p. 244; J. VICHI IMBERCIADORI , P. e M. TORRITI , 1988, p. 58). Molto più comune era invece, fin dai tempi del pergamo di Guglielmo per la cattedrale pisana, l’utilizzo di leoni stilofori a sostegno delle casse dei pulpiti. 159 artista forse locale e di non altissima levatura, attivo nel cantiere della cattedrale durante, o poco dopo, i lavori di ingrandimento dell’edificio.

Affreschi nelle campate sesta e settima della navata destra

Ai primissimi anni del Trecento, se non alla fine del secolo precedente, pare databile un lacerto di affresco inedito visibile nell’intradosso dell’arco che unisce la sesta colonna e il settimo pilastro del colonnato destro (fig. 4.71). Nel dipinto, frammentario e in mediocri condizioni di conservazione, sono visibili la testa e le spalle di un santo vescovo con mitria, incluso in un tabernacolo decorato a finto intarsio marmoreo e sostenuto da colonnette con capitelli fogliati. La scarsa leggibilità dei tratti del volto della figura e la perdita di gran parte della composizione non permettono di giudicare serenamente l’affresco; si intuisce tuttavia un certo sforzo, ancora sperimentale, di restituire la profondità della nicchia, che lascia pensare a una datazione successiva agli affreschi giotteschi di Assisi. Una certa asimmetria nella composizione e la posa del santo vescovo, rivolto verso destra, dimostrano che la visione privilegiata del dipinto era dalla navata centrale. Nella sesta e nella settima campata, al di sopra dell’attuale volta a crociera, sopravvivono tracce di altri affreschi, visibili solo dal sottotetto. La loro esistenza fu segnalata per la prima volta nel 1961, durante i lavori di smantellamento del tetto della navata destra, come testimonia una lettera dell’Ispettore Onorario Tommaso Ferrini al Soprintendente: in questa si riporta che in uno dei lacerti è visibile “una figura umana, sembra un angelo che impugna una spada”, in un altro “una figura di animale, forse un lupo, in mezzo ad un paesaggio di rocce e di alberi”. 626 E’ purtroppo impossibile, senza

626 “Durante i lavori di smantellamento del tetto della navata destra della Cattedrale, in relazione alle riparazioni che si stanno eseguendo, sono stati ritrovati resti di affreschi al di sopra delle volte che coprono attualmente la navata. Uno dei resti di affresco, in cui si vede una figura umana, sembra un angelo che impugna una spada, si trova nella parete frontale sinistra dell’arco che divide la campata della volta corrispondente alla porta laterale destra della Cattedrale dalla campata successiva (per chi percorre la navata verso l’uscita principale della Chiesa). Altro resto di difficile interpretazione, (è visibile soltanto una figura di animale, forse un lupo, in mezzo ad un paesaggio di rocce e di alberi) si trova nella parete frontale sinistra dell’arco successivo al precedente. Si notano resti di affreschi, ma molto più malandati, anche nella parte frontale destra degli stessi archi. Si notano anche resti di decorazioni.” (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 28 ottobre 1961, carta s.n.). Un mese dopo l’ispettore spedì alla Soprintendenza quattro fotografie dei lacerti scoperti (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 25 novembre 1961, carta s.n.), che non sono stata purtoppo in grado di ritrovare nell’Archivio Fotografico. 160 una visione diretta degli affreschi o di loro fotografie, dare un giudizio sulla loro cronologia, il cui terminus ante quem sarà la costruzione delle volte. 627

Un nuovo coro

Il prolungamento della chiesa e l’abbattimento dell’antico presbiterio rialzato, sia che questo sia avvenuto nella prima metà del Duecento, sia che sia da riferire alla maestranza di Giovanni Pisano, comportò la demolizione dell’antico pulpito e pontile, e la costruzione di un nuovo coro. La posizione di quest’ultimo è deducibile da una serie di pagamenti per il suo smontaggio nel 1585, l’anno precedente la nuova consacrazione dell’edificio, in parte già analizzati nel capitolo dedicato alle lastre conservate nella prima sala del Museo d’Arte Sacra, presumibilmente riutilizzate nei muretti del nuovo coro. 628 Nelle menzionate voci in uscita di un registro dell’Opera di San Cerbone il coro è definito “di mezzo la Chiesa” 629 e “da basso”:630 sembra attestato dunque che si trovasse nella navata centrale, forse sotto la cupola, nelle ultime due campate della chiesa romanica, prima degli scalini che conducono all’aggiunta gotica; una collocazione che rispecchierebbe quella del coro della cattedrale senese. 631 Non sappiamo quale forma avesse, ma possiamo ipotizzare che si sviluppasse in maniera rettilinea, con gli stalli disposti su due file parallele, come a Siena (fig. 4.72). 632 Si potrà forse immaginare che le “pietre”, definite ora “dinanzi al coro”, ora “dietro al detto coro”, ora semplicemente “del coro”, lo cingessero formando una sorta di U, alternandosi alle grate di accesso allo spazio riservato agli scranni. Le “grati di ferro” menzionate in un’altra voce di uscita 633 richiamano alla mente la nota biccherna del 1483 di Pietro di Francesco Orioli, dove è raffigurato l’interno del Duomo senese, e si intravede sullo sfondo una grata della recinzione presbiteriale (fig. 4.73). La dicitura di uno dei pagamenti ricevuti da un muratore per aver murato “piu pietre i(am) nel coro da

627 L’attuale sopravvivenza delle pitture mi è stata confermata dal restauratore Massimo Gavazzi, che ha esplorato insieme al gruppo di lavoro i sottotetti della navata. Non mi è stato purtroppo concesso di vedere le fotografie scattate in quell’occasione, poiché materiale inedito riservato a una futura pubblicazione. 628 Vedi capitolo 3 per la trascrizione dei suddetti pagamenti. 629 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 269 v, 1585 gennaio 5. 630 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 270 r, 1585 gennaio 12; ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 270 v, 1585 febbraio 18. 631 Per la posizione del coro del Duomo di Siena si veda A. DE MARCHI , 2009, pp. 130-131, 137-138, 148. 632 A. DE MARCHI , 2009, p. 148. 633 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 260 r, 1585 dicembre 14. 161 basso dalla ba(n)da delle sedie del offitio de Priori” lascia intuire che un lato del coro fosse riservato alle figure politiche della città. 634

Il nuovo arredo presbiteriale

Con la fine dei lavori architettonici durati quasi una ventina d’anni, si procedette alla realizzazione dell’arredo interno, già arricchito dal crocifisso ligneo di Giovanni Pisano: nel corso di pochi decenni la cattedrale si dotò di opere di alta qualità, affidate ad alcuni degli artisti più importanti del momento. Come già accaduto per la parte architettonica, dove forte si dimostra il legame col gotico senese, le novelle commissioni tradiscono in primo luogo la volontà di allacciarsi a Siena, evidente sia nella scelta degli artisti che delle opere stesse.

La tavola dell’altar maggiore: la Madonna delle Grazie

La prima commissione, in ordine cronologico, fu la pala per l’altare maggiore, da identificare con la cosiddetta Madonna delle Grazie , oggi conservata nella cappella alla sinistra dell’abside. Della grande tavola, opistografa, sopravvive oggi solo la parte centrale; essa presenta sul recto una Madonna col Bambino in trono (fig. 4.74), e sul verso undici riquadri con Storie della Passione di Cristo , dei quali rimangono interi solo due dei tre centrali (fig. 4.76). In quello superiore, di dimensioni pari al doppio di quelle degli altri episodi, è raffigurata un’affollata Crocifissione ; il centrale riunisce invece due scene diverse, Cristo di fronte ad Anna sulla sinistra e Prima negazione di San Pietro sulla destra, distinte grazie alla diversa ambientazione, all’aperto la prima e all’interno di un edificio la seconda. Del riquadro centrale inferiore rimane invece solamente la metà superiore di una Cattura di Cristo , della quale sopravvivono solo le teste degli Apostoli e dei soldati. La fascia sinistra della figurazione comprende, dall’alto, la metà destra di una scena ambientata al chiuso, in cui sono visibili tre frammentarie figure sedute, episodio identificato come una possibile Incoronazione di Spine .635 Seguono l’ Andata al Calvario , la Preghiera nell’orto degli ulivi e probabilmente il Tradimento di Giuda .636 Nei riquadri del lato destro sono rappresentati, dall’alto, la Deposizione dalla croce , di cui rimangono tre Pie Donne e parte della Madonna; la Deposizione nel

634 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 270 v, 1585 febbraio 18. 635 G. DE NICOLA , 1912b, pp. 21-32; R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 272. 636 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 272. 162 sepolcro ; Cristo deriso e la terza negazione di San Pietro . Quasi niente rimane dell’ultimo riquadro in basso della parte destra della tavola; è possibile ipotizzare, grazie al confronto con la Maestà senese di cui l’opera, come vedremo, rappresenta una replica, che qui fossero raffigurate le due scene di Gesù davanti a Caifa e seconda negazione di Pietro .637

La tavola viene citata per la prima volta dall’Arus nella cappella infondo alla navata sinistra, come dipinto di scuola senese; egli narra che al momento della rimozione dell’opera dall’altare in cui era collocata prima dei restauri del 1880, venne riscoperto un trittico inchiodato sul retro “per sostegno”, con Storie della Passione di Cristo , le cui figurine “alcuni attribuirebbero al Lorenzetti”. 638 Lo stesso viene riferito dall’Ademollo nel 1894. 639 Luigi Petrocchi (1900) collega la tavola a un documento del 7 giugno 1444, datandola conseguentemente al XV secolo; 640 in questo il Consiglio Maggiore delibera affinché “ facie(n)dum una(m) ymaginem beate vi(r)ginis marie ”, ma senza in realtà specificarne la destinazione. 641 Anche il Petrocchi considera la tavola posteriore un’opera distinta dalla Madonna col Bambino ; egli la data al XIV secolo e ne riporta l’attribuzione ad Ambrogio Lorenzetti. 642 Il primo a riferire alla pala un documento dell’8 gennaio 1315 (stile senese, dunque 1316) dell’Archivio di Stato di Siena è Frederick Mason Perkins (1904), che riferisce il dipinto a Segna di Bonaventura; 643 l’opinione fu in seguito accolta da De Nicola (1912), Van Marle (1924), Weigelt (1930), Berenson (1932), Brandi (1951) e Hager (1962). 644 L’attribuzione a Segna venne contraddetta in numerose occasioni da Enzo Carli (1947, 1955, 1964, 1976, 1999), 645 che giunse a coniare anche il nome di Maestro della Maestà di Massa Marittima per indicare un pittore “nel più delicato punto di confluenza tra la tradizione di Duccio e gli inizi di Simone Martini”. 646 A quest’ultimo artista il dipinto venne riferito dal Coletti (1949), 647 mentre il Berenson lo schedò come opera di collaborazione tra i due artisti

637 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 272. 638 A. ARUS , 1884, pp. 31-32. 639 A. ADEMOLLO , 1894, p. 175. 640 L. PETROCCHI , 1900, p. 55. 641 ACM, Riformagioni , 13, c, 73 v, 1444 giugno 7. 642 L. PETROCCHI , 1900, p. 56. 643 F. MASON PERKINS , 1904, p. 83 nota 7. 644 G. DE NICOLA , 1912, pp. 21-32; R. VAN MA RLE , II, 1924, pp. 130-134; C. H. WEIGELT , 1930, pp. 19, 67, 74-75; B. BERENSON , 1932, p. 523; C. BRANDI , 1951, p. 151; H. HAGER , 1962, pp. 148-149. 645 E. CARLI , 1947, pp. 20-21; E. CARLI , 1955a, pp. 68-70; E. CARLI , 1955b, p. 51; Arte senese... , 1964, pp. 7-9; E. CARLI , 1976, pp. 54-58; E. CARLI , 1999, pp. 34-35, 146. 646 E. CARLI , 1947, pp. 20-21; Arte senese... , 1964, pp. 7-9. 647 L. C OLETTI , 1949, pp. 291-308 163 (1968); 648 non ha avuto seguito l’opinione di Stubblebine, che considera la tavola commissionata a Duccio ma realizzata dal giovane Ambrogio Lorenzetti. 649 L’attribuzione a Duccio stesso, già proposta da Carlo Gamba (1906), 650 fu sostenuta con decisione da Francesco Arcangeli (1970); 651 più fortuna ha avuto l’idea, oggi generalmente condivisa, che si tratti di un’opera da riferire alla bottega duccesca, in cui il maestro potrebbe avere eseguito, secondo alcuni studiosi, 652 almeno la Madonna col Bambino , caratterizzata da grande raffinatezza nei passaggi chiaroscurali, nel modellato e nella decorazione delle aureole, oltre che da un disegno preparatorio di altissima qualità, emerso grazie alle riflettografie. 653 L’intervento di aiuti pare invece percepibile nelle Storie della Passione nel tergo della pala, fatta eccezione per il riquadro della Crocifissione , notevole per la qualità e la presenza di nuove invenzioni iconografiche, quali gli angeli dolenti sopra la Crocifissione , che giungono in volo dalla volta celeste. 654

Nonostante il suo stato frammentario, come da sempre segnalato dalla critica, l’opera si presenta chiaramente come una replica della grande Maestà eseguita da Duccio per la cattedrale senese dal 1308 al 1311 (figg. 4.75, 4.77). 655 Le somiglianze includono in primo luogo l’iconografia, con la Madonna col Bambino in trono sul recto e Storie della passione di Cristo sul verso, ma anche la struttura della tavola, composta da assi verticali sul recto e cinque assi orizzontali sul verso; analogie tecniche così stringenti non possono che confermare una realizzazione della pala all’interno della bottega del maestro senese. 656 La fedeltà al modello aiuta a completare virtualmente la figurazione del recto della tavola, dove la Madonna in trono si presentava quasi sicuramente accompagnata da angeli e da santi, tra i quali non potevano mancare il santo patrono cittadino San Cerbone e il suo maestro, San Regolo ; di queste figure non rimangono oggi che le impronte nell’oro di parte di due aureole, ai lati del nimbo della Vergine. Per quanto riguarda il verso, si riscontrano alcune varianti rispetto al modello, che coinvolgono l’organizzazione delle scene e l’ordine di lettura delle stesse; come a Siena, i riquadri dovevano essere separati da incorniciature lignee, il cui profilo è riconoscibile

648 B. BERENSON , 1968, pp. 116-117. 649 J. H. STUBBLEBINE , 1978, pp. 357-367; J. H. STUBBLEBINE , 1979, pp. 11, 12, 71-74. 650 C. GAMBA , 1906, pp. 45-46. 651 F. ARCANGELI , 1970, pp. 4-14. 652 F. BOLOGNA , 1992, p. 748; L. BELLOSI , 1998, p. 20; R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 274. 653 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 274. 654 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 280. 655 Sulla Maestà senese si veda, come ultimo contributo, G. RAGIONIERI , in Duccio... , 2003, pp. 212-222. 656 J. GARDNER , 1983, p. 300; R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 270. 164 nelle fasce orizzontali e verticali prive di pittura. Grazie al confronto con la Maestà senese è stato possibile tentare una ricostruzione dell’originale figurazione del retro, dove, come ben evidenziato da Bartalini, il programma iconografico doveva essere necessariamente completato da almeno un’ulteriore fila di quattro riquadri per parte, dove potessero trovare spazio l’ Ultima cena ed episodi riferibili alla Resurrezione di Cristo; 657 poco sostenibile è invece la ricostruzione proposta da Stubblebine, per il quale la decorazione della tavola, di formato verticale e dotata di cuspide, si limitava alle sole scene esistenti. 658 Il conteggio di riquadri mancanti aiuta anche a calcolare le probabili primitive dimensioni dell’opera: basandosi sulle misure dei riquadri esistenti, e ipotizzando la presenza di altri otto episodi, distribuiti su due file verticali da quattro, la tavola, che oggi misura 179,2 x 99,5 cm, poteva avere una larghezza totale di circa 250 cm, che ben si adeguerebbero alle dimensioni dell’originale piano dell’altare maggiore (328 cm), oggi inclusa nell’altare seicentesco di Flaminio Del Turco. 659 Le ricerche condotte all’Archivio Comunale sulla documentazione riguardante la cattedrale non hanno, purtroppo, gettato luce sulla consistenza e i tempi dei pesanti rimaneggiamenti subiti dall’opera; è stato però possibile ricostruire per la prima volta i suoi spostamenti all’interno dell’edificio. Nel registro di entrate e uscite dell’Opera di San Cerbone del 1585, – già citato nella trattazione delle lastre già in controfacciata, provenienti dal coro smontato in tale occasione – 660 dove sono registrati i versamenti per i lavori di riassetto della cattedrale in vista della consacrazione dell’anno successivo, compare tra le varie voci in uscita un pagamento a maestri Santino e Bernardo per aver smontato le grate metalliche e le pietre della recinzione del coro, e per “metter giù la tavola del altare gra(n)de et co(n)durla a pie della Chiesa et pricipiato i murelli dove si ha da posare d.ta tavola” 661 . La tavola viene nuovamente citata in un pagamento del 5 gennaio successivo, dove i maestri Gregorio, Marco e Andrea sono pagati per aver lavorato assieme al legnaiolo Lorenzo e ai muratori Santino e Bernardino allo smontaggio del coro e a

657 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 272. 658 J. H. STUBBLEBINE , 1978, p. 71 fig. 159. 659 R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 274. 660 Vedi il capitolo 3. 661 “A m.o Sa(n)tino et a m(aestr)o Ber(nardi)no a di 14 di d(et)to lire dieci p(er) op(er)e ci(n)que et due op(er)e del loro garzone p(er) havere aiutato a metter giu le grati di ferro et le pietre ch(e) so(n) dina(n)zi al coro et metter giu la tavola del altare gra(n)de et co(n)durla a pie della Chiesa et pricipiato i murelli dove si ha da posare d(et)ta tavola alla co(m)pagnia di m(aestr)o Lore(n)zo di m(aestr)o Gregorio di m(aestr)o Marcho et di m(aestr)o And(re)a” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 260 r, 1585 dicembre 14). 165 “levare la tavola del altare grande et condurla da basso”. 662 Un’ulteriore menzione si rintraccia il 1 giugno 1586, in un’uscita versata al maestro Fortunio Dantini per della fune presa in prestito e usata anche “alla tavola che era allo altare grande”.663 Nonostante la tavola non venga descritta, è assai probabile che si tratti della Maestà , che per dimensioni e conformazione doveva trovarsi sull’altare maggiore. si tratterebbe dunque del primo spostamento dell’opera, trasferita in controfacciata ben prima della realizzazione del nuovo altare barocco di Flaminio Del Turco, ordinato nel 1623 e concluso nel 1626. Può sussistere il dubbio che per “tavola del altare grande” si intendesse la mensa lapidea, ma risulta difficile capire perché si volesse spostarla prima della nuova consacrazione, considerando che un nuovo altare sarebbe stato commissionato solo quarant’anni più tardi. Un passo di una visita pastorale del 1620, poi, sembra costituire la prova che a quella data la tavola fosse già stata rimossa dall’altare maggiore: concluso il giro degli altari e passato alla visita del “Corpus totius Ecclesie”, il visitatore apostolico ordina difatti lo spostamento della “ Imago Beatissime Virginis Marie ” e il suo trasferimento “ in alium locum bene visum D. Vicario et deputatis pro pijs locis ”;664 la posizione della tavola all’interno dell’edificio non viene specificata, ma il fatto che venga citata quando la visita agli altari è già terminata e che se ne disponga lo spostamento lascia supporre che si trovasse in una posizione provvisoria, forse ancora “a pie della Chiesa” dove era stata trasportata nel 1585. Non si rintracciano altre menzioni nelle visite pastorali successive, ma in una visita del 1680 compare per la prima volta un altare intitolato a Santa Maria delle Grazie, 665 un appellativo connesso alla Maestà a partire dalle sue prime attestazioni bibliografiche della fine dell’Ottocento. 666 Nell’ordine di collocazione degli altari all’interno della cattedrale, ricostruibile grazie al raffronto tra le visite pastorali della fine del XVII

662 “A m(aestr)o Gregorio scarpellino, a m(aestr)o Marcho et a m(aestr)o And(re)a muratori a di d(et)to lire diciotto p(er) haverii aiutato i(n) Duomo tre giorni alla co(m)pagnia di m(aestr)o Lorenzo legnaiolo di m(aestr)o Sa(n)tino et di m(aestr)o Ber(nardi)no muratori a levare i ferri et grate del coro di mezzo la Chiesa et levare la tavola del altare gra(n)de et co(n)durla da basso” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 269 v, 1585 gennaio 5). 663 “A m(aestr)o Fortunio Dantini a di p(rim)o di giugnio 26 lire due per libbre 7 di fune resa al S(ign)or Canc(cellie)ri per havermela prestata per essermene servito alla Campana della la Squilla, al baldacchino sopra al tabernacolo et alla tavola che era allo altare grande” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 271 v, 1586 giugno 1). 664 “ Imago Beatiss(im)e Verginis Marie e conspectu Residenti e di R(everendissi)mi amoveatur, et trasferatur in alium locum bene visum D. Vic(ari)o et deputatis pro pijs locis ” (AVM, Visita Pastorale del 1618-1620 , p. 9). 665 AVM, Visita Pastorale del 1680-1681 , p. 50. 666 A. ARUS , 1884, p. 31; A. ADEMOLLO , 1894, p. 175. 166 secolo, 667 l’altare della Vergine delle Grazie sembra essere il terzo della parete sinistra partendo dalla controfacciata, ovvero nella campata che oggi ospita il monumento di Tito Sarrocchi al vescovo Giuseppe Traversi, inaugurato nel 1878.668 Quest’ultima circostanza, a meno di fraintendimenti nella ricostruzione dell’ordine degli altari, dimostra che l’altare in questione venne demolito prima del 1880; l’Arus ricorda solamente che la pittura sul tergo della tavola venne scoperta nel “rimuovere questo quadro dall’altare ove esisteva prima del 1880”.669 Dalla fine dell’Ottocento la pala è documentata nella cappella di fondo della navata sinistra, che è tutt’oggi la sua collocazione. Nella totale assenza di riferimenti ai rimaneggiamenti subiti dalla tavola, si può presumere che essa venne ridotta alla forma attuale poco prima della sua sistemazione nell’altare della navata sinistra; risulta infatti più difficile credere che fosse stata resecata prima dello spostamento dall’altare maggiore, considerando l’aspetto frammentario che con il taglio della pala assunse il tergo, destinato alla visibilità nella sua originaria collocazione. Con la collocazione nel nuovo altare il fronte della tavola, che ormai presentava solamente le figure centrali della Madonna col Bambino, subì delle ridipinture per completare il trono e per camuffare le tracce della presenza di altre figure; vennero oltretutto modificate le aureole, a cui venne aggiunto un bordo decorato a losanghe, e applicate due coroncine a rilievo sulle teste della Vergine e del Figlio (figg. 4.78, 4.79). 670 Questo stato venne mantenuto fino al 1947, quando il dipinto fu restaurato da Giannino Marchig, che asportò le aggiunte e le varie ridipinture 671 e separò le Storie della Passione dal supporto del recto , dividendole orizzontalmente in tre sezioni. 672 I precedenti interventi sono ricostruibili dalla documentazione conservata all’archivio storico della Soprintendenza senese, dove risulta un restauro di Tomaso Baldini nel 1912 673 Un altro restauro, resosi necessario per l’alterazione delle riprese pittoriche e per il sollevamento del colore e dello stucco, era in corso quando la tavola

667 La disposizione degli altari moderni fatti eseguire in vista della consacrazione del 1586 e poi demoliti nei restauri del 1880 è ricostruibile grazie al confronto tra le visite pastorali del 1689 (AVM, Visita Pastorale del 1689 , pp. 98-105), 1690 (AVM, Visita Pastorale del 1690 )e 1699 (AVM, Visita Pastorale del 1699 ), dove tutti gli altari sono citati per la prima volta partendo dall’altar maggiore e procedendo nella chiesa in senso antorario. 668 G. SARROCCHI , 1924, pp. 30-31; R. MARCUCCI , Tito Sarrocchi , in Siena tra purismo... 1988, p. 125; Tito Sarrocchi... , 1999, pp. 138-139. 669 A. ARUS , 1884, pp. 31-32. 670 La foto della tavola nello stato descritto è pubblicata da P. TORRITI in Mostra di opere d'arte ..., 1979, p. 26. 671 P. TORRITI in Mostra di opere d'arte ..., 1979, p. 25. 672 E. CARLI , 1976, p. 54; R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, p. 270. 673 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo , Carte dal 1908 al 1923 , carte s. n. 167 venne esposta alla prima edizione della Mostra di opere d’arte restaurate nelle province di Siena e Grosseto , tenutasi a Siena nel 1979. 674 La più antica attestazione documentaria della Maestà è, come anticipato, un documento dell’8 gennaio 1315 (stile senese), 675 nel quale il Consiglio del Popolo di Massa ordina a Peruccio, operaio dell’Opera di San Cerbone, di anticipare la somma necessaria al completamento dell’ “ opus tabule nove beate Marie virginis ”, cifra che potrà recuperare grazie ai proventi derivanti dalla vendita della cera per la festa dell’Assunzione. La pergamena, riferita alla Maestà di Ambrogio Lorenzetti, oggi nel Museo d’Arte Sacra, dal Petrocchi, 676 e all’opera duccesca solo nel 1904, venne pubblicata per la prima volta dal Milanesi nel 1854. 677 Il documento era tuttavia già noto a Ettore Romagnoli (1835 circa), che lo cita al termine della vita di Puccinello di Ciolo, un non meglio noto pittore e mosaicista apparentemente attivo nei primi anni del Trecento nel cantiere del Duomo pisano; 678 l’erudito premette al breve regesto della consigliata dell’8 gennaio un’interessante affermazione:

“Puccinello è probabilmente il M.o Puccio Pittore che trovai nominato nelle carte della Repubblica di Massa esistenti alle Riformagioni. Nel tomo II’ a Carte 436 lessi che Peruccio Operaio del Duomo di Massa nell’anno 1315 fa dipingere la nuova tavola della B. V. a M. Puccio da Siena, e nella consigliata del dì 8 Gennaio si osserva un ordine di Angelino Salimbeni che a nome del Comune Massetano, fa noto all’Operaio che faccia proseguire le pitture nella Cattedrale”.

Poiché all’interno del documento dell’8 gennaio, a cui si riferisce la numerazione 436, non viene citato nessun “M. Puccio da Siena”, considerata la vicinanza tra i nomi Puccio e Duccio e la citazione della supposta commissione prima della menzione della consigliata, come se si trattasse di due documenti diversi, è assai suggestivo immaginare

674 P. TORRITI in Mostra di opere d'arte ..., 1979, p. 25. 675 ASS, Diplomatico Riformagioni Massa , 1315 gennaio 8. 676 L. PETROCCHI , 1900, p. 84 nota 1. 677 G. MILANESI , I, 1854, pp. 179-180 n. 29. Per una riedizione del documento si veda M. PELLEGRINI in Duccio ..., 2003, pp. 581-582. 678 “Ciolo di cui scrissi nell’anno 1280 fu padre di Puccinello, che il Ciampi nelle sue ‘Notizie inedite della sagrestia Pistoiese’ a carta 144 (documento XXV) lo dice pittore, come rilevò da un libro dell’archivio della Cattedrale di Pisa intitolato “Introitus et exitus facti et abiti a Burgundio Tadi operaio opere S. Marie Pisane maioris Ecclesie sub an. Domini MCCCII (stile pisano) indict. XIIII. De mense madii incepti. Ivi leggesi che Puccinello di Ciolo da Siena dipinse in quella basilica, con Lapo fiorentino, Michele, Duccio, Tura, Dato, Tano, Buontura e Vanni fiorentino. Puccinello lavorò da mosaicista nell’apside della tribuna della stessa cattedrale pisana sotto il capomaestro Francesco da Pisa e nello stesso anno sotto il [c. 10] celebre Cimabue, mentre dallo steso documento si deduce che quel maestro prendesse il loco di Francesco da Pisa nella condotta del musaico.” (E. ROMAGNOLI , II, 1835, p. 10). 168 che il Romagnoli avesse visionato anche la pergamena attestante la commissione della Maestà a Duccio di Buoninsegna. E’ d’altro canto possibile che il nome dell’operaio, magister Peruccius , sovente abbreviato nel documento in P(er)uccius , abbia confuso l’erudito e l’abbia portato ad identificarlo talvolta con l’operaio del Duomo, talvolta con un pittore di nome Puccio. Da una ricerca approfondita all’Archivio di Stato di Siena, dove la parte pergamenacea della documentazione archivistica massetana arrivò in due tappe nel 1780 e nel 1868, 679 non è emerso alcun documento del 1315 che registri l’allogagione dell’opera: a meno che la pergamena non sia andata perduta dopo il 1835, l’informazione riportata dal Romagnoli andrà forse considerata frutto di un equivoco.

La Croce dipinta

Agli stessi anni dell’esecuzione della grande pala d’altare sembra risalire anche la commissione della grande croce dipinta, oggi esposta nella cappella alla destra dell’abside (fig. 4.80). Il Crocifisso, dotato di una cornice moderna e mancante sia della cimasa sia del suppedaneo, è opera di un pittore duccesco. De Nicola (1912) attribuì per primo l’opera a Segna di Bonaventura, proponendone una datazione verso il 1316; 680 il riferimento al maestro senese fu accolto da Berenson (1932) 681 e da Carli, 682 che ne ipotizzava con prudenza, date le cattive condizioni dell’opera, una cronologia più precoce. 683 Nel 1979 Stubblebine la inseriva nel corpus di un altro pittore duccesco, il Maestro di Badia a Isola, 684 mentre nello stesso anno Serena Padovani lo definiva

679 La documentazione pergamenacea massetana nell’Archivio di Stato di Siena si trova oggi divisa in due fondi, denominati Città di Massa e Archivio Riformagioni Massa ; essa costituiva originariamente un unico fondo, conservato nel Palazzo Comunale di Massa, riordinato e inventariato, su incarico del Granduca Pietro Leopoldo, dall’abate Pier Paolo Pizzetti nel 1780. Questi suddivise la sezione diplomatica della documentazione in due parti separate, inviando a Firenze l’insieme delle pergamene considerate utili ai fini politici del granduca, e all’Archivio delle Riformagioni di Siena le restanti. Il primo, e più contenuto, gruppo di documenti venne restituito all’archivio senese nel 1868, pochi anni dopo la fondazione dell’Archivio di Stato di Siena, dove andò a formare il fondo Città di Massa . Le ricerche del presunto documento citato dal Romagnoli si sono dunque concentrate solo sul secondo gruppo, dato che il primo si trovava a quella data ancora a Firenze. Dei due fondi esistono due inventari all’Archivio di Stato senese: il primo (ASS, Manoscritti , B27), stilato dallo stesso Pizzetti e del quale si conserva una copia anche nell’Archivio di Stato di Firenze (ASF, Segreteria di Finanze, Affari prime del 1788 , 1041) e una nell’Archivio Comunale di Massa (ACM, 459), ne elenca i documenti quando ancora si trovavano uniti in un unico complesso; il secondo (ASS, Manoscritti , B28), risalente al 1840. Per una puntuale ricostruzione delle vicende della documentazione archivistica di Massa Marittima si veda L’Archivio Storico... , 1996, pp. I-XVIII. 680 G. DE NICOLA , 1912b, pp. 31-32. 681 B. BERENSON , 1932, p. 523. 682 E. CARLI , 1955, p. 54; Arte senese ..., 1964, pp. 6-7; E. CARLI , 1972, pp. 8-9; E. CARLI , 1976, pp. 51, 54. 683 L’opera non risulta inclusa nel corpus di Segna di Bonaventura né da Grazia Neri (G. NERI , 1999, pp. 505-506) né da Luciano Cateni (L. CATENI , in Duccio ..., 2003, pp. 346-348). 684 J. H. STUBBLEBINE , I, 1979, pp. 79-80. 169 ingiudicabile per le pesanti ridipinture (fig. 4.81); 685 nel 1984 Henk van Os la segnalava come opera della bottega di Duccio. 686 Queste risalivano probabilmente al XIX secolo, quando la Croce , a detta di Ademollo, fu sottoposta a un dannoso restauro commissionato dal vescovo Traversi, in carica dal 1825 al 1872. 687 Come risulta dalla documentazione conservata alla Soprintendenza, l’opera venne restaurata nei primi anni Ottanta, e restituita alla chiesa nel maggio del 1986. 688 Incerta è la collocazione originale della Croce ; è plausibile che essa si trovasse al centro della chiesa, collocata su un tramezzo o pendente da una trave; la pertinenza a un altare laterale appare al contrario meno probabile, considerando anche le sue dimensioni (altezza attuale 215 cm circa). In seguito al rinnovamento dell’interno della cattedrale alla fine del Cinquecento, la Croce fu collocata nel primo altare della navata sinistra, 689 denominato appunto altare del Crocifisso; dopo i restauri del 1880 venne trasferita nella Cappella Galliuti, di fronte all’affresco della parete sud-ovest. 690

Un nuovo contenitore per le reliquie del santo protettore: l’Arca di San Cerbone di Goro di Gregorio

Lo stesso Peruccio, operaio della cattedrale che fece terminare la Maestà duccesca, fu anche il committente dell’opera che rappresentò il fulcro centrale della novella area presbiteriale: l’arca marmorea di San Cerbone, con la quale le reliquie del santo furono dotate di un contenitore eccellente e prezioso, reca difatti un’iscrizione in cui è tramandata la data di esecuzione, 1324, il nome dello scultore, Goro di Gregorio, e il nome dell’operaio. 691 L’opera ha l’aspetto di una grande cassa reliquiario marmorea, ispirata a un’arca orafa sul tipo degli “Schrein” renano-mosani; è decorata sui quattro lati con scene della vita di San Cerbone, 692 sei sui lati lunghi (figg. 4.82, 4.84) e due sui lati corti; il coperchio, di forma piramidale, presenta sugli spioventi dodici clipei polilobati con figure di Santi , la Madonna col Bambino e Il corpo del santo vegliato da due angeli . La narrazione prende l’avvio dalla faccia della cassa attualmente rivolta

685 S. PADOVANI , in Mostra di opere ..., 1979, p. 34. 686 H. W. VAN OS, 1984, pp. 56, 61. 687 A. ADEMOLLO , 1894, p. 168. 688 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 16 maggio 1986, carta s. n. 689 Lì lo ricorda anche A. A DEMOLLO , 1894, p. 168. 690 A. ARUS , 1884, pp. 24-25. 691 ANNO DOMINI MCCCXXIV INDITIONE XII MAGISTER PERRUCCI OPERARIUS ECCLESIAE FECIT FIERI HOC OPUS MAGISTRO GORO GREGORII DE SENIS. 692 Per la leggenda agiografica del santo si veda il capitolo 1. 170 verso la navata, dove sono raffigurati, da sinistra verso destra, San Cerbone esposto agli orsi da Totila , Gli abitanti di Populonia chiedono a San Cerbone di ritardare la messa e Gli abitanti di Massa accusano San Cerbone davanti a papa Vigilio . Il racconto segue sul lato corto dell’arca, con I messi del papa chiedono a San Cerbone di comparire dinanzi a Vigilio , poi sul lato lungo rivolto verso l’abside, con San Cerbone disseta i messi del papa con latte di cerva , Il miracolo del risanamento dei tre viandanti infermi e San Cerbone si presenta a papa Vigilio . La narrazione termina con la formella dell’ultima faccia della cassa, raffigurante San Cerbone celebra la messa davanti papa Vigilio . L’opera, firmata e datata, rappresenta un punto fermo all’interno del corpus di Goro di Gregorio. Al medesimo momento della sua produzione sono da ricondurre una statuetta di Madonna col Bambino , già in collezione De Carlo, 693 una Madonna annunciata acefala, al Boston Museum of Fine Arts, 694 e la Tomba del giurista Guglielmo di Ciliano († 1324 circa), restituita allo scultore da Roberto Bartalini, che ne ha egregiamente dipanato le tormentate vicende conservative e critiche; i resti della tomba furono infatti ricomposti nell’Ottocento assieme a parti del sepolcro di Niccolò Aringhieri († 1374) per formare un nuovo monumento, oggi nel cortile del Rettorato dell’Università di Siena. 695 Appartenevano alla stessa tomba due figure di Fraticelli , una conservata nel medesimo cortile, l’altra a Gallico, in Collezione Salini. 696 Agli anni ’30 vanno invece ricondotti l’ Angelo annunciante acefalo della Galleria di Palazzo Mozzi-Bardini di Firenze; 697 la cuspide con Crocifissione con i dolenti in umiltà in Collezione Salini; 698 un busto d’ Angelo reggisudario , proveniente dalla Collegiata di San Gimignano e fino a qualche anno fa nella Galleria Alessandro Campolmi Antichità di Firenze, da Bartalini ricondotto a un perduto monumento funebre dalla chiesa di San Francesco della stessa città, a cui appartenevano anche un Santo acefalo del Museo d’Arte Sacra e un Cristo benedicente , anch’esso acefalo, nel Museo Civico; 699 le opere messinesi, ovvero la Tomba di Guidotto d’Abbiate († 1333) nella cattedrale e la cosiddetta Madonna degli Storpi , oggi nel Museo Regionale. Principale caratteristica della sua scultura, particolarmente manifesta in un’opera quale l’arca massetana, è lo stretto dialogo con la contemporanea oreficeria, l’arte che al tempo recepì per prima le

693 R. BARTALINI , 2005, pp. 140-141. 694 R. BARTALINI , 2005, pp. 151, 161 nota 4. 695 R. BARTALINI , 1985, pp. 21-38, riedito in R. BARTALINI , 2005, pp. 89-115. 696 R. BARTALINI , in La Collezione Salini ..., II, 2009, pp. 68-75. 697 R. BARTALINI , 2005, pp. 151, 161 nota 6. 698 S. COLUCCI , in La Collezione Salini ..., II, 2009, pp. 82-85. 699 R. BARTALINI , 2005, pp. 153-160. 171 sollecitazioni del gotico oltremontano; 700 ciò è ben evidente nella raffinata eleganza delle figurine e nella ricchezza decorativa delle micro-architetture e dei fondi delle scene. Il forte legame con le arti suntuarie ha motivato in passato un’attribuzione allo scultore di due opere d’oreficeria quali le statuine dei dolenti della Croce reliquiario del Tesoro della Cattedrale di Padova e le figurine del Pastorale del Museo Capitolare di Città di Castello. 701 Non conosciamo con sicurezza l’originaria posizione dell’arca all’interno della chiesa. Essa venne sistemata sotto la mensa dell’altare maggiore prima dell’anno 1600, dove è attestata in un verbale del 4 giugno 1600 in cui si narra del ritrovamento del 26 giugno 1599 delle reliquie di San Cerbone all’interno della chiesa, 702 e nella Relatione de la traslatione di Santo Cerbone seguita in Massa di Maremma l’anno 1600 , trascritta e pubblicata da Pierini, 703 dove si specifica che il “pilo di marmo o di travertino che già molti et molti anni fu murato sotto l’altar maggiore, a torno del quale come già fu detto sta sculpita di mezzo rilievo la vita del glorioso Santo Cerbone”. 704 Inglobata nel monumentale altare di Flaminio Del Turco nel 1626, l’arca è citata per la prima volta nella letteratura nel 1647 da Ferdinando Ughelli, il quale riferisce che il corpo di san Cerbone “sub maiori altari in arca marmorea honorifice requiescit”; 705 la stessa collocazione venne mantenuta fino al 1943 (fig. 4.86), quando fu spostata per proteggerla da eventuali danni bellici e infine trasferita nel soccorpo della cattedrale nel 1958. Da questo ambiente venne successivamente riportata in chiesa, e si trova adesso nello spazio absidale alle spalle dell’altare maggiore. L’informazione riportata dal canonico Arus che fino al 1538 l’arca si trovasse sopra la mensa dell’altare maggiore non ha finora trovato riscontro nei documenti. 706 Enzo Carli non escludeva la possibilità che la collocazione sotto l’altare fosse quella originale. 707

700 Sul rapporto a Siena nei secoli XIII e XIV tra le arti suntuarie e la pittura e la scultura si confronti R. BARTALINI , 2005, pp. 117-149. 701 Per queste opere si vedano E. CIONI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, pp. 104-108, e D. CINELLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, pp. 201-205. L’attribuzione non è accettata da Bartalini, che preferisce collegarle a un toreuta senese dei primi decenni del secolo (R. BARTALINI , 2005, pp. 144-147). 702 Il documento (ACM, Riformagioni , 30, 1600 giugno 4, c. 65), già segnalato da Petrocchi (L. PETROCCHI , 1900, p. 53), è in parte trascritto da Enzo Carli (E. CARLI , 1946, p. 58 nota 15): “ has reliquias (...) propria manu et Dominorum Vicarii, Canonicarumque posuit, et collacavit in capsulam marmoream diu prius constructum subtus altare maius Cathedralis dicte ”. 703 “... un nobil pilo di pietra che era collocato sotto l’altare maggiore de la chiesa et nel quale di mezzo rilievo è scolpita la vita di Santo Cerbone”. La Relatione è contenuta alle cc. 291r-293r di un codice intitolato Vite di Santi senesi della Biblioteca Comunale di Siena (segnatura K. VII, 24) (M. PIERINI , 1995, pp. 33-39). 704 M. PIERINI , 1995, p. 39. 705 F. UGHELLI , III, 1647, col. 784. 706 A. ARUS , 1884, pp. 28-29. 707 E. CARLI , 1946, p. 14. 172 Roberto Bartalini ipotizza invece che la cassa fosse originariamente collocata sulle colonnette reimpiegate nel Seicento a sostegno della mensa del nuovo altare, e che, connessa a un altare, si innalzasse come l’arca di San Benvenuto Scottivoli arcivescovo di Osimo (1264-1282), conservata nel Duomo della città osimana (fig. 4.85); una collocazione su colonne è proposta anche da Diana Norman e Michele Tomasi. 708 Una sistemazione rialzata dell’opera, evidentemente pensata per una visione a 360 gradi, è plausibile; ritengo presumibile che essa fosse originariamente ubicata al centro nel cappellone maggiore, e che tale collocazione fosse prevista fin dall’inizio dei lavori architettonici. Ciò spiegherebbe l’ampiezza della cappella, sufficientemente grande per accogliere l’arca di San Cerbone e i fedeli desiderosi di onorarne le reliquie, ma escluderebbe forse la necessità del collegamento con un altare, rendendo più plausibile una situazione simile a quella dipinta da Gentile da Fabriano nella tavoletta con Pellegrini miracolati alla tomba di San Nicola , originariamente parte dalla predella del polittico Quaratesi (1425) e oggi alla National Gallery of Art di Washington, dove l’arca del santo è raffigurata sollevata da quattro snelle colonnine poggianti direttamente sul pavimento (fig. 4.88). 709 L’importanza dello spazio absidale nel culto delle spoglie del santo giustificherebbe inoltre la commissione di una tavola opistografa, che non potrà essere spiegata solamente con la volontà di emulare la città senese, né con la presenza di un coro nel cappellone centrale, dato che, come abbiamo visto, questo si trovava al contrario al centro della chiesa, come nel caso della cattedrale di Siena.

La serie dei Santi e Profeti del Museo d’Arte Sacra

Al nuovo arredo della cattedrale appertiene anche una serie di undici statuette, oggi conservate nel Museo d’Arte Sacra. Per comodità, esse verranno numerate seguendo l’ordine in cui sono oggi esposte nella seconda sala, partendo da sinistra. La prima figura (n. 1, fig. 4.89) è identificabile con San Paolo, per la calvizie, la barba lunga e l’elsa della spada stretta nella mano destra. La seconda statuetta (n. 2, fig. 4.90), priva di specifici attributi, è caratterizzata dalla folta chioma leonina e dalla barba bipartita. Nel terzo santo (n. 3, fig. 4.91) è possibile riconoscere San Giovanni Battista, per l’inconfondibile pelle di cammello indossata sotto il mantello. Segue un giovane dal viso glabro, che sorregge un libro col braccio sinistro (n. 4, fig. 4.92), e un santo più

708 R. BARTALINI , 2005, p. 112 nota 7; D. NORMAN , 2001, pp. 191-221; M. TOMASI , 2012, p. 60. 709 Sulle arche sepolcrali dei santi, la loro forma e collocazione si veda M. TOMASI , 2012. 173 anziano, che dai capelli e dalla barba corta si direbbe San Pietro (n. 5, fig. 4.93). Sono identificabili come profeti le successive tre figure accomunate dalla barba e dal rotolo tenuto nelle mani, chiuso (n. 6, fig. 4.94) o spiegato (nn. 7 e 8, figg. 4.95, 4.96). La nona statuetta ritrae un personaggio giovane con in mano un rotolo aperto, sul quale sono ancora visibili alcune parole dipinte dall’incipit del Vangelo di Giovanni, che consentono il riconoscimento di San Giovanni Evangelista (n. 9, fig. 4.97). 710 Seguono altre due figure dai tratti giovanili, la prima priva di attributi (n. 10, fig. 4.98) e la seconda impegnata nella lettura di un libro (n. 11, fig. 4.99). Tutte le statuette hanno il retro lavorato e, eccetto le figure 1, 5 e 6, un gancio metallico inserito ad altezze diverse (figg. 4.100, 4.101). Alcune conservano parte della loro policromia originaria, visibile in particolare nei risvolti dei manti, e tracce della perduta doratura delle vesti.

Per un loro supposto rapporto con l’Arca di San Cerbone, le undici statuette furono inizialmente collegate al nome di Goro di Gregorio da Adolfo Venturi (1906), 711 attribuzione condivisa da Misciattelli (1929) 712 ma non da Weigelt (1921) 713 né da Planiscig (1915), che le considerava opere venete della seconda metà del Trecento. 714 Enzo Carli (1946) negò che i Santi e profeti potessero essere ricondotti allo scultore senese, proponendo il nome di Agnolo di Ventura, attivo a Massa Marittima come architetto nel 1336, in anni, secondo lo studioso, coincidenti col periodo di esecuzione delle statuette. 715 L’opinione di Carli, ribadita nei suoi scritti successivi, 716 fu accolta da Grassi (1959), che inventò il nome di “Compagno di Goro di Gregorio”. 717 Annarosa Garzelli, dopo aver confrontato il profeta n. 6 con il rilievo dell’ Annunciazione conservato nella Pinacoteca Nazionale di Siena (1968), 718 accosta il profeta n. 11 al fraticello di sinistra del monumento sepolcrale di Ranieri degli Ubertini in San Domenico ad Arezzo, e rileva consonanze tra il modellato del viso del gisant aretino e quello dei profeti nn. 6 e 10 (1969); 719 per la studiosa il percorso artistico del maestro attivo a Massa avrebbe preso le mosse dalla tomba di Guido Tarlati nel Duomo di

710 S. COLUCCI , in Marco Romano ..., p. 216. 711 A. VENTURI , IV, 1906, p. 362. 712 P. MISCIATTELLI , 1929, pp. 225-226. 713 C. H. WEIGELT , 1921, p. 403. 714 L. PLANISCIG , 1915, pp. 193-195. 715 E. CARLI , 1946, pp. 46-53. 716 E. CARLI , 1976, pp. 44-47; E. CARLI , 1980, p. 24; E. CARLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, p. 198. 717 L. GRASSI , 1959, pp. 222-228. 718 A. GARZELLI , 1968, pp. 63-64. 719 A. GARZELLI , 1969, p. 158. 174 Arezzo (1330), dove lo scultore avrebbe realizzato alcune delle figure di vescovo collocate tra le formelle istoriate del monumento. 720 Un grande peso nella storia critica della serie ha avuto il contributo di Luciano Bellosi (1984), che ne suggerì un’attribuzione a Gano di Fazio, spostando così la sua cronologia al secondo decennio del XIV secolo; 721 la proposta è stata accolta da Bartalini (1985, 1987, 1990, 2003, 2005), 722 Gianna Bardotti Biason (1985), 723 Silvia Colucci (2003, 2010) 724 e Bagnoli (2010), il quale ha distinto, all’interno del gruppo, tre statuette (nn. 7, 10 e 11) riferibili all’anonimo scultore senese Maestro del Sepolcro Malavolti. 725 Non condividono la proposta di Bellosi Pierini (1995), che accoglie l’opinione di Carli sulla precocità di una datazione al secondo decennio, 726 e Guido Tigler, che considera le sculture opere di un maestro più giovane, legato ai modi di Goro di Gregorio e di Lorenzo Maitani. 727 Il riferimento di tre delle statuette, distinguibili dalle restanti anche nell’utilizzo del marmo della Montagnola Senese, al Maestro del Sepolcro Malevolti, 728 già identificato da Antje Middeldorf Kosegarten e da Guido Tigler con Camaino di Crescentino, 729 appare ben suffragato dai confronti proposti da Bagnoli con i quattro rilievi con Storie di Cristo post-mortem e i due Angeli reggicortina , oggi nella Pinacoteca Nazionale di Siena, identificabili coi resti del monumento funebre del vescovo Rinaldo Malevolti († 1307). 730 Esse sembrano l’opera di uno scultore ancora della generazione di Camaino e di Gano di Fazio, artisti accomunati, nelle pieghe fluide dei panneggi e nelle figure composte e quasi sospese nel tempo nei loro sguardi fissi e trasognati, da una decisa divergenza rispetto alla dinamicità e all’inquietudine della scultura di Giovanni Pisano. Ciononostante, avvisaglie della ricezione dello spirito di quest’ultima compaiono nel deciso hanchement delle figure nn. 7 e 10, quest’ultima colta mentre si ritrae di scatto in un gesto di sorpresa. Se appare condivisibile il riferimento delle citate statuette al Maestro del Sepolcro Malevolti, l’attribuzione delle restanti otto figure a Gano di Fazio suscita qualche

720 A. GARZELLI , 1969, p. 158. 721 L. BELLOSI , 1984, pp. 19-22. 722 R. BARTALINI , 1985, p. 32; R. BARTALINI , in Scultura dipinta ..., 1987, p. 38; R. BARTALINI , 1990, p. 45; R. BARTALINI , in Duccio , 2003, pp. 518-523; R. BARTALINI , 2005, pp. 79, 87, 110, 114, 141. 723 G. BARDOTTI BIASON , 1985, p. 477. 724 S. COLUCCI , in Duccio , 2003, p. 513; S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 216-219. 725 A. BAGNOLI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 226-229. 726 E. CARLI , 1990, pp. 32-33; M. PIERINI , 1995, pp. 19-21. 727 G. TIGLER , 2005, pp. 200-201. 728 A. BAGNOLI , in Marco Romano ..., 2010, p. 228. 729 A. MIDDELDORF KOSEGARTEN , 1966, pp. 114-116; G. TIGLER , 1997, pp. 644-645; G. TIGLER , 2004, p. 51. 730 R. BARTALINI , in S. COLUCCI , 2003, pp. 152-154, 337-339; R. BARTALINI , 2005, pp. 82, 87 nota 27. 175 perplessità. Come ammesso dagli stessi sostenitori della tesi di Bellosi, 731 è difficile negare la disparità tra alcune delle sculture riferite al maestro sulla base del confronto con la sua unica opera firmata (monumento funebre di Tommaso d’Andrea, morto nel 1303, nella Collegiata di Casole d’Elsa) (fig. 4.102), quali la Tomba di Ranieri degli Ubertini in San Domenico ad Arezzo († tra il 1297 e il 1300) e i tre rilievi con Storie del Beato Gioacchino “Piccolomini” (1310-1312 circa), e i Santi e Profeti massetani. La distanza tra questi ultimi, più vivaci e analiticamente descritti, sia nelle fisionomie sia nelle vesti, e le figure dallo sguardo incantato, dai panneggi distesi, dalle forme compatte, delle opere di Gano, viene risolta interponendo tra i due gruppi la tomba di Santa Margherita nell’omonimo santuario di Cortona, attribuita allo scultore senese da Gianna Bardotti Biason, che ne colloca l’esecuzione negli anni 1308-1311: 732 in quest’opera, la cui datazione è stata successivamente spostata al secondo decennio, nella fase avanzata della carriera del maestro, Gano mostrerebbe una ‘virata’ in senso gotico che sarebbe sfociata, nel giro di pochi anni, nella realizzazione delle statuette di Massa. 733 Anche abbracciando come corretta l’attribuzione a Gano di Fazio dei bassorilievi del Beato Gioacchino (fig. 4.103) e del sepolcro cortonese, ipotesi non accettata unanimamente e contraddetta ad esempio da Guido Tigler, 734 il passaggio ai Santi e Profeti massetani appare comunque problematico; come sottolineato dallo stesso Tigler, risulta difficile immaginare un tale cambiamento stilistico in uno scultore formatosi negli ultimi decenni del Duecento, guardando principalmente ad Arnolfo di Cambio, nel giro, oltretutto, dei pochissimi anni che separano le formelle della Pinacoteca, databili all’inizio del secondo decennio per ragioni iconografiche, 735 e la data della morte di Gano di Fazio, compresa tra l’8 settembre 1316 e il 1318. 736 In assenza di documentazione che chiarisca la questione, sembra più plausibile pensare all’opera di uno scultore della generazione successiva, formatosi forse nella bottega di Gano, come suggerito da Tigler, oppure dello stesso Maestro del Sepolcro Malavolti. 737 E’ possibile supporre che i due scultori abbiano lavorato fianco fianco nella realizzazione delle statuette massetane, forse in un rapporto maestro-allievo, oppure che le figure del presunto Maestro del Sepolcro Malavolti non abbiano seguito, come

731 R. BARTALINI , in Duccio ..., 2003, pp. 518-520; S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, p. 218. 732 G. BARDOTTI BIASON , 1984, pp. 4-5. 733 L. BELLOSI , 1984, pp. 20-22. 734 G. TIGLER , 2005, pp. 200-201. 735 Sui bassorilievi si vedano, come ultimi contributi, S. COLUCCI , in Duccio ..., 2003, pp. 514-517, e S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 210-213. 736 P. BACCI , 1944, pp. 51-109. 737 G. TIGLER , 2005, pp. 201. 176 suggerito da Bagnoli, 738 bensì preceduto l’esecuzione delle altre otto, e che la serie sia stata completata in seguito dal secondo scultore. Incerte sono tuttora la primitiva collocazione e funzione della serie, ignote quanto il loro programma iconografico: essa comprende figure di apostoli (Pietro, Giovanni Evangelista, forse Andrea), 739 di santi (Giovanni Battista, Paolo), di profeti (nn. 6, 7 e 8) e di figure non facilmente inquadrabili (nn. 4, 10, 11). Non sappiamo oltretutto se il loro numero attuale rispecchi quello originario. 740 La prima citazione delle statuette si deve a Guglielmo Della Valle, che le descrive “intorno all’urna”, ovvero all’Arca di San Cerbone, ai tempi sistemata sotto la mensa dell’altar maggiore; 741 nel 1884 esse si trovano ancora nella medesima posizione, “appoggiate alle colonne che sorreggono la mensa”. 742 Meno di due decenni dopo le statuette risultano sugli stalli del coro ligneo nel cappellone maggiore della cattedrale, 743 collocazione mantenuta fino al 1921, quando quattro di esse – non è chiaro quali – vennero trafugate dalla cattedrale la notte tra il 19 e il 20 dicembre, come si rileva da una lettera spedita da Gaetano Badii al Soprintendente. 744 Due statuette vennero rinvenute presso l’antiquario Villa di Genova, e provvisoriamente trasferite a Brera, mentre le altre, vendute dall’antiquario Bossi di Genova all’antiquario Demotte di Parigi, erano state rispedite alla Soprintendenza nel 1925. 745 Nel 1958 la serie fu spostata nel soccorpo della cattedrale assieme all’Arca di San Cerbone, per poi essere trasferita nel 2005, decontestualizzandola definitivamente, nel Museo d’Arte Sacra. Come giustamente sostenuto da Enzo Carli, è difficile immaginare che la statuette fossero originariamente collocate attorno all’arca, se questa si fosse trovata nella posizione attestata dalla fine del Settecento a tutto l’Ottocento: oltre ad essere d’impaccio al celebrante durante la messa, esse avrebbero ostacolato la visione della cassa se posta sotto la mensa, e costituito un insieme disarmonico anche se l’arca si

738 A. BAGNOLI , in Marco Romano ..., 2010, p. 226. 739 L’ipotetica identificazione della statuetta n. 2 con Sant’Andrea si deve a S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, p. 216. 740 Nel 1929 Piero Misciattelli aggiunse alla serie massetana una statuetta di Goro di Gregorio già in collezione Robert von Hirsch a Francoforte sul Meno, identificata, per un’iscrizione falsa, come Socrate (P. MISCIATTELLI , 1929, pp. 225-226); l’opera, espulsa dalla serie da Carli (E. CARLI , 1946, pp. 53-54), si trova oggi in Collezione Salini (C. BARDELLONI , in La Collezione Salini ..., II, 2009, pp. 76-81). 741 G. DELLA VALLE , II, 1785, p. 129. 742 A. ARUS , 1884, p. 29. 743 L. PETROCCHI , 1900, pp. 49-50; A. VENTURI , IV, 1906, p. 362. 744 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 20 dicembre 1921, carta s.n. 745 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 25 aprile 1927, carta s.n. 177 fosse trovata sopra l’altare, 746 collocazione, quest’ultima, da scartare, dato che questo era occupato dalla grande Maestà duccesca. Questa circostanza impedisce anche di immaginare che le statuette appartenessero a un’intelaiatura simile a quella dell’Arca di San Donato nel Duomo di Arezzo, dove la cassa reliquiario è strettamente connessa all’altare maggiore, in una struttura che viene indicata col nome di Kastenaltar (altare- repositorio). 747 Lo stesso Carli riteneva improbabile una sistemazione al di sopra della trave di un tramezzo, sul modello delle statue di Jacobello delle Masegne sull’iconostasi di San Marco a Venezia; 748 questa ipotesi, riproposta recentemente da Silvia Colucci, 749 è effettivamente difficilmente sostenibile per le misure delle statuette, di altezze comprese tra i 74 e gli 80 cm, e quindi troppo piccole per una collocazione molto rialzata. D’altro canto un’ubicazione sugli stalli di un coro absidale, suggerita da Carli, 750 sembra cozzare con l’assenza di notizie sull’esistenza di una tale struttura, mentre siamo informati della presenza di un coro “di mezzo la Chiesa”; 751 lo stesso coro absidale del Duomo senese, le cui testiere, come ricorda la Colucci, erano sormontate da statuette lignee, venne realizzato solo nella seconda metà del Trecento. 752 A ciò si aggiunga che gli stalli attualmente presenti nel cappellone maggiore della cattedrale di Massa vengono tradizionalmente considerati estranei alla cattedrale: è stato proposto da Petrocchi di riconoscervi il coro eseguito nel 1464 per la chiesa di San Francesco, dalla quale sarebbero stati qui trasferiti in seguito all’abbandono del convento nel 1782, 753 ma poiché tale trasferimento non è documentato non è da escludere una provenienza dal convento delle Clarisse, come asserito da Arus (fig. 4.104). 754 Ciononostante, una sistemazione delle statuette lungo la parete dell’abside, che richiama alla mente gli esempi illustri della Sainte-Chapelle di Parigi e della cattedrale di Colonia, rimane un’ipotesi suggestiva, considerando soprattutto la probabile collocazione dell’arca di Goro di Gregorio al centro della cappella maggiore. Se lo svincolamento della serie dal nome di Gano di Fazio permette una datazione tra il secondo e il terzo decennio, contemporanea alle varie commissioni volte alla creazione del nuovo arredo presbiteriale, un’eventuale esecuzione in anni precedenti a quelli dell’arca non

746 E. CARLI , 1946, pp. 46-47. 747 Sull’opera, eseguita tra la fine degli anni ’60 del Trecento e la metà del decennio successivo, si veda, da ultimo, A. GALLI , 2005, pp. 130-137, e S. COLUCCI , 2005, pp. 157-160. 748 E. CARLI , 1946, p. 47. 749 S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 216-218. 750 E. CARLI , 1946, pp. 47-48. 751 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 269 v, 1585 gennaio 5. 752 S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, p. 218. 753 L. PETROCCHI , 1900, p. 54. La nomina di quattro cittadini per la collocazione del coro nella chiesa francescana si trova in ACM, Riformagioni , 14, p, 1464 settembre 8, c. 379 v. 754 A. ARUS , 1884, pp. 30-31. 178 costituirebbe comunque un elemento a sfavore di un rapporto delle statuette con l’opera di Goro di Gregorio: si può legittimamente presumere che l’intero arredo fosse il frutto di una progettazione unica, in cui un ruolo importante di coordinazione spettò probabilmente all’operaio Peruccio, in carica durante la realizzazione sia della Maestà sia del nuovo e prestigioso contenitore delle reliquie del santo protettore. In tal modo anche il programma iconografico dei profeti ed apostoli, in quanto ideali predecessori di Cerbone, acquisterebbe un senso più preciso.

I nuovi Corali per la cattedrale

Negli stessi anni, presumibilmente verso il 1320, venne commissionata una serie di tre corali (2, 9, 10), oggi conservati al Museo d’Arte Sacra; nei codici, sottoposti in epoca imprecisata, ma prima del 1884, 755 al taglio e all’asportazione della maggiori parte delle iniziali miniate, è stata riconosciuta la mano di un miniatore senese influenzato inizialmente da Duccio, presso la cui bottega probabilmente si formò, e in seguito da Simone Martini.756 All’anonimo artista, denominato Maestro dei Corali di Massa Marittima e identificato in passato con Memmo di Filippuccio, 757 sono stati attribuiti, oltre ai tre corali dalla cattedrale e a quattro antifonari della chiesa di Sant’Agostino, il Graduale 46-2 del Museo dell’Opera del Duomo di Siena (1290-1295), un Antifonario nella chiesa di Santo Stefano in Pane di Firenze (1302), un Antifonario Temporale e Santorale nella Honnold Library a Claremont in California (1310 circa), l’Evangeliario F.III.6, l’ Epistolario F. V. 26, il Sequentiae Missarum G. III. 2 e il Graduale H.I.10 della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena (1310 circa), i Graduali M, N, O, P, Q del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa (1316-1317), due iniziali ritagliate nella Fondazione Cini a Venezia, una nel Historisches Museum di Francoforte e tre nel Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. 758 Dall’ Antifonario 9, l’unico in cui ancora sopravvive una miniatura a c. 46 raffigurante la Crocifissione di San Pietro (fig. 4.106), provengono tre iniziali miniate nel Manoscritto Vaticano Rossiano 1167 della Biblioteca Apostolica Vaticana ( Miracolo di San Cerbone , Decollazione del Battista ,

755 A. ARUS , 1884, p. 31. 756 Sull’anonimo miniatore si veda A. LABRIOLA , 2002, pp. 11-12, 40-42, 45-52, 281-288; A. LABRIOLA , 2005, p. 27; A. LABRIOLA in M. BOSKOVITS , A. LABRIOLA , V. PACE , A. TARTUFERI , 2006, pp. 183-185; A. L ABRIOLA , 2008, pp. 196-201 . 757 Per l’identificazione con Memmo di Filippuccio si veda G. PREVITALI , 1964, pp. 3-11, M. G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO , 1977, pp. 111-119, e A. M. GIUSTI in Il gotico a Siena ..., 1982, pp. 65-74. Si deve a Boskovits la separazione tra le due figure (M. BOSKOVITS , 1983, pp. 259-276: 261). 758 A. LABRIOLA , 2002, pp. 281-288. 179 Assunzione della Vergine ) (figg. 4.105). I tre corali dell’anonimo miniatore andarono ad aggiungersi a due antifonari (5, 8) e a un graduale (6) già esistenti nella cattedrale; decorati in maniera aniconica, i tre corali sono stati attribuiti a miniatori aretini e datati i primi due verso l’anno 1300 e il terzo nella seconda metà del Duecento. 759

Il busto di San Cerbone

Nello stesso torno di anni venne commissionata una statua lignea di San Cerbone, oggi pervenutaci in forma di busto, ma in origine probabilmente a figura intera (figg. 4.107, 4.108). 760 La sua prima citazione si rintraccia in un inventario degli arredi della cattedrale del 16 maggio 1804, nell’elenco delle opere conservate in sagrestia; 761 compare nuovamente nell’inventario successivo del 1810. 762 Citato sia da Petrocchi che da Lombardi come opera trecentesca, 763 la scultura è stata trascurata dagli studi fino allo studio approfondito di Alessandro Bagnoli in occasione della mostra del 2010 dedicata a Marco Romano, con attribuzione ad ignoto scultore senese del secondo decennio XIV secolo. 764 L’alta qualità dell’opera, emersa chiaramente dopo il restauro del 1999, risulta evidente nella capacità dello scultore di modellare e caratterizzare il volto anziano, e nella raffinata decorazione della pianeta, decorata da tondi con coppie di pappagalli affrontati, ripetuti anche nello stolone, e un leone rampante, simbolo della città massetana. Come sottolinea Bagnoli, il punto di riferimento per l’interesse alla fisionomia del santo, indagata con attenzione, è la scultura di Marco Romano, nonché la produzione di Simone Martini tra il secondo e il terzo decennio del Trecento. 765

759 A. LABRIOLA , 2002, pp. 50-51. 760 R. BARTALINI , 2011, p. 320. Non è dato di sapere a quando risalga la sua riduzione alle dimensioni attuali 761 “Un busto con ritratto di San Cerbone” (ACM, Opera di San Cerbone , 12, Inventario degli arredi sacri, argenteria e suppellettili esistenti nella sacrestia della cattedrale di S. Cerbone , 1804, c. 9 r). 762 ACM, Opera di San Cerbone , 12, Inventario degli arredi sacri, argenteria e suppellettili esistenti nella sacrestia della cattedrale di S. Cerbone , 1810, c. s. n. 763 L. PETROCCHI , 1900, p. 65; E. LOMBARDI , 1966, p. 47. 764 A. BAGNOLI in Marco Romano ..., 2010, pp. 234-239. Lo studioso la indica impropriamente come del tutto inedita. 765 A. BAGNOLI in Marco Romano ..., 2010, pp. 234, 239. 180 5. Gli interventi trecenteschi e quattrocenteschi

Nel corso del Trecento e del Quattrocento, numerosi furono gli interventi che interessarono l’interno della cattedrale. Nel corso dei decenni si procedette alla progressiva decorazione delle pareti laterali e delle due cappelle del ‘transetto’, gran parte della quale andò distrutta a partire dalla fine del Cinquecento, in seguito alla costruzione dei nuovi altari. Quasi tutti i frammenti di affreschi oggi visibili all’interno dell’edificio vennero riportati alla luce tra il 1880 e gli ultimi decenni del secolo scorso. Alla decorazione pittorica si aggiunsero altre commissioni di opere di scultura e di oreficeria, e la realizzazione di due vetrate. La piccola percentuale dell’apparato pittorico che sopravvive ancora oggi all’interno della cattedrale restituisce solo un’idea molto limitata di quello che doveva essere l’aspetto dell’edificio prima del XVI secolo: quasi nulla è rimasto della decorazione della navata destra, poco di quella della navata sinistra. In quest’ultima, nella prima campata, si apre un arcosolio decorato da un finto trittico ad affresco (fig. 5.1). Simili nicchie ad incasso, oggi ammattonate, dovevano aprirsi lungo l’intera parete laterale, come suggeriscono alcune tracce nella muratura. Segni di una nicchia infatti sono visibili nella quarta campata, alla sinistra della Tomba Traversi (fig. 5.2); un’altra compare alla destra dello stesso monumento (a meno che non si tratti della medesima nicchia, molto larga, la cui parte centrale è ormai celata dalle sculture di Tito Sarrocchi). La metà di un altro arcosolio si intravede, nella quinta campata, alla sinistra della tela dell’ Annunciazione di Raffaello Vanni; un’ulteriore tamponatura, che tuttavia non presenta il profilo arcuato consueto per una nicchia, è visibile tra lo stesso dipinto e il semipilastro che separa la quinta campata dalla sesta (fig. 5.3). Un arco ribassato in laterizio, inglobato nella muratura, si individua anche alle spalle del confessionale ligneo della settima. Passando alla navata opposta, una grande apertura murata insiste nella parete della quinta campata, e un arcosolio tamponato in quella successiva (fig. 5.4). Parte del materiale di riempimento di quest’ultimo è stato asportato, scoprendone il fondo, in cui si colgono ancora tracce di intonaco dipinto (fig. 5.5). E’ assai probabile che le tamponature delle nicchie menzionate nascondano superfici affrescate, che potrebbero tornare alla luce una volta liberate, come è accaduto nel caso dell’arcosolio della prima campata sinistra, riscoperto nella demolizione dell’altare antistante. Sfortunatamente non siamo più in grado, tranne in rari casi, di ricollegare le varie pitture sopravvissute sulle pareti della cattedrale a cappelle specifiche. La situazione restituita

181 dalla prima visita pastorale, risalente agli anni 1586-1587 766 e quindi a un momento immediatamente successivo alla radicale riorganizzazione dell’interno che precedette la nuova consacrazione dell’edificio, si presenta presumibilmente diversa da quella medievale. La documentazione tre e quattrocentesca conservata nell’Archivio Comunale della città e nell’Archivio di Stato di Siena offre pochi dati utili alla ricostruire dell’intitolazione degli altari e delle cappelle nel periodo antecedente al 1586, ma, nondimeno, l’analisi di queste sporadiche segnalazioni risulta interessante. Un altare che troviamo menzionato ripetutamente, e la cui intitolazione sopravviverà, come testimoniato dalle visite pastorali, fino al XIX secolo, è quello di San Brizio, 767 che compare per la prima volta in un testamento rogato il 24 agosto del 1328, 768 in cui Cecco del fu Martino del fu Ranieri di Vernaccio, dopo aver chiesto di essere seppellito nella cattedrale, lascia numerosi beni alla chiesa affinché, tra le varie cose, “ ad altare et super altare quod factum et hedificatum est a Comuni et per Comune Masse ad reverentiam Omnipotentis Dei et Beati Britii confessoris fieri debeat per meos fides massarios infrascriptos de bonis meis et ordinare et disponere ac facere tenearunt unam cappellam ut ibi in perpetuum reverentius glorificetur et santificetur corpus et sanguis domini nostri Iesu Christi, ab remedium meorum peccatorum, et ad salutem animarum meorum parentum ”. Ordina poi che un sacerdote di “ bone et honeste ” vita dica messa quotidianamente al detto altare e prenda residenza giorno e notte nel claustro della cattedrale; commissiona infine che “ fiat et ematur una tabula ad dictum altare et pro dicto altare cum figuris et imaginibus Beate Marie Verginis et Beatorum Confessorum Cerboni et Britii et aliorum sanctorum ”. Da questo primo documento si apprende dunque che l’altare è di fondazione comunale, creato pobabilmente in occasione della ridefinizione dell’area del presbiterio in seguito ai lavori di ampliamento della fabbrica. Nel 1328 l’altare doveva inoltre essere privo di tavola dipinta, ma non è chiaro se la pittura commissionata nel testamento sia mai stata

766 AVM, Visita Pastorale del1586-1587 , pp. 2-8. 767 Non sono chiare le origini e le motivazioni del culto di San Brizio da parte del Comune di Massa Marittima. Il santo, originario della Turenna, fu un monaco educato da San Martino di Tours, a cui successe nell’episcopato della città francese. Frequente è in Umbria il culto di Brizio, identificabile probabilmente con l’omonimo santo di Tours, commemorato nel Martirologio Romano alla data del 9 luglio come vescovo di Massa Martana; la sua leggenda agiografica venne rimaneggiata a uso di altre chiese umbre, trasformandolo via via in vescovo di Todi, Spoleto, Foligno e Bettona (A. AMORE , s. v. Brizio , santo , in Bibliotheca Sanctorum , III, pp. 539-540; G. BATAILLE , s. v. Brizio , in Bibliotheca Sanctorum , III, Roma 1963, pp. 540-541). E’ suggestivo, anche se del tutto congetturale, pensare che essendo indicato come vescovo di un luogo dal nome simile a quello della cittadina maremmana abbia potuto in epoca medievale generare un equivoco che lo portò ad essere considerato uno dei vescovi di Massa Marittima. 768 ASS, Archivio Riformagioni Massa , 1328 agosto 24. 182 effettivamente eseguita: non risulta che dalla cattedrale provengano altre tavole trecentesche oltre alla Maestà di Duccio, né sembra possibile identificare altri dipinti in cui compaia Cerbone, ad eccezione della pala di Ambrogio Lorenzetti, oggi al Museo d’Arte Sacra di Massa, in cui tuttavia è assente Brizio. 769 Considerando l’importanza della fondazione comunale, l’altare poteva trovarsi in una delle due cappelle ai lati dell’abside, o nella Cappella del Rosario; alla sua posizione nell’edificio o al suo apparato decorativo non si fa tuttavia mai riferimento nei successivi documenti che lo citano, quali le riformagioni del 1394, 770 del 1460 771 e del 1462. 772 E’ da escludere che la cappella potesse essere quella destra del ‘transetto’ di patronato della famiglia Galliuti, come dimostrato dallo stemma dipinto sopra la nicchia della Santa Caterina d’Alessandria , affrescata sul pilastro destro d’ingresso, e dalla presenza, fino al 1880, della lapide sepolcrale di Toro dei Galliuti. L’intitolazione di questa si desume da una riformagione del 1440, dove si cita la “ cappelle an(n)uptiate de gagliutis ”. 773 La consultazione dei vari volumi delle Riformagioni dell’Archivio Comunale di Massa ha portato a rintracciare altre due intitolazioni di cappelle nel Trecento: la prima, ricordata nel 1370 come costruita coi beni di Angelo del Coppia, è dedicata a San Michele; 774 la seconda, intitolata a San Jacopo Apostolo, nel 1394 è definita edificata per Cecco di Giovanni Ciani. 775 Di nessuna delle due viene purtroppo menzionata la posizione nell’edificio.

Le pitture

La pittura a Massa Marittima si mostra stilisticamente legata a Siena, con cui la città intratteneva rapporti dalla metà del XIII e dalla quale era stata definitivamente assoggettata nel 1335. Un’importante influenza dovette esercitare soprattutto la

769 Poco frequenti sono le attestazioni iconografiche di San Brizio, generalmente raffigurato come un giovane vescovo dalla barba corta (M. C. CELLETTI , s. v. Brizio ( iconografia) , in Bibliotheca Sanctorum , III, Roma 1963, p. 541). Nella tavola di Ambrogio compare un santo vescovo di simili fattezze accanto a San Cerbone, ma in esso viene generalmente riconosciuto Sant’Agostino, per la veste nera che spunta sotto l’abito vescovile. 770 ACM, Riformagioni dal MCCCXCII al MCCCCI , 11, 4, 19 r, 1394 agosto 25. Il documento concerne l’elezione di un nuovo cappellano per tre cappelle in cattedrale. 771 ACM, Riformagioni dalMCCCCLVII al MCCCCLXIV , 14, e, 130 v., 1460 maggio 27. 772 ACM, Riformagioni dal MCCCCLVII al MCCCCLXIV , 14, l, 250 v, 252 v, 253 r, 1462 dicembre 8 e 21. 773 ACM, Riformagioni dal MCCCXXX al MCCCCXLIII , 12, m, c. 319 v, 1439 aprile 21. 774 ACM, Riformagioni dalMCCCLXV al MCCCLXX , 7, b, c. 11 r, 1370 gennaio 24. La cappella è citata nuovamente nel 1376 (ACM, Riformagioni dalMCCLXXVI al MCCCLXXXII , 9, a, c. 35 v, 1376 febbraio 27) e nel 1394 (ACM, Riformagioni dal MCCCXCII al MCCCCI , 11, d, c. 19 r, 1394 agosto 25). 775 ACM, Riformagioni dal MCCCXCII al MCCCCI , 11, d, c. 19 r, 1394 agosto 25. 183 presenza di Ambrogio Lorenzetti, attestata sia dalle fonti antiche, 776 sia dalla tavola della Maestà oggi conservata nel Museo d’Arte Sacra (fig. 5.6). Quest’ultima, la cui originaria collocazione non è tramandata né dal Ghiberti né dal Vasari, viene generalmente ritenuta proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino, nonostante le sue tormentate vicende conservative consentano di considerare la tradizionale provenienza probabile, ma non certa. 777 Essa è difatti attestata per la prima volta dal Romagnoli (1835), che riporta una comunicazione orale del Gaye sulla presenza della tavola, “bastantemente conservata”, nella Cancelleria Comunitativa. 778 Dal Palazzo Comunale essa venne depositata, prima del 1873, nel nuovo museo della città, allestito nel convento di Sant’Agostino; 779 lì si trovava ancora nel 1894, 780 mentre già nel 1900 il Petrocchi la ricorda trasferita nuovamente nella sede del Comune. 781 Lo stesso Petrocchi accenna per la prima volta al ritrovamento dell’opera nel 1867 in una soffitta del convento agostiniano. 782 Questa notizia, unita alle parole del Cagnola, che due anni più tardi riferiva, su racconto del sindaco massetano, che la pala era stata in passato tagliata in cinque assi e utilizzata come raccoglitore per la cenere, 783 è stata considerata da gran parte della letteratura successiva la prova della destinazione agostiniana dell’opera, realizzata per Sant’Agostino o per l’adiacente chiesa di San Pietro all’Orto. 784 La presenza della tavola nel Palazzo Comunale già nel 1835, e la mancanza di documenti che ne attestino l’originaria ubicazione, consentono invece di mettere quanto meno in dubbio questo assunto, e di non escludere a priori una commissione comunale o un’eventuale provenienza dal convento di San Francesco. 785 Alla tavola, databile su basi stilistiche intorno al 1340, 786 nella stessa fase degli affreschi di Montesiepi e della Sala della Pace del Palazzo Pubblico senese, 787 sono state recentemente ricollegate due cuspidi, raffiguranti Sant’Elisabetta d’Ungheria , oggi nell’Isabella Stewart Gardner

776 L. GHIBERTI , 1998, pp. 89; G. VASARI , 1550 [1986], pp. 149-150. 777 Per una ricostruzione delle complicate vicende conservative della tavola si vedano B. SANTI in Mostra di opere ..., 1979, pp. 60-66, D. NORMAN , 1995, pp. 577-584 e J. MILK MAC FARLAND , 2011, pp. 113-126. 778 E. ROMAGNOLI , II, 1835, p. 254. 779 S. GALLI DA MODIGLIANA , 1873, p. 276, n. 1. 780 A. ADEMOLLO , 1894, pp. 196-198. 781 L. PETROCCHI , 1900, p. 84. 782 L. PETROCCHI , 1900, p. 84. 783 G. CAGNOLA , 1902, p. 143. 784 Sulla provenienza da San Pietro all’Orto si vedano C. GARDNER VON TEUFFEL , 1987, p. 391; D. NORMAN , 1995, pp. 577-584. Sul dipinto si consultino anche E. CARLI , 1976, pp. 60-62; 785 Per una provenienza da San Francesco, basata sul collegamento tra l’iconografia del dipinto e testi di Bonaventura da Bagnoregio, si veda J. MILK MAC FARLAND , 2011, pp. 113-126. 786 La pala è datata al 1335 da E. BORSOOK , 1966, pp. 32-33; D. NORMAN , 1995, p. 577-584; C. FRUGONI , 2010, pp. 47-48. Al contrario hanno suggerito una datazione all’inizio degli anni Quaranta C. VOLPE , 1951a, p. 50; G. PREVITALI , 1960, p. 73; R. OERTEL , 1968, pp. 234-235; E. ZAPPASODI , 2013. 787 Sulla Sala della Pace si veda M. M. DONATO , 2010, pp. 201-249, sugli affreschi di Montesiepi C. FRUGONI , 2010, pp. 148-151. 184 Museum di Boston, e Sant’Agnese , conservata nel Fogg Art Museum di Cambridge in Massachusetts.788 L’attività di Ambrogio per Massa dovette essere tutt’altro che sporadica, comprendendo anche una cappella di cui non si conosce l’ubicazione, affrescata “in compagnia d'altri”. 789

La Crocifissione in controfacciata

Mostra un innegabile legame con l’operato dei fratelli Lorenzetti un gruppo di affreschi visibili nella navata sinistra della cattedrale, riconducibili probabilmente alla stessa bottega. Il primo di questi è una frammentaria Crocifissione sulla parete di fondo della navata sinistra, a destra del portale, che doveva originariamente occupare in larghezza tutto lo spazio compreso tra il semipilastro e lo spigolo della facciata (fig. 5.7). Del dipinto è andata perduta la parte sinistra, corrispondente a circa un quarto della raffigurazione, parte della porzione inferiore e alcune sezioni all’interno della composizione; come nel caso di altri affreschi, le lacune hanno contorni diritti e precisi, originatisi evidentemente per l’apposizione di strutture dal profilo rettilineo. La superficie pittorica si presenta notevolmente impoverita. La scena era originariamente coronata in alto da un arco ribassato e delimitata da una cornice a stelle bianche a sei punte su sfondo rosso, di cui sopravvive un lacerto del lato sinistro; nel pennacchio destro di risulta si intravede parte di un quadrilobo apparentemente privo di figurazione. Alla sinistra del Cristo crocifisso è raffigurata la Vergine, svenuta, sorretta dalle tre Pie Donne, mentre la Maddalena, inginocchiata a terra, bacia i piedi di Gesù; di una quinta figura sulla sinistra, identificabile forse con San Giovanni Evangelista, rimane solo parte del nimbo. Sopra al gruppo volteggia la figura allegorica dell’Ecclesia, che reca in mano un’ostia e un cartiglio spiegato. Nel lato destro della figurazione, il più frammentario, si riconoscono due figure, un giovane uomo con la testa rivolta verso l’alto, da identificare, per l’abbigliamento, col Longino, e un personaggio anziano, forse uno dei Giudei presenti alla Crocifissione. Altri personaggi, ormai perduti, dovevano essere rappresentati tra Cristo e il Longino, dove oggi rimane solamente la sezione inferiore dell’intonaco dipinto; qui è visibile parte di una lunga veste di pelo, forse il frammento

788 E. ZAPPASODI , 2013 (in corso di stampa). 789 G. VASARI , 1550 [1986], pp. 149-150. 185 di un San Giovanni Battista, scelta iconografica che, pur rara, è attestata in area senese. 790 L’affresco, datato tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo da Lombardi, 791 è da considerarsi, per Enzo Carli, “una eco non tanto provincializzata della grande arte dei Lorenzetti, specialmente di Pietro”. 792 Il riferimento a quest’ultimo è evidente nel gruppo femminile alla sinistra del Cristo, dove le Pie Donne si dispongono a semicerchio attorno alla Vergine svenuta, sorreggendone la nuca con la mano (fig. 5.8), come nella grande Crocifissione che Pietro Lorenzetti dipinse intorno al 1320 nel transetto sinistro della basilica inferiore di Assisi (fig. 5.10); 793 dal prototipo lorenzettiano deriva la posizione di spalle della pia donna sulla destra, che cinge con il braccio sinistro la Vergine, la cui posa, nel braccio destro abbandonato, pare tuttavia richiamare un diverso modello, verosimilmente perduto ma importante in ara senese perché citato alla lettera anche nella Crocifissione di Naddo Ceccarelli in Collezione Salini (Castello di Gallico, Lucignano) (fig. 5.11). 794 Allo stesso pittore sembra potersi collegare anche la sinopia raffigurante Guarigione del cieco nato , sul semipilastro della parete sinistra che divide la quinta campata dalla sesta, in cui il taglio del viso e il disegno degli occhi del miracolato sembrano mostrare i contorni pungenti e affilati della Vergine svenuta della Crocifissione (fig. 5.9). 795 Da un punto di vista stilistico, l’artista di riferimento sembra piuttosto Ambrogio, di cui il pittore pare conoscere le opere della fine degli anni Trenta, quali, oltre alla Maestà massetana, i non distanti affreschi di Montesiepi (1340) o la decorazione della Sala della Pace nel Palazzo Pubblico di Siena (1338-1339). Proprio dalle Virtù dell’ Allegoria del Buon Governo (fig. 5.13), infatti, il pittore sembra aver tratto l’ispirazione per la figura dell’Ecclesia (fig. 5.12), del cui pendant (la Sinagoga) dall’altro lato della croce rimangono solo le tracce di un’ala. I debiti maturati verso i brani licenziati da Ambrogio suggeriscono per la Crocifissione massetana una datazione intorno alla metà del secolo.

790 Si veda, ad esempio, il caso della Crocifissione attribuita a Naddo Ceccarelli nel Museo Horne di Firenze ( Il Museo Horne ..., 1966, p. 138; Museo Horne ..., 2011, p. 55). 791 E. LOMBARDI , 1966, p. 24. 792 E. CARLI , 1976, p. 62. 793 C. VOLPE , 1951b, pp. 13-26; C. VOLPE , 1995, pp. 24-29. 794 S. SPANNOCCHI , in La Collezione Salini ..., I, 2009, pp. 174-181. 795 La sinopia viene citata solo da Carli, che la accosta all’affresco della lunetta sopra al portale nella seconda campata sinistra (E. CARLI , 1976, pp. 65-66). 186 Il trittico ad affresco della prima campata sinistra

Non tanto distante cronologicamente pare essere l’affresco nell’arcosolio della parete della prima campata sinistra, dove è raffigurato un finto trittico, con una Madonna col Bambino nella ‘tavola’ centrale e, nelle laterali, San Francesco con un libro tra le mani e Santa Caterina d’Alessandria con un libro aperto, una foglia di palma e la ruota dentata, suo tipico attributo (fig. 5.14). A destra del santo è visibile un disegno in rosso di sinope di una piccola Madonna col Bambino, forse uno schizzo preparatorio per le due figure centrali. L’intradosso dell’arcosolio mostra un motivo a grossi rombi inscritti in rettangolari, in cui si alternano i colori verde, rosso, arancione e blu. Il fondo delle ‘tavole’, caratterizzate da un semplice coronamento cuspidato, doveva essere originariamente coperto da una lamina metallica, successivamente perduta; le stesse aureole dei due santi laterali mostrano i segni di una punzonatura. Anche lo sfondo della composizione ha perduto la sua originale colorazione a secco e appare oggi molto scuro e rossastro, per il riaffioramento del morellone di preparazione. 796 L’affresco venne riscoperto durante i restauri del 1880, in seguito alla demolizione dell’altare che vi era stato addossato in epoca moderna. Rappresenta uno dei frequenti casi toscani di finti polittici, tra cui si potranno ricordare, tra i tanti, quello in San Francesco a Siena, di Lippo Vanni, quello nell’ex-convento di Sant’Agostino a Monticiano, e altri in San Francesco a Montepulciano e in San Lucchese a Poggibonsi. 797 Datato ai primi del XIV secolo da Petrocchi, 798 e tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo dal Lombardi, 799 il dipinto è stato riferito da Enzo Carli alla stessa temperie culturale della Crocifissione in controfacciata. 800 Anche in questo caso, il rapporto con Pietro Lorenzetti è evidente nella posizione del Bambino che appoggia il braccio destro sulla spalla sinistra della madre e nella posa delle mani di quest’ultima (fig. 5.15), che replicano la composizione di opere quali la Madonna col Bambino del Museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia a Buonconvento (fig. 5.18), già nella parrocchiale di San Bartolomeo a Castelnuovo Tancredi, e la Madonna col

796 Il primo restauro dell’affresco, del quale si conservano il conto delle spese e le lettere di sollecito di pagamento, fu eseguito nel 1912 da Tomaso Baldini (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Duomo, Carte dal 1908 al 1923 , 10 febbraio 1913, carte s.n.). 797 Sui polittici murali si veda A. DE MARCHI , 2004, pp. 41-43 e E. CAMPOREALE , 2011, pp. 9-77. 798 L. PETROCCHI , 1900, p. 60. 799 E. LOMBARDI , 1966, p. 24. 800 E. CARLI , 1976, p. 62. 187 Bambino della collezione Mason-Perkins a Assisi (fig. 5.17). 801 Un’indicazione per la datazione dell’affresco si può dedurre dalla moda del vestito della Santa Caterina, meno attillato rispetto alla moda femminile propria del sesto decennio del Trecento, ma caratterizzato da uno scollo sufficientemente ampio da lasciare scoperta parte della spalla sinistra. 802 E’ presumibile che esso sia da collocare cronologicamente a non prima degli anni Quaranta, e che sia da escludere la datazione ai primi decenni del Trecento proposta da Petrocchi, da Lombardi, da Castelnuovo e in ultimo da Elisa Camporeale. 803 Andrea De Marchi, che inquadra l’autore nella cerchia di Ambrogio Lorenzetti, ne ha ipotizzato un’identificazione con Biagio di Goro Ghezzi. 804 Il dipinto può essere confrontato con la Madonna col Bambino della parete destra della chiesa di San Pietro all’Orto, in Città Nuova, attribuito da Carli a “un modesto seguace di Ambrogio Lorenzetti”; 805 analogie si riscontrano nella costruzione larga dei corpi e degli abiti delle figure, che richiamano la fase tarda dell’opera di Ambrogio, e in particolari quali il profilo spezzato del manto che incornicia la testa della Vergine e le pieghe del velo trasparente che affiora da sotto la veste alla base del collo (fig. 5.16). Il gruppo di San Pietro all’Orto, nella scelta iconografica del Bambino in piedi sulle ginocchia della madre, che lo sorregge abbracciandolo col braccio sinistro, sembra debitore della Madonna col Bambino di Lippo Memmi proveniente dal convento di San Francesco di Asciano, oggi nel Museo d’Arte Sacra.

La lunetta sopra il portale della navata sinistra

E’ forse lo stesso pittore, o piuttosto un maestro della medesima cultura, l’autore dell’affresco nella lunetta sopra il portale che si apre nella seconda campata della navata sinistra (fig. 5.19). Al centro della composizione la Madonna in trono, ammantata con una veste scura con una stella dorata sulla spalla, alza la mano destra in segno di

801 Il gesto del Bambino che poggia la mano destra sulla spalla della madre è replicato anche nella Madonna col Bambino e Angeli del Museo Diocesano di Cortona e nella Madonna col Bambino della pieve di Monticchiello. Per le opere citate si veda C. VOLPE , 1995, pp. 108-110 (per Cortona), 110-113 (per Monticchiello), 202-203 (per Assisi), 208 (per Buonconvento), con bibliografia precedente. 802 Sui cambiamenti della moda nel corso del Trecento si veda L. BELLOSI , 1974 (2003), pp. 51-65. 803 Per Petrocchi (L. PETROCCHI , 1900, p. 60) l’affresco è da collocarsi all’inizio del XIV secolo, per Lombardi tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento (E. LOMBARDI , 1966, p. 24). Enzo Carli rimane rimane più vago, proponendo una cronologia al XIV secolo per un dipinto in cui riconosce l’“eco dei Lorenzetti” (E. CARLI , 1976, p. 62). Enrico Castelnuovo (E. CASTELNUOVO , 1983, fig. 125) ed Elisa Camporeale (E. CAMPOREALE , 2011, p. 34) considerano l’affresco opera di un pittore senese dei primi decenni del Trecento. 804 A. DE MARCHI , 2004, p. 42. 805 E. CARLI , 1976, p. 66. 188 benedizione e con l’altra sorregge il Bambino, il quale, in piedi sulle ginocchia della madre, tiene in mano delle ciligie. Ai lati del trono sono inginocchiati a sinistra San Bartolomeo , con il libro e il coltello nella mano, suo attributo specifico, e a destra Santa Caterina d’Alessandria , che tiene un libro, la palma del martirio e la canonica ruota dentata. Nell’intradosso dell’arco della lunetta corre un motivo di esagoni scuri inclusi in stelle bianche a sei punte su sfondo rosso. E’ possibile che l’affresco non sia mai stato scialbato, dato che risultava già visibile nel 1873, 806 prima dei restauri del 1880 che rimisero in luce gran parte delle pitture delle navate.

La Madonna col Bambino della Cappella Galliuti

Allo stesso torno di anni si può riferire la Madonna col Bambino affrescata sul pilastro sinistro d’ingresso alla Cappella Galliuti, riportata alla luce in un restauro del 1982 e a tutt’oggi inedita (fig. 5.22). 807 La Vergine è raffigurata in piedi, con in braccio Gesù Bambino; la perdita della parte bassa dell’affresco ha finito per scoprire la sinopia, piuttosto differente dalla redazione finale: era infatti prevista una Madonna seduta in trono con in braccio un Bambino fasciato. 808 Nonostante le sofferte condizioni di conservazione, è ancora apprezzabile la buona qualità della pittura, caratterizzata da una certa solidità delle figure, dagli incarnati addolciti e dalla ricercata disposizione a chiasmo delle braccia del Bambino, che con la mano destra si aggrappa al manto della madre, e con la sinistra le accarezza il viso. La posa delle due figure sembra memore della poetica degli affetti della produzione lorenzettiana; così al Polittico Tarlati della Pieve di Arezzo (1320) 809 rimanda il piccolo Gesù che afferra l’orlo del manto della madre (fig. 5.23), secondo un modulo che ritorna anche nella pala degli Uffizi da San Francesco a Pistoia (1340 circa) o nella Madonna col Bambino di Ambrogio della cimasa della tavola da Badia a Rofeno, oggi al Museo d’Arte Sacra di Asciano (fig. 5.24), 810 della quale viene replicata anche la posizione delle mani della Vergine, la destra poggiata sul petto del Figlio e la sinistra impiegata a sorreggerlo dal basso.

806 S. GALLI DA MODIGLIANA , 1873, pp. 277-278 nota 1. 807 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 26 agosto 1982, carta s.n. 808 Il Bambino viene raffigurato fasciato nella Madonna col Bambino del Lindenau Museum di Altenburg, di Pietro Lorenzetti (C. VOLPE , 1995, pp. 192-193) e nella Madonna col Bambino della Pinacoteca di Brera di Milano, di Ambrogio Lorenzetti. 809 C. VOLPE , 1995, pp. 121-125. 810 Ambrogio Lorenzetti ..., 2012. 189

L’Annunciazione e la Tentazione di Sant’Antonio nella navata sinistra

A causa della loro mediocre condizione conservativa, sono ormai giudicabili a fatica i due grandi frammenti di affresco ai lati del portale della seconda campata sinistra, entrambi inediti. Quello sinistro costituisce la metà destra di un’ Annunciazione che in origine doveva occupare più o meno il doppio dello spazio (fig. 5.20): vi è visibile la Vergine seduta all’interno di un ambiente voltato a botte, intenta alla lettura di un libro mentre vola verso di lei la colomba dello Spirito Santo. Nella parete di fondo della stanza si apre una porta socchiusa; al piano superiore dell’edificio si intravedono due bifore attraverso gli archi ribassati di un loggiato. La superficie si presenta notevolmente impoverita, in particolare nella figura della Vergine annunziata, della cui veste non rimane che un’informe macchia rossastra di morellone; del volto, in parte perduto, si intravede solamente il profilo del sopracciglio e dell’occhio sinistro. E’ ancora visibile la decorazione del nimbo, ornato con un punzone a forma di fiore a otto petali. Nel secondo affresco è raffigurata una delle Tentazioni di Sant’Antonio Abate , rappresentato in un paesaggio roccioso, nell’atto di cacciare con un bastone una figura femminile tentatrice (fig. 5.21). Anche in questo caso, come è particolarmente evidente nella veste del santo e nei lineamenti delle due figure, gran parte dello strato pittorico è andato perduto. Mancante è una porzione, presumibilmente non molto grande, del lato destro della scena. La donna tentatrice, che chiude a sinistra la composizione, indossa una veste arancione decorata da righe nere e bianche, non dissimile dagli abiti fantasiosi delle giovani donne danzanti nell’affresco degli Effetti del Buon Governo in città del Palazzo Pubblico di Siena. Il profilo tagliente del santo, figura dal modellato solido e ampio, ricorda le fisionomie puntute delle Pie Donne della Crocifissione della controfacciata, mostrando così i debiti con l’umanità emaciata delle opere di Ambrogio della fine degli anni ’30.

La Cavalcata dei Magi

Agli anni ’70 del XIV secolo è stato invece datato il grande frammento di una Cavalcata dei Magi , nella parete laterale della terza campata della navata sinistra (fig.

190 5.25). 811 Alla base della figurazione, sopra la cornice inferiore, corre un’iscrizione con il nome dei committenti Giovanni di Cola e la moglie Nera, e che doveva proseguire nella parte destra dell’affresco, riportando forse anche la data e il nome del pittore:

HOC OP(US) FECIT FIERI JOH(ANN)ES COLE ET D(OMI)NA NERA UXOR EIU[S]812

Riportato alla luce durante i restauri del 1880, esso costituiva l’affresco di maggiori dimensioni della navata sinistra: come si intuisce dalla decorazione della ricca incorniciatura, il dipinto doveva originariamente occupare più del doppio dell’attuale superficie, ed estendersi dal lato destro della Tentazione di Sant’Antonio fino all’inizio della quarta campata, arrestandosi più o meno nel punto dove si apriva l’arcosolio oggi tamponato e in parte coperto dal Monumento Traversi. Manca difatti tutta la parte destra della figurazione, dove dovevano essere raffigurati i Re Magi e la Madonna col Bambino. Ricondotta in passato alla maniera di Bartolo di Fredi, dalla cui Adorazione dei Magi nella Pinacoteca di Siena avrebbe tratto ispirazione, 813 la grande Cavalcata è stata attribuita da Alessandro Bagnoli a Biagio di Goro Ghezzi e collocata negli anni Settanta del Trecento, in un momento successivo agli affreschi di San Michele a Paganico, datati 1368 e firmati dal pittore. 814 Convincenti sono i confronti addotti dallo studioso tra certe figure di Paganico (figg. 5.27, 5.29) e alcuni dei personaggi massetani (figg. 5.26, 5.28), in cui si riconosce il tono vernacolare del maestro e il modo consueto di condurre certi particolari fisioniomici come gli occhi allungati e dalle palpebre gonfie.

Le quattro Sante della Cappella Galliuti

Alla seconda metà del XIV secolo andranno datate anche le Tre Sante affrescate sulla parete di fondo della Cappella Galliuti, inquadrate, in alto e in basso, da una trabeazione aggettante sorretta da snelle colonnine, integrata in parte nel secolo scorso (falsa è tutta

811 A. BAGNOLI , 1994, pp. 73-77. 812 Un Jon(anni)i olim Chole de Massa , da identificare probabilmente col committente dell’affresco, è citato in un documento del 31 marzo 1346 riguardante la concessione da parte del sindaco di Massa dell’allume e dello zolfo del distretto di Monterotondo (ASS, Capitoli , 45, c. 226 r). 813 L. PETROCCHI , 1900, pp. 59-60; R. VAN MARLE , 1924, p. 249 nota 1; G. BADII, 1926, p. 55; E. LOMBARDI , 1966, p. 43; E. CARLI , 1976, pp. 62-65. 814 A. BAGNOLI , 1994, pp. 73-77. L’attribuzione a Biagio di Goro Ghezzi non è accettata da Andrea De Marchi. Sugli affreschi di Paganico si veda anche G. FREULER , 1986. 191 la sezione sinistra dell’incorniciatura) (fig. 5.30). La prima santa, in posa frontale, tiene con la mano sinistra un piatto contenente due occhi, e con le destra un pugnale; la seconda, ritratta davanti a un gregge di pecore addormentate e rivolta con la testa vero sinistra, tende un filo di lana arrotolato da una parte a un fuso e dall’altra a una conocchia; la terza, abbigliata con un largo manto foderato di pelliccia e decorato da code di vaio, impugna una spada. Mentre non ha causato molte difficoltà l’identificazione delle due sante laterali, quasi unanimamente riconosciute come Lucia ed Agata, 815 la figura centrale, denominata “la Divina Pastora”, 816 è stata identificata con Santa Cecilia 817 , con Santa Genoveffa 818 o Santa Margherita martire. 819 Nelle tre sante sarebbero da riconoscere, secondo Lombardi, le protettrici dei minatori, dei lavoratori della lana e dei fonditori di metalli, che farebbero dell’ambiente la cappella delle arti e dei mestieri. 820 L’affresco venne ritrovato nei restauri del 1880, sotto la tela dell’ Immacolata Concezione, Adamo ed Eva e i Santi Giuda Apostolo e Carlo ;821 il suo stato fino al restauro a cui fu sottoposto tra il 1926 e il 1927, eseguito da Elisa Baldini, 822 è testimoniato da una fotografia pubblicata da Bruno Santi (fig. 5.31). 823 In questa Santa Lucia è inquadrata sotto un doppio arco polilobato sorretto da una colonnina tortile con capitellino fogliato; sopra l’arco superiore compariva uno scudo con un gallo, stemma della famiglia Galliuti, che deteneva il patronato della cappella. Dalla stessa fotografia si intuisce che l’affresco era in parte coperto, sulla sinistra, da un muro che venne eliminato probabilmente durante i lavori all’ambiente nel 1926. In occasione del restauro l’incorniciatura della Santa Lucia venne rimossa, facendo così riemergere una colonnetta coeva alla sezione destra dell’affresco; la figura di sinistra e la sua cornice – parte della quale venne rifatta ex novo – vennero inoltre adeguate, tramite un restauro pittorico, alle altre due sante, anch’esse ritoccate. Le integrazioni e modifiche degli anni

815 A. ARUS , 1884, p. 25; A. ADEMOLLO , 1894, p. 168; L. PETROCCHI , 1900, p. 47; E. LOMBARDI , 1966, p. 34; E. CARLI , 1976, p. 67; E. LOMBARDI , 1985, p. 266. Bruno Santi non esclude che la santa di destra possa invece identificarsi con Barbara o Caterina, “per il manto principesco che indossa e che ne richiama quella dignità” (B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 66). 816 E. CARLI , 1976, p. 67; E. LOMBARDI , 1985, pp. 271-272. 817 A. ARUS , 1884, p. 25; A. ADEMOLLO , 1894, p. 168; L. PETROCCHI , 1900, p. 47. 818 E. LOMBARDI , 1966, p. 34. 819 E. CARLI , 1976, p. 67. 820 E. LOMBARDI , 1966, p. 34; E. LOMBARDI , 1985, pp. 271-272. Nella chiesa di Sant’Agostino risulta dedicata a Santa Lucia la cappella alla destra dell’abside, dove una lapide con l’emblema dei minatori presenta la seguente iscrizione: QUESTA CAPELLA ENE REDI/FICATA AD ONORE DI S(AN)C(T)A LUCIA / E F(E)CELA FARE GL A(R)GE(N)TIERI DA MASSA. 821 A. ARUS , 1884, p. 25. 822 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , carte s.n. 823 B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 64. 192 ’20, visibili in una seconda fotografia pubblicata da Santi (fig. 5.32), 824 furono in parte asportate in un restauro dei primi anni ’80, la cui relazione tecnica fu pubblicata nel 1983; 825 in quest’ultimo intervento si riportò alla luce parte del volto e della veste della Santa Lucia, e si evidenziarono con una linea bianca le parti false dell’incorniciatura. Nell’occasione fu anche possibile appurare che l’intonaco su cui è dipinta la santa di sinistra sormonta quello delle due sante di destra, dimostrando la posteriorità della prima rispetto alle altre due. 826 Non è da escludere che la teoria di sante non si esaurisse con le tre figure visibili oggi, ma che in origine ve ne fossero altre, magari una per parte, così da occupare l’intera larghezza della parete di fondo. Da un punto di vista stilistico, appare evidente la differenza di mani tra la Santa Lucia e le due compagne, emersa pienamente in seguito all’ultimo restauro; basandosi sullo stato precedente, Enzo Carli aveva datato le tre sante entro la fine del Trecento, e proposto un confronto con gli affreschi di San Michele a Paganico (GR), 827 oggi riferiti a Biagio di Goro Ghezzi. 828 Considerando la sovrapposizione degli intonaci, Bruno Santi ha attribuito la Santa Lucia a un pittore senese di fine XIV o inizio XV secolo legato alla pittura dell’inizio del Trecento, e le altre due figure a un artista della bottega di Andrea Vanni; 829 in assenza dei dati materiali, si sarebbe difatti tentati di considerare la santa di sinistra, la cui fisionomia può richiamare opere duccesche, antecedente le altre. I tratti affilati di quest’ultime (figg. 5.33, 5.36), le dita lunghe e vivaci, ricordano certe figure di Niccolò di Ser Sozzo e Luca di Tommè, quale ad esempio il San Tommaso della tavola della Pinacoteca Nazionale di Siena firmata dai due pittori e datata 1362 (fig. 5.35); si ravvisano comunque affinità con opere di Andrea Vanni, ben evidenti, ad esempio, nel confronto tra il volto della santa centrale e quello della Santa Caterina da Siena affrescata nella chiesa di San Domenico della città senese (fig. 5.34).

A un maestro di cultura molto simile, forse lo stesso pittore, è attribuibile la frammentaria e inedita Santa Caterina d’Alessandria affrescata sul pilastro destro d’ingresso alla cappella, di fronte alla Madonna col Bambino (fig. 5.37). La figura, di cui oggi sopravvive gran parte della veste ma non la testa, tiene nella mano destra la

824 B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 65. 825 B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 66. 826 B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 66. La posteriorità della Santa Lucia rispetto alle altre due sante viene ribadita anche da Marco Ciatti in una lettera a Enrico Lombardi (SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 26 luglio 1982, carta s.n.). 827 E. CARLI , 1976, p. 67. 828 A. BAGNOLI , 1994, pp. 68-77. 829 B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, p. 66. 193 palmetta del martirio e calpesta una grande ruota lignea, che ne permette l’identificazione. La santa appare ritratta sotto un’edicola gotica, di cui rimane la sezione superiore, decorata da pinnacoli e da gattoni fogliati e sormontata da due scudi, il primo alla croce d’argento, il secondo al gallo, riconoscibile come lo stemma della famiglia Galliuti. La parte inferiore dell’affresco è occupata da un’iscrizione su quattro righe, mancante di quasi tutta la metà destra, identificabile come un passo della Passio di Santa Caterina:

[O DEC]US ET SALU[S] CREDENT[IUM O SPES ET GLORIA VIRGINUM IESU] BONE GRATIA S TIBI AG[O QUI ME INTRA COLLEGIUM ANCILLARUM] [TU]ARU(M) CONNU(M)ERARE DIG[NATUS ES] ON XXI 830

Nonostante la mediocre condizione di conservazione dello strato pittorico, non sfugge la vicinanza tra la costruzione del panneggio a grandi pieghe regolari e le dita affilate e sfinate della Santa Caterina con quelle di Sant’Agata e la “ Divina Pastora ” della parete sud-ovest della stessa cappella, così da ipotizzarne l’esecuzione se non ad opera di una medesima mano, almeno in uno stesso torno d’anni.

La Madonna col Bambino in trono e il San Martino e il povero della Cappella del Rosario

All’inizio del secolo successivo andrà riferita la grande e frammentaria Madonna col Bambino in trono raffigurata sulla parete di fondo della Cappella del Rosario. La Vergine, vestita di un manto blu dall’orlo arancio, è seduta su un trono disadorno, collocato su un semplice basamento; quasi completamente perduto è il Bambino, di cui sopravvive solo la parte superiore della testa e il nimbo. All’affresco apparteneva un frammento, oggi conservato nel Museo d’Arte Sacra e indicato come proveniente dalla cattedrale ma senza specificare del punto esatto dell’edificio; nel lacerto sono rappresentate due donne inginocchiate, una terziaria o vedova e una bambina, presumibilmente le donatrici del dipinto. Dalla sezione di cornice alle spalle della figura di sinistra e dal lembo di manto blu nella parte destra del lacerto si comprende che il frammento costituiva l’angolo inferiore sinistro del dipinto della Cappella del Rosario

830 Ringrazio Matteo Mazzalupi per la lettura delle lettere superstiti e per il riconoscimento della pertinenza dei versi alla Passio di Santa Caterina. 194 (fig. 5.38). L’affresco nel museo sembra identificabile col dipinto citato dal Petrocchi, dal Lombardi e dalla scheda OA della Soprintendenza nella quinta campata della navata destra della cattedrale, presso la porta laterale, e variamente interpretato come Sant’Anna e Maria bambina 831 o Santa Monaca e Sant’Agostino .832 L’identificazione, avvalorata dall’attuale assenza in cattedrale di un simile dipinto, sembra in contrasto con le vicende conservative della Madonna col Bambino , di cui il Lombardi ricorda, nel 1966, la riscoperta durante recenti restauri; 833 essa risulta difatti citata in una lettera di Curzio Breschi del 1948, indirizzata alla Soprintendenza, in cui si elenca il materiale rinvenuto durante la demolizione dell’alatre in stucco della cappella. 834 Si dovrà supporre che l’angolo con le Due donatrici fosse riemerso a fine Ottocento, in un momento in cui la Madonna col Bambino era invece ancora scialbata o coperta dall’altare, e che al tempo si fosse proceduto allo stacco dell’affresco e al suo trasferimento nella navata opposta. La pittura oggi esposta nella sala 4 del museo porta un’attribuzione al Maestro di Monticiano, anonimo pittore autore di un’ Annunciazione e di una Madonna col Bambino in trono tra il Beato Antonio Patrizi e Sant’Agostino (fig. 5.40) nella sala capitolare della chiesa di Sant’Agostino a Monticiano (SI). Questi ultimi, già attribuiti a Bartolo di Fredi da Cesare Brandi, con una datazione agli anni ottanta del Trecento, 835 e a un “modesto contemporaneo di Taddeo di Bartolo” dal Mason Perkins, 836 sono ricollegabili, grazie a un’iscrizione riportata da una fonte settecentesca, 837 alla data 1422. Pur ravvisando alcuni punti di contatto tra le due opere nelle onde dell’orlo del panneggio della Madonna, poggiante sul pavimento, diversa appare la costruzione dei visi, affilati ed indagati in maniera analitica nelle figure di Monticiano, rotondi e più sfumati nel dipinto massetano. Confronti interessanti possono essere fatti con un gruppo di affreschi della chiesa di San Francesco a Asciano (fig. 5.45), due dei quali, staccati in epoca recente e raffigurante uno l’ Ultima Cena, l’Orazione nell’Orto e la Cattura di Cristo (fig. 5.46) e l’altro la Crocifissione e la Resurrezione , si conservano nel Museo d’Arte Sacra. Nel catalogo del museo essi risultano riferiti a Jacopo di Mino del Pellicciaio, per un’estensione dell’attribuzione al pittore di una Santa Barbara e un San

831 L. PETROCCHI , 1900, p. 46; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00125720, 1977. 832 Enrico Lombardi riprende inizialmente l’identificazione del Petrocchi (E. LOMBARDI , 1966, p. 33), poi modifica l’interpretazione delle figure (E. LOMBARDI , 1985, p. 271). 833 E. LOMBARDI , 1966, p. 41. 834 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948, carta s.n. 835 C. BRANDI , 1931, pp. 709-734; riedito in Lecceto ...., 1990, pp. 315-328. 836 F. MASON PERKINS , 1931, p. 193. 837 G. BALLATI , 1728, pp. 88-89. 195 Bartolomeo ancora nella navata destra della chiesa, 838 proposta da Bellosi; 839 le Storie della Passione di Cristo si rivelano tuttavia opera di una mano diversa, legata ai modi di pittori attivi alla fine del XIV secolo e nei primi decenni del successivo, quali Taddeo di Bartolo, Martino di Bartolomeo, Benedetto di Bindo e Gregorio di Cecco. Al maestro responsabile della Madonna col Bambino e delle Due donatrici si deve ricondurre anche un San Leonardo affrescato sulla parete destra della chiesa di San Pietro all’Orto, in Città Nuova (fig. 5.39): il viso pieno e rotondo, le ampie arcate sopraccigliari – carattere che giustifica il richiamo a Taddeo di Bartolo – , il profilo affilato del naso aquilino (fig. 5.42), confermano l’accostamento del santo e della Madonna (fig. 5.41), favorito dalla medesima posa di tre quarti della testa. Analogo è anche il modo di costruire il panneggio, dalle pieghe spezzate e lumeggiate rapidamente, del San Leonardo (fig. 5.43) e della donatrice sinistra (fig. 5.44), come pure il gesto disarticolato della mano, comune ad entrambe le due figure, vicine nella separazione del dito medio dall’anulare. In conclusione sembra potersi delineare un corpus ascrivibile a un anonimo pittore attivo sia nel Duomo sia nella chiesa di Sant’Agostino a Massa Marittima, sia in San Francesco ad Asciano, nei primi decenni del XV secolo.

Nella stessa cappella, alla sinistra della Madonna col Bambino , si conserva il lacerto di un affresco, nel quale sono visibili i tre zoccoli di un cavallo e i polpacci nudi di un uomo inginocchiato; sotto i piedi di quest’ultimo, nel bordo inferiore, si conserva, sulla destra, un’iscrizione con il nome ‘Martinus’, che permette di identificare la scena con San Martino dona il mantello al povero (fig. 5.47). Nella fascia centrale della cornice inferiore sono appena visibili le tracce di una più lunga iscrizione, trascritta dal Petrocchi, che, vedendolo per la prima volta alle spalle di un altare, vi lesse “… ALIORUM MARTIRUM MCCCCXX…”. 840 Il frammento venne riportato alla luce nel 1948 in seguito alla demolizione dell’altare in stucco addossato alla parete di testata della cappella. 841

838 C. ALESSI , in Palazzo Corboli ..., 2002, pp. 86-88. 839 L. BELLOSI , 1972, p. 74. 840 L. PETROCCHI , 1900, p. 58. 841 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948, carta s.n. 196 San Cerbone e il vescovo Antonio

A pochi decenni più tardi risale l’affresco della parete destra dell’abside, opera di un ignoto pittore senese, ove sono rappresentati due vescovi, riconoscibili come tali per la mitria e il pastorale (fig. 5.48). Il presule di sinistra, con le mani giunte e con un libro tenuto sul petto, è inginocchiato e rivolto verso il secondo personaggio. Questi, in piedi e con la mano destra avanzata in segno di benedizione, è chiaramente identificabile come San Cerbone grazie al nimbo e alle due oche ai suoi piedi. Lo sfondo è attraversato da quella che sembra essere una recinzione presbiteriale, formata da cinque plutei quadrati di colore rossastro, contornati da una cornice a corda e recanti al centro un tondo in cui è inscritta una rosellina a rilievo. L'intera scena è incorniciata da una fascia suddivisa per tre lati in scomparti rettangolari, ai quali si alternano nel lato superiore tre piccoli quadretti racchiudenti una figura circolare, e, al centro dei lati destro e sinistro, due riquadri recanti uno stemma d'argento alla croce di nero. Nella parte inferiore correva un'iscrizione della quale sono oggi visibili soltanto poche lettere sulla destra, sotto i piedi del vescovo inginocchiato. La superficie dipinta si presenta molto impoverita, soprattutto nella parte bassa dell'affresco; sono visibili grosse lacune nei lati superiore e sinistro della cornice esterna e due vuoti nella parte centrale all'altezza della recinzione sullo sfondo. La sua riscoperta risale al 1982, quando venne recuperato al di sotto di una scialbatura; 842 il dipinto risulta tuttavia già citato da Ughelli, da Ugurgieri Azzolini e da Cesaretti, 843 concordi nel ricordare un affresco nel coro raffigurante il vescovo massetano Antonio, accompagnato dalla seguente epigrafe:

A. D. MCCCCXXXV. M. DECEMBRIS HIC EST M. ANTONIVS DE MASSA PRINCEPS MASSANVS, ET EPISCOPVS POPVLONIAE

L’iscrizione viene riportata anche da Giovanni Antonio Sangallo in un testo del 1749, 844 citato da Targioni Tozzetti e da Galli da Modigliana, 845 con l’aggiunta delle seguenti parole:

842 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 26 agosto 1982, carta s.n. Enrico Lombardi riporta che l’affresco è stato messo in luce nel luglio 1984, riferendosi forse alla fine dei lavori di restauro della pittura (E. LOMBARDI , 1985, p. 273). 843 F. UGHELLI , III, 1647, col. 798; I. UGURGIERI AZZOLINI , I, 1649, pp. 147-148; A. CESARETTI , 1784, pp. 55, 165. 844 G. A. SANGALLO , 1749, p. 45. 197

CIVITATEM LIBERTATE DONAVIT INSTITUTA REPUBLICA TRANSLATO IN IPSAM DOMINIO TEMPORALI

L’identificazione con il vescovo Antonio, appartenente all’ordine francescano, è confermata dal saio indossato dal presule inginocchiato.

La tavola della Purificazione della Vergine

All’arredo pittorico della cattedrale apparteneva anche la tavola con la Purificazione della Vergine di Sano di Pietro, oggi conservata, in maniera frammentaria, nella quarta sala del Museo d’Arte Sacra (fig. 5.49), ma documentata nella sua interezza da alcuni scatti Brogi e Alinari precedenti il 1922 (fig. 5.50). Non sappiamo quale fosse la collocazione della tavola nella chiesa medievale. Prima dei restauri del 1880 essa si trovava alla parete sinistra della Cappella Galliuti; 846 nel 1884 viene descritta da Arus appesa alla parete destra della Cappella del Rosario, 847 mentre nel 1900 Petrocchi la menziona nuovamente nella Cappella Galliuti. 848 Nel 1904 venne esposta alla Mostra dell’Antica Arte Senese nel Palazzo Pubblico di Siena. 849 Dopo un tentativo di furto fallito nel 1921, la tavola venne trafugata dalla cattedrale la notte tra il 28 e il 29 aprile del 1922, assieme a un paliotto del XV secolo, a sei quadri in tela della sagrestia e a un piviale di epoca moderna. 850 La parte superiore e la parte inferiore del dipinto, tagliate in cinque pezzi, furono ritrovate nei dintorni della città subito dopo il furto; il frammento raffigurante San Giuseppe , unica figura recuperata della pala, venne intercettato alla dogana il 23 maggio del 1923, in una cassa diretta a Parigi. 851 I frammenti sono stati restaurati negli anni Ottanta del secolo scorso, e riconsegnati alla chiesa nel 1989. 852

845 G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, pp. 86-87; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 127-128; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 274-278. 846 A. ADEMOLLO , 1894, p. 179. 847 A. ARUS , 1884, p. 34. 848 L. PETROCCHI , 1900, pp. 47-48. 849 Mostra dell’antica ..., 1904, p. 314. 850 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 29 aprile 1922, carta s.n. 851 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 2 luglio 1923, carta s.n. 852 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , 1989, carta s.n. 198 All’interno dello spazio voltato di una chiesa, ai lati dell’altare, erano raffigurati, da sinistra, San Giuseppe, due figure femminili prive di aureola, Maria, Simeone con in braccio Gesù Bambino, due personaggi anziani e barbati e la profetessa Anna, con in mano un cartiglio. La tavola, opera inconfondibile di Sano di Pietro, già riferita al pittore già da Arus, 853 può essere confrontata a opere della fase tarda del maestro, quali la pala di San Giacomo nel Duomo di Pienza (1461-1462), la Maestà n. 273 della Pinacoteca di Siena, e la Madonna col Bambino e i santi Benedetto, Cirino, Donato e Giustina , ad Abbadia a Isola, del 1471. L’opera costituisce una replica della Pala di San Crescenzio di Ambrogio Lorenzetti per il Duomo di Siena (1337-1342) (fig. 5.51), modello che ebbe una indefessa fortuna nel ‘400 essendo replicata più volte anche da Giovanni di Paolo; 854 fu messa a profitto da Sano, pur in versione ridotta, anche nella miniatura della carta 34 v. del graduale n. 27.11 della Libreria Piccolomini, allogatagli nel 1471. 855 La fedeltà alla tavola lorenzettiana sembra confermare, ancora una volta, non solo l’importanza della presenza di Ambrogio nella città maremmana, significativa al punto da essere ricordata, quasi un secolo dopo, dal Ghiberti, ma anche il costante riferimento alla decorazione della cattedrale senese. Alla predella della pala sono state ricollegate nel 1982 quattro tavolette, riunite in un unico gruppo da Federico Zeri: l’ Adorazione dei Magi (30,5 x 47,9 cm) (fig. 5.52) e la Strage degli Innocenti (30,5 x 44,8 cm) (fig. 5.53) al Metropolitan Museum of Art di New York (dono di Irma N. Straus, 1958), e la Natività (31,5 x 45 cm) (fig. 5.54) e la Fuga in Egitto (31,5 x 47 cm) della Pinacoteca Vaticana (fig. 5.55). 856 L’ipotesi dell’appartenenza delle tavolette, che unite raggiungono una larghezza di 185 cm circa, eventuali cornici tra i pannelli escluse, alla pala massetana presupporrebbe che la tavola (143 x 126 cm), non sufficientemente larga per ospitare una predella così lunga, avesse in origine una larghezza superiore della metà di quella attuale, occorrendo 30 cm circa su ciascun lato. Un’aggiunta così ingente appare improbabile, nonostante si possa

853 A. ARUS , 1884, p. 34. 854 H. W. VAN OS, II, 1990, pp. 122-128; G. FATTORINI , 2010, p. 144. Alla tavola di Ambrogio Sonia Chiodo, su segnalazione di Miklós Boskovits, ha ricollegato una cuspide con San Giovanni Battista in collezione privata (S. CHIODO , 2003, pp. 1-6). 855 I primi a collegare l’antifonario alla tavola sono Arus (A. ARUS , 1884, p. 34) e Gaillard (E. GAILLARD , 1923, pp. 121-122). Sul graduale si veda M. G. CIARDI DUPRÉ , 1972, p. 20; E. CARLI , 1991, pp. 37-38. 856 L’appartenenza delle quattro tavolette riunite da Zeri e Gardner (F. ZERI , E. GARDNER , 1980, p. 82) a un’unica predella venne confermata in occasione della mostra del 1982 (F. MANCINELLI , in The Vatican Collection... , 1982, pp. 144-145, per le tavolette vaticane), quando fu possibile esaminarle una accanto all’altra; nell’occasione John Pope-Hennessy suggerì di identificare la tavola centrale del registro superiore con la pala massetana (informazioni reperite dal catalogo online del Metropolitan Musem New York, www.metmuseum.org/collections/search-the-collections/437602). Il legame tra le opere è segnalato come certo in K. BAETJER , 1995, pp. 58-59. 199 supporre, con relativa sicurezza, che la pala sia stata tagliata sia lateralmente che nella parte superiore, e che l’attuale terminazione centinata sia dovuta a una modifica di epoca moderna, per adeguarla ad una nicchia. Ciò risulta particolarmente evidente dal confronto col prototipo lorenzettiano oggi nella Galleria degli Uffizi. Non mancano tuttavia opere del settimo e dell'ottavo decennio del Quattrocento in cui la predella eccede in larghezza la pala centrale, come per esempio nel polittico di Badia ad Isola, dove ingloba anche le paraste laterali.

La Crocifissione del soccorpo

Debiti con la pittura di Sano di Pietro sono evidenti nella Crocifissione tra i Dolenti, San Cerbone e San Bernardino da Siena , affrescata in una nicchia del soccorpo della cattedrale (fig. 5.56). Il dipinto si presenta oggi in uno stato di conservazione mediocre: la superficie delle figure si mostra impoverita, ed è caduta l’azzurrite che in origine ricopriva lo sfondo, oggi rosso per l’affioramento del morellone, e il manto della Vergine. Ciononostante, è ancora apprezzabile la vivace cromia dell’opera, particolarmente conservata nella tripla cornice che racchiude la figurazione e nel tondo col sole bernardiniano che decora il centro dell’intradosso della nicchia. L’affresco viene generalmente datato alla metà del XV secolo 857 (è da scartare l’idea di Petrocchi che del dipinto sia stata eseguita la parte centrale nel Trecento e i due santi laterali alla fine del secolo successivo). 858

La Santa Caterina nella Cappella del Rosario

Difficile è il giudizio sul frammento ad affresco nella parete nord-est della Cappella del Rosario, posto alla destra della Madonna col Bambino in trono (fig. 5.57). Nel lacerto si riconosce una figura femminile stante sotto un arco trilobo, con indosso una veste verde dall’interno bianco e con un libro nella mano sinistra. Ai piedi della santa, di cui è andata perduta la testa, è visibile una ruota dentata spezzata in due, che ne permette l’identificazione con Santa Caterina d’Alessandria . Il bordo inferiore dell’affresco presentava un tempo un’iscrizione in caratteri capitali, si cui si conserva solo un piccolo tratto con le lettere S, V, P (o R). Lo stato frammentario del dipinto e le pessime condizioni di conservazioni non permettono un sereno giudizio sull’opera, per la quale

857 E. LOMBARDI , 1966, p. 39; E. CARLI , 1976, p. 66. 858 L. PETROCCHI , 1900, pp. 68-69. 200 si può solamente ipotizzare una datazione attorno alla metà del secolo XV: esso mostra difatti qualche somiglianza con l’affresco nel soccorpo della cattedrale, nel modo di definire le venature e i nodi del legno della ruota, analogo a quello della croce della Crocifissione , e nel motivo decorativo dell’incorniciatura, con la sola differenza dell’inversione dei colori.

San Nicola da Tolentino

Sulla parete laterale della prima campata destra, alle spalle del fonte battesimale, è raffigurato un San Nicola da Tolentino (fig. 5.58), riconoscibile per l’abito nero dell’ordine agostiniano e per il ramo fiorito; egli tiene, nella mano sinistra, un libro su cui appare disegnato un sole bernardiniano, aggiunto, come segnalato da Enzo Carli, in un momento successivo, per trasformare il santo in un San Bernardino .859 L’affresco è in un cattivo stato di conservazione: manca la sezione inferiore e la superficie pittorica è molto impoverita, sì che il volto è ormai illeggibile e del fondo rimane solo il morellone della preparazione; è tuttavia ancora possibile distinguire la decorazione a foglie lanceolate della cornice. L’affresco può forse datarsi intorno alla metà del XV secolo, in un momento non lontano dalla canonizzazione di San Nicola da Tolentino nel 1446. 860

San Giuliano

Agli ultimi decenni del XV secolo andrà riferito il grande affresco che sopravvive in controfacciata alla sinistra del portale, e che doveva originariamente espandersi dallo stipite dell’ingresso fino al semipilastro della prima arcata della navata laterale destra, come ben si intuisce da ciò che rimane dell’incorniciatura (fig. 5.59). Questa, ben conservatasi solo nel lato superiore, consiste in un motivo di rondelle sovrapposte infilate incluso tra due bande modanate, tema prospettico che ha il suo precedente più autorevole negli intarsi marmorei che rivestono l’interno del tabernacolo dell’Arte dei Linaiuoli della chiesa di Orsanmichele, e che più tardi avrà una fortuna duratura nelle tarsie lignee, a cominciare da quelle della Sagrestia delle Messe (anni Trenta del Quattrocento), 861 passando poi nella produzione pittorica corrente della Firenze attorno

859 E. CARLI , 1976, p. 66. 860 Comunicazione orale di Andrea De Marchi. 861 L. BELLOSI , 2002, p. 22. 201 alla metà del XV secolo, della quale costituisce un esempio la Madonna col Bambino di Neri di Bicci a Santa Maria di Lecceto (Lastra a Signa, FI). 862 La superficie pittorica appare ancora chiaramente suddivisa in due sezioni, una grande poco più del doppio dell’altra, da una parasta dipinta decorata con motivi antichizzanti di vasi su sfondo ocra. Della porzione più piccola, la sinistra, sopravvive solamente una fascia monocroma di colore blu sotto la cornice superiore e una sezione rettangolare in basso a destra con parte di un’epigrafe in lettere capitali; di quest’ultima si legge soltanto la parte finale delle cinque righe dell’iscrizione (ORI / ARE / ERI / FIO / OIM). Della porzione destra rimane una larga striscia superiore che include un arco a tutto sesto che funge da coronamento alla figurazione, la parte centrale di quest’ultima e una porzione della sezione inferiore. Nei pennacchi tra l’arco e la cornice sono dipinti due tondi, dei quali è ancora leggibile solo il destro: in esso è raffigurata a monocromo la figura nuda di un uomo in groppa a un cavallo che pare calpestare con le zampe anteriori una seconda figura maschile svestita, riversa a terra (fig. 5.60). Il motivo è una libera interpretazione dei tondi adrianei dell’Arco di Costantino, assai diffuso nella pittura dell’ultimo quarto del Quattrocento, sia nella produzione ghirlandaiesca (Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella) sia in quella degli umbri attivi a Roma, Perugino e Pintoricchio; 863 proprio quest’ultimo ne propone una dinamica parafrasi nella volta a grottesche della Libreria Piccolomini. 864 La scena centrale dell’affresco è identificabile con l’episodio cruciale della vita di San Giuliano l’Ospitaliere, quando, rientrato a casa dopo una battuta di caccia, sorprende i suoi genitori coricati nel suo letto e, scambiandoli per la propria moglie e un presunto amante, li uccide: il santo è ritratto nel momento in cui solleva la spada – la cui lama, originariamente in lamina d’argento, è oggi perduta – dopo aver trafitto il padre. La scena è ambientata in una stanza voltata; oltre la porta si intravede un paesaggio campestre. Il dipinto, citato per la prima volta dal Petrocchi, 865 venne probabilmente riportato alla luce durante i restauri del 1880. Datato ai primissimi anni del XVI secolo da Enzo Carli, 866 si mostra affine alle opere di maestri quali Mariotto d’Andrea di Volterra e Girolamo di Domenico, autore degli affreschi dell’Oratorio di San Rocco a Seggiano. 867

862 R. C. PROTO PISANI , in Maestri e botteghe. .., 1992, p. 212. 863 S. FERINO PAGDEN , 1989, pp. 53-70 864 P. SCARPELLINI , 2004, pp. 247-281. 865 L. PETROCCHI , 1900, pp. 63-64. 866 E. CARLI , 1976, p. 72. 867 Come mi suggerisce Andrea De Marchi. Per l’oratorio di Seggiano si veda F. TORCHIO , 2011, pp. 66- 85. 202 San Gerolamo nello studio

A destra del portale è visibile un altro lacerto di pittura ad affresco, di minori dimensioni e posto più in alto rispetto alla scena di San Giuliano. Il frammento si presenta in condizioni piuttosto mediocri, sia per la sopravvivenza della sola porzione sinistra della composizione, sia per il forte impoverimento della superficie pittorica, che lo rende pressoché ingiudicabile (fig. 5.61). Della cornice, decorata con un motivo a stelle bianche a sei punte con cuore esagonale nero alternate a rombi su uno sfondo rosso, rimane solo la sezione sinistra e parte della superiore, mentre inferiore, non pervenutaci per intero, è occupata da una lunga e lacunosa iscrizione su otto righe a caratteri neri su sfondo bianco. All’interno della scena si riconosce uno scrittoio ligneo e dietro di esso la parte inferiore di una figura seduta abbigliata con una larga veste scura, il cui colore è in parte caduto; grazie alla presenza di un piccolo leone con una zampa fasciata ai piedi dello scrittoio, il soggetto è identificabile con la raffigurazione di San Gerolamo nello studio . In un breve articolo di giornale conservatosi senza data, Enrico Lombardi riferisce della presenza di due santi nell’affresco, San Girolamo e Sant’Agostino, il primo rivolto verso la porta, il secondo verso la navata laterale. 868 Non è chiaro quale sia la sorte toccata alla figura del Sant’Agostino: non citato da Enzo Carli, che in via prudenziale preferisce astenersi dal giudicare l’affresco per il suo stato frammentario. 869 La fascia inferiore della cornice è occupata da una lacunosa iscrizione, parzialmente trascritta da Lombardi: 870

[…] DOCTOR(UM) FLOS ABISSUS SC(RI)PTU[rarum virgo sanctus de]CUS MO[rum toti mundo iubar clarum] / M[….] P[.]RCAT[..] NOS AMAR(UM) CHAOS ST[.]M [.....] MA [..] NO [..] PLENI [...] / [....S]PLENDOR VIRTUTIS SPECULU [...] X [...... ] II [...] / [...... ] CONSERVET POPULUM [...... ] / E[S]T LUMEN ECCL[ESIE] PRECO VE[RIT]ATIS [VAS PARATUM ...... ] / GL[OR]IE FORMA [SANCTI]TATIS SUPPLI[CA]N[TES ANXIE] NO[S] IU[NGAT BEATIS...... ] / [...]A [...] MOT [...] I [.] M.A NOSTRO C[...... ] A [.] ANNI [.]EM / [..]NI FECIT SISTAS CHOSTI [..]DI[...... ] 871

868 AVM, Fondo Don Enrico Lombardi , articoli vari, S.42. 869 E. CARLI , 1976, p. 66. 870 DOCTORUM FLOS ET SACRARUM SCRIPTURARUM MAXIMUS INTERPRES. 871 “Hic leronimus doctorum / flos, abissus scripturarum, / virgo sanctus, decus morum, / toti mundo iubar clarum. // Hic lumen ecclesie, / preco veritatis, / scriba legis gracie, / flos virginitatis, / vas paratum glorie, 203 Le sculture

Gli angeli reggicero

Provengono dalla cattedrale i due angeli lignei reggicero esposti nella Sala 4 del Museo d’Arte Sacra (figg. 5.62, 5.63). Delle due sculture, segnalate da De Nicola nel 1912 nel soccorpo e da Lombardi sull’altare maggiore, 872 quella di destra si presenta in peggiori condizioni: quasi del tutto perduta è la sua policromia, meglio conservata nell’angelo di sinistra. Attribuite al Vecchietta da Ragghianti, Del Bravo e Carli, 873 le due sculture sono state restituite a Domenico di Niccolò dei Cori e datate tra il terzo e quarto decennio del Quattrocento, insieme a opere quali il San Michele Arcangelo della Collezione Acton a Villa La Pietra, Firenze, e l’ Annunciazione ex Contini-Bonaccossi, alla Galleria degli Uffizi. 874

Il tabernacolo del fonte battesimale

Al 1447 risale l’esecuzione dell’alto tabernacolo marmoreo al centro della vasca battesimale duecentesca (fig. 5.64); la data e il nome dell’operaio in carica Tommaso di Piero di Carbone si deducono da una lunga iscrizione in caratteri capitali. 875 Ogni lato del tabernacolo è movimentato da tre nicchie separate da paraste scanalate e ospitanti figure di profeti e di personaggi veterotestamentari, i cui nomi sono iscritti sulla cornice sotto i loro piedi. Alla base delle nicchie si trova una banda decorata con teste di serafini ad altorilievo, mentre sopra l’iscrizione in caratteri capitali corre una fascia ornata con un motivo ad archetti pieni a tarsia. Il tabernacolo presenta una copertura a scaglie embricate, sulla quale si innalza una statuetta del Battista. L’opera, rimasta anonima fino al 1977, è stata riconosciuta come frutto di una collaborazione tra Pagno di Lapo Portigiani e Giovanni Rossellino da Anne Markham

/ forma sanctitatis, / supplicantes anxie / nos iungat beatis. // Hic dux doctorum iacet et flos presbiterorum / Sanctus leronimus, sed ei locus est nimis ymus. / Hoc qui fecit ita fieri sit ei bona vita / Et pro mercede celi letetur in ede.” Ringrazio Matteo Mazzalupi per il suo indispensabile aiuto nella lettura dell’iscrizione e per avermene segnalato la fonte ( Epistolarum b. Hieronymi collectiones duae ). 872 G. DE NICOLA , 1912a, pp. 105-107; E. LOMBARDI , 1985, p. 273. 873 C. L. RAGGHIANTI , 1960, p. 75; C. DEL BRAVO , 1970, pp. 61-62, 64, 66, 68; E. CARLI , 1976, pp. 48- 49. 874 A. BAGNOLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, p. 353; G. AMATO , 2010, p. 617. 875 NISI QUIS RENATUS FUERIT EX AQUA ET SPIRITU SANCTO NON POTEST INTROIRE IN REGNUM COELORUM. HOC OPUS FECIT FIERI S. THOMAS PIERI CERBONII OPERARIUS S. CERBONII MCCCCXLVII. 204 Schulz, alla quale si deve la pubblicazione di un documento del 1462 in cui Bernardo Rossellino richiede a nome dei due scultori il pagamento finale per il tabernacolo. 876 Luca Caburlotto ha attribuito al primo l’esecuzione di alcuni dei profeti (Daniele, Abramo e Isacco; Giacobbe e Giosué con un aiuto), e ad un suo collaboratore le restanti figure. 877 Come sottolineato dal Carli, l’aggiunta quattrocentesca alterò molto la percezione della vasca medievale, con l’intento di renderla appositamente più simile al fonte battesimale del Battistero senese. 878

Lapidi sepolcrali

Al XIV e al XV secolo sono databili numerose lapidi sepolcrali inserite nella muratura e nella pavimentazione dell’edificio. Queste comprendono tre grandi lastre terragne, con la figura del defunto in bassorilievo, una lapide frammentaria ancora dotata di stemma e alcune iscrizioni funebri. La prima delle tre grandi pietre tombali è la lapide di Toro dei Galliuti, attualmente inserita nella pavimentazione della prima campata sinistra, ma fino al 1880 utilizzata come mensa d’altare della cappella di famiglia, nel braccio destro del ‘transetto’ (fig. 5.65). 879 La lastra, oggi divisa in più pezzi, doveva trovarsi originariamente nel pavimento della cappella, per poi essere sistemata nel nuovo altare alla fine del Cinquecento durante le modifiche all’arredo interno. Si trattava difatti dello stesso altare del Sacramento che fino al 1880 presentava come paliotto alcune delle formelle oggi nel Museo d’Arte Sacra. Sulla lapide è incisa la figura del defunto inquadrato da un tabernacolo sormontato da due scudi recanti la figura di un gallo, stemma parlante della famiglia; lungo la lastra corre un’iscrizione, che ne rivela l’appartenenza a Toro dei Galliuti († 1338) e ai suoi discendenti:

S(EPULCRUM) TORI GALLIUTI DE / GALLIUTIS ET [HEREDUM] SUOR(UM) QUI TORUS DEFUN[TUS] EST ANNO D(OMI)NI M/CCCXXXVIII DIE / XVII MENSIS AU[GUSTI …]NA EIUS RE[QUIES]CAT IN PACE AMN 880

876 ASF, Notarile A 192 (Ser Francesco Albini, 1455-1475) , f. 162 r (A. MARKHAM SCHULZ , 1977, pp. 130, 157-158). 877 L. CABURLOTTO , 1997, pp. 10-11. 878 E. CARLI , 1976, p. 49. 879 A. ARUS , 1884, pp. 41-42. 880 L’epigrafe è trascritta in maniera erronea sia da Arus che da Ademollo, che vi leggono il nome Callisti de Callistis e la data 1334 (A. ARUS , 1884, pp. 41-42; A. ADEMOLLO , 1894, p. 179). 205 Opera raffinata e di alta qualità è la lapide sepolcrale del vescovo Antonio Casini (fig. 5.66), presule di Massa Marittima dal 1427 al 1429 e cugino del più noto cardinale Antonio Casini, committente di Masaccio e di Jacopo della Quercia. 881 Il defunto, abbigliato con abiti vescovili, è raffigurato sotto un’edicola gotica sostenuta da colonnine tortili e poggiante su un suppedaneo, dove è visibile lo stemma, ormai consunto, del morto; la cornice esterna è decorata da rigoglioso fogliame, intervallato da testine umane inserite in esagoni dal profilo interno polilobato. Una lunga iscrizione corre su una fascia tra la figura del vescovo e la cornice:

QUEM GENUIT PAPE MEDICIS / FRANCISCUS HONESTI PRESULIS ANTONII CONTEGIT OSSA LAPIS OBIIT ANNO DOM/INI M CCCC XXVIIII DIE / MENSIS FEBRUARI CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE AMEN.

La lapide viene descritta nel pavimento della Cappella del Rosario da Petrocchi, 882 mentre già Lombardi la ricorda “nel vano sotto la volta del campanile” della medesima cappella. 883 L’angolo della cornice della pietra tombale venne rinvenuto nel 1948, durante la demolizione dell’altare in stucco della cappella. 884 Come segnala Robert Munman, fatta eccezione della tomba del vescovo Bartoli nella cattedrale di Siena, essa rappresenta la lastra sepolcrale di maggiori dimensioni nel territorio di influenza senese. 885 Sempre al Quattrocento andrà riferita la tomba di Tura di Bartolo (fig. 5.67), nel pavimento della quinta campata della navata destra, la cui data di morte (1449), è ricordata da Petrocchi, che lo definisce “dottore famosissimo in teologia e medicina”. 886 Il defunto, vestito di un abito lungo e largo, appare adagiato su un cuscino sotto un arco polilobato; sopra la sua testa è visibile uno scudo, la cui decorazione è andata perduta. Da un punto di vista decorativo, la lastra si presenta meno ricca della lapide Casini, e in peggiori condizioni di conservazione. Nella sezione della cornice sopra l’arco polilobato corre un’iscrizione, trascritta, quando ancora leggibile, da Giovanni Targioni Tozzetti:

881 A. CESARETTI , 1784, pp. 53-55. 882 L. PETROCCHI , 1900, p. 58. 883 E. LOMBARDI , 1966, p. 41. 884 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948, carta s.n. 885 R. MUNMAN , 1993, p. 21. 886 L. PETROCCHI , 1900, p. 46. 206 S(EPULCRUM) TURE BARTOLI TURE MERCATORIS ET HEREDUM SUORUM 887

Lo stesso erudito ne cita l’appartenenza alla famiglia dei Bandini, 888 identificandolo, presumibilmente, col Tura nominato nella lunga iscrizione murata nel semipilastro che divide la quarta dalla quinta campata destra, eseguita in memoria delle sorelle Evangelista e Checca Bandini, rifugiatesi a Massa per sfuggire alla peste che infuriava a Siena nel 1400 (fig. 5.68). 889 L’epigrafe, visibilmente ripassata ad inchiostro, presenta la data 1419:

CLAUDITU(R) HOC MORIE(N)S EVA(N)GELISTA SEPULC(R)O / QUO SIMUL EST (M)ORIENS CONDITA CHECCA SORO(R) / FRUST(R)A PESTE SENAS VITA(N)T, QUAS PESTE R(E)SOLVIT / MASSA PARE(N)S, PROAVI STIRPE SENIE(N)SES ERANT / THURA QUIB(US) GENITO(R) CO(M)PTA(M) HA(N)C PIUS EDIDIT ARA(M) / PROPITIAM PACIS DET YHUS HIIS REQUEM / NA(M)QUE PUDICA, PIENS, REVERE(N)S, OPE(R)OSAQUE VIRGO / HARUM PERDOCILIS QUEQUE PUELLA FUIT / A(NNO) D(OMINI) MCCCCXVIIII

L’iscrizione è sormontata dallo stemma della famiglia Bandini, alla banda caricata di due teste d'aquila affrontate, controbeccanti un bisante (fig. 5.69). Di poco successiva è la lastra tombale del conte Jacopo d’Elci, oggi inserita nella pavimentazione dell’ottava campata della navata destra, ma originariamente nella nona campata sinistra (fig. 5.70). 890 Della lastra rimane oggi uno stemma all’aquila bicipite incorniciato da alcuni frammenti di un’iscrizione che riporta la data 1460. I pezzi appaiono accostati in maniera confusa e non rispettosa della canonica direzione oraria di lettura; 891 l’assenza di due delle quattro sezioni angolari è spia della perdita di parte della lapide, evidentemente più lunga in origine. Della lastra tombale della famiglia Neri (fig. 5.71), oggi nel pavimento della nona campata destra ma descritta fino al Petrocchi davanti alla Cappellina delle Reliquie,

887 G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 167. 888 G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 166-167. 889 L. PETROCCHI , 1900, p. 46. 890 Lì è descritta da A. ARUS , 1884, p. 33; A. ADEMOLLO , 1894, p. 175; L. PETROCCHI , 1900, p. 57; E. LOMBARDI , 1966, p. 38. 891 Le lettere leggibili sono OMITI IN / NI IACOBO EX / .IRM / MCCCCLX NOBILI / VIRO ET C / C. / CATUM SEP/TB. Le barre indicano le interruzioni tra i frammenti, letti partendo dall’angolo inferiore sinistro e procedendo in senso orario. L’unica sequenza di parole ricostruibile con una certa certezza è MCCCCLX NOBILI VIRO ET COMITI. 207 ovvero nella nona campata della navata sinistra, 892 rimane solo la cornice divisa in cinque pezzi, su cui corre la seguente iscrizione:

QUI DI BASILIO NER LA NOBIL PROLE GIACE / CHE DA CELANO ORIGIN HEBBE ET / IN PIENTIA ET IN MASSA IN ONOR CREBBE /ET HOR CHIUSA LA TIEN PICCOLA MOLE

L’utilizzo del nome di Pienza, chiamata Corsignano fino al 1460 circa, offre un utile terminus post quem per la datazione della tomba.

Si possono infine segnalare tre piccole iscrizioni sepolcrali erratiche, databili per caratteri epigrafici al XIV secolo. La prima si trova nel pavimento della prima campata sinistra (fig. 5.72), ed è segnalata nella scheda OA della Soprintendenza (1975) come ritrovata recentemente vicino alla cattedrale: 893

S(EPULCRUM) GUIDONIS ET / NARDI VANNIS ET / SUORUM HERED(UM).

La seconda e la terza sono inserite in basso nella muratura della settima campata destra, nascoste da un confessionale (figg. 5.73, 5.74). Esse portano le seguenti iscrizioni:

+ PIERO DI / NIERI DI GORO / ET (HE)RED(ES) 894

S(EPULCRUM) D(OMI)NE GHERARDESC / HE [...]RIS [.]ANNIS

Il ciborio a bassorilievo

Opera dell’inizio del XVI secolo è invece il piccolo ciborio marmoreo a bassorilievo nella parete sinistra dell’abside (fig. 5.75). La datazione è confermata dai due angeli reggicero affrescati ai suoi lati, databili ai primi decenni del XVI secolo. 895 Raffigurati sotto nicchie dall’intradosso a valva di conchiglia ed affiancati da paraste che citano le

892 L. PETROCCHI , 1900, p. 57. 893 P. P AOLINI , 09 00093468, 1975. 894 L’iscrizione è segnalata nella cripta della chiesa nella scheda OA della Soprintendenza (A. MONCIATTI , scheda OA 09 0093472, 1976). 895 Per una datazione del ciborio marmoreo alla prima metà del XVI secolo si veda G. BADII , 1926, p. 54, e E. LOMBARDI , 1966, p. 38; per le pitture E. LOMBARDI , 1985, p. 273. 208 lesene scanalate del ciborio, essi furono riscoperti solo nel 1982, come testimonia una lettera dell’Opificio delle Pietre Dure diretta alla Soprintendenza. 896

Le vetrate

In controfacciata, sopra la nicchia dove è oggi alloggiata una statua ottocentesca di San Cerbone, si apre un grande oculo provvisto di vetrata istoriata divisa in nove sezioni da un’anima di ferro (fig. 5.76). Nella sezione quadrata centrale è raffigurato sulla sinistra San Cerbone inginocchiato che porge le mani a Papa Vigilio, in piedi a destra; i due personaggi, identificabili anche grazie alle iscrizioni ai loro piedi, sono divisi da uno stormo di oche. Alla spalle del vescovo vi sono tre figure tonsurate, una delle quali sorregge una mitria, mentre dietro al papa sta un dignitario con le mani giunte. Sullo sfondo è appeso un drappo decorato da losanghe in cui si alternano un leone rampante e un uccello acquatico. Nello scomparto sinistro della fila centrale un personaggio con un elmo sul capo trattiene per le briglie un gruppo di cavalli davanti a un arco, identificabile forse con una porta cittadina; nella sezione destra invece quattro figure stanti e tre cardinali seduti attorno a una cattedra vuota osservano la scena centrale. Nello scomparto superiore centrale è raffigurato Gesù Cristo benedicente tra due angeli, mentre nell’inferiore vi sono due santi vescovi ai lati di una terza figura dotata di nimbo e con un libro tra le mani. Nei rimanenti quattro triangoli mistilinei sono rappresentate figure di santi con in mano un rotolo, due con barba e due senza, identificabili probabilmente con gli evangelisti. Funge da cornice alla vetrata un anello esterno che presenta su uno sfondo giallo una teoria di quadrilobi dai lobi rossi e l’elemento centrale in alternanza bianco o verde. L’oculo, già collocato nel XIV secolo dall’Ademollo, 897 venne datato al 1547 da Luigi Petrocchi, che lo collegava a un pagamento a frate Girolamo da Pietrasanta dell’Ordine dei Servi; 898 la datazione al XVI secolo, accettata da Lombardi,899 è stata giustamente contraddetta da Giuseppe Marchini, che attribuiva la vetrata a un maestro senese della prima metà del Trecento, e da Enzo Carli, che la inquadrava invece nella seconda metà del secolo. 900 Il documento sul quale si basava l’insostenibile cronologia cinquecentesca

896 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 26 ottobre 1982, carta s.n. 897 A. ADEMOLLO , 1894, p. 180. 898 L. PETROCCHI , 1900, p. 64. 899 E. LOMBARDI , 1966, pp. 25-26; E. LOMBARDI , 1985, p. 267. 900 G. MARCHINI , 1955, pp. 28-30, 225 nota 35; E. CARLI , 1976, pp. 68-71. 209 proposta dal Petrocchi si riferisce realmente a un pagamento a frate Girolamo, ma semplicemente “per rifar le finestre del vetro del duomo”, senza alcun riferimento specifico all’oculo. 901 Lo stesso Petrocchi, 902 basandosi su un secondo documento, ricordava l’originaria ubicazione della vetrata nell’oculo della nona campata sinistra e il suo spostamento in facciata nel 1604, quando l’apertura circolare del prospetto venne aperta per dare più luce alla chiesa. 903 L’incongruenza di misure tra l’oculo in controfacciata e il vetro venne rilevata anche durante i restauri a cui l’opera fu sottoposta tra il 1932 e il 1933, 904 un intervento commissionato dalla ditta De Matteis di Firenze dal parroco della chiesa Alessandro Franceschi, ricordato da un’iscrizione murata in controfacciata. 905 Come evidenziato da Marchini, 906 uno dei modelli dell’oculo fu la vetrata del Duomo di Siena, eseguita su disegno di Duccio di Buoninsegna alla fine del nono decennio del Duecento.907 Simile è la disposizione degli evangelisti nelle sezioni angolari, raffigurati nello stesso ordine: grazie al confronto coi tipi fisici degli evangelisti senesi, accompagnati dal proprio simbolo, è possibile, partendo dall’angolo alto a sinistra, identificare quelli massetani in: Giovanni, Matteo, Marco e Luca. Un altro elemento utile alla datazione dell’oculo è il riferimento, nella scena centrale destra, a uno degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti in San Francesco a Siena, raffigurante San Ludovico di Tolosa si congeda da papa Bonifacio VIII (fig. 5.77): dell’opera senese viene replicata la disposizione dei cardinali, seduto attorno alla cattedra, con la citazione diretta della figura in primo piano di spalle, con la testa di profilo, e del cardinale in secondo piano, visto frontalmente (fig. 5.78). 908 Il dipinto, staccato dalla sala capitolare insieme a due altri grandi scene e oggi conservato nella seconda cappella da sinistra del

901 “Denari dari contro de havere lire sesantaquatro pagati in otto scudi doro a frate Yhieronio da Pietra Santa frate del Ordine de Servi et m(.) di fare le finestre di vetro li quali denari si sonno dati a detto frate per arra et pri(n)cipio di pagamento p(er) rifare le finestre del vetro del duomo come appare in una scritta fra me et detto frate” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 119 r). 902 L. PETROCCHI , 1900, p. 64. 903 “Cong. gli Otto delle Case Pie et veduto che la chiesa cattedrale pate gravem(ente) di lume, respetto che l’oculio alla porta principale non c’è et perche uno di vetro atto alo d(etto) luogo sene ritrova ala porta della Comp(agnia) della Morti deliberano con consenso di M. Rev(erendissi)mo che d(etto) oculio figurato si trasmuti et porta et metti alla porta principale” (ACM, Decreti priorali e consigli , 90, cc. 427 r e v, 1604 aprile 20). 904 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone fino al 31/12/1998 , carte s.n. 905 HISTORICUM VITRUM SUPEREMINENS (SEC. XIV-XV) / CAN. ALEXANDER FRANCESCHI / ECCL. CATHEDR. PAROCHUS / A.D. MCMXXXII AB INITO SACERDOTIO XXV / SUO ET PIO AERE RESTAURANDUM CURAVIT. 906 G. MARCHINI , 1955, pp. 28-30, 225 nota 35. 907 Sulla vetrata senese si veda L. BELLOSI , A. BAGNOLI in Duccio... , 2003, pp. 162-179. 908 La composizione lorenzettiana venne replicata anche da Ugolino di Vieri nel reliquiario del Santissimo Corporale di Orvieto (R. BARTALINI , 2005, p. 139). 210 presbiterio, viene datato intorno alla metà degli anni Venti, 909 e costituisce un utile termine post quem per l’opera massetana, collocabile intorno alla metà del secolo. Non sembrano avere una funzione puramente decorativa i leoni rampanti e gli uccelli acquatici raffigurati nel drappo a losanghe della scena centrale: nel leone può essere infatti riconosciuto lo stemma della città di Massa, presente nella stessa chiesa anche nel coronamento del finestrone centrale dell’abside, mentre nella figura di uccello, se non si può escludere a priori un collegamento con le oche di San Cerbone rappresentate in primo piano, pare possibile riconoscere lo scudo della famiglia massetana dei Ghiozzi, caratterizzato, appunto, proprio da un uccello trampoliere. Quest’ultimo è visibile in un’epigrafe trecentesca murata nel pilastro destro della chiesa di San Francesco, in ricordo della cappella fatta fare da Feo di Neri Ghiozzi 910 ; lo stesso Feo era ricordato sul pilastro opposto in un’iscrizione del 1333, presumibile data della sua morte, oggi non più visibile ma ricordata dal Targioni Tozzetti. 911 Nella medesima chiesa, inserita nel pavimento di fronte all’altare maggiore, vi era la lastra sepolcrale della famiglia, trasportata nel 1872 nel contemporaneo museo. 912

Allo stesso autore della vetrata in controfacciata Enzo Carli ha riferito la piccola vetrata con Cristo crocifisso conservata nella Sala 3 del Museo d’Arte Sacra (fig. 5.79). 913 Ricordata per la prima volta da Ademollo in sagrestia 914 e datata al XV secolo da Petrocchi e Badii, 915 l’opera risulta attribuita nel Museo a Pietro Lorenzetti. Seppure la perdita di gran parte della grisaille renda difficile, a mio parere, l’individuazione dell’autore, la vetrata pare comunque un’opera trecentesca. Rimane incerta l’originaria collocazione dell’oculo all’interno della chiesa: l’unica apertura circolare oltre a quelle in controfacciata e nella nona campata sinistra pare essere la finestra dell’ambiente della sagrestia a cui si accede dall’ultima campata della navata destra, e che viene generalmente datata, per l’iscrizione sull’architrave della porta, al 1341. La pertinenza

909 M. BOSKOVITS , 1986, pp. 8-9; M. BOSKOVITS , 1990, pp. 132-140. 910 HANC CAPPELLAM FECIT FIERI DOMINUS FEUS OLIM NERI GHIOZI QUI OBIIT IN MONTE PESULANO. 911 A. D. 1333 PRO ANIMA DOMINI FEI; anche questa epigrafe era accompagnata, a detta dell’erudito, da una simile arme (G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 168). 912 Anche la lapide terragna è descritta da Giovanni Targioni Tozzetti, che ne riporta l’iscrizione: HIC IACET EXTINCTUS DINUS ET NERIUS INTUS DE GHIOZIS NATI, MUNDI BONITATE DONATI, QUI STATU, CENSU FULSERUNT, GLORIA SENSU; DEFENSOR PURUS POPULI, DIVUSQUE SECURUS MOLLIBUS HABENIS DULCIS, LARGITOR EGENIS CULPIS LAXATIS, SOTIES HOS CHRISTE BEATIS (G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 167). 913 E. CARLI , 1976, p. 68. 914 A. ADEMOLLO , 1894, p. 170. 915 L. PETROCCHI , 1900, p. 65. 211 della vetrata alla sagrestia, se confermata l’identità di misure con l’apertura e la reale datazione medievale dell’ambiente, fornirebbe un utile termine post quem per la cronologia dell’opera.

Le oreficerie

Nel corso del Tre e del Quattrocento il tesoro della cattedrale si arricchì di alcune importanti opere di oreficeria, oggi conservate nel Museo d’Arte Sacra.

La prima, in ordine cronologico, è il Reliquiario della Santa Croce oggi esposto nella Sala 2 (fig. 5.80). La stauroteca è composta da un crocifisso in argento decorato da smalti traslucidi, dove sono inseriti i frammenti del legno sacro, e un piede a base circolare di rame dorato, probabilmente non coevo, seppure creato per la croce soprastante, 916 su cui corre l’iscrizione in esametri:

HOC MEUS ET GADDUS CEUS ANDREASQ(UE) MAGISTRI – PISIS FECERUNT ARGENTI AURIQ(UE) MINISTRI

Sulle terminazioni trilobate del recto della croce sono raffigurate, in smalto traslucido, le figure dei dolenti ai lati, Cristo Benedicente in alto, un Cherubino sopra la testa del crocifisso e San Matteo in basso (fig. 5.81); sul verso s’incontrano, partendo dal braccio di sinistra e procedendo in senso orario, San Marco, San Giovanni Evangelista, San Luca e San Cerbone, mentre al centro è rappresentato l’ Agnus Dei (fig. 5.82). Il primo importante tributo dedicato al reliquiario è un articolo del 1978 di Anna Rosa Calderoni Masetti, la quale, dopo aver riconosciuto nei primi maestri citati nell’iscrizione Meo di Tale, Ceo di Colo e Gaddo di Giovanni da Cascina, tutti e tre impegnati a lavorare nel 1346 per l’Opera del Duomo di Pisa, 917 argomentava con confronti stilistici l’identificazione del quarto artefice e firmatario con Andrea Pisano, sottolineando la formazione pisana dell’autore del crocifisso, il rapporto con le opere di Giovanni Pisano e le somiglianze con opere certe di Andrea quali le formelle del portale del Battistero (1330 circa); la studiosa ravvisava inoltre riferimenti, negli smalti, alla cultura artistica pisana del terzo decennio del Trecento, e concludeva datando l’opera a

916 A. R. CALDERONI MASETTI , 1978, p. 22. 917 A. R. CALDERONI MASETTI , 1978, pp. 7-9. 212 prima del 1335, quando Massa entrò definitivamente nell’orbita politica senese. 918 Nel 1981 Loretta Dolcini, in un intervento seguito al restauro del manufatto, suggeriva che la posizione originale del San Cerbone in smalto potesse essere il trilobo basso della fronte della croce, al posto del San Matteo che troverebbe posto sul tergo, assieme agli altri tre evangelisti; la studiosa sottolineava inoltre la somiglianza tra l’opera massetana e una Croce d’argento della Collezione Carrand del Bargello, attribuita a Guccio di Mannaia. 919 Ne ribadiva invece un riferimento ad ambito senese Bruno Santi nel 1982. 920 La stauroteca è stata poi studiata da Giuliana Ericani (1999), per la quale la struttura della croce di Santa Maria in San Pietro di Porto di Legnago (Verona), databile al secondo-terzo decennio e forse proveniente da Santa Maria Novella, costituirebbe un precedente tipologico e cronologico per l’opera massetana; 921 da Marzia Ratti, che ipotizza per il reliquiario una committenza da parte dell’arcivescovo pisano Simone Saltarelli prima del 1328, 922 e infine da Elisabetta Cioni, che crea un gruppo affine di croci per le quali propone la paternità di una bottega lucchese influenzata da Guccio di Mannaia, e in cui include, oltre alla massetana, anche quelle del Victoria and Albert Museum di Londra, di Colognora Valleriana in Lucchesia, della chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Trassilico (Gallicano, Lucca) e del Tesoro della Cattedrale di Padova. 923 L’importanza dell’opera, la cui provenienza dal Duomo è confermata dalla presenza della figura di San Cerbone negli smalti del tergo, risiede anche, come già sottolineato, nello stretto rapporto con la croce lignea di Giovanni Pisano, della quale essa contribuisce a confermare l’originaria pertinenza massetana.

All’inizio del quinto decennio e alla bottega di Tondino di Guercino è riferibile il Reliquiario del Dito di San Cerbone (fig. 5.84), opera in argento dorato dal piede a sei lobi, decorato da smalti traslucidi dove compaiono le figure di San Cerbone, San Giovanni Battista, San Domenico, San Bartolomeo, San Tommaso d’Aquino e Sant’Andrea. 924 L’opera, oggi nella Sala 3 del Museo d’Arte Sacra, venne restaurata all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. 925

918 A. R. CALDERONI MASETTI , 1978, pp. 11-22. 919 L. DOLCINI , in Mostra di opere d’arte ..., 1981, pp. 38-41. 920 B. SANTI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, pp. 109-112. 921 G. ERICANI , in Restituzioni 1999 ..., 1999, pp. 42-51. 922 M. RATTI , in Andrea, Nino e Tommaso ..., 1983, pp. 171-172. 923 E. CIONI , 1998, pp. 103, 114, 134, 135, 138, 140-142, 144, 145. 924 E. CIONI , 1998, pp. 287, 291, 335, 341, 344, 349, 358, 359. 925 M. CIATTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, pp. 43-46. 213 Risalgono invece già al XV secolo il Reliquiario del Perizoma di Cristo (fig. 5.85), in rame inciso e dorato, opera degli anni ’30 firmata dell’orafo senese Goro di Ser Neroccio di Goro, 926 e il Fermaglio di Piviale (fig. 5.83), opera forse di un orafo fiorentino della metà del Quattrocento, 927 dove compare lo stemma della famiglia Bandini. La prima menzione di quest’ultimo è forse riconoscibile in un inventario degli arredi della cattedrale del 1804. 928

926 E. C IONI , in Da Jacopo della Quercia ..., 2010, pp. 472-473. 927 A. BAGNOLI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, pp. 101-102. 928 “Due firmagli di rame indorati, che uno con pietre, e l’altro con l’impronta di S. Cerbone” (ACM, Opera di San Cerbone , 12, Inventario degli arredi sacri, argenteria e suppellettili esistenti nella sacrestia della cattedrale di S. Cerbone , 1804, c. 3). 214 6. Gli interventi dal Cinquecento a oggi

Nella storia della cattedrale, due furono i principali momenti che portarono a modifiche sostanziali nell’arredo interno dell’edificio: il primo, tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, implicò l’adeguamento della chiesa ai dettami controriformistici; il secondo, negli anni Ottanta del XIX secolo, comportò il ripristino dell’aspetto medievale del Duomo, con la demolizione di gran parte degli altari barocchi.

I primi interventi sull’assetto interno della cattedrale sono databili all’anno precedente la consacrazione del Duomo da parte del vescovo Vincenzo Casali, il 23 marzo 1586, evento ricordato dall’iscrizione murata nella nona campata sinistra sopra la porta che conduce alla scalinata del soccorpo (fig. 6.1): D. O. M / VINCENTIUS / CASALIUS / PATRITIUS / BONONIENSIS / MASSAE ET POPULONIE / EP(ISCOPU)S CONSECRAVIT HANC / ECCLESIAM IN HONOREM B. / CERBONII DIE XXIII MENSIS / MARTII AN. D. MDLXXXVI Come già segnalato negli scorsi capitoli, i lavori del 1585 e del 1586 compresero lo smontaggio del coro che si trovava nella navata centrale, lo spostamento della Maestà di Duccio in controfacciata, e la realizzazione della serie di croci di consacrazione che ancora sopravvive sulle pareti delle navate. 929 Due anni dopo la cerimonia del 1586 il vescovo Achille Sergardi consacrò l’altare maggiore, come testimoniato da un’iscrizione murata nella parete sinistra dell’abside, sopra il ciborio (fig. 6.2). ACHILLES SERGARDIUS SENEN. / MASSAE ET POPUL(ONIAE) EP(ISCOP)US / HOC ALTARE IN D. CERB(ONII) HO/NOR CO(N)SEC(RAVIT) ET VISITA(N)TIB(US) / AN(N)UAM XXXX DIER(UM) I(N)DULG(ENTIAM) / C(ON)CESSIT XVI K(A)L(ENDAS) IUL(II) 1588. Altre modifiche all’interno dovettero essere eseguite durante l’episcopato di Alessandro Petrucci, presule della città dal 1602 al 1614, prima di essere promosso arcivescovo di Siena, dove morì nel 1628: il Cesaretti riporta un passo di un attestato di benemerenza fatto rogare dai cittadini massetani da Ser Paganello di Aurelio Paganelli per il vescovo, che “ornò a proprie sue spese la Cattedrale, in più vaga forma riducendola” e “arricchì i

929 “A m(aestr)o Fabritio muratore a di detto lire due per una opera datoci in Duomo nel far li scialbi et conficharci i gangarini, per farci dipignere le croci per detta consegratione”; “A m(aestr)o Anselmo dipintore a di 21 d detto lire due per fattura e pittura di dodici croci fatte nelli muri del Duomo per la detta Consegratione” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 271 r, 1585 marzo 20). 215 paramenti sacri della sagristia”. 930 Nel 1615 il vescovo venne celebrato con un’iscrizione murata nella parete della sesta campata della navata destra (fig. 6.3): D. O. M. / ALEXANDRO PETRUCCIO ANTE MASSA POPULONIA ANTISTITI / NUNC SENEN. ARCHIEPISCOPO AEDE MAXIMA ET EPISCOPALI / DOMO AERE SUO INSTAURATIS ATQUE IN ELEGANTIOREM / FORMAM REDACTIS HORARUM CANONICARUM INSTITUTIONE PIE / INDUCTA AD CANONICORUM COLLEGIUM QUATTUOR EPISCOPALI / REDITU IMMINUTO DUOBUS ITEM DOTE DE SUO ATTRIBUTA ADI/ECTIS ARCHIPRESBYTERI DIGNITATE VIGINTI TOTOS ANNOS / EXULANTE NON SINE MAGNO LABORE AC SUMPTU IN ANTIQUAM / SEDEM QUASI POST LIMINIO RESTITUTA BASILICA DEMUM PRETIO / SISSIMUS SACRARUM RELIQUARUM THECIS EXORNATA MULTISQ(UE) / MUNERIBUS DITATA. / SACER MASSANAE ECCLIESIAE SENATUS TANTORUM BENEFICIORUM / MEMOR POSUIT ANNO SALUTIS FUNDATA MDCXV PR(IDIE) KAL(ENDAS) OCT(OBRIS) Nel 1623 fu commissionato il nuovo altare maggiore, opera monumentale in marmi colorati che sostituì definitivamente quello con la Maestà di Duccio, già spostata qualche decennio prima dalla sua collocazione primigenia; la mensa lapidea dell’antico altare venne conservata all’interno del nuovo complesso (figg. 2.172, 6.4, 6.5). L’opera fu affidata a Flaminio Del Turco, scultore e architetto senese figlio di Girolamo, e autore a Siena, per dirla col Padre Guglielmo della Valle, di “più di settanta altari ricchissimi di pietre, e vaghissimi di disegno, e di lavoro pulitissimi”. 931 Il contratto di commissione dell’opera monumentale in marmi colorati, edito nel 1904 da Luigi Petrocchi, è conservato nell’Archivio Comunale; 932 lo stesso studioso pubblicò una fotografia del retro dell’altare precedente ai restauri del 1880, nella quale sono visibili due grandi angeli collocati sui piedistalli ai lati del tabernacolo che ne corona la sommità (fig. 6.6). 933 A questi ultimi si riferisce forse un pagamento del 30 giugno 1635 a “maestro Cristofano di maestro Marcho parmigano muratore” per aver, tra le altre cose, “messo l’Angeli al altar magiore per i lumi del San.mo Sacramento” e “aggiunto la scala di ferro per potere accendere li Angeli”. 934

930 A. CESARETTI , 1784, p. 68. 931 G. DELLA VALLE , III, 1786, p. 388. 932 ACM, Decreti priorali e consigli , 91, cc. 467 r e v (L. PETROCCHI , 1904, pp. 639-642). 933 L. PETROCCHI , 1904, p. 640. 934 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 376 r, 1635 giugno 30. 216 Il Petrocchi, inoltre, riferisce del completamento della copertura a volte delle navate, per la quale il consiglio comunale deliberò, il 13 aprile del 1622, di spendere 800 dei 1000 scudi lasciati come legato dal canonico Curzio Bandini per l’ornamento del cappellone maggiore. In realtà, nel documento non ci si riferisce alla copertura delle navate laterali ma soltanto di quella centrale, “che hoggi si trova solo armata di legnami”. 935 Proprio dalla menzionata commissione dell’altare a Flaminio Del Turco si comprende invece che l’intera somma del legato venne impiegata per il pagamento del nuovo altare, e che doveva essere, quindi, venuto meno l’utilizzo degli 800 scudi per le nuove volte. 936 Si dovrà dunque desumere che queste, ancora assenti nel 1622, vennero eseguite in un altro momento. 937 Vari interventi decorativi sulle volte e sulle pareti della chiesa sono documentati nel 1637. Il 16 maggio il pittore Bastiano Brunetti fu pagato per aver ridipinto e dorato “con sue stelle e borchie” il cappellone maggiore, 938 e il 1 giugno “l’altre due volte contigue al cappellone”, da identificare con le due cappelle laterali del presbiterio. 939 Il 14 giugno Cristofano di Marco ricevette un pagamento per aver scialbato le pareti dell’abside, “le due volte accanto al detto” (intendendo forse le pareti delle citate cappelle), parte della cupola e altre “navate basse” (campate?) della chiesa. 940 Il 22 maggio 1639 Pietro di Martino venne pagato per scialbare le volte e le colonne, 941 mentre il 2 giugno 1640 furono versate a Bastiano Brunetti centotrenta lire per dipingere a pietre finte le dieci colonne delle navate. 942 Allo stesso secolo sembra databile anche l’organo collocato nella nona campata destra, sopra la porta che conduce alla sagrestia (fig. 2.242). 943

935 ACM, Decreti priorali e consigli , 91, cc. 434 r e v (L. PETROCCHI , 1900, p. 39). 936 ACM, Decreti priorali e consigli , 91, cc. 467 r e v. 937 Petrocchi afferma che le volte furono portate a termine nel 1626, ma non cita il documento da cui avrebbe tratto l’informazione (L. PETROCCHI , 1904, p. 640). 938 “A di 16 di maggio lire centoquarantasette contanti a m(aestro)o Bastiano Brunetti pitore p(er) la fattura del cappellone del coro p(er) averlo ricolorito e dorato con sue stelle e borchie tutto a sue spese” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 379 r, 1637 maggio 16). 939 “A di p(rim)o giugnio lire cinquantasei a m(aestro)o Bastiano Brunetti pitore senese date fino il 16 aprile prossimo passato per ara, e parte di pagamento per rifare e colorire l’altre due volte contigue al cappellone e mettere a oro le stelle e borchie far li scompartimenti ogni cosa a sue spese come per scriptura” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 379 v, 1637 giugno 1). 940 “A di 14 Giugnio a m(aestr)o Cristofano di m(aestr)o Marcho parmigano al presente muratore in Massa lire settecento quara(n)taquattro per opere dugento ottantanove di maestri a lire due il opra date da lui e sua gan(.)e da 17 genaro prossimo passato fino a d(etto) giorno nella cattedrale in scalbare, e aricare imbiancare il cappellone, le due volte accanto al detto una parte della cuppola et altre navate basse di detta chiesa ...” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 379 v, 1637 giugno 14). 941 “A di 22 Maggio lire settantasei a m(aestr)o Pietro di Martino milanese al presente muratore in Massa per opre vinti otto di Maestri a lire due il opra e opre vinti di manovali a lire una il opra messe a scalbare le volte e colonne di detta cattedrale...” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 385 r, 1639 maggio 22). 942 “A di 2 giugnio lire cento trenta a m.o Bastiano Brunetti pittore di Siena al presente in Massa per haver colorito e ridotto a pietre finte le dieci colonne della cattedrale a tutte sue spese” (ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 387 v, 1640 giugno 2). 943 E. LOMBARDI , 1985, p. 273. 217 Tra la fine del Cinque e la prima metà del Seicento vennero realizzati gli altari barocchi delle cappelle e delle navate laterali; la loro intitolazione e la loro posizione all’interno della chiesa è ricostruibile grazie alle visite pastorali effettuate nella diocesi a partire dal 1586, attualmente conservate nell’Archivio vescovile. Risultano utili in tal senso le visite degli anni 1689, 1690 e 1699, 944 dove tutti gli altari sono citati per la prima volta partendo dalla cappella maggiore e procedendo nella chiesa in senso antorario: nella navata sinistra, dalla facciata, s’incontravano gli altari dedicati al Santissimo Crocifisso, all’Annunciazione, a Santa Maria delle Grazie, a San Cerbone, al Santissimo Rosario, a San Brizio, e alla Beata Vergine Maria, dove si trovava la reliquia del Latte e il corpo di Sant’Illuminato; nella navata opposta, sempre dirigendosi verso l’abside, si trovavano invece gli altari della Madonna del Monte Carmelo, della Purificazione, della Natività della Beata Vergine Maria, della Concezione della Beata Vergine Maria, e di San Carlo. L’aspetto di questi altari, demoliti alla fine dell’Ottocento, è ricostruibile grazie a una perizia degli anni Trenta dell’Ottocento, recentemente pubblicata da Riccardo Belcari, redatta dall’ingegnere Costante Maestrelli del Circondario di Massa, su richiesta della Commissione granducale per il restauro delle chiese parrocchiali, in cui troviamo una diligente descrizione della cattedrale. 945 Come scrive il Maestrelli, “per altari si vedono pontati con colonne d’ordine composito, con frontespizio e sua trabeazione in stucco, uno dei quali sotto il titolo di S. Cerbone è in legno, con dorature nelle cornici”, e “ogni altare è fornito di gradini e suppedaneo di legno e mensa di materiale, ad eccezione di quello dedicato al Santissimo Sagramento che ha un gradino ed il ciborio in marmo, ed il davanti dell’altare storiato a bassi rilievi in travertino, lavoro del 900 circa; un basso rilievo dell’epoca istessa si trova nel davanti dell’altare dedicato alla Madonna del Rosario”. 946 La descrizione fornisce utili informazioni sulle tele dipinte che ornavano gli altari seicenteschi. Nella navata sinistra egli cita “il primo (altare) è dedicato a santa Lucia ed ha un quadro in tela deteriorato da tempo; il secondo alla Santissima Annunziata con quadro in tela; il terzo alla Madonna delle Grazie, piccolo quadro in tela ornato di bassorilievi in stucco, il quarto a San Cerbone; il quinto alla Madonna del Rosario con

944 AVM, Visita Pastorale del 1689 , pp. 98-105; AVM, Visita Pastorale del 1690 ; AVM, Visita Pastorale del 1699 . 945 ASF, Commissione per il restauro delle chiese parrocchiali , 56, fascicolo 15, Chiesa cattedrale di Massa Marittima, 1832-1842 (R. BELCARI , 2012, pp. 71-79). 946 R. BELCARI , 2012, pp. 75-76. Sopravvive ancora l’altare in legno dedicato a San Cerbone, trasferito a fine Ottocento nella chiesa di San Francesco; i due stemmi scolpiti alla base, raffiguranti una quercia da sughero, sono riferibili alla famiglia dei Suversini (L. PETROCCHI , 1900, p. 157). 218 quadro in tela; il sesto alla Madonna del Latte con quadro in tela”. 947 Segue l’elenco della navata opposta: “sono cinque altari simili agli altri, lavorati in stucco, il primo è dedicato a San Giuseppe con quadro in tela; il secondo è l’altar privilegiato per i defunti; con quadro piccolo in tela rappresentante san Vincenzo Ferreri; il terzo dedicato a s. Anna con quadro in tela, che rappresenta la Nascita di Maria Vergine; il quarto al SS. Sagramento, con quadro in tela in cui figura la Concezione; il quinto a San Carlo Borromeo, che vien figurato nel quadro in tela danneggiato dal tempo.” 948 In uno dei dipinti citati nella perizia possiamo riconoscere l’ Annunciazione di Raffaello Vanni, attualmente appesa alla parete della quinta, in opera nel secondo altare della navata sinistra (presumibilmente nella terza campata, essendo la seconda occupata dal portale), eseguita nel 1643 (fig. 6.7). 949 Allo stesso pittore sono state riferite anche la Madonna del Carmine incoronata da due angeli, un santo monaco e i santi Giuseppe, Bernardino e Guglielmo d’Aquitania , oggi sulla parete della terza campata destra (fig. 6.8), 950 e una tela rappresentante Assunta, san Cerbone e i beati francescani di Massa Ambrogio, Bernardino e Giacomo , oggi in San Francesco, nell’altare Suversini, e quindi originariamente sul quarto altare della navata sinistra (fig. 6.9). 951 All’altare della Cappella del Sacramento, nel ‘transetto’ destro, stava la pala dell’ Immacolata Concezione, Adamo ed Eva e i Santi Giuda Apostolo e Carlo ,952 oggi appesa nella cappella destra dell’abside, tradizionalmente riferita a Francesco Vanni o a Rutilio Manetti, e recentemente a Bernardino Capitelli (fig. 6.10). 953 La “Nascita di Maria Vergine” menzionata nel terzo altare della navata destra è identificabile invece con la tela oggi nella quinta campata della navata destra,954 firmata da Rutilio Manetti, in cui gli studi hanno visto anche la presenza della bottega (fig. 6.11). 955 Si trovavano all’altare di San Carlo, già nella cappella destra del presbiterio, e forse nella Cappella del Rosario, nel ‘transetto’ sinistro, due tele attribuite a Ilario Casolani, raffiguranti la prima San Carlo Borromeo , oggi appesa nel primo ambiente del soccorpo (fig. 6.12), 956 e la seconda la Madonna del Rosario, San Pio V e i Misteri del Rosario , attualmente

947 R. BELCARI , 2012, p. 75. 948 R. BELCARI , 2012, pp. 75-76. 949 ACM, Opera di San Cerbone , 5, c. 402 v, 1643 gennaio 25. Sull’opera si veda M. CIAMPOLINI , III, 2010, p. 1047, con bibliografia precedente. 950 M. CIAMPOLINI , III, 2010, p. 1047, con bibliografia precedente. 951 M. CIAMPOLINI , III, 2010, p. 1047. 952 A. ADEMOLLO , 1894, p. 178. 953 M. CIAMPOLINI , I, 2010, p. 71, con bibliografia precedente. 954 Ademollo la ricordava invece al secondo altare della stessa navata (A. ADEMOLLO , 1894, p. 171). 955 M. CIAMPOLINI , I, 2010, p. 261, con bibliografia precedente. 956 L. PETROCCHI , 1900, pp. 48, 66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; M. CIAMPOLINI , 2010, I, p. 138. Quest’ultimo la segnala nella cappella sinistra del ‘transetto’. 219 alla parete sinistra della già citata cappella infondo alla navata destra. 957 L’altare di quest’ultima recava gli stemmi dei Benvoglienti e dei Patrini alla base delle due colonne, a ricordo della sua fondazione da parte di Augusto Patrini, che nel testamento del 1622 aveva ordinato la creazione di un benefizio in cattedrale all’estinzione dei Benvoglienti suoi eredi, avvenuta nel 1720. 958 Non si faticherà, infine, a riconoscere nel dipinto descritto erroneamente come un “piccolo quadro in tela ornato di bassorilievi in stucco” la parte centrale della Maestà duccesca, in cui erano state applicate due coroncine a rilievo, rimosse nel restauro del 1947, sia alla Vergine sia al Bambino. 959 Se non risultano interventi di rilievo durante il XVIII secolo, epoca di forte decadenza per la città testimoniato dalla desolante descrizione di Giovanni Targioni Tozzetti, 960 l’Ottocento si rivelò un periodo molto più vivace per la cattedrale. Sotto l’episcopato del vescovo Giuseppe Maria Traversi vennero commissionate alcune opere allo scultore senese Antonio Rossi, quale ad esempio la statua lignea dipinta di bianco e oro raffigurante San Cerbone, inserita in una nicchia ricavata nello spessore del muro della controfacciata tamponando probabilmente l’oculo visibile dall’esterno, sopra il portale maggiore (fig. 6.13). 961 Allo stesso scultore è riferibile anche un’altra statua lignea di San Giuseppe, 962 oggi conservata nell’ambiente di accesso al soccorpo (fig. 6.14), e la cattedra vescovile precedente l’attuale. 963 Nel 1858 lo stesso presule incaricò Enrico Ridolfi di realizzare una tela raffigurante l’ Assunzione , ricordata dall’Ademollo all’altare gregoriano della navata destra, 964 a sostituzione “di un altro ridotto in pessima condizione e di minor pregio”. 965 Al XIX secolo è databile anche un’altra tela, inserita in controfacciata nella lunetta che sormonta il portale maggiore, rappresentante i Santi Ciriaco, Andrea e Bernardino , il primo con in mano un libro e una foglia di palma, il

957 M. CIAMPOLINI , 2010, I, p. 138. La tela è citata in sagrestia da A. ARUS , 1884, pp. 44-45; A. ADEMOLLO , 1894, p. 170; L. PETROCCHI , 1900, p. 66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36. 958 L. PETROCCHI , 1900, p. 48. 959 Vedi il capitolo 4. 960 “Oggigiorno la Campagna è un deserto, e la Città è talmente piena di rovine, e desolata, che fa pietà. Nell’Inverno vi abitano forse mille persone, la maggior parte delle quali sono forestiere, ma nell’Estate non vi restano che forse sole 300, poiché se ne parte fino il Vescovo, essendosi ciò accordato nelle Bolle, e l’Jusdicente.” (G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 169-170). 961 A. ARUS , 1884, p. 42; A. ADEMOLLO , 1894, p. 180; L. PETROCCHI , 1900, p. 64; E. LOMBARDI , 1966, p. 25; P. PAOLINI , scheda OA 09 00093453, 1975; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33. 962 E. LOMBARDI , 1966, p. 36. 963 A. ADEMOLLO , 1894, p. 174; E. LOMBARDI , 1966, p. 38. 964 A. ADEMOLLO , 1894, pp. 170-171. 965 A. ARUS , 1884, p. 34. 220 secondo con la croce decussata e il terzo con un quadretto con il trigramma bernardiniano all’interno del sole raggiato (fig. 6.15). 966 Una commissione di rilievo fu quella del sepolcro del vescovo Traversi allogato allo scultore Tito Sarrocchi da Giovanni Morandini e Francesco Nardelli, nipoti ed eredi del presule, nel 1873 (fig. 6.16). 967 Inaugurato nel 1878, l’imponente monumento marmoreo di gusto neomedievale fu collocato nella quarta campata sinistra. Qui insisteva il terzo altare della navata, intitolato alla Madonna delle Grazie, che dovette essere perciò distrutto, sostituito dal monumento licenziato dallo scultore senese. La demolizione dell’altare seicentesco fu verosimilmente il prodromo della significativa campagna di ripristino del canonico Arturo Arus, animata dal desiderio di restituire all’edificio l’antico splendore medievale. 968 A partire dal 1880 si procedette, difatti, alla demolizione degli altari barocchi delle navate, con la conseguente riscoperta di gran parte degli affreschi tre e quattrocenteschi che ne decoravano le pareti, tracce dei quali erano già in parte emerse sotto gli scialbi, come testimoniato da Galli da Modigliana (fig. 6.17). 969 Vennero inoltre recuperate le lastre appartenenti all’antico arredo medievale, riutilizzate negli altari delle due cappelle del ‘transetto’, e murate in controfacciata; il sarcofago antico fu trasferito dal fonte battesimale alla prima campata sinistra, nel cui pavimento vennero inserite lapidi sepolcrali provenienti da altre parti della cattedrale. Nel 1882 lo stesso canonico commissionò la realizzazione della ringhiera in ferro battuto che chiude il fonte su due lati, come attesta anche l’iscrizione apposta sulla cancellata stessa; 970 il progetto dell’opera, eseguita dal fabbro Giovacchino Sorbi su disegno dell’ingegnere Vittorio Castellani, 971 si conserva all’Archivio Comunale (fig. 6.18). 972 Sfuggirono ai ripristini dell’Arus gli altari in stucco delle Cappella del Rosario, nel braccio sinistro del ‘transetto’, e della Cappella di San Giuseppe, alla destra dell’abside. Il primo venne demolito nel 1948, con conseguente ritrovamento di numerosi frammenti lapidei (l’angolo della lastra terragna del vescovo Antonio Casini; la lastra del Museo

966 L. PETROCCHI , 1900, p. 64; E. LOMBARDI , 1966, p. 25; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33. 967 L. PETROCCHI , 1900, pp. 58-59. 968 Sui restauri del canonico Arus, la cui documentazione si conserva in un fondo dell’Archivio Comunale (ACM, Memorie di case pie, 8, Opere di San Cerbone e S. Agostino atti diversi 1873-1910 , 1880 Restauri della Cattedrale di Massa Marittima a cura del Can. Arturo Arus Operaio ), si veda R. BELCARI , 2005, pp. 215-228. 969 S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 277-278 nota 1. 970 CAN. ARCTURUS ARUS OPER. SACRO FONTE TUTANDO AN. 1882. 971 A. ARUS , 1884, pp. 19-20. 972 ACM, Memorie di case pie, 8, Opere di San Cerbone e S. Agostino atti diversi 1873-1910 , Miscellanea diversi . 221 col Santo con spada , un “pannello rinascimentale a duplice specchio, con rose e fogliami, di buona fattura”; sei pezzi di cornice medievale e “un piccolo sarcofago a doppio scompartimento, rotto da un lato e senza coperchio” e “altri frammenti meno interessanti”). 973 La distruzione del secondo altare l’anno successivo permise la riapertura dell’antica finestra della cappella, nonché il rinvenimento di vari frammenti di cornici di epoca medievale, usati come materiale di riempimento; come segnalato da Curzio Breschi nella sua lettera al Soprintendente, l’applicazione dell’altare aveva causato la distruzione degli spigoli angolari in fondo alla cappella. 974 Oltre alla rimozione di questi ultimi altari, numerosi furono gli interventi di restauro che nel corso del Novecento interessarono l’arredo fisso e mobile dell’edificio e la sua struttura architettonica. 975 Al 1926 risale il restauro e la decorazione pittorica in stile della Cappella Galliuti (fig. 2.239), 976 nonché la realizzazione del monumento per il vescovo Borachia, nella parete sud-est, eseguito su disegno dell’architetto Cesare Spighi (fig. 6.19). 977 Ai primi decenni del secolo risalgono anche, come già visto in precedenza, la ricostruzione del campanile e il restauro della cupola. 978 La più recente aggiunta all’arredo della cattedrale è costituita dalla cattedra vescovile e dall’altare maggiore, opere dell’artista ceco Ivan Theimer eseguite nel 2007, 979 la prima delle quali è andata a sostituire una precedente seduta realizzata dallo scultore Antonio Rossi, commissionata nel XIX secolo dal vescovo Traversi. I vari interventi che si sono succeduti nello scorso secolo, e che costituiscono testimonianza del costante cambiamento del gusto e della concezione del restauro, hanno il più delle volte portato ad approfondire la conoscenza della storia e della decorazione della cattedrale. Sulla stessa scia si pone oggi l’impegnativa campagna di restauro iniziata nel 2008, rivelatrice, come già sottolineato nei capitoli precedenti, di novità che attendono ancora una vera e propria pubblicazione. Rimane auspicabile, per il futuro, un’indagine archeologica che sia d’ausilio al chiarimento della cronologia e delle vicende costruttive del Duomo di San Cerbone, alla cui analisi è stato dedicato questo lavoro.

973 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 febbraio 1948. 974 SBSAE, Archivio storico, Massa Marittima , C-21, Cattedrale di San Cerbone , Carte fino al 31/12/1998 , 15 dicembre 1949. 975 Per i citati interventi si vedano i capitoli precedenti. 976 Vedi il capitolo 4. 977 Risale al 24 febbraio 1926 una lettera di Cesare Spighi indirizzata al soprintendente Peleo Bacci, dove si accenna alla futura esecuzione del monumento al vescovo Borachia, da sistemare nella Cappella Galliuti (SBAPSI, Archivio Storico, Duomo di Massa Marittima , 24 febbraio 1926, f. 127). 978 Vedi il capitolo 3. 979 Sacre materie... , 2010. 222 Schede delle opere nella cattedrale

Controfacciata

1. Pittore senese San Giuliano uccide i genitori frammento d’affresco, cm 304 x 285 inizio del XVI secolo

L. PETROCCHI , 1900, pp. 63-64; A. MONCIATTI , scheda OA 09 00125677, 1975; E. LOMBARDI , 1966, p. 24; E. CARLI , 1976, p. 72; E. LOMBARDI , 1985, p. 266; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33.

2. Iscrizione 1932 travertino

HISTORICUM VITRUM SUPEREMINENS (SEC. XIV-XV) / CAN. ALEXANDER FRANCESCHI / ECCL. CATHEDR. PAROCHUS / A.D. MCMXXXII AB INITO SACERDOTIO XXV / SUO ET PIO AERE RESTAURANDUM CURAVIT

223 3. Pittore San Ciriaco, Sant’Andrea e San Bernardino da Siena olio su tela XIX secolo

A. ARUS , 1884, p. 42; A. ADEMOLLO , 1894, p. 180; L. PETROCCHI , 1900, p. 64; E. LOMBARDI , 1966, p. 25; E. LOMBARDI , 1985, p. 266; B. SANTI , in Guida storico- artistica ..., 1995, p. 33.

4. Antonio Rossi San Cerbone legno dipinto, cm 200 x 80 prima metà del XIX secolo

A. ARUS , 1884, p. 42; A. ADEMOLLO , 1894, p. 180; L. PETROCCHI , 1900, p. 64; s.v. Rossi, Antonio , 1935, p. 53; E. LOMBARDI , 1966, p. 25; P. PAOLINI , scheda OA 09 00093453, 1975; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33.

224 5. Maestro vetrario Oculo vetro dipinto metà del XIV secolo

A. ARUS , 1884, pp. 42-43; A. ADEMOLLO , 1894, p. 180 (XIV); L. PETROCCHI , 1900, p. 64; C. BRESCHI , 1940, pp. 150-151; G. MARCHINI , 1955, pp. 28-30, 225 nota 35; E. LOMBARDI , 1966, pp. 25-26; E. CARLI , 1976, pp. 68-71; E. LOMBARDI , 1985, p. 267; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33.

6. Pittore del XV secolo San Girolamo nello studio affresco, cm 286 x 142 XV secolo

A. MONCIATTI , scheda OA 0900125678, 1975; E. CARLI , 1976, p. 66; E. LOMBARDI , articolo di giornale (AVM, Fondo Don Enrico Lombardi , articoli vari, S.42).

225 7. Lapide marmo, cm 100 x 135 1771

ANNIBALI MONCINO MASSAE ECCLESIAE CANONICO / ASSIS (---) FRUCTIBUS IN CIVES MASSANAS / QUOTANNIS MARITANDAS CONSTITUTIS / P(---) ACTA ANDREI A. M.D.C.C.LXIII / ANTONIUS IANACLINUS ET LAURENTIUS FALUSIUS / PIAE VOLUNTATIS EXECUTORES / VIRO PROBO AC CIVI OPTIMO / GRATI ANIMI MONUMENTUM PONUNT / HYPPOLITO GIULIANI MASSAE PRAETORE CURANTE / A. MDCCLXXI

S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 418; A. ARUS , 1884, p. 42; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 179-180; L. PETROCCHI , 1900, p. 63; E. LOMBARDI , 1966, pp. 24-25; D. CINELLI , scheda OA 09 00093365, 1976.

8. Seguace di Ambrogio Lorenzetti Crocifissione affresco, cm 223 x 336 metà del XIV secolo

L. PETROCCHI , 1900, pp. 62-63; E. LOMBARDI , 1966, p. 24; E. CARLI , 1976, p. 62; P. PAOLINI , scheda OA 0900093455, 1976 (XIV secolo); E. LOMBARDI , 1985, p. 266; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 33.

226 Navata sinistra

Prima campata

9. Lapide travertino, cm 22 x 36 XIV secolo

S(EPULCRUM) GUIDONIS ET / NARDI VANNIS ET / SUORUM HERED(UM)

P. P AOLINI , 09 00093468, 1975

10. Sarcofago marmo, cm 42 x 178 III-IV secolo

G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, p. 89; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 130-131; F. FONTANI , II, 1802, p. 64; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 402 nota 1; A. ARUS , 1884, pp. 39-41; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 177-178; L. PETROCCHI , 1900, pp. 60-62; G. BADII , 1926, pp. 22, 55-56; E. LOMBARDI , 1966, pp. 23-24; E. CARLI , 1976, p. 33; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125749, 1977; E. LOMBARDI , 1985, pp. 265-266; S. SETTIS , 1986, pp. 373-486; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 32; R. BELCARI , 2005, pp. 215-228.

11. Busto clipeato travertino, cm 80 x 90 x 14 II secolo (?)

A. BATAZZI , scheda OA 09 00125750, 1977

227 12. Lastra tombale di Toro Galliuti marmo, cm 220 x 75 1338

S(EPULCRUM) TORI GALLIUTI DE / GALLIUTIS ET [HEREDUM] SUOR(UM) QUI TORUS DEFUN[TUS] EST ANNO D(OMI)NI M/CCCXXXVIII DIE / XVII MENSIS AU[GUSTI …]NA EIUS RE[QUIES]CAT IN PACE AMN

A. ARUS , 1884, pp. 41-42; A. ADEMOLLO , 1894, p. 179; L. PETROCCHI , 1900, pp. 61-62; G. BADII , 1926, p. 151; E. LOMBARDI , 1966, p. 25; P. PAOLINI , scheda OA 09 00151532, 1975; E. LOMBARDI , 1985, pp. 266, 272.

13. Seguace di Ambrogio Lorenzetti Madonna col Bambino, San Francesco e Santa Caterina d'Alessandria affresco, cm 135 x 200 sesto decennio del XIV secolo

A. ARUS , 1884, p. 39; A. ADEMOLLO , 1894, p. 169 L. PETROCCHI , 1900, p. 60; G. BADII , 1926, p. 55; E. LOMBARDI , 1966, p. 24; E. CARLI , 1976, p. 62; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125754, 1976; E. CASTELNUOVO , 1983, fig. 125; E. LOMBARDI , 1985, p. 266; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 32; A. DE MARCHI , 2004, p. 42; E. CAMPOREALE , 2011, p. 34.

228 Seconda campata

14. Pittore senese Annunciazione frammento di affresco, cm 300 x 159 XIV secolo

A. MONCIATTI , scheda OA 09 00125665, 1975 (prima metà XV)

15. Seguace di Ambrogio Lorenzetti Madonna col Bambino, San Bartolomeo e Santa Caterina affresco, cm 140 x 180 sesto decennio del XIV secolo

S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 277-278 nota 1; A. ARUS , 1884, p. 39; A. ADEMOLLO , 1894, p. 169; L. PETROCCHI , 1900, p. 60; G. BADII , 1926, p. 55; E. LOMBARDI , 1966, p. 46; E. CARLI , 1976, p. 65; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125753, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 283; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35.

229 16. Pittore senese Tentazione di Sant'Antonio frammento di affresco XIV secolo

17. Acquasantiera a fusto travertino, cm 144 x 70 XIII e XIV (?) secolo

L. PETROCCHI , 1900, pp. 45-46; M. SALMI , 1926, p. 60 n. 71; J. EISSENGARTHEN , 1975, p. 54; M. E. TORCHIO , scheda OA 0900093337, 1976.

230 Terza campata

18. Biagio di Goro Ghezzi (?) Cavalcata dei Magi frammento di affresco, cm 328 x 220 anni '70 del XIV secolo

A. ARUS , 1884, pp. 38-39; A. ADEMOLLO , 1894, p. 168; L. PETROCCHI , 1900, pp. 59-60; R. VAN MARLE , 1924, p. 249 nota 1; G. BADII , 1926, p. 55; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 109; E. LOMBARDI , 1966, p. 43; E. CARLI , 1976, pp. 62-65; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125752, 1977; A. BAGNOLI , 1994, pp. 73-77; E. LOMBARDI , 1985, p. 283; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35.

Quarta campata

19. Tito Sarrocchi Monumento di Giuseppe Traversi marmo, cm 800 x 384 x 50 1873-1878

A. ARUS , 1884, pp. 36-38; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 176-177; L. PETROCCHI , 1900, pp. 58-59; G. SARROCCHI , 1924, pp. 30-31; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 155; E. LOMBARDI , 1966, pp. 42-43; E. CARLI , 1976, p. 83; D. CINELLI , scheda OA 09 00125659, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 282; R. MARCUCCI , Tito Sarrocchi , in Siena tra purismo ..., 1988, p.

231 125; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35; Tito Sarrocchi ..., 1999, pp. 138-139.

Quinta campata

20. Raffaello Vanni Annunciazione olio su tela, cm 326 x 210 1643

A. ARUS , 1884, pp. 44-45; A. ADEMOLLO , 1894, p. 170; L. PETROCCHI , 1900, pp. 65-66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; E. CARLI , 1976, p. 77; B. SANTI in Mostra d’opere d’arte ..., 1979, pp. 252-253, n. 95; E. LOMBARDI , 1985, p. 272; L. GALLI in Bernardino Mei ..., 1987, pp. 90-91; L. GALLI in Pitture senesi ..., 1989 p. 76; L. GALLI , 1995, p. 263; B. SANTI in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35; A. NEGRO in Pietro da Cortona ..., 1997, pp. 239, 424; B. SANTI in Grosseto ..., 1999, p. 159; L. MARTINI , 2005, p. 139; M. CIAMPOLINI , III, 2010, p. 1047.

Sesta campata

21. Seguace di Ambrogio Lorenzetti Gesù guarisce il cieco nato sinopia d’affresco, cm 129 x 91,5 metà del XIV secolo

E. CARLI , 1976, pp. 65-66; A. MONCIATTI , scheda OA 09 00125664, 1977

232 22. Lapide di Pietro Maria Vannucci marmo, cm 110 x 80 1793

A (Christos) Ω / HIC IN PACE QUIESCIT PETRUS MARIA / VANNUCCIUS PATRIA FICECLIENSIS IURIS / UTRIUSQ(UE) PERITIA MORUM GRAVITATE / VITAE INNOCENTIA VERAQ. CHRISTIANA / VIRTUTE AC PIETATE INSIGNIS QUI PER / ANNOS V IN SUANENSI DEINDE IN SUA / MINIATENSI DIAECESI PER ANNOS XV / VICARII GENERALIS MUNERE / PRUDENTISSIME FUNCTUS MASSAE AC / POPULONIAE TANDEM EPISCOPUS / AN. MDCCLXX CREATUS OMNES HIC / BONI PASTORIS PARTES IMPLERE / DILIGENTISSIME STUDUIT VIXIT AN / LXXVII MENS. IX D. IX OBIIT III NON / AUGUST. AN. MDCCXCIII

A. ARUS , 1884, p. 35; A. ADEMOLLO , 1894, p. 176; L. PETROCCHI , 1900, p. 58; E. LOMBARDI , 1966, pp. 41-42; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00093380, 1976; E. LOMBARDI , 1985, p. 282.

Settima campata

23. Pittore del XV secolo (?) Madonna col bambino affresco, cm 64 x 50 XV secolo (?)

M. E. TORCHIO , scheda OA 09 00093308, 1977

233 Cappella del Rosario

24. Pittore del 1420 San Martino dona il mantello a un povero frammento di affresco 1420

ALIORUM MARTIRUM MCCCCXX MARTINUS

L. PETROCCHI , 1900, p. 58

25. Maestro della Madonna di Massa Marittima (?) Madonna col Bambino frammento di affresco, cm 219 inizio del XV secolo

E. LOMBARDI , 1966, p. 41; E. CARLI , 1976, pp. 67-68; A. IANNELLA , scheda OA 09 00151217, 1981; E. LOMBARDI , 1985, p. 282.

26. Pittore del XV secolo Santa Caterina d'Alessandria frammento di affresco XV secolo

234 Nona campata

27. Lapide marmo 1586

D. O. M / VINCENTIUS / CASALIUS / PATRITIUS / BONONIENSIS / MASSAE ET POPULONIE / EP(ISCOPU)S CONSECRAVIT HANC / ECCLESIAM IN HONOREM B. / CERBONII DIE XXIII MENSIS / MARTII AN. D. MDLXXXVI

F. UGHELLI , III, 1647, coll. 808-809; A. CESARETTI , 1784, p. 179; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 305-306 nota 1; A. ARUS , 1884, p. 33; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 116; E. LOMBARDI , 1966, p. 38; E. LOMBARDI , 1985, p. 280.

Cappella di testata

28. Altare travertino, cm 112 x 208 x 108 XX secolo

A. IANNELLA , scheda OA 09 00151218, 1981

235 29. Duccio di Buoninsegna Maestà tempera su tavola, cm 179,2 x 99,5 1316 circa

A. ARUS , 1884, pp. 31-32; A. ADEMOLLO , 1894, p. 175; L. PETROCCHI , 1900, pp. 55-56; F. MASON PERKINS , 1904a, p. 83 nota 7; F. MASON PERKINS , 1904b, pp. 186-190; C. GAMBA , 1906, pp. 45-46; C. H. WEIGELT , 1911, p. 64; G. DE NICOLA , 1912b, pp. 21-32; G. DE NICOLA , 1912-1913, p. 146; R. VAN MA RLE , II, 1924, pp. 130-134; G. BADII , 1926, p. 54; C. H. WEIGELT , 1930, pp. 19, 67, 74-75; B. BERENSON , 1932, p. 523; G. H. EDGELL , 1932, pp. 62-63; C. BRANDI , 1947, p. 236; E. CARLI , 1947, pp. 20-21; L. COLETTI , 1949, pp. 291-308; C. BRANDI , 1951, p. 151; P. TOESCA , 1951, p. 517 nota 45; E. CARLI , 1955a, pp. 68-70; E. C ARLI , 1955b, p. 51; G. PACCAGNINI , 1955, p. 99; H. HAGER , 1962, pp. 148-149; Arte senese nella Maremma ..., 1964, pp. 7-9; E. LOMBARDI , 1966, p. 41; B. KLESSE , 1967, p. 179; B. BERENSON , I, 1968, pp. 116-117; F. ARCANGELI , 1970, pp. 8-9, 11-12; G. CONTINI , M. C. GOZZOLI , 1970, pp. 103-104; E. CARLI , 1971, p. 11; A. CONTI , 1971, pp. 618-619; E. CARLI , 1972, pp. 3-15: 8, 13-15; G. CATTANEO , 1972, p. 98; E. CARLI , 1976, pp. 54-58; J. H. STUBBLEBINE , 1978, pp. 357- 367; J. H. STUBBLEBINE , 1979, pp. 11, 12, 71-74; P. TORRITI in Mostra di opere d'arte ..., 1979, pp. 25-30; J. WHITE , 1979, pp. 103, 181; C. VOLPE , in Il Gotico a Siena , 1982, p. 141; J. GARDNER , 1983, pp. 297-322: 299, 300, 306; F. DEUCHLER , 1984, p.192; H. W. VAN OS, 1984, pp. 56-57, 101; E. LOMBARDI , 1985, pp. 273-280; G. RAGIONIERI , 1989, pp. 12, 144; F. BOLOGNA , 1992, p. 748; M. PIPPAL , 1993-1994, pp. 559-562; L. BELLOSI , 1994, p. 748; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35; D. GORDON , 1996, p. 346; G. CHELAZZI DINI , 1997, p. 50; L. BELLOSI , 1998, p. 20; E. CARLI , 1999, pp. 34-35, 146; D. NORMAN , 1999, pp. 109-115, 121, 162-163; H. B. J. MAGINNIS , 2001, p. 115; V. M. SCHMIDT , 2001, pp. 156-157; A. LABRIOLA , 2002, pp. 49-50, 66; V. M. SCHMIDT , 2002, pp. 395-425: 410; R. BARTALINI , in Duccio ..., 2003, pp. 270-283; Scultura gotica senese ..., 2011, pp. 244, 320.

236 Navata centrale

30. Iscrizione e stemma travertino

A. ARUS , 1884, pp. 43-44; L. PETROCCHI , 1900, p. 33; E. LOMBARDI , 1966, p. 20.

31. Stemma della famiglia Tolomei travertino

L. PETROCCHI , 1900, p. 33; E. LOMBARDI , 1966, p. 22

237 Abside

32. Pittore e scultore del XVI secolo Coppia di angeli reggi-candelabro e ciborio affresco, marmo inizio del XVI secolo

G. BADII , 1926, p. 54 (ciborio); E. LOMBARDI , 1966, p. 38 (ciborio); E. LOMBARDI , 1985, p. 273 (ciborio e affresco).

33. Iscrizione ad Achille Sergardi marmo 1588

ACHILLES SERGARDIUS SENEN. / MASSAE ET POPUL(ONIAE) EP(ISCOP)US / HOC ALTARE IN D. CERB(ONII) HO/NOR CO(N)SEC(RAVIT) ET VISITA(N)TIB(US) / AN(N)UAM XXXX DIER(UM) I(N)DULG(ENTIAM) / C(ON)CESSIT XVI K(A)L(ENDAS) IUL(II) 1588.

F. UGHELLI , III, 1647, col. 810; A. CESARETTI , 1784, p. 180; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 307 nota 2; A. ARUS , 1884, pp. 29-30; E. LOMBARDI , 1966, p. 38.

34. Coro legno, cm 114 x 66,5 x 40 1465 (?)

A. ARUS , 1884, pp. 30-31; A. ADEMOLLO , 1894, p. 174; L. PETROCCHI , 1900, p. 54; G. BADII , 1926, p. 54; E. LOMBARDI , 1966, p. 37; A. BATAZZI , scheda OA 0900125702, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 273; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35.

238 35. Goro di Gregorio Arca di San Cerbone travertino, cm 100 x 190 x 68 1324

ANNO D(OMI)NI MCCCXXIIII I(N)DI(C)T(IONE) VII MAGIST(ER) PERUCI(US) OP(ER)ARI(US) EC(C)L(ESIA)E FECIT FI(ERI) H(OC) OPUS MAG(IST)RO GORO GREGORII DE SENIS

F. UGHELLI , III, 1647, col. 784; G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, p. 103; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 146; A. CESARETTI , 1784, pp. 20-23; G. DELLA VALLE , II, 1785, pp. 128-129; F. FONTANI , II, 1802, pp. 63-64; L. CICOGNARA , 1813-1818, III, pp. 297, 411; E. ROMAGNOLI , I, 1835, pp. 320-324; S. GALLI DA MODIGLIANA , I, 1871, pp. 116, 122-123 nota 2; G. MILANESI , 1873, p. 33; G. DI MARZO , 1858-1859, II, pp. 300, 304; A. ARUS , 1884, pp. 28-29; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 172-174; L. PETROCCHI , 1900, pp. 51-53; A. BRACH , 1904, pp. 102-103; L. PETROCCHI , 1904, pp. 642-643; A. VENTURI , IV, 1906, pp. 359-367; L. PLANISCIG , 1915, pp. 193-195; C. WEIGELT , 1921, p. 403; G. VITZTHUM , W. F. VOLBACH , 1924, pp. 151-152; G. BADII , 1926, pp. 53-54; P. MISCIATTELLI , 1929, pp. 225-226; M. SALMI , 1933, p. 126; E. CARLI , 1946; G. A. DELL ’A CQUA , 1947, pp. 29-32; P. TOESCA , 1951, pp. 294-295; J. POPE HENNESSY , 1955, pp. 20-21; M. WUNDRAM , 1958, pp. 260-261; L. GRASSI , 1959, pp. 222, 225, 228; E. LOMBARDI , 1966, pp. 39-40; A. GARZELLI , 1969, pp. 101, 110, 122; E. CARLI , 1976, pp. 39-44; Il Gotico a Siena , 1982, pp. 108, 198, 205; L. BELLOSI , 1984, p. 20; R. BARTALINI , 1985, pp. 23, 27-30; E. LOMBARDI , 1985, p. 281; R. BARTALINI , 1990, pp. 46-47; J. Garms, 1990, pp. 89-90; G. KREYTENBERG , 1991, pp. 128, 130-132; C. DI GIACOMO , 1994, p. 156; C. DI GIACOMO , in Recuperare i tesori della città , 1994, pp. 26, 29; M. PIERINI , 1995; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, pp. 34-35; R. BARTALINI , 1996, pp. 27-28; E. CIONI , 1998, pp. 115, 131, 132, 134, 291, 450, 453, 458-460, 530; G. KREYTENBERG , 1999, pp. 97-99; J. POESCHKE , 2000, pp. 144-145; A. F. MOSKOWITZ , 2001, p. 116; D. NORMAN , 2001, pp. 191-221; R. BARTALINI , in Duccio ..., 2003, p. 498; R. BARTALINI , 2005, pp. 89, 93, 94, 103, 105, 108, 110-112, 114, 140, 141, 145, 146, 151, 153, 234, 276, 278, 284, 289, 312, 322; P. A. ANDREUCCETTI , 2008, pp. 63, 108, 268; S. SPANNOCCHI , 2008, pp. 278-289; Scultura gotica senese ..., 2011, pp. 11, 57, 233-244, 266, 320; M. TOMASI , 2012, p. 60.

239 36. Flaminio del Turco Altare marmo 1623-1626

F. FONTANI , II, 1802, p. 63; A. ARUS , 1884, pp. 27-28; A. ADEMOLLO , 1894, p. 171 (angeli e vasi in stucco apposti nel 1687); L. PETROCCHI , 1900, p. 50; L. PETROCCHI , 1904, pp. 637-643; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; E. LOMBARDI , 1985, p. 273; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34; Scultura gotica senese ..., 2011, p. 244.

37. Ivan Theimer Altare e cattedra episcopale 2007

Sacre materie ..., 2010

38. Pittore del XV secolo San Cerbone e un vescovo affresco 1435

F. UGHELLI , III, 1647, col. 798; I. UGURGIERI AZZOLINI , I, 1649, pp. 147-148; G. A. SANGALLO , 1749, p. 45; G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, pp. 86-87; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 127-128; A. CESARETTI , 1784, pp. 55, 165; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 274-278; L. PETROCCHI , 1900, pp. 54-55; E. LOMBARDI , 1966, p. 50; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00125701, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 273; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35; Sacre materie ..., 2010, p. 37.

240 Navata destra

Prima campata

39. Acquasantiera travertino, cm 176 x 60 inizio del XIV secolo

A. ADEMOLLO , 1894, p. 180; L. PETROCCHI , 1900, p. 60 (XIII secolo, al posto dell’altra); G. SWARZENSKI , 1921, p. 189; G. BADII , 1926, pp. 23, 55; M. SALMI , 1926, p. 60 n. 71; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 141; E. LOMBARDI , 1966, p. 32; J. EISSENGARTHEN , 1975, pp. 46-48; P. GUERRIERI , scheda OA 0900093348, 1976; G. GIOVANNONI , 1987, fig. p. 61; C. BARDELLONI , 2000, p. 52 n. 27; R. BELCARI , 2005, p. 226 nota 77.

40. Pittore del XV secolo San Nicola da Tolentino affresco seconda metà del XV secolo

E. LOMBARDI , 1966, p. 32; E. CARLI , 1976, p. 66; E. LOMBARDI , 1985, p. 271.

241 41. Giroldo da Como Fonte battesimale travertino, cm 100 x 237 x 148 1267

G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, p. 89; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 130; F. FONTANI , II, 1802, p. 64; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 402 nota 1; A. ARUS , 1884, pp. 14-19; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 162-165; L. PETROCCHI , 1900, pp. 40-44; G. DE NICOLA , 1912a, pp. 89-93; G. SWARZENSKI , 1921, p. 189; G. BADII , 1926, p. 51; W. BIEHL , 1926, pp. 87-88; M. SALMI , 1926, p. 60 nota 71; P. TOESCA , II, 1927, p. 786; M. SALMI , 1928, p. 114; C. BRESCHI , 1940; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 157; E. LOMBARDI , 1966, pp. 26-31; E. CARLI , 1976, p. 37; A. IANNELLA , scheda OA 09 00151222, 1981; E. LOMBARDI , 1985, pp. 267-271; V. ASCANI , 1995, pp. 775-776; B. SANTI , in Guida storico-artistica..., 1995, p. 33; C. BARDELLONI , 2000, pp. 21-57; V. ASCANI , 2001, pp. 597-598; A. DUCCI in Monumenta ..., 2011, pp. 117-119, 143, 147.

42. Pagno di Lapo Portigiani e Giovanni Rossellino Tabernacolo marmo 1447

HOC OPUS FECIT FIERI THOMAS PIERI CERBONII / OPERARIUS SANCTI CERBONI MCCCCXLVII / NISI QUIS RENATUS FUERIT EX AQUA ET SPIRITU / SANCTO NON POTEST INTROIRE IN REGNUM COELORUM. ZAHIL / ARON / ZOROBABEL / ISAIAS / SIMEON / IEREMIAS / ABRAM / IOSIAS / DANIEL

G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, p. 89; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 130; F. FONTANI , II, 1802, p. 64; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 402 nota 1; A. ARUS , 1884, p. 19; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 165-166; L. PETROCCHI , 1900, pp. 44-45; C. BRESCHI , 1940; M. LOPES PEGNA , 1962, p. 157; E. LOMBARDI , 1966, p. 32; E. CARLI , 1976, p. 49; A. MARKHAM SCHULZ , 1977, pp. 130, 157-158; A. IANNELLA , scheda OA 09 00151223, 1981; E. LOMBARDI , 1985, p. 271; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, pp. 33-34; L. CABURLOTTO , 1997, 571-573, pp. 9-11, 20-21 nota 32.

242 43. Giovacchino Sorbi, su disegno dell’ingegner Vittorio Castellini; ornato di Pasquale Franci Cancellata ferro battuto 1882

CAN. ARCTURUS ARUS OPER. SACRO FONTE TUTANDO AN. 1882

A. ARUS , 1884, pp. 19-20; A. ADEMOLLO , 1894, p. 166; L. PETROCCHI , 1900, p. 45; R. BELCARI , 2005, pp. 224-225.

Seconda campata

44. Lapide per due potestà di Massa marmo 1563

D. O. M. / PRAETURA MASSAE PETRO EXER/CENTE SAVINO / INVIDET ET SCINDIT STAMINA / PARCA FEROX / ILLIUS HINC NATUS FUNGENS / HOC MUNERE ACHILLES / CONIUGE CUM LAURA PRETOR / ET IPSE PERIT / ASTRA TENE(N)T ANIME PETRUS GEN/ERATUS ACHILLE / PRETOR ET IPSE PIUS CONDIDIT / OSSA SIMUL / MDLXIII.

A. ARUS , 1884, p. 21; A. ADEMOLLO , 1894, p. 167; L. PETROCCHI , 1900, p. 46; E. LOMBARDI , 1966, p. 32.

243 45. Olinto Calastri Busto del vescovo Giuseppe Morteo e iscrizione bronzo 1926

E. LOMBARDI , 1966, p. 32

Terza campata

46. Raffaello Vanni Madonna del Carmine incoronata da due angeli, un santo monaco e i santi Giuseppe, Bernardino e Guglielmo d’Aquitania olio su tela, cm 350 x 215 XVII secolo

A. ARUS , 1884, p. 34, 44; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 170; L. PETROCCHI , 1900, 65-66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; B. SANTI in Mostra di opere ..., 1979, p. 252; B. SANTI in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34; B. SANTI in Grosseto ..., 1999, p. 156; M. CIAMPOLINI , III, 2010, p. 1047.

244 Quinta campata

47. Stemma e Lapide per Evangelista e Francesca Bandini travertino 1419

CLAUDITU(R) HOC MORIE(N)S EVA(N)GELISTA SEPULC(R)O / QUO SIMUL EST (M)ORIENS CONDITA CHECCA SORO(R) / FRUSTA PESTE SENAS VITA(N)T, QUAS PESTE R(E)SOLVIT / MASSA PARE(N)S, PROAVI STIRPE SENIE(N)SES ERANT / THURA QUIB(US) GENITO(R) CO(M)PTA(M) HA(N)C PIUS EDIDIT ARA(M) / PROPITIAM PACIS DET YHUS HIIS REQUEM / NA(M)QUE PUDICA, PIENS, REVERE(N)S, OPE(R)OSAQUE VIRGO / HARUM PERDOCILIS QUEQUE PUELLA FUIT / A(NNO) D(OMINI) MCCCCXVIIII

G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, pp. 119-120; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, p. 166; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 410-411 nota 1; A. ARUS , 1884, p. 21; A. ADEMOLLO , 1894, p. 167; L. PETROCCHI , 1900, p. 46; G. BADII , 1926, p. 159; E. LOMBARDI , 1966, pp. 32-33.

48. Lapide per l’altare gregoriano 1580

ALTARIS HUIUS SACRIFICIUM FUNEBRE A PURGATORII POENIS PIAM ANIMAM SOLVIT GREGORIO XIII. PONTIFICE MAXIMO SIC DONANTE ANNO SALUTIS MDLXXX. PONT. EIUS ANNO VII AD ILLUMI: ET REVERENDIS: D. FRANC: BANDINI PICCOLOMINI ARCHIEPIS: SENENS: INTERCESSIONEM

A. ARUS , 1884, pp. 21-22; A. ADEMOLLO , 1894, p. 167; L. PETROCCHI , 1900, p. 46; E. LOMBARDI , 1966, p. 33.

245 49. Lapide di Tura di Bartolo marmo bianco, cm 220 x 72 1449

S(EPULCRUM) TURE BARTOLI TURE MERCATORIS ET HEREDUM SUORUM

G. TARGIONI TOZZETTI , III, 1751, p. 120; G. TARGIONI TOZZETTI , IV, 1770, pp. 166- 167; A. ARUS , 1884, p. 22; A. ADEMOLLO , 1894, p. 167; L. PETROCCHI , 1900, p. 46; G. BADII , 1926, p. 158; E. LOMBARDI , 1966, p. 33; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00093367, 1976; R. MUNMAN , 1993, pp. 21, 129 cat. 10.

50. Rutilio Manetti Natività della Vergine olio su tela, cm 317 x 217 secondo quarto del XVII secolo

E. ROMAGNOLI , IX, 1835, p. 501; A. ARUS , 1884, pp. 44-45; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 170-171; L. PETROCCHI , 1900, pp. 65-66; C. BRANDI , 1931, p. 187; C. DEL BRAVO , 1966, pp. 46, 50 nota 22; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; E. CARLI , 1976, p. 79; A. BAGNOLI , in Mostra di opere d’arte ..., 1979, pp. 44-45; E. LOMBARDI , 1985, p. 272; B. SANTI in Guida storico-artistica ..., p. 34; B. SANTI in Grosseto ..., p. 99, p. 156; A. BAGNOLI in Nascere a Siena ..., 2005, p. 81; M. CIAMPOLINI in Luce e ombra , 2005, pp. CL, 178; S. COLUCCI , in Nascere a Siena ..., 2005, p. 70; M. CIAMPOLINI , I, 2010, p. 261.

246 Sesta campata

51. Lapide di Alessandro Petrucci cm 62 x 102 1625

D. O. M. / ALEXANDRO PETRUCCIO ANTE MASSA POPULONIA ANTISTITI / NUNC SENEN. ARCHIEPISCOPO AEDE MAXIMA ET EPISCOPALI / DOMO AERE SUO INSTAURATIS ATQUE IN ELEGANTIOREM / FORMAM REDACTIS HORARUM CANONICARUM INSTITUTIONE PIE / INDUCTA AD CANONICORUM COLLEGIUM QUATTUOR EPISCOPALI / REDITU IMMINUTO DUOBUS ITEM DOTE DE SUO ATTRIBUTA ADI/ECTIS ARCHIPRESBYTERI DIGNITATE VIGINTI TOTOS ANNOS / EXULANTE NON SINE MAGNO LABORE AC SUMPTU IN ANTIQUAM / SEDEM QUASI POST LIMINIO RESTITUTA BASILICA DEMUM PRETIO / SISSIMUS SACRARUM RELIQUARUM THECIS EXORNATA MULTISQ(UE) / MUNERIBUS DITATA. / SACER MASSANAE ECCLIESIAE SENATUS TANTORUM BENEFICIORUM / MEMOR POSUIT ANNO SALUTIS FUNDATA MDCXV PR(IDIE) KAL(ENDAS) OCT(OBRIS)

F. UGHELLI , III, 1647, coll. 811-812; A. CESARETTI , 1784, pp. 69, 184; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, pp. 311-312 nota 2; A. ARUS , 1884, pp. 22-23; A. ADEMOLLO, 1894, p. 167; L. PETROCCHI , 1900, pp. 46-47; E. LOMBARDI , 1966, pp. 33-34; P. PAOLINI , scheda OA 09 00093456, 1976.

Settima campata

52. Lapide XIV secolo cm 22 x 36 x 13

+ PIERO DI / NIERI DI GORO / ET (HE)RED(ES)

A. MONCIATTI , scheda OA 09 0093472, 1976

247 53. Lapide XIV secolo

S(EPULCRUM) D(OMI)NE GHERARDESC / HE [...]RIS [.]ANNIS

Ottava campata

54. Lapide di Jacopo D’Elci marmo 1460

OMITI IN / NI IACOBO EX / .IRM / MCCCCLX NOBILI / VIRO ET C / C. / CATUM SEP/TB

A. ARUS , 1884, p. 33; A. ADEMOLLO , 1894, p. 175; L. PETROCCHI , 1900, p. 57; G. BADII , 1926, p. 54; E. LOMBARDI , 1966, p. 38.

55. Iscrizione 1287

(vedi il capitolo 4)

248 Cappella Galliuti

56. Seguace di Ambrogio Lorenzetti Madonna col Bambino frammento di affresco metà del XIV secolo

57. Pittore senese Santa Caterina frammento di affresco seconda metà del XIV secolo

249 58. Pittori senesi Santa Lucia, Santa Margherita (?), Sant’Agata affresco, cm 260 x 214 seconda metà del XIV secolo

A. ARUS , 1884, p. 25; A. ADEMOLLO , 1894, p. 168; L. PETROCCHI , 1900, p. 47; G. BADII , 1926, p. 52; E. LOMBARDI , 1966, p. 34; E. CARLI , 1976, p. 67; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125666, 1976; B. SANTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, pp. 64-66; E. LOMBARDI , 1985, pp. 271-272; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34.

59. Cesare Spighi (su disegno di) Monumento al vescovo Giovanni Battista Borachia bronzo, marmo 1926

E. LOMBARDI , 1966, p. 34; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34.

250 Nona campata

60. Organo legno, cm 700 x 348 XVII secolo

A. BATAZZI , scheda OA 09 00125701, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 273.

61. Iscrizione travertino 1341

+ HOC OP(US) FAC(TU)M E(ST) T(E)MP(O)RE MUCCI/NI GUIDUCCII OP(ER)ARII S(AN)C(T)I CER/BONII A D M CCCXLI

(vedi il capitolo 4)

251 62. Lapide travertino, cm 103 x 103 XV-XVI secolo

QUI DI BASILIO NER LA NOBIL PROLE GIACE / CHE DA CELANO ORIGIN HEBBE ET / IN PIENTIA ET IN MASSA IN ONOR CREBBE / ET HOR CHIUSA LA TIEN PICCOLA MOLE

A. ARUS , 1884, p. 33; A. ADEMOLLO , 1894, pp. 175-176; L. PETROCCHI , 1900, p. 57; G. BADII , 1926, p. 54; E. LOMBARDI , 1966, p. 38; A. IANNELLA , scheda OA 09 00151221, 1981.

Cappella di fondo

63. Bernardino Capitelli (?) Immacolata Concezione olio su tela, cm 264 x 176 prima metà del XVII secolo

G. DELLA VALLE , III, 1786, pp. 346, 353; E. ROMAGNOLI , 1835, VIII, pp. 558-559; IX, p. 154; A. ARUS , 1884, pp. 44-45; A. ADEMOLLO , 1894, p. 170; L. PETROCCHI , 1900, pp. 65-66; H. VOSS , 1920, pp. 319, 323 nota 12; C. BRANDI , 1931, pp. 63-85; A. VENTURI , 1934, p. 1081; G. BIANCHI BANDINELLI , 1943, p. 143; C. DEL BRAVO , 1966, pp. 44, 49 nota 5; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; E. CARLI , 1976, pp. 76-77; P. A. RIEDL , 1976, p. 45 n. 33; A. BAGNOLI , D. CAPRESI GAMBELLI , 1977, p. 84; A. BAGNOLI , 1978, p. 27 fig. 14; E. LOMBARDI , 1985, p. 272; S. E. WEGNER , 1986, p. 33, fig. 24; Restauri 1983-1988 ..., 1988, p. 79; F. VIATTE , 1988, p. 267; A. M. GUIDUCCI , in La pittura in Italia ..., 1989, p. 798; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34; M. CIAMPOLINI , 1996, p. 19; B. SANTI , in Grosseto ..., 1999, p. 157; C. GAROFALO , 2005, p. 356; E. PELLEGRINI , in Una donna vestita di sole ..., 2005, p. 168; M. CIAMPOLINI , I, 2010, p. 71.

252 64. Segna di Bonaventura (?) Crocifisso tempera su tavola, cm 211,2 x 175,5 secondo decennio del XIV secolo

A. ARUS , 1884, pp. 24-25; A. ADEMOLLO , 1894, p. 168; L. PETROCCHI , 1900, p. 47; G. DE NICOLA , 1912b, pp. 31-32; G. BADII , 1926, p. 52; R. VAN MARLE , II, 1934, pp. 122- 124; B. BERENSON , 1932, p. 523; E. CARLI , 1955, p. 54; Arte senese..., 1964, pp. 6-7; E. LOMBARDI , 1966, p. 34; F. ARCANGELI , 1970, p. 9; E. CARLI , 1972, pp. 8-9; E. CARLI , 1976, pp. 51, 54; S. PADOVANI , in Mostra di opere ..., 1979, p. 34; J. H. STUBBLEBINE , I, 1979, pp. 79-80; H. W. VAN OS, 1984, p. 56; E. LOMBARDI , 1985, p. 271; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34.

65. Ilario Casolani Madonna del Rosario, san Pio V e i Misteri del Rosario olio su tela prima metà del XVII secolo

A. ARUS , 1884, pp. 44-45; A. ADEMOLLO , 1894, p. 170; L. PETROCCHI , 1900, p. 66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34; M. CIAMPOLINI , 2010, I, p. 138.

Soccorpo

66. Crocifissione e santi affresco, cm 177 x 230 seconda metà del XV secolo

L. PETROCCHI , 1900, pp. 68-69; G. BADII , 1926, p. 59; E. CARLI , 1946, p. 58 nota 16; E. LOMBARDI , 1966, p. 39; E. CARLI , 1976, p. 66; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00125663, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 281; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36.

253 67. Antonio Rossi San Giuseppe legno XIX secolo

E. LOMBARDI , 1966, p. 36

68. Ilario Casolani San Carlo Borromeo olio su tela XVII secolo

L. PETROCCHI , 1900, pp. 48, 66; E. LOMBARDI , 1966, p. 36; M. CIAMPOLINI , 2010, I, p. 138.

254 Schede delle opere nel Museo d’Arte Sacra provenienti dalla cattedrale

Sala 1

1-10. Scultore lombardo (?) Santo con spada (cm 68 x 26 x 10,5) Vescovo e diacono (cm 68 x 49,5 x 10,5) Apostoli (cm 68 x 69 x 10,5; 68 x 69,5 x 10,5; 68 x 69,8 x 10,5) Maiestas Domini (cm 68 x 69,5 x 10,5) Ascensione di Cristo e Incoronazione della Vergine (cm 68 x 70 x 10,5) L’Elemosina (cm 68 x 69 x 10,5) La Strage degli Innocenti (cm 68 x 69 x 10,5; 68 x 69,5 x 10,5) anidrite primo quarto del XIII secolo

A. ARUS , 1884, p. 41; ADEMOLLO , 1894, pp. 178-179; L. PETROCCHI , 1900, p. 62; G. BADII , 1926, p. 23; W. BIEHL , 1926, p. 63; P. TOESCA , 1927, p. 851 nota 51; M. SALMI , 1928, p. 119 nota 37; H. HASELOFF , 1930, p. 73; G. DE FRANCOVICH , 1935-1936, pp. 268, 302 nota 5; E. CARLI , 1946, p. 16; H. DECKER , 1958, p. 306; E. LOMBARDI , 1966, pp. 5, 10, 24; L. GRONCHI , 1968a, pp. 55-68; L. GRONCHI , 1968b, pp. 33-48; E. CARLI , 1976, pp. 33-35; L. COCHETTI PRATESI , 1979, p. 114; C. CUCINI , 1985, p. 258; E. LOMBARDI , 1985, p. 266; P. MONTORSI , 1988, pp. 87-89, 97 nota 52; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, pp. 32-33; A. MILONE , G. TIGLER , 1999, pp. 173-174; R. BELCARI , 2003, p. 139 n. 78; R. BELCARI , 2005, pp. 225-226; G. TIGLER , 2006, p. 96; G. TIGLER , 2009, p. 833.

255 11. Frammento di capitello travertino, cm 37 x 35 fine del XII secolo

12-13. Giroldo da Como Frammenti di cornice travertino, cm 10 x 41, 10 x 37 seconda metà del XIII secolo

14. Capitello marmo bianco, cm 26 x 31 XIII secolo (?)

256 15. Capitello travertino, cm 21 x 23 XIII secolo (?)

16. Capitello calcare, cm 28 x 26 fine del XIII secolo

17. Mensole travertino, cm 37 x 70 x 23, 22 x 70 x 33, 22 x 70 x 33 fine del XIII secolo

257 Sala 2

18-25. Scultore senese del secondo e terzo decennio del XIV secolo Statuette di santi e profeti marmo, cm 80, 76, 74, 77, 79, 77, 78, 80

G. DELLA VALLE , II, 1785, p. 129; A. ARUS , 1884, p. 29; L. PETROCCHI , 1900, pp. 49- 50; A. VENTURI , IV, 1906, p. 362; L. PLANISCIG , 1915, pp. 193-195; G. BADII , 1926, p. 53; P. MISCIATTELLI , 1929, pp. 225-226; E. CARLI , 1946, pp. 45-54; P. TOESCA , 1951, pp. 294-295 nota 64; L. GRASSI , 1959, pp. 222-228; E. LOMBARDI , 1966, p. 40; A. GARZELLI , 1968, pp. 63-64; A. GARZELLI , 1969, pp. 151-153, 158-159; E. CARLI , 1976, pp. 44-47; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125705-15, 1977; E. CARLI , 1980, p. 24; E. CARLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, p. 198; L. BELLOSI , 1984, pp. 19-22; G. BARDOTTI BIASON , 1985, p. 477; R. BARTALINI , 1985, p. 32; E. LOMBARDI , 1985, pp. 281-282; R. BARTALINI , in Scultura dipinta ..., 1987, p. 38; C. SISI , in Collezione Chigi Saracini ..., 1989, p. 7; R. BARTALINI , 1990, p. 45; E. CARLI , 1990, pp. 32-33; G. DI GIACOMO , 1994, pp. 29-30; M. PIERINI , 1995, pp. 19-21; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36; V. ASCANI , 1999, p. 202; A. GARZELLI , 1999, pp. 548-549; D. NORMAN , 1999, pp. 118-119; J. P OESCHKE , 2000, p. 140; R. BARTALINI , in Duccio ..., 2003, pp. 518-523; S. COLUCCI , in Duccio , 2003, p. 513; R. BARTALINI , 2005, pp. 79, 87, 110, 114, 141; G. T IGLER , 2005, pp. 200-201; G. KREYTENBERG , 2006, p. 24; F. BALDELLI , 2007, p. 47; P. A. ANDREUCCETTI , 2008, pp. 108-109, 269-271; C. BARDELLONI , in La Collezione Salini , II, 2009, p. 76; S. COLUCCI , in La Collezione Salini , II, 2009, p. 165; A. BAGNOLI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 226-229; S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 216-219; Scultura gotica senese ..., 2011, pp. 46-47, 56-57, 98, 244, 320.

258 26-28. Maestro del Sepolcro Malavolti Statuette di santi e profeti marmo della Montagnola senese, cm 76, 78, 76 secondo o terzo decennio del XIII secolo

G. DELLA VALLE , II, 1785, p. 129; A. ARUS , 1884, p. 29; L. PETROCCHI , 1900, pp. 49- 50; A. VENTURI , IV, 1906, p. 362; L. PLANISCIG , 1915, pp. 193-195; G. BADII , 1926, p. 53; P. MISCIATTELLI , 1929, pp. 225-226; E. CARLI , 1946, pp. 45-54; P. TOESCA , 1951, pp. 294-295 nota 64; L. GRASSI , 1959, pp. 222-228; E. LOMBARDI , 1966, p. 40; A. GARZELLI , 1968, pp. 63-64; A. GARZELLI , 1969, pp. 151-153, 158-159; E. CARLI , 1976, pp. 44-47; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125705-15, 1977; E. CARLI , 1980, p. 24; E. CARLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, p. 198; L. BELLOSI , 1984, pp. 19-22; G. BARDOTTI BIASON , 1985, p. 477; R. BARTALINI , 1985, p. 32; E. LOMBARDI , 1985, pp. 281-282; R. BARTALINI , in Scultura dipinta ..., 1987, p. 38; C. SISI , in Collezione Chigi Saracini ..., 1989, p. 7; R. BARTALINI , 1990, p. 45; E. CARLI , 1990, pp. 32-33; G. DI GIACOMO , 1994, pp. 29-30; M. PIERINI , 1995, pp. 19-21; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36; V. ASCANI , 1999, p. 202; A. GARZELLI , 1999, pp. 548-549; D. NORMAN , 1999, pp. 118-119; J. P OESCHKE , 2000, p. 140; R. BARTALINI , in Duccio ..., 2003, pp. 518-523; S. COLUCCI , in Duccio , 2003, p. 513; R. BARTALINI , 2005, pp. 79, 87, 110, 114, 141; G. T IGLER , 2005, pp. 200-201; G. KREYTENBERG , 2006, p. 24; F. BALDELLI, 2007, p. 47; P. A. ANDREUCCETTI , 2008, pp. 108-109, 269-271; C. BARDELLONI , in La Collezione Salini , II, 2009, p. 76; S. COLUCCI , in La Collezione Salini , II, 2009, p. 165; A. BAGNOLI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 226-229; S. COLUCCI , in Marco Romano ..., 2010, pp. 216-219; Scultura gotica senese ..., 2011, pp. 46-47, 56-57, 98, 244, 320.

259 29. Bottega di Giovanni Pisano Sculture dal terzo ordine della facciata travertino inizio del XIV secolo

(vedi capitolo 4)

30. Scultore senese Busto di San Cerbone cm 65 x 42 secondo decennio del XIV secolo

L. PETROCCHI , 1900, p. 65; E. LOMBARDI , 1966, p. 47; A. BATAZZI , scheda OA 09 00125720, 1977; A. BAGNOLI in Marco Romano ..., 2010, pp. 234-239; Scultura gotica senese ..., 2011, p. 320.

260 31. Giovanni Pisano Crocifisso legno inizio del XIV secolo

E. LOMBARDI , 1966, p. 38; E. CARLI , 1976, p. 39; M. SEIDEL , 1977, pp. 3, 11; E. LOMBARDI , 1985, p. 273; M. SEIDEL , in Scultura dipinta... , 1987, pp. 28-29; M. SEIDEL , 1991, pp. 67-77; G. JÁSZAI , 1995, pp. 740-754: 752; B. SANTI , in Guida storico- artistica... , 1995, p. 34; M. SEIDEL , in Sacre Passioni... , 2000, p. 79; A. F. MOSKOWITZ , 2001, pp. 82-83; M. SEIDEL , 2001, p. 75; R. BARTALINI , in Duccio... , 2003, pp. 474-477; S. SPANNOCCHI , 2008, pp. 186-189; S. S PANNOCCHI , in Marco Romano ..., 2010, p. 170.

32. Andrea Pisano, Meo di Tale, Ceo di Colo, Gaddo di Giovanni Reliquiario della Santa Croce lamina d’argento e smalti terzo decennio del XIV secolo

HOC MEUS ET GADDUS CEUS ANDREASQ(UE) MAGISTRI – PISIS FECERUNT ARGENTI AURIQ(UE) MINISTRI

L. PETROCCHI , 1900, pp. 56-57; G. BADII , 1926, p. 57; P. TOESCA , 1951, p. 900; E. LOMBARDI , 1966, p. 48; E. CARLI , 1976, pp. 47-48; A. R. CALDERONI MASETTI , 1978, pp. 1-26; L. DOLCINI , in Mostra di opere d’arte ..., 1981, pp. 38-41; A. MAZZOLAI , 1981, p. 132; B. SANTI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, pp. 109-112; M. RATTI , in Andrea, Nino e Tommaso ..., 1983, pp. 171-172; G. KREYTENBERG , 1984, pp. 42-44; M. SEIDEL , 1991, pp. 72, 76 nota 19; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36; E. CIONI , 1998, pp. 103, 114, 134, 135, 138, 140-142, 144, 145; G. ERICANI , in Restituzioni 1999 ..., 1999, pp. 42-51; R. BARTALINI , 2005, pp. 146, 149.

261 Sala 3

33. Maestro vetrario Vetrata vetro metà del XIV secolo

A. ADEMOLLO , 1894, p. 170; L. PETROCCHI , 1900, p. 65; G. BADII , 1926, p. 57; E. LOMBARDI , 1966, pp. 35-36; E. CARLI , 1976, p. 68; E. LOMBARDI , 1985, p. 272.

34. Frammento con testa barbata travertino cm 44 x 50 x 10,5 fine del XIII – inizio del XIV secolo

35. Base di colonnina marmo XIV secolo

262

36. Orafo fiorentino (?) Fermaglio di piviale metà del XV secolo

L. PETROCCHI , 1900, p. 65; E. LOMBARDI , 1966, p. 47; A. BAGNOLI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, pp. 101-102.

37. Goro di Ser Neroccio di Goro Reliquiario del perizoma di Cristo quarto decennio del XV secolo

GORO DI Ser NEROCCIO

L. PETROCCHI , 1900, p. 57; Mostra dell’antica ..., 1904, p. 130 n. 18; A. VENTURI , VI, 1908, p. 126; L. DAMI , 1915, p. 178; I. MACHETTI , 1929, p. 59; E. CARLI , 1976, p. 48; G. CANTELLI , 1977, p. 68; G. CANTELLI , 1996, pp. 83, 85; G. Cantelli, in L’oro di Siena ..., 1996, p. 134; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36; E. C IONI , in Da Jacopo della Quercia ..., 2010, pp. 472-473.

263 38. Bottega di Tondino di Guercino Reliquiario del dito di San Cerbone argento dorato inizio del quinto decennio del XIV secolo

Mostra dell’antica... , 1904, p. 130 n. 19; E. LOMBARDI , 1966, p. 47; A. R. CALDERONI MASETTI , 1978, pp. 22, 26 nota 43; M. CIATTI , in Mostra di opere d’arte ..., 1983, pp. 43-46; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 36; E. CIONI , 1998, pp. 287, 291, 335, 341, 344, 349, 358, 359; E. C IONI , in Da Jacopo della Quercia ..., 2010, p. 472.

Sala 4

39. Domenico di Niccolò dei Cori Due angeli reggicero legno, cm 93 circa

C. VON FABRICZY , 1909, p. 59; G. DE NICOLA , 1912a, pp. 105-107; C. L. RAGGHIANTI , 1960, p. 75; E. CARLI , 1951, pp. 59-60; C. DEL BRAVO , 1970, pp. 61-62, 64, 66, 68; E. CARLI , 1976, pp. 48-49; A. BAGNOLI , in Il Gotico a Siena ..., 1982, p. 353; E. LOMBARDI , 1985, p. 273; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 34; G. AMATO , 2010, p. 617.

264 40. Maestro della Madonna di Massa Marittima (?) Due donatrici frammento di affresco, cm 61 x 41 inizio del XV secolo

L. PETROCCHI , 1900, p. 46; G. BADII , 1926, p. 52; E. LOMBARDI , 1966, p. 33; P. GUERRIERI , scheda OA 09 00125720, 1977; E. LOMBARDI , 1985, p. 271.

41. Sano di Pietro Presentazione al Tempio frammenti di tavola, cm 143 x 126 settimo-ottavo decennio del XV secolo

A. ARUS , 1884, p. 34; A. ADEMOLLO , 1894, p. 176, 179; L. PETROCCHI , 1900, pp. 47- 48; Mostra dell’antica ..., 1904, p. 314; E. GAILLARD , 1923, pp. 121-122; G. BADII , 1926, p. 52; M. LOPES PEGNA , 1962, p.159; M. G. CIARDI DUPRÉ , 1972, p. 50; E. CARLI , 1976, p. 62; H. W. VAN OS, II, 1990, pp. 122-128; K. BAETJER , 1995, pp. 58-59; B. SANTI , in Guida storico-artistica ..., 1995, p. 35; J. PANDERS , 1997, pp. 58, 60-61; G. FATTORINI , 2010, p. 144.

265 42. Lapide del Vescovo Antonio Casini da Siena marmo, cm 308 x 133 1429

F. UGHELLI , III, 1647, col. 797; I. UGURGIERI AZZOLINI , I, 1649, p. 147; A. CESARETTI , 1784, pp. 55, 161; S. GALLI DA MODIGLIANA , II, 1873, p. 271, nota 2; A. ARUS , 1884, pp. 34-35; A. ADEMOLLO , 1894, p. 176; L. PETROCCHI , 1900, p. 58; G. BADII , 1926, p. 55; E. LOMBARDI , 1966, p. 41; E. LOMBARDI , 1985, p. 282; R. MUNMAN , 1993, pp. 19- 21, 128-129 cat. 9; M. BUTZEK , 1996, p. 53 nota 105; S. COLUCCI , 2003, pp. 82, 299.

Sala 5

43-49. Antifonario 2 (C) Antifonario 5 (D) Graduale 6 Antifonario 8 (F) Antifonario 9 Antifonario 10 (A) Antifonario s.s. seconda metà del XIII secolo – XIV secolo

A. ARUS , 1884, p. 31; L. P ETROCCHI , 1900, p. 66; A. LABRIOLA , 2002, pp. 11-12, 40-42, 45-52, 281-288; G. POMARO , in I manoscritti ..., 2002, pp. 51-53; A. LABRIOLA , 2005, pp. 27-30; A. LABRIOLA in M. BOSKOVITS , A. LABRIOLA , V. PACE , A. TARTUFERI , 2006, p. 184; A. L ABRIOLA , 2008, pp. 196-201.

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• F. UGHELLI , Italia Sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentum , editio secunda aucta et emendata cura et studio N. Coleti, III, Venetiis 1718 • Thomae Dempsteri a Muresk Scoti, Pandectarum in Pisano Lyceo Professoris Ordinarii. De Etruria regali, libri septem. Opus postumum in duas partes divisum. Tomus secundus posteriores quatuor libros comprehendens , a cura di T. Coke, Firenze 1723

• G. GIGLI , Diario sanese in cui si veggono alla giornata tutti gli avvenimenti più ragguardevoli spettanti sì allo spirituale, sì al temporale della città, e stato di Siena; con la notizia di molte nobili famiglie di essa, delle quali è caduto in acconcio il parlarne , I-II, Lucca 1723

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• G. D. MANSI , Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio , I-XXXI, Venetiis 1759-1798

• G. TARGIONI TOZZETTI , Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa. Edizione seconda, con copiose aggiunte , I-XII, Firenze 1768-1779

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• G. DELLA VALLE , Lettere senesi sopra le belle arti , I-III, Roma 1782-1786

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