Università Degli Studi Roma Tre Dipartimento Di Comunicazione E Spettacolo

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Università Degli Studi Roma Tre Dipartimento Di Comunicazione E Spettacolo Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo Scuola Dottorale “Culture e trasformazioni della città e del territorio” Sezione “Il cinema nelle sue interrelazioni con il teatro e le altre arti Titolo della tesi: IN CERCA DI UNA FORMA RICOSTRUZIONI URBANE NEL CINEMA ASIATICO Candidata: Tutor: Dott.ssa Mariagrazia Costantino Prof.ssa Veronica Pravadelli XXIV ciclo – a.a. 2011 - 2012 INDICE: INTRODUZIONE p. 4 CAPITOLO 1: LA CITTÀ-TESTO p. 16 1.1 Il segno urbano p. 16 1.1.1 Il segno e l’identità p. 19 1.1.2 Il mito della città p. 23 1.2 Tian’anmen, l’altrove di Tokyo e le ricostruzioni di Shanghai p. 27 2.1.1 Il segno/mito Tian’anmen p. 27 2.1.2 La città “da un’altra parte”: l’eterotopia di Tokyo p. 32 2.1.3 Ricostruzioni di Shanghai p. 38 1.3 Appropriazioni spaziali p. 47 1.3.1 Il segno e la scrittura: neon e cartelloni p. 47 1.3.2 Spazi metaforici e strategie di resistenza p. 53 CAPITOLO 2: LA CITTÀ-PENSIERO p. 58 2.1 Modelli di rappresentazione ideologica dello spazio urbano p. 59 2.1.1 L’ideologia urbana p. 59 2.1.2 La città ideologica p. 63 2.1.3 Idee di Pechino p. 70 2.2 Tecnoideologia p. 79 2.2.1 L’ideologia ottica p. 79 2.2.2 La mappa come tecnologia p. 86 2.2.3 Il controllo nello spazio-film p. 89 2.3 La città vista da dentro: corpo violato e distopia p. 94 CAPITOLO 3: LA CITTÀ-FORMA p. 102 3.1 Articolazioni dello spazio p. 102 3.1.1 La città in Asia p. 106 3.1.2 Modelli urbani postmoderni p. 109 3.1.3 L’Asiatico urbana e la comunità p. 120 3.2. L’urbanizzazione e l’Utopia p. 132 3.2.1 Povertà e pianificazione dello spazio p. 139 3.2.2 La città-periferia p. 142 3.2.3 Permanenze: lo spazio e il muro p. 148 3.2.4 Spazio e paesaggio p. 150 3.2.5 Panorami mobili p. 157 3.3 La nazione latita, il locale incalza p. 161 Case Study 1: The Sun’s Burial e la “nuova” città delle macerie p. 166 Case study 2: The City of Violence, MTV e l’iperurbano incongruo p. 167 2 CAPITOLO 4: LA CITTÀ-SPIRITO p. 170 4.1 Lo spettro della città p. 170 4.1.1 Allegoria della nazione p. 175 4.1.2 L’orrore, la follia e la variante asiatica p. 178 4.1.3 Quello che rimane della città: il fantasma ipermoderno p. 184 4.2 Walter Benjamin e la città post-coloniale p. 184 4.2.1 Fantasmi di Hong Kong p. 189 4.2.2 Il gotico in Asia p. 193 4.2.3 Gli spiriti del mito si manifestano ai margini p. 196 4.3 Levinas e l’annullamento dell’alterità p. 201 FILMOGRAFIA p. 203 BIBLIOGRAFIA p. 206 3 INTRODUZIONE Questo studio si propone come un’analisi di alcune rilevanti modalità di articolazione dello spazio urbano, all’interno delle maggiori culture filmiche dell’Asia Orientale, durante tutto il Ventesimo secolo e agli inizi del Ventunesimo. Partirò dall’idea che le città, soprattutto quelle asiatiche – così definibili perché situate in una rete di rapporti culturali ed economici che hanno luogo nella stessa macroregione – siano continuamente minacciate dal rischio di sparizione e assenza, dietro le narrative “metropolitane” e i progetti di costruzione di una città perfetta che si sostituisca a quella reale nella percezione e nell’immaginario comuni. Il cinema verrà qui considerato come testimonianza e antidoto a questa sparizione: perché nel primo caso coadiuva il progetto di costruzione di un immaginario urbano ideale, nel secondo lo interrompe, svelandolo, e disvelando la città “vivente”, quasi sempre nascosta, poco illuminata e opaca. Nel rappresentare un progetto parallelo o integrato alla presenza urbana, il cinema sostiene o espone, denunciandoli, i meccanismi di gestione e controllo delle persone, di mobilitazione di capitali e modellamento dello spazio materiale, e nel farlo racconta storie fittizie o reali, che a loro volta si integrano con, o contraddicono la vita della città “in superficie”. I film saranno usati qui come dirigibili che espongono uno slogan visibile a tutti, o come sottomarini, il cui periscopio scandaglia silenzioso gli abissi del mare urbano. Questa tesi, più che una proposta scientifica, è l’esito di esperienze e riflessioni derivate da una personale esplorazione di panorami urbani emergenti, in trasformazione o in crisi, su tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese, dal 2000 a oggi. In questo periodo ho avuto la possibilità di confrontarmi con modelli di città che venivano fatti e disfatti in base a esigenze economiche, a programmi di sviluppo legati alla produzione, e in ultimo al ricavo di utile. Quello che colpisce, in questo quadro attentamente pianificato e rigorosamente controllato, è che le persone sembrano ridotte al ruolo di comparse. Il cinema è per me un progetto compiuto di reinserimento dell’uomo nel paesaggio urbano, e un modo di giustificare questa presenza, riattribuendole la dignità perduta in decenni di meccanica pianificazione. 4 DOV’È LA CITTÀ? La domanda non si presta a trovare una facile risposta, perché lo spazio della città è andato incontro a una progressiva deterritorializzazione, ancora in pieno corso in paesi come la Cina. Questo significa che lo spazio urbano ha abbandonato i suoi abituali confini per invadere tutto quello che non è città – cosa che mette in discussione l’assetto urbano tradizionale o tradizionale inteso, e modifica la percezione stessa della città. In relazione a questa deterritorializzazione, Appadurai parla dell’insorgenza di nuovi modi di percepire il rinnovato spazio fisico e virtuale della modernità, in relazione all’esperienza stessa della modernità e soprattutto all’immaginazione come attività sociale. I vari “panorami” (mediorama, tecnorama, ideorama) di Appadurai,1 formano un inventario che attinge a quello spazio di immaginazione (di andata e ritorno) che è il cinema, e da cui il cinema attinge a sua volta. Avendo contribuito a modellare il nuovo aspetto della (post)modernità urbana, il cinema enfatizza lo snaturamento della città, e al tempo stesso a essa oppone strategie di ricostituzione dello spazio. Ma come avverte Yomi Braester, la città e il cinema sono molto più che manifestazioni complementari della struttura materiale e dell’immaginazione artistica; e sono più che spettacoli paralleli della vita moderna. Piuttosto, entrambi giocano un ruolo attivo nell’imporre il potere governativo, nella formazione di comunità, nell’instaurare norme culturali, e nella lotta per la società civile: la città e il cinema sono le tracce della battaglia in corso sull’immagine delle città.2 Si può dire che anche grazie al cinema, la città sia ovunque e da nessuna parte. Se guardiamo alla percezione comune e diffusa della città,3 della sua variante mitologica di metropoli e della cosiddetta vita urbana, noteremo che questa risente ancora oggi di una categorizzazione che mantiene una forte impronta modernista e riflette ancora l’assetto globale stabilito dagli esiti della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda. È lo stesso assetto ad aver innescato molte delle narrative più diffuse, come il mito del “villaggio globale” e della globalizzazione.4 Quest’ultima si è manifestata nel momento 1 A. Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimension of Globalization, University of Minnesota Press, Minneapolis London, 1996, p. 33. 2 In particolare delle città cinesi, iniziata nel 1949 e culminata nel 2008 con le Olimpiadi di Pechino. Y. Braester, Painting the City Red: Chinese Cinema and the Urban Contract, Duke University Press, Durham, 2010, p. 4. 3 Come schema aggregativo di una comunità divenuta tale, affermatosi dove il flusso di persone, attività e beni ha trovato la collocazione ottimale, ideale per garantire le condizioni della loro sopravvivenza e riproduzione. Cfr. E. Eames, J. Granich Goode, Anthropology of the City: An Introduction to Urban Anthropology, Prentice- Hall, 1977, pp. 13-19. 4 ‘Globalization is conceived as the compression of the world and the intensification of consciousness of the world as a whole, bringing with it the deepening and widening of “worldwide social relations which link distant 5 culminante del capitalismo industriale, e del conseguente dell’imperialismo (e come effetto di questi). Così “globalizzazione” è stata anche la necessità, in un passato più o meno recente, di investire surplus altrove: cosa che ha preparato e disciplinato la forza lavoro di oggi. La città è il luogo e vessillo dell’ecumenica celebrazione di equivalenza, vicinanza, virtuale simultaneità, comunione di progetti e intenti, dove non solo il rito del consumo collettivo viene reiterato, ma dove l’insieme dei valori alla base sono più efficacemente concentrati e promossi. Per valutare in modo più equilibrato le aberrazioni e le ulteriori manipolazioni di un potere che cerca di mascherarsi nella retorica della democratizzazione e del “people empowerment”, si può cercare di risalire indietro nel tempo e chiedersi che cosa fosse la città prima che qualcuno dicesse come doveva essere. Ma bisognerebbe prima di tutto chiedersi quale città, e la città di chi? Il primo modello di città intesa come crocevia di flussi culturali e scambi commerciali si è diffuso in “Oriente”. Città come Samarcanda evocano un passato astratto, quasi mitologico, ma la loro natura di “moderne” metropoli ante litteram è stata semplicemente dimenticata, risucchiata dall’oblio della storia. È sempre estremamente difficile gestire modernità lontane nel tempo oltre che nello spazio, mentre si tende ad attribuire lo status di vera modernità a ciò che è vicino, soprattutto per chi ha il potere di stabilire come articolare il discorso sulla modernità. Il termine stesso, e l’aggettivo corrispondente, sono – come tutte le parole –una pura convenzione, ma ancor più di altre parole fanno riferimento a un’idea più che a una realtà.
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