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Corso di Laurea Asia Meridionale e Occidentale: Lingue Culture e Istituzioni.

Prova finale di Laurea

Resistenza in Rime Le Voci del Rap Palestinese e la Protesta in Musica

Relatore Ch. Prof.ssa Marcella Simoni Correlatore: Ch. Dott. Yaser Odeh

Laureando Sara Manca Matricola 986377

Anno Accademico 2011 / 2012 Indice.

4 ...... ا. Introduzione ...... 8 Capitolo I Introduzione al Rap Palestinese ...... 16 1. Le origini del rap e dell’Hip-hop: dall’America alla Palestina...... 16 2. La nascita dell’Hip-hop palestinese...... 19 2.1. Nascita ed evoluzione dei DAM...... 20 2.2. Riferimenti culturali e musicali...... 23 2.3. L’uso della lingua...... 24 3. Geografia, temi e diffusione dell’ hip-hop palestinese...... 27 4. Tematiche e analisi critica...... 34 4.1. Dai ghetti neri alla Palestina: temi comuni e peculiarità dell’Hip-hop palestinese...... 34 4.2. L’ Hip-hop palestinese: ricezione, identità e autenticità...... 37 Capitolo II Tematiche dell’Hip-Hop Palestinese: un percorso attraverso le canzoni ...... 42 1. I Palestinesi-Israeliani...... 44 1.1. Straniero nel mio paese...... 48 2. Diaspora e Rifugiati...... 61 2.1. Benvenuto nei campi...... 67 2.2. Al- 15/5 ...... 74 2.3. La kefiah è araba...... 79 3. Rappresentazione della violenza: guerra e terrorismo...... 85 3.1. L’operazione Piombo Fuso: “Gaza” e “La mia città”...... 86 3.2. Chi è il terrorista? ...... 97 4. Il rap e la questione femminile...... 103 4.1. La libertà è donna...... 109 Capitolo III Il rap palestinese: strategie di resistenza, conflitto e dialogo ...... 119 1. Il rap come ponte tra palestinesi...... 119 2. Il rap israeliano e gli artisti ebrei-israeliani...... 122 3. L’hip-hop politico: conflitto e dialogo...... 123

2 4. Il rap palestinese e la resistenza non violenta: può la musica essere agente di cambiamento?...... 134 Conclusioni ...... 139 Appendice ...... 144 Trascrizione intervista Yaseen (I-Voice)...... 144 Straniero nel mio paese (DAM)...... 155 Benvenuto nei Campi (Katìbe Khamse)...... 157 Al-Nakba 15/5 (Yaseen – I-Voice)...... 160 La kefiah è araba (Shadia Mansour)...... 161 Gaza ()...... 162 La mia città (Ayman Mghames e Shadia Mansour)...... 164 Chi è il terrorista? (DAM)...... 167 La libertà è donna (DAM e Safaa Hatoot)...... 168 172 ...... رب دي 174 ...... اھ ت 176 ...... ا 15/5 177 ...... ا 179 ...... ة ...... 180 183 ...... ارھ 184 ...... ا أ Bibliografia ...... 188 Sitografia ...... 195

3 ا.

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7 Introduzione.

È celebre la frase di che una volta disse: “Ogni bella poesia è un atto di resistenza” 1. Anni dopo, una nuova generazione di artisti palestinesi sembra aver fatto proprio questa idea, esprimendola in chiave moderna, come canta , leader della band DAM, di cui si parlerà in maniera estesa in questo lavoro: “Dammi un microfono e ti darò una rivoluzione” 2. Poesia e musica sono sempre stati due modi di raccontare la lotta palestinese fin dalla sua nascita, che spesso si sono incrociati, ma raramente sono stati ideati insieme. Poeti come Mahmoud Darwish, Tawfiq Ziad e Samih al-Qasim sono i maggiori autori della poesia palestinese e sono stati portavoce di resistenza attraverso i loro versi, motivando generazioni alla mobilitazione politica e contribuendo a mantenere vivo il ricordo della patria perduta 3. La causa palestinese inoltre, ha sempre avuto una colonna sonora: la musica ha sempre accompagnato le lotte dei palestinesi, dal 1948 fino ad oggi, con l’importante ruolo di mobilitare le masse. Come scrive Joseph Massad infatti la musica prodotta da palestinesi (o a tema palestinese) riflette le varie fasi della lotta, e con essa è cambiata e si è evoluta 4. L’ultimo decennio ha visto nascere, ad opera di numerosi giovani, un nuovo fenomeno musicale che ha acquisito sempre maggiore rilevanza: il rap palestinese. Il rap in contesto palestinese può essere considerato in un certo senso l’erede contemporaneo di entrambe le forme d’arte. La “poesia di strada” che il rap rappresenta, sebbene lontana dal lessico e dallo stile epico di Darwish, ne porta avanti le ambizioni di resistenza, ed allo stesso tempo raccoglie l’eredità della musica di lotta palestinese rimodellandola in chiave moderna. La necessità di un’evoluzione delle forme di espressione poetica era stata espressa a suo tempo dallo stesso Darwish, che non ritrovava nelle forme classiche di poesia un modello atto a esprimere la situazione dei palestinesi dopo il ’48; era dunque necessaria “una forma di espressione rivoluzionaria per la poesia

1 Dove questa espressione sia stata riportata per la prima volta è assai incerto; essa viene riportata in M. Darwish, I. Muhawi, Journal of an Ordinary Grief , Archipelago Books, New York (2010) 2 Da Dam , Ihda (2006). Si è utilizzata questa citazione in quanto significativa di una tradizione letteraria a cui il rap palestinese si collega. 3 Basta ricordare la raccolta Foglie d’Ulivo (1964) di Darwish o celebri inni di resistenza come 'Un ādīkum (1966) di Tawfiq Ziad. 4 Per approfondimenti sulle evoluzioni della musica a tema palestinese dal 1948 si veda: J. Massad, Put to Music , ‹‹Journal of Palestine Studies››, vol.32 (2003)3; pp.21-38 8 rivoluzionaria” 5 che Darwish portò avanti con la sua produzione poetica. Allo stesso modo molti giovani artisti palestinesi – pur ammirando la poesia di autori come Darwish, che è citata spesso all’interno dei brani, come avremo modo di vedere in questo lavoro – sentirono il bisogno di trovare la loro rivoluzionaria forma di espressione: il rap, loro mezzo di elezione, riunisce il potenziale di lotta e di resistenza della musica e della poesia palestinese, innovando entrambe attraverso un linguaggio più libero e “urbano” e delle basi musicali ricche di contaminazioni. Il rap in contesto palestinese ha svolti ed svolge tuttora diverse funzioni, la prima delle quali lo avvicina molto ai suoi antecedenti in musica e poesia: attraverso questo genere artistico infatti gli artisti contribuiscono a rappresentare e ad affermare la loro identità nazionale, portando avanti delle narrative marcatamente palestinesi, sebbene inseriscano la loro lotta all’interno di una prospettiva globale di minoranze oppresse. In secondo luogo questo genere musicale ha la funzione di informare e di generare una consapevolezza su alcune problematiche a diversi livelli, con l’obiettivo di dare vita a delle reazioni individuali e collettive che possono avere un impatto globale o locale, rivelando in questo modo il potenziale di trasformazione che risiede in questo genere musicale, a livello della società di appartenenza o dell’opinione pubblica. Infatti, come vedremo, il rap può essere strumento di opposizione o di dialogo a seconda dei contesti o delle modalità in cui viene adoperato dagli artisti. Questo fenomeno musicale, che ha attirato l’attenzione del pubblico internazionale e del mondo accademico, merita di essere analizzato per il prezioso contributo che esso offre sul piano artistico e perché ci aiuta anche a comprendere le realtà eterogenee in cui vivono oggi i palestinesi. In questo senso lo studio del rap palestinese è uno strumento utile dal punto di vista analitico anche in una prospettiva generazionale: ci offre infatti un’opportunità unica di inserirci nell’universo dei giovani palestinesi e permette di guardare a diverse problematiche sociali e politiche attraverso la loro ottica, fondamentalmente diversa dal mondo della politica e della diplomazia attraverso cui la storia palestinese è stata generalmente studiata. A questi elementi questo lavoro di tesi ne aggiunge altri, offrendo delle chiavi di lettura del fenomeno del rap palestinese che, come vedremo sotto, arricchiscono in maniera sensibile la letteratura esistente: in primo luogo le modalità di rappresentazione degli artisti; in secondo luogo la visione dei

5 R. Shehadeh, Mahmoud Darwish (intervista), ‹‹BOMB›› n.81 (2002); p.57 9 giovani che vi prendono parte – in maniera attiva o come fruitori; in ultimo gli obiettivi di questo genere musicale in ambito palestinese e quali opportunità esso può offrire.

Stato delle conoscenze.

Questo lavoro di tesi prende come punto di partenza gli studi sull’hip-hop di Jeff Chang 6 e Murray Forman 7 – giornalisti e critici dell’hip-hop – che costituiscono degli strumenti importanti per comprendere il fenomeno e le sue origini. A questi si aggiungono una serie di studi sul rap nel mondo arabo e in particolare sul rap palestinese, sul quale si concentra il mio studio. L’hip-hop palestinese ha suscitato l’interesse di diversi studiosi 8 negli ultimi anni, ma la produzione scientifica sull’argomento è ancora relativamente limitata e molti lavori si concentrano sugli aspetti più conosciuti di questo fenomeno – ad esempio le invettive contro il governo israeliano – sulle band più celebri – come i già citati DAM – o su singole questioni o domini relativi all’universo del rap palestinese. Si tratta di lavori validi, ma spesso ristretti in termini di ambiti d’interesse, o limitati da un punto di vista quantitativo e qualitativo rispetto al corpus di fonti analizzate. Il mio lavoro si inserisce nella scia di questi studi con l’intento di approfondire sensibilmente alcuni aspetti e di offrire un quadro d’insieme del rap palestinese, individuando tendenze comuni e aspetti peculiari di alcuni gruppi o contesti. Questa tesi si propone di arricchire questo filone di studi con ulteriori riflessioni e fonti inedite, fornendo un panorama più comprensivo delle band, dei brani, delle tematiche e degli scopi di questo genere in continua evoluzione. In aggiunta alle fonti riguardanti l’hip-hop, mi sono servita di diversi studi storici, politici e sociali utili a definire il quadro in cui si inseriscono i diversi artisti palestinesi e funzionali all’analisi e all’approfondimento delle tematiche emerse dai brani. Data la natura della mia trattazione, l’utilizzo di fonti online (siti degli artisti, video, blog, giornali e magazine) è stato abbastanza esteso, e si è rivelato prezioso per la quantità e la qualità del materiale, non reperibile altrimenti, che mette in luce le diversificate opinioni del pubblico e degli artisti. I documentari sul genere, tra cui il celebre Slingshot Hip-Hop 9,

6 J. Chang, Can’t Stop Won’t Stop: A History of the Hip-Hop Generation , St. Martin Press, New York (2005) 7 M. Forman – M. A. Neal, That’s the Joint!: The Hip-hop Studies Reader , Routledge, New York- London (2004) 8 Vedere in bibliografia: Kahf (2007), LeVine (2008), Lovatt (2009), Maira (2010), McDonald (2010), Puig (2010), Heim (2011), Orr (2011), Van Kalkeren (2010). 9 Jackie Salloum (2009). Il rap palestinese ha suscitato l’interesse di molti registi palestinesi, israeliani e internazionali, e attualmente esiste una discreta produzione sul tema. 10 sono stati anch’essi uno strumento di lavoro molto importante per comprendere la complessa realtà del rap palestinese. Tra i diversi brani disponibili ho effettuato una scelta dei più significativi: ho dunque analizzato un corpus di canzoni seguendo un criterio tematico, cercando di dare spazio ad argomenti e artisti ignorati o trattati superficialmente da altri studi. Il lavoro di ricerca ha comportato il contatto epistolare con diversi artisti a partire dal reperimento dei testi dei brani che, ad eccezione del caso una band, non sono disponibili online. Le traduzioni dall’arabo (dialetto palestinese) da me effettuate, hanno rappresentato il punto di partenza per analizzare diverse problematiche e comprendere la visione degli artisti. Le interviste – realizzate di persona o tramite mail e social network – sono state anch’esse uno strumento prezioso grazie al quale ho avuto modo di sottoporre agli artisti diverse questioni che mi hanno aiutato sia nell’interpretazione dei brani che nella contestualizzazione di alcuni aspetti del rap palestinese.

Organizzazione del lavoro.

Questa tesi è suddivisa in tre capitoli così da rispettare il materiale emerso dalle fonti: il primo rappresenta un’analisi introduttiva al fenomeno del rap palestinese messo in relazione con le sue radici – l’hip-hop statunitense dei ghetti neri di New York e Los Angeles; nel secondo sono partita dall’analisi di alcuni brani per scomporre e approfondire alcune tematiche socio-politiche e per presentare la visione storica di questi artisti attraverso le loro canzoni; nel terzo si discute delle interazioni del rap palestinese e dei suoi obiettivi.

Nel primo capitolo si osserva come gli artisti palestinesi abbiano adottato il paradigma che contrappone oppresso e oppressore – delineato tradizionalmente dall’opposizione razziale tra neri e bianchi 10 – per rappresentare la loro situazione. Questa esemplificazione – la cui adozione è comune a molte minoranze nel mondo – è funzionale alla loro rappresentazione come popolo oppresso e si esplica in particolare in una comparazione tra la situazione dei palestinesi e quella degli afro-americani all’alba delle lotte per i diritti civili. I giovani artisti palestinesi si descrivono spesso come “i neri del medio oriente” e hanno deciso di adottare il genere musicale dell’hip-hop come forma di espressione e di lotta rifacendosi al rap politico nato in contesto afro-

10 Per approfondimenti sul paradigma bianco-nero nelle relazioni interraziali e sui limiti di questa opposizione si veda: J. F. Perea, The Black/White Binary Paradigm of Race: the “Normal Science” of America Racial Thought , ‹‹La Raza Law Journal››, vol.85 (1997)5; pp. 1212-1258 11 americano negli anni ’70. Dopo un excursus sulla nascita del rap nei ghetti del Bronx a New York, si osserva come il genere si divise in due correnti, quella “commerciale” e quella “impegnata”: è a quest’ultima che si rifanno i rapper palestinesi, che riconoscono al rap politico il potenziale di espressione del disagio, della sua amplificazione e trasmissione al pubblico locale ed internazionale 11 . Si vedrà come il contesto di frizioni sociali, politiche ed economiche tra palestinesi ed ebrei all’interno di Israele si sia rivelato il terreno migliore per l’emergere di questo genere: la prima band della storia dell’hip-hop palestinese – I DAM – nasce infatti a Lyd, una città a pochi chilometri da , nel difficile periodo della Seconda Intifada (2000-2004). In brevissimo tempo, sulle orme dei DAM, il rap si diffuse tra i giovani palestinesi in Israele, nei Territori e nella diaspora. I rapper palestinesi sono presentati a grandi linee all’interno del capitolo, inserendoli nel loro contesto sociale e illustrando le particolarità della produzione musicale di ognuno. Nella seconda parte del capitolo la produzione rap palestinese e quella afro-americana sono confrontate dal punto di vita tematico. Dalla comparazione emergono numerose tematiche comuni ai due contesti quali la discriminazione e il razzismo, la povertà e il degrado urbano, la droga e la violenza; si evidenzia però come il rap palestinese possieda delle caratteristiche peculiari che lo differenziano da quello afro-americano, che vengono analizzate per mostrare le tematiche che sono prerogativa degli artisti palestinesi. Si vedrà inoltre come questo genere musicale – esogeno rispetto alla tradizione palestinese – sia stato recepito all’interno della società e come gli artisti abbiano adottato delle particolari strategie per affermare il rap nel proprio contesto di appartenenza, difendendo e affermando la sua identità e autenticità.

Il secondo capitolo rappresenta il cuore della tesi: al suo interno sono analizzate le canzoni tradotte dall’arabo 12 , che sono suddivise in quattro macro aree tematiche. I brani scelti costituiscono un corpus significativo in scala, sia dal punto di vista dei temi affrontati nelle liriche, sia dal punto di vista stilistico e argomentativo. Il capitolo prende in considerazione diverse band o singoli rapper, provenienti da contesti diversi – Israele, Gaza e diaspora – e al suo interno vengono approfonditi i temi comuni ai vari artisti e

11 Questo potenziale è chiaramente espresso da Suheil Nafar, artista palestinese membro della band DAM: “Noi conosciamo gli afro-americani attraverso l’hip-hop, perciò tutto il mondo conoscerà la Palestina attraverso l’hip-hop”. K. Heim, Beats Not Bombs: Hip-hop to Create Peace in the Israeli-Palestinian Conflict , ‹‹Nota Bene: Canadian Undergraduate Journal of Musicology››, vol.4 (2011)2; p.25 12 Otto traduzioni complete sono disponibili in appendice, sono però stati utilizzati estratti di altri brani funzionali ai discorsi affrontati nelle varie sezioni. 12 alcuni temi propri di un determinato gruppo di palestinesi. L’analisi dei brani evidenzia la auto-rappresentazione di determinati gruppi nella composita realtà palestinese, alcune tematiche ricorrenti o dei temi emergenti e significativi di un cambiamento nella società. Nella prima sezione – che riguarda i palestinesi-israeliani – si delinea la complessa identità ibrida di questo gruppo di palestinesi e, prendendo spunto dal brano “Straniero nel mio paese” (DAM) , si analizza la loro visione di alcune problematiche sociali e politiche relative alla situazione dei palestinesi in Israele. La seconda sezione è dedicata all’analisi della diaspora palestinese, che viene suddivisa in diaspora in medio oriente e in occidente; si vedrà come in contesti diversi l’identità palestinese si configuri con modalità differenti. Attraverso l’analisi dei brani “Benvenuto nei campi” (Katìbe Khamse) e “al-Nakba 15/5” (Yaseen) viene affrontata la situazione dei rifugiati e la questione del diritto al ritorno, mentre il brano “La kefiah è araba” (Shadia Mansour) offre degli spunti di riflessione sulla preservazione del patrimonio culturale palestinese. La terza sezione riguarda la rappresentazione della violenza, della guerra e del terrorismo. I brani presentati, “La mia città” (Ayman Mghames e Shadia Mansour) e “Gaza” (Refugees of Rap) riguardano l’operazione “Piombo Fuso” e dimostrano come il rap, definito dai DAM “la CNN palestinese” 13 , rivesta un ruolo di informazione e di denuncia della violenza subita dai palestinesi. I brani analizzati mostrano le modalità di auto-rappresentazione dei palestinesi come vittime dotate di umanità, anche attraverso il crudo racconto di scene di violenza. Nel brano “Chi è il terrorista” (DAM) vediamo come la rappresentazione delle vittime palestinesi è in molti casi funzionale a rovesciare i discorsi israeliani che sarebbero a loro volta tesi a “vittimizzare” gli ebrei-israeliani. La sezione finale riguarda uno degli aspetti più innovativi del rap palestinese: il fenomeno del rap al femminile. In questa parte si presentano le artiste palestinesi, il loro approccio al rap e le tematiche da esse trattate. Partendo dall’esperienza delle artiste si approfondisce la situazione della donna nella società palestinese e le modalità attraverso le quali gli artisti, donne e uomini, tentano di diventare agenti di cambiamento. La canzone “La libertà è donna” (DAM e Safaa Hatoot) tratta diversi aspetti della questione femminile, e rappresenta un esempio di come i giovani e le giovani palestinesi affrontano questa problematica.

13 Affermazione di Tamer Nafar in Slingshot Hip-Hop (2009). 13 Se il secondo capitolo è volto a mostrare il punto di vista palestinese rispetto a una serie diversificata di problematiche, nel terzo capitolo verrà introdotta anche l’ottica israeliana, nelle forme in cui è stata rappresentata attraverso l’hip-hop. Dopo aver esaminato come il rap svolga la funzione di “ponte” tra le varie realtà palestinesi, esso viene preso in considerazione nelle sue interazioni con gli artisti ebrei-israeliani. I maggiori artisti della scena israeliana vengono presentati con le loro differenti visioni politiche, dalle quali emerge la mancanza di un’unità di intenti e di opinione tra gli artisti ebrei-israeliani, che presentano diversi approcci e letture della società. Si vedrà come vi siano tentativi di dialogo attraverso la musica che si sono tradotti in diverse iniziative e come esse siano state interpretate sia da parte palestinese che israeliana. Si è cercato di individuare quali siano gli obiettivi che i diversi artisti cercano di realizzare nei diversi ambiti in cui la musica rap può esercitare un influenza – quello palestinese/arabo, quello israeliano e quello internazionale – come essi siano stati portati avanti e quali potrebbero essere gli sviluppi futuri del genere. Si è analizzato inoltre il rap come forma di resistenza nonviolenta e la sua applicabilità – vera o presunta – in questo senso, allo scopo di verificare se le potenzialità che gli artisti palestinesi attribuiscono a questo mezzo di espressione siano realmente così significative.

Infine in appendice si può trovare l’intervista inedita con Yaseen Kassem – membro della band I-Voice – e le traduzioni complete dei testi delle liriche utilizzate come fonti principali di questo studio.

Nota sulle traslitterazioni. I testi in arabo delle canzoni – nella versione fornita dagli artisti 14 – sono integralmente disponibili in appendice insieme alle loro traduzioni in italiano. All’interno della tesi si è preferito nella maggior parte dei casi non riportare parole o frasi in caratteri arabi, preferendo adottare la traslitterazione semitistica – più snella rispetto all’IPA 15 – sia per le parole in arabo classico che per quelle in dialetto. Per quanto riguarda i nomi delle band o degli artisti si è preferito mantenere la grafia da essi utilizzata, anche quando presenta i tratti caratteristici dell’ “arabo delle chat” 16 .

14 Diversi brani possono presentare grafie differenti della stessa parola per scelte di trascrizione degli autori; ciò avviene perché non esistono delle regole precise per la scrittura delle parole dialettali. 15 International Phonetic Alphabet , sistema di notazione fonetica della International Phonetic Association. 16 Sistema di scrittura nato dalla necessità di scrivere in arabo al computer o al cellulare anche in assenza delle tastiere con lettere arabe. L’arabo delle chat utilizza caratteri latini che vengono associati a numeri 14 che rappresentano alcuni grafemi arabi che non hanno equivalenti nell’alfabeto latino. A differenza dell’arabo classico, nell’arabo delle chat si riportano le vocali. 15 Capitolo I Introduzione al Rap Palestinese.

1. Le origini del rap e dell’Hip-hop: dall’America alla Palestina.

Prima di cominciare è bene operare un distinguo tra i termini hip-hop e rap , che sono utilizzati oggi in maniera intercambiabile 1. La parola hip-hop , spesso utilizzata per indicare la sola musica è un termine che in realtà designa una sottocultura sviluppatasi in ambiente afro-americano e latino-americano che comprende, secondo la suddivisione attuata da 2: MCing, DJing 3, B-boying 4, e Graffitti 5. MCing 6 e sono termini generalmente considerati sinonimi e designano una performance con testi parlati o cantati in rima con una certa cadenza ritmica, con o senza base musicale. Le origini del rap come genere musicale sono abbastanza confuse e le opinioni in merito numerose, sebbene si possano individuare diverse espressioni o prodotti culturali che possano aver dato ispirazione a ciò che al giorno d’oggi conosciamo col nome di rap. Le radici del genere hanno tratto linfa vitale ad esempio dai Lost Poets, gruppo di poeti e musicisti afro-americani provenienti dal movimento “Black Nationalist Movement” che con i loro ritmi e testi impegnati cercavano di favorire la consapevolezza sociale e politica degli afro-americani; Gill Scott-Heron, poeta e musicista jazz e soul negli anni ’70 e ’80 e conosciuto come performer di Spoken Word 7 in quegli stessi anni è un’altra delle fonti di ispirazione, insieme a Pigmeat Markham 8 e Bessie Smith. E ovviamente prima tra le fonti troviamo la tradizione orale, attraverso la quale si tramandavano di generazione in generazione la storia, le leggende, le credenze religiose e le tradizioni dei popoli africani, che ha senza dubbio ispirato questo genere di poesia di strada.

1 Dopo le dovute specificazioni le parole “rap” e “Hip-hop” (in entrambi i casi “musica” è sottointeso) saranno spesso utilizzate con la stesso significato anche all’interno di questa tesi, che prende in considerazione solo in minima parte gli altri aspetti dell’Hip-hop. 2 DJ proveniente dal Bronx e importante esponente della sottocultura Hip-hop fin dagli anni ’80. 3Il DJ (Disk Jockey) è colui che seleziona, e mette musica registrata per un determinato pubblico. Nell’Hip-hop il DJ lavora sulle basi, modificandole, campionandole o mixandole , in modo da ottenere un “tappeto” ritmico che farà da base o beat alla voce. 4 Noto anche come breakdancing , è uno stile di ballo proprio dell’Hip-hop. 5 Scritte o disegni generalmente fatti con vernici spray su muri o altri superfici in uno spazio pubblico. 6 La parola MC significa “Master of Ceremonies” o “Microphone Controller” e può indicare un rapper in generale o essere usato per sottolineare le particolari capacità tecniche del performer. 7 Forma di poesia che utilizza versi e prosa allitterati e occasionalmente versi in metrica per esprimere commenti e cronache sociali. – M. Eleveld, The Spoken Word Revolution , Sourcebook MediaFusion, New York (2003) 8 Il cui stile cantato nel pezzo “Here Comes the Judge” ha sonorità che le inseriscono tra i precursori del rap. 16 L’inizio della storia del rap moderno viene solitamente individuato nel 1979 con l’uscita della canzone “Rapper’s Delight” degli Sugarhill Gang, che avrebbe consolidato la popolarità del genere; in questo pezzo gli MC cantavano sopra una base ricavata da un noto pezzo R’N’B di quegli anni 9. Le prime registrazioni di musica rap erano caratterizzate dal riutilizzo da parte dei DJ di basi della Black Music ma in seguito grazie a pionieri del DJing Hip-hop come DJ Kool Herc 10 , le basi divennero sempre più originali e frutto di un lungo lavoro sulle tracce. Agli inizi il rap rimase strettamente legato alla comunità afro-americana, ai quartieri e alla città che lo vide nascere: New York. Qui si svilupparono numerosi artisti, tra i quali troviamo anche Afrika Bambaataa e DJ Kool Herc. Seguendo l’onda dei fondatori del genere , artisti come i Public Enemy e Brand Nubian, profondamente influenzati da attivisti come Martin Luther King e Malcom X, utilizzarono il rap come strumento di critica sociale e di narrazione della realtà della svantaggiata comunità afro-americana, rivendicando inoltre una storia comune 11 . Come evidenzia Michael Dyson nel suo studio sulla cultura hip-hop, il rap nella sua evoluzione

cominciò a descrivere e ad analizzare i fattori sociali, economici e politici che lo portarono ad emergere e a svilupparsi: la dipendenza dalle droghe, la brutalità della polizia, gravidanze giovanili, e diverse forme di deprivazione materiale 12 .

Il rap offrì agli artisti afro-americani, diventati portavoce delle istanze della loro comunità, una nuova arena, in cui rivendicare i propri diritti e le loro rimostranze, parlando di

razzismo, classismo, abbandono sociale e dolore urbano: il concerto rap, dove gli artisti sono autorizzati a assumere rifiuti rituali del discorso censurato. Il concerto rap crea inoltre uno spazio di resistenza culturale e possibilità di agire […] incoraggiando forme di auto-espressione e di creatività culturale relativamente autonome 13

9 M.E. Dyson, The Culture of Hip-hop , in M. Forman – M. A. Neal, That’s the Joint!: The Hip-hop Studies Reader , Routledge, New York- London (2004) 10 DJ giamaicano-americano vissuto nel Bronx, è considerato uno dei fondatori dell’Hip-hop. 11 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture and rap Music: Cultural Resistance as an Alternative to Armed Struggle , Institute of and Islamic Studies, Exeter University (2009) 12 M.E. Dyson, The Culture of Hip-hop … (2004) 13 M.E. Dyson, The Culture of Hip-hop … (2004) 17 Dal Bronx e New York, che sarà poi considerata la capitale del rap della East Coast , il rap conobbe rapida espansione fino ai ghetti di Los Angeles, in cui si sviluppò la “scuola” rivale della West Coast 14 , e al resto degli Stati Uniti. Con la diffusione del rap in tutto il territorio degli USA, ebbe inizio una nuova tendenza all’interno del genere che vide nascere artisti o band che sceglievano di non parlare di problematiche sociali, ripiegando su temi più populisti e “innocui”; questi artisti ripulivano l’immagine del genere agli occhi dei critici e lo rendevano più gradito al grande pubblico. Si creò dunque una suddivisione tra il rap hardcore , socialmente impegnato, cosciente e intriso di orgoglio nero, e il rap pop , che evitava messaggi sociali e prediligeva tematiche leggere e trasversali in cui bianchi e neri si potevano riconoscere indifferentemente. È così che il rap conobbe la sua consacrazione mainstream , finalmente considerato da radio e televisioni, che però privilegiavano la sua variante pop rispetto alla controparte hardcore , più realistica e politicamente consapevole 15 . Oggi il rap ha consolidato la sua posizione nell’arena musicale ed è diventato uno dei generi musicali più popolari di sempre, non solo negli Stati Uniti. Al di là del filone pop del genere, il rap politico è lungi dall’avere esaurito le sue potenzialità come strumento di critica sociale e di rivolta. Al di fuori dalla comunità afro-americana altre minoranze, la prima delle quali fu quella ispano-americana, iniziarono ad adottare questo genere musicale, facendolo proprio. Secondo Kembrew McLeod – il cui studio si concentra sull’autenticità dell’hip-hop – il rap da la possibilità e la libertà di partecipare al discorso pubblico all’interno sia di una comunità etnica, sia della comunità più ampia all’interno della quale rischiano l’assimilazione o la perdita delle loro specificità culturali 16 . Partendo dalle tecniche di base del rap e aggiungendo sonorità della propria tradizione, diverse minoranze nel mondo continuano a rinnovare il genere e a far sentire la propria voce in rime. È così che dal Bronx e dai suoi ghetti, il rap arriva in Palestina.

14 La rivalità tra West Coast e East Coast, molto accesa negli anni ’90, è emblematica nel conflitto tra e Notorius B.I.G. , entrambi morti assassinati. 15 M.E. Dyson, The Culture of Hip-hop , in M. Forman – M. A. Neal, That’s the Joint!: The Hip-hop Studies Reader , Routledge, New York- London (2004) 16 K. McLeod, Autenticity Within Hip-hop and Other Cultures Threatened with Assimilation , «Journal of Communication» (1999) , n.49, p.136 18 2. La nascita dell’Hip-hop palestinese.

A pochi chilometri da Tel Aviv, ma ben lontana dalla sua vita frenetica e dai suoi scenari da cartolina, sorge Lyd, una delle città miste di Israele che ha giocato un ruolo fondamentale nella sviluppo dell’ Hip-hop palestinese. La città di Lyd, inizialmente destinata a essere inclusa nei territori Palestinesi secondo il piano di spartizione del 1947 17 , fu occupata da Israele durante la guerra del ’48: circa 20,000 palestinesi furono espulsi, e il suo nome fu cambiato in , nome biblico della regione. A seguito dell’occupazione la città fu sottoposta al controllo temporaneo da parte delle IDF (Israeli Defence Forces ) che provvidero alla ghettizzazione dei restanti palestinesi, in ciò che Haim Yacobi – studioso di geopolitica delle città – definisce “panottismo urbano 18 ”, concetto che spiega la relazione tra il controllo spaziale e la sorveglianza allo scopo di sottomettere una determinata comunità. Oggi Lyd è una delle 6 città miste di Israele 19 e tuttora persiste nella sua organizzazione urbanistica e sociale una “chiara divisione spaziale e mentale tra Arabi ed Ebrei 20 ”. Qui, come in altre città miste, l’ordine dei quartieri ebraici si contrappone alla decadenza di quelli arabi 21 . Nonostante i tentativi di risollevare questa piccola città, essa rimane ad oggi una delle più pericolose del Medio Oriente per diffusione della criminalità comune e dello spaccio di droga. Lo stato di abbandono urbano è evidente nei quartieri in cui vive la minoranza araba, che costituisce circa il 20% della popolazione della città 22 . Tra costruzioni disordinate, edifici fatiscenti e resti di demolizioni, si possono vedere bambini che giocano e spacciatori a pochi metri di distanza gli uni dagli altri.

È in questo quadro di degrado urbano che nasce Tamer Nafar, il primo artista hip-hop palestinese 23 . Cresce in una città che si definisce “mista”, ma discrimina gli abitanti autoctoni, oltre che nella loro identità, nei loro bisogni. Nel documentario Slingshot

17 Risoluzione 181, 29/11/1947, Assemblea Generale delle Nazioni Unite 18 H. Yacobi, “ Planning, Control and Spatial Protest: the Case of the Jewish-Arab Town of Lydd/Lod”, in D. Monterescu, D. Rabinowitz, Mixed Towns, Trapped Communities , Ashgate Publishing, Farnham (2007); pp.135-156 19 Le restanti sono Akka, Haifa, Jaffa, Nazareth e Ramleh. 20 H. Yacobi, Planning, Control and Spatial Protest… (2007) 21 Per un’analisi distribuzione degli spazi e la “resistenza” negli spazi urbani della città di Lyd vedere H. Yacobi, In Between Surveillance and Spatial Protest: The Production of Space of the ‘Mixed City’ of Lod , ‹‹Surveillance and Society›› 2.1 (2004): 55- 77 22 I Palestinesi musulmani e cristiani (Jerusalem Central Bureau of Statistics, 2001) 23 Su artisti precedenti nel mondo arabo vedere B. Abbas, An Analysis of Arabic Hip-hop , SAE Institute (2005) - http://profheitnerracemediaculture.files.wordpress.com/2009/08/arabic-hip-hop-see-palestinian- chapter.pdf (ultimo accesso 11/07/2012) 19 Hip-Hop , girato dalla regista Jackie Salloum, Tamer racconta la situazione dei quartieri di Lyd abitati da palestinesi:

Non c’è illuminazione, non c’è la posta, non ci sono nemmeno i numeri civici! La gente sta anche dieci giorni senz’ acqua e a volte non c’è neanche elettricità. La gente non ha nemmeno le cose basilari per vivere, è come stare in un campo di rifugiati dentro Israele. 24

Tamer inizialmente non esprimeva questi disagi in maniera diretta: l’analisi politica non faceva ancora parte della sua produzione musicale. Le sue prime canzoni infatti, si concentravano sulla vita a Lyd e sulla critica alla criminalità e allo spaccio nel quartiere, senza però risalire all’origine di queste dinamiche dal punto di vista politico. Nel documentario Channels of Rage , del regista israeliano Anat Halachmi, Tamer racconta l’ispirazione che la vita nel suo quartiere ha dato alla sua musica:

Sono nato in mezzo al crimine: spaccio di droga, omicidi, accoltellamenti, furti d’auto… 25

Non eravamo veramente politici al tempo, ma dentro di noi sapevamo che i problemi di droga qui a Lyd erano legati alla politica. Ma non ne parlavamo veramente perché qui si sa, se parli di politica sei finito. 26

Per passare dalle semplici cronache delle quotidiane miserie della vita dei palestinesi- israeliani a un’analisi politica più profonda dei retroscena di questi fenomeni bisognerà aspettare. “Mi ci è voluto del tempo per crescere. Sapevo che il crimine qui era legato alla discriminazione economica ed educativa, ma non sapevo ancora come parlarne 27 ”: la piena consapevolezza politica, come la maturità artistica arriveranno dopo lo scoppio della seconda Intifada.

2.1. Nascita ed evoluzione dei DAM. Agli inizi della sua carriera musicale Tamer sperimenta la scrittura in lingua inglese, accompagnato dal fratello minore Suheil Nafar, ma collabora anche con artisti della scena israeliana, già più maturi dal punto di vista musicale. Il più importante di questi è senza dubbio Kobi Shimoni, noto col nome d’arte di . Nel documentario

24 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 25 A. Halachmi, Channels of Rage (2003) 26 Intervista a Tamer in: J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 27 Intifada , intervista disponibile sul sito ufficiale della band http://www.damrap.com/interviews.html (ultimo accesso 12/07/2012) 20 Channels of Rage , che ritrae parte della scena rap israeliana, si racconta il rapporto tra Tamer e Kobi. Agli inizi della loro carriera Tamer e Suheil si appoggiarono a Subliminal, che godeva della stima dei due giovani palestinesi: (Nei suoi primi pezzi n.d.a.) “Kobi è stato professionale, aveva esperienza […] è un buon maestro 28 ” Subliminal, che iniziava ad affermarsi nella scena israeliana 29 , è dunque un modello per flow 30 e competenza artistica, e adopera l’ebraico per la composizione dei suoi testi. È lui a portare Tamer sul palco in alcuni spettacoli dal vivo alla fine degli anni ‘90, in un momento in cui la collaborazione tra arabi ed ebrei sul piano musicale sembrava non solo una cosa possibile, ma anche una valida strada per appianare le divergenze dal punto di vista sociale 31 . In una scena del documentario, uno dei membri della crew di Subliminal afferma: “Solo in Israele rapper russi, etiopi, arabi e persiani possono stare sullo stesso palco! Filma la coesistenza!” - “Solo l’Hip-hop porterà la pace! 32 ” dice Tamer, rivolgendosi al pubblico durante un live con Subliminal. Le tensioni politico- sociali tra la componente ebraica e quella palestinese in quel periodo erano relativamente contenute; questi giovani portavano avanti il sogno di appianare le divergenze tra i popoli a suon di rime. In seguito, i fratelli Nafar e Subliminal prenderanno strade diverse, in coincidenza con gli avvenimenti politici che allargheranno la frattura tra la componente ebraica e quella palestinese. La delusione per il fallimento degli accordi di Oslo (1993), che raggiunse il culmine dopo il summit di Camp David (estate 2000), esasperò le tensioni interne al paese. Era il settembre del 2000 quando Ariel Sharon, leader del Likud, fece la sua controversa “passeggiata” nella spianata delle moschee a Gerusalemme, accompagnato da una delegazione del partito e da una scorta armata. Questo episodio fu percepito da parte palestinese come una rivendicazione della sovranità ebraica sul luogo 33 e fu l’episodio scatenante che portò allo scoppio della Seconda Intifada, iniziata in forma di disobbedienza civile e presto degenerata in violenza generalizzata.

28 H. Halachmi, Channels of Rage (2003) 29 Tra i suoi pezzi più celebri: “La Luce e l’Ombra” http://www.youtube.com/watch?v=Vbq8kScxQWY , “Il Mio Paese” http://www.youtube.com/watch?v=26CeXRrfNdU&feature=related (nel video è presente una traduzione in inglese), “Amata Terra” http://www.youtube.com/watch?v=-g- XW1pIFeg&feature=related 30 Sequenza di rime che si basa sulla prosodia, sulla cadenza ritmica e sul tempo di scansione. 31 La collaborazione tra artisti ebrei e palestinesi verrà analizzata più approfonditamente nel terzo capitolo. 32 H. Halachmi, Channels of Rage (2003) 33 La spianata delle moschee, in cui si trova la Moschea della Roccia, è anche il Monte del Tempio per gli ebrei e riveste un enorme importanza per entrambe le religioni. 21 Essendo il clima politico un fattore essenziale nella coesistenza, gli eventi non potevano non incidere sulla società israeliana, riflettendosi dunque anche sul microcosmo musicale. Subliminal solleticò sempre più i simpatizzanti della destra israeliana con i suoi testi, diventando un simbolo e un riferimento per i giovani sionisti, anche i non appassionati di rap, che conoscevano Subliminal dalle ripetute trasmissioni dei suoi pezzi sulla radio dell’esercito israeliano, Galgalatz . L’ideologia e le narrative sottese alla sua musica sono evidenti dai titoli delle canzoni composte in quel periodo: “La Mia Terra” , “Siamo arrivati per espellere l’oscurità” , “Dividi e Conquista” . Incitando il pubblico durante i concerti Subliminal gridava: “Chiunque sia fiero di essere un sionista nello stato di Israele alzi le mani!” scatenando l’entusiasmo generale dei suoi fan 34 . Dall’altro lato, l’esacerbarsi degli avvenimenti fu la spinta che portò Tamer e Suheil a rendere il loro rap più politico. Con l’aggiunta di Mahmoud Jreri, amico e vicino dei due fratelli, nacquero in questo periodo i DAM (acronimo di “Da Arabian Mc’s” 35 ). Come vedremo nel secondo capitolo a loro più celebre canzone, Min Irhabi (Chi è il terrorista), nacque sull’onda della rabbia e dello sdegno agli inizi della Seconda Intifada. Da allora in poi le tematiche delle loro canzoni diventarono, con alcune rare eccezioni, squisitamente politiche e di carattere decisamente “palestinese”. Le motivazioni del gruppo si possono riassumere con le loro stesse parole:

[…] abbiamo semplicemente aperto la finestra e visto la realtà. Ha motivato la nostra rabbia e ci ha portato a prendere il microfono e a scrivere queste canzoni. Queste sono dedicate a tutti coloro che non hanno ancora trovato la loro finestra – la loro via d’uscita da prigioni politiche, da restrizioni sociali, dalle menzogne della storia riscritta – la finestra che mostra la via d’uscita dai campi dei rifugiati verso la patria.”

La crescente popolarità dei DAM li portò all’attenzione dell’etichetta discografica inglese Red Circle Music 36 , con la quale pubblicarono il loro primo album, Ihda

34 D. Lynskey, Two Sworn Enemies and a Microphone , (2006), http://www.guiltandpleasure.com/index.php?site=rebootgp&page=gp_article&id=10 (ultimo accesso 25/05/2012) 35 La parola DAM significa “eterno” in arabo e “sangue” in arabo e in ebraico. Il nome significherebbe dunque “sangue eterno”. ( Democracy Now , intervista a Tamer Nafar, 16/05/2008) 36 È significativo il fatto che la band si sia dovuta rivolgere a un’etichetta straniera. I contenuti dell’album lo rendevano difficilmente pubblicabile da parte di un’etichetta israeliana, e le etichette arabe li rifiutarono in quanto (secondo l’opinione della band) cittadini di Israele, dunque “non abbastanza arabi”; è da notare però che il mercato discografico arabo predilige il genere pop o la musica tradizionale e solo di recente l’hip-hop ha attirato l’attenzione dei discografici. 22 (Dedica). L’album, un vero e proprio successo 37 , li portò a esibirsi in tour per l’Europa e il Nord America, permettendo ai DAM di diventare i portavoce musicali della causa palestinese e di trasmettere le loro pungenti critiche alle politiche israeliane anche al pubblico internazionale 38 .

2.2. Riferimenti culturali e musicali. La musica dei DAM nasce da diverse influenze, come spiegato da Tamer Nafar; “I DAM sono 30% musica 30% letteratura e 40% strada 39 ”. Tra le influenze più importanti dal punto di vista musicale, Tamer cita soprattutto artisti degli anni ’80-’90; Tupac, Fugees, Snoop Dogg, Notorius B.I.G., il gangsta rap in generale, Wu Tang e molti altri, tra cui i Public Enemy, il cui album “Fear of a Black Planet” colpì molto i giovani palestinesi: “questo titolo è grande, spiega come l’uomo bianco sta cercando di fermare la crescita della popolazione nera; in questo paese invece c’è la paura di una nazione araba 40 ”. Senza dubbio però Tupac Shakur è il musicista Hip-hop più importante per i DAM e i rapper palestinesi in generale. La sua musica, che mescola sapientemente rap politico e gangsta-rap, è sicuramente un modello per questa band i cui membri sono cresciuti in quartieri afflitti dalle stesse problematiche cantate da Tupac: droga, criminalità, scuole sotto-finanziate e ambizioni dettate da una società consumistica fuori portata della maggior parte della comunità 41 . Tamer racconta:

Ho sentito Tupac per la prima volta intorno al ’95 o ’96, poi ho letto un articolo sull’Hip-hop. Le sparatorie, la polizia… - Ho immaginato che fossero i miei amici, il posto dove vivevo. Mi identificavo con quelle cose 42 .

Gli spunti di riflessione e di parallelismo tra la situazione degli afro-americani e quella vissuta quotidianamente dai membri della band sono numerose:

37 Sebbene non quantificabile in numero di copie vendute a causa della pirateria largamente diffusa nel mondo arabo e la facilità di reperimento dell’album da scaricare in internet. 38 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture… (2009) 39 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 40 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 41 M. LeVine, Heavy Metal : Rock, Resistance and the Struggle for the Soul of Islam , Three Rivers Press, New York (2008) 42 Intifada , intervista disponibile sul sito ufficiale della band http://www.damrap.com/interviews.html (ultimo accesso 12/07/2012) 23 Quando Tupac diceva ‘è un mondo per uomini bianchi’ parlava a me, perché vivo da arabo in un mondo di ebrei. […] Tupac ha detto: ‘è l’uomo bianco quello di cui dovrei aver paura, ma è la mia gente che uccide qui43 ’. Io vedo lo stesso a Lyd 44 .

Tra le influenze letterarie troviamo invece una buona dose di autori palestinesi e arabi tra cui: Mahmoud Darwish, il più celebre poeta palestinese, più volte citato anche all’interno delle loro canzoni, Edward Said, scrittore e critico di indubbia importanza nella cultura palestinese, Naji al-Ali, fumettista e creatore del personaggio di Handala, Nizar Qabbani, Ahlam Mosteghanmi, Nawal al-Sadawi… Tra gli occidentali troviamo Malcom X e diversi rapper-scrittori come dei Public Enemy e Tupac, autore di raccolte di poesie 45 .

Vedremo in seguito nell’analisi di alcune canzoni come alcune di queste influenze si riflettano in concreto sui testi e sui riferimenti da essi suggeriti.

2.3. L’uso della lingua. Gli inizi della carriera di Tamer furono contraddistinti dall’uso dell’inglese, lingua in cui nacque il rap e che pareva l’unica plausibile al giovane Nafar. Dalla collaborazione con Subliminal nacquero poi le prime strofe in ebraico, in conformità con l’ondata nascente di rap israeliano 46 . Risalgono a questo periodo i primi tentativi di scrittura in arabo, che tuttavia vennero accolti tiepidamente, quando non in maniera negativa, dal pubblico dei club di Tel Aviv, che nella quasi totalità dei casi, non capisce l’arabo. Parlando dell’uso dell’arabo con il regista Halachmi, Tamer spiega le motivazioni della sua scelta:

– Il rap in arabo è qualcosa di nuovo, giusto? – Si, è nuovo – Hai fatto rap in ebraico e in inglese, che cosa ti ha portato all’arabo? – Sono stanco che i miei amici quando ascoltano le mie canzoni si fermino solo alla bella musica. Così in arabo ascoltano e capiscono il significato delle parole 47

43 Tupac, Only God Can Judge Me , in All Eyez On Me (1996) 44 H. Vens, Hip-hop Speaks to the Reality of , in World Press Review (2004), vol. 51 n. 1 http://www.worldpress.org/Europe/1751.cfm (ultimo accesso 09/07/2012) 45 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 46 Il rap prodotto da ebrei-israeliani sarà trattato all’interno del terzo capitolo. 47 Dialogo tra Tamer e il regista H. Halachmi, Channels of Rage (2003) 24 L’uso della lingua dunque, corrisponde anche a una scelta di pubblico, ma se all’inizio l’obiettivo di Tamer era farsi conoscere nei club di Tel Aviv, in seguito diventa pressante la necessità di parlare alla sua comunità di appartenenza, come spiega:

Quando canto in ebraico per il pubblico israeliano e dico che siamo Arabi e che ci hanno fatto delle cose, loro fanno ‘com’è carino!’ tutti quegli yuppie. Ma qui (in mezzo ai palestinesi n.d.t.) si sentono come me, tutta la questione dell’essere arabi 48

L’ebraico continua comunque a essere utilizzato dalla band per veicolare i loro messaggi al pubblico israeliano non arabofono:

Uso l’ebraico quando voglio dire agli ebrei ‘smettetela di ingannarci’ in quel caso non sto lì a pregarli di rispettare i miei diritti, ma dico loro in faccia e nella loro lingua che i miei diritti sono pronto a prendermeli. Spesso loro non sanno niente della mia condizione […] così quello che tento di fare è mostrare com’è davvero la storia e come stanno davvero le cose che non conoscono 49

Sebbene non escludessero il pubblico israeliano dalle file dei loro destinatari, superata la fase iniziale, i DAM concentrarono la maggior parte della loro produzione artistica in lingua araba, introducendo l’hip-hop nella loro comunità e permettendogli di raggiungere anche un pubblico adulto, tendenzialmente diffidente nei confronti di generi musicale esogeni. L’uso dell’arabo da parte della band nel contesto di Israele, in cui la maggioranza della popolazione parla ebraico, può essere visto come una riaffermazione dell’identità palestinese nei confronti dello stato 50 . La variante di arabo usata nei brani della band è nella quasi totalità dei casi il dialetto palestinese urbano 51 , con un largo utilizzo di termini gergali o di slang 52 , che li rende identificabili come gioventù urbana palestinese e contribuisce ad asserire la loro autenticità a livello locale.

48 Channels of Rage, H. Halachmi (2003) 49 S. Bettini, DAM: Intifada Lirica , ‹‹Basement››, n.6, novembre/dicembre (2006) – Intervista disponibile su http://www.damrap.com/interviews.html (ultimo accesso 12/07/2012) 50 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture… (2009) 51 Fanno eccezione ad esempio alcuni versi in cui citano delle poesie, che vengono mantenuti in arabo classico/standard. 52 Ad esempio la parola “warde” (che in arabo standard significa “fiore”/ ”rosa”) viene utilizzata con l’accezione di “fratello”. 25 La versatilità, non solo dal punto di vista linguistico, diventa una caratteristica fondamentale del gruppo, che adopera con abilità diversi registri, lingue, dialetti, forme musicali e contenuti a seconda del contesto.

26 3. Geografia, temi e diffusione dell’ hip-hop palestinese.

Questa sezione riguarda l’hip-hop palestinese nei suoi vari contesti di sviluppo e diffusione (Israele, i Territori e la diaspora) e fornisce alcune informazioni e dati sui vari artisti 53 , cercando di individuare le principali tematiche da loro trattate. I temi portanti del rap palestinese saranno analizzati nel paragrafo successivo.

Fu l’esordio dirompente dei DAM a portare l’hip-hop nelle case della gioventù palestinese. Dall’ascolto all’emulazione, il passo fu veramente breve, e le città miste ancora una volta si dimostrarono l’ambiente più adatto a far attecchire questo nuovo genere. I primi passi dell’Hip-hop palestinese dunque si compirono dentro la linea verde 54 . La stessa Lyd e la vicina città di Ramleh videro l’entrata in scena di numerosi artisti della neonata scena Hip-hop palestinese a partire dai primi anni duemila. A Ramleh il giovane Sameh Zakut, cugino di Tamer Nafar noto col nome d’arte di SAZ 55 , decise di intraprendere la strada della musica come via d’uscita dalla spirale di violenza in cui gravitava la sua vita che, secondo le sue stesse parole, l’avrebbe portato alla morte, o per mano delle forze di sicurezza israeliane, o per qualche faida tra bande 56 . “Se non avessi avuto la musica sarei probabilmente in strada a vendere droga e a farmi sparare 57 ”. I suoi testi trattano vari argomenti: dalla critica della criminalità diffusa nella sua città al diritto dei palestinesi a un’identità nazionale e alla sua preservazione. Sebbene fosse attivo nella scena palestinese fin dai suoi inizi, ospite dei DAM in numerosi featuring e autore di un album in ebraico 58 SAZ ha raggiunto la fama a livello internazionale nel 2006, grazie alla realizzazione del documentario “Saz: the Palestinian rapper for Change” del regista Gil Karni. La città di Lyd vide nascere diversi artisti della scena Hip-hop. Nel 2001 si formarono i WE7, abbreviazione dell’arabo “Wlad el 7ara” 59 , ovvero i Ragazzi del Vicolo. La loro musica è una mescolanza di beat 60 occidentali e sonorità orientali, e i loro testi spaziano dalla saggezza della strada alle problematiche della minoranza palestinese all’interno

53 Che saranno poi approfondite nel secondo capitolo in cui analizzerò e contestualizzerò alcuni brani. 54 La linea dell’armistizio fissata nel 1949. L’espressione si utilizza per indicare i confini dello stato di Israele. 55 Nome di uno strumento tradizionale palestinese simile al liuto. 56 Intervista di Hugh Lovatt in Palestinian Hip-hop Culture… (2009) 57 Biografia su: http://www.myspace.com/alsaz (ultimo accesso 25/05/2012) 58 Mishmakh Inoshi (Human Document) . ح“ “ Il numero 7 è utilizzato nel cosidetto “arabo delle chat” per indicare la lettera 59 60 Base ritmica di un brano Hip-hop. 27 dello stato di Israele. Sono apparsi anch’essi all’interno del documentario Slinghshot Hip-hop di Jackie Salloum. 61 L’hip-hop iniziò a diffondersi anche in ambito femminile, come vedremo nel prossimo capitolo, e oltre ai temi socio-politici comuni a gran parte delle band palestinesi, si aggiunsero alla produzione rap locale anche testi che trattano il ruolo della donna nella società. Fu Lyd a dare i natali ad Abeer al-Zinati, voce femminile del R’N’B 62 e dell’Hip-hop palestinese, che vanta diverse collaborazioni con gli stessi WE7 e i DAM. Abeer, nota col nome d’arte Sabreena Da Witch, iniziò la sua attività artistica, con diverse difficoltà nel 2004, ma è tre anni dopo che raggiunse la fama, dopo essere apparsa nel celebre video di “Born Here” dei DAM, canzone nella quale canta il ritornello 63 . Per Abeer “La sfida di essere una donna palestinese che vive all’interno di Israele l’ha portata a esprimersi attraverso l’arte” 64 . Non è solo la critica nei confronti di Israele a muovere la sua espressione artistica dunque, ma anche il desiderio di affermare la sua identità femminile e la sua indipendenza dal controllo operato dalla società patriarcale araba. Condividono queste motivazioni il duo femminile ARAPIAT 65 , proveniente da un’altra città mista, Akka (San Giovanni d’Acri). Il gruppo, attraverso le sue canzoni, cerca di mostrare “cosa significa essere araba e donna nel 21esimo secolo” 66 . Il gruppo ha collaborato con diversi artisti della scena palestinese e Safaa Hathoot, una delle due componenti, ha prodotto una canzone con i DAM, “al-Hurriyya Untha” (La libertà è femminile) 67 , in cui tratta alcune problematiche femminili nella società araba in relazione all’atteggiamento degli uomini. All’interno del territorio israeliano nacquero numerose altre band tra cui: MWR ad Akka. SOP (Scream of Peace) a Muawiya, Abna’ al-Ghadib (Figli della Rabbia) a Qalansuwa, Ta‘m al-Alam (il Sapore del Dolore) a Tira e Jaish al-Aswad (Armata Nera) a Sakhnin. La scelta dei nomi è indubbiamente molto significativa e indicativa della percezione di molti palestinesi-israeliani riguardo alla loro situazione 68 .

61 Biografia su http://www.we7ug.com/home.html (ultimo accesso 26/05/2012) 62 Rithm ‘n Blues, genere musicale nato in ambiente afro-americano. 63 La canzone nasce in risposta a un pezzo di Subliminal “Biladi ve-Ardi” (Il mio Paese, la mia Terra). 64 http://www.myspace.com/sdawitch. (Ultimo accesso 25/05/2012) 65 Gioco di parole. In arabo “arabiyat” significa “le arabe”: sostituendo la “b” con una “p” si inserisce la parola “rap” all’interno del nome, che suonerebbe come “le arabe del rap”. 66 http://www.myspace.com/arapiat (Ultimo accesso 26/05/2012) 67 DAM, Ihda (2006) 68 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture… (2009) 28 Come sostiene Sunaina Maira nel suo studio sull’hip-hop palestinese, il “rap palestinese re-immagina la geografia della nazione, collegando le esperienze dei ‘palestinesi del 48’ a quelle nei ‘Territori Occupati’ e nella Diaspora 69 ”. Era dunque inevitabile che dagli esordi all’interno dei confini israeliani il rap si diffondesse anche all’interno della , in cui nacquero diversi gruppi. I G-Town (Ghetto-Town) gruppo proveniente dal campo di Shu ʽfat, vicino a Gerusalemme Est, esprimono con la loro musica la loro frustrazione per la vita da rifugiati. In questo campo, come in molti altri e in generale in molte città palestinesi, la disoccupazione e l’abuso di droga sono tra le maggiori piaghe sociali. A rendere la situazione ancora più critica è la presenza del muro di separazione, la cui costruzione, iniziata nel 2002, ha coinvolto anche la zona circostante il campo di Shu ʽfat. Molte delle loro canzoni dunque riflettono la loro condizioni di rifugiati di Gerusalemme . La città di Gerusalemme è vista da molti palestinesi come uno dei simboli più importanti della loro lotta contro l’occupazione israeliana. “Al-Quds, non Yerushaleim 70 ! […] Vivevamo in pace fino a che non è arrivata l’occupazione. Non siamo terroristi, siamo il popolo della libertà. Qui risiede l’Islam e i nostri fratelli Cristiani” dicono i G-Town in una delle loro canzoni, “al-Quds Lana” (Gerusalemme è nostra), riaffermando l’identità palestinese della città, “che non sarà (mai) degli ebrei” 71 nonostante l’annessione operata dal governo israeliano nel 1967. Sebbene la città di Ramallah abbia una situazione sociale meno critica di quella riscontrabile nei campi di rifugiati, non mancano delle problematiche rilevanti quali la disoccupazione, le incursioni israeliane o le faide intra-palestinesi. Il complesso scenario della città ha prodotto in musica uno dei più interessanti e dinamici gruppi della scena Hip-hop palestinese: i Ramallah Underground. Questo collettivo combina sapientemente elettronica araba, hip-hop e trip-hop. Uno degli scopi del gruppo è cercare di “ringiovanire” la musica araba contemporanea, rispondendo al “bisogno di dare voce a una generazione di palestinesi e arabi che affrontano un panorama politico turbolento e incerto” 72 . I toni dei loro testi alternano volontà di sfida e angoscia per la loro situazione “dovunque vada sono intrappolato in questa gabbia […] questa è la sua

69 S.Maira, Palestinian Hip-hop: Youth, Identity, and Nation , ‹‹Orient››, (2010)3: p.26-35 70 Al-Quds è il nome arabo, Yerushaleim è la pronuncia ebraica del nome di Gerusalemme. Questo verso è una critica alla consuetudine israeliana di riportare i nomi ebraici traslitterati in arabo in modo da non utilizzare i nomi originali delle città o dei villaggi. 71 G-Town, “Al-Quds Lana” (2007) 72 Biografia su http://www.myspace.com/rucollective (ultimo accesso 28/05/2012) 29 (di Israele n.d.a.) idea di pace, fa quello che vuole, tu taci e acconsenti” 73 , sovrapponendosi a basi originali che spesso riportano suoni presi dalla vita di tutti i giorni, tra cui ad esempio alcuni scontri a fuoco.

Nel 2003 l’Hip-hop iniziò ad emergere anche a Gaza, traendo ispirazione dal successo dei DAM. I PR (Palestinian rappers o Palestinian Resistance) iniziarono a veicolare i loro messaggi attraverso il rap per “esprimere i loro sentimenti riguardo alle lotte giornaliere affrontate dai loro compagni compatrioti. Scoprirono che l’Hip-hop era la maniera più efficace di condividere i loro pensieri e le loro speranze per il futuro della Palestina e della sua gente. L’Hip-hop ha inoltre dato loro la capacità di offrire un mezzo pacifico di protesta contro l’occupazione della loro terra e l’oppressione della loro gente 74 ”. Le problematiche della vita a Gaza vanno dall’altissima percentuale di disoccupazione giovanile, problema che condividono con i palestinesi di altre provenienze, e una difficile situazione umanitaria conseguenza di un economia senza sbocchi e dei periodici conflitti. Tutti e tre i membri dei PR, come la maggioranza della popolazione di Gaza, sono stati colpiti dalle aggressioni israeliane che hanno causato loro la perdita di amici e familiari. Oltre alle avversità già menzionate, la band ha dovuto fronteggiare ostilità e critiche da parte degli ambienti più conservatori della società della Striscia, sebbene il fenomeno dell’Hip-hop si sia guadagnato col tempo uno spazio importante a Gaza. Con la strada spianata dai PR vennero alla luce a Gaza diversi gruppi desiderosi di intraprendere lo stesso cammino, tra i quali: Lost Souls, Kayan, Black Unit, Gaza Under Siege, Revolution Makers, e DARG team (Da Arabian Revolutionary Guys) 75 .

Al di là di Israele e dei Territori Occupati, anche le voci della diaspora palestinese hanno seguito la scia dei loro connazionali. Sebbene si possano riscontrare delle differenze tematiche tra la diaspora in oriente e quella in occidente 76 entrambe si inseriscono nel circuito transnazionale dell’Hip-hop palestinese.

In Libano nel campo di Burj al-Barajneh, intorno al 2002, nacquero i primi gruppi: i Katìbe Khamse (Battaglione 5) e gli I-Voice. I membri dei due gruppi si avvicinarono al rap con modalità simili: avendo precedentemente ascoltato brani di altre band

73 Ramallah Underground, “Sijn ib Sijn” (Prigione Dentro una Prigione), 74 Biografia su http://www.myspace.com/palrapperz (ultimo accesso 29/05/2012) 75 Hip-hop in Medio Oriente , blog, http://lazyproduction-rapinmedioriente.blogspot.com/ (ultimo accesso 12/07/2012) 76 Con il termine “diaspora in oriente” mi riferisco alla diaspora palestinese nei paesi arabi, la “diaspora in occidente” è invece quella in paesi occidentali. 30 palestinesi, decisero di raccontare la loro realtà attraverso il rap. Sebbene i membri dei Katìbe 5 e Yaseen (fondatore degli I-Voice) si conoscessero e ci fosse l’idea di formare un progetto musicale unico, ognuno di loro aveva il proprio modo di recapitare il proprio messaggio e presero due strade diverse 77 . Le tematiche trattate dai due gruppi erano però necessariamente affini, in quanto riflettevano la loro condizione di rifugiati, la discriminazione subita in Libano e le avversità della vita nei campi: dal prezzo della carne, ai problemi del sistema educativo, dal desiderio di fuggire, alla nostalgia per una patria mai conosciuta. “Cerchiamo di delineare un’immagine dei campi e come li vediamo 78 ” dice uno dei membri dei Katìbe 5. Attraverso la musica parlano ai connazionali palestinesi ma anche agli “ospiti” libanesi, che li percepiscono come un elemento alieno; non mancano ovviamente i messaggi indirizzati alla controparte israeliana. “Questa è la nostra piccola guerra. Non siamo contrari alla resistenza armata, ma questo è il nostro modo di resistere: attraverso le parole 79 ”. In Siria troviamo i Laje2een al-rap 80 (Refugees of rap), gruppo nato nel 2006 e composto da 4 membri: due palestinesi, un algerino e un siriano che vivono nel campo di Yarmuk a Damasco. Le tematiche delle canzoni parlano di Damasco, la vita nel campo e la povertà, ma la Palestina è l’unico tema politico del quale la band si arrischia a parlare senza timore di ripercussioni. Il rap non è infatti ben visto in Siria, come tutta la musica “alternativa” o occidentale che abbia in sé una potenziale espressione di dissenso; i problemi interni alla Siria sono dunque sfiorati a malapena, mentre sulla causa palestinese i membri della band possono dare libero sfogo alle loro opinioni, essendosi la Siria sempre proposta come baluardo arabo della difesa dei palestinesi. È da sottolineare come la scena rap siriana si stia gradualmente sviluppando prendendo ispirazione da questa band, composta per metà da palestinesi che sono ancora una volta motore di diffusione di questo genere.

La diaspora palestinese in occidente ha prodotto diversi artisti, la maggior parte dei quali sono nati negli USA o in Gran Bretagna. Tra i più famosi troviamo The Philistines, Shadia Mansour, e Patriarch. Il rap Palestinese in occidente però, pare miscelarsi e confondersi nel filone più ampio del rap arabo, forse per un’esigenza di ritrovare comuni radici in contesto culturalmente distante che crea inevitabilmente

77 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), 09/05/2012, Bizerta. 78 Z. Hankir, Katibe 5: rap as a Means of Resistance , ‹‹Now ›› 30 aprile 2008 http://www.nowlebanon.com/NewsArchiveDetails.aspx?ID=40405 (ultimo accesso 28/05/2012) 79 Ibid. ء“ “ Il numero 2 indica la lettera 80 31 prossimità anche tra le diverse origini arabe. Non per questo il tema della Palestina ha meno peso, anzi molti artisti arabi non palestinesi lo portano avanti come tema principale delle loro canzoni e come oggetto del loro attivismo. Rispetto alle tematiche trattate dalle altre band di cui abbiamo già parlato, riscontriamo però lo sviluppo di altri temi quali, ad esempio nel caso degli USA, critiche al governo per la politica estera e per le guerre in Iraq e Afghanistan. Inoltre in molte di queste band l’inglese è largamente utilizzato, a volte in maniera esclusiva, per veicolare il loro messaggio al pubblico locale e internazionale. Tra gli artisti palestinesi troviamo i Philistines, in attività dal 2001, che dicono di rappresentare con la loro musica la loro casa, la Palestina, e le loro “case lontane da casa” in America 81 . Cantano principalmente in inglese e occasionalmente in arabo e i loro testi parlano della lotta delle minoranze, dell’ambiente hip-hop e ovviamente, di Palestina. Secondo Nizar Wattad, uno dei membri della band, “le radici coscienti dell’Hip-hop si combinano benissimo con la mia cultura; è la musica degli oppressi e molti arabi ci si possono ritrovare 82 ”. La diaspora in occidente ha visto nascere uno dei personaggi più considerevoli della scena rap palestinese: Shadia Mansour. Nata a Londra da una famiglia palestinese cristiana, Shadia iniziò la sua carriera di MC quasi per caso, fino a diventare la “First Lady dell’Hip-hop arabo”. Secondo la giovane artista l’Hip-hop è una piattaforma a partire dalla quale lanciare quella che definisce come un’intifada musicale contro l’oppressione – sia essa l’occupazione della terra della sua gente, l’oppressione delle donne o l’opposizione dei conservatori nei confronti della sua musica. Oltre rappresentare un ponte tra oriente e occidente e a voler diffondere maggiore consapevolezza riguardo alla causa palestinese, le sue canzoni (la maggior parte in arabo, alcune in inglese) cercano di aprire le menti riguardo a questioni culturali e di genere in contesto arabo. Parlando dei suoi show, che hanno toccato numerose tappe, in Gran Bretagna e USA, fino ad arrivare alla West Bank, Shadia ha dichiarato: “Non è solo saltare su un palco. È mostrare sostegno, mostrare che ci sono palestinesi nella diaspora che vogliono promuovere la loro identità e la loro cultura 83 ”.

81 http://www.myspace.com/thephilistines (ultimo accesso 02/07/2012) 82 Nizar Wattad: rapper and Producer , IMEU (Institute for Understanding) http://imeu.net/news/article00597.shtml (ultimo accesso 02/07/12) 83 J. Donnison, British Palestinan rapper Conducts a ‘Musical Intifada’ , ‹‹BBC News Middle East››, 7 settembre 2010 http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-11215298 (ultimo accesso 04/07/2012) 32 Si è visto come, a partire da una piccola realtà, l’hip-hop palestinese sia ormai diventato un importante fenomeno trans-nazionale che presenta caratteristiche stilistiche e tematiche specifiche che è necessario analizzare per comprenderne la natura.

33 4. Tematiche e analisi critica.

4.1. Dai ghetti neri alla Palestina: temi comuni e peculiarità dell’Hip-hop palestinese.

Come affermato in precedenza, l’ambiente in cui si è sviluppato il rap palestinese presenta numerosi tratti in comune con la realtà in cui nacque il genere negli USA. Il rap, nella comunità afro-americana prima e latina poi, nasceva come risposta ad una serie di problematiche che possono essere facilmente ritrovate nella seppur eterogenea realtà palestinese. I tratti in comune riscontrati in contesto afro-americano e palestinese possono essere suddivisi nelle categorie di discriminazione, povertà, droga, violenza e misoginia, analizzate di seguito:

− Discriminazione, razzismo e classismo: la discriminazione all’interno della società statunitense continuava a essere una realtà anche dopo l’acquisizione, negli anni ’60, di maggiori diritti da parte della popolazione nera84 , come pure il razzismo, fenomeno che per essere estirpato richiede tempo e lavoro sulla mentalità della gente più che la sola istituzione di leggi. I palestinesi, in particolare i palestinesi- israeliani, vivono quotidianamente esperienze di emarginazione e discriminazione da parte della componente ebraica (sia dal punto di vista sociale che strettamente legale) che li accomunano agli afro-americani, tanto da auto-definirsi “i neri di Israele”. − Povertà e degrado urbano: i palestinesi condividono con la comunità afro-americana anche le condizioni economiche disagiate, i problemi di disoccupazione e la situazione di marginalizzazione e degrado urbani. Sebbene queste siano problematiche comuni a tutte le componenti della realtà palestinese (eccetto forse il caso della diaspora in occidente, i cui membri possono aver avuto migliori possibilità) sono ancora una volta i palestinesi-israeliani a percepirle in maniera più netta, avendo davanti agli occhi il confronto con la differente situazione dei loro connazionali ebrei. − Droga: la dipendenza, soprattutto giovanile, da sostanze stupefacenti è un altro dei riferimenti comuni all’Hip-hop nero. Sebbene il filone del gangsta-rap 85 negli USA spesso elogi il consumo di droga, molti artisti del cosiddetto “rap impegnato” hanno

84 Tra le conquiste dal punto di vista legislativo troviamo l’approvazione del Civil Rights Act (1964), Voting Rights Act (1965) e Fair Housing Act (1968) 85 Sottogenere del rap dai testi aggressivi che esprimono un’attitudine violenta. Spesso glorifica l’uso della violenza e delle droghe. (www.urbandictionary.com) 34 messo in guardia la gioventù dai pericoli degli stupefacenti, visti spesso come forma di controllo sociale e intorpidimento delle coscienze. Condividono questa posizione gli artisti rap palestinesi che vedono nella droga, largamente utilizzata da una gioventù senza molte prospettive, uno dei maggiori problemi della loro società, sebbene sia spesso ignorato dalle autorità e dalla società in generale. − Violenza: si presenta in diverse forme che colpiscono la comunità. La violenza della polizia o l’accanimento repressivo nei confronti della minoranza afro-americana si riscontra fin dagli anni ’60 ed è tuttora denunciato 86 , sebbene il fenomeno oggigiorno sia molto meno impattante del periodo del movimento per i diritti civili. In Israele, nella West Bank e in diverso modo anche a Gaza, la violenza fisica e psicologica da parte della polizia è una realtà quotidiana che viene denunciata dalla quasi totalità degli artisti della scena rap palestinese. Un’altra forma di violenza è quella intra-razziale, ovvero commessa da membri di una comunità verso membri della stessa; così come la violenza tra afro-americani, quella tra palestinesi, spesso legata indissolubilmente a povertà e droga, viene raccontata e denunciata in molti brani hip-hop. − Misoginia: sebbene il rap afro-americano (in particolare il sottogenere gangsta-rap) abbia spesso prodotto testi intrisi di immagini stereotipate e degradanti della donna che riflettono il machismo ancora prevalente nel genere, vi sono numerosi artisti che hanno deciso di contrastare questo fenomeno. Tra gli artisti del rap impegnato, uomini e donne, troviamo diversi brani che invitano al rispetto verso le donne e trattano problematiche sociali che colpiscono la componente femminile della comunità 87 . Nel rap palestinese il sottogenere gangsta è inesistente, e la tendenza generale verso il tema del femminile è quello di sovvertire le consuetudini della cultura patriarcale araba attraverso una critica dall’interno, volta a produrre un cambiamento nella situazione della donna. Sempre più giovani donne si cimentano in questo genere musicale anche allo scopo di far riflettere sulla loro situazione, sebbene ritroviamo brani sul tema anche ad opera di band composte da uomini 88 .

86 Per approfondimenti vedere Police Brutality and the Black Community , http://thefreshxpress.com/2010/06/police-brutality-and-the-black-community/ (ultimo accesso 10/07/2012) 87 Un esempio di rap maschile che si occupa di problematiche femminili è il brano di Tupac “Keep Ya Head Up” (1993) 88 Ad esempio “La libertà è donna” dei DAM (2006) 35 Bisogna chiedersi quali siano le tematiche che differenziano il rap palestinese da quello delle origini, poiché senza dubbio vi sono delle peculiarità che nonostante la straordinaria vicinanza con il rap impegnato afro-americano, caratterizzano l’hip-hop palestinese e ne rispecchiano il contesto di sviluppo. Tra i temi portanti che possiamo classificare come propri del hip-hop palestinese troviamo la guerra, il terrorismo, l’esilio, e il patrimonio culturale. − Guerra e Resistenza: il tema del conflitto e della guerra gioca un ruolo di primaria importanza nel rap palestinese e lo distingue non solo dal rap afro-americano, ma anche dalla produzione Hip-hop di altre minoranze che vivono conflitti si, ma di altro genere. Il lungo conflitto con Israele, continua fonte di sofferenza e morti per il popolo palestinese, è evocato nei suoi episodi passati, ma soprattutto recenti: sono numerose le canzoni nate dall’urgenza degli artisti di esprimersi su attacchi ad opera dell’esercito israeliano 89 . Spesso narrata in maniera diretta e per esperienza personale, spesso per solidarietà ai palestinesi nelle zone di conflitto, la guerra è sempre presente nelle atmosfere del Hip-hop palestinese, e non c’è artista, da Gaza alla diaspora, che non abbia trattato nel suo repertorio questo tema. La sofferenza delle vittime civili, l’impossibilità di accettare gli accadimenti e il senso di ingiustizia sono i sentimenti che emergono da questi testi, spesso accompagnati dalla rabbia. Non mancano però i richiami alla pace e ad alternative al conflitto armato. Il rap infatti, si propone come forma alternativa di resistenza attraverso la musica e le rime 90 , e la sua importanza è un concetto costantemente rimarcato dagli artisti palestinesi, sia nei loro testi che nelle loro dichiarazioni. − Terrorismo: altro riferimento onnipresente nei testi rap palestinesi è il terrorismo. Il rifiuto della narrazione sionista e della rappresentazione mediatica che propone l’immagine stereotipata dei palestinesi terroristi si esprime in numerosi versi 91 che si propongono di sovvertire le logiche di rappresentazione di “vittime” e “terroristi”. Attraverso esempi e riferimenti reali gli artisti palestinesi cercano di offrire nuovi strumenti di analisi dei ruoli nel conflitto mettendo alla luce le contraddizioni della sua rappresentazione mediatica.

89 Ad esempio, in occasione dell’operazione “Piombo Fuso” nel 2009, sono state composte e pubblicate in internet diverse canzoni in brevissimo tempo. 90 Sebbene alcuni artisti non si dichiarino totalmente contrari a forme di resistenza armata. 91 I più famosi dei quali li troviamo nel brano “Chi è il terrorista” dei DAM. 36 − La Terra e l’Esilio: il legame con la terra, sebbene non enfatizzato come in altri generi della tradizione musicale palestinese, è comunque molto presente ed è strettamente collegato al tema dell’esilio. Soprattutto nella produzione dei membri della diaspora troviamo brani che trattano la nostalgia per la patria mai conosciuta e esprimono il senso di estraneità percepito all’interno dei paesi di adozione. Sebbene il tema dell’esilio non sia per nulla estraneo alla cultura afro-americana, pochi artisti hip-hop afro-americani lo hanno sviluppato 92 , mentre nel caso del rap palestinese riveste un’importanza fondamentale. − Educazione e patrimonio culturale: gli artisti palestinesi pongono parecchia enfasi sul tema dell’educazione che trova spazio nei brani di diversi gruppi. L’educazione e l’istruzione sono visti come mezzi fondamentali di riscatto sociale che possano risollevare la gioventù palestinese da situazioni di deprivazione economica e farli ambire a un futuro migliore, lontano dalla criminalità. Un altro fattore che rende l’educazione importante è la necessità di consapevolezza e conoscenza della storia, essendo la memoria collettiva fondamentale nella comunità palestinese. La conoscenza, non necessariamente acquisita solo in ambiente scolastico, consente di preservare le redici del popolo palestinese e il suo patrimonio culturale 93 .

4.2. L’ Hip-hop palestinese: ricezione, identità e autenticità.

Come si è detto il rap è stato acquisito da parte di una moltitudine di artisti e trasformato a livello musicale e di contenuti per rispondere ai loro bisogni di espressione e raccontare le diverse realtà della comunità palestinese. L’introduzione di questo genere nel panorama musicale e nella società palestinese non è però stata semplice. I primi artisti a cimentarsi col genere hanno dovuto infatti fronteggiare forti resistenze da diverse forze culturali. Diversi artisti di altri generi musicali (in ambito palestinese e non solo) si mostrarono diffidenti e scettici nei confronti del nascente genere rap, e questo tipo di resistenza si riscontrò ovviamente anche da parte del pubblico in generale. La ragione di questo scetticismo, spesso manifestatosi in forma di aperto rifiuto è da individuare nelle origini occidentali del genere, che veniva visto come importazione di una forma di colonizzazione culturale in

92 È invece importantissimo in un altro genere musicale, il Reggae . 93 È questo il caso dei palestinesi-israeliani, sottoposti a un educazione che nega la loro storia, riscritta in ottica sionista, che devono dunque imparare al di fuori dal contesto scolastico la storia e la cultura della Palestina. 37 musica. L’adozione dello stile Hip-hop implicava spesso per i giovani artisti nascenti, al di là dell’aspetto musicale, l’assunzione di determinate forme di abbigliamento (pantaloni baggy bassi e larghi, t-shirt da basket e football, cappelli…) decisamente troppo “americanizzate” agli occhi del pubblico palestinese e arabo in generale; inoltre l’unica, povera conoscenza del rap che aveva il pubblico all’epoca era veicolata da canali musicali satellitari che promuovevano l’immagine più stereotipata e poco edificante del gangsta-rap americano, associata a lusso, donne, violenza e droga. Questo tipo di immagine dunque risultava estranea alla cultura araba e offendeva la sensibilità religiosa di molti, che non esitavano a definire l’Hip-hop un genere anti-islamico. Mentre in Israele e nella West Bank la disapprovazione si limitava generalmente a espressioni verbali, a Gaza i problemi sono stati decisamente più importanti agli esordi: i membri della band PR sono stati aggrediti dalla gioventù islamica e picchiati durante un concerto, e il più sfortunato rapper Sompol è stato rapito e minacciato con una pistola per aver portato atteggiamenti occidentali e anti-islamici a Gaza 94 . Il rapper Yaseen, rifugiato palestinese in Libano, è stato duramente attaccato dall’Imam del campo di Nahr el-Bared per aver portato la corruzione delle menti con i suoi concerti 95 . Un altro punto controverso che rendeva il rap difficile da digerire era sicuramente lo stile musicale: testi complessi, velocità di esecuzione nel cantato e in alcuni casi il code- switching linguistico tra arabo, inglese e persino ebraico (nel caso dei DAM e di altri artisti palestinesi-israeliani).

Tutti questi fattori di rifiuto nei confronti dell’Hip-hop e la generalizzata resistenza nei suoi confronti dovevano generare necessariamente delle risposte da parte degli artisti. Creare delle basi solide per lo sviluppo del genere in Palestina richiedeva dunque agli artisti di concentrarsi su dichiarazioni e dimostrazioni di autenticità e sull’ auto- definizione. Nel suo studio sull’Hip-hop e l’autenticità 96 Usama Kahf analizza le strategie linguistiche, performative, musicali e argomentative messe in atto dagli artisti per affermare la legittimità della loro produzione sia in relazione all’Hip-hop, sia in relazione alla propria realtà culturale e politica. L’obiettivo delle dichiarazioni di autenticità nei confronti dell’Hip-hop è dimostrare di essere fedele all’identità e alla “purezza” del vero Hip-hop, in opposizione all’ Hip-hop commercializzato e falso . Per

94 T. McGirk, Taking the rap , ‹‹Time Magazine››, 22 febbraio 2007 http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1592612,00.html (ultimo accesso 11/07/2012) 95 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), 2012. 96 U. Kahf, Arabic Hip-hop: Claims of Authenticity and Identity of a New Genre , ‹‹Journal of Popular Music Studies›› vol.19 (2007), n.4, pp. 359-385 38 quanto riguarda la realtà culturale e politica palestinese, gli artisti devono dimostrare che il genere musicale da loro adottato possa essere un canale di espressione di cultura araba e non una mera imitazione dell’occidente; è fondamentale per l’introduzione di un’innovazione in una cultura basata in larga parte sulla tradizione e la conformità, saper collegare quell’innovazione con gli interessi e gli scopi di quella cultura e far si dunque che acquisisca credibilità agli occhi del pubblico. Secondo Kahf gli artisti rap palestinesi affermano la loro autenticità basandosi principalmente su tre aspetti definiti come le tre dimensioni dell’autenticità: dimensione socio-politica , dimensione emozionale-esperienziale , e dimensione retorica . − Dimensione socio-politica: una delle dimostrazioni di autenticità dell’Hip-hop palestinese risiederebbe nella profonda attenzione a specifici problemi sociali, che secondo gli artisti sono ignorati o trascurati dalla musica e dalla cultura popolare. Per la maggior parte degli artisti la musica rap è uno strumento per commentare e analizzare i fenomeni sociali e gli eventi politici. Tra gli argomenti sociali all’attenzione del Hip-hop palestinese troviamo: l’abuso di droga, generalmente ignorato e taciuto per vergogna dalla società, l’ossessione dei giovani per i beni materiali, l’ingiustizia economica e il classismo tra palestinesi, tutti temi sensibili e effettivamente ignorati da altri generi musicali. Per questo motivo i giovani rapper palestinesi mostrano una particolare ostilità per la musica pop araba, infarcita di improbabili storie d’amore (decisamente poco rappresentative delle reali dinamiche dei rapporti nel mondo arabo) e lontana dalle problematiche sociali, colpevole di anestetizzare le menti dei giovani e di fomentare le loro illusioni. A queste rappresentazioni edulcorate il rap contrappone la sua realtà e credibilità, proponendosi come autentico. L’autenticità degli artisti è affermata anche attraverso il riferimento a esperienze personali e alle proprie osservazioni, sottolineando l’importanza di essere loro stessi la fonte di informazione; invece di rifarsi a fonti istituzionali o autorità esterne, i loro racconti arrivano diretti e reali al pubblico. L’autenticità in questa dimensione è dunque basata sui contenuti e non sullo stile. − Dimensione emozionale-esperienziale: riguarda le strategie adottate dagli artisti per stabilire la loro credibilità attraverso il racconto di esperienze personali di oppressione volte a creare empatia e senso di identificazione nel pubblico che ascolta. Le esperienze di sofferenza condivisa come esseri umani sono narrate in una sorta di processo di “vittimizzazione”, in cui l’artista si propone con due archetipi: la vittima credibile e il peacemaker compassionevole. Presentandosi come 39 personalmente colpito dagli attacchi israeliani l’artista palestinese guadagna credibilità e spinge il pubblico a solidarizzare con la sua situazione. In alcuni pezzi possiamo trovare l’artista che si identifica con la sofferenza degli israeliani innocenti 97 nel tentativo di promuovere la pace e la riconciliazione, nonostante la frustrazione e la rabbia per i torti subiti. Dunque l’autenticità in questo caso è rivendicata assumendo la duplice posizione di vittima e di individuo alla ricerca della pace. − Dimensione retorica: questa dimensione riguarda affermazioni di autenticità basate sulla forma e sullo stile adottati dagli artisti per inserirsi in questo genere. Inoltre l’autenticità si afferma anche attraverso la spiegazione dei motivi della scelta dell’Hip-hop come forma unica di espressione e resistenza e degli obiettivi nell’utilizzo di questo mezzo. La forma dell’Hip-hop palestinese è una combinazione unica di beat occidentali e sonorità orientali in cui strumenti arabi, ma anche canzoni della tradizione, vengono campionati e riadattati; le basi dei brani dunque costituiscono un cambiamento e un’innovazione creativa della cultura musicale popolare, che ad opinione di diversi rapper sarebbe altrimenti stagnante ed immobile. La scelta dell’Hip-hop come forma di resistenza viene difesa dagli artisti in quanto l’unica in grado di offrire loro dei mezzi di espressione altrimenti negati dalla società, cosa che altri generi musicali, considerati inaccessibili o inadeguati, non sono in grado di fare. Il rap avrebbe dunque dato voce ai giovani ai margini, e avrebbe inoltre il pregio di poter indirizzare il proprio messaggio a diversi pubblici contemporaneamente: palestinesi, israeliani e resto del mondo.

L’effettività di queste strategie attraverso le quali gli artisti affermano l’autenticità e l’identità del proprio genere è indubbia: il rap palestinese, dopo i primi anni di vita underground , ha acquisito dignità e credibilità agli occhi di molti, dentro e fuori dalla Palestina. Anche nella comunità di appartenenza dunque, il pubblico ha gradualmente cambiato la propria opinione riguardo al genere. L’ascolto dei testi, in cui qualunque palestinese si può facilmente ritrovare, e la forma musicale che, nonostante le innovazioni, solletica l’orecchio dell’ascoltatore arabo, hanno senza dubbio contribuito a questo cambiamento. Anche a Gaza, dove il genere ha incontrato le maggiori

97 Fattore presente soprattutto nella produzione dei DAM, che da conoscitori della realtà “interna” di Israele sono sempre attenti ad operare delle distinzioni tra la “gente” e lo stato/l’esercito. È chiaramente più difficile riscontrare un atteggiamento empatico in questo senso da parte di artisti provenienti da Gaza. 40 difficoltà agli inizi, artisti come i PR hanno attualmente una buona base di estimatori, non solo tra i più giovani. “(la gente n.d.t.) non capiva che stavamo facendo questo per la Palestina. Ma dopo aver ascoltato i nostri testi hanno iniziato ad apprezzarci e adesso abbiamo molti fan a Gaza 98 ” dice Mohammed al-Farra, membro della band. Anche nei campi di rifugiati in Libano la situazione è cambiata dopo l’iniziale rigetto nei confronti del genere. Se prima erano solo i giovani a interessarsi al rap, presto anche gli adulti iniziarono a rendersi conto delle potenzialità del mezzo; il giovane Yaseen, membro della band I-Voice, racconta come la gente avesse iniziato a proporgli temi per le canzoni, investendolo del ruolo di narratore della difficile realtà del campo, e come numerosi adulti attenti e coinvolti presenziassero ai concerti, addirittura canticchiando i suoi pezzi più famosi 99 . Su questo cambiamento ha indubbiamente influito il lavoro di alcuni artisti sulle basi, sempre più sofisticate e “arabeggianti”, i riferimenti a un patrimonio culturale condiviso 100 , ma soprattutto la consapevolezza, che ha ormai raggiunto la maggior parte della comunità palestinese, della potenza dell’hip-hop come mezzo di espressione e di resistenza e la speranza dunque che questa musica possa offrire un contributo effettivo alla causa palestinese.

Nel capitolo successivo si ripercorreranno alcuni tra i temi principali del rap palestinese attraverso l’analisi di un piccolo corpus di brani di artisti tra Israele, Gaza e la diaspora.

98 M. LeVine, Heavy Metal Islam… (2008) 99 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), 2012. 100 Come si è già detto in precedenza, molti artisti attingono a piene mani dalla letteratura e dalla poesia palestinese. 41 Capitolo II Tematiche dell’Hip-Hop Palestinese: un percorso attraverso le canzoni.

In questo capitolo vorrei approfondire alcune tematiche rilevanti nell’ambito dell’hip- hop palestinese attraverso l’analisi di alcune canzoni. La produzione rap palestinese è molto vasta e dagli inizi – alla fine degli anni ’90 – ad oggi ha visto nascere decine di gruppi e artisti che hanno composto numerosissimi brani. Non si può dunque pensare di analizzare in questa sede l’intero corpus delle canzoni esistenti: ho dunque operato una scelta di brani significativi sia dal punto di vista dei temi affrontati nelle liriche, sia dal punto di vista stilistico e argomentativo. I brani analizzati, tradotti dall’arabo e disponibili integralmente in appendice, sono otto e fanno parte della produzione di diversi artisti. L’intento è quello di prendere in considerazione diverse band o singoli rapper, provenienti da contesti diversi – Israele, Gaza e diaspora – e approfondire dei temi comuni e alcuni temi propri di un determinato gruppo di palestinesi. L’analisi dei brani si propone di fornire una chiave di lettura del rap palestinese e la visione degli artisti su diversi argomenti, inevitabilmente parziale, ma preziosa per una comprensione del fenomeno e della posizione degli artisti e dei giovani che ruotano attorno a questa sottocultura 1. I brani sono radunati in quattro macro aree tematiche (sebbene spesso nelle canzoni si intersechino diversi argomenti che potrebbero appartenere a più di un’area) che riflettono la auto-rappresentazione di determinati gruppi nella composita realtà palestinese, delle tematiche ricorrenti o dei temi emergenti e significativi di un cambiamento nella società. Ho quindi suddiviso il capitolo in quattro parti.

Nella prima sezione si discute dei palestinesi-israeliani, affrontando le problematiche di questa categoria di palestinesi prendendo spunto dall’analisi del brano “Straniero nel mio paese”. La seconda riguarda invece la diaspora e i rifugiati palestinesi. In questa parte si analizza il concetto di diaspora, di rifugiati e le diverse condizioni dei palestinesi tra

1 Consapevole della vastità del tema, questa tesi si propone come uno strumento di analisi delle narrative del rap palestinese e non come un approfondimento completo sui vari dibattiti accademici che ruotano attorno ai temi toccati dagli artisti. Si è cercato di offrire comunque degli spunti di approfondimento che non possono essere trattati con la dovuta completezza in questa sede.

42 occidente e medio oriente. Le canzoni prese in considerazione sono “Benvenuto nei campi” dei Katìbe Khamse, “al-Nakba 15/5” di Yaseen, e “La kefiah è araba” di Shadia Mansour. Nella terza sezione, intitolata “Violenza, guerra e terrorismo”, analizzo gli artifici stilistici e argomentativi attraverso i quali viene portata avanti la narrazione della violenza e i loro scopi, attraverso l’analisi dei brani “Gaza” dei Refugees of Rap, “La mia città” di Ayman e “Chi è il terrorista” dei DAM. L’ultima sezione riguarda la questione della donna: in questa parte prendo in considerazione il fenomeno del rap al femminile o “sul” femminile, analizzando inoltre l’atteggiamento della società palestinese nei confronti delle donne e i cambiamenti sociali in atto, prendendo spunto dal brano “La libertà è femminile” dei DAM e Safaa delle Arapiyat.

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1. I Palestinesi-Israeliani.

I DAM – i principali esponenti dell’hip-hop palestinese – sono cittadini israeliani e nell’ampio spettro di tematiche che essi toccano nelle loro canzoni, il loro essere palestinesi-israeliani riveste una grande importanza. Data la complessità della tematica – che occupa solo una parte di questo studio – è stato impossibile fornire un quadro completo del dibattito per ognuno dei tanti aspetti della questione che essi toccano; il lettore troverà dunque nella maggior parte dei casi dei riferimenti a studi che privilegiano l’ottica palestinese (quando non la visione personale degli artisti) su certi temi.

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La categoria dei “palestinesi-israeliani” è composta dai palestinesi che nel ’48 non fuggirono o non furono espulsi dal territorio che poi divenne lo stato d’Israele e dai loro discendenti; attualmente rappresentano circa il 20% della popolazione di Israele 2. I palestinesi-israeliani sono dunque parte del popolo palestinese per storia, cultura e coscienza nazionale e israeliani per cittadinanza e diritti di rappresentanza, sebbene non si sentano in realtà né pienamente israeliani né, in un certo senso, pienamente palestinesi. L’identità collettiva dei palestinesi del ’48 è dunque qualcosa di sospeso, che interagisce con Israele, “il loro stato” e i palestinesi, “la loro gente”. 3 L’identità ibrida dei palestinesi-israeliani si configura come un processo di continua negoziazione di rapporti di opposizione e rivendicazione, senso di appartenenza e distacco, nei confronti di entrambe le parti - israeliana e palestinese - del loro essere, parti che non si escludono a vicenda. La complessità dell’identità di questa parte della popolazione di Israele si intuisce già a partire dal piano terminologico: diversi termini sono stati e sono attualmente utilizzati per designarli, termini che riflettono periodi storici e visioni politiche. Chiamati tradizionalmente “arabi israeliani” dai loro concittadini ebrei e dalle istituzioni

2 Per dati statistici sulla popolazione israeliana consultare il sito dell’Israeli Central Bureau of Statistics: http://www1.cbs.gov.il/reader/cw_usr_view_Folder?ID=141 (ultimo accesso 11/09/2012) 3 N. M. Rouhana, Outsiders Identities: Are the Realities of “Inside ” Reconcilable? , ‹‹Palestine-Israel Journal of Politics, Economics and Culture››, vol.9 (2002) n.1 http://www.pij.org/details.php?id=794 (ultimo accesso 16/07/2012)

44 israeliane, i palestinesi generalmente rifiutano questo appellativo che ha la duplice funzione di sottolineare la loro diversità dal resto degli israeliani e di negare la loro comunanza di storia ed esperienze col resto del loro popolo. La parola “palestinese” – che ancora oggi non viene utilizzata spesso per indicare questo gruppo di popolazione – è stata volutamente evitata per molto tempo in contesto israeliano per i significati che essa racchiude: essa rappresenta infatti il riconoscimento di una realtà complessa che la società e la politica israeliane hanno a lungo cercato di negare. Oggi si incontrano in misura sempre maggiore denominazioni di tipo diverso per definire i palestinesi che vivono in Israele, e ogni espressione sottende una determinata visione politica. Il governo israeliano, i media e la maggior parte della popolazione ebraica israeliana tendono a utilizzare l’espressione “arabi-israeliani”; chi si pone in maniera più critica utilizza generalmente l’espressione “palestinesi” 4 o “palestinesi-israeliani”. Le denominazioni utilizzate dai cittadini palestinesi non sono univoche, e riflettono diverse e spesso mutevoli visioni su quale sia l’etichetta collettiva più appropriata da attribuirsi; molti danno importanza alla componente araba della loro identità, mentre altri preferiscono definirsi semplicemente palestinesi, senza distinzione dai palestinesi della West Bank o di Gaza, sottolineando che la loro identità nazionale ha la priorità sull’appartenenza civica ad Israele 5. L’auto-identificazione dei cittadini palestinesi di Israele come “palestinesi” o “palestinesi-israeliani” è aumentata fin dal ’67, ed è attualmente la definizione maggiormente in uso 6. Al di là delle definizioni rigide, vedremo come i palestinesi-israeliani si riconoscano comunque come parte dello Stato di Israele: da questo riconoscimento di appartenenza derivano alcune delle loro rivendicazioni – quali il riconoscimento della loro identità specifica palestinese, insieme alla richiesta di eguali diritti e della fine delle

4 I. Peleg, D.Waxman, Israel’s Palestinians: the Conflict Within , Cambridge University Press (2011); p.26 5 O. Haklai, Palestinian Ethnonationalism in Israel , University of Pennsylvania Press, Philadelphia (2011); p. 10 6 R. L. Torstrick, The Limits of Coexistance: Identity Politics in Israel , University of Michigan Press (2000); p. 13 Nell’ambiente hip-hop si riscontra, all’interno delle varie interviste, una prevalenza dell’uso dell’espressione “palestinesi del ‘48” per definire i palestinesi-israeliani, sia dentro che fuori la linea verde.

45 discriminazioni – che si configurano in opposizione ad alcune dinamiche e atteggiamenti istituzionali o sociali che li renderebbero cittadini di seconda categoria 7. L’essere “traditori” è un altro degli stereotipi loro attribuito: che li contrappone da un lato agli “altri palestinesi”; i palestinesi non israeliani – a cui i palestinesi-israeliani sono assimilabili per storia e cultura – considerano la propria lotta in qualche modo più autentica, e vedono una sorta di tradimento nella storia dei palestinesi-israeliani che abbandonarono la causa palestinese diventando cittadini di Israele nel 1948. Attraverso la condivisione della sofferenza e della lealtà verso la patria e le radici palestinesi, i palestinesi-israeliani affermano tuttavia la loro autenticità e appartenenza alla nazione di cui si sentono comunque parte integrante 8. I palestinesi-israeliani dunque sfuggono a definizioni semplicistiche o denominazioni imposte, presentando un’identità sospesa e ibrida. È anche nell’ottica del processo di opposizione e rivendicazione, di appartenenza e di differenziazione nei confronti delle due realtà che si può comprendere la complessa identità dei palestinesi-israeliani, in quegli spazi in-between che sfuggono alle tradizionali narrative e in cui si sviluppano nuove identità, così come viene magistralmente elaborato nei lavori di Homi Bhabha 9.

La situazione dei palestinesi-israeliani è stata spesso vista come “privilegiata” rispetto a quella dei palestinesi della West Bank, di Gaza e della diaspora. La loro condizione di cittadini dello stato di Israele ha risparmiato loro tra le più devastanti e violente esperienze dei loro connazionali palestinesi: la vita da rifugiati, l’esilio e l’occupazione, che rappresentano il nucleo dell’esperienza nazionale degli altri palestinesi 10 : la Nakba, l’o status e la vita da rifugiati, l’esilio e l’occupazione, che rappresentano il nucleo dell’esperienza nazionale degli altri palestinesi.

7 In questa sezione saranno analizzate alcune delle rivendicazioni dei palestinesi-israeliani e i fattori che essi percepiscono come discriminanti nei loro confronti (che vanno dall’educazione agli investimenti pubblici penalizzanti per gli arabi, dalla disuguaglianza nell’applicazione di alcune leggi alla violenza delle forze dell’ordine etc.). Sul tema: B. White, Palestinians in Israel: Segregation, Discrimination and Democracy , Pluto Press, London (2012). 8 Queste rivendicazioni rivestono un’importanza fondamentale nelle narrative degli artisti rap palestinesi- israeliani, che ricercano di sottolineare una comunanza di esperienze e di intenti tra tutti gli artisti palestinesi, alla ricerca di un’unita preclusa dalla storia e dalla politica. 9 Secondo Bhabha “Questi spazi in-between costituiscono il terreno per l’elaborazione di strategie del sé – come singoli o gruppo – che danno il via a nuovi segni di identità e luoghi innovativi in cui sviluppare la collaborazione e la contestazione nell’atto stesso in cui si definisce l’idea di società. È negli interstizi – emersi dal sovrapporsi e succedersi delle differenze – che vengono negoziate le esperienze intersoggettive e collettive di appartenenza a una nazione, di interesse della comunità o di valore culturale.” H. K. Bhabha, I Luoghi della Cultura , Meltemi Editore srl, Roma (2001); p. 12 10 Nadim M. Rouhana, Outsiders Identities… (2002)

46 Lo stato di Israele – che si è basato su istituzioni create dal movimento sionista nel periodo del mandato britannico 11 – nasce come coronamento degli obiettivi del movimento nazionale ebraico; tra di essi: l’incoraggiamento dell’immigrazione ebraica, l’acquisizione della terra, e infine la sovranità ebraica. Il neonato stato di Israele dunque incorporò i valori, gli obiettivi e le forze dominanti del movimento, trasformando molte delle istituzioni comunitarie ebraiche negli apparati dello stato. Come scrisse il famoso storico David Vital, questo è uno dei motivi per cui lo stato di Israele “è partito in orario” ed è riuscito a resistere e a sopravvivere alla guerra del 1948 12 . Il politologo Oded Haklai, che ha studiato in dettaglio la storia della popolazione palestinese- israeliana fa notare come, sebbene la dichiarazione di indipendenza di Israele avesse promesso ai palestinesi “accesso formale alla politica attraverso l’istituzione di procedure democratiche, la mancanza di neutralità dello stato lasciò questa minoranza ai margini dello stato ebraico” 13 . La marginalizzazione dei palestinesi-israeliani inizialmente non riguardò solo il piano economico, politico e sociale: dal 1949 fino al 1966 vissero infatti sotto amministrazione militare. L’applicazione della legge marziale comportava diverse restrizioni tra cui ad esempio la richiesta di permessi per spostarsi oltre una certa distanza dalla propria residenza; erano inoltre frequenti i coprifuochi, le detenzioni amministrative e, in alcuni casi, le espulsioni 14 . Nonostante la difficile situazione, i palestinesi-israeliani non si mobilitarono subito e rimasero fino alla fine degli anni ‘60 in una situazione di “quiescenza 15 ”. Agli inizi degli anni ‘70 il dissenso dei palestinesi- israeliani per la diseguaglianza e le discriminazioni a cui erano soggetti iniziò a esprimersi in forma organizzata, sebbene il principale attore politico – il partito comunista bi-nazionale Rakah – si concentrasse principalmente su una visione comunista, limitandosi a chiedere un’equa distribuzione delle risorse all’interno dello stato 16 . Come sostiene Haklai, a partire dagli anni ’90 la mobilitazione palestinese assunse un carattere sempre più etno-nazionale, che portava avanti diverse istanze e

11 Il mandato, istituzione che prevedeva il controllo temporaneo britannico sul territorio della Palestina, riguarda il periodo dal settembre del 1923 al maggio del 1948. 12 D. Vital, From ‘State Within a State’ to State , in Karsh E. (ed.), Israel: the First Hundred Years, vol.1 Israel Transition from Community to State , Frank Cass, London Portland OR (2000) 13 O. Haklai, Palestinian Ethnonationalism… (2011); p. 5 14 V. Féron, Palestine(s): Les Déchirures: de Nazareth à Bethléem , Le Félin, Paris (2002) 15 Definizione di I. Lustick in O. Haklai, Palestinian Ethnonationalism… (2011); p. 5 16 Tra gli obiettivi del partito vi era però anche il riconoscimento dei palestinesi come minoranza.

47 chiedeva il riconoscimento di diritti collettivi: il riconoscimento dei palestinesi come minoranza nazionale indigena spossessata, un cambiamento delle politiche dello stato in modo che non perseguissero più l’egemonia ebraica, e un maggiore spazio pubblico per i palestinesi-israeliani, che potessero finalmente gestire in maniera autonoma istituzioni che si occupano di cultura, educazione, vita religiosa e sociale. Le richieste dei palestinesi-israeliani nei periodi successivi proseguirono in quella direzione, e le recenti proposte elaborate da organizzazioni palestinesi in Israele – note come “Future Vision Document” (2007) – esprimono simili richieste, in aggiunta al riconoscimento del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi, l’abolizione del carattere ebraico di Israele e l’istituzione di uno stato palestinese a Gaza e nella West Bank 17 . Questa visione di un nuovo, possibile cambiamento nelle politiche di Israele riecheggia nei duri testi dei DAM, le cui critiche sono volte a generare riflessioni sullo stato delle cose per stimolare un cambiamento nella società in cui vivono.

1.1. Straniero nel mio paese.

Io non ho abbandonato la mia patria, la tragedia del mio popolo ha scritto per me il mio destino il mondo fino ad oggi ci tratta da Israeliani e Israele fino a domani ci tratterà da Palestinesi. Sono straniero nel mio paese

La canzone Ġar īb f ī Blad ī18 (Straniero nel mio Paese), contenuta nell’album Ihda (2006), è senza dubbio quella che meglio descrive la situazione di ambivalenza dei palestinesi-israeliani, in bilico tra due società, ma al di fuori di entrambe. In questo brano i DAM affrontano entrambe le parti che compongono la loro identità: dal testo emerge il loro rapporto con lo stato di Israele e con gli “altri” palestinesi, a cui i palestinesi israeliani rivolgono diverse istanze.

La relazione con Israele è espressa da molti versi all’interno del brano:

siamo ospiti dell’ingiustizia nelle nostre case, la situazione

17 Per approfondimenti sulle politiche dei palestinesi-israeliani e il nazionalismo palestinese in Israele vedere: O. Haklai, Palestinian Ethnonationalism in Israel , University of Pennsylvania Press, Philadelphia (2011) 18 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.155).

48 si è capovolta, ancora una volta siamo diventati ospiti

indesiderati, è il nostro destino rimanere

stranieri nella nostra terra, lontani dalla patria, a chi importa

la nostra pena? Una morte lenta corre nel nostro sangue, comandati

da un governo sionista democratico! Democratico

verso l’anima sionista, e sionista verso l’anima araba 19

La relazione dei palestinesi-israeliani con Israele è stata e continua ad essere spesso segnata da esperienze di esclusione e negazione, come suggeriscono gli artisti nei versi sopra. Pur percependosi e rappresentandosi come abitanti autoctoni, si sentono anche trattati come ospiti indesiderati, sensazione che deriva sia dall’atteggiamento nei loro confronti di gran parte dei loro concittadini ebrei, sia dalle sostanziali disuguaglianze sul piano economico e sociale. Gli investimenti nei servizi infatti, sono sostanzialmente sbilanciati a favore della componente ebraica: dal decoro urbano al servizio postale, dalle scuole ai servizi sociali; i quartieri palestinesi hanno inoltre frequenti problemi di accesso regolare a risorse quali acqua ed elettricità 20 . L’approccio di Israele verso i suoi cittadini palestinesi è essenzialmente sbilanciato: sebbene fornisca loro un margine abbastanza ampio di libertà politiche e servizi sufficienti per permettergli di considerare la cittadinanza un bene, la “democrazia” – con la quale s’intende (nei versi) pienezza di diritti piuttosto che la pratica politica – si applica pienamente solo nei confronti degli ebrei (l’anima sionista ). Nei versi citati, la band evidenzia la contraddizione di uno stato che si definisce sionista e democratico allo stesso tempo, suggerendo un’incompatibilità tra i due elementi. Secondo il geografo Oren Yiftachel, la definizione più calzante del sistema israeliano sarebbe quella di etnocrazia, ovvero un particolare tipo di regime che facilita l’espansione e il controllo di una nazione etnica dominante su un territorio e un ordinamento politico contestato. Molte etnocrazie 21 , tra cui appunto Israele, si presentano come democrazie: sostengono

19 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006) 20 Yacobi ci illustra l’esempio della città di Lyd, in cui i quartieri arabi mancano di infrastrutture, presentano problemi al sistema fognario, nell’accesso all’acqua e si trovano in condizioni di sovraffollamento e di grave degrado urbano. - H. Yacobi, “ Planning, Control and Spatial Protest: the Case of the Jewish-Arab Town of Lydd/Lod”, in D. Monterescu, D. Rabinowitz, Mixed Towns, Trapped Communities , Ashgate Publishing, Farnham (2007); pp.135-156 21 Ad esempio Sri Lanka, Malesia, Estonia, Latvia e Serbia.

49 meccanismi democratici come le elezioni, il sistema parlamentare, diritti civili come la libertà di movimento e mantengono dei media relativamente aperti. Nonostante la rappresentazione democratica, il regime etnocratico favorisce un’espansione non- democratica dell’etno-nazione dominante 22 . Le strategie volte a mantenere il dominio di una parte etnica a diversi livelli, si riflettono ovviamente sulla situazione dei cittadini. L’ebraicità dunque diventa un fattore determinante per essere effettivamente inclusi nell’identità nazionale e nella distribuzione delle risorse. In quest’ottica possiamo capire come l’elemento palestinese possa dunque essere percepito come esogeno, straniero , quando non una “quinta colonna”, una costante minaccia interna che mina il progetto di controllo da parte della componente ebraica.

23 La nazionalità azzurra non vale niente

Ci dice che siamo parte del popolo e il popolo ci fa sentire stranieri

[…] nega la mia esistenza, ha cancellato e continua

a cancellare i miei colori, la storia della mia gente e dei miei avi,

fanno il lavaggio del cervello ai miei figli che apprendono una realtà che non li rappresenta 24

Alla componente palestinese viene dunque negato un riconoscimento come gruppo nazionale, pur essendo in un certo senso esclusa dalla collettività israeliana. La loro esistenza in quanto palestinesi è spesso psicologicamente e politicamente negata; si tende invece a vederli come una serie di minoranze frazionate in sottogruppi, religiosi e non 25 ; lo stato di Israele ha spesso adottato differenti approcci nei confronti dei diversi sottogruppi, evitando addirittura di utilizzare l’espressione “minoranza araba” nei documenti ufficiali, preferendo utilizzare la definizione di “popolazione non-ebraica” 26 .

22 O. Yftachel, Etnocracy: Land and Identity Politics in Israel/Palestine , University of Pennsylvania Press, Philadelphia (2006); pp.11-12 23 La nazionalità azzurra si riferisce al colore delle carte d’identità israeliane. Sotto la voce “nazionalità” troviamo “ebraica” nel caso degli ebrei, e “altro” nel caso dei palestinesi musulmani e cristiani. H. Tawil-Souri, The Curse of a Blue ID (2005) http://www.helga.com/collections/reports05/report8.html (ultimo accesso 16/07/2012) 24 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006) 25 Ad esempio suddivisioni che comprendono drusi e beduini, cristiani e musulmani etc. 26 I. Peleg, D. Waxman, Israel’s Palestinians… (2011); pp.21-22

50 Questo, secondo Haklai, farebbe parte delle strategie dello stato per controllare la popolazione palestinese 27 . Le politiche israeliane rifiutano di concedere diritti ai palestinesi come gruppo o comunità unitaria, cosa che si riflette sia a livello culturale che identitario. In questo senso l’educazione svolge un ruolo di primaria importanza. Secondo alcuni studiosi che appartengono al conflict-critical approach – tra cui Bromley, Freire, Apple e Giroux – l’educazione può essere un meccanismo di controllo sociale utilizzato da gruppi dominanti come efficace strumento per controllare risorse economiche e culturali 28 - sebbene gli scopi dell’educazione siano molteplici 29 . Secondo questo tipo di approccio, attraverso l’educazione si può inoltre consolidare il dominio politico di un gruppo e legittimare narrative ad esso funzionali. Così come in altri progetti di state-building , anche in Israele il sistema educativo è stato visto anche prima della fondazione dello stato come un mezzo per portare avanti gli obiettivi politici del movimento nazionale sionista, che aveva portato allo sviluppo di un’identità nazionale ebraica e quindi alla fondazione dello stato stesso. Come in altri contesti nazionali (ad esempio la Giordania) nei confronti della popolazione palestinese interna, questo significava usare l’educazione come strumento per impedire lo sviluppo di una solida identità nazionale palestinese. Il sistema scolastico israeliano, le lingue d’insegnamento, i curriculum e i fondi stanziati sono divisi per le istituzioni ebraiche e palestinesi; sebbene questo possa dare una parvenza di adattamento alle differenze culturali e di pluralismo, lo scopo di questa suddivisione, secondo il sociologo Majid Al-Haj, sarebbe servire gli interessi del gruppo

27 Le strategie per il controllo dei palestinesi (e per impedirne dunque la mobilitazione) comprendono: l’isolamento della popolazione araba dalla maggioranza ebraica e il frazionamento della società araba per evitarne la cooperazione, la dipendenza degli arabi dallo stato per risorse politiche ed economiche e cooptazione delle elite arabe per la collaborazione con lo stato. - O. Haklai, Palestinian Ethnonationalism… (2011); p. 83 28 Studiosi che teorizzano il controllo sociale attraverso l’educazione: Bromley (1989), Freire (1985), Apple (1988), Giroux (1987). Il conflict-critical approach si oppone al positivist-functional approach , che vede nell’educazione uno strumento di sviluppo e cambiamento sociale, che crea una maggiore consapevolezza politica. Secondo Giroux il positivist-functional approach ignora la nozione di conflitto, di interessi opposti e controllo dello stato attraverso l’educazione. - M. Al-Haj, Education, Empowerment and Control. The Case of the in Israel, State University of New York Press, Albany (1995); pp. 5- 10 29 Lo stesso al-Haj sostiene che molti palestinesi-israeliani vedono nell’educazione un mezzo per migliorare le proprie condizioni, e lo stesso concetto è ripreso in alcune canzoni dei DAM.

51 dominante ebraico, mantenendo marginalizzata la componente palestinese. 30 Vi sono altre correnti che vedono l’educazione secondo una prospettiva diversa, ma l’analisi di al-Haj è quella che sembra maggiormente rispondere e avvicinarsi all’interpretazione dei DAM.

I DAM fanno parte di una schiera di artisti che hanno sfidato e sfidano il progetto di educazione nazionale che ha creato per loro una nuova identità, quella di “Arabi Israeliani” 31 . La frustrazione e la necessità di un cambiamento in questo senso sono evidenti nelle parole di Tamer:

Quando ero bambino ci hanno insegnato storia e poesia sionista e non abbiamo imparato la nostra storia e la nostra cultura. È una vergogna arrivare a 20 anni e pensare di non avere una cultura […] Ci sono bambini di 10 anni che ci ascoltano e noi gli insegniamo cosa non sono i sionisti 32 .

Uno degli obiettivi della band in un certo senso dunque è quello di educare i loro ascoltatori a una narrazione diversa da quella proposta dal sistema scolastico, o per lo meno stimolare i giovani a non fermarsi a quanto appreso a scuola e implementare e ampliare le proprie conoscenze con altri mezzi. Il brano segue con altre rivendicazioni della band:

Dimenticano che i nostri avi hanno costruito le fondamenta di questi palazzi e i nostri fratelli continuano a riparare le loro basi

e le loro basi sono degli arabi musulmani e cristiani

Altra gente di altri paesi mi grida “transfer”

Noi ci rivolgiamo alle leggi che calpestano

i nostri diritti, zittiscono la nostra voce, dentro la linea verde

distruggono le nostre case, la disoccupazione ci circonda 33

30 M. Al-Haj, Education, Empowerment and Control. The Case of the Arabs in Israel, State University of New York Press, Albany (1995) 31 Sunaina Maira, Palestinian Hip-Hop: Youth, Identity, and Nation… (2010) 32 T. Ishola, DAM: Torn from all sides , intervista disponibile sul sito ufficiale della band: http://www.damrap.com/interviews.html (ultimo accesso 18/07/2012) 33 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006)

52 In questi versi i DAM rivendicano la loro appartenenza alla terra abitata da secoli dai loro antenati, musulmani e cristiani, rivelando il paradosso della loro estraneità, concetto che ricorre in diversi brani della band: “sono nato qui, anche i miei nonni sono nati qui, non mi separerete dalle mie radici” 34 . Secondo la band quindi Israele – paese originariamente fondato sull’immigrazione – tratterebbe da stranieri gli stessi autoctoni, portando avanti delle strategie politiche che sottendono l’esclusione degli arabi, invitando più o meno esplicitamente al transfer . Risale al 2001 – periodo in cui le canzoni dell’album Ihda erano in fase di elaborazione – la proposta avanzata da Michael Kleiner (deputato del partito di destra Herut – the National Movement 35 ) alla Knesset, il parlamento israeliano, di istituire un “emigration package 36 ” consistente in una somma di denaro destinata ai palestinesi cittadini di Israele che avessero deciso di emigrare in un paese arabo, previa rinuncia della cittadinanza israeliana 37 . La proposta – che si inserisce nel quadro temporale della Seconda Intifada, momento in cui la tensione sociale all’interno di Israele era a livelli massimi – è comunque un esempio di come le reazioni di alcuni rappresentanti istituzionali israeliani auspicassero l’esclusione della componente palestinese. Anche Benny Morris – storico noto per i suoi libri che hanno contribuito a creare una visione critica del sionismo – in una sorprendente svolta politica addebitabile anch’essa agli sconvolgimenti politici in atto durante l’ Intifada di Al-Aqsa, si dichiarò favorevole a un eventuale futuro trasferimento dei palestinesi- israeliani (sebbene in gravi circostanze), da lui giudicati pericolosi per l’esistenza dello stato e definiti “una bomba a orologeria” “una potenziale quinta colonna” e “un emissario del nemico tra noi” 38 .

Dai versi riportati sopra traspare inoltre la sfiducia dei palestinesi-israeliani verso la legge che, secondo i DAM, non tutela i diritti dei cittadini palestinesi. Il riferimento alle demolizioni è un problema particolarmente sentito nella città di Lyd, come in altre città

34 DAM, Hun Anwalidat (Born Here), versione in ebraico, (2002) 35 Il partito storico Herut fu fondato da Begin nel 1948 e prese il nome di Likud nel 1988. In questa sede, col nome di “Herut – the National Movement” mi riferisco alla scissione interna al Likud del 1998 ad opera di Benny Begin, Michael Kleiner e David Re’em che fondarono questo nuovo partito. 36 Un “immigration package” è invece previsto per gli ebrei che volessero trasferirsi in Israele. 37 N. M. Rouhana, Outsiders Identities: Are the Realities of “Inside Palestinians” Reconcilable? (2002). – A. Gideon, ‘Emigration Packages’ for Palestinians dubbed racist, ‹‹Hareetz››, 22/11/2001 http://www.haaretz.com/print-edition/news/emigration-packages-for-palestinians-dubbed-racist-1.75359 (ultimo accesso 18/07/2012) 38 A. Shavit, Survival of the Fittest: an interview with Benny Morris , ‹‹Hareetz››, 9 gennaio 2004 L’intervista non è più disponibile sul sito di Hareetz, ma è stata copiata in diversi siti tra cui: http://www.amnation.com/vfr/archives/016585.html (ultimo accesso 22/07/2004)

53 con una forte componente della minoranza araba. In questa, come in altre canzoni, i DAM affrontano il problema, evidenziando l’ipocrisia dell’applicazione della legge israeliana nei confronti dei cittadini arabi. “Ogni giorno mi sveglio e vedo mille poliziotti, forse sono venuti ad arrestare uno spacciatore, è lì! No, sono venuti a distruggere la casa del suo vicino 39 ”; l’onnipresente polizia infatti, molto scrupolosa nell’occuparsi della questione abitativa nel quartiere, fa ben poco per combattere i ben più gravi problemi di droga e crimine 40 . Mentre Tamer mostra il suo quartiere racconta:

In tutta quest’area sono previste demolizioni […] il pretesto è che non hanno il permesso per costruire, ma allo stesso tempo loro non concedono i permessi”, e Mahmoud aggiunge: “Per far si che gli arabi non si espandano e non costruiscano su questa terra, così che i quartieri rimangano sovraffollati, il governo mette dei massi 41 .

Circa il 70% delle abitazioni degli arabi della città di Lyd non ha status legale, mentre molte altre sono state dichiarate illegali 42 . Dunque l’amministrazione ha il diritto di demolire le case per le quali ha ripetutamente negato il permesso di costruzione, spesso senza fornire alcuna motivazione, mentre poco lontano le costruzioni riservate ai cittadini ebrei proseguono senza intoppi.

Sebbene il rapporto con lo stato, dunque con la loro stessa cittadinanza, sia per i palestinesi-israeliani molto complicato, il rivolgersi alle leggi alla ricerca di una seppur improbabile tutela evidenzia come i palestinesi-israeliani non rifiutino né neghino la loro appartenenza allo stato, ma cerchino piuttosto di lottare dall’interno per il raggiungimento di un equilibrio nei diritti e nelle opportunità, oltre che per il riconoscimento degli errori passati. Fino ad allora, per loro lo stato non potrà essere altro che un mero erogatore servizi.

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39 DAM, Hun Anwalidat (Born Here), versione in ebraico, (2002) 40 Questo contesto sociale è molto simile a quello descritto dal regista Scandar Copti nel film Ajami (2009). 41 Slingshot Hip-Hop , Jackie Salloum (2009) 42 Dati non ufficiali forniti dall’organizzazione israeliana “Shatil” a Human Rights Watch (2011): http://www.hrw.org/news/2011/03/08/israel-stop-discriminatory-home-demolitions (ultimo accesso 13/04/2012)

54 Viva i cuori che fanno vivere le nostre radici (arabe) 43 , che ci chiamano

traditori!? No, no, no, no

Io non ho abbandonato la mia patria 44

In questi versi è racchiuso il disagio dei Palestinesi del ’48 nei confronti dei loro fratelli al di fuori della “linea verde”. L’ennesimo paradosso della loro condizione è infatti l’essere considerati traditori dagli altri palestinesi e arabi in generale ( le nostre radici ). Le motivazioni di questa diffidenza nei confronti dei palestinesi-israeliani risiedono in diversi fattori, ai quali i DAM controbattono con le loro argomentazioni. La presunta “israelizzazione” è una delle motivazioni della diffidenza. Il loro essere cittadini di Israele, che vivono fianco a fianco con il “nemico”, li rende sospetti di tradimento dal punto di vista culturale, come se la loro identità potesse in un certo senso essere cancellata o soppressa dallo stato, rendendoli dunque meno leali, meno autentici, meno palestinesi. I palestinesi-israeliani inoltre sono stati quasi sempre al di fuori dei movimenti nazionali palestinesi nati e sviluppatisi in diaspora, nei quali non sono stati rappresentati né loro né loro istanze 45 . Si trovavano dunque al di fuori degli obiettivi strategici del movimento, sebbene questo non significasse un’ immobilità politica. Inoltre come si è già detto, la loro condizione di cittadini israeliani ha fatto si che fossero loro risparmiate le più dolorose esperienze degli altri palestinesi quali l’occupazione e la vita da rifugiati. Sebbene siano stati sotto amministrazione militare fino al 1966, la loro situazione in seguito può dunque essere considerata in un certo senso privilegiata rispetto a quella dei palestinesi della West Bank o di Gaza.

la tragedia del mio popolo ha scritto per me il mio destino che il mondo fino ad oggi ci tratta da israeliani e Israele fino a domani ci tratterà da palestinesi 46 .

I DAM rispondono alle argomentazioni di chi li vede come traditori ribadendo la loro lealtà alla causa palestinese e sottolineando il fatto che la loro apparente condizione di privilegiati tra le varie anime del popolo palestinese è frutto del caso, e si caratterizza

43 N.d.t. 44 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006) 45 Nadim M. Rouhana, Outsiders Identities… (2002) 46 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006)

55 come sofferenza, come espresso nel brano: “la tragedia che vivo, è la mia parte della vostra tragedia” 47 . I palestinesi-israeliani dunque rivendicano dunque a tutti gli effetti la compartecipazione alla tragedia del loro popolo, sebbene vissuta in forme diverse e con diversa intensità.

Io sono straniero nel mio paese ma ringrazio Dio

perché sono attaccato alla mia cultura. Chiamateci traditori,

“arabi di dentro” o del ’48, ma abbiate comunque rispetto

Noi siamo le radici della Palestina 48

Sebbene i palestinesi-israeliani possano essere visti da alcune componenti del popolo palestinese con sospetto, nel mondo dell’hip-hop palestinese i gruppi provenienti da Israele sono comunque molto stimati; le dichiarazioni che seguono (del leader dei DAM e della rapper Abeer) evidenziano come questa stima sia importante per gli artisti palestinesi-israeliani, oltre a mostrare anche in questo contesto la loro controversa identità in-between :

A volte ci vergogniamo di essere del ’48. Certo, abbiamo il nostro orgoglio Palestinese, eppure sentiamo che c’è qualcosa che manca. Ci preoccupiamo che possano pensare ‘guardali, vivono con gli israeliani’, ma sentire che i Palestinesi fuori da Israele ci rispettano… Mi sorprende 49 (Tamer Nafar)

Ci hanno sempre detto che la gente a Gaza ci vede come dei collaboratori e pensa che ce ne freghiamo della situazione. Ma hanno parlato di noi 50 nella loro canzone e hanno detto che anche noi siamo prigionieri, questo mi dà speranza 51 (Abeer Zinati 52 )

Senza dubbio la crescente diffusione ad un pubblico sempre più ampio del rap prodotto dai palestinesi-israeliani, primi fra tutti i DAM – fondatori del genere in ambito palestinese – ha contributo a creare una rete di artisti e di pubblico tra i quali le

47 ' Un ādīkum , Tawfiq Ziad, citata nell’intro e nell’outro della canzone. 48 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006) 49 Slingshot Hip-Hop , Jackie Salloum (2009) 50 I PR, gruppo rap di Gaza 51 Slingshot Hip-Hop , Jackie Salloum (2009) 52 Palestinese-Israeliana e giovane cantante rap e R&B, nota col nome d’arte “Sabreena da Witch”. Collabora con diversi gruppi hip-hop, tra cui i DAM.

56 suddivisioni tra “categorie” di palestinesi è un fattore da superare, da lasciare al linguaggio di una politica in cui molti non si riconoscono più.

L’ultima strofa della canzone commemora gli eventi dell’ottobre del 2000, verificatisi durante la Seconda Intifada e ricordati come l’Ottobre Nero. Questi eventi furono senza dubbio la più grande dimostrazione di solidarietà e di partecipazione attiva al dramma dei loro fratelli da parte dei palestinesi-israeliani. Le manifestazioni dell’ottobre del 2000 furono emblematiche del difficile rapporto dei palestinesi-israeliani con lo Stato di Israele e rappresentano il momento in cui furono più vicini alla rivolta civile. Gli eventi dell’Ottobre Nero, sebbene frutto di antecedenti tensioni interne alla società israeliana, raggiunsero il loro apice in conseguenza delle uccisioni di 5 palestinesi a Gerusalemme in quello che può essere considerato il primo giorno dell’Intifada di al-Aqsa 53 . Le proteste iniziate precedentemente in forma di atti di disobbedienza civile come lo sciopero generale 54 , proseguirono in conseguenza degli eventi di Gerusalemme e presto si arrivò a violenti scontri tra manifestanti palestinesi e forze di sicurezza israeliane; furono coinvolti anche civili ebrei che scesero in strada lanciando pietre o dando fuoco ad alcune auto, decisi a reagire alle proteste arabe 55 . Nel giro di pochi giorni furono uccisi 13 palestinesi all’interno del territorio di Israele. Le cause degli eventi sono molteplici, ma i motivi della sollevazione dei palestinesi-israeliani potrebbero essenzialmente essere ricondotti a un fattore interno – la scarsa inclusione nella società israeliana e la rivendicazione di maggiori diritti – e a uno esterno – la solidarietà nei confronti dei palestinesi fuori dalla linea verde e lo sdegno per la violenta repressione della Seconda Intifada.

13 martiri, il destino è vicino

Quando le pietre sono nella mano, 13 martiri

l’altezza della nostra patria, la base della nostra patria

53 U. Graham, Uprising wipes off Green Line , ‹‹al-Ahram Weekly›› on-line , ottobre 2000 http://weekly.ahram.org.eg/2000/503/re6.htm (ultimo accesso: 16/04/2012) 54 Sciopero proclamato a Nazaret il 14 settembre 2001 dopo la morte di Nabieh Nussier: la ragione dello sciopero era la protesta verso l’incompetenza della polizia nella gestione della violenza e della criminalità. 55 “The Or Inquiry – Summary of Events”, Haaretz (2001) http://www.haaretz.com/the-or-inquiry-summary-of-events-1.291940 (ultimo accesso 16/04/2012) Il testo del report purtroppo è solo in ebraico

57 l’ottobre nero ha provato che il sostegno è nel nostro sangue 56

La copertura mediatica degli eventi dipinse la componente palestinese della società come violenta nella sua totalità, acuendo la paura, da parte dei cittadini ebrei, della slealtà della quinta colonna araba. La Commissione Or, istituita per far luce sugli eventi dell’Ottobre Nero, presentò il suo rapporto definitivo solo tre anni dopo: l’occasione di mostrare una volontà conciliatoria nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele fu però mancata, in quanto quasi nessuno dei responsabili 57 fu seriamente perseguito e non furono presi provvedimenti significativi volti a migliorare la situazione interna in Israele. Il rapporto costituì però il primo esplicito riconoscimento della discriminazione operata dal governo e dalla società israeliana nei confronti dei cittadini palestinesi, che fu indicata come una delle principali cause degli eventi 58 . La strofa finale della canzone Ġar īb f ī Blad ī commemora gli eventi dell’Ottobre Nero in un vero e proprio esercizio di stile, elencando i nomi dei caduti durante le manifestazioni all’interno delle strofe utilizzandoli come nomi comuni 59 .

1.1.1. Riferimenti e Citazioni.

Tra i numerosi riferimenti culturali della musica dei DAM, la poesia occupa un posto molto importante. In apertura e in chiusura della canzone “Straniero nel mio Paese” troviamo degli estratti di una delle più celebri poesie di Tawfiq Ziad, 'Un ādīkum (1966) “Vi Chiamo”.

Vi chiamo, e vi stringo le mani

Bacio la terra sotto i vostri piedi

E dico “mi sacrifico per voi” e vi offro la luce dei miei occhi

E vi do il calore del mio cuore. E la tragedia che

vivo, è la mia parte della vostra tragedia

56 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006) 57 In larga parte membri delle forze dell’ordine. Il ministro della Sicurezza Interna, Shlomo Ben-Ami fu considerato responsabile del comportamento delle forze di sicurezza e fu accusato di non aver saputo prevedere e controllare e controllare le rivolte. La commissione Or consigliò che fosse escluso dal ricoprire la stessa carica in futuro. – Shlomo Ben Ami. Insufficient Action; Sheikh Ra’ed Salah. Used Propaganda, ‹‹Haaretz›› 1 settembre 2003 - http://www.haaretz.com/news/shlomo-ben-ami-insufficient- action-sheikh-ra-ed-salah-used-propaganda-1.98868 (ultimo accesso 17/09/2012) 58 I. Peleg, D.Waxman, Israel’s Palestinians… (2011) 59 Vedere la traduzione completa in appendice, nella quale i nomi sono indicati in corsivo.

58 […] Non mi sono sottomesso

Sono stato fermo di fronte al mio oppressore

orfano, nudo, scalzo

E non ho abbassato le mie bandiere

Ho curato l’erba sopra la tomba dei miei antenati

Vi chiamo, e stringo le vostre mani. 60

Ziad, poeta e politico 61 , fa parte dei poeti della resistenza “dall’interno”, fattore che ha reso la sua visione della problematica sociale palestinese estremamente lucida. Sebbene non abbia raggiunto la fama internazionale di Mahmoud Darwish, rimane un punto di riferimento culturale molto importante per il popolo palestinese, e alcune sue poesie sono considerate dei veri e propri inni di resistenza. Questa poesia in particolare ha avuto un’incredibile diffusione anche grazie alla versione musicata dal libanese Ahmad Qa ʽbur, nota in tutto il mondo arabo 62 .

I versi “sono stato fermo di fronte al mio oppressore/ orfano, nudo, scalzo” non possono non ricordare il personaggio di Handala , una delle icone più celebri della sofferenza e della lotta dei palestinesi, citato dagli stessi DAM tra le loro fonti di ispirazione 63 . Il personaggio creato dal vignettista Naji al-Ali, è un bambino di circa dieci anni, ritratto con vestiti logori e scalzo come i bambini dei campi di rifugiati. Solitamente ritratto di spalle con le braccia incrociate dietro la schiena e il volto invisibile, Handala è testimone silente degli eventi; agisce talvolta scrivendo, lanciando un sasso, o porgendo un fiore. La sua età è quella che aveva l’autore quando fu costretto ad abbandonare la Palestina per fuggire in Libano. Apparso per la prima volta sulla stampa nel 1969, fino al 1973 64 il suo volto è diretto verso il lettore, ma da allora in poi sarà ritratto sempre di spalle, a simboleggiare il rifiuto di ingiuste soluzioni offerte al popolo palestinese. Handala è diventato il portavoce di un messaggio di condanna dell’occupazione, della corruzione e

60 Traduzione dell’autrice 61 Fu sindaco di Nazaret e fu eletto al Knesset nel 1973. 62 V. Khraiche Ruiz-Zorrilla, Tawf īq Zayy ād, promotor de la poesía de resistencia palestina del interior : el poeta y el político (2006) 63 Intervista di J. Salloum alla band in Slingshot Hip-Hop (2009) 64 Dopo la Guerra di Ottobre/dello Yom Kippur

59 delle violazioni dei diritti umani, e rimane un icona viva, anche decenni dopo la morte del suo creatore 65

Nel ritornello infine, troviamo un riferimento alla poesia “Munta ṣib al-Qāma, 'Amš ī66 ”.

Dove andrò

L’esilio ha occupato la mia casa

L’anima mi ha detto

‘l’abbraccio della tua gente protegge ciò che ti è caro’

Dove andrò

Ai miei fratelli non importa di me

L’anima mi ha detto

Cammino a testa alta 67

L’ultimo verso richiama il titolo della poesia di Samih al-Qasim, altro importante poeta e giornalista palestinese. La celebre poesia di al-Qasim è stata musicata dal libanese Marcel Khalife ed è entrata a far parte delle più famose canzoni della resistenza Palestinese.

65 F. Oweis, Handala and the Cartoons of Naji al-Ali: Relevance, Carachters, Symbols http://www.oweis.com/handala-exhibit.pdf (ultimo accesso 17/04/2012) 66 A differenza del resto della canzone, in dialetto palestinese, è riportato il verso in arabo classico. 67 DAM, Ġar īb f ī Blad ī, Ihda (2006)

60 2. Diaspora e Rifugiati.

Il termine diaspora , di origine greca, indica una nazione (o una sua parte), separata dal proprio Stato o territorio e dispersa in altre nazioni, che preserva la sua cultura nazionale 68 . Secondo Robin Cohen, sociologo e studioso delle diaspore, una diaspora si può considerare tale quando il gruppo umano preso in considerazione si trovi disperso su almeno due territori stranieri, coltivi una memoria collettiva, idealizzi il proprio paese natale, si impegni in maniera collettiva al suo mantenimento o alla sua creazione, abbia una forte coscienza etnica di gruppo e sviluppi un movimento di ritorno approvato collettivamente 69 . Una diaspora può avere origini traumatiche: in questo caso manterrà una coscienza di sé molto forte e durevole nel tempo. Prendendo in analisi la situazione palestinese, riscontriamo tutte queste caratteristiche che rendono dunque i palestinesi al di fuori del territorio storico della Palestina classificabili come una diaspora. Nonostante ciò, molti palestinesi rifiutano la definizione di diaspora come descrittiva della propria situazione, in quanto il termine avrebbe in sé una qualificazione di carattere statico 70 che potrebbe escludere la possibilità di un cambiamento 71 : in molti dunque preferiscono definirsi rifugiati 72 . La diaspora palestinese è una diaspora senza stato, recente e di tipo traumatico, ha cioè avuto origine come conseguenza di una serie di eventi destabilizzanti, il primo e il più

68 Definizione di S. Dubnow in E.Trevisan Semi, Le Diaspore: Esempi Storici e Modelli Interpretativi , Il Ponte, Bologna (2008); p. 8 69 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); pp.10-11 70 Il concetto di diaspora include però il riferimento a strutture e collegamenti trans-nazionali che sono non solo reali, ma anche estremamente importanti nel caso dei palestinesi. Secondo Hanafi la diapora non dev’essere considerata come negazione del rifugiato: nemmeno l’acquisizione della cittadinanza di uno stato dovrebbe annullare lo status di rifugiato. – in J.Peteet, Problematizing a , ‹‹International Journal of Middle East Studies››, 39 (2007) n. 4: p.635 ,”la cui radice significa “disperdersi ( ت) Il termine “diaspora” si traduce in arabo con šat āt 71 “disgregarsi”; probabilmente questo termine, che significa genericamente “dispersione” non ha in arabo le stesse connotazioni forti dei suoi equivalenti in altre lingue, e può dunque suggerire un’idea più transitoria. Viene utilizzato spesso anche il termine ġurba ( ), che potrebbe essere tradotto come “esilio”, anch’esso privo delle connotazioni di significato che rimandano al modello paradigmatico ebraico; il termine rimanda al viaggio, alla condizione di trovarsi in un paese straniero, lontano dalla patria. 72 La parola “rifugiato” in arabo è La ğī' ( ) e tra i vari significati della radice del verbo troviamo anche “costringere”, “forzare”; il termine dunque potrebbe richiamare alla mente non solo la necessità di asilo del rifugiato, ma anche la costrizione che è all’origine della sua condizione (contro la quale dunque si configura la resistenza del rifugiato). Il termine rifugiato designa un individuo che in seguito a vicende politiche è costretto a rifugiarsi in un paese straniero e diventa oggetto di norme internazionali volte ad assicurarne la protezione. (www.treccani.it) – La parola “rifugiato” ha inoltre implicazioni di diritto che non hanno equivalente nel termine “diaspora”.

61 importante dei quali è stato la Nakba 73 , o catastrofe, di cui è l’evento fondante. Durante la guerra del 1948 e del massiccio esodo di palestinesi 74 dalle terre occupate dagli israeliani ebbe origine la prima ondata di rifugiati e le successive, alle quali si aggiunse vent’anni dopo, durante la guerra del ’67, la parte di popolazione 75 che abbandonò Gaza e la Cisgiordania dopo l’occupazione di questi territori da parte di Israele 76 ; questi rifugiati, i loro discendenti e palestinesi spostatisi in seguito (per ragioni non necessariamente traumatiche) costituiscono la diaspora palestinese 77 .

La questione dei rifugiati costituisce uno dei punti centrali della questione palestinese: sebbene in passato potesse essere stata ipotizzata una risoluzione “naturale” del problema attraverso l’ assimilazione e l’assorbimento dei palestinesi nei paesi arabi vicini – affini per storia, cultura, lingua e religione – questa ipotesi si rivelò infondata; ad eccezione del caso della Giordania 78 infatti, i palestinesi rifugiatisi nei paesi arabi costituiscono, in modi diversi a seconda dei paesi, una comunità problematica e poco integrata, come si vedrà da alcuni esempi forniti in seguito. La diaspora in occidente invece, presenta caratteristiche diverse rispetto a quella in (vicino) oriente. I palestinesi presenti in Europa e in America 79 , che nella maggior parte dei casi vengono da passaggi precedenti in altri paesi arabi, sono generalmente ben integrati, godono di buone condizioni economiche e hanno un buon livello di istruzione 80 . La situazione dei palestinesi nel mondo ha dunque caratteristiche diverse, come evidenzia Helena Lindholm Shulz, studiosa della diaspora palestinese:

73 Se ne parlerà più avanti in occasione dell’analisi della canzone “al-Nakba 15/5”. 74 Vi è una notevole disparità nelle cifre a seconda delle fonti: sarebbero 520.000 secondo le stime israeliane, quasi un milione secondo quelle palestinesi. – B. Morris, The Birth of the Palestian Refugee Problem , 1947-1949, Cambridge University Press (1987); p. 297 Benny Morris ritiene che il numero che più si avvicina alla realtà sia da comprendere tra 600.000 e 750.000 persone, basando questo calcolo sulle fonti britanniche. 75 Circa altri 400.000 - M.Campanini, Storia del Medio Oriente , il Mulino, Bologna (2006): p.148 76 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.46 77 Stime del 2003 indicano 4.8 milioni di palestinesi in diaspora. - Palestinian Central Bureau of Statistics http://www.pcbs.gov.ps/Portals/_pcbs/PressRelease/abstract_e.pdf (ultimo accesso 24/07/2012) Le statistiche relative ai rifugiati palestinesi sono abbastanza problematiche in quanto si basano in gran parte sui rifugiati registrati presso l’UNRWA, e non tutti i rifugiati sono effettivamente registrati. 78 La Giordania attualmente detiene la popolazione palestinese maggiormente integrata in tutto il mondo arabo. Le relazioni tra palestinesi e autorità giordane non sono state sempre così serene in passato: non bisogna infatti dimenticare i dolorosi eventi del Settembre Nero (1970) – frutto di precedenti tensioni tra autorità palestinesi e giordane – in cui gli scontri tra le due parti raggiunsero l’apice, causando migliaia di morti. 79 Circa mezzo milione. 80 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.47

62 Le esperienze di vita dei palestinesi comprendono l’estrema miseria nei campi di rifugiati in Libano e la relativa agiatezza per gli intellettuali e i rappresentanti del capitale della diaspora Palestinese in Occidente e nel Golfo. Come per qualsiasi altra nazione c’è un abisso tra le diverse esperienze di vita in relazione alla classe di appartenenza. Tuttavia, la catastrofe del 1948, la condizione di rifugiati e l’essere senza stato dei Palestinesi costituiscono una realtà condivisa 81 .

Il trauma della Nakba, la condizione dei rifugiati e l’assenza di uno stato coincidente con la madrepatria costituiscono dunque le caratteristiche principali dell’esperienza diasporica palestinese. Nonostante le differenze, i palestinesi della diaspora si ritrovano d’accordo sulla necessità imprescindibile del diritto al ritorno 82 , che si decida di esercitarlo o meno; ovviamente questa necessità si fa più pressante e concreta in quei luoghi in cui i palestinesi vivono in condizioni più difficili e drammatiche.

Come si è detto sul piano socio-economico riscontriamo delle sensibili differenze tra la diaspora palestinese in oriente e in occidente, così come se ne possono riscontrare nella diversa percezione che i due gruppi hanno di sé, essendo inseriti in contesti diversi. I membri della diaspora nei paesi arabi hanno senza dubbio avuto minori difficoltà a preservare la propria cultura palestinese in quanto parte di una più vasta “cultura araba”; come abbiamo visto questo non si è necessariamente tradotto in maggiore integrazione (che dipende invece in gran parte dall’atteggiamento delle istituzioni del paese ospitante) ma ha evitato se non altro il dover fronteggiare una cultura “aliena” e dover ridiscutere molti aspetti della loro identità. Il problema dello scontro con una cultura distante, si è invece verificato nel caso della diaspora in occidente, i cui membri si trovano ad affrontare il dilemma tra integrazione o assimilazione nel paese ospitante e preservazione dell’identità collettiva palestinese 83 . In realtà l’integrazione e la preservazione dell’identità non si escludono necessariamente a vicenda, è però vero che la tutela del patrimonio culturale palestinese è molto sentito dai membri della diaspora in occidente, come vedremo più avanti durante l’analisi del brano “La Kefiah è Araba”.

81 H. L. Shulz, J. Hammer, The Palestinian Diaspora: Formation of Identities and Politics of Homeland , Routledge, New York (2003); p.84 82 La questione del diritto al ritorno sarà trattata più approfonditamente nell’analisi della canzone “al- Nakba 15/5” 83 Secondo Ma Mung, geografo e studioso delle diaspore, questa apparente contraddizione si risolverebbe con lo sviluppo di una cultura diasporica. – in E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.80

63 Numerosi studiosi 84 sostengono che il contesto diasporico ispiri o favorisca l’espressione artistica, che comprende anche la produzione musicale, oggetto di questa tesi. Come vedremo, il contesto geografico crea delle differenziazioni anche a livello tematico: gli artisti della scena rap della diaspora in occidente prediligono discorsi di denuncia e solidarietà verso gli altri palestinesi (che vivono situazioni dolorose loro risparmiate) e il tema della preservazione della cultura, mentre gli artisti della diaspora in medio oriente si concentrano più su racconti di sofferenza vissuta e critica della loro realtà locale. Come si è già detto l’atteggiamento del paese di accoglienza e il contesto giuridico in cui sono inquadrati i palestinesi è quello che determina lo strutturarsi della diaspora, l’ eventuale integrazione e le esperienze di vita. È bene dunque offrire qualche cenno della situazione dei palestinesi in alcuni stati arabi per meglio comprendere come ciò abbia portato a produzioni artistiche diverse anche nel campo della musica hip-hop; i diversi livelli di esclusione e di disagio socio-economico incidono infatti sulle scelte tematiche trattate dagli artisti e probabilmente anche sull’impatto dei brani nel panorama trans- nazionale dell’hip-hop palestinese.

La Giordania, l’unico paese arabo ad aver concesso la cittadinanza 85 , la parità e pieni diritti ai palestinesi 86 , è il paese in cui essi godono delle migliori condizioni di vita, anche dal punto di vista del benessere economico. I palestinesi-giordani hanno libero accesso al mondo del lavoro, alla sanità e all’educazione pubblica, hanno il diritto di possedere proprietà e beni immobili e solo una piccola parte di loro (il 20% circa) vive in campi profughi 87 . La sostanziale stabilità della situazione dei palestinesi e la loro integrazione nel tessuto socio-economico giordano fa sì che molti di loro si definiscano giordani di origine palestinese e immaginino il loro futuro nello spazio giordano; il

84 Tra cui Ma Mung, che mette in luce le potenzialità evocative e di creatività culturale di una diaspora. - in E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.81 85 La maggior parte dei palestinesi in Giordania ha acquisito la cittadinanza intorno agli inizi degli anni ’50. 86 Sebbene esistano delle categorie che hanno delle restrizioni, ad esempio alcuni palestinesi giunti in Giordania nel ’67. – Vedere schema categorie palestinesi in: O. al-Abed, in (2004) - http://www.forcedmigration.org/research-resources/expert-guides/palestinian-refugees-in- jordan/fmo025.pdf (ultimo accesso 17/09/2012) 87 A. Bolesta, Socio Economic Conditions of Palestinian Refugees in Jordan and Lebanon , Tiger Working Paper Series (2002) - http://www.tiger.edu.pl/publikacje/TWPNo35.pdf (ultimo accesso 26/07/2012). I campi profughi ufficiali, gestiti dall’UNRWA in Giordania sono 10, ai quali si aggiungono altri tre non- ufficiali.

64 diritto al ritorno per la maggior parte di loro sarebbe dunque una necessità di riconoscimento della realtà storica, più che una richiesta che esprima una vera volontà di ritorno effettivo 88 . Il benessere e la sostanziale assenza di recenti esperienze dolorose legate all’essere palestinesi ha fatto si che la produzione hip-hop palestinese in Giordania assumesse delle connotazioni simili a quelle della diaspora in occidente: non essendoci particolari rivendicazioni da rivolgere allo stato o alla società giordana (perlomeno in riferimento alla condizione dei palestinesi al suo interno 89 ) la produzione rap si concentra sulla solidarietà nei confronti dei palestinesi che vivono in condizioni di sofferenza, e sul sentimento diasporico. Il rap palestinese-giordano non ha però raggiunto i livelli di celebrità della produzione di artisti palestinesi in altri contesti 90 .

In Siria, sebbene non abbiano diritto alla cittadinanza (e dunque al voto), i palestinesi godono di diversi diritti; hanno accesso a sanità ed educazione pubblica gratuite, al mercato del lavoro, hanno diritto alla proprietà, sebbene con forti restrizioni 91 e hanno diritto a un documento di viaggio 92 . Sono bene integrati nel tessuto socio-economico siriano, cosa che ha permesso a molti di loro (si stima il 70%) di lasciare i campi profughi e di andare a vivere in città 93 . L’ostilità del governo siriano nei confronti di Israele è stata sempre accompagnata dal sostegno esplicito ai palestinesi che si è rivelato

88 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.51 89 Fanno eccezione alcuni rapper minori che hanno trattato la situazione nei campi di rifugiati. La critica allo stato si concentra invece generalmente sulla corruzione (e in questo senso è una critica che potrebbe venire indifferentemente da un palestinese e da un giordano). 90 Le informazioni sull’hip-hop palestinese in Giordania derivano dalla corrispondenza che ho intrattenuto con alcuni artisti, tra cui Tareq Abu-Kwaik (El-Far3i) e Khotta Ba. Il fenomeno del rap in Giordania è comunque più complesso di quello che appare e merita sicuramente ulteriori approfondimenti in altra sede. 91 I palestinesi in Siria hanno diritto alla proprietà di una sola casa per residenza privata; nel caso in cui un palestinese voglia acquistare un immobile per l’avvio di un’attività, l’acquisto deve essere effettuato formalmente da un siriano che può affidare il controllo al palestinese tramite contratto. 92 Il documento, che non è un vero e proprio passaporto, è concesso su richiesta dal governo siriano; il diritto alla mobilità non è dunque scontato, anche per la necessità di permessi e visti per paesi limitrofi (a differenza dei siriani). 93 In altri casi il campo si “urbanizza” e diventa parte della città: è il caso del campo non-ufficiale di Yarmouk, che nasce nel 1957 per accogliere rifugiati palestinesi che erano precedentemente sparsi tra moschee scuole e altri spazi pubblici. Le abitazioni dei rifugiati sono progressivamente migliorate e il campo è diventato col tempo sempre più grande: attualmente ospita la più grande comunità di rifugiati palestinesi della Siria. Le condizioni di vita nel campo di Yarmouk sono decisamente migliori rispetto a quelle negli altri campi di rifugiati del paese. – UNRWA http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=156 (ultimo accesso 26/07/2012)

65 spesso strumentale ad equilibri politici interni 94 . Nonostante la Siria si sia sempre posta in maniera positiva – più formale che sostanziale – nei confronti dei suoi “ospiti” palestinesi, non vede comunque di buon occhio le loro organizzazioni indipendenti e preferisce mantenere uno stretto controllo su attività di associazioni ed individui all’interno dello stato 95 . La situazione di controllo a cui sono sottoposti i palestinesi in Siria si riflette ovviamente anche sull’aspetto artistico della diaspora: gli unici artisti hip-hop palestinesi attivi in territorio siriano 96 tendono infatti ad evitare posizioni “pericolose” nei loro brani; si parla di Palestina, della vita a Damasco, ma sono assenti descrizioni della loro vita in quanto rifugiati o eventuali rimostranze nei confronti del governo 97 .

Il Libano invece è il paese arabo con la peggiore politica di integrazione verso i rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente. A causa del suo fragile equilibrio confessionale e politico si è rivelato il paese meno adatto ad accogliere i palestinesi nei propri confini nazionali, ed è stato inoltre il paese che ha sviluppato i maggiori problemi politici e sociali a causa della presenza palestinese al suo interno 98 . I rifugiati palestinesi in Libano costituiscono circa il 10% della popolazione e la maggior parte di loro vive nei 12 campi profughi 99 sparsi per il paese, in condizioni di vita estremamente precarie. Considerati stranieri dalle autorità libanesi, i palestinesi sono soggetti a numerose restrizioni: gli è richiesto un permesso di lavoro (spesso molto difficile da ottenere), è loro vietato l’accesso a più di 70 professioni 100 , come è vietato loro possedere delle proprietà al di fuori dei campi; inoltre non hanno diritto

94 Lo sbandierato sostegno verso i palestinesi non si è sempre affermato sul piano concreto: un esempio è costituito dall’atteggiamento del governo siriano durante la guerra civile in Libano, che cambiò strumentalmente fronte nel 1975 per perseguire i propri obiettivi politici, schierandosi di fatto contro i palestinesi. – Syria’s War on Palestinians, ‹‹Economic and Political Weekly››, vol.11 (1976)39; SONO 95 A. Bolesta, Socio Economic Conditions of Palestinian Refugees… (2002) Le condizioni socio-economiche e politiche interne hanno influenzato l’integrazione dei palestinesi in Siria, ma hanno scoraggiato espressioni istituzionali di un’identità nazionale palestinese separata. – L. Brand, Palestinians in Syria: The Politics of Integration , ‹‹Middle East Journal››, vol.42 (1988)4; pp.621- 637 96 I Refugees of Rap, di cui si è parlato nel primo capitolo e di cui si analizzerà in seguito una canzone. 97 Non escludo che il fatto che i due palestinesi membri della band vivano nel campo di Yarmouk, in condizioni di vita decisamente migliori rispetto ai loro connazionali negli altri campi, possa essere il motivo dell’assenza di rimostranze in questo senso. 98 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.49 99 Ma solo in 455.000 sono registrati con l’UNRWA - http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=65 (ultimo accesso 27/07/2012) 100 Tra cui lavori come ingegnere, avvocato, medico e farmacista, che sono prerogativa dei soli libanesi.

66 all’assistenza sanitaria e all’istruzione pubblica 101 . Tutta questa serie di restrizioni ha lo scopo di isolare i palestinesi dalla società, impedendogli qualsiasi tipo di integrazione, anche solo come cittadini di seconda categoria 102 . Dal difficile contesto libanese il rap palestinese ha saputo ricavare forza e ispirazione e attualmente diversi artisti sono attivi nella scena locale allo scopo di raccontare la loro condizione e le problematiche che vedono coinvolta la loro comunità. La scarsa integrazione dei palestinesi, i problemi della vita nei campi e la sofferenza generalizzata dei rifugiati si sono tradotti nel campo dell’hip-hop in una produzione artistica che ha conosciuto maggiore diffusione e coinvolgimento della comunità diasporica rispetto agli altri contesti esaminati.

I brani presi in considerazione in questa sezione sono tre: Benvenuto nei Campi , dei Katìbe Khamse e al-Nakba 15/5 degli I-Voice, band palestinesi in Libano, e La Kefia è Araba di Shadia Mansour, artista palestinese residente in Gran Bretagna.

2.1. Benvenuto nei campi.

Benvenuto, fratello, nei campi

Il campo in cui vivo resiste ancora, da solo

Le sue forme sono cambiate ma la sua lotta è rimasta la stessa

Sui muri annunci funebri per la gente normale

Il ricordo della Palestina e il resto dei resistenti

La canzone 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt103 (Benvenuto nei campi) è contenuta nell’omonimo album dei Katìbe Khamse 104 ed è senz’altro una delle più rappresentative del rap palestinese in Libano. La band è composta da 5 membri, 4 rapper palestinesi e uno originario della Sierra Leone: Moscow, C4, Jazzar 105 , Bobo e Molotov i loro nomi sul palco. Il gruppo nasce intorno al 2004 a Burj al-Barajneh, uno dei più grandi e vecchi campi di rifugiati del

101 Non potendo usufruire dell’istruzione destinata ai libanesi, l’istruzione per i palestinesi è assicurata dall’UNRWA, che pare però non essere in grado di venire incontro alle reali necessità educative dei molti rifugiati. – in A. Bolesta, Socio Economic Conditions of Palestinian Refugees… (2002): p.11 102 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.49 103 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.157). 104 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006) 105 “Macellaio” in arabo.

67 Libano 106 . Il campo costituisce lo sfondo della produzione musicale dei Katìbe Khamse 107 e il racconto della vita da rifugiati è sicuramente la tematica principe dei brani del gruppo; il campo viene descritto crudamente nelle sue condizioni di degrado:

Una casa senza tetto

Il progresso all’indietro

Muri, pubblicità

La guerra dei campi

Edifici distrutti da troppi spari

Le nostre strade sono labirinti pieni di insetti

Il suo (del campo) cielo è il paradiso

Pieno di paglia

Tutti i corpi dei morti affollati in un solo cimitero

Che Dio benedica le loro anime

Come molti altri campi in Libano, Burj al-Barajneh si trova in condizioni umanitarie drammatiche: si stima che ospiti più di 20.000 rifugiati ed è dunque sovraffollato, le sue strade sono strette e sporche, il sistema fognario vecchio e inefficiente, gli edifici si accavallano senza un senso e senza la minima pianificazione urbana, e i problemi con l’acqua e l’elettricità sono all’ordine del giorno. Gli edifici sono spesso mal costruiti a causa delle povere condizioni economiche della maggior parte dei residenti e delle restrizioni imposte ai palestinesi sulla costruzione e dunque sull’introduzione di materiali all’interno del campo. Nonostante le restrizioni, le costruzioni abusive aumentano con l’aumentare della popolazione: “Domani costruiranno un ponte, così come hanno costruito gli edifici prima 108 ”. Le case presentano condizioni sanitarie inadeguate a causa dei problemi con le fognature ( “acqua smetti di allagarci da sotto terra 109 ” dice un verso della canzone), inefficienza nello smaltimento dei rifiuti e

106 Il campo di Burj al-Barajne viene istituito nel 1948 grazie alla League of Red Cross Society, per ospitare i rifugiati fuggiti dalla Galilea verso il nord della Palestina. Si trova alla periferia sud di Beirut. – UNRWA http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=134%C2%A7 (ultimo accesso 29/07/2012) 107 Ma anche di altri artisti palestinesi in Libano, tra cui gli I-Voice. 108 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyamāt (2006) 109 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006)

68 periodiche infestazioni di ratti e insetti, che incidono dunque sulle condizioni di salute degli abitanti 110 . L’acqua e l’elettricità sono erogate in maniera discontinua, e molte famiglie ricorrono all’utilizzo di generatori elettrici, vecchi e malmessi, che spesso esplodono da qualche parte nel campo 111 ; gli allacci alla corrente sono ugualmente precari e pericolosi, spesso effettuati da persone senza esperienza semplicemente collegandosi all’intricato reticolato di fili che ostruisce la vista del cielo nel campo: “guarda verso il cielo e vedrai i cavi elettrici, se non avessi rubato una linea, come potresti vederli?112 ”.

Come in molti altri contesti oltre a quello palestinese, il campo, che nasce come rifugio provvisorio, diventa residenza permanente 113 per i rifugiati che cristallizzano nella struttura urbana il “ricordo della Palestina 114 ”: la mappa di un campo rispecchia il microcosmo della Palestina pre-1948, con i quartieri spazialmente organizzati per villaggi che “sono metonimie di posti che esistono nella memoria, tuttavia hanno un’esistenza sociale contemporanea 115 ”.

Al di là delle descrizioni del degrado del campo, nel brano troviamo uno spazio anche per il racconto di momenti di vita quotidiana, quasi normale:

Un uomo litiga con sua moglie e poi ci fa la pace

Delle madri sgridano i loro figli, ma sono pronte a sacrificare la loro anima per loro

Un ragazzo studia per far contenta sua madre

Un pittore disegna la mappa del campo e del suo panorama

Una ragazza incontra di nascosto il suo amante in mezzo alle rovine

Un ragazzo alza la musica al massimo e la spegne durante la preghiera

Gioventù perduta…

110 R.R. Habib, Policy and Governance in Palestinian Refugee Camps , American University of Beirut (2010) - http://www.aub.edu.lb/ifi/public_policy/pal_camps/Documents/memos/ifi_pc_memo04_habib_english.pd f (ultimo accesso 29/07/2012) 111 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012 112 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006) 113 Sul passaggio dal carattere provvisorio a permanente dei rifugiati vedere: S.Salvatici, Introduzione, in S.Salvatici (a cura di), Profughe , ‹‹Genesis››, vol.2 (2004)3; pp.5-20 114 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006) 115 J. Peteet, Problematizing a Palestinian Diaspora … (2007); p.640

69 La situazione della “gioventù perduta” è un'altra delle riflessioni che la band vuole introdurre con questo brano:

Per i giovani disgustati dalla vita

Che cercano di riempire il vuoto

[…]

Per i giovani stufi di andare nelle ambasciate

[…]

Perché la nostra gioventù affonda già nella disoccupazione e nell’inattività

Non c’è lavoro, non ci sono soldi

I bambini senza educazione

La gioventù palestinese dei campi subisce le conseguenze della difficile situazione socio-economica che colpisce i palestinesi in Libano. La disoccupazione è un problema molto grave all’interno dei campi, e si stima che più della metà dei rifugiati non abbiano un’occupazione 116 ; chi lavora, lo fa spesso illegalmente, ricevendo una paga minore del dovuto, o si dedica a lavori non specializzati (gli unici consentiti legalmente ai palestinesi), o porta avanti qualche attività commerciale all’interno del campo, arrangiandosi come può. Uno dei membri dei Katìbe Khamse spiega la frustrazione originata dalla mancanza di lavoro: “Come giovani palestinesi, arriviamo a un punto in cui finiamo la scuola e non c’è nulla di fronte a noi. Non c’è lavoro. Arrivi al punto di impazzire 117 ”. Lavorare in contesto libanese è, come si è detto, molto difficile; la maggior parte dei giovani dunque, finiti gli studi, ha due possibili strade da percorrere: cercare di lavorare all’interno del campo o provare a fuggire, come racconta Yaseen, giovane rapper di Burj al-Barajneh 118 :

116 UNRWA, Socio-economic Survey of Palestinian Refugees in Lebanon (2010); p. 7 - http://www.unrwa.org/userfiles/2011012074253.pdf (ultimo accesso 29/07/2012) 117 Y. Bayoumi, Refugee Rappers Voice Disgust at Lebanon Camps , Reuters, 27 ottobre 2007 - http://www.reuters.com/article/2007/10/29/us-lebanon-palestinians-rap-idUSL2310023320071029 (ultimo accesso 29/07/2012) 118 Amico dei Katìbe Khamse e membro della band I-Voice.

70 Le cose sono due: pensi al tuo futuro nel campo e vedi se è possibile realizzarlo, magari qualcuno ha qualche occupazione (di famiglia n.d.t.)… Altra gente inizia a pensare “me ne vado, non rimarrò qui” 119

Una strada per fuggire dal campo e dal Libano è dunque cercata da molti giovani palestinesi, ma pochi riescono a ottenere l’agognato visto per poter inseguire la speranza di una vita migliore. Così i molti “giovani stufi di andare nelle ambasciate 120 ” tentano qualsiasi cosa pur di andarsene, come spiega Yaseen:

Vogliono andarsene illegalmente, vogliono trovare qualcuno da sposare, o vogliono ottenere un visto da studenti […] pensano “voglio lasciare questo posto, non è il mio paese, non so cosa ci faccio qui” 121

Secondo i dati dell’UNRWA, i palestinesi con un livello più alto di scolarizzazione hanno maggiori possibilità di trovare un impiego 122 . Ma dato che la legge libanese proibisce ai palestinesi di frequentare le scuole pubbliche, se non previo pagamento di alte tasse che sono generalmente al di fuori della portata dei rifugiati, si capisce come questo tipo di percorso sia inaccessibile alla maggioranza. L’educazione per i palestinesi è uno dei servizi erogati dall’UNRWA, che assicura l’istruzione fino al livello poco più che elementare. Le condizioni in cui si svolge l’insegnamento spesso non sono delle migliori: classi sovraffollate, disordine e disillusione generale degli studenti nei confronti dell’educazione. Secondo Yaseen i giovani sono poco motivati allo studio, perché anche molti studenti universitari si ritrovano “ad appendere la laurea al muro e a guardarla 123 ” e non capiscono la necessità di investire tanto tempo nell’educazione. Altri giovani più motivati sono invece costretti ad abbandonare gli studi per sostenere economicamente la famiglia in difficoltà: è il caso di Mohammad, noto come TNT e compagno di Yaseen nella band I-Voice, che definisce il campo come “il cimitero del talento 124 ” che mortifica le speranze dei giovani e gli fa perdere fiducia in loro stessi.

Oltre che provvedere all’educazione, l’UNRWA si occupa anche della sanità e di alcuni servizi sociali; i palestinesi in Libano dunque, per molti aspetti della loro vita sono

119 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012 120 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006) 121 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012 122 UNRWA, Socio-economic Survey of Palestinian… (2010); p. 11 123 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012 124 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012

71 dipendenti da questa istituzione che non è sempre ben vista e spesso viene criticata. Anche nei versi dei Katìbe Khamse troviamo dei riferimenti alle Nazioni Unite e all’UNRWA:

Ci teniamo stretti alle Nazioni Unite, allora raccogli i sussidi

[…] Dio benedica l’UNRWA - la vogliamo alla presidenza!

che risolve i nostri problemi con una pastiglia di Panadol dalla clinica

Il riferimento ironico all’assistenza dell’UNRWA, giudicata inadeguata a fronte dei finanziamenti di cui gode, riflette una tendenza di critica comune tra i palestinesi in Libano, che hanno sollevato ripetutamente il problema della corruzione e della negligenza dell’agenzia: nel 2011 la Palestinian Human Rights Foundation ha accusato l’UNRWA di “disprezzo per le vite dei rifugiati palestinesi in Libano”; ci sono state inoltre diverse manifestazioni di protesta contro l’agenzia 125 . Le accuse di corruzione e di possibili appropriazioni di denaro da destinarsi a servizi ai palestinesi accomunano l’UNRWA e diverse ONG che operano nei campi:

Fino all’ultimo soldo che arriva, se lo rubano le associazioni,

hanno cambiato i loro uffici, ma in forma di partiti 126

e vediamo distruggere tutto ciò per cui abbiamo lottato

E la carne è distribuita solo a chi scandisce slogan

E ancora ridono di noi quelli che portano l’abito

E in un altro brano, dedicato alle ONG, cantano:

Associazioni: possiedono i soldi della nazione

125 M. Zahran, UNRWA: the Palestinians’ Worst Enemy , Gatestone Insitute, 21 marzo 2012 - http://www.gatestoneinstitute.org/2962/unrwa-the-palestinians-enemy (ultimo accesso 29/07/2012) Occupied Palestine- blog, UNRWA disregards Lives of Palestinian Refugees , http://occupiedpalestine.wordpress.com/2011/03/30/phrf-unrwa-disregards-lives-of-palestinian-refugees/ (ulitmo accesso 29/07/2012) M. Zaatari, Palestinian Refugees Protest against UNRWA , ‹‹The Daily Star - Lebanon››, 16 giugno 2012 - http://www.dailystar.com.lb/News/Politics/2011/Jun-16/Palestinian-refugees-protest-against-UNRWA- burn-flag.ashx#ixzz1oQjxmGX8 (ultimo accesso 29/07/2012) 126 La parola tanzim āt indica le organizzazioni civiche palestinesi, organizzate su base locale, informale e spesso basate su gruppi familiari o clan, che risulterebbero essere però espressione di diverse fazioni - S. Hanafi, T. Long, Governance, Governmentalities, and the State of Exception in the Palestinian Refugee Camps of Lebanon , ‹‹Journal of Refugee Studies››, 23 (2009) 2: p.142

72 Associazioni: si riprendono quello che ti danno

Associazioni: i papponi dei tempi moderni 127

La critica è dunque molto dura anche nei confronti delle ONG. Sembrerebbe insomma che coloro che dovrebbero sostenere la popolazione palestinese afflitta (UNRWA e organizzazioni non governative) in concreto non facciano l’interesse di coloro che sono chiamati ad aiutare 128 ; le associazioni in particolare tenderebbero a “partitizzarsi”, sostenendo questa o quell’altra fazione nella variegata realtà politica dei campi, cosa che si rifletterebbe anche a livello finanziario e nei servizi alla gente 129 . Le varie fazioni determinerebbero dunque, oltre alla sicurezza di un quartiere e l’accesso a determinati posti di lavoro, anche come indirizzare gli aiuti finanziari e altri servizi sociali, con la complicità delle associazioni 130 . Ci sarebbe inoltre la tendenza a

ridurre al silenzio le voci dei rifugiati da parte di agenzie di aiuti, organismi governativi e altri gruppi che sostengono di lavorare a loro nome, senza dare loro la possibilità di parlare per loro stessi 131

Gli interventi nelle comunità di rifugiati non sarebbero dunque pianificati, finanziati e implementati in maniera efficiente, dignitosa e collaborativa nei confronti della popolazione locale 132 , ma ricalcherebbero invece strutture di potere e clientelismi ad esse correlati.

127 Jam‘iyy āt (2006) 128 L’analisi di Le More (che si focalizza sui Territori) analizza le motivazioni e le conseguenze politiche degli aiuti esteri ai palestinesi, rivelando il fallimento nell’ottenere risultati tangibili e gli effetti contradditori originati dall’afflusso di ingenti somme per l’assistenza ai palestinesi; i fondi esteri, che dopo Oslo avevano il dichiarato obiettivo di supportare il processo di pace, promuovere lo sviluppo economico e sociale e la creazione di istituzioni, servirebbero a compensare un’effettiva mancanza di impegno diplomatico da parte degli stati finanziatori, senza dare ai palestinesi reali possibilità di sviluppo. Per approfondimenti: A. Le More, International Assistance to the Palestinians after Oslo: Political Guilt, Wasted Money , Routledge (2008). Sull’impatto degli aiuti economici vedere anche: M. B. Anderson, Do not Harm: How Aid Can Support Peace – or War , Lynne Rienne Publishers (1999) 129 Stando ad alcune delle conversazioni che ho avuto nel 2010 con alcuni palestinesi residenti in Libano, questa sembrerebbe un’opinione abbastanza diffusa nella loro comunità. 130 S. Hanafi, T. Long, Governance, Governmentalities… (2009) 2; p. 143 131 Silverman (2008) in S. Hanafi, T. Long, Governance, Governmentalities… (2009) 2: p.134 132 Ibid.

73 Ma nonostante tutte le difficoltà fronteggiate dai palestinesi in Libano “il campo resiste ancora, da solo 133 ” , come memoria materiale del dramma dei rifugiati e simbolo di una mai sopita richiesta di riconoscimento della Nakba e del diritto al ritorno.

2.2. Al-Nakba 15/5

La rivoluzione non si spegnerà mai

Cancella quanto vuoi la cartina ma mettitelo in testa

il popolo palestinese non rinuncia alla Palestina e al diritto al ritorno.

Il brano al-Nakba 15/5 134 è stato composto nel 2011 da Yaseen Kassem, membro della band I-Voice. Il gruppo, composto da Yaseen e Mohammad Turek, noto come “TNT”, nasce intorno al 2004, dopo un periodo di progetti separati dei due membri 135 ; il nome “Invincible Voice” è stato scelto per indicare “le voci dai campi palestinesi che non saranno messe a tacere 136 ”. Il percorso intrapreso dai due giovani è simile a quello dei Katìbe Khamse, avvicinatisi al rap grazie all’ascolto di altri gruppi palestinesi; le difficoltà della vita da rifugiati hanno portato Yaseen e TNT a raccontare la loro realtà e a portarla sul palco - “andare a un nostro concerto è come andare a una manifestazione 137 ” dice Yaseen – sebbene sottolinei la differenza di scenari nel panorama libanese, in cui si riscontra una differenza abissale nella ricezione del pubblico dei loro concerti a seconda che si svolgano in centro a Beirut o in un campo.

Il Libano è un po’ un posto strano, ci sono 18 religioni diverse, gente molto ricca e gente molto povera… Alcune persone capiscono la nostra situazione, altre no 138 .

Tra le numerose istanze portate avanti dalla band, che nei suoi brani si è occupata di temi abbastanza scomodi quali la violenza intra-palestinese e le fazioni palestinesi in

133 'Ahl ā fik bil-Mu ḫayyam āt (2006) 134 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.160). 135 Anche attualmente i due membri del gruppo compongono i pezzi separatamente, mixando occasionalmente le diverse parti o portando avanti progetti autonomi, in quanto Yaseen risiede al momento in Canada e Mohammad in Europa. 136 Lebanon Refugee Camp Inspires Palestinian Rap , ‹‹Al Arabiya News››, 16 settembre 2008, http://www.alarabiya.net/articles/2008/09/16/56692.html (ultimo accesso 30/07/2012) 137 Intervista dell’autrice a Yaseen (I-Voice), Bizerta, 9/05/2012 138 Ibid.

74 Libano 139 , il ricordo della Nakba e il tema del diritto al ritorno occupano un posto di rilievo. La memoria collettiva della Nakba continua a plasmare l’identità dei rifugiati palestinesi come popolo riunito attorno a un dramma comune, che si alimenta delle ingiustizie che ancora subisce. La Nakba viene commemorata il 15 maggio, in prossimità dei festeggiamenti dell’indipendenza di Israele 140 . Come suggerisce la canzone, ai festeggiamenti di una parte corrispondono il dolore, ma anche la risolutezza, dell’altra:

Da 63 anni siamo insediati nei campi

(Israele) festeggia l’indipendenza e noi giuriamo che ritorneremo alla terra

Nonostante il tempo trascorso dal primo esodo dei palestinesi, il desiderio del ritorno è più che mai vivo in Libano, tanto che il 60% dei palestinesi ha dichiarato di preferire di lasciare il Libano nel momento in cui ci fosse lo Stato Palestinese 141 . La richiesta del ritorno, mai concessa da parte di Israele (che ha sempre rifiutato di metterla sul tavolo delle trattative) secondo Gail J. Boiling – che analizza il rapporto tra il diritto internazionale e il diritto al ritorno – si basa su quattro fonti legali internazionali: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 142 , le cosiddette Humanitarian Law e Refugee Law, e la risoluzione 194 dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

139 Inkilab (rivoluzione) (2007) 140 La data della celebrazione dell’indipendenza di Israele non segue il calendario gregoriano ma il calendario ebraico, che ha base lunare. Per una discussione sulla scelta dei primi governi israeliani di celebrare l’indipendenza secondo la data ebraica, cfr. A. Marzano, Celebrare il giorno dell'indipendenza in Israele. Simboli, pratiche e costruzione dell'identità nazionale (1949-1958) , in (Baioni M.; Conti F.; Ridolfi M. a cura di) Celebrare la nazione. Grandi Anniversari e Memorie Pubbliche nella Società Contemporanea , (2012); pp.301-315 Le commemorazioni della Nakba sono tra le più importanti per i palestinesi, insieme a quelle del “Yawm al-Ard” (Land Day) che ricorre il 30 di marzo. 141 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p. 50 142 L’’art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni persona ha il diritto di abbandonare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese”. La Humanitarian Law è un corpo di leggi, comprendente la Convenzione di Ginevra, che stabilisce ciò che è lecito per gli stati in caso di guerra. Le Refugee Law sono leggi affini al Humanitarian Law, che si occupano dei diritti e della protezione dei rifugiati. L’art. 11 della risoluzione 194 recita: “Resolves that the refugees wishing to return to their homes and live at peace with their neighbours should be permitted to do so at the earliest practicable date, and that compensation should be paid for the property of those choosing not to return and for loss of or damage to property which, under principles of international law or in equity, should be made good by the Governments or authorities responsible”. G. J. Boling, The 1948 Palestinian Refugees and the Individual Right of Return: an International Law Analysis , BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights (2001)

75 All’inizio della seconda strofa vengono scanditi i nomi dei campi di rifugiati in Libano intervallati da un verso del ritornello, che rappresenta il fulcro della canzone: “non c’è alternativa al diritto al ritorno 143 ”, quasi a voler ricordare con la sua cadenza quasi ossessiva, che in anni di conflitti e negoziati ancora non si è risolto il dramma che i rifugiati vivono in questi luoghi.

Rashidyye, Burj ash-Shamali, al-Mye ou Mye, Burj al-Barajne

al-Ba ṣ, ‘eyn al-Helwe, non c’è alternativa al diritto al ritorno

Mar Eli ās, Sabra e Shatila, Nahr al-Bared

al-Baddawi, al-Jalil… Non c’è alternativa al diritto al ritorno

Tal al-Bahr, Shabriha…

Come visto in precedenza, anche in questa canzone il campo è emblema della memoria e diventa il simbolo “vivente” della necessità imprescindibile del ritorno, ma anche dell’ostinata resistenza che i palestinesi continuano ad opporre allo stato delle cose dopo tanti anni:

Per ognuno che uccidete in cambio ne porteremo altri dieci

Porteremo la causa come un incarico e non ci rinunciamo

Si chiedono perché ancora lottiamo

Non sanno che alzo la testa perché sono palestinese

Rifiuto la naturalizzazione

Tornerò in Palestina

Tornerò ad Akka così come i musulmani devono andare alla Mecca

Nei versi riportati sopra troviamo la frase “rifiuto la naturalizzazione” che esprime la posizione generale dei palestinesi in Libano rispetto a questo problema. La naturalizzazione ( tawt īn) è un tabù per molti palestinesi, in quanto significherebbe stabilizzare la propria situazione all’interno dello stato, rischiando di indebolire la causa o accantonare la lotta. La politica libanese del resto non si muove minimamente in questa direzione (incontrando per una volta l’approvazione dei palestinesi), ha anzi

143 Yaseen, al-Nakba 15/5 (2011)

76 spesso utilizzato lo spauracchio del tawt īn per frenare eccessive estensioni dei diritti civili dei palestinesi. La canzone continua:

Chiedendo un mio diritto sono diventato un criminale

e l’occupante è diventato un pacifista

Imbroglia e parla di democrazia

ma la colonizzazione è la loro base

Le vostre guerre per il commercio di petrolio e l’uccisione degli indigeni nel loro paese

La schiavitù l’avete fatta voi, e voi avete inventato Bin Laden

Guarda che coincidenza, che tempismo nel predisporre un altro nemico

Pensa un po’ alla storia, un discorso reale, e trovi

un nuovo medio oriente, il progetto va ancora avanti

Io non dimentico, ma perché il mondo dimentica?

Nei primi versi riportati sopra notiamo un artificio stilistico abbastanza comune nel rap palestinese 144 in cui si mette in luce il capovolgimento di ruoli nel conflitto e la strumentalizzazione dei ruoli di criminale e vittima (che in questo caso diventa addirittura pacifista). Il discorso portato avanti nei versi sopra sembra rivolto al contempo a Israele (l’ occupante ) e agli USA, che hanno utilizzato schiavi per secoli e, secondo l’artista, hanno creato Bin Laden, il loro stesso nemico; l’uccisione degli indigeni menzionata nel verso è riconducibile sia ad Israele che agli americani 145 . Israele e USA sarebbero dunque complici 146 , nell’ottica dell’artista, nell’attuazione un progetto imperialista, portato avanti anche attraverso le guerre e la tempestiva scelta di nuovi nemici, con

144 Lo vedremo anche nella canzone “Chi è il Terrorista” dei DAM, che sarà analizzata in seguito. 145 Durante l’intervista Yaseen ha dichiarato che dopo essersi trasferito in Canada si è aperto maggiormente ad altre realtà: visitando delle riserve di nativi ha notato la somiglianza con i campi profughi e ha iniziato a riflettere sulle politiche globali di oppressione delle minoranze. – Intervista con l’autrice, Bizerta, 9/05/2012. 146 Un collegamento simile tra gli USA e Israele viene fatto dai DAM nella canzone “M ā l ī ḥurriye” (Non ho libertà). Riferendosi a Israele gli artisti dicono che “gli USA ne hanno fatto il loro 51 stato, ripulendo il medio oriente dai suoi indiani”. La canzone è contenuta nell’album Ihda (2006).

77 l’obiettivo di creare “un nuovo medio oriente” in cui la popolazione e le risorse del territorio siano sotto il loro controllo.

Nel ritornello e nell’ultima strofa si fa riferimento a fatti recenti, accaduti il giorno della commemorazione della Nakba:

Il giorno della Nakba, il 15/05

in 51.000 ritornano in marcia verso la Palestina, e una sola parola:

Non c’è alternativa al diritto al ritorno

[…]

I palestinesi della periferia e ogni palestinese non sacrifica la causa

Per i martiri da prima del ‘48 al 15/05

Non c’è alternativa, non c’è alternativa al diritto al ritorno

Gli eroi di Mar ūn ar-Ras, Majdal Šams e dell’Egitto

di Gaza e della Cisgiordania

La rivoluzione non si spegnerà mai

Il giorno del 63esimo anniversario della Nakba, il 15 maggio del 2011, si tennero come di consueto diverse commemorazioni della catastrofe palestinese. Secondo alcuni 147 tuttavia, l’aria di rivoluzione che pervadeva il mondo arabo in quel periodo è stata una forte spinta anche per i palestinesi, che si è tradotta in manifestazioni molto più eclatanti rispetto agli anni precedenti. Le proteste, sorprendentemente coordinate anche grazie a diversi appelli sui social network 148 , hanno portato per un giorno la primavera araba a toccare direttamente Israele. Dal Libano, dal Golan in Siria, dalla West Bank, da Gaza e dall’Egitto diverse migliaia di manifestanti (gli eroi citati nei versi sopra) si sono recati verso il confine israeliano in un simbolico tentativo di ritorno, al quale è seguita la prevedibile reazione dell’esercito israeliano, che ha causato diversi morti 149 e feriti 150 .

147 A. Zirulnick, Nakba Protests bring Arab Spring to Israel’s Doorstep , ‹‹The Christian Science Monitor››, 16 maggio 2011 - http://www.csmonitor.com/World/terrorism-security/2011/0516/Nakba- protests-bring-Arab-spring-to-Israel-s-doorstep (ultimo accesso 31/07/2012) 148 Una pagina facebook, attualmente rimossa, invitava i palestinesi a iniziare la “Terza Intifada”. 149 10 morti in Libano a Mar ūn ar-Ras, 4 a Majdal Šams sul Golan (Siria).

78 Le località nominate nel testo della canzone sono quelle in cui hanno avuto luogo le principali manifestazioni. L’autore della canzone guarda a questi eventi con un misto di dolore e speranza, in quanto sono stati sì dolorosi, ma sono anche il segno della volontà, mai sopita, di portare avanti la causa palestinese e di ricordare al mondo la richiesta del diritto al ritorno, come sottolineano gli ultimi versi: “il popolo palestinese non rinuncia alla Palestina e al diritto al ritorno” .

2.3. La kefiah è araba.

Così sono stata cresciuta, tra l’Oriente e l’Occidente

Tra due lingue, tra il ricco e il povero

Ho visto la vita da entrambi i lati

Sono come la kefiah

In qualunque modo mi indossi, dovunque mi tolga,

Le mie origini rimangono palestinesi

Shadia Mansour, la first lady dell’hip-hop palestinese, nasce a Londra in una famiglia cristiana originaria di Haifa e Nazaret. I genitori, attivisti impegnati nella causa palestinese, hanno trasmesso a Shadia fin da piccola l’amore per la patria di origine e la pressante necessità di parlare del problema palestinese che lei ha tradotto in musica.

Nascere in occidente ha senza dubbio comportato un processo graduale di accomodamento delle due culture che hanno plasmato la sua identità, come intuiamo dai versi del brano “La kefiah è araba” 151 riportati sopra, che sono emblematici delle condizioni di ibridità proprie delle diaspore che “possono prefigurare delle nuove negoziazioni inter-culturali e dei meticciati culturali 152 ”. Nel definire l’essere palestinesi Edward Said – importante intellettuale palestinese vissuto a New York – scrisse: “credo che per rappresentarci debbano essere usate forme di espressione essenzialmente non

150 E. Bronner, Israeli Troops Fire as Marchers Breach Borders , ‹‹The New York Times››, 15 maggio 2011 - http://www.nytimes.com/2011/05/16/world/middleeast/16mideast.html/?_r=1&pagewanted=all (ultimo accesso 31/07/2012) 151 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.161). 152 E.Trevisan Semi, Le Diaspore… (2008); p.13

79 convenzionali, ibride e frammentarie 153 ”. In questo processo di negoziazione di identità Shadia Mansour sottolinea che dietro la sua condizione di ibridità le sue origini palestinesi rimangono comunque salde, sebbene in gioventù la mancanza di riferimenti culturali condivisi con i suoi coetanei l’avesse fatta sentire smarrita: “ero veramente araba, veramente palestinese, quando ero a casa con la mia famiglia, ed ero veramente smarrita quando stavo a scuola – in termini di chi ero, da dove venivo 154 ”. Con la maturità arrivò anche una maggiore consapevolezza di sé e del ruolo positivo della sua ibridità in quanto membro della diaspora, che le permette di agire come ponte tra due culture: da qui la decisione di affrontare anche argomenti importanti e sensibili relativi alla cultura e alle questioni di genere nel mondo arabo; secondo Shadia, gli artisti della diaspora, che sono esposti ad altre culture, hanno la responsabilità di parlare di queste questioni, tenendo presente che la consapevolezza e l’eventuale cambiamento sociale – che sfidano la chiusura mentale nelle comunità conservatrici – si possono raggiungere in maniera migliore attraverso l’educazione e il dialogo, e non attraverso la provocazione 155 . Il viaggio e la permanenza nella West Bank nel 2008 l’aiutarono a rafforzare il rapporto con le sue radici e a capire da vicino la complessa realtà palestinese, aiutando lo sviluppo del suo spirito critico: “Ho lasciato che fossero le mie emozioni a guidarmi in passato, ero a favore di qualsiasi cosa contrastasse Israele (…) adesso sono più selettiva e critica 156 ”. Il contatto diretto con la realtà della West Bank la aiutò inoltre dal punto di vista artistico, conferendo maggiore realismo ai suoi brani.

Il brano che prendiamo in considerazione, oltre ad essere espressione della complessità della situazione diasporica dei palestinesi in occidente, è prima di tutto un grido in difesa del patrimonio culturale palestinese. La canzone “La kefiah è araba” è stata infatti composta nel 2010 in risposta alla commercializzazione e diffusione di una versione “remix” della kefiah palestinese ad opera di Shemspeed, etichetta e compagnia di distribuzione con sede negli USA. Questa kefiah, decorata con un motivo a stelle di Davide e la scritta “la nazione di Israele vive” in ebraico, si proponeva come alternativa israeliana all’originale palestinese, diventata accessorio di moda tra i giovani hipster di

153 E. Said citato in H. L. Shulz, J. Hammer, The Palestinian Diaspora… (2003); p. 181 154 J. L. Andersen, The Passion, Politics and Power of Shadia Mansour , ‹‹ Middle East››, 4 settembre 2011 - http://www.rollingstoneme.com/index.php?option=com_content&view=article&id=630 (ultimo accesso 01/08/2012) 155 J. L. Andersen, The Passion, Politics… (2011) 156 J. L. Andersen, The Passion, Politics… (2011)

80 tutto il mondo. Oltre a protestare in generale contro la deriva “modaiola” della kefiah – che pure la spoglierebbe del suo significato politico – Shadia Mansour si concentra particolarmente sulla versione israeliana, evidenziando l’assurdità del tentativo di appropriazione di un simbolo arabo e palestinese per trasformarlo in motivo di ostentazione nazionalista israeliana. Rivolgendosi ai cugini ebrei Shadia canta:

Per questo indossiamo la kefiah, quella bianca e nera

Da tempo ci giocano e la indossano come fosse una moda

Per quanto siano creativi, per quanto ne cambino il colore

Una kefiah araba rimarrà sempre araba

La nostra kefiah, la vogliono. La nostra cultura, la vogliono.

La nostra dignità, la vogliono. Tutto ciò che è nostro, lo voglio.

No, non taceremo davanti a loro, non glielo permetteremo

La kefiah dunque diventa per l’artista l’ultima di una lista di tentativi di appropriazione e furti da parte israeliana, che va dalla terra alle curiose dispute sulla paternità dell’hummus 157 . Sebbene gli autori della discussa kefiah si siano giustificati adducendo motivazioni quali l’origine araba di molti ebrei (la kefiah farebbe dunque parte anche del loro patrimonio 158 ) o la trasformazione di un simbolo politico per l’invito alla ricerca di un terreno comune di dialogo, ai palestinesi è semplicemente apparsa come l’ennesima espropriazione e provocazione gratuita. Mark Israel, creatore di una kefiah simile nel 2006, fu forse meno ipocrita ammettendo i motivi esplicitamente nazionalisti (che mal celavano quelli più spudoratamente commerciali) che lo avevano spinto alla creazione dell’accessorio:

157 In campo culinario la battaglia tra arabi e ebrei si è giocata negli ultimi anni in una competizione sia per il record mondiale di produzione di humus che per la paternità stessa del piatto; i libanesi lamentavano la commercializzazione da parte di Israele di diversi piatti arabi, spacciati per israeliani. – R. Brion, Lebanon Takes World Hummus, Falafel Records from Israel , 10 maggio 2010 - http://eater.com/archives/2010/05/10/lebanon-takes-biggest-hummus-record-away-from-israel.php (ultimo accesso 01/08/2012) 158 Uno degli ideatori della kefiah israeliana spiega: “La mia famiglia è originaria dello Yemen […] Gli ebrei indigeni del medio oriente, così come la mia famiglia hanno indossato alcune variazioni della kefiah per migliaia di anni. Come ebreo non mi sento offeso dal Papa che indossa una kippah, per lo stesso motivo non vedo ragione per nessuno di offendersi se un ebreo indossa una versione della kefiah in cui si identifica […] Il nostro remix israeliano della kefiah è solo un’altra versione di una sciarpa indossata dai nostri fratelli per migliaia di anni”. - R. Mackey, An ‘Israeli Remix’ of a Palestinian Scarf , ‹‹The New York Times››, 8 febbraio 2010 - http://thelede.blogs.nytimes.com/2010/02/08/a-new-israeli-remix-of-a- palestinian-scarf/ (ultimo accesso 01/08/2012)

81 La kefiah è diventato un accessorio alla moda, ma ha delle ovvie connessioni con la causa araba, impedendo agli ebrei di indossarla. Abbiamo voluto creare una versione ebraica/israeliana che permettesse a chi la indossa di identificarsi con Israele e allo stesso tempo essere alla moda 159 .

La risposta musicale di Shadia afferma il suo legame profondo con la kefiah, “Prendi nota, sono Shadia Mansour e la kefiah è la mia identità 160 ” in un verso che ricorda una poesia di Mahmoud Darwish 161 , ancora una volta importante riferimento nel mondo del rap. La Mansour vuole ribadire le origini arabe della kefiah per spiegare perché gli israeliani non possano farla propria: “Prima che indossiate la kefiah, siamo venuti a ricordarvi chi siamo (…) questa è la nostra kefiah 162 ”. La kefiah, indossata nel mondo arabo per secoli, è diventata un simbolo del nazionalismo palestinese a partire dalle sollevazioni degli anni ’30 163 , e si è consolidata come icona della resistenza palestinese negli anni ’60, quando Arafat ne fece il suo segno distintivo, indossandola in tutte le occasioni pubbliche 164 . La kefiah dunque non può essere spogliata né delle sue “caratteristiche palestinesi”, né dei suoi connotati politici. Nei suoi concerti Shadia Mansour, come la maggior parte dei rapper palestinesi, non manca mai di indossarne una, insieme al ṯawb , abito tradizionale femminile, riaffermando sul piano estetico ciò che esprime a parole:

Per questo indossiamo la kefiah - perché siamo patrioti – la kefiah è araba

Per questo indossiamo la kefiah – la nostra identità fondamentale - la kefiah è araba

Dai, sollevate la kefiah – sollevatela per me - la kefiah, la kefiah è araba

Sollevatela per Bil ād aš-Šām, una kefiah araba, resterà sempre araba

Il “Bil ād aš-Šām” nominato nel verso sopra è l’espressione araba che indica la cosiddetta “Grande Siria”, ovvero l’area del levante che comprende Siria, Libano, Giordania e Palestina; il termine sottende un concetto di unità che potrebbe richiamare

159 R. Mackey, An ‘Israeli Remix’ of a Palestinian Scarf… (2010) 160 al-Kufiyye ‘arabiyye (2010) 161 La poesià è Carta d’Identità (1964) i cui versi di apertura dicono “Sa ğğ il, 'ana ‘arab ī” (Prendi nota, sono arabo): il verso della canzone è invece “Sa ğğ il, 'ana Šadia Man ṣūr”. 162 al-Kufiyye ‘arabiyye (2010) 163 Le rivolte del 1936-1939 contro la dominazione britannica e l’immigrazione ebraica. 164 C. Nelson, ‘Star of David’ Keffiyehs Set to Create Next Culture Conflict , ‹‹The National››, 2 febbraio 2010 - http://www.thenational.ae/news/world/middle-east/star-of-david-keffiyehs-set-to-create-next- culture-conflict (ultimo accesso 01/08/2012)

82 alla mente ideali pan-arabisti, che sembrerebbero condivisi dalla Mansour, se non sul piano politico, almeno su quello culturale, come si evince da questi versi che esaltano il patrimonio arabo:

Non c’è nessuno come il popolo arabo

Mostratemi una nazione nel mondo che abbia avuto più influenza

L’immagine è chiara, noi siamo la culla della civiltà

La nostra storia e le nostre tradizioni sono testimoni della nostra esistenza

Il rapper iracheno-canadese The Narcisyst, che collabora con la Mansour ha dichiarato: “La kefiah rappresenta la lotta, adesso più di prima. All’inizio rappresentava il nazionalismo, ma per la nostra generazione significa l’unità della nazione” 165 . La tendenza a utilizzare riferimenti al pan-arabismo non è insolita nel caso della diaspora palestinese in occidente – parte della più ampia diaspora araba - che si ritrova inserita in un sostrato culturale tendenzialmente estraneo e trova dunque terreno comune con gli altri arabi provenienti da altri stati; un simile atteggiamento di “unità” è difficilmente riscontrabile, come si può facilmente immaginare, in quei contesti arabi che discriminano i palestinesi, quale il Libano. Julie Peteet, nella sua analisi sulla diaspora palestinese, ci offre una chiave di lettura di questo fenomeno:

Il pan-arabismo, il nazionalismo arabo e l’identità araba forniscono un'altra dimensione critica della diaspora che si applica ai palestinesi. L’alterità per i palestinesi può essere contingente a particolari configurazioni di potere e di status giuridico 166 .

A seconda del contesto in cui è inserito il palestinese percepisce in maniera più o meno rilevante la sua alterità rispetto agli altri arabi, percezione che appare dunque attenuata nel contesto della diaspora in occidente.

Gli ultimi versi della canzone, cantati in inglese da M-1, rapper e attivista statunitense e membro del gruppo , completano la canzone, quasi a voler simboleggiare l’effettività di quel “ponte” che la diaspora in occidente aspira a creare: uno degli scopi più importanti è senza dubbio la divulgazione del messaggio anche al pubblico non

165 Nel senso arabo di “ 'Umma ”. J. L. Andersen, The Passion, Politics… (2011) 166 J. Peteet, Problematizing a Palestinian Diaspora … (2007); p.642

83 arabo, cosa resa possibile in questo caso dall’uso dell’inglese; inoltre il brano acquisisce una maggiore credibilità grazie alla presenza un artista non palestinese che decide di fare propria questa causa, definendo la kefiah addirittura “la mia bandiera 167 ”. M-1 esprime solidarietà verso il popolo palestinese, sottolineando come nel sostegno di questa causa non ci sia niente di criminale, nonostante la propaganda di un certo tipo di media voglia farlo pensare “sono dalla parte dei palestinesi, questo fa di me un terrorista? 168 ”, invitando anzi la gente a prendere una posizione “fammi sapere da che parte stai 169 ”.

Le frequenti collaborazioni di Shadia Mansour anche con artisti non arabi le hanno permesso di raggiungere un pubblico non necessariamente coinvolto nella causa palestinese o consapevole politicamente. Se nel caso della diaspora nei paesi arabi, della West Bank e di Gaza è stata la causa palestinese il motore che ha portato il pubblico arabo all’hip-hop, nel caso della diaspora in occidente si è verificato l’inverso: l’hip-hop ha permesso al grande pubblico di conoscere la causa e di sensibilizzarsi al problema palestinese attraverso la musica.

167 al-Kufiyye ‘arabiyye (2010) 168 al-Kufiyye ‘arabiyye (2010) 169 al-Kufiyye ‘arabiyye (2010)

84 3. Rappresentazione della violenza: guerra e terrorismo.

Il racconto di scene di violenza legate alla guerra è sempre presente nell’hip-hop palestinese. Che si tratti della rievocazione di episodi di conflitto passati e significativi 170 o del racconto di fatti più recentemente accaduti, la rappresentazione della violenza, che ha la duplice funzione di mantenere viva la memoria e di denunciare l’ingiustizia, occupa un ruolo molto importante nella narrativa rap palestinese. Nella rappresentazione del conflitto il palestinese incarna allo stesso tempo l’archetipo dell’eroe resistente – che con pochi o nessun mezzo fronteggia l’oppressore – e della vittima innocente – che subisce la violenza ingiustificata. Nonostante la figura dell’eroe e della vittima convivano nelle narrative palestinesi, notiamo rispetto al passato uno spostamento di importanza a favore della figura della vittima 171 , che diventa il soggetto più importante e ricopre il ruolo di testimone (o oggetto della testimonianza) dell’ingiustizia subita. Se fino agli anni ’60 il linguaggio utilizzato per parlare di popoli oppressi era quello della rivoluzione e della liberazione, adesso si tende a utilizzare maggiormente il vocabolario della sofferenza per sottolineare la difficile situazione umanitaria, come sottolinea Didier Fassin, antropologo francese:

Ieri denunciavamo la dominazione imperialista; oggi riveliamo le sue tracce psichiche. Non molto tempo fa esaltavamo la resistenza delle popolazioni […] Naturalmente le tradizionali critiche all’oppressione non sono scomparse, sono anzi spesso riformulate in termini di diritti umani. […] Parlare di sofferenza per parlare di dominazione significa fare etica e politica con nuove parole 172 .

Nel rap palestinese, sebbene l’orgoglio della resistenza sia sempre presente – essendo il rap stesso una forma di resistenza, giudicata dagli artisti come la più effettiva per la loro realtà personale – la rappresentazione della condizione dei palestinesi come vittime occupa uno spazio molto importante nel genere, ed è riscontrabile in numerosissimi brani.

170 La canzone dei Palestinian Rappers “Ba ḥast ō fil-kit āb” (l’ho cercato sul libro) è un esempio della rievocazione degli eventi salienti della storia palestinese: sono menzionate le varie guerre arabo- israeliane, i massacri di Deir Yassin, Sabra, Shatila, e le uccisioni di palestinesi durante la Seconda Intifada. 171 Questo tipo di processo è da intendersi in generale nelle modalità di rappresentazione di sé da parte palestinese che possono comprendere anche la musica, anche se nell’hip-hop non riscontriamo entrambe le fasi di questa evoluzione, essendo il genere relativamente nuovo. 172 D. Fassin, The Humanitarian Politics of Testimony: Subjectification through Trauma in the Israeli- Palestinian Conflict , ‹‹Cultural Anthropology››, 23 (2008) n.3; p. 2

85 Il rovesciamento dei discorsi israeliani, che puntano su strategie di vittimizzazione, è ugualmente importante; da parte palestinese dunque si cerca di smascherare lo sbilanciamento del conflitto, la differenza di forza e di mezzi, ma soprattutto di mostrare la disparità nel numero di vittime e della qualità della violenza inflitta da un lato e dall’altro, in ciò che è stata definita “meritocrazia globale della sofferenza 173 ”.

I brani che saranno analizzati di seguito forniscono un chiaro esempio di queste tendenze nell’ambito del rap; i due brani “La mia città” e “Gaza” riguardano l’operazione “Piombo Fuso”, mentre “Chi è il terrorista” riguarda il periodo della Seconda Intifada.

3.1. L’operazione Piombo Fuso: “Gaza” e “La mia città”.

Gli eventi accaduti nel periodo immediatamente precedente e durante l’operazione sono una ferita ancora aperta per molti, ed essendo molto recenti non si prestano a un analisi che si possa definire obiettiva e precisa. Questa sezione dunque si limita a fornire un quadro degli eventi dal punto di vista della cronaca (basandosi su fonti giornalistiche e su report delle Nazioni Unite e di Human Rights Watch) per inserire i brani presentati nel contesto generale dell’operazione, che più che dal punto di vista analitico, viene esaminata dal punto di vista emotivo dei palestinesi coinvolti in maniera diretta o indiretta in quegli avvenimenti.

L’operazione “Piombo Fuso”, altrimenti nota come “Guerra di Gaza”, è iniziata il 27 dicembre del 2008. L’obiettivo dichiarato da Israele era quello di fermare i lanci di razzi dal territorio della Striscia e di bloccare l’importazione di armi al suo interno. La tregua stipulata tra e Israele sei mesi prima prevedeva da parte di Hamas l’interruzione delle ostilità e dei lanci di razzi, mentre da parte israeliana era prevista la cessazione degli attacchi contro i palestinesi all’interno del territorio di Gaza e l’alleggerimento dell’embargo. Sebbene Hamas avesse rispettato i termini della tregua, facendo pressioni anche su altri gruppi per cessare il lancio di razzi 174 , da parte di Israele l’impegno per il mantenimento del cessate il fuoco fu disatteso: l’embargo non si alleggerì, e Israele

173 Bob (2002) citato in L. A. Allen, Martyr Bodies in the Media: Human Rights, Aesthetics and the Politics of Immediation in the Palestinian Intifada, ‹‹American Ethnologist››, 36 (2009) n.1; p. 162 174 Israele lamenttò un mancato rispetto della tregua da parte di Hamas, ma lanci di razzi denunciati durante quel periodo sarebbero opera di altri gruppi armati (tra cui il Jihad Islamico e la Brigata dei Martiri di al-Aqsa) nei confronti dei quali Hamas aveva comunque agito per il mantenimento della tregua.

86 continuò a impedire un maggiore ingresso di beni all’interno della Striscia 175 , garantendo solo l’afflusso di una minima quantità di aiuti umanitari. Inoltre fu creata una zona di sicurezza dal lato del confine interno a Gaza dalla quale i soldati israeliani spararono ripetutamente a civili palestinesi che cercavano di accedere alla propria terra 176 . L’uccisione di 4 palestinesi 177 – in quella che sembrò a molti una provocazione volta a procurarsi un pretesto per una più larga offensiva – segnò la fine della tregua anche da parte di Hamas. Poco più di un mese dopo, l’operazione Piombo Fuso ebbe inizio con una serie di offensive per via aerea e marittima, fino ad arrivare all’invasione terrestre cominciata il 3 gennaio. Durante le tre settimane di operazioni Israele si rese responsabile di numerose violazioni delle leggi internazionali dei diritti umani e di crimini di guerra, tra cui l’utilizzo di armi al fosforo bianco e l’uso di civili palestinesi come scudi umani 178 . L’operazione, nata con l’obiettivo dichiarato di proteggere l’incolumità dei civili israeliani e di colpire i miliziani colpevoli dei lanci di razzi, si tradusse in realtà in un massacro di civili e in una punizione collettiva 179 che produsse più di 1400 morti tra i palestinesi e la distruzione di infrastrutture, ospedali, pozzi, scuole, fabbriche, edifici pubblici e case private 180 .

Le offensive militari di Israele suscitarono lo sdegno dell’opinione pubblica araba e il dolore dei palestinesi ovunque nel mondo: gli artisti hip-hop, da Israele fino a Gaza

175 E. Bronner, Gaza Truce May Be Revived by Necessity , ‹‹The New York Times››, 19 dicembre 2008 - http://www.nytimes.com/2008/12/20/world/middleeast/20mideast.html?scp=2&sq=Ethan%20Bronner%2 0December%202008%20gaza&st=cse (ultimo accesso 06/08/2012) 176 J. R. Hammond, War on Gaza: Operation Cast Lead One Year Later , The Palestinian Chronicle, 27 dicembre 2009 - http://www.palestinechronicle.com/view_article_details.php?id=15642 (ultimo accesso 06/08/2012) 177 Secondo Israele erano intenti a scavare un tunnel al confine: furono uccisi con un attacco via aria e terra il 4 novembre 2008. 178 Le violazioni (da parte dell’esercito israeliano e di Hamas) verificatesi durante l’operazione Piombo Fuso sono riportate nel Goldstone Report, scritto al termine di un’indagine internazionale indipendente voluta dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. – Goldstone Report, United Nations Fact Finding Mission on the Gaza Conflict , 15 settembre 2009 Bisogna comunque segnalare che successivamente alla pubblicazione del report Golstone ha pubblicato un articolo sul Washington Post in cui afferma “Se avessi saputo ora quello che so adesso, il Goldstone Report sarebbe stato un documento diverso”. In particolare sembrerebbe ridiscutere l’intenzionalità da parte di Israele, di colpire obiettivi civili in alcuni episodi. – R. Goldstone, Reconsidering the Goldstone Report on Israel and War Crimes , ‹‹The Washington Post››, 2 aprile 2011 - http://www.washingtonpost.com/opinions/reconsidering-the-goldstone-report-on-israel-and-war- crimes/2011/04/01/AFg111JC_story.html (ultimo accesso 19/09/2012) 179 J. R. Hammond, War on Gaza… (2009) 180 United Nations Fact Finding Mission on the Gaza Conflict – Press Realease, 29 settembre 2009 – Disponibile per download su http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/specialsession/9/factfindingmission.htm (ultimo accesso 06/08/2012)

87 stessa, reagirono con urgenza componendo e caricando in brevissimo tempo su internet canzoni di denuncia e solidarietà nei confronti della popolazione di Gaza. Le canzoni analizzate in questa sezione, “La mia città” di Ayman Mghames, membro della band Palestinian Rappers, e “Gaza” dei Refugees of Rap, offrono una prospettiva interna ed esterna degli accadimenti dell’inverno 2008-2009, raccontata con le parole dei palestinesi in diaspora e in prima persona da una vittima dell’operazione avvenuta a Gaza.

Nel brano “Gaza” 181 dei palestinesi-siriani Refugees of Rap, le immagini delle vittime palestinesi innocenti sono predominanti all’interno del testo. Troviamo comunque qualche verso che possa suggerire la già citata immagine dell’eroe resistente che si sacrifica per la causa:

Avevano il dovere di difendere l’onore,

Sono finiti sotto terra, se ne sono andati con un bombardamento

[…] Perché sono arabo e sacrifico la mia anima per il mio paese,

Fino all’ultima goccia del mio sangue difendo la terra della mia patria 182

La maggior parte del testo è però dedicata a descrivere le vittime di Gaza e le conseguenze delle operazioni militari intraprese da Israele:

Senza corrente, in pieno freddo

Uccisi in moschea durante la preghiera

In quale epoca o in quale promessa è stato scritto questo patto

Un patto che dice di uccidere i bambini e le donne innocenti

da Gaza sgorga un fiume di sangue

Pezzi di cadaveri nelle strade, ragazze giovani

I cui corpi si sono disintegrati per l’esplosivo

[…] Ci hanno assediato nel cuore di Gaza e ci hanno sgozzato 183

181 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.162). 182 Refugees of Rap, Gaza (2009) 183 Refugees of Rap, Gaza (2009)

88 La crudezza delle descrizioni dei corpi rende il brano particolarmente impressionante e suggerisce a livello quasi visivo la drammaticità della situazione vissuta dalla popolazione in quei giorni. La modalità di rappresentazione di sé dei palestinesi, come osservato da Allen nel suo studio sulle immagini nei media durante la Seconda Intifada 184 , tende ad offrire una loro raffigurazione come soggetti dotati di diritti non in quanto soggetti politici, ma in quanto esseri umani; la rappresentazione di persone in stato di forte sofferenza fisica e psicologica è funzionale a quelle “politics of immediation 185 ” che sono volte a mostrare le conseguenze del conflitto senza alcun tipo di mediazione interpretativa e sono messe in atto da diversi attori sociali palestinesi come parte del loro progetto politico. L’utilizzo di prove visive di corpi martoriati nei casi esaminati da Allen e di descrizioni crude ai limiti dello splatter nel caso dei testi rap, unite a immagini di sofferenza umana, costituiscono uno degli strumenti di rappresentazione dell’identità nazionale palestinese 186 e sono volte a creare l’empatia del pubblico che, riconoscendo la sofferenza di un altro essere umano non può che dispiacersi per la sua condizione e solidarizzare con lui, condannando al contempo il responsabile di quella condizione.

La copertura mediatica degli eventi durante l’operazione Piombo Fuso fu essenzialmente parziale, dato che Israele proibì l’ingresso dei giornalisti all’interno del territorio della Striscia 187 ; dunque la quasi totalità dei media occidentali, che avevano i loro corrispondenti a Gerusalemme, non poté far altro che raccontare le informazioni che Israele forniva, un fenomeno che viene denunciato anche in questi versi:

Ci 188 hanno resi famosi nei media

Così vuole la gente, ci hanno seguito come nelle fiction

184 L. A. Allen, Martyr Bodies in the Media: Human Rights, Aesthetics and the Politics of Immediation in the Palestinian Intifada , ‹‹American Ethnologist››, 36 (2009) n.1; pp. 161-180 185 “Immediation is the necessarily covert denial of mediation that occurs in the formal properties of institutions and social interactions that aspire to give access to an authentic experience and truth” - L. A. Allen, Martyr Bodies in the Media… (2009); p. 162 186 L. A. Allen, Martyr Bodies in the Media… (2009); p. 162 187 Nonostante la Corte Suprema Israeliana avesse stabilito che i giornalisti sarebbero potuti entrare durante l’apertura dei passaggi le IDF lo impedirono adducendo motivi di sicurezza. - A. Shihab-Eldin, Al Jazeera English Beats Israel’s Ban on Reporters in Gaza with Exclusive Coverage , ‹‹Huffington Post››, 5 gennaio 2009 - http://www.huffingtonpost.com/ahmed-shihabeldin/al-jazeera-english- beats_b_155125.html (ultimo accesso 07/08/2012) 188 Notare l’uso della prima persona plurale, che sottolinea come gli artisti, membri della diaspora, si sentano direttamente coinvolti nel dramma di Gaza.

89 Ci hanno nominato nei telegiornali

Non sanno che ci hanno imprigionato e umiliato nel cuore delle nostre case

Ci hanno affamato e ci hanno buttato per strada 189

La narrazione degli eventi da parte dei media filo-israeliani fu inoltre colpevole, secondo gli artisti, di perpetrare lo stereotipo del terrorista palestinese: “Dieci su dieci ci considerano terroristi, agli occhi di tutto il mondo noi siamo terroristi 190 ”. L’unica emittente che poté offrire una copertura indipendente dalla mediazione israeliana fu Al Jazeera che, trovandosi all’interno del territorio di Gaza prima dell’inizio dell’operazione, raccontò al mondo – in arabo e in inglese – ciò che altrove era impossibile vedere 191 . Tuttavia, non essendo Al Jazeera tra le principali fonti di informazione per il pubblico occidentale, la sua testimonianza degli eventi non ebbe una soddisfacente risonanza in occidente; fu invece seguita con apprensione in tutto il mondo arabo: ciò permise dunque ai Refugees of Rap di poter descrivere in maniera tanto vivida la situazione di Gaza durante l’operazione.

Dai versi di questa canzone emerge inoltre una profonda critica ai leader arabi, colpevoli di aver abbandonato la causa palestinese:

L’onore è scomparso, quante grandi teste sono state scoperte

Sul terreno dei fatti, avevano giurato

Soltanto una pietra, un carro armato, un missile per il genocidio

Queste teste arabe aumentano ancora

Guarda, la gente sta morendo a migliaia

Basta, ci siamo stancati del genocidio

Canto queste parole e porto la mia morte sul palmo della mano

Non so chi sta con me, non so chi cammina nella mia fila

[…] Mio padre non mi ha educato così

189 Refugees of Rap, Gaza (2009) 190 Refugees of Rap, Gaza (2009) 191 A. Shihab-Eldin, Al Jazeera English Beats Israel’s Ban on Reporters in Gaza with Exclusive Coverage , ‹‹Huffington Post››, 5 gennaio 2009 - http://www.huffingtonpost.com/ahmed-shihabeldin/al- jazeera-english-beats_b_155125.html (ultimo accesso 07/08/2012)

90 Non sto zitto davanti al dolore di un fratello

Dove sei 'Umma araba, dov’è la fratellanza araba 192

Le “teste” citate in questi versi indicano i leader arabi, smascherati ogni giorno di più nella loro ipocrisia fatta di retorica a favore della Palestina, che rimane solo sulla carta come del resto le “risoluzioni, discussioni, parole vuote e futilità” che “sono un labirinto e noi ci viviamo 193 ”. I leader arabi sono dunque visti come colpevoli per la loro incapacità di schierarsi concretamente in difesa dei loro fratelli palestinesi. Nonostante il controllo dello stato siriano sulle tematiche trattate dagli artisti, questo tipo di giudizi da parte della band non devono stupire, in quanto non indirizzati alle autorità siriane. La Siria si ritiene infatti esente da questo tipo di critiche – che colpiscono gli “altri” leader arabi – in quanto i vari governi siriani hanno sempre portato avanti una politica di opposizione nei confronti di Israele (ritenendo dunque di essere “diversi” e di adempiere al loro dovere di solidarietà nei confronti dei palestinesi e della loro causa), sebbene questo impegno rimanga confinato sul piano teorico e sia stato spesso più strumentale che effettivo. Nonostante la disapprovazione nei confronti dei leader, la band non rinuncia a incitare gli arabi all’unità e alla solidarietà concreta verso i palestinesi:

Dai, muovetevi arabi, uniti e senza paura

Per liberare la gente di Gaza e riprendere la Palestina

Fino a quando vogliamo tacere davanti all’ingiustizia

Dai, è arrivato il momento che questo sogno si realizzi

Dov’è il sangue arabo, Gaza chiama

La nostra voce patriottica le ha risposto

[…] Pensate per una volta all’unità, pensate una volta al cambiamento,

per vivere come Ummah unica

192 Refugees of Rap, Gaza (2009) 193 Refugees of Rap, Gaza (2009)

91 Per cambiare il destino 194

Il brano dunque, oltre a rappresentare una ferma denuncia dell’operato di Israele, vuole essere anche uno strumento di risveglio delle coscienze del resto del mondo arabo e invocare un cambiamento politico che possa concretamente supportare la causa palestinese.

______

Questa è la terra della sofferenza 195

E non cambierà mai

No, no, no 196

La canzone Mad īnt ī197 (La mia città), composta da Ayman dei Palestinian Rappers in collaborazione con Shadia Mansour, ci offre una testimonianza diretta in musica della sofferenza della popolazione di Gaza durante l’operazione Piombo Fuso. Lontana dallo stile lessicale truce e crudo del brano dei Refugees of Rap, “La mia città” ci accompagna nell’intimità dell’autore, che tra rabbia e tenerezza racconta la sua esperienza di perdita.

La canzone si apre con la registrazione della voce di una bambina che racconta il dramma della sua famiglia nei giorni dell’operazione:

Sono una bambina piccola degli abitanti di Gaza

E quando i miei fratelli piangevano per la fame, e io con loro,

io continuavo a cantare, li calmavo e gli dicevo:

Dai aspettiamo papà, adesso viene e porta da mangiare 198

194 Refugees of Rap, Gaza (2009) la terra del raduno e della dispersione). Questo verso è mutuato) ” أرض ا وا “ Letteralmente 195 dalla terminologia religiosa islamica, in cui rappresenta il luogo in cui tutti gli esseri umani verranno radunati il giorno del giudizio. Secondo quanto tramandato da un ḥad īṯ la terra in cui verranno radunati tutti gli esseri senzienti il giorno del giudizio sarebbe la Palestina. Nell’Islam il giorno del giudizio prevede la distruzione e l’appiattimento della Terra e ha delle connotazioni di dolore e sofferenza molto forti: per questo ho ritenuto di tradurre il verso con “terra della sofferenza”. 196 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Madenty (2009) 197 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.164). gennaio 2009 http://www.youtube.com/watch?v=N-vWYjXsXtw 16 ,” ة ن ة “ ,Video 198 (ultimo accesso 08/08/2012)

92 I frammenti di registrazione utilizzati nel brano sono tratti da un video, pubblicato in internet il giorno prima della proclamazione del cessate il fuoco 199 , in cui vediamo una bambina vestita col tradizionale ṯawb palestinese che racconta l’esperienza della sua famiglia nei giorni in cui Gaza si trovava sotto attacco israeliano e denuncia i soprusi subiti dai palestinesi:

Questo è il mio racconto

Il racconto di un popolo a cui è proibita la libertà ed esso è nella sua terra,

a cui è proibita la libertà di godere della propria patria

e a cui è proibito persino abbracciare la propria madre

L’uso delle voci di bambini è una caratteristica stilistica abbastanza diffusa nell’hip-hop palestinese 200 , che riconosce all’infanzia un potenziale di speranza per il futuro, oltre a rappresentare l’assoluta innocenza, elementi riscontrabili in molte culture. Dopo il ritornello (citato in apertura del paragrafo) cantato da Shadia Mansour, Ayman inizia a cantare, salutando i bambini di Gaza e esprimendo in pochi versi i suoi sentimenti contrastanti di quei giorni, dal bisogno di reagire al desiderio di riconciliazione:

I miei saluti ad ogni bambino, ogni figlio, ogni piccolo,

per ogni lacrima dei loro occhi, per ogni tremito delle loro palpebre

La discordia, il conflitto, la fratellanza, la lotta

L’amore, la tolleranza, la riconciliazione

Le mani intrecciate o strette

Ogni battito del cuore che pulsa fa crescere il dolore

che impedisce alla speranza di nascere 201

I versi successivi ci permettono di contestualizzare gli eventi di cui parla la canzone, svoltisi probabilmente intorno al 15 di gennaio, data in cui l’ IDF iniziò un massiccio bombardamento della capitale di Gaza, in cui i civili intrappolati subivano le

199 Il cessate il fuoco fu proclamato unilateralmente da Israele il 17 gennaio del 2009, ma risultò effettivo solo dopo qualche tempo. 200 Alcuni esempi nei brani dei DAM “M ā l ī ḥurriyye” e “N ġayyer bukra” (2006) 201 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009)

93 conseguenze dei pesanti attacchi, cercando di resistere: “non abbiamo sollevato la bandiera bianca dell’umiliazione… L’ingiustizia imposta su una città che è caduta, non l’ha accettato e si è rimessa in piedi 202 ”. Dopo l’invito ai civili da parte delle IDF a recarsi verso il centro città per questioni di sicurezza, il centro della città di Gaza fu bombardato 203 . Durante i bombardamenti di quei giorni la casa di Ayman fu colpita dai razzi lanciati dalle forze israeliane.

Con l’attesa di ciò che è successo e di quello che deve ancora succedere

Le lacrime degli occhi scendono su più di mille martiri

E oggi un altro martire è davanti ai miei occhi, l’ho portato con le mie mani

Il suo respiro intrappolato nelle sue ultime parole

a mia madre, che si prendeva cura dei suoi figli

E le sue lacrime sono io che le ho asciugate

col sudario ho raccolto le ferite di dolore e le ho seppellite nel cuore

Al posto del mio compleanno il 16 ho avuto un funerale 204

Il martire citato è il padre di Ayman, colpito dai razzi mentre si trovava in casa e morto il giorno prima del compleanno di suo figlio. Il dolore di Ayman, che ci racconta in questi versi l’intimità degli ultimi attimi di vita del padre, diventerà motivo di crescita per lui e lo renderà, secondo le sue parole “veramente palestinese 205 ”. Prima di provare in prima persona l’esperienza del lutto infatti, la sua musica raccontava ciò che lui vedeva attorno a sé:

Cammina il mio inchiostro, questa volta la mia carta parla di me

Dal mio punto di vista, il mio discorso non è diretto al mio nemico

Parlavo di loro, mi lamentavo per loro, piangevo per loro

202 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009) 203 Human Rights Watch, Israel: Stop Shelling Crowded Gaza City , 16 gennaio 2009 - http://www.hrw.org/news/2009/01/16/israel-stop-shelling-crowded-gaza-city (ultimo accesso 08/08/2012) 204 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009) 205 Video: Palestinian Rapper Ayman of PR (2012) - http://www.youtube.com/watch?v=tstvl60s1Uo (ultimo accesso 08/08/2012)

94 e oggi io sono diventato uno di loro 206

In un’intervista Ayman racconta:

Sono nato in Libano e sono cresciuto in Tunisia. Ho vissuto in Tunisia per 11 anni e poi sono venuto a Gaza nel 1997, è stato un grande momento per me. […] Quando sono arrivato a Gaza cercavo di essere uno di loro, cercavo di sentire la loro sofferenza, ma mi sbagliavo quando pensavo di sentirla. In realtà l’ho sentita quando ho perso mio padre 207 .

L’ingiustizia o la violenza vissuta dai palestinesi di Gaza contribuisce in maniera determinante alla radicalizzazione della popolazione, che sarebbe tendenzialmente più disposta ad accettare forme violente di resistenza 208 e vedrebbe dunque impraticabili le strade pacifiche per la risoluzione del conflitto, come potrebbero farci pensare questi versi:

A colui che cerca la pace non importa la propria vita

Dicono pazienza su pazienza, io ho sopportato la pazienza

Non ho scelta, sono obbligato a rifiutare la pace 209 .

L’idea espressa da questi versi, che poteva essere una naturale reazione alla morte di un familiare in circostanze violente, fu poi mitigata dal tempo, come possiamo notare in interviste più recenti in cui Ayman, nonostante la ferma condanna verso l’operato israeliano, sembra aver ammorbidito la sua posizione sul tema della pace:

L’esercito israeliano ha bombardato la mia casa con quattro razzi e io ho perso mio padre e la mia casa. Questo è il modo in cui l’esercito israeliano si rapporta con noi, solo usando aerei, carri armati, guerre, crimini, massacri contro i Palestinesi, contro i civili. Non siamo un esercito che combatte contro un esercito, loro sono un esercito che combatte con dei civili. È così che funziona in Palestina. […] Tuttavia il nostro messaggio (della band n.d.t.) è un messaggio di pace, di lotta contro l’occupazione. […] Abbiamo scelto la strada della pace, perché ci

206 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009) 207 Video: Palestinian Rapper Ayman of PR (2012) 208 Un esempio di come la violenza israeliana abbia portato alla radicalizzazione dei palestinesi durante la Seconda Intifada: D. Paserman, The Struggle for Palestinian Hearts and Minds: Violence and Public Opinion in the (2008) - http://ftp.iza.org/dp3439.pdf (ultimo accesso 19/09/2012) 209 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009)

95 crediamo, perché vogliamo la pace, la cerchiamo… Moriamo in attesa del momento della libertà 210 .

Nonostante le difficili condizioni di vita a Gaza, i rapper del posto si inseriscono comunque nella tendenza generale dell’hip-hop palestinese, che vede nella “musica una forma pacifica di resistenza 211 ”.

Un altro tema che emerge dall’analisi del testo della canzone “La mia città” è senza dubbio l’importanza dell’opinione pubblica internazionale, e ancor più della solidarietà, che è uno degli obiettivi a cui tende la canzone: dalla consapevolezza si genera empatia, l’empatia provoca solidarietà, in “Tutti i popoli della Terra” che “hanno alzato le mani su, verso il cielo, invocando 212 ” la fine dello spargimento di sangue a Gaza. La solidarietà da parte dei palestinesi lontani emerge dai versi del brano in cui canta Shadia Mansour, che esprime la vicinanza della diaspora ai fratelli di Gaza:

Questo è il mio messaggio per la gente di Gaza, per i ragazzi dei campi.

per tutte le madri e i padri, per tutti i martiri in paradiso

Io parlo da lontano, ma il mio cuore è a Gaza

Non sento i colpi, ma sento le ferite nel mio cuore213

Ma più che dell’incondizionata solidarietà dei palestinesi, la popolazione di Gaza ha bisogno di quella internazionale, che ha il potere di operare un cambiamento concreto facendo pressione sui governi e rifiutando di appoggiare indirettamente Israele. Per questo la voce della bambina di Gaza ritorna in chiusura del brano, rivolgendosi al mondo:

Questa è la nostra libertà: libertà, ma dentro una prigione

Ma guardate che noi resistiamo, non abbiamo paura dell’oscurità

Resistiamo con le vostre preghiere per noi, e resistiamo con il vostro sostegno

E spero che voi aggiungiate la vostra voce alla nostra voce

Affinché il mondo senta, e diciamo: no all’embargo, no all’occupazione

210 Video: Palestinian Rapper Ayman of PR (2012) 211 Video: Palestinian Rapper Ayman of PR (2012) 212 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009) 213 Ayman Mghames (Palestinian Rappers), Shadia Mansour, Mad īnt ī (2009)

96 Non rubate il sorriso dal viso dei bambini

E si alla libertà, si alla libertà 214

3.2. Chi è il terrorista?

Chi è il terrorista? Sono io terrorista?

Come posso essere terrorista quando vivo nel mio paese

Chi è il terrorista? Tu sei terrorista!

Mi mangi vivo mentre vivo nel mio paese 215

La canzone Min Irh ābī216 (Chi è il terrorista), composta dai DAM nel 2001, è la canzone hip-hop palestinese più celebre al mondo ed è stata scaricata e visualizzata su youtube più di due milioni di volte 217 . Il video della canzone, prodotto da Jackie Salloum, regista di “Slingshot Hip-Hop”, accompagna i versi dei DAM con immagini dell’occupazione e della Seconda Intifada, che fu l’evento che diede la spinta per la composizione di questa canzone. I palestinesi-israeliani, fino ad allora anestetizzati e in un certo senso distanti dai loro connazionali al di fuori della linea verde, si risvegliarono all’alba della Seconda Intifada, riscoprendo la solidarietà nei loro confronti e lo sdegno verso ciò che stava accadendo, come spiega Mahmoud Jreri:

Eravamo arrabbiati per quello che stava succedendo, anche qui in Israele, e per quello che veniva mostrato in televisione; e così siamo usciti con questa canzone arrabbiata. È appropriata per questi tempi 218 .

Un concetto simile è ribadito anche da Tamer che spiega come la copertura mediatica dell’Intifada li abbia spinti ad esprimersi e a comporre il brano “Chi è il terrorista”:

Nel 2000 la polizia e l’esercito israeliano hanno ucciso più di mille palestinesi, e il mondo è stato fermo, non è stato fatto niente. Qualche anno più tardi un ragazzo palestinese è andato a Tel Aviv e ha fatto un attentato suicida che ha causato ventuno vittime. […] Ventuno, contro migliaia di palestinesi, e improvvisamente

(2009) ” ة ن ة “ ,Video 214 215 Min Irh ābī (2001) 216 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.167). 217 Dati del 2008 in M. LeVine, Heavy Metal Islam: Rock, Resistance and the Struggle for the Soul of Islam , Three Rivers Press, New York (2008); p. 121 218 Video intervista del 2001 usata da Jackie Salloum in Slingshot Hip-Hop (2009)

97 il mondo dice: “Fermiamo la guerra e fermiamo gli assassinii. Fermiamo il terrore!”. L’abbiamo vista come una cosa ingiusta, aprire un occhio e chiudere l’altro, […] e legittimare l’uccisione dei palestinesi 219 .

La rappresentazione mediatica degli eventi della Seconda Intifada fu nella maggior parte dei casi, secondo Ilan Pappé, parziale e funzionale al discorso israeliano: la stampa era impegnata in ciò che è stato definito “auto-persuasione ermetica di giustizia 220 ”, un’auto-giustificazione realizzata fornendo un’immagine distorta e mono-dimensionale della realtà, permettendo all’esercito israeliano di presentarsi come unica fonte attendibile degli eventi 221 . L’Intifada fu dipinta come una guerra e i palestinesi-israeliani furono inclusi nel campo del “nemico” e rappresentati come estranei alla società israeliana 222 . Il brano esprime l’impotenza dei palestinesi-israeliani, esclusi dal dibattito politico e costretti a subire senza poter ottenere giustizia, in quanto essa è amministrata dallo stesso stato fautore dalle violenze da essi denunciate:

Mi hai ucciso come hai ucciso i miei nonni

Rivolgermi alla legge? È inutile! Tu, il nemico

giochi il ruolo di testimone, avvocato e giudice

[…] Il tuo sogno è che diminuiamo ancora, (nonostante) siamo la minoranza

Il tuo sogno è che la minoranza diventi maggioranza nei cimiteri 223

La canzone sfida le narrative israeliane, decostruendole per mostrarne le contraddizioni: lo stato, fautore principale delle ingiustizie, attraverso un “rovesciamento della vittimizzazione” diventa il soggetto perseguitato.

Cioè mi hai attaccato e hai pianto, mi hai preceduto e ti sei lamentato

quando ti ho ricordato che sei tu che hai cominciato, hai saltato e hai detto

219 Intervista a Tamer su Democracy Now, citato da S.Maira, Palestinian Hip-hop… (2010): p.30 220 D. Dor, A Press Under Influence , Bavel, Tel Aviv (2001) citato da I. Pappé, The Second Intifada and the Israeli Media , 14 aprile 2011 - http://www.counterfire.org/index.php/articles/book-extracts/179-out- of-the-frame/11935-ilan-pappe-the-second-intifada-and-the-israeli-media (ultimo accesso 09/08/2012) 221 Anche i media americani sembrerebbero aver offerto una copertura distorta degli eventi, decontestualizzando gli eventi della Seconda Intifada. Cfr. S. Ackerman, Al-Aqsa Intifada and the U.S. Media , ‹‹Journal of Palestine Studies››, vol.30 (2001)2; pp.61-74 222 I. Pappé, The Second Intifada and the Israeli Media … (2011) 223 Min Irh ābī (2001)

98 “Ma voi lasciate che i bambini piccoli lancino le pietre, non hanno una famiglia

che li trattenga a casa?” Cosa?

Come se ti fossi dimenticato che le tue armi

hanno trattenuto la famiglia sotto le pietre!

E ora che il mio dolore scoppia, tu mi chiami terrorista?

Gli artisti suggeriscono in questi versi che la violenza dello stato viene spesso rappresentata da parte israeliana come un’inevitabile reazione di legittima difesa nei confronti della violenza palestinese. I DAM in questo brano rifiutano la contrapposizione vittima-carnefice propagandata dai media israeliani, opponendosi alla nozione “orientalista” di terrorismo, inevitabilmente rivolta ai palestinesi e agli arabi 224 . Gli episodi di terrore di stato raccontati nella canzone dunque sono funzionali a dimostrare come l’etichetta di terrorista debba essere attribuita alle autorità israeliane che, secondo la band, sono direttamente responsabili della violenza palestinese, originata da ingiustizie, deprivazioni e violenza di proporzione infinitamente maggiore; la rabbia dei giovani artisti è tanta che li spinge a paragonare i metodi israeliani a quelli dei nazisti, in un’iperbole che ha lo scopo di ferire nel profondo l’ascoltatore israeliano, per poi spingerlo a ragionare sulle motivazioni della violenza:

Democrazia? Giuro siete come i nazisti

Da quanto avete stuprato l’anima araba

è rimasta incinta e ha dato vita a un figlio di nome “operazione suicida” 225

E a quel punto ci chiamate terroristi! 226

Il verso molto discutibile citato sopra ha originato numerose polemiche rivolte alla band, e tutt’ora costituisce motivo di disapprovazione e critica nei confronti dei DAM da parte di alcuni 227 . A dieci anni dalla Seconda Intifada – periodo in cui fu composta la

224 S.Maira, Palestinian Hip-hop… (2010): p.30 225 Letteralmente “operazione esplosiva” 226 Min Irh ābī (2001) 227 L’esibizione dei DAM in una scuola superiore in Oregon nel 2011 fu duramente osteggiata da associazioni ebraiche o filo-israeliane che utilizzarono alcuni estratti di questa canzone (tra cui il discusso verso sui nazisti) per accusare la band di odio e terrorismo. S. Schwartz, Palestinian Hip-Hop Group Comparing Israelis to Nazis Performs for Oregon Public High School Students , 12 dicembre 2011 - http://www.theblaze.com/stories/palestinian-hip-hop-group-

99 canzone – il verso in cui si paragonano i metodi israeliani a quelli nazisti viene ancora citato e utilizzato dai detrattori dei DAM per etichettarli come incitatori all’odio e al terrorismo. Se non affiancata dalle dichiarazioni degli autori, dalla conoscenza della band e del contesto storico in cui fu composto il brano, la lettura del testo si presta effettivamente a interpretazioni più radicali di quanto non fossero i reali intenti degli artisti. Sebbene i DAM si siano sempre proposti come soggetti volti alla pace e alla coesistenza, dimostrarono però di comprendere le ragioni che spingono un palestinese a commettere atti di violenza, essendovi portato da un contesto senza speranze ( “Io non sono contro la pace, la pace è contro di me 228 ”) sottolineando che il terrorismo è figlio di Israele. Tamer si è però affrettato a smentire le accuse a loro rivolte: “Non ho mai detto che sostengo il terrorismo, ho detto che capivo la rabbia che ha motivato i terroristi 229 ”.

Guardate quanti avete ucciso, quanti avete reso orfani

Le nostre madri piangono, i nostri padri si lamentano

La nostra terra scompare, vi dico io chi siete

Voi siete cresciuti viziati, noi siamo cresciuti nella povertà

Chi è vissuto negli agi, e chi è vissuto in una tana?

Chi ha combattuto per la libertà, lo avete trasformato in un criminale

E tu, terrorista, mi chiami terrorista 230

La band denuncia la visione generale dipinta dai media, in cui il terrorista è colui che reagisce allo stato delle cose, mentre il “bravo arabo” è solo chi tace e sopporta l’ingiustizia: comparing-israelis-to-nazis-performs-for-oregon-public-high-school-students/ (ultimo accesso 04/09/2012) A. K. Conway, Lincoln High Hosts Panel on Appearance by Palestinian Rap Group: Feelings of Oppression Valid, but Lyrics Cross Line to Hate , ‹‹Jewish Review››, 04 settembre 2011 - http://jewishreview.org/local/Lincoln-High-hosts-panel-on-appearance-by-Palestinian-rap-group (ultimo accesso 04/09/2012) 228 Min Irh ābī (2001) 229 Si riferisce all’episodio del giugno del 2001 (già citato nell’intervista a Democracy Now) in cui un attentatore suicida si fece esplodere di fronte a un club di Tel Aviv causando 21 vittime. Le posizioni di Tamer su questo argomento furono uno dei motivi di rottura con Subliminal, che lo accusava di identificarsi con i terroristi. – L. Goldman, Who’s the terrorist? The Leading Palestinian Hip-Hop Group Finds an Unlikely Fan Base , 6 novembre 2007 - http://www.tabletmag.com/jewish-arts-and- culture/music/1138/whos-the-terrorist (ultimo accesso 09/08/2012) 230 Min Irh ābī (2001)

100 Quando smetterò di essere un terrorista?

Quando mi colpirai e porgerò l’altra guancia?

Come ti aspetti che io ringrazi chi mi fa del male?

Sai cosa? Dimmi come vuoi che sia

In ginocchio e con le mani legate

Con gli occhi bassi e i corpi morti buttati attorno a me

Case distrutte, famiglie disperse

Bambini orfani, libertà in manette

Tu dai gli ordini, tu uccidi e noi seppelliamo

Noi pazientiamo e nascondiamo il nostro dolore

La cosa più importante è che tu ti senta sicuro

Rilassati e lasciaci il nostro dolore 231

Il richiamo alla sicurezza è volto a mostrare un’altra delle più diffuse strategie utilizzate da Israele per giustificare operazioni più o meno discutibili. Molti atti di violenza o di guerra portati avanti da Israele fin dalla sua nascita sono stati infatti difesi in nome del diritto alla sicurezza, che servirebbe, secondo gli artisti, a giustificare sia la violenza che lo stato di deprivazione a cui sono sottoposti i palestinesi 232 .

La canzone si chiude con l’affermazione della volontà di resistenza da parte dei palestinesi, che non sono disposti a piegarsi nonostante la sofferenza subita:

Cos’è il nostro sangue?

Sangue di cani? Nemmeno, quando i cani muoiono c’è compassione per gli animali

231 Min Irh ābī (2001) 232 Sebbene questa possa agli artisti come una mera strategia retorica, l’ossessione israeliana per la sicurezza è radicata al di là della strumentalizzazione politica ed è una questione ben più complicata. Per approfondimenti: Y. Amidror, Israel’s Security Obsession: Prudence and Precaution or Unwarranted Fear, Jerusalem Project for Democracy in the Middle East (2004) - http://www.jpdme.org/html_version/amidror_article.htm (ultimo accesso 19/09/2012) In realtà i DAM, da cittadini israeliani, riconoscono comunque la paura di fondo che pervade la società israeliana come dimostra questa affermazione di Tamer Nafar: “Quando vado su un bus sono spaventato anch’io. Le bombe non fanno distinzioni tra ebrei, musulmani e cristiani” – K. Heim, Beats not Bombs: Hip-Hop to Create Peace in theIsraeli-Palestinian Conflict , ‹‹Nota Bene: Canadian Undergraduate Journal of Musicology››, vol.4 (2011)2; p.24

101 Quindi il nostro sangue vale meno del sangue dei cani?

No! Il mio sangue è prezioso e mi difenderò

Anche se mi chiami terrorista 233

233 Min Irh ābī (2001)

102 4. Il rap e la questione femminile.

Nell’universo rap palestinese, il fenomeno del rap “al femminile” merita sicuramente un’attenzione particolare. Le prime artiste hip-hop palestinesi nascono in contesto israeliano, e le principali esponenti sono senza dubbio il duo Arapiyat e la solista Sabreena da Witch 234 ; il contesto israeliano, meno conservatore di quello di Gaza e della West Bank, ha sicuramente facilitato l’emergere della componente femminile in questo tipo di espressione musicale, così come l’ambiente aperto e ibrido della diaspora, che ha dato vita a una delle più carismatiche donne del rap palestinese, Shadia Mansour 235 .

Le prime artiste affacciatesi sulla scena rap palestinese in Israele hanno dovuto fronteggiare diverse difficoltà: una di queste è insita nel genere hip-hop stesso, che anche in contesto afro-americano è stato per lungo tempo prerogativa maschile, e vedeva l’appropriazione di questo mezzo da parte delle donne come un’intrusione e una forzatura. Lo stesso predominio maschile si riscontrava nella neonata scena palestinese, composta da pochi artisti, tutti uomini; gli artisti palestinesi però, invece di criticare l’iniziativa femminile in questo campo, accolsero con entusiasmo i primi tentativi delle giovani artiste, dimostrando il carattere progressista del rap in ambito palestinese 236 . Le difficoltà piuttosto venivano dall’esterno, da quella società araba che – nonostante una maggiore apertura rispetto ad altri contesti – continuava a non vedere di buon occhio una così forte esposizione pubblica della donna, impegnata per di più in un genere musicale che non si era ancora conquistato la fiducia del pubblico. Nonostante le donne palestinesi godano di maggiori diritti a livello legale in contesto israeliano, le

234 Abeer al-Zinati spiega così la scelta del suo nome d’arte: “ in Arabic with a double E means patience. If you study revolution, you realize that without patience you are not a revolutionary because if you expect things to change with a finger point you are down to a losing battle. It takes a long time to change generations of sexism, apartheid and . But I am not only Sabreen or patient but also a witch that is powerful and can rock your world”. In G, Malek, A Feminist Encounter: Sabreena da Witch , Sawt al-Niswa: a feminist webspace, 24 agosto 2010 - http://www.sawtalniswa.com/2010/08/sabreena-da- witch/ (ultimo accesso 21/08/2012) 235 Mentre in Israele si riscontra la nascita di ulteriori artiste, nel resto del mondo palestinese l’attività di eventuali rapper donne sembrerebbe quasi assente, o perlomeno non si trova documentazione in merito. Il rapper Yaseen (Libano) da me intervistato, ha parlato di una collaborazione occasionale con una ragazza di Nahr el-Bared, ma pare si sia limitata a un solo brano con altri giovani del campo durante un laboratorio da lui tenuto. - In Siria delle giovani donne hanno iniziato ad avvicinarsi al rap (sebbene non abbiano prodotto registrazioni) sotto la guida dei Refugees of Rap. - Ayman Mghames dei Palestinian Rappers (da me contattato via mail) sostiene invece che sarebbe un “miracolo” vedere una donna rapper a Gaza a causa delle consuetudini e tradizioni nella società della Striscia. 236 Come già menzionato precedentemente, il sottogenere gangsta, il rap più “bullo” e misogino, non ha equivalenti in ambito palestinese. Il rap in questo contesto si presenta dunque come forza di cambiamento propositivo e di rinnovamento, attribuendo alla partecipazione femminile un ruolo estremamente positivo.

103 caratteristiche della tradizione araba si mantengono, sebbene siano attenuate per l’inserimento in una società composita, e siano dunque meno conservatrici. Al di là della ricezione della società palestinese in generale però, è necessario considerare l’ambito familiare, che riveste una funzione determinante nella vita delle giovani donne palestinesi; le reazioni delle famiglie delle prime artiste non furono univoche, a dimostrazione del fatto che non ci sia un atteggiamento comune, bensì diverse disposizioni nell’idea di controllo o libertà delle donne all’interno dei singoli nuclei familiari. Nel caso del duo femminile Arapiyat, le famiglie di Safaa e Nahwa si dimostrarono da subito collaborative, e sostennero la decisione delle figlie di dedicarsi all’hip-hop, nonostante potessero incorrere nella disapprovazione della società: “Sono stata molto fortunata perché la mia famiglia mi ha aiutato e sostenuto 237 ” racconta Safaa, i cui genitori furono orgogliosi fin dall’inizio dell’intraprendenza della figlia. Molto diverso è il caso di Abeer al-Zinati, in arte Sabreena da Witch, che ha dovuto affrontare diverse difficoltà all’inizio della sua carriera. Prima di una delle sue esibizioni pubbliche, in cui avrebbe dovuto accompagnare i DAM, ricevette delle minacce rivolte a lei e alla band da parte dei suoi cugini, che non accettavano che una donna della loro famiglia potesse esibirsi in pubblico 238 : questo convinse i suoi genitori a impedirle di recarsi al concerto e a scoraggiarla nella sua carriera musicale. La giovane artista dunque, lungi dal voler abbandonare le sue aspirazioni, dovette però agire per lungo tempo all’insaputa della famiglia, preferendo comporre e esibirsi senza la loro autorizzazione, piuttosto che ritrovarsi come molte altre donne palestinesi che

nonostante abbiano uno dei più alti livelli di scolarizzazione nel mondo arabo/musulmano, rimangono intrappolate in quella che è ancora una cultura patriarcale che le considera principalmente per il loro ruolo di madri e casalinghe piuttosto che come individui con il potere e la creatività per contribuire alla loro società e al cambiamento in maniera positiva 239 .

Con il tempo, con una maggiore diffusione dell’hip-hop e i precedenti creati dalle prime artiste palestinesi, la situazione si fece più semplice anche per le nuove generazioni di ragazze che decisero di cimentarsi con il rap. Il giovanissimo duo femminile Dmar,

237 Intervista nel documentario di J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 238 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009) 239 M. LeVine, Heavy Metal Islam: Rock, Resistance and the Struggle for the Soul of Islam , Three Rivers Press, New York (2008); p.125

104 composto da ragazze poco più che quindicenni di Nazareth, non dovette fronteggiare ostacoli da parte della famiglia, sebbene inizialmente i genitori non avessero preso troppo sul serio la loro passione per la musica; dopo il primo periodo il sostegno delle famiglie fu incondizionato, tanto da permettere alle ragazze di andare in tour fino in Giordania 240 . Sebbene ci siano stati dei miglioramenti nella percezione comune di questo fenomeno, persiste ancora una componente conservatrice della società palestinese che non vede di buon occhio le donne che hanno deciso di esprimersi tramite il rap. Secondo Abeer al- Zinati, parte di questa componente conservatrice sarebbe influenzata nei suoi giudizi dalla religione organizzata, che avrebbe un ruolo negativo nella società palestinese in Israele, sebbene ci tenga ad evidenziare il fatto che questo non dipenda né dall’Islam né dal Corano 241 . Sarebbero dunque alcuni membri delle autorità religiose a disapprovare l’espressione artistica delle rapper palestinesi (fatto peraltro lamentato in alcuni casi anche da rapper uomini 242 ) e a influenzare in questo senso alcune parti della società; a questo fattore si unisce il generale bisogno di controllo della donna insito nel patriarcato arabo. Nonostante vi sia ancora della disapprovazione nei confronti delle rapper, le artiste palestinesi appaiono risolute nelle loro intenzioni, combattendo per il loro diritto di parlare attraverso l’hip-hop, come spiegano le Arapiyat:

È stato difficile per noi all’inizio, perché siamo ragazze, arabe e musulmane. Altre ragazze hanno provato a fare rap, ma una parte della società ha cercato di fermarci… Ma noi non lasceremo che nessuno si metta sulla nostra strada, e se ci provassero continueremmo ugualmente, non ci fermeremo per nessuno 243 .

240 Arab “Damar” Rap Out Angry Politics in Nazareth , AlArab Online, 30 ottobre 2011 - http://www.alarab.co.uk/english/display.asp?fname=%5C2011%5C10%5C10- 30%5Czentertainmentz%5C961.htm&dismode=x&ts=30-10-2011%2017:36:00 (ultimo accesso 21/08/2012) – Ultimamente le DMAR sono state in tour in Europa insieme a un altro gruppo di Nazareth, I WE7 (Walad el7ara). 241 M. LeVine, Heavy Metal Islam: Rock, Resistance and the Struggle for the Soul of Islam , Three Rivers Press, New York (2008); p. 125 Vi sono numerosi casi nel mondo dell’hip-hop (non necessariamente palestinese o arabo) in cui Islam e rap vanno di pari passo. Un esempio interessante è quello di Miss Undastood, rapper statunitense che si fa portavoce dei valori musulmani, che dimostra come l’hip-hop e l’Islam non siano incompatibili. Le ragioni della disapprovazione nei confronti delle rapper palestinesi risiedono dunque in altre problematiche. 242 Come i casi già menzionati di Yaseen e dei Palestinian Rappers. 243 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009)

105 L’opposizione verso quella parte della società che vorrebbe impedire l’espressione pubblica delle giovani rapper passa anche attraverso la provocazione, diretta alla stessa società araba; una provocazione che Abeer al-Zinati, nonostante le difficoltà riscontrate, porta avanti attraverso i suoi testi e persino col suo abbigliamento provocante, con l’obiettivo di sovvertire le norme “tradizionali” della cultura araba. È evidente come la lotta delle artiste hip-hop palestinesi si configuri non solo in opposizione al sionismo – tema trasversale a tutta la produzione rap palestinese – ma anche contro la loro stessa società, per affermare il diritto di poter compiere le proprie scelte. La battaglia per i diritti della donna e la causa palestinese risultano complementari nella produzione delle artiste, per le quali i due obiettivi sembrerebbero non essere scindibili. Le pressioni operate da alcuni elementi della società palestinese nei confronti delle artiste rap, le vorrebbero più impegnate nella causa palestinese – che è comunque presente nei loro testi in maniera non meno rilevante dei brani degli uomini – a discapito delle questioni di genere, la cui ricezione è ancora problematica per molti, come racconta Abeer:

Ricordo di essere andata ad eventi in cui mi è stato detto che non ero autorizzata a parlare della questione della donna – prima la politica, mi dissero, i diritti delle donne non sono il nostro soggetto principale. Ma io sono la Palestina. Sono una palestinese – ogniqualvolta io parlo, parlo di Palestina […] quando parlo dei problemi delle donne io parlo da donna palestinese. Non voglio sentire “ci occuperemo dei problemi delle donne più tardi” 244 .

Questo riflette una disposizione riscontrata in molti movimenti nazionali in cui l’emancipazione della donna viene subordinata alle priorità del movimento nazionale, rimandando le questioni di genere ad un futuro non meglio specificato in cui l’identità nazionale sia già stata asserita e consolidata 245 .

244 G. Malek, A Feminist Encounter: Sabreena da Witch , Sawt al-Niswa: a feminist webspace, 24 agosto 2010 - http://www.sawtalniswa.com/2010/08/sabreena-da-witch/ (ultimo accesso 21/08/2012) 245 Per questo motivo parte del femminismo post-coloniale o del “Terzo Mondo” sostiene l’effetto negativo del nazionalismo sul femminismo. Secondo alcune studiose, tra cui Ueno, il femminismo dovrebbe avrebbe avere la precedenza sul discorso nazionale e trascendere il nazionalismo. – Vedere C. Ueno, Nationalism and Gender , Trans Pacific (2004) Jayawardena, nel suo studio sul Femminismo e il Nazionalismo nel Terzo Mondo, sostiene invece che nei casi da lei presi in considerazione la lotta per l’emancipazione femminile fosse parte integrante e essenziale dei movimenti di resistenza nazionale. Il femminismo e il nazionalismo sarebbero dunque compatibili. – Vedere K. Jayawardena, Feminism and Nationalism in the Third World , Zed Books (1994).

106 Sabreena, le Arapiyat e le Dmar sono voci femminili che criticano le tradizioni di cui sono vittime dall’interno della società stessa, e in questo senso si devono comprendere le loro provocazioni, che differiscono sensibilmente dall’atteggiamento più prudente adottato da Shadia Mansour. In quanto artista della diaspora in occidente infatti, quest’ultima ha vissuto sostanzialmente sradicata dalla società araba e non ha provato allo stesso modo le difficoltà delle sue connazionali che vivono in altri contesti. Per questo motivo le sue critiche alla società araba sono più blande, e la Mansour esclude la provocazione e la sfida diretta nei suoi testi, sostenendo che il cambiamento si debba raggiungere attraverso l’educazione e il dialogo 246 . La scelta di questo approccio è probabilmente maturata per il timore di essere accusata di voler introdurre i valori dell’occidente 247 in cui è cresciuta nella società palestinese, e da ciò si comprende l’importanza della lotta delle donne “dall’interno”.

La reticenza della società palestinese nell’affrontare la questione della donna e – per una parte di essa – nel concederle maggiori libertà nelle proprie scelte personali, risiede nella persistenza della concezione tradizionale dell’onore della famiglia, per il quale è necessario uno strettissimo controllo delle sue componenti femminili. Nel suo studio sulle donne nella tradizione palestinese Najah Manasra spiega il concetto di onore:

L’onore maschile (‘ird o sharaf) non è condizionato da delle realizzazioni personali, ma dipende dall’abilità dell’uomo nel controllare le proprie donne. Gli uomini sono responsabili delle azioni delle donne 248 .

Per questo motivo le donne palestinesi, fin da bambine, sono sottoposte al rigido controllo da parte degli uomini della famiglia: padri, fratelli, a volte membri della famiglia allargata; il controllo maschile passa con il matrimonio dalla famiglia al marito, ma non cessa mai di accompagnare la donna. Le bambine vengono educate dalle

Per approfondimenti sul contesto palestinese vedere T. A. Jacoby, Feminism, Nationalism, and Difference: Reflections on the Palestinian Women’s Movement , ‹‹Women’s Studies International Forum››, 22 (1999) n.5; pp. 511-523 246 J. L. Andersen, The Passion, Politics and Power of Shadia Mansour , ‹‹Rolling Stone Middle East››, 4 settembre 2011 - http://www.rollingstoneme.com/index.php?option=com_content&view=article&id=630 (ultimo accesso 01/08/2012) 247 Nelle società “non occidentali” le rivendicazioni femminili vengono spesso osteggiate in quanto si considera il femminismo un prodotto dell’occidente. Jayawardena si oppone a questo pensiero, dimostrando come il femminismo sia il prodotto di circostanze storiche e di dinamiche che non sono prerogativa dell’occidente. - K. Jayawardena, Feminism and Nationalism… (1994) 248 N. Manasra, Palestinian Women: Between Tradition and Revolution, in E. Augustin, Palestinian Women: Identity and Experience , Zed Books, London (1993); pp. 7-20

107 donne della famiglia, a partire dalla madre, ad accettare la loro condizione di subordinazione e ad adattarsi al loro ruolo femminile. Nella tradizione palestinese le donne cominciano molto presto a occuparsi della cura della casa, dei fratelli più piccoli e della preparazione del cibo, mentre viene loro negato l’accesso alla sfera pubblica e sociale, riservata alla parte maschile della famiglia. Il tempo ha sicuramente contribuito a un miglioramento delle condizioni di vita delle donne palestinesi che godono attualmente di maggiore libertà di movimento, più possibilità di socializzazione con coetanei maschi, maggiore peso nella scelta del marito e di un maggiore livello di scolarizzazione. Secondo Manasra inoltre

(La prima 249 ) Intifada ha cambiato il ruolo e la consapevolezza di molte donne. Molto coscientemente, un numero crescente di loro sta intraprendendo una lotta non solo contro l’occupazione israeliana ma anche contro le norme restrittive della loro società 250 .

Il processo di reazione e di cambiamento è dunque iniziato, perlomeno a livello teorico, già da diverso tempo. Dal lato pratico è necessario ricordare le ovvie differenze tra i vari contesti palestinesi, poiché le vita di una donna a Gaza è sensibilmente diversa da quella di una palestinese-israeliana. Nonostante in contesto israeliano la tradizione araba possa aver perso i tratti più marcatamente conservatori, permane però nella società palestinese un sostrato fortemente patriarcale, che reitera in diverse forme l’oppressione, e talvolta la violenza, nei confronti delle donne.

Come si è già detto, il rap si rivela un mezzo capace di parlare di oppressione anche in termini di genere. Secondo le Arapiyat, la nascita di artiste rap era necessaria per fornire nuova forza e argomenti all’hip-hop palestinese poiché gli uomini non potevano parlare dei problemi delle donne arabe, che costituivano un tema che non si poteva più trascurare. Le Arapiyat dunque cercavano con la loro musica di aprire gli occhi sulla situazione femminile, esprimendo la necessità di un cambiamento; un esempio importante è la loro canzone “La ragazza araba” che come racconta Safaa

parla della vita delle ragazze arabe, e chiediamo alla gente, specialmente alla nostra comunità, che ci dia il diritto di vivere come delle persone, di poter fare le

249 N.d.t. 250 N. Manasra, Palestinian Women… (1993)

108 nostre proprie scelte per le nostre vite, e che non dobbiamo aspettare che decidano che strade dobbiamo intraprendere, la nostra esistenza, e in che modo dobbiamo vivere 251 .

L’emergere di artiste che portarono la tematica femminile all’interno dell’hip-hop palestinese spinse diverse band composte da uomini ad abbracciare l’argomento, con la volontà di diventare anch’essi agenti di cambiamento e di modernità, in una critica alla società araba che è anche un’autocritica dell’uomo, che prende consapevolezza dell’interiorizzazione dei modelli patriarcali.

4.1. La libertà è donna.

Queste parole sono per tutte le nostre madri e le nostre sorelle

Perse tra i nostri costumi ignoranti e tradizioni futili

Tutti le vedono, ma chi difende?

–Tutti lo percepiscono ma nessuno ne parla–

La canzone al-Ḥurriyya 'Un ṯa252 (La libertà è donna) è stata composta dai DAM in collaborazione con Safaa delle Arapiyat ed è contenuta nell’album Ihda (2006). L’importanza che i DAM attribuiscono alla donna emerge da numerose canzoni in cui la donna viene ritratta in diverse vesti: amante o oggetto di devozione, combattente che lotta per i suoi diritti, e madre – in senso concreto o come metafora della Palestina 253 . La canzone “La libertà è donna” è però quella che affronta la questione femminile nel mondo arabo con più decisione. Le strofe di Tamer in questa canzone rappresentano l’uomo che riconosce i propri errori, come primo passo verso il cambiamento, come racconta in un’intervista:

Hai presente quel pezzo di Michael Jackson che dice “Sto per fare un cambiamento… Cominciando con l’uomo nello specchio”254 ? Per noi vale un po’

251 Entretien avec Safaaa Arapiyat, Rappeuse Palestinienne , 9 luglio 2009 - http://www.saphirnews.com/Entretien-avec-Safaa-Arapiyat-rappeuse-palestinienne_a10359.html (ultimo accesso 22/08/2012) 252 Cfr. Traduzione completa in appendice (p.168). 253 S. Van Kalkeren, The Soundtrack of Who We Are: Performing Identities in Palestinian Hip-Hop – a Case Study , Utrecht University (2011); p.16 - http://igitur-archive.library.uu.nl/student-theses/2011-0805- 200734/The%20soundtrack%20of%20who%20we%20are.pdf (ultimo accesso 23/08/2012) 254 Man in the Mirror , Bad (1987)

109 la stessa cosa, riguardo a quello che sono i diritti delle nostre sorelle e il rispetto che meritano 255 .

In apertura del brano l’oppressione femminile viene inserita in un quadro più ampio:

L’ingiustizia, tutti ne soffrono:

Gli americani opprimono gli arabi

I sionisti opprimono gli arabi

Sapete cosa, arabi?

Se opprimi qualcuno, qualcun’altro ci opprimerà

Il paradigma vittima-oppressore, che si esplica in discriminazione e violenza, rappresenta una catena, uno schema che si ritrova in diversi contesti e che viene applicato dalla band anche alle questioni di genere. Tamer spiega:

Oggi gli arabi soffrono la maggiore discriminazione, i Palestinesi ancora di più… Più le difficoltà interne alla nostra società […] e chi subisce il peggio? La donna, la donna araba 256 .

Nel brano il racconto delle ingiustizie subite dalle donne nella società araba è affidato inizialmente a Tamer, l’uomo, che canta:

Pianti senza voce, da colei che asciuga le lacrime

Quando apre gli occhi vede all’orizzonte i recinti del proibito

le ho detto, ciò che mi è proibito le è proibito

ciò che mi è permesso le è proibito. E ciò che è permesso

a lei? La parola permesso non c’è nel suo dizionario

Il richiamo al permesso e al proibito , fa riferimento alla sopracitata “catena dell’oppressione”: Israele proibisce ai palestinesi, di entrambi i sessi, molte cose ( ciò che mi è proibito le è proibito ), mentre la società araba aggiunge ulteriori limiti alle proprie donne ( ciò che mi è permesso le è proibito ). Come sottolinea Sinsia Van

255 S. Bettini, DAM: Intifada Lirica , ‹‹Basement››, n.6, novembre/dicembre (2006) – Intervista disponibile su http://www.damrap.com/interviews.html (ultimo accesso 23/08/2012) 256 J. Salloum, Slingshot Hip-hop (2009)

110 Kalkeren, autrice di una tesi che analizza l’album dei DAM Ihda , questo passaggio è molto significativo:

Usare le stesse parole per descrivere i sionisti come contrapposti ai palestinesi e per gli uomini contrapposti alle donne è un’affermazione potente. Mette uno specchio di fronte alla società palestinese, pone delle domande dolorose. […] questo dovrebbe far riflettere il pubblico su come si dovrebbe non solo opporsi a Israele, ma anche cambiare i propri stessi errori 257 .

Il testo del brano continua:

Lei ci mette in piedi, quegli stessi piedi che calpestano i suoi diritti

Giorno dopo giorno, si ripete lo stesso giorno

E’ la prima ad alzarsi e l’ultima a dormire

Questo è il mio messaggio per te, donna, madre della casa

da parte dell’uomo che costruisce solo muri attorno a te

In questo passaggio Tamer riconosce i gravosi compiti domestici della donna, che si prende cura della casa e dei figli senza che gli uomini gliene diano atto, ricevendo in cambio solo limitazioni e negazione dei suoi diritti. I figli (maschi), sottolinea Tamer, spesso non mostrano il dovuto rispetto nei confronti della figura materna per una convinzione di superiorità del genere maschile, che in virtù di ciò avrebbe maggiori diritti, come si intuisce la altri versi: “per tutte le volte in cui l’ho vista meno importante di me / e l’ho trattata come se fosse nata per servirmi” .

È sempre l’uomo a raccontare la progressione storica delle ingiustizie e delle violenze nei confronti delle donne, in un percorso durante il quale poco sembra essere cambiato, se non uno spostamento a favore di violenze meno fisiche e più psicologiche:

Per racconti storici che non si civilizzano

Dal tempo in cui si seppellivano vive le bambine, dal tempo in cui si infibulavano

Fino al tempo in cui si seppelliscono le sue opinioni,

fino al tempo in cui si tagliano i suoi desideri.

257 S. Van Kalkeren, The Soundtrack of Who We Are: Performing Identities in Palestinian Hip-Hop – a Case Study (2011); p.26

111 Vittima perché è debole? Che dici?!

Soffre da sola per nove mesi e noi siamo quelli che nascono piangendo

Torniamo alla storia, le impronte di Adamo sono sulla scena del crimine

E le nostre dita accusano Eva, strano?

Ancora più strano e che noi vietiamo la libertà

femminile, e la libertà stessa è donna.

La canzone costituisce, oltre che una presa di posizione della band a favore del cambiamento, un’appropriazione da parte maschile della lotta per i diritti delle donne 258 . Portare quest’argomento all’attenzione della propria società non significa solo invocare e tentare di ispirare un mutamento in positivo della questione femminile, ma ha anche la funzione di mostrare che il dibattito è attivo all’interno della società araba; in questo modo si vuole mostrare a chi strumentalizza i discorsi di genere e a chi dipinge la società araba come socialmente immobile e irrimediabilmente oppressiva nei confronti delle donne, che c’è una parte della popolazione che lavora per un cambiamento dall’interno. Secondo l’antropologa Lila Abu-Lughod, nella società post-coloniale le donne sono diventate potenti simboli di identità e visioni della società e della nazione; la situazione femminile è considerata il “barometro” che misura la posizione di una società nell’asse dello “stato di civiltà” 259 . I discorsi sull’oppressione delle donne sono spesso strumentalizzati in diversi contesti: accade dunque che anche la situazione delle donne palestinesi spossa essere utilizzata per cercare di contrapporre l’inciviltà e arretratezza araba nelle questioni di diritti – delle donne, ma anche degli omosessuali – alla tolleranza e alle politiche di uguaglianza israeliane; questi discorsi potrebbero

258 Il coinvolgimento maschile nella questione femminile e la ridiscussione dei ruoli di genere non è nuovo nelle società occidentali. I gruppi pro-femministi, nati in Nord America negli anni ’70, cominciarono a utilizzare strumenti di analisi femminista per decostruire e criticare il concetto di mascolinità e per invocare una sostanziale uguaglianza di genere. Il coinvolgimento maschile nel femminismo riconosceva inoltre la necessità da parte degli uomini di criticare l’egemonia maschile e di responsabilizzarsi per sradicare la violenza sulle donne. – Per approfondimenti vedere: A. Goldrick-Jones, Men Who Believe in Feminism , Greenwood Publishing Group (2002) La critica ai modelli imposti di genere attuata dai giovani rapper palestinesi (che non è sicuramente il primo esempio all’interno del mondo arabo) potrebbe essere assimilabile a quella dei movimenti pro- femministi, in quanto si riscontra una consapevolezza della necessità di combattere le disuguaglianze di genere sia da parte maschile che femminile, sebbene sia necessario riconoscere la diversa e più ristretta portata di questi discorsi in contesto arabo. 259 L. Abu-Lughod, Remaking Women: Feminism and Modernity in the Middle East , Princeton University Press, Princeton (2001)

112 essere volti a dimostrare agli occhi del pubblico internazionale che le politiche israeliane portano avanti gli ideali democratici e progressisti dell’occidente, spostando così l’attenzione dalle sue azioni repressive nei confronti dei palestinesi 260 . Da questo tipo di pensiero deriva la necessità da parte palestinese di affrontare internamente il problema e appropriarsi di questa causa, nonostante le reticenze da parte della parte più conservatrice della società.

Dopo il discorso maschile viene introdotta nel brano la voce femminile della giovane Safaa, che si fa portavoce delle donne palestinesi e affronta l’uomo, ribadendo la sua condizione di costrizione e sofferenza:

La donna araba, la sua vita bianca è stata scritta

(…) Intrappolata in una casa in cui non ho trovato

altro che le lacrime dei “vorrei”, o mondo che cosa hai gettato?

Torna a chiederti da dove sei venuto

Sei arrivato nudo 261 , mi chiedi perché ho pianto?

Perché sono un corpo senz’anima

e chi ha causato le ferite diventa innocente e esce dall’arca di Noè

Innocente ma sfacciato, mi chiedi “dove vai”?

perché, tu da dove vieni?

In questi versi Safaa apostrofa l’uomo, mostrando la condizione in cui le donne sono costrette a vivere per sua colpa, una colpa che non viene riconosciuta ( chi ha causato le ferite diventa innocente e esce dall’arca di Noè ), e rappresentandosi come madre, chiede rispetto all’uomo che esercita il controllo su di lei. Ma dopo essersi rivolta alla parte maschile della società, la giovane artista si rivolge alle donne, invitandole ad agire per operare un cambiamento nella loro condizione:

Ma va bene, da oggi in poi aria di dolore che si diffonde

260 I discorsi che strumentalizzano la questione dei diritti degli omosessuali si definiscono pinkwashing . Per approfondimenti su omonazionalismo, pinkwashing , politiche nazionaliste israeliane e sessualità vedere: J. Puar, Citation and Censorship : The Politics of Talking About the Sexual Politics of Israel , ‹‹Feminist Legal Studies››, 19 (2011) n. 2; pp. 133-142 261 Si riferisce all’uomo al momento della nascita (n.d.t.).

113 non ce n’è, staremo ferme sui nostri piedi, non sulle nostre mani

Le tue scuse non bastano e il dolore non spaventerà più

(…) Perciò sorella sii ottimista e lascia che i tuoi fratelli facciano domande

Ma è tuo diritto combattere per poter essere simili ai fratelli

In questo modo Safaa invita le donne a non aspettare i propri diritti come una concessione da parte maschile, ma a lottare per ottenerli. Questo tipo di volontà di agire e aspirazione d’indipendenza da parte di una giovane donna si allontanano dai modelli tradizionali di femminilità araba e palestinese, in cui la forza della donna si esplica in contesto “informale” e non è così fortemente proiettata nel contesto pubblico 262 .

I versi dalla canzone “La libertà è donna” ci offrono inoltre uno spaccato dei rapporti uomo-donna nella società araba, della sessualità, delle relazioni pre-matrimoniali 263 e dei tabù legati a questi temi, trattati dalla band DAM anche in altri brani. La cultura palestinese si rifà ai dettami dell’Islam per quanto riguarda i rapporti uomo- donna 264 , e il matrimonio è considerato l’unica forma lecita in cui si possano consumare rapporti sessuali. Il sesso pre-matrimoniale è considerato zin ā' (rapporto sessuale illecito) ed è condannato sia a livello religioso che sociale. La disapprovazione sociale però spesso non si limita solo ai rapporti sessuali pre-matrimoniali, ma sono fortemente scoraggiate anche le semplici relazioni affettive tra un ragazzo e una ragazza, che creerebbero il rischio di zin ā', e sicuramente costituiscono fonte di pettegolezzo sulla ragazza e sulla famiglia. Per questo motivo questo tipo di rapporti sono spesso osteggiati dai familiari, costringendo la coppia a continuare la relazione in segreto o a romperla. Le difficoltà di due giovani amanti palestinesi sono raccontate nella canzone “'U ṣṣ et Ḥubb” (Una storia d’amore) dei DAM, che illustra come la società conservatrice influisce sui rapporti:

Ho paura dell’amore perché la società ci guarda

(…) Stiamo dando alla società araba ancora più cose di cui parlare

262 Per approfondimenti vedere: A. Sa’ar, Feminine Strength: Reflections on Power and Gender in Israeli- Palestinian Culture , ‹‹Anthropological Quarterly››, 79 (2006) n.3; pp. 397-430 263 Per un approfondimento sulle dinamiche uomo-donna, la sessualità e la tradizione islamica vedere: F. Mernissi, Beyond the Veil: Male-Female Dynamics in Modern Muslim Societies , Halsted Press, New York (1975) 264 Sebbene si possa notare in alcuni aspetti legati alla religione (ad esempio il vestiario) una maggiore apertura nella società palestinese rispetto alla stretta visione islamica.

114 Non capisco come abbiano il cuore di reprimere altri cuori

Nonostante il serrato controllo sociale però, può accadere che due giovani consumino rapporti sessuali prima del matrimonio. Pur essendo il sesso prematrimoniale ḥar ām (proibito) per entrambi i sessi, l’atteggiamento della società nei confronti dell’uomo e della donna in questi casi è sensibilmente differente, come evidenziano i versi della canzone “La libertà è donna”:

Ti chiedo scusa se hai conservato il tuo onore tra le mani e io dopo averti convinto a lasciar perdere me ne sono andato, ho lasciato tutto su di te

Mi chiamano Don Giovanni perché ho preso l’ innocenza dai tuoi occhi

Ho pronunciato la parola “peccato” nelle tue orecchie

E ribadisce il concetto anche Safaa nella sua parte:

Per un particolare mi hanno rovinato, certo mi hanno accusato

e per questo particolare lui ha vinto e io sono quella che ha perso

Essendo la verginità della donna non sposata fondamentale per l’onore della famiglia, è lei a ricevere tutte le critiche e la disapprovazione per quando avvenuto, mentre l’uomo, come accade in altre società patriarcali e non, viene spesso esaltato per la sua mascolinità, e non subisce mai le conseguenze che sono invece riservate alla donna. Il rapporto pre-matrimoniale dunque è “perdonato” all’uomo, per il quale non costituisce disonore; molti uomini nella società palestinese praticano il sesso pre-matrimoniale, ma considerano questa pratica disdicevole se esercitata da una donna 265 . Per la società inoltre è normale la propensione che l’uomo avrebbe per più donne contemporaneamente, mentre da parte della donna si pretendono inclinazioni esclusivamente monogame 266 . Un superamento di questa concezione viene ancora una volta dai DAM, che nella loro “Una storia d’amore” cantano:

(…) tu sarai mia – Sarò tua 267 ?

Ma oggi ho capito che tu sarai mia solo quando io sarò tuo

265 N. Manasra, Palestinian Women… (1993); p.14 266 Questo è uno dei ragionamenti che stanno alla base della pratica islamica della poligamia: anche nelle società in cui sia stata resa illegale o non sia praticata, questa idea rimane nella concezione delle dinamiche uomo-donna. 267 (Voce di donna)

115 Non è giusto che il tuo cuore mi appartenga,

mentre il mio appartiene a ogni ragazza che vedo

Se voglio che continuiamo ad esistere noi due

Dobbiamo essere uno più uno

Nelle canzoni prese in analisi in questa sezione si riscontra una delle caratteristiche tipiche dell’hip-hop impegnato: l’appropriazione e la trattazione di temi spesso trascurati o taciuti all’interno della società di appartenenza. Questa presa di posizione sulla questione femminile da parte di numerose band palestinesi che hanno raggiunto un buon livello di popolarità, è senza dubbio positiva; nella canzone “La libertà è donna” infatti troviamo dei modelli per i giovani alternativi a quelli tradizionali: sia per le donne (Safaa che le sprona a pretendere i propri diritti) che per gli uomini (Tamer che tratta con dignità le donne e riconosce gli errori che continuano a essere commessi dal genere maschile). È possibile che il rap rifletta una nuova tendenza delle nuove generazioni che si distaccano dalla tradizione, ma è anche vero che questa tendenza non è rappresentativa di tutte le varie realtà palestinesi 268 . Con la diffusione trans-nazionale dell’hip-hop palestinese però, è auspicabile un sempre maggiore coinvolgimento di artisti e di pubblico riguardo a questi temi, che costituiscono un importante sensibilizzazione che potrebbe portare alla costruzione di un dibattito e di un percorso condiviso tra i giovani, uomini e donne.

268 Come si è già detto la maggiore produzione sul tema viene da band di palestinesi-israeliani.

116 In questo capitolo ho preso in considerazione diversi aspetti del rap palestinese e del microcosmo musicale e sociale che gli ruota intorno. I brani scelti evidenziano alcune caratteristiche stilistiche e tematiche comuni alla produzione rap palestinese e mettono in luce la sensibilità delle varie anime palestinesi, da Gaza alla diaspora, nell’affrontare determinate problematiche. Nonostante le indubbie differenze esistenti tra i singoli artisti di diverse provenienze, ho riscontrato una comunanza di intenti nell’utilizzo del genere e evidenziato alcuni dei tòpoi che ricorrono nelle narrazioni in rima dei giovani palestinesi. Il richiamo alla patria, sia essa vicina o lontana, è sempre presente anche se non necessariamente in maniera esplicita: la Palestina risulta un qualcosa di idealizzato, lontano da progetti o visioni concrete, che gli artisti sembrano non riuscire a formulare per una sorta di disillusione nei confronti del futuro, che è nebuloso e irraggiungibile a causa degli impedimenti creati dal “nemico” 269 . Nelle diverse realtà che hanno generato gli artisti palestinesi è emerso un senso comune di oppressione – che assume ovviamente diverse forme – che viene espresso all’interno di molti brani, in cui i rapper denunciano le varie forme di violenza di cui sono vittime. La “vittimizzazione” è dunque un altro aspetto comune della produzione artistica dell’hip-hop palestinese, in cui gli artisti si presentano appunto come “perseguitati” allo scopo di agire sull’ascoltatore – sia esso israeliano o no – generando empatia e desiderio di giustizia nei loro confronti. È molto comune l’artificio stilistico di inversione della vittimizzazione, che è teso a capovolgere le retoriche con le quali, secondo gli artisti, Israele cerca ingiustamente di dipingersi a sua volta come vittima. La narrazione degli effetti concreti dell’oppressione e della guerra ricopre dunque un ruolo importantissimo nel rap palestinese, allo scopo di mostrare la realtà della disparità delle violenze, in un quadro in cui le opposizioni binarie tra vittima e oppressore, e giusto e sbagliato hanno spesso poche sfumature.

269 Nella maggior parte dei brani non è chiara la visione politica di una Palestina futura: una volta che fossero soddisfatte le istanze degli artisti (diritto al ritorno, fine delle violenze etc.) in che quadro si immaginano? In uno stato palestinese confinante con lo stato di Israele? O in un unico stato che unisca ebrei e palestinesi? Indubbiamente i singoli artisti potrebbero avere diverse opinioni in merito, e qualcuna si potrebbe a grandi linee intuire dai testi, ma in generale il rap palestinese sembra troppo concentrato sulla denuncia e troppo disilluso da poter fornire un’immagine di ciò che potrebbe essere il futuro. Bisogna comunque ricordare che non è necessariamente compito degli artisti fornire delle prospettive in questo senso.

117 Se gli aspetti sopracitati si inseriscono senza rotture nei temi “classici” delle narrative di resistenza palestinesi, il rap si lancia però anche nella trattazione di argomenti che spesso stanno ai loro margini: l’esempio più significativo di questo fenomeno è rappresentato dalla questione femminile, alla quale i rapper palestinesi dedicano un certo spazio, dimostrando il carattere innovativo del genere e il coraggio degli artisti nel presentarsi in opposizione non solo al “nemico”, ma anche ad alcuni aspetti interni alla propria società.

Nel primo e nel secondo capitolo si è senza dubbio privilegiata un ottica palestinese rispetto a certe problematiche, trascurando in gran parte – per la natura del lavoro e delle fonti – l’ottica israeliana. Nel terzo capitolo verrà invece introdotto il punto di vista di alcuni artisti ebrei-israeliani, e si vedrà come essi abbiano interagito con i rapper palestinesi. In particolare verranno analizzate le occasioni di scontro e di collaborazione tra le due parti e i dibattiti che hanno generato. Il rap palestinese sarà analizzato dunque in un quadro più ampio rispetto a quello visto finora, osservandone le interazioni con diversi ambienti e i suoi obiettivi.

118 Capitolo III

Il rap palestinese: strategie di resistenza, conflitto e dialogo.

In questo capitolo il rap palestinese è preso in considerazione come mezzo di resistenza non violenta e come ponte tra le varie realtà palestinesi. Si analizza inoltre l’interazione del rap palestinese con il rap prodotto da artisti ebrei-israeliani, presentando gli artisti e le collaborazioni che – con diversi esiti – palestinesi e israeliani hanno intrattenuto o intrattengono attraverso diversi progetti. Si vedrà se le strategie messe in atto dai vari rapper – che puntino alla legittimazione di alcune narrative nazionali, alla diffusione di una consapevolezza sulle tematiche da essi trattate, a un cambiamento all’interno della società o a livello internazionale, al dialogo tra le varie parti in conflitto, o alla risoluzione di quest’ultimo – si siano rivelate effettive, o come potrebbero diventarlo in futuro.

In questo capitolo mi concentrerò prevalentemente sul rap prodotto in Israele da ebrei- israeliani e palestinesi-israeliani, in quanto è sulla scena israeliana che avvengono i contatti reali tra gli artisti che condividono non solo i vari palchi, ma anche le problematiche sociali della realtà israeliana, che vengono presentate in maniera diversa a seconda dell’appartenenza etnica e della sensibilità politica. Il rap prodotto dai palestinesi in altre realtà riguarda comunque il pubblico degli ebrei- israeliani, ma le modalità di trasmissione del messaggio e le tematiche da essi affrontate allontanano in un certo senso lo spazio della comprensione reciproca – alla quale i rapper di Gaza e della West Bank sono probabilmente meno disposti – senza contare le difficoltà oggettive di contatto tra i vari artisti e il loro pubblico da un lato all’altro della linea verde. È dall’hip-hop prodotto all’interno di Israele che bisogna dunque partire per considerare delle reali opportunità di dialogo, per analizzare le esperienze passate e le prospettive future di questi spazi di interazione tra gli artisti e il loro seguito.

1. Il rap come ponte tra palestinesi.

Se si considera l’eterogenea realtà palestinese, gli avvenimenti storici, la politica e le diverse realtà createsi all’interno di Israele, nella West Bank, a Gaza e nella diaspora costituiscono indubbiamente motivo di separazione e differenziazione tra le diverse

119 anime del popolo palestinese. La realtà dell’occupazione e in ultimo, la costruzione del muro di separazione, rappresentano un ulteriore ostacolo a un contatto, o a un avvicinamento delle varie parti. Cosciente delle numerose divisioni fisiche, politiche e sociali tra le varie componenti della realtà palestinese, l’hip-hop ha cercato e cerca tuttora di abbattere le barriere che le separano, come spiega Suheil Nafar, membro della band DAM, all’inizio del documentario Slingshot Hip-Hop :

Vivendo nello stato ebraico […] siamo stati separati dai palestinesi che vivono fuori da Israele. Durante la guerra del 1967 Israele occupò Gaza e la West Bank. Da allora questi palestinesi del ’67 vivono sotto occupazione israeliana: non possono lasciare la West Bank e Gaza e noi palestinesi del ’48 non siamo autorizzati ad entrare senza una speciale autorizzazione da parte di Israele. E adesso c’è un gigantesco muro tra di noi. Ma questa storia parla di abbattere questi muri che ci separano 1.

Nel film di Jackie Salloum assistiamo ai vari tentativi dei rapper palestinesi-israeliani, della West Bank e di Gaza di incontrarsi per potersi esibire insieme, tentativi spesso frustrati dagli ostacoli costituiti dai checkpoint e dalla complessa burocrazia israeliana 2. Sebbene l’incontro tra le varie realtà rappresentate dagli artisti rap palestinesi sia tuttora abbastanza difficoltoso sul concreto piano “spaziale”, i rapper sono riusciti ad annullare le distanze che li separavano, soprattutto grazie ad internet, mezzo senza il quale il rap palestinese sarebbe ancora praticamente sconosciuto. Internet ha avuto senza dubbio un importantissimo ruolo nella diffusione della produzione musicale degli artisti, che possono caricare sulla rete i loro brani – sia quelli con un’indubbia qualità sonora, come quelli dei DAM, sia quelli registrati in maniera più rudimentale – senza la mediazione del mercato discografico. Ma il fondamentale ruolo di internet per i rapper palestinesi risiede anche nelle sue potenzialità di comunicazione e interconnessione, che hanno permesso ai vari artisti di tenersi in contatto e cementare amicizie e collaborazioni al di là delle distanze; sono nati infatti molti brani che riuniscono artisti palestinesi di diverse

1 J. Salloum, Slingshot Hip-Hop (2009) 2 Nel documentario si vede come i Palestinian Rappers, band di Gaza, furono bloccati durante il tragitto per Ramallah, dove avrebbero dovuto esibirsi insieme ad artisti palestinesi-israeliani e della diaspora, nonostante disponessero di un permesso.

120 provenienze senza che essi si siano mai incontrati 3. Gli stretti contatti tra gli artisti hanno generato un senso di solidarietà di gruppo, ma anche una conoscenza reciproca delle diverse problematiche che colpiscono le diverse realtà palestinesi, fattori che non si limitano al piano delle relazioni tra artisti, ma sono invece estesi al pubblico palestinese che, da Gaza alla diaspora, può comprendere ed empatizzare più facilmente con il resto del suo popolo. Secondo Hugh Lovatt, che ha analizzato nel suo lavoro numerosi aspetti del rap palestinese, una delle sue funzioni fondamentali sarebbe

aiutare a creare, costruire e mantenere un’identità nazionale araba-palestinese in ciò che può essere visto come un tentativo di ritrovare ciò che lo storico medievale arabo Ibn Khaldun definiva come asabiya o appartenenza di gruppo. […] I testi rap palestinesi sono profondamente permeati da vari concetti ideologici, in particolare: promozione di una storia comune, resistenza contro un’entità ostile, profondo attaccamento a una madrepatria 4.

La ricerca dell’unità del popolo palestinese è uno degli obiettivi del rap che cerca di appianare le differenze al suo interno, pur valorizzando la diversità di esperienze attraverso il racconto di queste ultime, nel tentativo di riuscire lì dove la politica ha fallito.

Nonostante il rap sia indubbiamente riuscito a creare una connessione intra-palestinese, la ricerca di punti comuni è stata ed è sicuramente più difficile nelle relazioni tra palestinesi e israeliani. Il rap palestinese prodotto al di fuori della linea verde presenta testi scritti per la maggior parte in lingua araba 5: la lingua rappresenta dunque il primo ostacolo alla trasmissione del messaggio. Inoltre, anche sul piano dei contenuti, si può facilmente immaginare come il rap prodotto da artisti di Gaza e della West Bank – che vivono quotidianamente l’esperienza dell’occupazione e delle limitazioni imposte dallo stato di

3 Alcuni esempi possono essere il brano “La mia Città” (analizzato nel secondo capitolo) registrato separatamente da Ayman dei Palestinian Rappers (Gaza) e Shadia Mansour (Londra) e successivamente mixato, o il brano “'Afk ār” (Pensieri) dei Refugees of Rap (Siria) in collaborazione con Tamer Nafar (Israele). 4 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture and rap Music: Cultural Resistance as an Alternative to Armed Struggle , Institute of Arabic and Islamic Studies, Exeter University (2009); p.33-34 5 Fanno eccezione alcuni artisti della diaspora che scrivono i loro testi in inglese. Il problema della lingua è rilevante anche all’inverso: a eccezione dei palestinesi-israeliani infatti, gli altri artisti rap palestinesi non padroneggiano l’ebraico, lingua in cui sono scritti la maggior parte dei testi degli artisti ebrei- israeliani.

121 Israele e occasionalmente le conseguenze dei conflitti armati – presenti tendenzialmente messaggi che lasciano poco spazio al dialogo. Nonostante la quasi totalità degli artisti veda l’espressione attraverso il rap come mezzo alternativo all’uso della violenza, la disillusione data dalla realtà vissuta da questi giovani palestinesi fa si che i messaggi di pace e coesistenza siano spesso sorpassati da quelli di denuncia e protesta per le ingiustizie subite. La scena rap israeliana invece rappresenta un interessante terreno di incontro-scontro tra artisti ebrei e palestinesi.

2. Il rap israeliano e gli artisti ebrei-israeliani.

L’hip-hop prodotto da artisti ebrei-israeliani è abbastanza complesso e i vari rapper si sono relazionati in maniera diversa al genere. La questione dell’autenticità, affrontata nel primo capitolo nel caso del rap palestinese, si è posta anche per gli artisti ebrei-israeliani, che hanno adottato una prospettiva diversa per inserirsi nel genere in rapporto alle sue radici afro-americane. Se in contesto palestinese l’hip-hop può essere visto come una naturale continuazione della lotta del popolo e presenta numerose contiguità con l’uso di resistenza nei confronti dell’oppressione in contesto afro-americano, nel caso degli ebrei-israeliani il loro posizionamento rispetto alle radici del rap risulta più complicato. Come evidenzia Yuval Orr nella sua comparazione tra il rap israeliano e palestinese 6, mentre il rap palestinese si è inserito immediatamente nel filone del rap politico – iniziato dai precursori del genere spoken word e continuato da artisti come Tupac Shakur e Public Enemy – gli inizi del rap degli ebrei-israeliani gli artisti si sono ricollegati alla produzione afro-americana di rap commerciale. Secondo molti di loro infatti l’hip-hop non sarebbe un mezzo intrinsecamente e necessariamente politico, ma un semplice strumento di espressione, da utilizzare come meglio si creda. L’esempio di “Rapper’s Delight”, considerato il primo brano hip-hop della storia, confermerebbe con la sua leggerezza questi assunti, come evidenzia Jeff Chang, esperto di musica e cultura hip- hop: “Rapper’s Delight è stato confezionato per viaggiare, per essere perfettamente

6 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme: Hip-Hop and National Identity in Israel and Palestine , University of Pennsylvania (2011).

122 accessibile per gente che non avesse mai sentito parlare di rap, hip-hop o del Bronx” 7. Si può comprendere come gli artisti ebrei-israeliani abbiano individuato in questo filone dell’hip-hop uno stile da emulare, non potendo rapportarsi in maniera diretta come i palestinesi alle esperienze degli afro-americani e alla vita del Bronx. La scelta dell’hip- hop apolitico viene inoltre motivata da alcuni artisti come il tentativo di mantenere un senso di “normalità” in un contesto, quello israeliano, in cui la realtà quotidiana ha poco di normale 8.

La prima band hip-hop israeliana, i Shabak Samech 9, nacque nel 1992 e le loro prime produzioni riflettono le caratteristiche dell’hip-hop apolitico, con testi edonistici su feste, droghe e donne 10 , che attiravano i giovani israeliani desiderosi di fuggire dall’aria di conflitto che li che li aveva circondati durante la Prima Intifada. Il desiderio di evasione è dunque uno dei motori del rap israeliano e sembra essere una caratteristica dello stile di vita di Tel Aviv, centro della cultura e delle arti israeliane, ma anche una “bolla” culturale in cui rifugiarsi per fuggire dall’ostilità attorno al paese 11 .

3. L’hip-hop politico: conflitto e dialogo.

La Seconda Intifada segnò invece una svolta nel panorama rap israeliano: l’hip-hop politico iniziò ad emergere sia da parte palestinese che israeliana e i principali attori di quel periodo furono i DAM, Subliminal, Sagol 59 e la band Hadag Nahash.

L’approccio alla politica nei testi di Subliminal gli ha valso la definizione di “rapper sionista” 12 , e l’ha portato ad affermare la sua autenticità nei confronti del rap grazie alla sua “israelianità” e al suo forte senso di nazionalismo 13 . Molti dei suoi brani di maggior successo si inseriscono a livello tematico nel filone popolare delle Shirei Eretz Israel (canzoni della terra di Israele), emerse nei primi anni dell’insediamento ebraico in

7 J. Chang, Can’t Stop Won’t Stop: A History of the Hip-Hop Generation , St. Martin Press, New York (2005); p.131-132 8 Eyal Rob, membro della crew “Soulico”, in: Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p.31 9 Sito ufficiale della band: http://www.shabak.co.il/ (ultimo accesso 19/09/2012) 10 Che li avvicinerebbero dunque anche al sottogenere gangsta rap . 11 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); pp.33-34 12 J. M. Katz, Zionist Rapper Wins Fans and Angers Critics , 12 aprile 2003 - http://www.jewishfederations.org/page.aspx?id=52371 (ultimo accesso 19/09/2012) 13 Come si è detto nel primo capitolo l’autenticità degli artisti si esprime sia in relazione all’hip-hop, sia al proprio contesto di provenienza: Subliminal afferma dunque la sua autenticità con la sua intenzione di rappresentare la cultura israeliana.

123 Palestina e diventate un mezzo di celebrazione ed espressione dell’identità ebraica, i cui tòpoi sono: gli ideali pionieri del sionismo, l’identificazione collettiva e una forte legame con la terra 14 . Nelle canzoni più politiche emerge subito l’ideologia spiccatamente di destra di Subliminal, che attirava “giovani israeliani assetati di un’identità ebraica secolare e confusi da anni di conflitto con i palestinesi” 15 . Sebbene l’artista nomini raramente in maniera diretta il “nemico” a cui sono rivolte le sue recriminazioni, è abbastanza evidente come esse siano dirette ai palestinesi, come possiamo intuire dai versi della canzone “Dividi e Conquista”:

Dio vorrei che tu potessi venire qua giù, perché sono perseguitato.

I miei nemici sono uniti, vogliono distruggermi.

Stiamo allevando e armando quelli che ci odiano. Basta!” 16 .

Sebbene Orr faccia notare il paradosso di Subliminal, che utilizza come “strumento dello stato” 17 il rap – nato come mezzo di negoziazione di esperienze di marginalizzazione e oppressione – l’artista sostiene in realtà di sentirsi oppresso dalle sparatorie e dagli attacchi suicidi dei palestinesi18 . Il successo di Subliminal ha raggiunto il suo apice durante la Seconda Intifada – un momento che ha visto la radicalizzazione di molte parti della società israeliana – e la sua musica ha fatto da colonna sonora a molti giovani come lui disillusi dai negoziati, considerati ormai inutili; la sua rabbia per la situazione di conflitto vissuta da Israele si rivolse duramente verso i palestinesi, ma non seppe mai fornire una chiara posizione su quale potesse essere la strada per la risoluzione del conflitto.

Altri artisti contemporanei a Subliminal, tra cui il rapper Sagol 59 e il collettivo Hadag Nahash, si distanziarono nettamente dalla sua posizione. Gruppi come gli Hadag Nahash sembrano essere influenzati dalle idee, emerse sulla scia della Prima Intifada, di alcuni intellettuali israeliani e della diaspora che si definiscono “post-sionisti” 19 . Secondo questa corrente, il sionismo avrebbe raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi e Israele dovrebbe dunque passare a una fase successiva, quella del post-

14 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p.15 15 J. M. Katz, Zionist Rapper… (2003) 16 Brano dell’album “La luce e l’ombra” (2002) 17 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p.35 18 J. M. Katz, Zionist Rapper… (2003) 19 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 36

124 sionismo. L’Israele post-sionista dovrebbe perseguire gli interessi di tutti i suoi cittadini, senza riguardo per l’etnicità, la condizione di ebrei e non-ebrei dovrebbe essere equiparata, superando le ulteriori distinzioni all’interno della società, e lo stato dovrebbe inserirsi nella regione e intrattenere pacifiche relazioni con gli stati vicini; a tutto ciò si doveva aggiungere la ridiscussione di alcune questioni storiche 20 . Gli Hadag Nahash decisero di portare all’attenzione del grande pubblico l’alienazione vissuta dalle minoranze all’interno di Israele, portando avanti una profonda critica della cultura israeliana e dell’identità nazionale, e introducendo una critica politica di sinistra all’interno del panorama musicale mainstream israeliano. La loro critica al sionismo emerge ad esempio dai versi della canzone “Gabi e Debby” 21 (2003) in cui gli artisti si fanno beffe di Theodor Herzl e attaccano i miti fondanti del sionismo presentandoli come profondamente sconnessi dalla realtà e non più validi per comprendere la situazione attuale 22 . Gli Hadag Nahash hanno introdotto un nuovo tipo di narrativa nazionalista nel panorama rap israeliano, ottenendo comunque un discreto successo di pubblico: “Hadag Nahash è l’unica band che critica costantemente lo stato che sia riuscita ad avere successo in Israele, ma lo fanno con un tale stile che quasi ti dimentichi che sono critici” 23 . Un altro importante rapper israeliano è Khen Rotem, noto col nome d’arte Sagol 59, esponente della scena di Gerusalemme insieme agli Hadag Nahash. Sagol 59 è considerato un rapper tendenzialmente di sinistra, sebbene ci tenga a specificare: “non mi etichetto, cerco di guardare alle cose dal lato umano, non tanto dal lato politico” 24 , per quanto questo sia possibile in Israele, un paese che “ti costringe a essere politico, perché la politica è nell’aria” 25 . I suoi testi presentano delle critiche alla società israeliana, ma in essi risuonano elementi di speranza per il futuro, in particolare per i rapporti tra palestinesi e israeliani. Eppure Rotem avrebbe potuto facilmente

20 H. C. Kelman, Israel in Transition from to Post-Zionism , ‹‹Annals of the American Academy of Political and Social Science››, vol.555 (1998); pp.46-61 Si veda anche: D. Waxman, The Pursuit of Peace and the Crisis of Israeli Identity: Defending/Defining the Nation , Palgrave Macmillan, New York (2006) 21 Nome di un programma televisivo israeliano degli anni ’50 in cui i protagonisti viaggiavano nel tempo per assistere ai grandi momenti della nascita di Israele. 22 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 38 23 Harel Segev, DJ israeliano intervistato da Orr. - Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 38 24 Intervista a Sagol 59 su “Riotsound” (data non disponibile) - http://www.riotsound.com/hip- hop/rap/interviews/Sagol-59/index.php (ultimo accesso 19/09/2012) 25 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 31

125 abbandonare il suo atteggiamento conciliante e la sua speranza: nel 2002 perse il suo amico e collaboratore Benny Blutstein in un attacco terroristico avvenuto nella Hebrew University di Gerusalemme; ma invece di biasimare indiscriminatamente tutti i palestinesi decise di ricordare il suo amico in una canzone “Big Ben” 26 . Sagol 59, come molti altri artisti rap, vede nell’educazione una risorsa importante per la risoluzione del conflitto: “La partita oggigiorno non è sul piano militare (che non preoccupa Israele n.d.t.), io la vedo così. È più su come educhi i tuoi cittadini e cosa dici alle nuove generazioni” 27 .

Lontani dalla visione radicale di Subliminal – che parrebbe cercare le responsabilità del conflitto solo nel “nemico” in un’acritica difesa dello stato – artisti come Sagol 59 e gli Hadag Nahash si sono dimostrati capaci di sottrarsi al gioco della colpevolizzazione reciproca e fare il passo successivo: la ricerca di un terreno comune. La prima iniziativa che cercò di mettere insieme le energie dei rapper ebrei e palestinesi in Israele fu realizzata in un momento di grande tensione: la Seconda Intifada. Nello stesso periodo in cui Subliminal lanciava accuse e invettive col suo microfono, Sagol 59 convocava Shaanan Streett – MC della band Hadag Nahash – e Tamer Nafar per lavorare insieme su un brano. Il risultato di questa collaborazione, la prima tra ebrei e palestinesi nella musica rap, fu la canzone “Summit Meeting”. Il brano, cantato in ebraico e arabo invita i leader palestinesi e israeliani a sospendere le ostilità e ricominciare col dialogo, ma si rivolge anche alla gente, col desiderio di fermare i terribili eventi di quel periodo. In alcuni versi Tamer si rivolge a ebrei e palestinesi:

Sia il Corano che il Talmud dicono: ‘non uccidere’

Eppure le uccisioni continuano come il veleno

Per le nostre azioni o per le loro ogni giorno c’è sangue

Sono al microfono e dico ai razzisti ‘venite, venite’ 28

Così che io possa purificare i loro cuori con l’acqua dello Zam Zam 29

26 D. Wainer, Jewish Arab Rappers in Israel Find Common Ground , 8 febbraio 2007. - http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3432943,00.html (ultimo accesso 20/09/2012) 27 Intervista a Sagol 59 su “Riotsound”. 28 In inglese nel testo. 29 Summit Meeting (2001).

126 Sagol 59 spiega così le intenzioni del brano:

Stava succedendo un pandemonio in quel periodo, e sentivamo di aver bisogno di dire qualcosa. […] In quel periodo si parlava tanto di negoziati e di incontri al vertice, per questo abbiamo chiamato la canzone “Summit Meeting”; in un certo senso era anche un incontro al vertice tra rapper, ma questo punto era abbastanza secondario. Come dico nella canzone, guardo fuori dalla mia finestra ogni giorno e vedo una città palestinese e credo che anche loro vogliano vivere tranquillamente 30 .

La prima canzone rap che riuniva ebrei e palestinesi diede la spinta in seguito per avviare altre collaborazioni basate sugli stessi presupposti. Le nuove iniziative passarono dal dialogo in sala di registrazione a quello sul palco. Grazie all’iniziativa di Sagol 59 e di Dan Sieradski – attivista di sinistra ebreo-americano - nel 2004 nasce a Gerusalemme Corner Prophets , una piattaforma musicale e un collettivo israelo- palestinese, nell’intento, secondo le parole di Sieradski, di “promuovere la pace e il dialogo attraverso l’hip-hop” 31 e di offrire nuove prospettive di incontro per i giovani:

Gerusalemme è ricca di cultura religiosa, ma a livello di cultura artistica è un po’ carente, soprattutto per i giovani […] qui possono venire e interagire con la gente artisticamente, in un forum aperto. 32

Gli obiettivi di Corner Prophets fanno leva sulla crescente popolarità del rap, che potrebbe avvicinare le varie componenti della società israeliana, come spiega Sieradsky:

Israele ha una società abbastanza frazionata, e la mia speranza e di unire le persone attraverso la musica […] L’hip-hop è sempre più popolare qui e questa è la prima generazione di ragazzi a crescere ascoltando l’hip-hop come parte integrante della propria dieta musicale. È il momento perfetto per immetterci e usare la musica come un mezzo per riparare queste fratture. 33

Lo Zam Zam è un pozzo che si trova nella moschea al-Haram (Mecca), che si ritiene sia stato miracolosamente generato da Dio. Più che per fare un riferimento religioso, la parola potrebbe essere inserita nel testo per questioni di rima. 30 Intervista a Sagol 59 su “Riotsound”. 31 D. Sieradski, Hip-hop in Israel and Palestine - http://www.davidsheen.com/amoria/hiphop.htm (ultimo accesso (22/09/2012) 32 D. Berman, Rap Riffs to Heal the Rifts , ‹‹Haaretz››, 4 marzo 2005 - http://www.haaretz.com/rap-riffs- to-heal-the-rifts-1.152124 (ultimo accesso 22/09/2012) 33 Ibid.

127 Il progetto portò avanti una serie di concerti 34 , che si svolgevano su base mensile a Gerusalemme, in cui artisti provenienti da diversi contesti etnici e religiosi si riunivano e si esibivano sullo stesso palco: ebrei russi, francesi americani, israeliani, di destra e di sinistra, ortodossi e laici, insieme ad alcuni palestinesi, tra cui Tamer Nafar dei DAM e SAZ, rapper della città di Ramleh. Sagol 59 racconta come un iniziativa dai propositi così idilliaci riflettesse in realtà le controversie del conflitto:

Quando abbiamo iniziato Corner Prophets abbiamo deciso che non avremmo censurato né bloccato nessuna opinione. Abbiamo lasciato (partecipare n.d.t.) chiunque, anche se sei un razzista o uno skinhead e vuoi andare sul palco e dire ciò che hai da dire – finché lo fai in maniera artistica – puoi farlo. Perché è meglio che tu lo dica, piuttosto che tu non lo dica e lo pensi soltanto. […] La gente viene fischiata a volte, ma alla fine è tutto a posto. Ci sono battaglie (fra rapper n.d.t.) dove tutti si danno pacche e abbracci, e battaglie sugli estremi ideologici a volte. Questo è un forum molto vario. Gerusalemme è una città molto varia. […] è molto interessante da vedere.35

La collaborazione tra SAZ e Sagol 59, in questa e altre iniziative fu abbastanza intensa, nonostante le occasionali divergenze di opinioni, spiega SAZ: “Abbiamo molte più cose in comune di quelle che ci separano. Il nostro amore per la musica ci porta a lavorare insieme” 36 . Anche Sagol 59 ribadisce l’importanza di queste collaborazioni:

Per me è sempre stato importante mostrare alla gente che ci può essere un dialogo attraverso l’hip-hop. Che ci si può esibire insieme – anche se si discute prima del concerto, o sul palco – che si può essere parte di un gruppo e rispondere a delle domande… Mostrare alla gente che come minimo ci può essere un dialogo, che si può parlare. 37

Il rapporto tra Saz e Sagol 59 è un esempio di come queste collaborazioni possano funzionare e durare nel tempo. Ma nonostante i buoni intenti dell’iniziativa di Corner Prophets, la partecipazione palestinese è sempre stata abbastanza ridotta rispetto

34 Che attualmente sembrano essere ridotti e spostati in altre città. Corner Prophets continua a portare avanti i suoi artisti anche per singole iniziative, come si può vedere dallo storico del sito: www.cornerprophets.com (ultimo accesso 22/09/2012) 35 Intervista a Sagol 59 su “Riotsound”. 36 D. Wainer, Jewish Arab Rappers in Israel… (2007). 37 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 52

128 all’afflusso di artisti ebrei. Lo stesso Tamer Nafar, che ha partecipato alcune volte ai concerti, ha rilasciato delle dichiarazioni che lasciano trasparire un senso di disillusione nei confronti degli ambiziosi obiettivi di queste iniziative:

La musica fa riunire la gente, ma dire che la avvicina (a volte n.d.t.) è un po’ un luogo comune. Alla fine della serata gli arabi tornano alle loro case distrutte e gli ebrei tornano alle loro uniformi. La musica non porta esattamente alla pace. 38

Anche SAZ non si è sempre dimostrato entusiasta di qualsiasi iniziativa musicale volta alla pace e alla coesistenza. SAZ non è certo nuovo a collaborazioni con artisti ebrei- isrealiani: all’inizio del 2000 infatti ha realizzato un album – Master Peace, in collaborazione con Eti Castro – che conteneva brani come “Ecco arriva la pace”, cantato in arabo ed ebraico, che esprimeva il desiderio reciproco di palestinesi e israeliani di raggiungere la pace. Nel 2006 però SAZ abbandonò il progetto, e fu sostituito da una cantante araba. I motivi dell’abbandono di SAZ risiedevano nella malafede degli israeliani che organizzavano l’iniziativa: “era la pace come business, è la pace non è un business” 39 . Un altro artista palestinese-israeliano, Adi Krayem – membro della band We7 – ci offre una simile prospettiva su certi tipi di attività di peace-building attraverso la musica: “Io non ci credo. […] Combattere l’odio con l’amore, come fa Awad 40 … Dopotutto l’amore non si può costruire” 41 . Sieradski, uno degli organizzatori di Corner Prophets, analizza il perché della diffidenza di molti palestinesi nei confronti di progetti come il suo:

Ci sono state innumerevoli scambi culturali e iniziative in cui un’organizzazione ebraica cercava di promuovere un messaggio superficiale di pace che non affrontava questioni relative alla giustizia, e usava la partecipazione di palestinesi

38 D. Berman, Rap Riffs to Heal the Rifts (2005) 39 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 47 40 Attrice e cantante palestinese-israeliana. È abbastanza apprezzata nel panorama mainstream israeliano per le sue posizioni concilianti e famosa per collaborazioni con molti artisti ebrei-israeliani, tra cui la celebre Noa. Fu significativamente scelta per rappresentare Israele nell’ Eurovision Song Contest del 2009 in cui partecipò assieme a Noa con la canzone “Ci deve essere un’altra strada”. Molti palestinesi firmarono una petizione per chiederle di rifiutarsi di partecipare all’iniziativa, che avrebbe dato una falsa immagine di coesistenza all’interno di Israele e protetto lo stato dalle critiche che meritava (il contest si svolse poco tempo dopo l’operazione “Piombo Fuso”. – E. Bronner, Musical Show of Unity Upsets Many in Israel , ‹‹The New York Times››, 24 febbraio 2009 - http://www.nytimes.com/2009/02/25/world/middleeast/25israel.html?ref=middleeast (ultimo accesso 22/09/2012) 41 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 48

129 e musulmani per rappresentare un sostegno di quelle comunità per quel programma. Cosa che non è responsabile e non è appropriata. 42

Secondo Sieradski, molti palestinesi sarebbero dunque stati riluttanti a prendere parte alla sua iniziativa, in cui il pubblico è costituito per la maggior parte da ebrei, per timore di essere strumentalizzati per promuovere un determinato tipo di messaggio:

Credo che molti palestinesi che abbiamo invitato a venire e ad esibirsi con noi fossero riluttanti perché non volevano vedersi in quel modo. O non volevano essere al servizio di qualunque fosse la loro percezione sulle nostre intenzioni. 43

La riluttanza dei palestinesi sarebbe dovuta, secondo Sieradski, anche alla notevole pressione che la società palestinese opera sugli artisti (e non solo) che collaborano apertamente con gli ebrei.

Nonostante le numerose difficoltà il progetto Corner Prophets è comunque andato avanti e in alcuni casi, come quello di SAZ e Sagol 59, ha prodotto dei buoni risultati. L’iniziativa di Sieradski e Sagol 59 ha inoltre ispirato progetti simili, che hanno superato i confini di Gerusalemme per arrivare sui palchi internazionali: è il caso delle Hip-hop Sulhas . La parola araba ṣul ḥ ( ) significa riconciliazione e rimanda a delle pratiche, utilizzate già in periodo pre-islamico, di conciliazione e di arbitrato dei conflitti anche in assenza di un sistema legale. I concerti di riconciliazione, in cui partecipano rapper ebrei – israeliani e non – e arabi di diverse provenienze, hanno avuto un discreto successo, e sono stati l’occasione di raccolte fondi per associazioni israelo- palestinesi impegnate in progetti per favorire la coesistenza. Uno dei primi concerti si tenne a New York nel 2006 – periodo di alta tensione tra ebrei e arabi per il conflitto tra Israele e Hezbollah in Libano 44 - e vide la partecipazione di numerosi artisti: Shaanan Streett (Hadag Nahash), SAZ, Sagol 59, Yuri Lane ( beatboxer ebreo americano), Y- Love (ebreo ortodosso afro-americano), Ragtop (della band The Philistines – palestinese americano), Omar (N.O.M.A.D.S. band di arabi americani) e molti altri, che si esibirono separatamente per poi cantare tutti insieme al termine del concerto 45 . Il concerto e quelli

42 D. Sieradski, Hip-hop in Israel and Palestine. 43 Ibid. 44 Alcuni concerti di “Hip-hop Sulhas” furono cancellati a causa o spostati a causa del conflitto. – A. Gelfand, Hip-hop as Conflict Resolution , The Jewish Daily Forward, 8 settembre 2006. 45 Per un resoconto del concerto vedere: Y. Korat, A Musical Stage for Dialogue: Israelis and Palestinians Rap for Peace at S.O.B’s, 13 settembre 2006 -

130 che lo seguirono hanno generato l’entusiasmo di molti, tra cui diversi artisti, che considerarono queste iniziative come una reale opportunità di dialogo che può alleggerire le tensioni religiose ed etniche. Y-Love, ebreo afro-americano, spiega così la sua visione: “Usando la musica, usando la creatività, usando l’arte, possiamo costruire il mondo che vogliamo vedere, facendo una canzone su questo. […] Usiamo la creatività per qualcosa di buono… Questo è sulha”46 . Mentre Ragtop, membro della band palestinese Philistines , spiega i suoi intenti: “Se potessimo far capire alla gente che i palestinesi sono esseri umani che meritano gli stessi diritti degli altri, quello sarebbe un inizio”. 47 SAZ e Sagol 59, la cui convivenza sul palco risaliva ad anni prima, si dimostrano convinti della bontà del progetto, sebbene si dimostrino consapevoli della portata ristretta degli effetti dell’iniziativa su problemi che, al contrario di altri artisti ospitati nel concerto, vivono quotidianamente, come spiega SAZ:

Non sono qui a fare “kumbaya kumbaya” 48 con Sagol, ma scrivo musica da minoranza in Israele, con speranza. Sulha è solo un altro modo di diffondere il messaggio. 49

Siamo realisti, non è che porteremo la pace nel modo. Ma penso che mostri alla gente che, nonostante ci siano differenze, c’è una cosa che ci unisce, ed è l’hip- hop […] può non essere un accordo negoziato, ma almeno è un inizio. 50

L’opinione di SAZ è simile a quella di Sagol 59 che afferma:

Stiamo cercando di avere un semplice dialogo. Non stiamo delirando. Non stiamo cercando di risolvere tutti i problemi del mondo. Ognuno dovrebbe fare qualcosa nei limiti della propria capacità di dare inizio al progresso. 51

Parrebbe insomma che – nonostante l’accoglienza positiva di queste iniziative e l’indubbio fascino che esse suscitano come strumento di dialogo, almeno sul piano

http://www.publicbroadcasting.net/wcsu/.artsmain/article/11/1037/980437/Radio/A.Musical.Stage.for.Dia logue.Israelis.and.Palestinians.Rap.for.Peace.at.S.O.B%E2%80%99s/ (ultimo accesso 22/09/2012) 46 Hip-hop Sulha Changes the World One Song at Time , 2 marzo 2010. - http://www.newsteamboulder.org/news/hip-hop-sulha-changes-world-one-song-time (ultimo accesso 22/09/2012) 47 A. Gelfand, Hip-hop as Conflict Resolution (2006). 48 Allusione sarcastica al brano degli anni ’30 che invoca l’unità umana e spirituale, spesso associato a visioni ingenue e ottimistiche sulla natura umana. 49 D. Wainer, Jewish Arab Rappers in Israel Find Common Ground (2007). 50 A. Gelfand, Hip-hop as Conflict Resolution (2006). 51 D. Wainer, Jewish Arab Rappers in Israel Find Common Ground (2007).

131 teorico – l’effettività sul piano concreto di concerti come quelli delle “Hip-hop Sulhas” e di Corner Prophets sia ancora tutta da dimostrare. Molti degli stessi artisti coinvolti si dimostrano perplessi sui risvolti concreti dei loro sforzi combinati in musica, ma senza dubbio è auspicabile una diffusione del modello positivo di collaborazione tra SAZ e Sagol 59, piuttosto che quello di scontro fallimentare tra Tamer Nafar e Subliminal (che, poco sorprendentemente, non è mai stato invitato ad iniziative di questo genere). Come si è detto sopra, la partecipazione a concerti volti al dialogo da Tel Aviv a Gerusalemme risulta in maggioranza composta da artisti (e pubblico) ebrei-israeliani 52 , cosa che non dimostra necessariamente un maggiore desiderio di dialogo da parte loro, piuttosto una maggiore ingenuità nel relazionarsi a problemi la cui soluzione richiederebbe indubbiamente discussioni e sforzi in altre sedi; la diffidenza dei palestinesi, causata da forti pressioni sociali che vedono negativamente la collaborazione col “nemico”, è ugualmente rilevante, unita forse a una maggiore consapevolezza della difficoltà di risoluzione delle problematiche sociali (e della realtà dell’occupazione, nel caso in cui si parli di artisti che vivono nei Territori) di cui i palestinesi sono le maggiori vittime. La fiducia degli artisti ebrei nell’hip-hop come mezzo di dialogo sembrerebbe dunque maggiore, mentre i palestinesi privilegiano il suo aspetto di denuncia, come vediamo dalle parole di Adi (We7), quando parla, scettico, di coesistenza: “Per poter coesistere, devo prima esistere!” 53 . Gli inviti al dialogo in fondo possono sembrare retorici quando si scontrano con la realtà, come ammette SAZ, che pure è attivamente coinvolto in progetti con rapper ebrei:

Quando un ragazzo […] scrive rap su come si sveglia la mattina e vede la canna di un carro armato puntata verso la sua finestra non puoi discutere. Questi non sono slogan, è solo quello che vede. Ed è molto più potente di tutti questi discorsi sulla pace e la giustizia. 54

Le visioni degli artisti palestinesi e israeliani sul conflitto sono numerose e sfaccettate e dipendono da visioni politiche, appartenenza etnica e contingenze sociali e territoriali. Le due opinioni contrapposte riportate sotto mostrano però – senza pretendere di

52 Diverso è il caso di concerti internazionali a cui prendono parte artisti arabi e palestinesi della diaspora, la cui sensibilità è differente da quella degli abitanti della Palestina storica. 53 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 50 – La frase ricorda un verso della canzone “Inkilab” dei DAM. 54 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 56

132 mostrare univocamente le opinioni delle due parti in gioco – come apparentemente per gli artisti ebrei-israeliani le problematiche maggiori risiedano nel fattore religioso e nella “aggressività” degli arabi, mentre gli artisti palestinesi (che difficilmente pongono la questione religiosa) individuano altri punti sensibili del conflitto. Sagol 59, interrogato sulla sua visione del conflitto sostiene:

Quello che ho sempre detto riguardo alla nostra situazione con i palestinesi è: se è una guerra per il territorio, può essere risolta. La Francia e l’Inghilterra hanno combattuto per 100 anni, ma hanno risolto. Quando il conflitto diventa religioso è un grosso problema […] la religione non si risolve facilmente. […] Il giudaismo è sempre stato una religione tollerante. […] Noi siamo sei milioni, circondati da centinaia di milioni di arabi che a volte cercano di attaccarci. Ma penso che se fosse il contrario gli ebrei non penserebbero mai di attaccare gli arabi. 55

Sagol 59 dunque, individua nel fattore religioso un grosso ostacolo alla risoluzione del conflitto e la sua interpretazione sembrerebbe suggerire che la sostanziale immobilità dei progressi verso una sua conclusione sia addebitabile ad esso e all’incapacità degli arabi di accettare la presenza ebraica in medio oriente. La sua analisi manca però di uno spunto di riflessione sulle possibili modalità di soluzione. Non bisogna dimenticare, come ci fa notare Orr, che gli artisti israeliani – che hanno servito nelle forze armate per almeno tre anni e rimarranno nelle riserve per trent’anni – possono avere delle difficoltà nel separare totalmente le loro identità dagli apparati dello stato israeliano che hanno contribuito a formarle 56 , e questo influenza senza dubbio la loro visione del conflitto. La visione di molti artisti rap palestinesi è che siano necessari dei cambiamenti importanti da portare avanti attraverso una rivoluzione culturale e un cambiamento della mentalità della gente. Secondo Tamer però, sono necessari alcuni prerequisiti, alcuni passi da parte israeliana per bilanciare lo squilibrio delle parti in conflitto, che dovrebbero precedere qualsiasi trattativa che voglia essere realmente effettiva:

L’unica soluzione è un completo diritto al ritorno per il popolo palestinese […] la prima cosa è il riconoscimento di quello che è accaduto nel 1948; i massacri, l’uccisione e l’espulsione del popolo palestinese, […] Seconda cosa che chiedano scusa per quello che è successo nel 1948; tre che ascoltino le testimonianze dei

55 Intervista a Sagol 59 su “Riotsound”. 56 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 57-58

133 palestinesi, di ogni vittima che voglia essere ascoltata. […] Dopo che avranno fatto questo, allora saremo allo stesso livello […] e potremo concordare su qualcosa. Questa è la mia utopia. 57

Se la produzione rap degli ebrei-israeliani sembra mancare di una visione unitaria, quella palestinese – con alcune differenze tra i vari contesti – sembra invece riflettere delle narrative e degli obiettivi comuni che possono far pensare alle collaborazioni intra- palestinesi come una strada percorribile per ottenere dei cambiamenti in alcuni ambiti.

4. Il rap palestinese e la resistenza non violenta: può la musica essere agente di cambiamento?

Secondo gli artisti palestinesi che hanno deciso di adottare il rap come forma di espressione, non c’è dubbio che esso possa essere uno strumento di resistenza, e che questo tipo di resistenza debba essere nonviolenta. Questo non significa che tutti gli artisti palestinesi siano promotori della nonviolenza in qualsiasi contesto 58 , ma piuttosto che abbiano scelto il rap come la migliore forma di resistenza per la propria particolare condizione. La resistenza palestinese è assimilata dagli artisti a quella degli afro- americani che, sebbene non lottassero contro una realtà di occupazione, avevano molto in comune con le loro lotte. Per questo il rap diventa il mezzo di elezione per l’espressione di questi artisti, che avrebbero un legame “diretto” con le radici del genere, cosa che gli artisti ebrei-israeliani non possono vantare e che rende il rap nelle mani dei palestinesi un mezzo sicuramente più potente. Secondo Adi, membro della band We7, la connessione degli ebrei con il rap sarebbe forzata:

Gli israeliani non hanno rabbia (come i palestinesi n.d.t.) e possono capire l’hip- hop intellettualmente, ma non possono sentirlo. Non può svilupparsi come forma artistica senza la rabbia. 59

Anche il DJ israeliano Eyal Rob ammette l’importanza della connessione tra palestinesi e afro-americani:

57 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture… (2009); p.39-40 58 Cosa che alcuni di loro hanno esplicitamente negato, come nel caso dei Katìbe 5. 59 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p.28

134 Se andiamo al luogo da cui è emerso l’hip-hop – il ghetto – allora i palestinesi sono quelli che rappresentano più significativamente la definizione di “ghetto” in Israele. Se negli Stati Uniti si trattava di colore della pelle, qui è la nazionalità… Quello che trasforma l’hip-hop in qualcosa di “vero” per i palestinesi è la realtà quotidiana. 60

Anche le esperienze degli altri palestinesi – eccetto forse il caso di alcuni membri della diaspora – sono comunque riconducibili, se non alla ghettizzazione vera e propria, a marginalizzazione e sofferenza, che danno forza al loro messaggio. Il messaggio e le narrative che pervadono il rap palestinese inoltre sono indubbiamente più forti, come riconoscono anche gli artisti israeliani, tra cui Sagol 59:

Questa è una guerra di narrative, una guerra di storie, e la loro è molto più efficace della nostra. La loro storia è più facile da vendere, così com’era più facile vendere la nostra negli anni ’40 e ’50. 61

Come si è detto, il potere del rap palestinese risiede anche nel suo legame col concetto di resistenza. Il concetto di ṣum ūd (letteralmente “fermezza”) è la chiave per capire la resistenza palestinese e la reazione collettiva del popolo alla realtà dell’occupazione e allo spossessamento messi in atto da Israele. Le strategie e le reazioni dei palestinesi – che vanno considerate separatamente a quelle messe in atto dalle autorità politiche – si strutturano secondo l’antropologo Jeff Halper 62 in tre principali elementi: ṣum ūd (inteso come resistenza), negoziazione e attrito. Il ṣum ūd per i contadini, i lavoratori e la borghesia palestinese si configura nell’insistenza nel portare avanti la propria vita, nel rifiuto di farsi intimidire, così come in forme attive e intenzionali di lotta. Grazie a queste strategie, che si siano manifestate con

l’intifada, l’elusione dei checkpoint, la rivolta delle tasse, o semplicemente costituendo una “minaccia demografica”, Israele non è riuscita né a condurre o “trasferire” i palestinesi fuori dal paese, né a far diventare una consuetudine il suo controllo su di essi. 63

60 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 56 61 Y. Orr, Legitimating Narratives in Rhyme… (2011); p. 57 62 Halper è anche un attivista e cofondatore dell’ ICAHD (Israeli Commitee Against House Demolitions) che si occupa di opporsi alla politica di demolizione delle case dei palestinesi nei Territori. 63 J. Halper, A Strategy Within a Non-Strategy: Sumud, Resistance, Attrition, and Advocacy , ‹‹Journal of Palestine Studies››, vol.35 (2006)3; pp. 46-47

135

Il rap palestinese dunque è entrato a far parte delle strategie di ṣum ūd 64 , offrendo un nuovo mezzo – in particolare ai giovani – per contrastare la discriminazione, l’occupazione e la violenza. Se si possono sollevare pochi dubbi sulle caratteristiche di resistenza del rap palestinese, le questioni relative alla sua effettività sono decisamente più complicate. Come riportato da Mark LeVine – noto studioso della società palestinese e storico dell’ Università della California – molti palestinesi più “militanti” criticano l’hip-hop palestinese, che è da loro visto come un mero mezzo di espressione più che di resistenza, ed è visto negativamente in quanto si presenta come alternativa ad altre forme di lotta, tra cui quella armata 65 . Ma come si è visto, le forme di resistenza sono molteplici, e la lotta palestinese non è estranea all’utilizzo di mezzi non-violenti per perseguire i propri obiettivi. Jawadat Shoublaq, membro della band di Gaza Kayan, spiega così la sua scelta di resistenza:

Il combattente per la resistenza si basa sulle sue armi, il poeta sulle sue poesie, e il cantante hip-hop si basa sulle sue parole, sul suo stile e sulle sue idee. 66

Nella disputa sull’effettività della resistenza armata rispetto a quella nonviolenta – di cui fa parte il rap palestinese – un esempio in favore delle strategie non violente ci viene dal contesto della Prima Intifada. Durante la Prima Intifada furono utilizzate diverse strategie di resistenza nonviolenta che comprendevano, gli scioperi, la disobbedienza civile e il boicottaggio dei prodotti israeliani 67 . La risposta israeliana fu decisamente sproporzionata – soprattutto se si considera che la maggior parte delle azioni violente da parte palestinese si limitavano al lancio di pietre e di molotov – e le rappresaglie portate avanti dal governo di Tel Aviv, provocarono lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale e una diffusa condanna dell’operato di Israele 68 . Al contrario della violenza della Seconda Intifada – in cui gli attentati suicidi contribuirono a far perdere

64 È significativo che la parola, nelle sue declinazioni, compaia in numerosissimi brani rap, a dimostrazione di come questo genere in ambito palestinese abbia fatto propria la terminologia tradizionale relativa alla resistenza. 65 M. LeVine, Heavy Metal Islam: Rock, Resistance and the Struggle for the Soul of Islam , Three Rivers Press, New York (2008); p.122 66 H. Lovatt, Palestinian Hip-hop Culture… (2009); p.42 67 Vedere M. King, A Quiet Revolution: the First Palestinian Intifada and Nonviolent Resistance , Nation Books, New York (2007) 68 C. D. Smith, Palestine and the Arab-Israeli Conflict , Bedford/St. Martin’s (2000); pp.419-422

136 ai palestinesi l’appoggio dell’opinione pubblica internazionale – si può dunque dire che le pratiche di resistenza nonviolenta provocarono dei risvolti positivi per i palestinesi.

Una volta stabilità l’effettività della resistenza nonviolenta è necessario domandarsi nel caso dell’hip-hop palestinese, se e come esso abbia ottenuto alcuni dei cambiamenti ai quali gli artisti ambiscono con la loro musica. I piani su cui il rap palestinese agisce sono essenzialmente tre: a livello internazionale, a livello israeliano, e a livello palestinese (e arabo). A livello internazionale, il rap ha l’obiettivo di diffondere una maggiore conoscenza delle problematiche vissute dai palestinesi e generare empatia e solidarietà nei loro confronti. La popolarità che band come i DAM hanno raggiunto a livello globale ha senza dubbio aiutato a perseguire questo scopo, raggiungendo le orecchie di molte persone che, pur non essendo particolarmente informate sulla questione palestinese, hanno avuto l’occasione di familiarizzare con l’argomento grazie alla mediazione dell’hip-hop. Il rap prodotto dagli ebrei-israeliani rimane invece confinato all’interno della linea verde, lasciando ai palestinesi campo libero per la diffusione della propria “versione” e delle proprie istanze; queste vengono ulteriormente amplificate dalla produzione degli artisti della diaspora, che riecheggiano il messaggio palestinese anche in lingua inglese (cosa che non accade per la controparte israeliana). A livello della società israeliana il rap ha la funzione di denunciare e generare consapevolezza sulle ingiustizie a cui i palestinesi sono sottoposti dentro e fuori dalla linea verde. Se il rap prodotto a Gaza e nei Territori potrebbe servire a trasmettere al pubblico israeliano dei racconti di realtà lontane dalla loro vista, il fatto che la produzione della maggior parte di questi artisti sia in lingua araba vanifica in un certo senso la possibilità di far sentire la propria voce in maniera diretta. Il loro messaggio può essere però trasmesso grazie agli artisti palestinesi “di dentro” che possono farsi portavoce anche delle loro istanze, raccontando la loro sofferenza in brani scritti in ebraico. I rapper palestinesi-israeliani, oltre a farsi portavoce degli altri palestinesi, portano avanti le loro personali rivendicazioni nel tentativo di far sviluppare lo spirito critico dei loro connazionali ebrei rispetto a temi di diritti e di inclusione nella società israeliana, con l’ulteriore obiettivo di favorire una presa di coscienza degli stessi palestinesi-israeliani, affinché si muovano per portare avanti le proprie richieste. L’impegno di artisti come i DAM e SAZ ha senza dubbio contribuito all’affermarsi di

137 voci palestinesi nella scena israeliana e alla diffusione di una maggiore consapevolezza nella gioventù, così come iniziative come Corner Prophets – per quanto troppo ambiziose rispetto alla loro reale portata – possono essere state se non altro un’ispirazione alla tolleranza per quei giovani che guardano ai rapper come a dei modelli. Nell’ambito palestinese l’hip-hop deve comunque affrontare diverse sfide: i rapper si fanno portavoce di un cambiamento che auspicano all’interno della loro stessa società, la quale spesso si mostra reticente nei confronti dei mutamenti 69 . La critica sociale degli artisti rap – sebbene possa non offrire dei riscontri nell’immediato – potrebbe rivelarsi un’ottima strategia a lungo termine in quanto, come si è detto, i rapper rappresentano per molti giovani palestinesi (ma anche arabi) un modello da imitare. Le idee portate avanti dagli artisti sono destinate dunque a dare frutti sempre maggiori. L’enfasi posta dagli artisti palestinesi sulla questione dell’educazione può servire da stimolo a molti giovani per non abbandonare la carriera scolastica; unitamente a ciò, molti artisti in diversi contesti sono attivi in laboratori di musica che coinvolgono bambini e ragazzi, offrendo loro la possibilità di dedicarsi all’arte, nel tentativo di sottrarli a un possibile futuro di delinquenza. In ultimo, il rap rappresenta attualmente una forma di espressione e di denuncia in cui ogni giovane palestinese può riconoscersi e in cui può cercare di cimentarsi, creando una valvola di sfogo che rappresenta una valida e importante alternativa all’uso della violenza.

69 Come nel caso della questione femminile, analizzata all’interno del secondo capitolo.

138 Conclusioni.

L’obiettivo di questa tesi era offrire un quadro comprensivo delle varie realtà del rap palestinese e delle sue prospettive sul piano locale e globale attraverso un’analisi approfondita di questo microcosmo musicale, che ha precise corrispondenze e legami con il contesto socio-politico in cui si muovono gli artisti che ho preso in esame. Il lavoro di ricerca e di analisi delle fonti ha dimostrato in primo luogo come il rap sia utilizzato nel contesto palestinese come strumento di affermazione e diffusione del senso di appartenenza nazionale. Questo genere musicale contribuisce dunque al rafforzamento dell’identità collettiva palestinese, instillando nei giovani un orgoglio di appartenenza. Si è visto inoltre come i singoli artisti affermino attraverso questo genere musicale le proprie identità specifiche, rappresentandosi indirettamente in “sottocategorie”: le diverse diaspore, i palestinesi-israeliani, i palestinesi di Gaza etc. – ognuna con le sue specificità. Una sorta di rappresentazione collettiva palestinese viene tuttavia richiamata trasversalmente dai singoli artisti, fatto che permette ad esempio al pubblico di Gaza di riconoscersi nei testi di artisti palestinesi-israeliani come i DAM. Da questa analisi è inoltre emerso come il rap detenga delle forti potenzialità come mezzo di dialogo e, contemporaneamente, come strumento di opposizione o di conflitto, e come le scelte dei singoli artisti influiscano sull’affermarsi dell’uno o dell’altro aspetto. L’esame del materiale ha dimostrato come il rap – come molte altre forme d’arte – possa essere un valido mezzo di resistenza non violenta e come rappresenti una valvola di sfogo e un alternativa importante per una generazione di giovani palestinesi che ha spesso poche prospettive di evitare la violenza. L’analisi dei brani, delle interviste e del materiale ricavato dalle fonti ha infine dimostrato come uno degli scopi principali del rap palestinese sia veicolare un messaggio di denuncia – prevalentemente indirizzato verso le politiche israeliane, ma anche verso la stessa società palestinese – che viene trasmesso attraverso il racconto di esperienze vissute che toccano la sfera individuale e quella collettiva, quella privata e quella pubblica. La denuncia dunque passa attraverso l’informazione e la testimonianza e, secondo l’ambizione dei rapper, ad essa dovrebbe seguire la consapevolezza del pubblico, l’indignazione per la condizione dei palestinesi e in ultimo la solidarietà. Si è visto come il messaggio degli artisti sia espresso con modalità diverse – più o meno aggressive a seconda dell’ascoltatore a cui è indirizzato o dell’approccio dell’artista al

139 problema – e come abbia impatti differenti sul pubblico a seconda del contesto, locale (palestinese o israeliano) o globale, su cui intende incidere. Si è evidenziato inoltre come il rap palestinese – in maniera simile al rap afro-americano – tenda a portare all’ attenzione del pubblico problematiche ignorate da altri generi musicali, ma spesso anche dalla società stessa, quali ad esempio la diffusione della droga tra i giovani e la questione femminile. Come abbiamo visto nel primo capitolo, le prime produzioni rap di Tamer Nafar e dei DAM (ma anche di numerosi altri artisti) hanno denunciato il problema dello spaccio e della dipendenza da stupefacenti tra i giovani palestinesi in maniera molto dura, mentre diversi artisti (dai DAM a Sabreena da Witch) hanno delineato nei loro brani i principali contorni della questione femminile e della sua declinazione nel contesto palestinese. Il fattore di denuncia insito in questo genere musicale dunque esprime anche delle importanti critiche interne alla società palestinese. Si è poi osservato come ogni diversa realtà palestinese, da quella interna ad Israele fino alla diaspora in paesi occidentali o in medio oriente, abbia prodotto degli artisti che si sono cimentati con le rime. La proliferazione ininterrotta di rapper palestinesi – che continuano ad aumentare dagli inizi degli anni duemila – evidenzia come il rap rappresenti attualmente per la gioventù palestinese l’espressione artistica più fruibile, sia per l’accessibilità nella produzione, sia per le enormi potenzialità espressive che in esso risiedono.

Nuove prospettive di ricerca.

Oltre agli aspetti che ho citato sopra e che ho discusso all’interno di questa tesi, ve ne sono altri che ho scelto di non affrontare ma che meriterebbero di essere approfonditi ulteriormente. Vi sono diversi motivi alla base di questa scelta, in primo luogo la coerenza argomentativa: la mia ricerca ha riguardato una serie di temi – l’identità nel rap palestinese, le diverse rappresentazioni degli artisti, il conflitto e il dialogo attraverso la musica – che collegano il discorso artistico, le rime, la musica, il profilo degli autori e le loro storie con il contesto socio-politico in cui essi si trovano ad agire e verso cui rivolgono la loro energia e le loro forze creative.

140 Come si è detto, il rap palestinese rappresenta una lente con cui guardare a diverse problematiche attraverso una prospettiva generazionale: sarebbe dunque interessante approfondire, attraverso la produzione artistica dell’hip-hop, il rapporto dei giovani palestinesi con due componenti che sono state largamente studiate dalla prospettiva politica, sociale e storica: le istituzioni religiose e i partiti politici. Occasionalmente alcuni testi fanno riferimento alla religione: Nġayyer bukra dei DAM (2006) tocca l’argomento, e ne hanno spesso parlato gli artisti stessi. Si ricorderà, per un solo esempio che ci riporta al secondo capitolo, che Sabreena da Witch si è espressa sul ruolo negativo della religione organizzata. Si tratta di un tema che non ho approfondito ma che meriterebbe un ulteriore studio, anche alla luce del ruolo che la religione gioca all’interno della società palestinese e del suo rapporto con i giovani. Allo stesso modo meriterebbe di essere esaminato il rapporto dei giovani rapper e del loro pubblico con le istituzioni politiche palestinesi. Dal materiale esaminato per questa ricerca è emerso come la maggior parte dei rapper non si riconosca nelle varie fazioni palestinesi, che vengono spesso criticate dagli artisti anche all’interno dei brani; questo discorso è emerso ad esempio dalla mia intervista a Yaseen 1, ma anche da alcuni brani tra cui ad esempio Bedd ī Sal ām, di Shadia Mansour e Mahmoud Jreri (DAM), in cui si parla del conflitto tra e Hamas. Un approfondimento in questo senso contribuirebbe a comprendere meglio la visione di molti giovani palestinesi, che attualmente trovano più semplice riconoscersi nei messaggi portati avanti dai rapper piuttosto che nel linguaggio della politica organizzata, che sembra aver perso il contatto con la propria potenziale base giovanile.

Oltre a questi aspetti ve n’è ancora uno che questa tesi ha lasciato aperto, che è estremamente importante sia per i suoi risvolti concreti, sia perché in esso risiede a mio avviso il futuro del rap palestinese: il rapporto tra rap e attivismo.

Il rap tra resistenza, attivismo e impegno sociale.

Abbiamo visto come il rap possieda spiccate caratteristiche di resistenza e una forte potenzialità informativa, fattori che lo rendono in un certo senso una forma di attivismo. L’impegno dei giovani rapper palestinesi non è però confinato sul mero piano musicale,

1 Bizerta, 9 maggio 2012.

141 ma ha dimostrato di potersi spendere in contesti più ampi, associandosi ad altre iniziative e forme di attivismo. In questo senso, ancora una volta, è utile distinguere il piano, globale o locale, sul quale le iniziative sono destinate ad incidere. A livello globale i rapper palestinesi perseguono soprattutto l’obiettivo di informare, che viene portato avanti ad esempio associando i loro concerti ad iniziative di proiezione di documentari informativi 2, che potenziano in maniera visiva il messaggio espresso musicalmente. Inoltre alcuni rapper palestinesi sono spesso ospiti di manifestazioni pro-Palestina all’estero, nelle quali si esibiscono e propongono il racconto delle loro esperienze al pubblico. L’impegno degli artisti palestinesi si è spesso espresso in associazione al movimento di BDS (Boycotts, Disinvestment and Sanctions) – nato nel 2005 per iniziativa della società civile palestinese e volto ad esercitare una pressione nei confronti di Israele per il rispetto delle leggi internazionali e dei diritti dei palestinesi 3. L’inserimento degli artisti palestinesi in una rete di lotta di altre minoranze è anch’esso un fattore da valutare nell’ambito dell’attivismo sul piano globale. A livello locale (in Israele e nei Territori) l’impegno degli artisti palestinesi si è concretizzato in numerose iniziative con discrete potenzialità sociali. Sono stati creati laboratori musicali in vari ambiti, da Gaza a Israele, in cui i rapper palestinesi mettono a disposizione le proprie capacità e conoscenze per lavorare con bambini e ragazzi, così come vi sono ambiziosi progetti di costruire scuole d’arte 4 per offrire ai giovani palestinesi un alternativa alla deriva sociale in cui potrebbero cadere per mancanza di prospettive. L’educazione e la creazione di spazi di condivisione sono estremamente importanti per gli artisti palestinesi che spesso collaborano con diverse ONG per l’attuazione di simili progetti. Sarebbe dunque interessante studiare il rapporto tra rap, attivismo e impegno sociale per comprendere meglio le altre strategie dei giovani palestinesi nel portare avanti la propria causa, al di fuori dei consueti circuiti politici, delle negoziazioni formali o degli atti di violenza in cui siamo abituati a percepire la lotta dei palestinesi.

2 Come si è detto la filmografia sul tema del rap palestinese è anch’essa in continua espansione. Tra i vari documentari prodotti finora si possono citare: Channels of Rage (A. Halachmi,2003), Saz: the Palestinian Rapper for Change (G. Karni, 2006), Slingshot Hip-Hop (J. Salloum, 2009), Checkpoint Rock: Songs from Palestine (F. Muguruza, 2009), Hip-Hop is Bigger than the Occupation (N. Dankwa2011). 3 Per le campagne del movimento vedere il sito ufficiale: http://www.bdsmovement.net/ (ultimo accesso 06/10/2012) 4 Ne parlano ad esempio i DAM in Slingshot Hip-Hop (2009).

142 Allargando per un momento la nostra prospettiva di osservazione al panorama rap arabo, possiamo notare come il potenziale rivoluzionario e il fattore di critica interna della società e delle istituzioni insito nel rap sia stato vitale durante la cosiddetta “Primavera Araba”. Gli anni 2011 e 2012 hanno visto emergere diversi artisti: El General in Tunisia, MC Roco in Siria, Ibn Thabit in Libia, gli Arabian Knights in Egitto e molti altri 5. Anche in una prospettiva più ampia di quella strettamente palestinese dunque, vediamo come questo fenomeno sia lungi dall’esaurirsi come semplice momento di passaggio nella storia della musica e della società.

Se il conflitto e la sofferenza sono indubbiamente elementi che danno energia e forza al genere, è evidente come la complessa situazione socio-politica in medio oriente in generale – e nel conflitto tra israeliani e palestinesi più nello specifico – fornirà ancora per lungo tempo una fonte di ispirazione per testi, rime, rivendicazioni e denuncie e, allo stesso tempo, una possibile fonte per la costruzione di legami, più o meno labili o solidi, tra esponenti della scena musicale araba, palestinese e israeliana. In quest’ottica si può guardare alla produzione artistica di molti giovani, che continueranno a raccontare la loro realtà e a mobilitare le masse attraverso la musica in entrambe le direzioni: la protesta e la pace.

5 Sull’Hip-Hop e la Primavera Araba vedere: How Has the “Arab Spring” Changed Arabic Hip-Hop? , Revolutionary Arab Rap Blog, 22 febbraio 2012 - http://revolutionaryarabrap.blogspot.it/2012/02/how- has-arab-spring-changed-arabic-hip.html (ultimo accesso 06/09/2012)

143 Appendice. Trascrizione intervista Yaseen (I-Voice). Bizerta 9/05/2012

S: How did you (and TNT) started rapping? What’s the way that brought you to Hip- Hop?

Y: For me it was in the end of 2002-2003 when I started rapping, I heard a couple of english songs, I didn’t understand whet they were saying but I liked the music and… at school I used to be bad in arabic, especially in grammar and stuff… but when it comes to essays, I love writing, and that’s what gave me the passing… I used to write stuff, I used to have my diary book… I was a kid, I used to write my stuff about the camp like, sometimes stupid stuff… And then I heard a band in Palestine, Taste of Pain. That was the first arab hip-hop, the first Palestinian band I heard and I really loved it. I heard the song, I memorized the song, I loved their way of doing it and I loved that it was talking about something. And then I started thinking that I could do it, I wanted to do it. But in that time I used to dance Dabke, I danced Dabke for 14 years, so it was like a big difference, coming from somewhere and going somewhere else. And then I started writing. TNT lives in the same street… S: You were friends? Y: We weren’t friends actually we didn’t like each other a lot, because I had my own friends, he had his own friends, we were in two different schools, I was into my own things… But when I started doing Hip-Hop, you know in the camp in 2002-2003, even until 2006, people didn’t really know Hip-Hop, even the style, the way of dressing… And then I saw TNT (his name is Muhammad) also having Hip-Hop t-shirts and baggies, and that’s how we started, we looked at each other and we realized we were both into Hip- Hop. I started rapping (with I-Voice) in 2004, we started separately, I was alone… Ok, before I had a band with another neighbour, but we had some problems, we had an album and then he started saying that he wasn’t ready to do Hip-Hop, he couldn’t face it, he didn’t wanted to perform in the camp, he wanted to perform outside. So when we started to perform to promote the album he didn’t want to go to the shows and I was screwed

144 because the whole album was me and him and I couldn’t do it by myself, so after that I decided I’m not going to make bands anymore, I’m not going to trust anybody… So me and TNT we were friend making song together but we weren’t a band… So in 2004-2006 we are actually brothers, we are not simply friends… We completed each other, he’s a guy that doesn’t like to talk that much, and me I’m always hyperactive, I always want to do stuff,… The first concert we made together we weren’t like a band. What happened is that I was supposed to make the concert with Amir, the other guy, in Hamra Street in Beirut, in a Music Festival, and it was my first concert in Beirut, outside, before I did just 3-4 concerts in the camps (Shatila ‘Eyn al-Helwe, in UNRWA college for the Land Day…). So in this festival in 2006, when the war happened, it wasn’t big as the other years, and also the big artists didn’t want to do the concert, so they called me to come and that was a big occasion for me because there’s journalists, musicians… But then Amir said no. I was really depressed to lose this opportunity, and I was about to cancel, but then TNT told me that he memorized all our tracks and he could back me up, and we decided to do it. We appeared as “Yaseen and TNT”. It was our first concert together but I felt comfortable with him since the beginning. After this concert we started going in more and more places outside Beirut, and TNT was really into making concerts also in the camps and you know that Lebanon and the camps are two completely different worlds…

S: We’ll talk about this later. You’re from Burj al-Barajneh camp right? And also another important band, Katibe Khamse, they are from that camp. They started rapping before you did, or in the same period?

Y: At that time, in 2002-2004 I was hanging out with them, but they didn’t start Katibe Khamse already, I think they started in 2004-2005, but before they used to rap, but they were older than me. We’re from the same camp but we actually met in Beirut. We realized form the accent that we were Palestinian and then we discovered we were from the same camp. We rapped together in the streets that night, and then we started meeting every day, making music… They were just two guys in that period and we wanted to start a band together, but I was younger, I had my own stuff, school… S: So the idea of forming a rap band was born for you and them more or less in the same period, but then you took two different paths? Y: Exactly. We wanted to form a band together but it

145 didn’t happen. We talked about the same issues, the same stuff, but everyone of us had a different way of delivering it.

S: What kind of role do you think Hip-Hop can have in Palestinian cause? Just spreading awareness, or it could make a real change happen?

Y: If I look at what happened since we started until today… We started making this music and people didn’t like it at all, they rejected it… In the beginning we weren’t using a lot the beats, we just sung the lyrics to let people know who we were and what we were doing, they understood what we were saying. Maybe the older people didn’t like it, but younger people after the first shows started knocking at my door, they wanted to do this kind of music… And I had this awesome feeling, that we could do something like people form different camps talking about their problems, what’s happening there… Yeah, we gave awareness to people… I said what I was feeling when I was a teenager, or as Palestinian now, looking for a job… I think it will help to change… It will help people to change. When you listen to what I’m saying and you realize there’s something wrong, we will have more people going against this, all together. That’s why all my concerts in the camps they weren’t really like concerts, like parties… In all my concerts in Beirut there were people drinking, listening to the music… But in the camps it wasn’t like that, in camps was like going to a protest. There were also older people watching and actually liking the music, they have this feeling they’re bringing the intifada… S: So there’s a big difference between the audience in Beirut and the audience in the camps. Do you think that lebanese people actually understand your problems as Palestinians? Y: Not all of them, some of them. Not all Lebanese people know the camps. Maybe they heard about the camps and they made an idea, an image of what the camps are. Some people know… I have a lot of lebanese friends that came to visit me in the camp and they know what I’m talking about. For example when it comes to electricity… We have these boxes, every hood has one, so almost everyday there’s a box exploding in the camp… We have problems with the water… So my friends that visited me they know what I’m talking about, but when I say this stuff most of the people thinks “what he’s saying?”, but if you went to the camps you know what I’m saying. So some people understand, some other don’t but you know, Lebanon is kind of a strange place… It’s small, with such different people, there’s like 18 religions, you

146 have really rich people, really poor people… So some of them understand, it depends where we’re doing the concert, which kind of audience, which lebanese people are watching.

S: What are your sources of inspiration in music (but also poetry, literature, arts…) in palestinan/arab world and in other cultures?

Y: To be honest, in the beginning the main inspiration was the camp, my life there, what I was going through, what I was facing every day… When I woke up in the morning there were neighbours visiting my mom, telling her something that happened to them or to their relatives and also that gave me inspiration, listening to other people stories when I was walking in the camp, this was the main thing… Also a lot of wirters… I read a lot of Mahmoud Darwish, Ghassan Kanafani, Yasser Arafat, Garcia Marquez (the first book I red), Edward Said’s Orientalism, stuff like that… But sometimes is just like being in the camp, no electricity, sitting on the roof… everyday life. S: So these are the main topic or issues you talk about in your songs? Yes, these are the main issues I talk about. As I told you, I used to have a diary book. Then rap became my diary book. Sometimes I just wake up, I looked at the street in may camp, describing what was happening… As I said in a song I use my tongue as a camera. Sometimes it cold be about friendship in the camp… Or about Palestine. And about Palestine… I’ve never been to Palestine, and I cannot go to Palestine, I created my own image of it. We have a song about Palestine called “Ana la ansaki Falasteen” (I won’t forget you Palestine) and it’s a love song, is not a political song; it’s like I’m talking to my lover that I never saw. It depends on what happens, for instance, you know Nahr el-Bared camp? When the war happened I was in that camp visiting my friend, and I stayed two weeks under the war… This gave me inspiration… What I saw when I was inside, and what I saw then when I came outside and watched tv was not the same… That song came from anger, I started writing the song inside the camp, a lot of things happened to me there, tough things…This song is called “Inkilab” (Revolution). Every time I perform it on stage is like healing me, is taking the pain away. So when I talk about it of course I’m

147 depressed, but I put all these feelings into the song that it doesn’t hurt so much anymore.

S: We were talking about life in the camps in Lebanon: in your opinion what are the main problems of being a palestinian in Lebanon? And how living in the camps affects life of the youth?

Y: This is what TNT says: “the camp is like a talent cemetery”, is a place in which you kill your talent. When you’re young in the camp, what you hear from people is: “I finished university, I got really great grades and now I put my certificate on the wall and I look at it”. Or, “You want to be a film maker? You must be kidding!”. When I said that I wanted to study sound engineering, people told me “You want to go to Canada? People that has a bank account and money they never get the visa and you think you can do it?”. This actually kills you, but this is true. I have friends that are educated and really smart, but they’re unemployed… So this situation doesn’t make you believe in yourself. Or maybe you believe in yourself but you don’t believe … like I’m in Lebanon, this is not my country, even if I believe in myself this Lebanese government is not going to believe in me, so I’ll never find a job. So what happens is that most of the people hate school, and the school system is bad, most of education is provided by UNRWA… And maybe you have 50 people in your class, making noise, the teacher can’t wait to leave the class, everyone is beating someone… They make you hate education. So people don’t see the point in going 12 years in school and then 4 years at university… When they learn how to read and write they want to leave school to start learning a job and start working. They think for example “My dad has a shop, I’ll leave school and I’ll start to work with him so I’ll make some money”. TNT left school when he was 13 years old, and the reason was that his father was injured during the Israeli war in the 80’s, they are six sons, he’s the eldest so he had to help his family. He actually liked studying, but he had to go to make money for his family. And not only TNT, a lot of other people are in the same situation, some of them are forced to do it, not because they don’t really like school.

S: How does affect “normal” life the discrimination carried out by Lebanese government or by social environment?

148 Y: We live in Lebanon, but we don’t live in Lebanon at the same time. Especially because the camp is like a different country… S: You think about your future, your job, in the camp environment… Because the Lebanese authorities don’t allow the access to many professions for palestinians… Y: You have two things… You think about your future in the camp and you see if it could happen, maybe some people have business going in the camp… Other people starts thinking “I’m leaving, I’m not staying here” , especially because as a palestinian refugee in Lebanon you can’t have the right of owning properties outside the camp. We built a studio in the camp, it was in my house but we closed the door and we opened one in the street, we made this recording studio… and I wanted to work, maybe recording for other people to make some money… But when people hear it’s in the camp a lot of them get scared and they don’t want to come. So I wanted to open a studio outside the camp, but I couldn’t. I needed a Lebanese friend that could sign for me, and I couldn’t trust, I didn’t want to do it. So to be honest everyone wants to leave… They want to go illegally, they want to find someone to marry, or they want to get a student visa, whatever… Just like “I want to leave this place, is not my country, I don’t know what I’m doing there”, that’s why we have every year a big number of people leaving illegally.

S: How was received, and how was the perception of Rap in palestinian-lebanese environment (in particular in your camp)? What kind of difficulties did you have to face when it all started? Do you think the situation has changed now?

Y: When it started… When you say “Hip-Hop” and you see the style, maybe they’ve seen something on tv, these rappers with girls, cars and drugs… So this is the image they have. Especially in the camp, maybe older people listen to the music and there’s drums… they are not used to this, so they think you’re bringing foreign things to them, and they disagree. For instance, I had a concert in Nahr el-Bared before the war; the concert was on Thursday and I left on Fryday the camp, and in the mosque the imam was talking about me, that I came to bring corruption in people’s minds. So some people came against it and it actually took them some time… Now I say it’s less and a lot of people actually believe in it because they’ve been hearing our music, they’ve been hearing me, they heard my albums, they saw me in tv… I never brought a girl with me to dance or strip…

149 They started believing in me, and what I did is kind of “tarab music” arabic music, like Umm Kulthum, so I took the “b” and I put “p”, “tarap” music… So the idea was to have arab rap, but not only the language is arabic, I can have an 100% arabic beat, with ‘oud sound, percussions… I can have Arabic music and rap over it… I got people closer to this music. I’m sure that when an older man or woman hear the ‘oud in my song they’re not going to hate it, they’re not going to say “this is not my music”, maybe it would be just a little bit different. S: In your first shows there were also adults or elder people or just young people? Y: In Nahr el-Bared for instance there was just young people because it was organized by a friend of mine that works with kids… But in ‘Eyn el-Helwe camp for instance I was so scared, because there’s so much politics there, so much going on… And at that time I had the song “Inkilab” about Nahr el-Bared, and in that song I named the Palestinian parties, I named Fatah and Hamas, and I talked against them. I know they’re strong there and I was sure they would be watching… But actually when I went there, there were more older people then young people. What happened in the beginning was… we have a song “Ta7iati” (Greetings) and people know it a lot, they always sing the chorus. I remember a woman in her 60’s on her wheelchair singing “ta7iati”, and an old man singing whit us, it was awesome! And then I remember a guy that was into parties saying “I’m not happy because you said shit about me, but I’m happy because you didn’t just talk against me, you talked against everybody… You didn’t take a part so it’s ok”. Anyway over the time people actually understand it… When I was still living in the camp I had people coming to my house, asking me “do me a song about electricity, about jobs”, I had people giving me ideas…

S: Why did you choose to rap in arabic and at which audience do you talk to with your music?

Y: I rap in Arabic because first of all I’m talking to my people, people in the camp… And I’m talking also to lebanese people, and then to the whole arab world, that’s why I chose the arabic language. I have a lot that rap in English but I think that in Lebanon it doesn’t make sense because most of palestinian people and Lebanese people doesn’t understand English. For me it doesn’t make sense say something they cannot understand. S: But if you want to spread your message to non-arabic speakers, do you

150 use any strategy like subtitles, explanations during the concerts, translations etc ? Y: When I play abroad I talk about the song before, or I try to write a summary of the songs, as I did in . I only translated once into English, because I hate sitting and translating, I’m planning it since two years but I didn’t do it yet… but I think is going to happen soon… Especially now that I’m in Canada. When I went to Canada I was talking especially to palestinian people… now I started realizing that I also need to talk for this people who think I’m something and then they realize I’m something else. One guy asked me “You rap? Your culture let you rap?”, and some people doesn’t know that I can’t go to Palestine, even for a visit… So I think they have to know this stuff, it’s my responsibility… S: Have you ever thought if rapping in other languages? Y: Two days ago a friend of mine was saying “now you live in Canada you should start rapping in english”, I think is not a bad idea, I should try… We had a long conversation, and in the beginning I was totally against it, but now I think it makes sense a little bit… I might do it, I might not… But if I won’t do it I’m gonna have translations, or videos with translations on the screen, sentence by sentence… I could try to make it in english or mixing english and arabic. A lot of my friends think it’s a good idea, especially my friends in Canada… A lot of rappers, we’re always hanging out together, we freestyle… When I freestyle in arabic they like the flow, how it sounds… But because they don’t understand me there’s nothing making me excited to talk about, I just rhyme… I’m not really enjoying it because I want them to understand. So sometimes I freestyle in english but I never recorded an english song but I freestyle a lot in english. So it’s in my head but I don’t know when I’m gonna do it.

S: So now that you moved to Canada, do you think this affected someway your way of making music? What is the difference, for you, of living in diaspora in an arab country or in a western country?

Y: Now that I moved to Canada I learned a lot as person, in music, in life… The thing that is helping me a lot is having access to professional equipment, sound systems, so technically is helping me a lot. On the other hand, as I was saying about freestyle, my friends now don’t understand me, but when I was in Lebanon, me and TNT we were having a conversation freestyling… And there was more inspiration for lyrics when I was in the camp than in Canada. It doesn’t mean is not giving me any inspiration

151 because, especially when I first got to Canada I was always watching the differences… The constructions, everyone here has a bank account… Simple stuff… So this mixtape (Stateless Mixtape, il suo secondo album n.d.a.) was also about this difference between Canada and the camp… In the intro I mixed speeches in english from different politicians about the arab world, how they see the arab world… I also learned a lot. I didn’t know the world is as big as it is, and I realized it when I came here. Here you can find so many kinds of different people, all races, so it made me actually more open to other races and… for instance I know more about native people, my best friend is native. I went in reservations, if you think about it it’s like camps, but it’s more civilized you can say… So I started putting connections between this, between all the politics all over the world… I’m getting bigger ideas, in the future my lyrics, my subject is gonna be bigger, everyone is going to feel what I mean…

S: Do you know if there’s Palestinian girls that sings rap in Lebanon?

Y: In 2007 we went to Nahr el-Bared, we used to do something called “studio camp” with other people coming from outside, so we did this workshops about video, sound and graphics, in every camp in Lebanon… It was about experimental music and movies. We were going into the camps asking the teenagers if they wanted to make a movie and we worked with them on the ideas, teaching them how to make it. In Nahr el-Bared we did also an hip-hop song, between that people there was also a girl. We wrote and recorded a song about Nahr el-Bared, and after the war happened the song became famous, it was everywhere, it’s called “Hajez” (Checkpoint) it’s about lebanese checkpoints in the camp… The song had sounds from the market, sounds from the beach, it had the background of Nahr el-Bared camp, it wasn’t only a rap song. So people after the war they really liked it because they could relate on Nahr el-Bared. There’s another two girls, I recorded a song for them, they are from my camp, the song was also in “studio camp”… The song was about women’s rights. But there’s not actually a band in the camp making songs, if there isn’t something new.

S: I have a personal reflection about palestinian Hip-Hop and its perception, and I’d like to know your opinion. I think, but I could be wrong, that between palestinian audience and in arab countries in general, the palestinan cause could have brought to

152 hip-hop, while in western countries Hip-Hop brought Palestine and its issues to many people, to Hip-Hop’s audience. What do you think about it?

Y: It’s true, for instance when I started doing Hip-Hop I didn’t know a lot about it. All I knew about it was… that it was an unlimited way of expression. In poetry I can express myself but I have to follow specific structures… And I don’t want to think about rules when I’m writing… So that was the main thing that brought me to Hip-Hop. By the time I started listening more to Hip-Hop and I started growing, having bigger knowledge about it… Before we lived Hip-Hop without knowing it. We had people writing stuff on the wall, people dancing dabke to express themselves, we had art… My Hip-Hop doesn’t have to be the same as american Hip-Hop. American Hip-Hop came from discrimination, freestyling, talking against stuff… This is what made it… And you have also Blues and Funk… They started to built music from their history, they developed their history to another music. I love blues music… but I have bigger knowledge in arab music, my real knowledge is in it, so why don’t develop this music to bring it to my Hip-Hop that has is own identity.

S: I red you had difficulties in entering into some arab countries to perform in concerts, can you tell me what do you think about this problem?

Y: Here in Tunis I didn’t have problems, it was the easiest trip ever for me… It’s funny… for instance I had this job in Morocco and they sent me an invitation. One month before I had a concert in Spain, we toured Spain and we came back. Then Morocco rejected my visa because they were afraid I could run away to Spain… But I just came from there, why would I want to swim to Spain? I could have stayed there! Or when I came to they delayed my flight for 4 days and then when I arrived they stopped me for 12 hours… The second time I went there they stopped me at the airport for 6 hours… S: Do you think they’re just afraid you could escape somewhere, or that maybe they don’t want to deal with Palestinians… Or they could be afraid of your music and its message? Y: It might be a problem of administration in the case of Morocco… In Egypt I remember that the officer asked me “are you going to bomb somewhere?” maybe because I’m palestinian he thought I was going to meet some Hamas meber and organize something, this is how he saw it. But I don’t think they’re really as smart as my music, I don’t think they really know, or appreciate, or think my

153 music can make a change, they don’t really believe in that. They’re just scared of your name, because you’re palestinian and they don’t know what you’re going to do.

154 Straniero nel mio paese (DAM). Vi chiamo, e vi stringo le mani Bacio la terra sotto i vostri piedi E dico “mi sacrifico per voi” e vi offro la luce dei miei occhi E vi do il calore del mio cuore. E la tragedia che vivo, è la mia parte della vostra tragedia 1

Tutte le navi ci lasciano indietro, lasciano la tristezza che sommerge i nostri cuori, che accettano (il fatto che) siamo ospiti dell’ingiustizia nelle nostre case, la situazione si è capovolta, ancora una volta siamo diventati ospiti indesiderati, è il nostro destino 2 rimanere stranieri nella nostra terra, lontani dalla patria, a chi importa la nostra pena? Una morte lenta corre nel nostro sangue, comandati da un governo sionista democratico! Democratico verso l’anima sionista, e sionista verso l’anima araba. Cioè quello che è proibito a lui è proibito a me ciò che è permesso a lui è proibito a me, e ciò che mi è permesso lo detesto, perché nega la mia esistenza, ha cancellato e continua a cancellare i miei colori, la storia della mia gente e dei miei avi, fanno il lavaggio del cervello ai miei figli che apprendono una realtà che non li rappresenta La nazionalità azzurra 3 non vale niente 4 Ci dice che siamo parte del popolo e il popolo ci fa sentire stranieri. Io? Straniero nel mio paese

Dove andrò L’esilio 5 ha occupato la mia casa L’anima mi ha detto “l’abbraccio della tua gente protegge ciò che ti è caro”

1'Un ādīkum , Tawfiq Ziad. 2 Letteralmente “per noi è destino”. 3 Carta di identità dei palestinesi-israeliani. 4 Nel testo “la bagniamo e beviamo la sua acqua” espressione idiomatica. 5 Il termine “ ġurba” sottende anche il significato di “nostalgia”, “sentirsi stranieri”.

155 Dove andrò Ai miei fratelli non importa di me L’anima mi ha detto Cammino a testa alta 6

Vediamo facce che non ci vogliono Sguardi disgustati da noi, sussurri che ci insultano Segnali che ci allontanano, ci schiacciano, dimenticano che i nostri avi hanno costruito le fondamenta di questi palazzi e i nostri fratelli continuano a riparare le loro basi; e le loro basi sono degli arabi musulmani e cristiani 7 Altra gente di altri paesi mi grida “transfer” Noi ci rivolgiamo alle leggi che calpestano i nostri diritti, zittiscono la nostra voce, dentro la linea verde distruggono le nostre case, la disoccupazione ci circonda cresciamo in una povertà che nutre le nostre menti, ma viva i cuori che fanno vivere le nostre radici (arabe), che ci chiamano traditori!? No, no, no, no Io non ho abbandonato la mia patria, la tragedia del mio popolo ha scritto per me il mio destino che il mondo fino ad oggi ci tratta da israeliani e Israele fino a domani ci tratterà da palestinesi. (Sono) straniero nel mio paese.

13 martiri, il destino è vicino Quando le pietre sono nella mano, 13 martiri l’ altezza 8 della nostra patria, la base della nostra patria l’ottobre nero ha provato che il sostegno è nel nostro sangue, se tutti loro sono nati sotto occupazione, com’è che non gettano il passato ma gettano loro stessi come la spada tagliente combattono le armi di coloro che pensano che il nostro sangue non abbia valore 9

6 Lett. “Stai dritto e cammina” – Citazione dellla poesia “Munta ṣib al-Qāma, 'Amš ī” di Samih al-Qasem 7 Nel testo “della moschea e del monastero”. ,utilizzati come nomi comuni , ر , أد , وم , راز , د , ال , , را , ود , أد , د , ء Nel testo 8 sono anche i nomi propri delle vittime delle manifestazioni dell’Ottobre Nero durante la Seconda Intifada. 9 Lett. “che il nostro sangue sia acqua”.

156 uccidendo la voce del pacificatore con le loro pallottole vive e la lacrima della madre grida io scorro sulla guancia araba di Muhammad e di Cristo, siamo come montagne, il vento non ci fa tremare Restiamo il segno del nazionalismo, l’ insegna della libertà La luce dei nostri avi illumina l’anima giovanile Io sono straniero nel mio paese ma ringrazio Dio perché sono attaccato alla mia cultura. Chiamateci traditori, “arabi di dentro” o del ’48, (ma) abbiate rispetto 10

Noi siamo le radici della Palestina, fino alla fine dei tempi Non mi sono sottomesso 11 Sono stato fermo di fronte al mio oppressore orfano, nudo, scalzo E non ho abbassato le mie bandiere Ho curato l’erba sopra la tomba dei miei antenati Vi chiamo, e stringo le vostre mani. 12

Benvenuto nei Campi (Katìbe Khamse).

Per i giovani disgustati dalla vita Che (cercano) di riempire il vuoto Per uno muro che resiste nel campo e ancora mantiene dei ricordi Fino all’ultimo soldo che arriva, se lo rubano le associazioni, hanno cambiato i loro uffici, ma in forma di partiti e vediamo distruggere tutto ciò per cui abbiamo lottato e la foto del leader resiste ancora da sola…

E la carne è distribuita solo a chi scandisce slogan e ancora ridono di noi quelli che portano l’abito Le canzoni nazionaliste sono finite, basta, sgancia/butta il beat Gli spettri e le anime dei morti girano tra la gente

10 Nel testo “le tue mani sulla tua testa”, espressione idiomatica. 11 Lett. “non ho rimpicciolito le mie spalle”. 12 'Un ādīkum , Tawfiq Ziad.

157 C’è gente che ha dimenticato e basta, e c’è gente che ricorda ancora Ci sono foto dei martiri che si sono cancellate, ma ne arriveranno altre I rivoluzionari sono morti, ma rimangono i kalashnikov Delle poesie sui muri con i resti delle pallottole Per i giovani che sono stufi di andare nelle ambasciate Per le molte case che sono sparite per troppa decadenza Domani costruiranno un ponte, così come hanno costruito gli edifici prima Ma dietro tutte le tende brutte la foto del leader resiste ancora da sola…

Benvenuto, fratello, nei campi Benvenuto, fratello, nei campi Benvenuto, fratello, nei campi

Abbiamo visto i tetti del campo abbiamo visto che sono rispettosi Perché la bandiera del mio paese sventola sopra di loro Il respiro della grande causa è nel più piccolo dei vicoli Una colomba nel cielo, un bambino lo chiama La maggior parte della gente Dio l’ha colpita con la povertà Un uomo litiga con sua moglie e poi ci fa la pace Delle madri sgridano i loro figli, ma sono pronte a sacrificare la loro anima per loro Un ragazzo studia per far contenta sua madre Un pittore disegna la mappa del suo paese e del suo panorama Una ragazza incontra di nascosto il suo amante tra le rovine Un ragazzo alza la musica al massimo e la spegne durante la preghiera Gioventù perduta… Se il loro paese viene insultato rivoltano tutto Un vecchio racconta le storie del suo paese ai nipoti Sorride per un bel ricordo, poi una lacrima segue il sorriso Belle case senza colori coperte da un sole caldo … è la Palestina che le avvolge la Palestina le avvolge

158 Benvenuto, fratello, nei campi Benvenuto, fratello, nei campi Benvenuto, fratello, nei campi

Una casa senza tetto il progresso all’indietro Muri, pubblicità La guerra dei campi Edifici distrutti da troppi spari Le nostre strade sono labirinti pieni di insetti Il suo cielo è il paradiso Pieno di paglia Tutti i corpi dei morti affollati in un solo cimitero Che Dio benedica le loro anime Ci teniamo stretti alle Nazioni Unite, allora raccogli i sussidi Nessuno sente le urla dentro Nell’ospedale aspetto la morte Nella camera mortuaria Scegli tra i religiosi e i liberali 13 Già adesso e dopo il ritorno rifletto sulla preghiera

Benvenuto, fratello, nei campi Il campo in cui vivo resiste ancora, da solo Le sue forme sono cambiate ma la sua lotta è rimasta la stessa Sui muri annunci funebri per la gente normale Il ricordo della Palestina e il resto dei resistenti Guarda verso il cielo e vedrai i cavi elettrici se non avessi rubato una linea come potresti vederli? I tetti cadranno sulla testa dei loro proprietari Acqua, smetti di allagarci da sotto terra (Perché) la gioventù affonda già nella disoccupazione e nell’inattività Non c’è lavoro, non ci sono soldi

13 Lett. “Scegli tra il gruppo di barbuti (i religiosi) e i capelloni (i liberali)”.

159 I bambini senza educazione Dio conservi l’UNRWA - (la vogliamo) alla presidenza! che risolve i nostri problemi con una pastiglia di Panadol dalla clinica Benvenuto, fratello, nei campi

Al-Nakba 15/5 (Yaseen – I-Voice)

Il giorno della catastrofe, il 15/05 in 51.000 ritornano in marcia verso la Palestina, e una sola parola/slogan: Non c’è alternativa al diritto al ritorno

Da 63 anni siamo insediati nei campi (Israele) festeggia l’indipendenza e noi giuriamo che ritorneremo alla terra Per ognuno che uccidete in cambio ne porteremo altri dieci Porteremo la causa come un incarico e non ci rinunciamo Si chiedono perché ancora lottiamo Non sanno che alzo la testa perché sono palestinese Rifiuto la naturalizzazione Tornerò in Palestina Tornerò ad Akka così come i musulmani devono andare alla Mecca Chiedendo un mio diritto sono diventato un criminale e l’occupante è diventato un pacifista Imbroglia e parla di democrazia ma la colonizzazione è la loro base Le vostre guerre per il commercio di petrolio e l’uccisione degli indigeni nel loro paese La schiavitù l’avete fatta voi, e voi avete inventato Bin Laden Guarda che coincidenza, che tempismo nel predisporre un altro nemico Pensa un po’ alla storia, un discorso reale, e trovi un nuovo medio oriente, il progetto va ancora avanti Io non dimentico, ma perché il mondo dimentica?

Rashidyye, Burj ash-Shamali, al-Mye ou Mye, Burj al-Barajne al-Bas, ‘eyn al-Helwe, non c’è alternativa al diritto al ritorno Mar Elias, Sabra e Shatila, Nahr al-Bared

160 al-Baddawi, al-Jalil… Non c’è alternativa al diritto al ritorno Tal al-Bahr, Shabriha gli edifici di Gaza I palestinesi della periferia e ogni palestinese non sacrifica la causa Per i martiri da prima del ‘48 al 15/05 Non c’è alternativa, non c’è alternativa al diritto al ritorno Gli eroi di Maroun ar-Ras, Majdal Shams e dell’Egitto di Gaza e della Cisgiordania La rivoluzione non si spegnerà mai Cancella quanto vuoi la cartina ma mettitelo in testa il popolo palestinese non rinuncia alla Palestina e al diritto al ritorno.

La kefiah è araba (Shadia Mansour).

Buongiorno cugini Prego, ci onorate con la vostra visita Cosa possiamo offrirvi? Sangue arabo o lacrime dei nostri occhi Credo che sperino di essere accolti così, così sono confusi quando si rendono conto dei loro errori Per questo indossiamo la kefiah, quella bianca e nera Da tempo ci giocano e la indossano come fosse una moda Per quanto siano creativi, per quanto ne cambino il colore Una kefiah araba rimarrà (sempre) araba La nostra kefiah, la vogliono. La nostra cultura, la vogliono. La nostra dignità, la vogliono. Tutto ciò che è nostro, lo voglio. No, non taceremo davanti a loro, non glielo permetteremo No, no, non gli sta bene Hanno rubato una cosa che non è affar loro Bramano Gerusalemme, Gerusalemme, imparate come essere umani Prima che indossiate la kefiah, siamo venuti a ricordargli chi siamo è contro la volontà dei loro padri 14 , questa è la nostra kefiah

14 Modo di dire che indica “per forza”.

161 Per questo indossiamo la kefiah - perché siamo patrioti – la kefiah, la kefiah è araba Per questo indossiamo la kefiah – la nostra identità fondamentale - la kefiah, la kefiah è araba Dai, sollevate la kefiah – sollevatela per me - la kefiah, la kefiah è araba Sollevatela per Bilad ash-Sham, una kefiah araba, resterà (sempre) araba

Non c’è nessuno come il popolo arabo Mostratemi una nazione nel mondo che abbia avuto più influenza L’immagine è chiara, noi siamo la culla della civiltà La nostra storia e le nostre tradizioni sono testimoni della nostra esistenza Per questo ho indossato il Thawb 15 palestinese Da Haifa, Jenin, Jabal an-Nar fino a Ramallah Fammi vedere la Kefiah, quella Bianca e rossa Fammela sollevare verso l’alto, nel cielo Sono Shadia degli arabi, la mia lingua punge La mia lingua fa tremare, le mie parole sono una guerra Prendi nota, sono Shadia Mansour e la kefiah è la mia identità Dal giorno in cui sono nata signore, e il popolo è una mia responsabilità Così sono stata cresciuta, tra l’Oriente e l’Occidente Tra due lingue, tra il ricco 16 e il povero Ho visto la vita da entrambi i lati Sono come la kefiah In qualunque modo mi indossi, dovunque mi tolga, le mie origini rimangono palestinesi

Gaza (Refugees of Rap). Siamo tutti Gaza Buon anno nuovo, il mondo festeggia Buon anno nuovo, la nostra gente a Gaza viene uccisa Ragazzi nel fiore degli anni, la polizia fa tremare la terra Sono morti per dei missili pieni di odio sopra Gaza Avevano il dovere di difendere l’onore

15 Vestito femminile della tradizione palestinese 16 Lett. “avaro”.

162 Sono finiti sotto terra, se ne sono andati con un bombardamento Senza corrente, in pieno freddo Uccisi in moschea durante la preghiera In quale epoca o in quale promessa è stato scritto questo patto Un patto che dice di uccidere i bambini e le donne innocenti da Gaza sgorga un fiume di sangue Pezzi di cadaveri nelle strade, ragazze giovani I cui corpi si sono disintegrati per l’esplosivo Dai, muovetevi arabi, uniti 17 e senza paura Per liberare la gente di Gaza e riprendere la Palestina Fino a quando vogliamo tacere davanti all’ingiustizia Dai, è arrivato il momento che questo sogno si realizzi

Dov’è il sangue arabo, Gaza chiama La nostra voce patriottica le ha risposto Dov’è il sangue arabo, Gaza chiama La nostra voce patriottica le ha risposto

Ci hanno assediato nel cuore di Gaza e ci hanno sgozzato Ci hanno resi famosi nei media Così vuole la gente, ci hanno seguito come nelle fiction Ci hanno nominato nei telegiornali Non sanno che ci hanno imprigionato e umiliato nel cuore delle nostre case Ci hanno affamato e ci hanno buttato per strada Ci hanno sgomberato e ci hanno maltrattato in nome della rivoluzione araba Sangue e lacrime, l’orgoglio continua a regredire Basta, ancora io e altri, il mio cuore soffre per la nostra gente La Palestina non morirà perché il nostro sangue non è artificiale L’onore è scomparso, quante grandi teste sono state scoperte Sul terreno dei fatti, avevano giurato Soltanto una pietra, un carro armato, un missile per il genocidio Queste teste arabe aumentano ancora

17 Lett. “con una sola mano”.

163 Guarda, la gente sta morendo a migliaia Basta, ci siamo stancati del genocidio Canto queste parole e porto la mia morte sul palmo della mano Non so chi sta con me, non so chi cammina nella mia fila

Distruzione di case, oh madre mia Un grido di un bambino quando (sente) l’urlo di una madre che ha perso suo figlio che grida “basta uccisioni” Questa cosa si ripete mille volte ogni ora E la causa è (il fatto che) gli arabi ci hanno fatto vivere sempre nel dispiacere Dieci su dieci ci considerano terroristi Agli occhi di tutto il mondo noi siamo terroristi Perché? Perché sono arabo e sacrifico la mia anima per il mio paese Fino all’ultima goccia del mio sangue difendo la terra della mia patria Mio padre non mi ha educato così Non sto zitto davanti al dolore di un fratello Dove sei Ummah araba, dov’è la fratellanza araba Risoluzioni, discussioni, parole vuote e futilità sono un labirinto e noi ci viviamo E tutte queste cose sono delle idiozie Fino a quando continueremo a farci colpire soffocando la tragedia Dalle mie vene si prosciuga il sangue, che cosa sta succedendo? Pensate per una volta all’unità, pensate una volta al cambiamento, per vivere come Ummah unica Per cambiare il destino

La mia città (Ayman Mghames e Shadia Mansour). Sono una bambina piccola degli abitanti di Gaza E quando i miei fratelli piangevano per la fame, e io con loro, io continuavo a cantare, li calmavo e gli dicevo: Dai aspettiamo papà, adesso viene e porta da mangiare 18

” ة ن ة “ ,Frammento audio proveniente da un video 18 http://www.youtube.com/watch?v=N-vWYjXsXtw (ultimo accesso 22/07/2012)

164 Questa è la terra della sofferenza 19 E non cambierà mai No, no, no

All’inizio i miei saluti ad ogni bambino, ogni figlio, ogni piccolo 20 , per ogni lacrima dei loro occhi, per ogni tremito delle loro palpebre La discordia, il conflitto, la fratellanza, la lotta L’amore, la tolleranza, la riconciliazione Le mani intrecciate o strette 21 Ogni battito del cuore che pulsa fa crescere il dolore che impedisce alla speranza di nascere, una strada che noi abbiamo cominciato, non abbiamo sollevato la bandiera bianca 22 dell’umiliazione… Con l’ingiustizia imposta su una città che è caduta non l’ha accettato e si è rimessa in piedi Tutti i popoli della Terra hanno alzato le mani su… Su, verso il cielo, invocando Cammina il mio inchiostro, questa volta la mia carta parla di me Dal mio punto di vista, il mio discorso non è (diretto) al mio nemico Parlavo di loro, mi lamentavo per loro, piangevo per loro e oggi io sono (diventato) uno di loro

Questo è il mio racconto Il racconto di un popolo a cui è proibita la libertà ed esso è nella sua terra, a cui è proibita la libertà di godere della propria patria e a cui è proibito persino abbracciare la propria madre 23

Con l’attesa di ciò che è successo e di quello che deve ancora succedere Le lacrime degli occhi scendono su più di mille martiri

la terra del raduno e della dispersione). Questo verso è mutuato) ” أرض ا وا “ Letteralmente 19 dalla terminologia religiosa islamica, in cui rappresenta il luogo in cui tutti gli esseri umani verranno radunati il giorno del giudizio. Secondo quanto tramandato da un hadith la terra in cui verranno radunati tutti gli esseri senzienti il giorno del giudizio sarebbe la Palestina. Nell’Islam il giorno del giudizio prevede la distruzione e l’appiattimento della Terra e ha delle connotazioni di dolore e sofferenza molto forti: per questo ho ritenuto di tradurre il verso con “terra della sofferenza”. 20 Letteralmente “ ” significa “leoncino”, appellativo dato ai figli dei fedayyin, i combattenti per la Palestina. 21 Continua “o intrecciate” sinonimo ”letteralmente significa “inginocchiarsi رع Il verbo 22 ” ة ن ة “ Frammento audio del video 23

165 E oggi un altro martire è davanti ai miei occhi, l’ho portato con le mie mani Il suo respiro intrappolato nelle sue ultime parole24 a mia madre, che si prendeva cura dei suoi figli E le sue lacrime sono io che le ho asciugate col sudario ho raccolto le ferite di dolore e le ho seppellite nel cuore Al posto del mio compleanno 25 il 16 ho avuto un funerale A colui che cerca la pace non importa la propria vita Dicono pazienza su pazienza, io ho sopportato la pazienza Non ho scelta, sono obbligato a rifiutare la pace.

Questo è il mio messaggio per la gente di Gaza, per i ragazzi dei campi. per tutte le madri e i padri, per tutti i martiri in paradiso Io parlo da lontano, ma il mio cuore è a Gaza Non sento i colpi, ma sento le ferite nel mio cuore. Affianco a me c’è un ragazzino sui 6-7 anni, ha visto i bambini di Gaza sul telegiornale e mi chiede: “Perché? Perché quei bambini non vivono come me? Perché soffrono? Perché non hanno delle case come me?” Giuro, mi hanno fatto piangere Gli ho detto “Bambino, non piangere”, so che il cammino è lungo, brutto e difficile Ma domani Gaza tornerà tornerà vittoriosa e forte ma la mia voce tornerà a cantare.

Questa è la nostra libertà: libertà, ma dentro una prigione Ma guardate che noi resistiamo, non abbiamo paura dell’oscurità Resistiamo con le vostre preghiere per noi, e resistiamo con il vostro sostegno E spero che voi aggiungiate la vostra voce alla nostra voce Affinché il mondo senta, e diciamo: no all’embargo, no all’occupazione Non rubate il sorriso dal viso dei bambini E si alla libertà, si alla libertà 26

24 Letteralmente “testamento”. 25 Il 16 gennaio è il compleanno dell’autore. ” ة ن ة “ Frammento audio del video 26

166 Chi è il terrorista? (DAM). Chi è (il) terrorista? Sono io terrorista? Come posso essere terrorista (quando) vivo nel mio paese Chi è (il) terrorista? Tu sei terrorista! Mi mangi (vivo) mentre vivo nel mio paese

Mi hai ucciso come hai ucciso i miei nonni Rivolgermi alla legge? È inutile! Tu, il nemico giochi il ruolo di testimone, avvocato e giudice Mi finisci, e inizi dalla mia fine Il tuo sogno è che diminuiamo ancora, (nonostante) siamo la minoranza Il tuo sogno è che la minoranza diventi maggioranza nei cimiteri Democrazia? Giuro siete (come i) nazisti Da quanto avete stuprato l’anima araba è rimasta incinta e ha dato vita a un figlio di nome “operazione suicida” 27 E a quel punto ci chiamate terroristi! Cioè mi hai attaccato e hai pianto, mi hai preceduto e ti sei lamentato quando ti ho ricordato che sei tu che hai cominciato, hai saltato e hai detto “Ma voi lasciate che i bambini piccoli lancino le pietre, non hanno una famiglia che li trattenga a casa?” Cosa? Come se ti fossi dimenticato che le tue armi hanno trattenuto la famiglia sotto le pietre 28 ! E ora che il mio dolore scoppia, tu mi chiami terrorista?

Perché terrorista, perché il mio sangue non è calmo? è caldo! Perché tengo alta la testa e la terra del mio Paese? Hanno ucciso le persone che amo, sono solo La mia gente si è dispersa, continuerò a gridare Io non sono contro la pace, la pace è contro di me Vuole eliminarmi, vuole cancellare le mie tradizioni E chi dice una parola con forza e decisione diventa un uomo che trattate come una carogna

27 Letteralmente “operazione esplosiva” 28 Lett. “macerie”

167 E chi siete voi? Da quando siete diventati importanti? Guardate quanti avete ucciso, quanti avete reso orfani Le nostre madri piangono, i nostri padri si lamentano La nostra terra scompare, vi dico io chi siete Voi siete cresciuti viziati, noi siamo cresciuti nella povertà Chi è vissuto negli agi, e chi è vissuto in una tana? Chi ha combattuto per la libertà 29 , lo avete trasformato in un criminale E tu, terrorista, mi chiami terrorista

Quando smetterò di essere un terrorista? Quando mi colpirai e porgerò l’altra guancia? Come ti aspetti che io ringrazi chi mi fa del male? Sai cosa? Dimmi come vuoi che sia In ginocchio e con le mani legate Con gli occhi bassi e i corpi (morti) buttati (attorno a me) Case distrutte, famiglie disperse Bambini orfani, libertà in manette Tu dai gli ordini, tu uccidi e noi seppelliamo Noi pazientiamo e nascondiamo il nostro dolore La cosa più importante è che tu ti senta sicuro Rilassati e lasciaci il nostro dolore. Cos’è il nostro sangue? Sangue di cani? Nemmeno, quando i cani muoiono c’è compassione per gli animali Quindi il nostro sangue vale meno del sangue dei cani? No! Il mio sangue è prezioso e mi difenderò Anche se mi chiami terrorista

La libertà è donna (DAM e Safaa Hatoot).

L’ingiustizia, tutti ne soffrono Gli americani opprimono gli arabi I sionisti opprimono gli arabi Sapete cosa, arabi?

29 Lett, “chi è diventato feda’y ”.

168 Se opprimi qualcuno, qualcun’altro ci opprimerà

Queste parole sono per tutte le nostre madri e le nostre sorelle Perse tra i nostri costumi ignoranti e tradizioni futili Tutti le vedono, ma chi difende? –Tutti lo percepiscono ma nessuno ne parla 30 – Questo è per te, dovunque tu sia Prigioniera, maltrattata, dei tuoi sogni privata. Alza la testa sorella Alza la testa –Tutti lo percepiscono ma nessuno ne parla –

Pianti senza voce, da colei che asciuga le lacrime Quando apre gli occhi (vede) all’orizzonte i recinti del proibito le ho detto, ciò che mi è proibito le è proibito ciò che mi è permesso le è proibito. E ciò che è permesso a lei? La parola (permesso) non c’è nel suo dizionario Lei ci mette in piedi, (quegli stessi piedi) che calpestano i suoi diritti Giorno dopo giorno, si ripete lo stesso giorno E’ la prima ad alzarsi e l’ultima a dormire Questo (è il mio messaggio) per te, donna, madre della casa da parte dell’uomo che costruisce solo muri (attorno a te) Per la prigione delle donne che i nostri muri non semplificano Per racconti storici che non si civilizzano Dal tempo in cui si seppellivano vive le bambine, dal tempo in cui si infibulavano 31 Fino al tempo in cui si seppelliscono le sue opinioni, fino al tempo in cui si taglia(no) i suoi desideri Vittima perché è debole? Che dici?! Soffre da sola per nove mesi e noi siamo quelli che nascono piangendo Torniamo alla storia, le impronte di Adamo sono sulla scena del crimine E le nostre dita accusano Eva, strano?

30 Letteralmente “nessuno emette un suono”. 31 Letteralmente “si tagliava il desiderio”, frase che si ripete sia nel verso 27 che nel verso 28; la prima volta è utilizzata in senso fisico, la seconda in senso metaforico

169 Ancora più strano e che noi vietiamo la libertà femminile, e la libertà stessa è donna

La donna araba, la sua vita bianca è stata scritta, (da bianca) è diventata azzurra, azzurra nella sua strada, non conosce niente 32 della vita Non è diversa da un povero uccello che vola nel cielo incapace di scendere e di affrontare la sua preoccupazione Intrappolata in una casa in cui non ho trovato altro che le lacrime dei “vorrei”, o mondo che cosa hai gettato? Torna a chiederti da dove sei venuto Sei arrivato nudo 33 , mi chiedi perché ho pianto? Per le anime senz’anima e chi ha causato le ferite (diventa) innocente e esce dall’arca di Noè Innocente ma sfacciato, mi chiedi “dove vai”? perché, tu da dove vieni 34 ? Per un particolare mi hanno rovinato, certo mi hanno accusato e per questo particolare lui ha vinto e io sono quella che ha perso Ma va bene, da oggi in poi aria di dolore che si diffonde non ce n’è, staremo ferme sui nostri piedi, non sulle nostre mani Le tue scuse non bastano e il dolore non spaventerà (più) Ma le tue azioni riscalderanno colei che ha freddo e la cureranno Perciò sorella sii ottimista e lascia che i tuoi fratelli facciano domande Ma è tuo diritto combattere per poter essere simili ai fratelli

Mi dispiace per lei, che mi ha dato orgoglio e rispetto E davanti agli amici ho detto che me l’ha data Sono costretto, per compiacerci della nostra mascolinità (ci comportiamo così) Fino a che abbiamo poca mascolinità Ti chiedo scusa se hai conservato il tuo onore tra le mani (e io) dopo averti convinto a lasciar perdere me ne sono andato, ho lasciato tutto su di te Mi chiamano Don Giovanni 35 perché ho preso l’ innocenza dai tuoi occhi

32 Letteralmente “né l’occidente né l’oriente (della vita)”. 33 Lett. “ma non eri vestito”, si riferisce all’uomo al momento della nascita. 34 Lett. “da dove sei uscito”

170 Ho pronunciato la parola “peccato” nelle tue orecchie Ancora di più mi dispiaccio per te, mia sorella, mia carne e mio sangue Noi siamo uguali ma non in tutto quello che facciamo Hai ragione tu? No, no, rimarrò con le mani legate Perché i lupi che sono fuori ululano affamati

Mi scuso per tutte le volte in cui il mio cuore non ha rispettato ma non so se serva. Mi scuso per il racconto del sangue quando la membrana si strappa, scende abbastanza sangue e io a causa della gente che parla aumento il sangue nel suo cuore Mi scuso per tutte le volte in cui l’ho vista meno importante 36 di me E l’ho trattata come se fosse nata per servirmi Mi scuso perché alle sue spalle faccio pensieri 37 su di lei Mi scuso perché non c’è abbastanza musica per scusarmi con lei.

35 L’espressione “Don Giovanni” viene utilizzata nella traduzione inglese fornita dalla band nel sito ufficiale, ma il testo arabo utilizza la parola jad‘ che significa letteralmente “bravo”. 36 Lett. “più bassa”. 37 Lett. “filosofeggio”.

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