MARIE LEVANT

IL MITO DELL’ISLAMOFOBIA. UNO SGUARDO STORICO SULLA CARICATURA RELIGIOSA IN

Chers djihadistes, chevauchant vos éléphants de fer et de feu, vous êtes entrés avec fureur dans notre magasin de porcelaine. Mais c’est un magasin de porcelaine dont les propriétaires, de longue date, ont entrepris de réduire en miettes tout ce qui s’y trouvait entassé. Ils ne peuvent même survivre que par là. Vous les avez perturbés. Vous êtes les premiers démolisseurs à s’atta- quer à des destructeurs; les premiers Barbares à s’en prendre à des Vandales; les premiers incendiaires en concurrence avec des pyromanes. Cette situation est originale. Mais, à la différence des nôtres, vos démolitions s’effectuent en toute illégalité et s’attirent un blâme quasi unanime. Tandis que c’est dans l’enthousiasme général que nous mettons au point nos tortueuses innovations, et que nous nous débarrassons des derniers fondements de notre ancienne civilisation. C’est pourquoi, chers djihadistes, nous triompherons de vous. Nous vaincrons parce que nous sommes les plus morts1.

Che cosa è Charlie Hebdo? Un settimanale che rac- conta l’attualità – tutta l’attualità – in un modo satirico. Trentamila lettori. Difficoltà di ogni tipo. La satira è vigorosa, mordente, feroce. C’è chi la ritiene divertente, chi la considera volgare, chi la giudica violenta e offensiva; dipende dalle volte, dipende dagli argomenti, e soprattutto dipende dai lettori, quelli che scelgono di comprare – o di non comprare – la rivista. Ci troviamo un po’ di tutto, da Jean-Marie Le Pen a Barack Obama, dalla canicola all’influenza aviaria, da Slobodan Milosevic a Osama bin Laden, e ancora il Rwanda o la Libia, il burqa o il papa, i mondiali o la caccia: Charlie Hebdo se la prende con tutti e con tutto, incluse le religioni. C’è anche lo «spirito

1 P. Muray, Chers djihadistes, 2002, p. 37.

147 Charlie», con un’ideologia progressista come sfondo, una verve voltairiana e contestatrice come radice, la derisione e la libertà dei toni come strumenti, fino al grottesco e all’osceno. Ne forniscono lo spessore una storia di qua- rant’anni, nonché la personalità dei suoi fondatori, François Cavanna e Georges Bernier, le polemiche scatenate, le lotte perseguite – lotte pubbliche attraverso la rivista, lotte più discrete quando vanno a disegnare e a insegnare a disegnare nelle prigioni –, e sicuramente la sua redazione, la «bande à Charlie», quella che ha fatto ridere tanti, arrabbiare al- trettanti, e piangere un intero popolo. Lo definisce infine il vignettista : «Che cosa è lo spirito Charlie? È avere una vera indipendenza di pensiero. Non essere bloccato da quello che il mondo degli “adulti” tenta di imporci, e analizzare la complessità della società con umorismo e non con le sopracciglia aggrottate»2. Da una decina di anni, la violenza a colpi di matita di Charlie Hebdo crea un disagio, addirittura una viva tensione nonché delle minacce criminali, più volte portate a compimento. Un dibattito, virulento anch’esso, si è così creato intorno al giornale, e più che altro fra i non mu- sulmani. Politici, giornalisti, intellettuali o ancora militanti di associazioni antirazziste si chiedono perché un giornale progressista persista nel disegnare Maometto. La caricatura dell’islam non si traduce in una nevrosi islamofobica? Tante sono le domande che emergono sin dalla prima rappresen- tazione del Profeta musulmano in copertina, l’8 febbraio 2006, nel contesto dell’affaire delle caricature danesi. Per questo è utile allora esaminare le cifre della rappresentazione dell’islam fra le copertine che costituiscono senza dubbio la vetrina del giornale. Due sociologi francesi, Jean-François Mignot e Céline Goffette, hanno analizzato le 523 prime pagine pubblicate fra il 2005 e il 2015: in dieci anni, 38 di esse hanno riguardato la religione (il 7% del totale, con- tro il 65% relativo alla politica), fra le quali solamente 7

2 A. Laffeter, Luz: «J’avais un bout de cerveau qui cognait contre les murs», in «Les Inrockuptibles», 1013 (2015), p. 46 (trad. dell’autrice).

148 sull’islam, cioè l’1,3% del totale3. In termine di ossessione, abbiamo visto di peggio. Potremmo certamente discutere dei criteri di classi- ficazione delle copertine e del valore di una tale rappre- sentazione. Rimane che, quanto al primo punto, un altro studio, relativo al periodo che va dal 1992 – anno della rifondazione della rivista – al 2011, offre dei risultati mol- to simili, cogliendo però alcune sfumature: su un totale di 1000 copertine, riscontra una percentuale identica per quelle dedicate alla politica (65%) e alla religione (7,5%), ma ripartisce gli attacchi alle religioni in modo leggermente meno squilibrato, contando 44 copertine sul cristianesimo e 24 copertine, ovvero il 2,4% del totale, sull’islam4. Quan- to al secondo punto, si potrebbe opporre all’argomento quantitativo quello qualitativo: mentre da un lato si tratta dell’istituzione cattolica, composta dal clero e dal papa e più raramente dai fedeli, dall’altro la caricatura dell’islam è concentrata sui credenti, in particolare i fanatici e le donne velate. Torneremo più avanti sulla questione dei contenuti, ma ci permettiamo sin d’ora di sostenere che se una differenza di trattamento fra le due religioni c’è, non è sicuramente a svantaggio dell’islam: il privilegio su sodomia, pedofilia, scatologia è del cattolicesimo, se non del papa. Altro argomento avanzato dai sopracitati sociologi: dato il basso numero delle vendite, è permesso considerare che quelli che si dicono sconvolti dalla rivista non la leggono, ma ne intravedono nelle edicole o sul web la copertina, sulla base della quale formano la loro accusa di islamofobia; di fatto, è stato generalmente a causa delle copertine che i rappresentanti di diverse religioni hanno intentato causa a Charlie Hebdo. Un’analisi approfondita di tutti i 1.177 numeri offrirebbe dei risultati più accurati. Permetterebbe

3 J.-F. Mignot e C. Goffette, Non, Charlie Hebdo n’est pas obsédé par l’islam, in «Le Monde», 24 febbraio 2015, consultabile all’indirizzo http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/02/24/non-charlie-hebdo-n- est-pas-obsede-par-l-islam_4582419_3232.html (27 luglio 2015). 4 Studio condotto da chi scrive sulla base delle 1000 copertine, che dal 1992 al 2011 sono state pubblicate dal giornale. Cfr. Charlie Hebdo. Les 1000 Unes. 1992/2011, Paris 2011.

149 certamente di affinare o di correggere queste prime cifre, ma è alquanto certo che non ne contraddirebbe le conclu- sioni, ossia che il tema religioso, nel giornale, è decisamente minoritario; che fra questo, l’islam lo è ancora di più; e che se un’evoluzione c’è, va nel senso di una diminuzione della caricatura dell’islam negli ultimi dieci anni. Allora perché si è cristallizzato un dibattito sulla ca- ricatura religiosa, e più che altro la caricatura dell’islam? Perché l’accusa di bersagliamento ripetuto dei musulmani? Perché la creazione del mito dell’islamofobia? Cercheremo di fornire a tali domande alcuni elementi di spiegazione, tracciando un breve profilo storico del giornale, basandoci, oltre che su una raccolta dei numeri, su una serie di studi scientifici realizzati in questi ultimi anni.

1. Un anticlericalismo soft: Charlie Hebdo e i suoi padri

La satira anticlericale, come sappiamo, ha una lunga storia che risale alle origini stesse del cristianesimo. A partire dal XVIII secolo, a seguito dell’Illuminismo e della Rivoluzio- ne francese, la religione costituì il terreno privilegiato della caricatura e della libellistica5. Quanto l’anticlericalismo, in tutte le sue espressioni, sia ancorato alla storia e alla cultura di questo paese, non occorre spiegarlo in questa sede, salvo per ricordare le parole dello storico René Rémond:

L’anticléricalisme est bien une idée, et une idée politique. Qu’il ait été effectivement un facteur, souvent décisif, des luttes politiques, toute notre histoire contemporaine le proclame: il a soulevé des tempêtes, provoqué dans les Chambres de la monarchie, de l’Empire ou de la République, quelques-uns des débats les plus orageux de nos chroniques parlementaires, suscité des passions violentes et durables. Des consultations électorales, de grande importance, l’ont eu pour enjeu. Il a été le ciment de plusieurs majorités, le moteur de certains gouvernements. Pour tout dire, l’anticlericalisme est une composante essentielle de

5 G. Doizy, De la caricature anticléricale à la farce biblique, in «Archives de sciences sociales des religions», 134 (2006), pp. 63-91.

150 notre histoire politique, peut-être même un élément fondamental de notre système politique6.

A guardare da vicino però, ci si potrebbe chiedere fino a che punto Charlie Hebdo non potrebbe essere una versione edulcorata di questo satiricum, se pensiamo per esempio alle opere di Sade, come La Nouvelle Justine o Les 120 journées de Sodome – che rappresentano la trasgressione artistica più esasperata nella storia della letteratura – o alle canzoni di Béranger, al vertice dell’antigesuitismo, nella prima metà dell’Ottocento7. Sulla stessa linea, e a titolo di esempio, riportiamo le ultime strofe di una canzonetta del Secondo impero che se la prendeva in maniera particolar- mente volgare con il vescovo di Orléans, esponente della tendenza liberal-conservatrice del cattolicesimo francese, descrivendolo in un atto sessuale con gli apostoli e con Gesù Cristo: «L’Père Dupanloup, au Paradis/ Voulait enculer Jésus-Christ/ Nom de Dieu! dit l’Père Eternel/ Tu prends le ciel pour un bordel!/ L’Père Dupanloup fut tout confus/ De ne pouvoir lui foutre au cul/ Branlant sa pine de part et d’autre/ Il aspergea les douze apôtres»8. Canzoni, libelli e caricature di questo genere, che fanno umorismo volgare e osceno non solo nei confronti dei credenti e del clero, ma addirittura nei riguardi del figlio di Dio, ce ne sono a centinaia, e rivelano o diffondono fra i ceti popolari sentimenti non necessariamente anticlericali, ma sicuramente di emancipazione nei confronti della chiesa, della sua sacralità e del suo oscurantismo. Sotto la Terza Repubblica, negli anni 1880-1914, con il movimento della Libre Pensée9, vivono una stagione particolarmente felice titoli satirici come Le Grelot, La Calotte, e soprattutto L’Assiette au beurre (1901-1912), capolavoro del genere, che vide tra le sue fila molti tra i mi- gliori caricaturisti dell’epoca, e al quale Charlie Hebdo pare

6 R. Rémond, L’anticléricalisme en , de 1815 à nos jours, Paris 1976, p. 4. 7 M. Leroy, Le mythe jésuite. De Béranger à Michelet, Paris 1992. 8 J.-P. Goujon, Anthologie de la poésie érotique française, Parigi 2004, p. 694. 9 J. Lalouette, La Libre-Pensée en France 1848-1940, Paris 1997.

151 avvicinarsi di più10. La satira illustrata era concepita interamente come uno strumento di lotta. Essa riattivava e accentuava tutti i temi tradizionali degli attacchi contro il clero: stupidità e cupidigia, lubricità e pornografia, sadismo, aggiungendo qua e là l’asservimento a Roma e l’opposizione alla Repubblica. Ma la natura radicale come la forza della caricatura libre-penseuse andava al di là, quando colpiva non solo il clericalismo, ma la religione in sé. L’odio antireligioso si affermava con la ridico- lizzazione dei santi, del culto e della sacra Scrittura, compresi Dio, Gesù e la crocifissione – circolavano peraltro numerose versioni illustrate della Bibbia o della vita di Gesù, riscritte e rivisitate in un modo comico e ateistico11. Se questa impresa di delegittimazione si concentrava sulla religione del papa, non dimenticava pure le altre, come dimostra specialmente il numero dell’Assiette del 7 maggio 1904, opera di François Kupka, rivolto a tutte le religioni: quella dei greci, quella dei nativi americani, quella di Allah, etc.12 «Tuons-les par le rire» assumeva, infine, come motto il libero pensatore Léo Taxil: si trattava di un vero e proprio tantativo di distruzione per mezzo della risata. Quindi l’offesa in materia di religione è stata spinta molto oltre, ben prima di Charlie Hebdo. Di fatto, dopo la Grande Guerra e soprattutto dopo il 1945, non si trova più questa densità satirica13. Forse perché in materia di oltraggio verso l’umanità, la Seconda guerra mondiale ha superato tutte le frontiere dell’immaginabile. Charlie Hebdo fa sfilare lo stesso catalogo di rappresentazio- ni e di accuse nei confronti del religioso. Pratica senza dubbio un umorismo licenzioso, e porta forse l’oscenità a un livello superiore. L’offesa c’è e non si può negare. Considerando però

10 L. Baridon e M. Guédron, L’art et l’histoire de la caricature, Paris 2006; E. Dixmier e M. Dixmier, L’Assiette au beurre: revue satirique illu- strée, 1901-1912, Paris 1974; J. Cassou e V. Langevin, Jules Grandjouan: Exposition, Nantes 1969. 11 J. Lalouette, La République anticléricale. XIXe-XXe siècles, Paris 2002; Doizy, De la caricature biblique, cit., pp. 69-84. 12 G. Doizy, A bas la calotte! La caricature anticléricale et la Séparation des Eglises et de l’Etat, Paris 2005, p. 116. 13 Rémond, L’anticléricalisme en France, cit., p. 230.

152 la religiosità delle società attuali, moderne o più esattamente postmoderne, e considerando questa forma di «messa in esi- lio» di Dio e della religione, le vignette anticlericali di Charlie, tutto sommato, non sorprendono tanto. Sono invece attese: ubbidiscono a un conformismo e rappresentano al massimo una comoda provocazione. Per dirlo diversamente: possiamo davvero pensare che nella Francia e nell’Europa di oggi, l’im- pertinenza assoluta sia ancora nell’attacco satirico al papa?

2. La risata canonizzata. Charlie 1 (1969-1982)

«Bal tragique à Colombey: un mort», diceva il 16 no- vembre 1970 la prima pagina del noto settimanale L’Hebdo Hara-Kiri, fondato l’anno prima da Georges Bernier – detto Professeur Choron, dal nome della strada in cui si trovava la prima sede del giornale – e da François Cavanna, ambedue provenienti dal ceto popolare e operaio. I due presero in mano le sorti del mensile Hara-Kiri, nato nel 1960, in cui lavoravano già disegnatori che sarebbero diventati famosi, come Reiser, Gébé, Willem, Siné, e ovviamente e Wolinski. La co- pertina polemizzava in realtà sul comportamento dei media, e condensava due informazioni: la prima, l’incendio di un dancing in un paesino della regione di Grenoble, che aveva causato la morte di centocinquanta ragazzi, il 1° novembre; la seconda, la morte di Charles de Gaulle, accaduta una settimana dopo nella sua proprietà di Colombey-les-Deux-Églises. Per una settimana intera la stampa si era appassionata al dramma del 1° novembre e alcuni quotidiani avevano dedicato al fatto tutte le loro copertine. Da un giorno all’altro l’evento era brutalmente sparito: la stampa aveva smesso di parlare di ciò che le aveva garantito delle buone vendite sino ad allora, per lasciare il posto interamente alla morte del vecchio Generale. L’Hebdo Hara-Kiri stigmatizzò questa attitudine: fu l’atto di nascita di Charlie Hebdo. In effetti, a questi eventi fece seguito la chiusura de L’Hebdo Hara-Kiri, su decisione ministeriale, ufficialmente per motivi di pornografia – sulla base di tre vignette pubbli- cate in un numero anteriore –, ma in realtà per la copertina

153 sopracitata. Dopo questo episodio la redazione aggirò il ministero dell’Interno, sostituendo L’Hebdo Hara-Kiri con un altro titolo, Charlie Hebdo. Era lo stesso giornale. E il titolo shock del 16 novembre rimase illustre fino a oggi14. Charlie Hebdo conobbe una prima fase ascendente, un âge d’or, che durò fino al 1974 e portò i suoi lettori a 120 mila. Erano gli anni del governo Pompidou, che spingeva il giornale al primo posto contro una censura che non osava pronunciare il proprio nome. Gli argomenti erano numerosi e altrettanti erano i bersagli. Ci furono dei processi, intentati da alcuni politici, e il giornale perse. Il numero pubblicato l’8 aprile 1974 per la morte di Pompidou – si potrebbe quasi dire per festeggiarla –, fu certamente il più violento della sua storia, visto che Pompidou incarnava tutto quello che il giornale esecrava. Si scatenarono una nuova polemica e l’odio di numerosissimi lettori: non era la prima volta, non fu nemmeno l’ultima. Charlie non assunse toni più teneri neanche nei confronti di Valery Giscard d’Estaing, nonostante la sua presidenza abbia dimostrato una netta permissività sul terreno della stampa. Iniziò allora un graduale declino, con una perdita di lettori che passarono dai 30 mila del 1979 ai 25 mila del 1981. La crisi era peraltro aggravata dalle chiare difficoltà di gestione. Nel dicembre 1981 si annunciava la fine e il 7 settembre 1982 uscì un ultimo numero15. Non è facile definire nell’arco di tempo considerato la natura di una rivista fondata sulla libertà totale dei suoi disegnatori e redattori, data la pluralità che ne risulta. Mentre la copertina si decideva collettivamente, ogni gior- nalista era responsabile della propria pagina (il metodo Cavanna) e non c’era né censura né autocensura. La rivista era indipendente dal punto di vista finanziario quindi non c’era spazio per la pubblicità e tutti erano liberi di lavorare contemporaneamente per altri giornali, anche se concorren-

14 S. Mazurier, Bête, méchant et hebdomadaire. Une histoire de Charlie Hebdo (1969-1982), Paris 2009, pp. 89-112. 15 Si veda anche Id., De De Gaulle à Mitterrand: l’assaut de Charlie Hebdo, in «Sociétés et Représentations», 36, 2 (2013), pp. 125-141.

154 ziali. Il principale punto di convergenza era forse quello della risata a tutti i costi: fin dall’inizio, lo scopo fu di far ridere, far ridere se stessi, e possibilmente anche gli altri. Quest’idea ritorna come un leitmotiv: «faire marrer», si ri- peteva. Ridere di tutto e con tutto, come raccontava Bernier: «Il n’y a qu’une seule forme d’humour, c’est celle qui fait rire. On fait rire avec n’importe quoi: on fait rire avec des morts, on fait rire avec des cancéreux, on fait rire avec des anciens combattants, on fait rire avec du cul, on fait rire avec de la bite, avec n’importe quoi. Du moment que ça fasse rire»16; una derisione assoluta, fino a prendere in giro, con Reiser, il cancro che lo avrebbe condotto alla morte. Vi era una predilezione per l’umorismo nero e cinico, quando non frivolo e osceno, senza tenerezze: era l’umorismo coup de poing di Cavanna, fatto per «taper là où ça fait le plus mal, taper comme un boeuf»17. Tuttavia, la risata non era soltanto gratuita, ma aveva una seconda faccia. Era anche uno strumento di lotta, come lo era stato al culmine della caricatura anticlericale, alla fine del XIX secolo: un umorismo «più cattivo che stupido», per riferire al sottotitolo iniziale, L’Hebdo Hara-Kiri. Journal bête et méchant. Il giornale era la vetrina di tutte le battaglie: per la democrazia, il pacifismo, il femminismo – più che le fem- ministe, l’ecologia; per denunziare il razzismo e l’omofobia, la crudeltà verso gli animali, o ancora lo sport competitivo; anti- americanismo e anti-sovietismo, e rigetto assoluto dell’estrema destra. E poi c’era il valore centrale della laicità, una laicità militante confortata da una rivendicazione ateista, che portava alla critica feroce della chiesa cattolica, particolarmente per i suoi rapporti con i regimi di Franco e di Salazar. Dal prete libidinoso allo stupro della Vergine o la ridicolizzazione di Gesù sulla croce, l’avversione per il religioso andava di pari passo non solo con la sua intera desacralizzazione, ma anche con la denuncia della religione come strumento di alienazione

16 Intervista per la radio France Inter del 9 dicembre 1979, citata in Mazurier, Bête, méchant et hebdomadaire, cit., p. 165. 17 Cavanna, Bête et méchant, Paris 1981, pp. 235-236, citato in Ma- zurier, Bête, méchant et hebdomadaire, cit., p. 165.

155 delle masse. Osserviamo peraltro che l’islam era discreto ma non assente: apparse la prima volta nel 1979 per attaccare il suo uso repressivo nella rivoluzione iraniana, e soprattutto, sotto lo sguardo di Wolinski, nei confronti delle donne – ritorno del velo e della lapidazione18. C’era dunque una volontà di prendersela con tutti i simboli e con tutti i determinismi, ma con un bersaglio privilegiato: l’uomo armato, che sia militare, poliziotto, Crs – il corpo della polizia nazionale che interviene durante le manifestazioni – o cacciatore. Insomma, un corpus ideolo- gico e politico di sinistra, dalla destra della sinistra fino al suo lato estremo.

3. Meno stupido e più cattivo. Charlie 2 (1992-2015)

La Grosse Bertha era nata nel 1991 in opposizione alla guerra del Golfo. Settimanale satirico, aveva qualche somi- glianza con Charlie Hebdo, meno volgare però, e forse un po’ più intellettuale; molti della «bande à Charlie» l’avevano raggiunto. Rapidamente era emerso un conflitto di persone insieme a un conflitto di linea editoriale, e quelli che sotto la guida di volevano portare il giornale più verso la politica, come i giovani e , se ne andarono per crearne un altro. Fra loro vi erano anche Wolinski, Cabu e Cavanna. Il primo propose di rifare Charlie Hebdo, e gli altri due acconsentirono, mentre Honoré, un altro ancora di Hara-Kiri, li raggiunse presto, seguito da Willem, Siné e Gébé. Il 1° luglio 1992 usciva il primo numero. Questo contesto iniziale aiuta a capire l’evoluzione del Charlie originario, che seguì quasi un’inversione, nel senso che la lotta prese da allora il sopravvento sull’umorismo per l’umorismo, mentre la politica diventava sempre più centrale, sino a riguardare i due terzi delle copertine. Ne diede una spiegazione nel 2004 il non ancora direttore

18 S. Mazurier, L’anticlericalisme dans Charlie Hebdo, in J.-C. Gardes e G. Doizy (a cura di), Caricature et religion(s), in «Ridiculosa», 15 (2008), pp. 33-43.

156 Charb: «Méchant, peut-être, bête de moins en moins. La nouvelle formule de Charlie, c’est moins de gags ou de plaisanteries gratuites qu’avant. Là, chaque fois, on essaie de dire quelque chose, c’est un peu plus prétentieux qu’a- vant, mais c’est aussi plus politique comme orientation»19. Il giornale restava però irreverente, cinico e scandaloso. Si pensi solo alla copertina di del 3 giugno 2009, per riferire la caduta del volo 447: l’airbus Air France che precipita verso il mare, accompagnato dal commento «228 disparus... 228 abstentions de plus aux européennes!». Al- tro esempio è la copertina di Cabu del 19 settembre 2001, geniale o al di là dei limiti dell’insolenza, a seconda dei punti di vista: «Vendez!» urla il trader dal World Trade Center accanto ai colleghi imperturbabili mentre l’aereo precipita verso di loro20. Nell’affrontare la politica c’è una preferenza nazionale e una predilezione per la destra: Chirac, Sarkozy, la loro politica, le grandi manifestazioni di opposizione, gli scandali politico-finanziari, e soprattutto l’estrema destra dei Le Pen, nemico numero uno21. Lì l’intransigenza è totale e la denuncia costante: il Front National è antisemita e razzista, e non ha perso niente del filofascismo delle origini, ragione per la quale il giornale lanciò nel 1996 una petizione per la sua messa al bando – 173 mila firme, senza internet. Non risparmiano nemmeno la sinistra, da Mitterrand a Hollande: contro quest’ultimo la rivista si scaglia con una severità brutale quando contesta l’intervento militare nel Mali, e con un’insolenza libidinosa nell’immagine che lo ritrae con la cerniera abbassata in mezzo all’affaire Julie Gayet22. E nonostante siano diverse le opinioni in seno alla

19 Citato da J. Weston, Charlie Hebdo and Joyful Resistance, in J. Parkin e J. Phillips (a cura di), Laughter and Power, Berna 2006, pp. 209-240. 20 Si veda «Charlie Hebdo» (di seguito indicato con CH), 885 (2009) e 483 (2001). 21 V. Aristova, «Notre premier sujet c’est la politique». Charlie Hebdo and Contemporary French Politics, in «French Studies Bulletin», 35, 133 (2014), pp. 85-88. 22 Cfr. CH, 1075 (2013): «Le Mali a le choix. C’est tapis de prière... ou tapis de bombe», e 1126 (2014): «Moi, président...».

157 redazione, sfila, numero dopo numero, una certa agonia della sinistra, l’abbandono dei suoi principi fondatori e il fine della sua forza di rinnovamento. Ce n’è un po’ anche per Bush, Obama o Berlusconi, ma la scena internazionale è presente innanzitutto, pacifisme oblige, attraverso l’orrore dei conflitti: stupri di massa, genocidi e uccisione di civili. Si sottolinea il cinismo di una strumentalizzazione della guerra a fini economici o strategici, così come l’inutilità o il fattore aggravante delle truppe internazionali di protezione. Le vignette più dure da guardare, e forse anche le più forti, sono a nostro parere quelle sulla guerra di Bosnia. Basterebbe rinviare alla copertina di Riss del 19 luglio 1995, che non ha bisogno di commenti23. Dopo la politica vengono le questioni economiche e so- ciali, presentate attraverso le analisi dell’economista (Oncle Bernard), riconosciuto per il suo talento e la sua dedizione. Accompagnano le caricature sulla povertà e la disoccupazione, l’impertinenza dei ricchi e il capitalismo oppressivo, il dramma delle prigioni o la perversione dello sport competitivo. Non a caso si è definito nel 1998 come il giornale anti-mondiali: la critica è sempre stata acerba contro i danni del doping, la mercantilizzazione dell’attività sportiva e la stupidità violenta dei tifosi. Punzecchiano anche la gioventù, con una certa tenerezza, ma senza concessioni di fronte al culto che questo fa del materialismo e al ram- mollimento della sua coscienza politica. Fedele alle sue radici, Charlie non smette mai di ridico- lizzare i vizi della società. Con il passare degli anni, si dà più spazio al mondo dello spettacolo e dei media, fino a invitare alcune figure a collaborare per un numero o due, senza che l’idea piaccia a tutti. In realtà, se Charlie Hebdo ha perso dei lettori negli ultimi dieci anni – da una media di 80 mila24,

23 CH, 160 (1995): «Contre les Serbes, l’Onu offre sa protection»; si veda anche ibidem, 212 (1996): «Bosnie: sous les pavés, la plage», sempre di Riss. 24 J. Weston, A-t-on le droit de rire de tout? La défense de la laïcité par Charlie Hebdo dans le contexte de l’affaire des caricatures danoises, in Gardes e Doizy (a cura di), Caricature, cit., pp. 517-527.

158 non erano più che 45 mila nel 2011 e 30 mila al momento della strage – non è tanto per eccesso di violenza satirica, ma forse piuttosto per indebolimento di quest’ultima, per il diminuire della sua indecenza e per il crescere della sua rispettabilità. Un effetto del post 11 settembre 2001? Forse. Ma c’è anche un problema «Philippe Val». Direttore della redazione dal 1992, finché il presidente Sarkozy lo mise a capo della stazione di radio France Inter, nel 2009, Val fu criticato sia per il suo autoritarismo sia per l’evoluzione delle sue idee politiche, interventiste (Kosovo, Iraq), filo- europeiste (il sì al trattato di costituzione europea) e filo- israeliane, mentre la rivista era sempre stata indefettibilmente pacifista e più che scettica nei confronti dell’andamento del progetto europeo; quanto al conflitto del Medio Oriente, le caricature di Charb, al ritorno di ciascuno dei suoi sog- giorni a Gaza dall’inizio degli anni 1990, non permettono di dubitare della sua difesa della causa palestinese. Di fatto, quando sostituì Val nel maggio 2009, annunciò egli stesso una nuova era per Charlie Hebdo.

4. La violenza a colpi di matita o ridere di ogni fanatismo

L’analisi della tematica religiosa richiede due osser- vazioni iniziali. La prima consiste nel ricordare la natura giornalistica di Charlie Hebdo: un giornalismo satirico, certo, ma comunque un giornalismo. Di conseguenza, le vignette scelte non escono solamente dall’immaginazione creatrice dei disegnatori, ma corrispondono all’attualità, un’attualità che invece non è scelta. Quindi, quando dopo cento copertine sul cristianesimo ne compare una sull’islam, significa che direttamente o indirettamente quest’ultima ha occupato l’attualità. «Bisogna condannare lo specchio o quello che riflette?», chiede giustamente la saggista ed ex collaboratrice del giornale Caroline Fourest25. La seconda osservazione rinvia alla complessità dell’arte della caricatura e della sua interpretazione. Più si allontana

25 C. Fourest, Eloge du blasphème, Paris 2015, p. 89 (trad. dell’autrice).

159 dal terreno nazionale, socio-economico, culturale e politico nel quale è pensata la caricatura, più se ne perde il sen- so, e suscita l’incomprensione; un fenomeno ovviamente accelerato in questi ultimi anni, all’era di internet e della mondializzazione26. Inoltre, non è detto che il disegno sia la più universale delle lingue, come si sente talvolta. Di fatto, non si può prescindere dalla natura profondamente francese di Charlie Hebdo, non solo per la pregnanza della satira antireligiosa e blasfema nella storia del paese, ma anche per l’abitudine della redazione a guardare quasi sempre ai fatti dell’attualità attraverso il filtro della vita politica francese. A titolo di esempio, prendiamo la copertina sulle schiave sessuali di Boko Haram: «Les esclaves sexuelles de Boko Haram en colère. Touchez pas à nos allocs!»27. Non intendiamo negare la sua natura sconvolgente, ma ricordare l’integralità del suo contesto. In effetti, a prima vista, si ac- contenta di fare dell’ironia di cattivo gusto sull’orrore vissuto dalle giovani nigeriane catturate dal gruppo terrorista. In realtà, la vignetta sottolinea di più l’assurdità dei fantasmi dell’estrema destra, e più generalmente della destra popu- lista, che allo stesso momento, mentre si discuteva di una riforma del regime dei sussidi familiari, puntava al peso che rappresentavano le famiglie di immigrati che raggiungevano la Francia solo per usufruire di tali sussidi per poi tornare nel proprio paese d’origine. Quindi, negli anni Novanta, le vignette sull’islam cor- rispondono maggiormente a un’attualità molto francese, ossia alle vicende e poi alle leggi sul velo, con una precisa collocazione: al momento dell’affaire du voile e della circolare Bayrou; successivamente durante il dibattito del 2003-2004 intorno al progetto di legge sulla interdizione dei segni reli- giosi nelle scuole; e infine quando si parlò del velo integrale in pubblico con la legge del 2010 contro il niqab. Le vignette sulla questione sono semplici e nette. I tratti della donna sono

26 Si veda per esempio A. Deligne, Mahomet caricaturé: texte, image, émotion. Ou: un éclairage dérangeant, in Gardes e Doizy (a cura di), Caricature, cit., pp. 417-431. 27 CH, 1166 (2014).

160 poco disegnati, per meglio dimostrare l’attacco alla femmi- nilità che rappresenta il velo, paragonato ora a un sacchetto dell’immondizia, ora al bavaglio che impedisce di esprimersi. Le vignette traducono una chiara volontà di difendere il rispetto della donna, l’uguaglianza uomo-donna e la laicità contro l’integralismo musulmano, soprattutto a scuola. La posizione assunta da Charlie, favorevole alle proposte di legge dei governi di destra (dei quali però continuava a denunciare l’ipocrisia e il retro-pensiero) era molto minoritaria in seno alla sinistra, e creò con essa una prima rottura: «Un chemin s’est dessiné: celui d’une gauche qui refuse de renoncer à combattre l’intégrisme par peur du racisme. Tout comme elle refuse de nier le racisme par peur de l’intégrisme. En 2004, cette gauche se sent parfois seule et orpheline. Sauf lorsqu’elle ouvre les pages de Charlie Hebdo»28. Più sovversiva ma non ancora blasfema è la figura del fanatico islamista, con la quale si denuncia la strumentalizzazione bellicosa dell’islam, dal terrorismo algerino degli anni Novanta a quello dei primi anni Duemila. Osserviamo però che quando si tratta del terrorismo arabo, l’associazione all’islam è piuttosto discreta se non as- sente. E ancora una volta, le vignette seguono l’attualità con un picco soprattutto nei mesi di settembre e ottobre 2001. La guerra che ne seguì e i nuovi attentati ebbero poi come effetto quello di accrescere la rappresentazione dell’islam come religione oppressiva e maschilista, nei limiti però delle cifre citati in introduzione29. Finché si è trattato di donne velate, di terroristi armati del Corano o di «Dieu Prix Nobel de la guerre»30, non ci furono né minacce né polemiche. Il giornale si tirò addos- so dei fastidi con l’islam quando iniziò a rappresentare il fondatore della religione islamica, e la prima volta nel 2002, con una vignetta di Cabu a proposito del concorso Miss

28 C. Fourest, «Charlie» lève le voile, in Charlie Hebdo. Les 1000 unes, cit., p. 197. 29 Sui diversi temi incontrati nella caricatura dell’islam, si veda J. Bézecourt, Thèmes et cibles de la caricature de l’Islam, in Gardes e Doizy (a cura di), Caricature, cit., pp. 433-444. 30 CH, 539 (2002).

161 World in Nigeria. Dopo la battuta di un giornalista su Mao- metto, e con la reintroduzione della sharīa come sfondo, l’evento aveva dato luogo a manifestazioni violente da parte dei musulmani, che attaccarono i cristiani e portarono la cifra delle vittime a più di duecento. In questo contesto drammatico, Cabu scelse di ridere anche lui di Maometto, rappresentandolo come padrino dell’elezione attorno a un gruppo di donne velate; il concorso veniva così chiamato «Miss Patate» («Miss Patata», facendo allusione alla forma del tubero)31. Il giornale ricevette centinaia di lettere di protesta o di minaccia, a cui rispose Philippe Val:

Que les choses soient claires. Le droit – que l’on a acquis de haute lutte – de se moquer du petit Jésus ou de Mahomet, on n’est pas près de l’abandonner. Il est constitutif du monde dans lequel nous voulons vivre […]. Être opposé à l’islamisme, ce n’est pas être anti-arabe […]. Il y a des musulmans intégristes de toutes les couleurs et de tous les pays. Ce que l’on critique, ce n’est jamais leur origine, c’est leurs idées32.

Da qui iniziò la protezione da parte della polizia. L’affare danese scatenò l’ira contro Charlie Hebdo. Il 30 settembre 2005 era uscita nel quotidiano danese di centro destra Jyllands-Posten una serie di dodici vignette intito- lata Le facce di Maometto, che rappresentavano il Profeta. Con questo il quotidiano voleva evidenziare l’autocensura crescente e i tabù sempre più numerosi nel trattamento dell’islam da parte della stampa. Due vignette furono con- siderate particolarmente offensive. La prima era quella di Maometto con una bomba nel suo turbante. In realtà, era già apparsa dieci anni prima senza creare nessuno scandalo. Il suo disegnatore, l’anarchico Kurst Westergaard, aveva allora voluto denunciare gli attentati in Algeria, riferendosi a un’espressione popolare danese proveniente da racconti di ispirazione orientale, secondo la quale mettere un’arancia nel cappello porta fortuna; la sostituzione dell’arancia con una

31 Ibidem, 549 (2002). 32 Citato da Weston, A-t-on le droit de rire de tout?, cit., p. 520.

162 bomba significava semplicemente che i terroristi portavano la disgrazia in Algeria33. La seconda vignetta problematica rappresentava il Profeta sulla soglia dell’aldilà a respingere una fila di martiri del jihad, comunicando loro che «non ci sono più vergini» («Stop, stop, we ran out of virgins!»). Ci fu un’unica manifestazione di protesta che riunì tremila persone a Copenhagen. Ma nel mese di dicembre, alcuni imam – fra cui uno che aveva da tempo conti personali da regolare con il Jyllands-Posten – fecero il giro di diversi paesi arabi con le vignette incriminate, gonfiate di altre immagini ben più grottesche e ingiuriose trovate sul web per assicurarsi di provocare la rabbia dei loro interlocutori34. In questo modo scatenarono le gravi proteste che cono- sciamo nel mondo arabo ed europeo con decine di morti. L’orchestrazione dell’ira non lascia il posto a dubbi: almeno in Libano e in Siria, il regime aveva mandato migliaia di messaggi sms annunciando che i danesi progettavano di bruciare il Corano in mezzo alla pubblica piazza e che solo delle manifestazioni avrebbero potuto impedirlo; invece delle caricature del Profeta non dissero nulla35. Il 1° febbraio 2006, il giornale francese France Soir decise di mostrare le vignette ai suoi lettori, con il titolo «Oui, on a le droit de caricaturer Dieu». Il capo redat- tore, Jacques Lefranc, fu immediatamente licenziato dal proprietario del giornale, Raymond Lakah, un cristiano franco-egiziano. Il 7 febbraio toccava a Charlie riprodurre le vignette, accompagnate da una caricatura brillante di Cabu, il famoso «Mahomet débordé par les intégristes», con il Profeta in lacrime e con la testa fra le mani: «C’est dur d’être aimé par des cons...». Non si trattava tanto di fare un colpo editoriale, ma piuttosto di dimostrare solidarietà nei confronti del collega giornalista. Di fatto, l’allora direttore Philippe Val aveva prima chiamato tutte le redazioni perché pubblicassero tutte insieme le vignette

33 Deligne, Mahomet caricaturé, cit., pp. 427-431. 34 Fourest, Eloge du blasphème, cit., pp. 85-101. 35 S. Al Karjousli, Quelle place pour les caricatures dans le monde arabo- musulman?, in Gardes e Doizy (a cura di), Caricature, cit., pp. 445-458.

163 al fine di diluire la minaccia. Invano però: solo Charlie si assunse la responsabilità. Fra le testimonianze che abbiamo sul contributo di Charlie all’affaire36, particolarmente interessante è il film documentario che realizzò Daniel Leconte, il quale ebbe l’idea di filmare la riunione di redazione durante la quale si decise di pubblicare le vignette37; una decisione che fu presa subito: «A Charlie, on peut s’engueuler sur tout, la façon de combattre le terrorisme ou l’antisémitisme, le sort des banlieues, le capitalisme, l’interventionnisme, mais s’il y a bien une chose qui nous réunit, c’est le droit de rire du fanatisme»38. Si vede Wolinski alzare la testa per dichiarare di avere paura, prima di rimettersi a disegnare e produrre una vignetta esilarante, segnando la via che si sarebbe seguita per la copertina, cioè quella di mostrare un Maometto simpatico e con il senso dell’umorismo. Un Maometto vittima egli stesso del fondamentalismo, pro- pose Val. Si vede, poi, Cabu che finisce il suo disegno, aggiungendo la battuta suggerita da Val sulla difficoltà di essere amato da «coglioni». Si accontentarono di riferire la vignetta agli integralisti e non ai musulmani. Finì la riunione. Uragano di proteste. Allerta bomba. Tornò la polizia39. Per rispondere alle accuse, fra le quali quella mossa dal presidente della Repubblica, che condannò la provocazione palese di Charlie nei confronti della comunità musulmana, la redazione pubblicò il 1° marzo 2006 un manifesto contro il nuovo totalitarismo rappresentato dall’islamismo – quindi un islam politico – e firmato fra gli altri da Salman Rushdie e Taslima Nasreen: «Ben lontano da uno scontro di civiltà

36 P. Val, Reviens, Voltaire, ils sont devenus fous, Paris 2008; Fourest, Eloge du blasphème, cit., pp. 92-99; Charb, Lettre aux escrocs de l’isla- mophobie qui font le jeu des racistes, Paris 2015 (un saggio terminato due giorni prima della strage). 37 D. Leconte, C’est dur d’être aimé par des cons, film documentario uscito il 17 settembre 2008. 38 Fourest, Eloge du blasphème, cit., p. 93. 39 Si veda anche J. Favret-Saada, Comment produire une crise mondiale avec douze petits dessins, Paris 2007.

164 o da un antagonismo Occidente-Oriente, si tratta di una lotta globale che oppone i democratici ai teocratici», si spiegava40. Una risposta ironica alle critiche fu invece il numero speciale di maggio, Charlie Blasphème, che racconta la storia della lotta contro la blasfemia mettendo in scena tutte le religioni. Scrive il capo redattore Gérard Biard di fronte alle violenze degli ultimi mesi:

Il ne faut pas blesser les croyants dans leur foi, nous disent les gens raisonnables et les négociants en yaourt qui craignent le boycott. Nous sommes ouverts au débat. Mais, pour que le débat ait lieu, il faudrait auparavant que certains croyants arrêtent de blesser tout court ceux qui n’épousent pas strictement les mêmes convictions qu’eux41.

Alcune organizzazioni musulmane querelarono il di- rettore di Charlie in nome del diritto a non subire offese rispetto alle proprie convinzioni religiose. «La presse est le chien de garde de la démocratie» argomentò il procuratore della Repubblica nel richiedere il rilascio. Di fatto, il giudice pronunciò l’innocenza di Philippe Val e cancellò il sospetto di razzismo: perché il giornale non fa altro sull’islam che satira; perché non c’è nessuna ragione per trattare la reli- gione islamica diversamente dalle altre; perché nessuno è obbligato a comprarlo o a leggerlo. Non si nega che alcuni musulmani possano sentirsi offesi dalle caricature di Charlie, ma si rifiuta l’accusa di volerli offenderli deliberatamente. Il verdetto sottolinea così la specificità della satira e della caricatura42. Segnaliamo che diversamente da quanto fece

40 Manifeste des douze: ensemble contre le nouveau totalitarisme, in CH, 715 (2006) e ripreso da Caroline Fourest nel suo articolo La réaction de «Charlie», in «Libération», 7 febbraio 2007, consultabile all’indirizzo http://ecrans.liberation.fr/ecrans/2007/02/07/la-reaction- de-charlie_84219 (27 luglio 2015). 41 Citato da Weston, A-t-on le droit de rire de tout?, cit., p. 522. 42 «Attendu que Charlie Hebdo est un journal satirique, contenant de nombreuses caricatures que nul n’est obligé d’acheter ou de lire, à la différence d’autres supports tels que des affiches exposées sur la voie publique; attendu que toute caricature s’affranchit du bon goût pour remplir une fonction parodique […]; attendu qu’ainsi, en dépit du ca-

165 Chirac, altri politici sostennero Charlie, tra i quali Sarkozy – con un messaggio diventato famoso: «Je préfère l’excès de caricature à l’absence de caricature» –, Hollande o Bayrou, così come di un numero considerevole di musulmani che rifiutavano di essere rappresentati dalle organizzazioni que- relanti e che testimoniarono a favore del giornale43. Tuttavia, l’affaire delle caricature non si fermò lì. Alcuni anni dopo, il 2 novembre 2011, uscì uno Charlie speciale, Charia Hebdo, annunciato qualche giorno prima. Ancora una volta, si trattava di attualità. Nel contesto della primavera araba, il numero era dedicato al rischio di vedere la sharīa applicata in Libia e in Tunisia. Per rispondere ai politici e agli intellettuali che, dopo aver sostenuto la ribellione, volevano minimizzare il pericolo e parlavano di una sharīa tutto sommato moderata, gli illustratori avevano deciso di fare di Maometto il capo redattore del numero speciale, nel quale si immaginavano mille modi per applicare una sharīa «molle». Ma la notte del 1° novembre il giornale fu vittima di un attentato: mentre il suo sito web fu hackerato dalla Tunisia, la sua sede fu interamente distrutta da un incendio doloso. Alla sorveglianza quotidiana della sede del giornale fu da allora aggiunta la protezione personale del direttore Charb e di alcuni vignettisti. L’attentato fu condannato unanimemente, nonostante le proteste contro la copertina. La redazione rispose con una copertina di Luz, «L’amore più forte dell’odio», mostrando un bacio gay fra un vignettista di Charlie e un musulmano44: nuova prova di un «umorismo da vigliacchi», così la definì l’intellettuale musulmano Tariq Ramadan45. ractère choquant, voire blessant, de cette caricature pour la sensibilité des musulmans, le contexte et les circonstances de sa publication dans le journal Charlie Hebdo apparaissent exclusifs de toute volonté délibérée d’offenser directement et gratuitement l’ensemble des musulmans; que les limites de la liberté d’expression n’ont donc pas été dépassées»: estratto del verdetto del processo raggiunto l’8 marzo 2007. Citato in Favret-Saada, Comment produire une crise mondiale, cit., p. 182. 43 Weston, A-t-on le droit de rire de tout?, cit., pp. 523-527. 44 CH, 1012 (2011). 45 L’intervento di Tariq Ramadan è stato trasmesso nel programma

166 «C’est peut-être un peu pompeux ce que je vais dire, mais je préfère mourir debout que vivre à genoux»: la famosa frase pronunciata da Charb in un’intervista al giornale Le Monde alcuni mesi dopo e ripresa in realtà dal rivoluziona- rio Zapata, la dice lunga sulla resistenza della redazione di Charlie nel continuare a ridere di ogni fanatismo religioso davanti alle numerose pressioni che venivano fatte per met- tere fine alla rappresentazione caricaturale del profeta o più in generale dei musulmani. Di fatto, produsse una nuova serie nel 2012 durante la crisi fondamentalista provocata dal film Innoncence of Muslims. Si trattava appunto, all’interno del giornale, di prendere in giro sia il film sia le ondate di violenze che avevano accompagnato la sua uscita, mentre la copertina rappresentava un ebreo e un musulmano, l’uno in soccorso dell’altro perché ambedue vittime eterne del razzismo occidentale46. Charlie di nuovo subì attacchi da tutte le parti, approfondendo ancora di più l’abisso che lo separava, ormai da anni, dalle forze della sinistra: forse furono quest’ultima vignetta e i suoi accenti pacifisti a porre i problemi più rilevanti perché, durante l’ennesima fase del conflitto israelo-palestinese, suonavano come un’ingiuria contro la causa di Gaza. Va allora sottolineata questa sfumatura: se negli anni Novanta la caricatura, anche attraverso la questione del velo, rappresentava un islam della quotidianità, più ordi- nario che radicale, negli anni Duemila si concentrò, sulla scia però dei fatti dell’attualità, sulla strumentalizzazione integralista dell’islam, ricorrendo per questo alla figura del profeta Maometto. Potremmo aggiungere in proposito alla lista altre due vignette che puntano non sull’islam ma sull’islamismo: quella del 2013, «Le Coran c’est de la merde, ça n’arrête pas les balles», che rappresenta un fanatico terrorista che si rende conto che il suo Dio non è così potente; quella del 2014, «Si Mahomet revenait», con un Maometto apparentemente simpatico, usato per televisivo Revu et Corrigé, presentato da Paul Amar, in onda su France 5, il 5 novembre 2011. 46 CH, 1057 (2012).

167 sottolineare la contraddizione tra l’islam come religione e l’uso fanatico che ne viene fatto dagli jihadisti47. La prima vignetta portò il direttore Charb in tribunale per due processi che vinse ancora una volta: l’uno per incita- mento all’odio razziale e l’altro per blasfemia – secondo un articolo di legge rimasto nel diritto locale dell’Alsazia- Mosella. Sarebbe forse esagerato parlare di vittoria, ma la seconda vignetta passò quasi inosservata, come se in fin dei conti, dopo cinque caricature del Profeta in undici anni, ci si fosse ormai abituati alla cosa. Di fatto, la minaccia al giornale si fece meno acuta e si depotenziò la protezione della polizia.

5. Dall’accusa di islamofobia a una nuova blasfemizzazione

Oltre alla discussione davanti al giudice, alle proteste violente e alle minacce criminali contro la redazione di Charlie Hebdo, la caricatura dell’islam da parte del giornale ha dunque sollevato un dibattito pubblico da una decina di anni a questa parte, che si è espresso attraverso la stampa e diversi altri media, ben al di là dei soli francesi di confessione musulmana – e in realtà questi ultimi sono la parte minore. Il primo punto di scontro è quello della rappresentanza o della quantità: il giornale bombarderebbe continuamente l’islam e i musulmani, fino a sviluppare negli ultimi anni una nevrosi islamofobica. Come abbiamo sottolineato, la satira nei confronti della religione islamica, in realtà, non solo tende a diminuire, almeno rispetto al numero di copertine interessate, ma è anche quantitativamente più che minoritaria nei confronti dell’insieme dei temi trattati e nei confronti soltanto della religione cristiana. Nel sopracitato processo del 2007, Richard Malka, l’avvocato di Charlie, ha potuto così sventolare le vignette più crudeli contro i simboli e i dignitari della religione cristiana, rilanciando alla parte civile: «Vous voulez vraiment l’égalité de traitement? Personne dans ce pays, pas même à Charlie Hebdo, n’oserait faire à

47 Ibidem, 1099 (2013) e 1163 (2014).

168 l’égard du prophète Mahomet le dixième de ce qu’on a fait à l’égard du pape!»48. A proposito della chiesa cattolica, troviamo dapprima, per riassumere, una critica di ordine politico contro il suo si- stema autoritario, misogino e patriarcale: una chiesa coinvolta negli affaires politico-finanziari e una chiesa che antepone il rispetto del dogma alla misericordia, senza compassione per le vittime di stupro, praticando e favorendo la pedofilia, o uccidendo con le sue posizioni sul preservativo gli africani minacciati dalla propagazione dell’Aids49. Di conseguenza, la satira è meno concentrata sui semplici credenti, benché alcune vignette sottolineino per esempio il penchant violento dei cattolici integralisti sulla censura o li assimilino a dei nazisti50; a queste bisognerebbe anche aggiungere diverse vi- gnette nel contesto delle manifestazioni contro il matrimonio omosessuale, nonostante il giornale abbia anche stuzzicato le coppie gay e dimostrato una certa ostilità a proposito della

48 Citato da Favret-Saada, Comment produire une crise mondiale, cit., p. 181. 49 Essendo impossibile riportare tutte le vignette comparse su Charlie Hebdo sulla questione, rinviamo in particolare alle seguenti: 36 (1993): «Quand on vous enfile par un trou tendez l’autre» a proposito dello stupro delle donne; 790 (2007): «Lustiger gagne 70 vierges» a proposito del ruolo della donna nella chiesa; 292 (1998): «En lisant le numéro 57 de Golias sur les pédophiles dans l’Eglise, on se réjouit que les JMJ n’aient pas eu plus de succès», che rappresenta un ecclesiastico mentre offre il suo sesso al posto dell’ostia a un ragazzo; sullo stesso tema, la vignetta del numero 819 (2008), mostra un cardinale nell’atto di stuprare un giovane sull’altare; 873 (2009): «9 ans, violée, avortée... excommuniée» a proposito delle scomuniche pronunciate dopo l’aborto di una bambina brasiliana di nove anni stuprata dal patrigno; 905 (2009): «Révélations sur l’argent de l’Opus Dei: c’est dur d’être aimé par des cons...» a pro- posito degli scandali finanziari intorno all’Opus Dei; 928 (2010): «Faites du cinéma, comme Polanski» in cui il papa consiglia a un vescovo una via per continuare a commettere atti di pedofilia; 1073 (2013): «Si tu es gentil avec moi je t’emmenerai... à la manif anti-pédés!» che illustra un prete pronto a commettere un atto di pedofilia. 50 Nel primo caso, rinviamo al numero speciale (1016) sui cattolici integralisti del 7 dicembre 2011, nel contesto delle manifestazioni contro l’opera teatrale Golgota Picnic, giudicata blasfema; nel secondo caso, alla vignetta del numero 49 (1993) – portata in tribunale dall’Agrif, organizzazione cristiana integralista – e a quella del numero 261 (1997).

169 procreazione medicalmente assistita51. Più oltraggiose sono le caricature che mirano alla desacralizzazione della chiesa nella sua totalità, a cominciare dalla persona del papa, con delle battute sulla malattia e poi la morte di Giovanni Paolo II: quella particolarmente macabra del settembre 1996, che accompagna le manifestazioni contro il viaggio in Francia, dove si vedono diverse parti del suo corpo strapparsi lungo le strade del paese52; quella del 2001 dove annuncia ai fedeli la sua prossima scomparsa («C’est promis, cette année, je meurs!»)53; o ancora quella del gennaio 2005 sulla sua senilità («Le pape va mieux: il a canonisé 2 yaourts»), seguita da un numero speciale all’occasione della sua morte54. Vanno aggiunte inoltre le serie di vignette sulle visite in Francia di Giovanni Paolo II, disegnato come un papa parassita e antisemita, un «papa di merda», scrisse Val in un numero di luglio 1996, mentre un’altra, alcune settimane dopo, sugge- riva diversi strumenti, come il cannone o la ghigliottina, per assassinare il papa55; e infine la copertina che si rivolge al discorso spregiativo dell’arcivescovo di Parigi André Vingt- Trois sul matrimonio omosessuale, e che rappresenta Dio, Gesù e lo Spirito Santo in una posizione controversa («Mgr Vingt-Trois a trois papas. Le père, le fils, le saint esprit»)56. E come all’epoca del primo Charlie, la satira non ri- sparmia nemmeno Gesù Cristo, in particolare nell’episodio della crocifissione, più volte usata: vediamo per esempio un soldato romano che, perché mancano gli attrezzi necessari – si tratta di ironizzare sui problemi che pone la chiusura dei negozi la domenica in seno alla discussione parlamen- tare sulla questione – annuncia a Gesù che deve sostituire la pena della croce con quella della sodomia57. Le proteste

51 Si rinvia in particolare al 1092 (2013) e al numero Hors série. La véritable histoire du petit Jésus, pubblicato per il Natale 2014. 52 CH, 221 (1996). 53 Ibidem, 446 (2001). 54 Ibidem, 660 (2005) e 668 (2005). 55 Ibidem, 211 (1996) e 221 (1996). 56 Ibidem, 1064 (2012). 57 Ibidem, 1111 (2013): «Castorama est fermé! On va être obligés de t’enculer».

170 da parte cristiana sono state numerose, e una decina di volte talune organizzazioni cattoliche hanno fatto causa al giornale: solo alcuni di questi contenziosi si sono conclusi con la pronuncia di una sentenza, comunque favorevole al settimanale in base ad argomenti simili a quelli pronun- ziati nel verdetto del 2007 a proposito delle caricature di Maometto. A provocare l’ira furono le vignette considerate tra le più sconvolgenti, come quella che raffigura Mickael Jackson che commette un atto di pedofilia sul bambino Gesù, incoraggiato da diversi uomini di chiesa, o quella di Riss che chiede ai lettori di seguire l’esempio dei tre per- sonaggi ritratti a defecare in un’acquasantiera, sulla croce, e urinando in un tabernacolo58. Quindi i principi sono gli stessi: una risposta all’attualità come condizione, una laicità assoluta e una satira indiscussa come motore, che autorizzano a prendersela con la religione in tutti i modi; solo che lì, nei confronti della religione cristiana, l’oscenità e la blasfemia sono portate ancora più a fondo. Comunque, il problema posto dal giornale non è tanto quello della caricatura delle religioni, né della religione cristiana né di quella islamica: infastidisce, offende, scan- dalizza, ma non scatena onde di polemiche o di violenze. Il problema è scaturito essenzialmente dalla rappresenta- zione di Maometto, un’interdizione – nonostante non lo sia sempre stata – che vale non solo per i musulmani ma anche per i non musulmani59. In questo modo, è più che altro nel rappresentare Maometto che Charlie Hebdo avrebbe offeso inutilmente e gratuitamente l’islam, e soffiato sulla brace della rabbia musulmana60. Da questa accusa, Val e Charb si sono difesi diverse volte, sottolineando in particolare l’ipocrisia di alcuni nell’attribuire a un settimanale moribondo il peso

58 Ibidem, 78 (1993) e 125 (1994). 59 A. Esquerre, Le blasphème, saveur de la modernité, in «SociologieS», giugno 2014, consultabile all’indirizzo http://sociologies.revues.org/4780. 60 Si veda per esempio L. Joffrin, Charlie Hebdo: le jeu en valait-il la chandelle?, in «Le Nouvel Observateur», 2498 (2012) o la petizione del 5 novembre 2011, che fece seguito all’incendio, intitolata Pour la défense de la liberté d’espression, contre le soutien à Charlie Hebdo, pubblicata anche in Fourest, Eloge du blasphème, cit.

171 delle esplosioni di violenza nei paesi arabo-musulmani. Essi convenivano sul fatto che le caricature del Profeta potes- sero turbare profondamente, e non negavano il diritto di ciascuno a esprimere tale turbamento, purché questo non portasse a minacciare la vita altrui, appellandosi alla libertà di espressione di stampo fondamentalmente repubblicano e invitando i credenti rigoristi a non leggere la rivista, così come loro non sarebbero entrati in una chiesa o in una mo- schea per ascoltare discorsi contrari ai loro principi. Nello stesso modo, e nonostante riconoscessero i limiti alla libertà di espressione, non hanno mai accettato che in uno Stato laico, erede della modernità e di secoli di lotta, la religione potesse esserne uno:

Si on commence à se poser la question de savoir si on a le droit de dessiner ou pas Mahomet, si c’est dangereux ou pas de le faire, la question d’après cela va être: «est-ce qu’on peut représenter des musulmans dans le journal?». Puis la question d’après cela va être: «est-ce qu’on peut représenter des êtres humains dans le journal?», etc. Et à la fin on ne représentera plus rien, et la poignée d’extrémistes qui s’agitent dans le monde et en France aura gagné61.

Più problematica è però, per un giornale che ha difeso il voto per gli immigrati, la regolarizzazione dei sans-papiers o le leggi antirazziste, l’accusa di razzismo che si nasconderebbe dietro il persistere a caricaturare il Profeta e a ferire in que- sto modo i musulmani. Charlie Hebdo colpirebbe così una comunità particolarmente debole nel paese, quella di origine arabo-musulmana, ma debole anche sulla scena mondiale62. C’è qui un disaccordo di fondo: nonostante il legame sia reale e forte, la redazione di Charlie ha sempre rifiutato l’associazione che fanno i suoi oppositori tra francese di origine araba da un lato e la religione musulmana dall’altro. La satira mira alle idee, in questo caso alla religione (come ha sempre fatto

61 Intervento di Charb al microfono di RTL il 18 settembre 2012, a proposito del numero del giorno dopo. 62 Troveremo una ripresa di questa accusa nel saggio di E. Todd, Qui est Charlie? Sociologie d’une crise religieuse, Paris 2015.

172 con il cristianesimo), e non alle persone63. Soprattutto, per riportare le parole di Charb nel saggio pubblicato postumo, si rimanda l’accusa di razzismo, denunciando un certo discorso paternalista nei confronti degli arabo-musulmani:

Si on laisse entendre qu’on peut rire de tout, sauf de certains aspects de l’Islam, parce que les musulmans sont beaucoup plus susceptibles que le reste de la population, que fait-on, sinon de la discrimination? La seconde religion du monde, la prétendue deuxième religion de France, ne devrait pas être traitée comme la première? Il serait temps d’en finir avec ce paternalisme dégueu- lasse de l’intellectuel bourgeois blanc «de gauche» qui cherche à exister auprès de «pauvres malheureux sous-éduqués»64.

Quindi, è anche in nome dell’uguaglianza che Charlie Hebdo rifiuta di astenersi dal caricaturare l’islam, non consi- derando la diversità culturale tra un fedele musulmano e un fedele cristiano, o più esattamente trascurando il fatto che in questa differenza si annidi l’incapacità per tutti i musulmani francesi di sopportare l’esistenza della satira su Maometto. L’atteggiamento di Charlie Hebdo riguardo all’islam sembra allora perfettamente coerente con il Charlie Hebdo delle origini. È chiaramente in nome di principi universalistici, ossia dei suoi stessi principi fondatori – l’uguaglianza, la libertà di espressione, così come la laicità, una laicità assoluta, radicale e militante, inclusa la blasfemia – che il giornale caricatura l’islam, compreso il Profeta. Questi principi riuniti impediscono per esempio di fare la distinzione che fanno

63 Val, Reviens, Voltaire, cit.; tribuna di Charb e F. Nicolino nel quotidiano «Le Monde» il 21 novembre 2013, consultabile all’indirizzo http://www.lemonde.fr/idees/article/2013/11/20/non-charlie-hebdo-n- est-pas-raciste_3516646_3232.html (27 luglio 2015); tribuna di Charb nel quotidiano «Libération» il 22 dicembre 2013, consultabile all’indirizzo http://www.liberation.fr/societe/2013/12/22/plutot-un-rap-violent-qu- un-sociologue-demago_968440 (27 luglio 2015); risposta di a , Si Charlie Hebdo est raciste, alors je le suis, in «Cercle des Volontaires», 22 dicembre 2013, consultabile all’indirizzo http://www.cercledesvolontaires.fr/2013/12/22/ (27 luglio 2015); Weston, A-t-on le droit de rire de tout, cit. 64 Charb, Lettre aux escrocs de l’islamophobie, cit., pp. 38-39.

173 altri spesso tra una religione che dominò le società europee per secoli e una religione di popoli dominati da quelle stesse società; una differenziazione che fra l’altro ha certamente perso la sua forza a partire dal crollo del potere politico della chiesa. Impediscono ugualmente di accettare quanto l’anticlericalismo dei secoli XVIII e XIX sia stato anche una disposizione cristiana, nel senso che rispondeva al fatto che proprio la religione cristiana avesse posto al suo interno la distinzione tra il civile e il religioso e che di conseguenza gli strumenti della satira potessero subire dei mutamenti65. Si capisce allora perché sia stata così dura la critica contro Charlie – e perchè si sia creato il mito della sua islamofobia – da parte di gruppi o individui, giornalisti, politici, intellettuali, militanti antirazzisti o femministi, che appartengono o si riferiscono anche loro alla sinistra e al suo universalismo; un po’ come se la satira version Charlie diventasse eretica in seno alle correnti di sinistra, e per questa ragione insopportabile66. E non si può negare che l’esercizio della retorica da parte di questi gruppi e individui, come la legittimità rafforzata dal loro statuto e dalla colorazione politica, abbia fornito al loro discorso un peso particolare e facilitato la sua riappropriazione di un pubblico più largo. Il rifiuto della caricatura virulenta dell’islam o solo del Profeta, in particolare da parte dei non musulmani, ci dice infine qualcosa riguardo alla modernità. Innanzitutto, con- tribuisce a rinforzare l’essenzializzazione dei musulmani, poiché si nega la diversità delle reazioni di fronte al giornale, fra quelli che lo difendono e quelli che lo attaccano, quelli a cui non interessa e quelli che lo minacciano. Si nega anche la diversità storica delle tradizioni musulmane riguardo alla rappresentazione del Profeta, accettata da alcune correnti per molti secoli. Particolarmente sintomatica di questa attitudine è la decisione degli editori di un manuale di storia per ragazzi

65 Rémond, L’anticléricalisme en France, cit., pp. 12-13. 66 Sulle due correnti antirazziste, interne alla sinistra, rimandiamo in particolare al primo capitolo del saggio già citato di Fourest, Eloge du blasphème, cit., pp. 41-72.

174 della scuola media che, alcuni anni fa, anticipando le presunte reazioni di alcuni allievi, sfocarono il viso di Maometto in una miniatura persiana del XIII secolo67. In questo modo non solo si respingeva la possibilità, presente in alcune tradizioni dell’islam, di rappresentare il Profeta, ma si segnava la vitto- ria, in seno alla scuola laica, della credenza sulla conoscenza. Inoltre, negare ai musulmani, per principio preso, il senso della derisione nei confronti della loro religione non contri- buirebbe a escluderli da una forma di umanità, o almeno da una parte di modernità? Così, le caricature di Charlie Hebdo e le proteste suscitate, fino alla strage di gennaio, conferma- no la possibilità di denominare l’era in cui viviamo come «postmoderna», perché avrebbe lasciato la modernità dietro di sé. Si è segnata infatti la fine di un certo egualitarismo, rifiutando all’Altro – in questo caso al musulmano – quel processo di emancipazione, di solito virulento, che è stato al cuore dell’esperienza europea della modernità. Inoltre, va ricordato il binomio blasfemia-sacro e il loro legame intrinseco, visto che la blasfemia esiste solo in rapporto a una sfera pro- fanabile. Ora, viviamo in un’epoca dove la cosiddetta uscita della religione è stata spinta così in là che la religione cristiana da sola non basta più a reggere l’esistenza di questa sfera e della conseguente blasfemia, tanto da poter concludere che il dibattito e il rifiuto multiforme della caricatura musulmana, fino agli attentati di gennaio, rendono alla fine un servizio a Charlie Hebdo: ricreano una sfera sacra da profanare.

67 Al Karjousli, Quelle place pour les caricatures, cit., p. 456.

175 FIG. 1. Gabriele Galantara, La Prière, in «L’Assiette au Beurre», 242, 18 novembre 1905. Fonte: Gallica-BnF, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1048232d/ f4.image (6 ottobre 2015).

176 FIG. 2. Gabriele Galantara, Le Vatican s’amuse, in «L’Assiette au Beurre», 242, 18 novembre 1905. Fonte: Gallica-BnF, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1048232d/f11. image (6 ottobre 2015).

177 FIG. 3. Frid’Rick, La Bible amusante par Léo Taxil, Manifesto pubblicitario, 1890. Fonte: Gallica-BnF, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9016233h (6 ottobre 2015).

178 FIG. 4. Alfred Le Petit, L’ascension du nommé Jésus-Christ, in Auguste Roussel de Mery, Gros-Jean et son curé, Paris 1882. Fonte: Collezione Caricadoc.

179 FIG. 5. Jules Grandjouan, Ecce Homo, in «L’Assiette au Beurre», 300, 29 dicembre 1906. Fonte: Gallica-BnF, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1048362w (6 ottobre 2015).

180 FIG. 6. François Kupka, Dieu Turc, in «L’Assiette au Beurre», 162, 7 maggio 1904. Fonte: Gallica-BnF, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1048036c/ f9.image (6 ottobre 2015).

181 FIG. 7. Bal tragique à Colombey – 1 mort, in «L’Hebdo Hara-Kiri», 94, 16 novembre 1970.

FIG. 8. Gébé, Le pape en France. On va avoir les restes, in «Charlie Hebdo», 221, 11 settembre 1996.

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