Atti Dell'accademia Pontaniana Anno 2019
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ATTI DELLA ACCADEMIA PONTANIANA ISSN 1121-9238 ATTI DELLA ACCADEMIA PONTANIANA NUOVA SERIE - VOLUME LXVIII ANNO ACCADEMICO 2019 DLXXVII DALLA FONDAZIONE ISSN 1121-9238 ATTI DELLA ACCADEMIA PONTANIANA NUOVA SERIE - VOLUME LXVIII ANNO ACCADEMICO 2019 DLXXVII DALLA FONDAZIONE GIANNINI EDITORE NAPOLI 2020 Il presente volume è stato pubblicato grazie al contributo di COINOR Università “Federico II”, COINOR C entr o di A tene o per la C omunicazione e l ’I nnovazione Organizzativa del MIUR, dell’Istituto Banco di Napoli - Fondazione, della Regione Campania, REGIONE CAMPANIA del Banco di Napoli SpA Atti Accademia Pontaniana, Napoli N.S., Vol. (2019), pp. 5-18 I pesci fossili miocenici dei dintorni di Favara (Agrigento, Sicilia meridionale) Nota di LUIGI CAPASSO Presentata dai Soci ord. res. ANTONIO PIETRO ARIANI e UGO CRISCUOLO 1. Introduzione La cosiddetta Formazione gessoso-solfifera, descritta per la prima volta da Si- gismondo de Bosniaski (1880) e poi definita geologicamente solo da Selli (1960), affiora abbondantemente lungo la penisola italiana ed è ben rappresentata anche in Sicilia, dove essa è stata oggetto, nei secoli dal XVIII e XXI, di intenso sfruttamento minerario teso all’estrazione dello zolfo e, subordinatamente, del salgemma. L’origi- ne di questa formazione è correlata alla fase di massiva e rapida evaporazione mari- na, caratteristica del bacino del Mediterraneo alla fine del Miocene, con deposizione di rocce evaporitiche ricche di zolfo, di gesso e di salgemma. La parte basale della formazione è costituita da diatomiti, marne e calcari biancastri, spesso finemente fogliettati, che, complessivamente, sono stati chiamati ‘tripoli’. Il tripoli è stato de- scritto per la prima volta da Mottura (1871) e da Balducci (1886) ed è caratterizzato – tra l’altro – dalla presenza di una ricca frazione fossile, composta anche da resti di organismi macroscopici, prevalentemente pesci e subordinatamente vegetali. Il tripoli è spesso intercalato ai filoni di zolfo di interesse minerario e per questa ragione esso è stato oggetto di intensa rimozione manuale, in quanto le intercala- zioni tripolacee erano ritenute sterili ai fini dello sfruttamento minerario. Questa è la ragione per la quale i fossili contenuti nei citati livelli di tripoli sono stati oggetto di attenzione, sebbene occasionalmente, da parte di geologi e paleontologi, anche se – considerata la enorme mole di materiali movimentati – si tratta comunque di reperti che devono essere considerati assolutamente sporadici o, meglio, rari. Ad esempio, nella celebre miniera di Trabia (o Miniera Grande), situata fra Riesi e Sommatino, affiorano ampiamente gli strati solfurei del Miocene superiore, che sono stati oggetto di sfruttamento minerario per l’estrazione dello zolfo fin dal 1730; proprio questa miniera è stata per secoli il più importante centro di produzione dello zolfo in Italia, tristemente famosa anche per le dozzine di incidenti minerari occorsi nel Settecento e nell’Ottocento e che sono costati la vita a centinaia di mina- tori, fino al momento della sua chiusura, nel 1975. Nonostante i quasi due secoli e 6 LUIGI CAPASSO (2) mezzo di sfruttamento e, nonostante che da questo luogo siano stati estratti milioni di tonnellate di roccia, non sono mai stati descritti pesci fossili provenienti dalla miniera di Trabia. La ragione di questa eccezionalità di rinvenimenti paleontologici ci venne rappre- sentata già da Nocito (1852, pp. 4 e 5) (Fig. 1), che, nel descrivere il rinvenimento di pesci fossili nella zolfara di Castronovo, presso Favara, così commenta in proposito: Le ittioliti sonosi rinvenute nella spessezza della roccia, sono come circoscritte in uno spazio di sei palmi; ma essendo il cavo della miniera portato in modo da in- tersecare la direzione degli strati ad angolo retto, è naturale che ne sian delle altre riperibili in quella zona di stratificazione. Per osservarle poi la roccia ha dovuto accidentalmente spaccarsi nel senso del piano delle sue lamine, per cui la maggior parte passavano inosservate; molte masse presentano linee oscure, le quali indica- no con sicurezza la giacitura del pesce dentro della roccia. Oltre a queste ittioliti, delle impronte di foglie di vegetali e delle ligniti sonosi in questa stessa località rinvenute, ed in alcune masse marnose da una parte osservai il pesce fossile e da un’altra la lignite. Fig. 1. Frontespizio dell’opera di Giuseppe Nocito, pubblicata nel 1852: la prima opera sui pesci fossili della Sicilia. Stanti queste circostante, così ben descritte da Nocito (1852), non meraviglia che il rinvenimento di pesci fossili nel contesto minerario solfifero della Sicilia sia stato un evento raro ed accidentale. Ciononostante, i fossili propri dei livelli di tripo- li intercalati alla parte basale della Formazione gessoso-solfifera in Sicilia sono stati (3) I PESCI FOSSILI MIOCENICI DEI DINTORNI DI FAVARA 7 descritti solo in alcune località minerarie, tutte situate nel circondario di Agrigento. Esaminando in dettaglio la letteratura paleontologica, troviamo che pesci fossili sono stati raccolti nelle seguenti località: Grotte, Racalmuto, Riesi, San Cataldo, Montedoro, Castrogiovanni, Vallelunga Aragona, Canicattì (tutte citate da D’Era- smo, 1928), Comitini, Casteltermini e Favara (tutte citate da Nocito, 1852). La maggior parte di questi rinvenimenti non sono mai stati pubblicati, o anche solo resi noti attraverso specifiche segnalazioni. Si eccettuano solo tre ittiofaune che, al contrario, sono state oggetto di una o più pubblicazioni scientifiche; esse sono quella di Licata (raccolta prevalentemente nella zolfara Passarello, attiva dal 1830 fino al 1960 circa, Gatto, 2012), quella di Racalmuto (proveniente dalla solfara Gibellini, attiva fra il 1839 ed il 1975, Gatto, 2012), e quella di Favara (proveniente dalla solfara di Castronuovo, una propaggine della più vasta e nota zolfara di Ciavo- lotta, anch’essa attiva sin dal 1839). 2. I pesci fossili del tripoli di Licata I pesci fossili raccolti nel tripoli di Licata sono conosciuti attraverso ampie colle- zioni composte da molte centinaia di esemplari e, pertanto, rappresentano una vera e propria eccezione rispetto alla situazione più sopra descritta. Questa circostanza deriva direttamente ed univocamente dalla sensibilità e dalla conseguente attività svolta da uno straordinario paleontofilo attivo a Licata attorno alla metà dell’Otto- cento, M. René Alby. Infatti, prima ancora che la Francia aprisse la sua prima ambasciata in Italia (a Roma nel 1874), furono aperti alcuni consolati e fra essi quello di Girgenti (oggi Agrigento). Come risulta, ad esempio, dal Calendario Generale del Regno d’Italia re- lativo all’anno 1871, Renato Alby fu nominato primo Agente Consolare della Fran- cia a Girgenti, con facoltà di risiedere a Porto Empedocle (mentre la sede consolare di Licata, pur esistente, era vacante). In realtà, stando a quanto riportato dal paleonto- logo H.E. Sauvage nella sua prima ‘sinossi’ sui pesci fossili di Licata (1871) (Fig. 2), il console M.R. Alby iniziò la sua raccolta di campioni paleontologici nelle solfare del circondario di Licata fin dal 1867 e questa sua attività proseguì, stando a quanto ci riferisce il paleontologo Camille Arambour (1925), sino al 1879. Appena giunto a Porto Empedocle il console M.R. Alby acquistò dai proprietari delle solfare situa- te sul Monte Ecnomo (la celebre collina sulla quale nel III secolo a.C. si combatté la battaglia fra Cartaginesi e Siracusani, oggi Poggio Sant’Angelo e Monte Sole), il diritto di far eseguire scavi di superficie tesi alla raccolta di fossili. Gli interessi commerciali della Francia, che aveva, nel 1838 e per un certo periodo, ottenuto da re Ferdinando II di Borbone il monopolio dello sfruttamento dello zolfo siciliano, attraverso la società Taix & Aycard (la quale riforniva gli opifici di Marsiglia per la produzione di soda e di acido solforico), tendeva a mantenere il controllo almeno di 8 LUIGI CAPASSO (4) Fig. 2. Frontespizio della prima pubblicazione del paleontologo francese H. E. Sauvage, data alle stampe nel 1871, nella quale viene descritta la ampia collezione di pesci fossili raccolta a partire dal 1867 dal console francese a Licata M. René Alby. una quota delle esportazioni del prezioso minerale e da ciò derivava anche l’impor- tanza di mantenere rappresentanze consolari nell’isola, segnatamente in prossimità dei luoghi di produzione dello zolfo. Queste erano le ragioni diplomatiche che ave- vano indotto all’insediamento anche del console Alby a Girgenti. Ma Alby, giunto a Porto Empedocle nel 1867, non si limitò a svolgere solo il suo compito di diplomati- co a favore dell’esportazione dello zolfo verso il suo paese; piuttosto egli fece svolge- re anche un enorme lavoro di scavo e di recupero di fossili che durò sette anni, dal 1871 al 1879, e fu frutto di una ferma volontà del diplomatico francese, il quale era convinto che le rocce che costituivano il monte Ecnomo e che contenevano anche lo zolfo, fossero ricche di resti organici fossili di grande interesse scientifico. Riporta in proposito H.E. Sauvage (1873): Ce chercheur, persuadé que les couches moyennes de l’antique Ecnome de- vaient renfermer des restes organiques, acheta des propriétaires le droit de fouil- le et, aprés sept années de patientes recherches, parvint à exhumer la seul faune inchthyologiques complète que nous ayon du Tertiaire supérieur. Lo stesso M.R. Alby, nel corso della sua lunga e ben condotta attività di ricerca di pesci fossili a Licata, stabilì e descrisse con estrema precisione anche la stratigrafia del monte Ecnomo; in una